N. 28 SENTENZA 12 gennaio - 1 febbraio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Pene detentive brevi di durata sino a sei mesi - Tasso
  giornaliero di sostituzione in  pena  pecuniaria  -  Limite  minimo
  fissato, mediante rinvio, alla cifra attuale di 250 euro anziche' a
  quella di 75 euro, fermo restando il limite massimo  giornaliero  -
  Violazione  dei  principi  di  ragionevolezza  e  della   finalita'
  rieducativa  della   pena   -   Illegittimita'   costituzionale   -
  Opportunita' che il legislatore individui soluzioni diverse e  piu'
  adeguate e che restituisca effettivita' alla pena pecuniaria. 
- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, secondo comma . 
- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 27, terzo comma, e 117, primo
  comma; Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, art. 49,
  paragrafo 3. 
(GU n.5 del 2-2-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 53,  secondo
comma, della legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche  al  sistema
penale),  promossi  dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale ordinario di Ravenna con ordinanza del 5 ottobre 2020 e dal
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Taranto con ordinanza del 14 aprile 2021, iscritte,  rispettivamente,
al n. 177 del registro ordinanze  2020  e  al  n.  129  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 51, prima serie speciale, dell'anno 2020  e  n.  37,  prima  serie
speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 12 gennaio  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 12 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 ottobre 2020 (r.o. n. 177 del  2020),  il
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Ravenna  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 53, secondo comma, della legge  24  novembre  1981  n.  689
(Modifiche al sistema penale), «nella parte in cui [...] prevede che,
nel determinare l'ammontare della  pena  pecuniaria  in  sostituzione
della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice  individui
il valore giornaliero al quale puo' essere  assoggettato  l'imputato,
da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, in  un  valore  [...]
che non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p.,
pari a  euro  250,00,  anziche'  fare  applicazione  dei  criteri  di
ragguaglio di cui all'art. 459, co. 1 bis, c.p.p., ovvero poter  fare
applicazione dei meccanismi di adeguamento di cui  all'art.  133  bis
del codice penale», denunziandone  il  contrasto  con  gli  artt.  3,
secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione. 
    1.1.- Il rimettente  e'  investito  dell'opposizione  avverso  un
decreto penale di condanna proposta da R. B., imputato del delitto di
cui all'art. 22, comma 12, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n.
286  (Testo  unico  delle  disposizioni  concernenti  la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), il quale
ha chiesto l'applicazione,  ex  art.  444  del  codice  di  procedura
penale, della pena di 2 mesi e  20  giorni  di  reclusione,  oltre  a
2.222,22 euro di multa, con sostituzione della pena detentiva con  la
pena pecuniaria, ai sensi dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981. 
    Poiche' detta sostituzione dovrebbe avvenire sulla base del tasso
minimo di  ragguaglio  previsto  dall'art.  135  del  codice  penale,
richiamato dall'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del  1981,
pari a 250 euro per un giorno di pena detentiva, nel caso  di  specie
la pena detentiva andrebbe sostituita  con  una  pena  pecuniaria  di
20.000 euro, cui si aggiungerebbero 2.222,22 euro di  multa,  per  la
somma complessiva di 22.222,22 euro. 
    1.2.- La necessita' di applicare l'art. 53, secondo comma,  della
legge n. 689 del 1981 - che prevede tale tasso minimo di  ragguaglio,
ma che appare  al  giudice  di  problematica  compatibilita'  con  la
Costituzione - fonderebbe la rilevanza delle questioni. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
evidenzia che, stante il carattere mobile  del  rinvio  all'art.  135
cod. pen. operato dall'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del
1981,  l'innalzamento  del  tasso  di   ragguaglio   previsto   dalla
disposizione codicistica, da 38 a 250 euro  per  un  giorno  di  pena
detentiva (in forza dell'art. 3, comma  62,  della  legge  15  luglio
2009,  n.  94,  recante  «Disposizioni  in   materia   di   sicurezza
pubblica»), avrebbe reso eccessivamente onerosa, per  il  condannato,
la  sostituzione  delle  pene  detentive  di  breve  durata  prevista
dall'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981. 
    1.3.1.- Richiamando ampi stralci della sentenza n. 15 del 2020 di
questa Corte, il rimettente denuncia come, nella vigenza dell'attuale
disciplina,  la  sostituzione  della  pena  detentiva  con  la   pena
pecuniaria sia divenuta «un privilegio per soli condannati abbienti»,
con   l'introduzione   nell'ordinamento    di    una    irragionevole
discriminazione,  in  contrasto  con  i   principi   di   uguaglianza
sostanziale e ragionevolezza di cui all'art. 3, secondo comma, Cost.,
ma anche con la finalita' rieducativa della  pena  sancita  dall'art.
27, terzo comma, Cost. 
    1.3.2.- Non sarebbe d'altra parte praticabile  un'interpretazione
costituzionalmente orientata della disposizione censurata, atteso che
l'art. 53, secondo comma, della  legge  n.  689  del  1981  e'  stato
modificato dall'art. 4 della legge 12 giugno 2003, n. 134  (Modifiche
al codice di procedura penale in materia di applicazione  della  pena
su richiesta delle parti), con  l'espunzione  del  richiamo  all'art.
133-bis cod. pen., che consente  al  giudice  di  diminuire  la  pena
pecuniaria stabilita dalla legge sino ad  un  terzo  quando,  per  le
condizioni economiche del reo,  ritenga  che  la  misura  minima  sia
eccessivamente gravosa. 
    Tale modifica precluderebbe al  giudice  di  adeguare,  nel  caso
concreto,  l'ammontare  della  pena   pecuniaria   sostitutiva   alle
effettive condizioni economiche del  reo,  con  conseguente  lesione,
ancora una volta, degli artt. 3, secondo comma, e  27,  terzo  comma,
Cost. 
    1.4.- Conclusivamente, ritiene il giudice a quo che «il  criterio
di ragionevolezza ed il principio di uguaglianza  sostanziale,  oltre
alla  finalita'  rieducativa  cui  le  pene  devono  sempre   tendere
impongano che, anche nel caso di sostituzione  della  pena  detentiva
breve con quella pecuniaria ai sensi dell'art. 53, co. 2, della legge
n. 689/81,  si  faccia  applicazione  dei  medesimi  criteri  di  cui
all'art. 459, co. 1 bis, c.p.p., dettati in materia di decreto penale
di condanna, oppure si consenta al giudice di applicare i  meccanismi
di adeguamento di cui all'art. 133 bis del codice penale». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
siano dichiarate inammissibili. 
    2.1.- L'inammissibilita' discenderebbe, innanzitutto, dal difetto
di motivazione sulla rilevanza delle questioni. 
    Il giudice a quo non avrebbe chiarito per quale  motivo  la  pena
pecuniaria sostitutiva sarebbe eccessivamente gravosa per l'imputato,
il quale, accedendo al patteggiamento, beneficerebbe dello sconto  di
pena previsto dall'art. 444, comma 2, cod. proc. pen.  ed  eviterebbe
altresi' l'applicazione della pena accessoria del pagamento del costo
medio di rimpatrio del lavoratore straniero assunto  illegalmente  di
cui all'art. 22, comma  12-ter,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998.  Il
rimettente non avrebbe inoltre offerto alcun dato significativo circa
le condizioni economiche dell'imputato, sicche'  sarebbe  impossibile
verificare  l'effettiva  sostenibilita'   della   quota   giornaliera
sostitutiva della pena detentiva, determinata ai sensi dell'art.  53,
secondo comma, della legge n. 689 del 1981, anche ove il giudice,  in
forza dell'art. 133-ter cod. pen., concedesse la massima dilazione di
pagamento. 
    2.2.-  Ulteriore   profilo   di   inammissibilita'   risiederebbe
nell'inesatta e incompleta identificazione  della  norma  oggetto  di
censura,  che  comporterebbe  la  contraddittorieta'   del   petitum.
L'ordinanza di rimessione avrebbe dovuto  censurare  anche  l'art.  4
della legge n. 134 del 2003, che ha espunto dal testo  dell'art.  53,
secondo comma, della legge n. 689 del 1981 il rinvio all'art. 133-bis
cod. pen., dal momento che la pretesa  illegittimita'  costituzionale
scaturirebbe proprio dalla menzionata disposizione. 
    Pertanto, «sebbene la questione di legittimita' costituzionale in
astratto possa ritenersi non manifestamente infondata», essa  sarebbe
inammissibile per l'aberratio ictus parziale in cui  sarebbe  incorso
il rimettente. 
    3.- Con ordinanza del 14 aprile 2021 (r.o. n. 129 del  2021),  il
Giudice per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Taranto   ha   parimenti   sollevato   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 53, secondo comma, della legge  n.  689  del
1981, «nella  parte  in  cui  detta  disposizione  prevede  che,  nel
determinare il quantum della pena pecuniaria sostitutiva  della  pena
detentiva di durata inferiore a sei mesi,  il  Giudice  individui  il
valore minimo giornaliero di un giorno  di  reclusione  nella  misura
della somma indicata dall'articolo 135  c.p.,  pari  a  250,00  euro,
anziche' nella minor somma di 75,00 € prevista dall'articolo 459, co.
l-bis c.p.p.», per ritenuto contrasto con gli artt. 3, secondo comma,
27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost. in relazione all'art.  49,
paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE). 
    In via subordinata, la  stessa  disposizione  e'  denunciata,  in
riferimento ai medesimi parametri, nella parte in  cui  «non  prevede
che il Giudice, nel determinare la  pena  pecuniaria  sostitutiva  di
pena detentiva di durata inferiore  a  sei  mesi,  [...]  possa  fare
applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima
previsto dall'articolo 133-bis c.p.». 
    3.1.- Il giudice a quo  e'  investito  dell'opposizione  proposta
avverso  un  decreto  penale  di  condanna,  emesso   nei   confronti
dell'imputato G. M. in relazione al delitto di violenza privata (art.
610 cod. pen.), per  avere  posizionato  la  propria  autovettura  in
prossimita'  dell'ingresso  dell'abitazione  delle  persone   offese,
impedendo  a  queste  ultime  l'accesso  e  l'uscita  dall'abitazione
stessa. 
    Nel giudizio di opposizione, l'imputato e il  pubblico  ministero
hanno chiesto applicarsi, ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen.,  la
pena, gia'  diminuita  per  la  scelta  del  rito,  di  tre  mesi  di
reclusione, sostituita dalla multa di 6.750,00 euro,  determinata  al
tasso di 75 euro per ogni giorno di pena detentiva. 
    Il rimettente ritiene che, in assenza di elementi tali da imporre
ex art. 129 cod. proc. pen. il proscioglimento di G. M., e alla  luce
della  scarsa  pericolosita'  sociale  e  della   modesta   capacita'
criminosa rivelate dalla condotta contestata, la  pena  detentiva  di
cui le parti chiedono l'applicazione sia congrua e proporzionata alla
personalita' del reo e alla concreta offensivita' del fatto di reato,
tenuto conto dei criteri di cui all'art. 133 cod. pen. 
    Lo  stesso  puo'  dirsi  con  riferimento  alla  pena  pecuniaria
sostitutiva di 6.750,00 euro, rateizzabile ex art. 133-ter cod. pen.;
pena pecuniaria che, pero', le parti hanno determinato sulla base del
tasso di conversione minimo previsto, per il procedimento per decreto
penale di condanna, dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc.  pen.  (75
euro per un giorno di detenzione), e non sulla base il  tasso  minimo
di ragguaglio prescritto dall'art. 53, secondo comma, della legge  n.
689 del 1981 mediante rinvio all'art. 135 cod. pen. (250 euro per  un
giorno di detenzione), che dovrebbe essere applicato nel giudizio  di
opposizione. L'applicazione di quest'ultimo criterio, invece, darebbe
luogo a una pena pecuniaria sostitutiva pari a 22.500 euro. 
    Osserva in proposito il  giudice  a  quo  che,  alla  luce  della
documentazione  dell'Agenzia  delle  entrate  versata   in   atti   e
attestante  la  situazione   reddituale   dell'imputato,   una   pena
pecuniaria di tale importo sarebbe sostanzialmente  pari  ai  redditi
dichiarati  nell'anno  2020  e,  dunque,  del  tutto   sproporzionata
rispetto   alle   condizioni   economiche   dell'interessato.   Anche
nell'eventualita'  di  una  rateizzazione,  l'entita'  degli  importi
dovuti  sarebbe  tale  da  compromettere  notevolmente  la  capacita'
economica del reo. 
    3.2.- Tanto premesso, il rimettente richiama i principi enunciati
da questa Corte in punto di necessaria proporzionalita' della pena al
disvalore del fatto illecito commesso (sono citate le sentenze n. 236
del 2016, n. 341 del 1994, n. 409 del 1989 e n. 50 del 1980), anche a
garanzia dell'effettivo dispiegarsi della funzione rieducativa  della
pena, di cui all'art. 27, terzo comma, Cost. (sono citate le sentenze
n. 251 del 2012, n. 341 del 1994, n. 343 del 1993 e n. 313 del 1990),
per poi soffermarsi diffusamente sulla sentenza n. 15 del  2020,  che
avrebbe apertis verbis rilevato  «l'irragionevolezza  intrinseca  del
valore minimo del criterio di conversione delle pene detentive brevi»
previsto dalla disposizione censurata. 
    Evidenziata quindi  la  rilevanza  delle  questioni  sollevate  -
atteso che l'applicazione del tasso minimo  di  ragguaglio  stabilito
dall'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del  1981  imporrebbe
il rigetto della richiesta di  applicazione  della  pena  sostitutiva
formulata dalle parti -, il giudice a quo ritiene che la disposizione
censurata contrasti anzitutto con l'art.  3,  secondo  comma,  Cost.,
poiche'  il  descritto  coefficiente  di  ragguaglio  creerebbe   una
disparita' di trattamento  tra  imputati  facoltosi  -  in  grado  di
assolvere al pagamento della pena pecuniaria, pur se sproporzionata -
e imputati meno abbienti. 
    Tale criterio minimo di  conversione  colliderebbe  altresi'  con
l'art. 27, terzo comma, Cost., nella misura in  cui  rischierebbe  di
vanificare    «l'imprescindibile    esigenza    di     minimizzazione
dell'inflizione di pene detentive brevi  "gratuite"  ed  "inutilmente
laceranti"» e genererebbe trattamenti sanzionatori  sproporzionati  e
intrinsecamente irragionevoli. 
    Sarebbe infine violato l'art. 117, primo comma, Cost., in ragione
del conflitto della  disposizione  censurata  anche  con  l'art.  49,
paragrafo 3, CDFUE, che vieta  l'inflizione  di  pene  sproporzionate
rispetto al reato. 
    3.3.-  A  fronte  dei  denunciati  vulnera   costituzionali,   il
rimettente auspica un intervento di questa Corte che allinei il tasso
minimo di  ragguaglio  tra  pena  detentiva  e  pena  pecuniaria,  da
applicarsi ai sensi dell'art. 53, secondo comma, della legge  n.  689
del 1981, al tasso minimo previsto dall'art. 459, comma  1-bis,  cod.
proc. pen. per la sostituzione della pena detentiva nel  procedimento
per decreto penale di  condanna  (75  euro  per  un  giorno  di  pena
detentiva). 
    Tale disposizione, diversa ma non disomogenea rispetto  a  quella
censurata - in quanto ad essa  accomunata  dalla  previsione  di  una
«"forbice" di "valori  sanzionatori"»  funzionale  a  «consentire  il
migliore adeguamento del trattamento sanzionatorio al fatto di  reato
e alle  caratteristiche  personologiche  del  reo»  -  offrirebbe  un
preciso punto di riferimento, in grado di orientare  l'intervento  di
questa Corte verso una soluzione non arbitraria, idonea a eliminare o
comunque  ridurre  la  manifesta  irragionevolezza   denunciata   dal
rimettente, sulla falsariga di quanto gia' avvenuto nelle sentenze n.
236 del 2016 e n. 40 del 2019. 
    Una simile soluzione non eliderebbe «la  natura  di  favore»  del
tasso di ragguaglio tra pena detentiva  e  pena  pecuniaria  previsto
dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. per il solo  procedimento
per decreto, rispetto al  tasso  di  ragguaglio  applicabile  in  via
ordinaria ai sensi dell'art. 53, secondo comma, della  legge  n.  689
del 1981. L'intervento auspicato inciderebbe infatti sul solo  valore
minimo del criterio di conversione, che  diverrebbe  di  75  euro  in
entrambe le ipotesi, mentre la misura massima del tasso di ragguaglio
rimarrebbe differenziata, e segnatamente  pari  a  225  euro  per  un
giorno di pena detentiva ai sensi dell'art. 459,  comma  1-bis,  cod.
proc. pen., e a 2500 euro ai sensi dell'art. 53, secondo comma, della
legge n. 689 del 1981. 
    3.4.- In via subordinata, il giudice a quo chiede a questa  Corte
un intervento additivo sull'art. 53, secondo comma,  della  legge  n.
689 del 1981, che ripristini nella disposizione il richiamo  all'art.
133-bis cod. pen., espunto dall'art. 4 della legge n. 134  del  2003.
La reintroduzione del criterio di adeguamento della  pena  pecuniaria
minima di cui all'art. 133-bis cod.  pen.  consentirebbe  di  ridurre
l'importo delle  pene  pecuniarie  sostitutive,  ove  «economicamente
troppo gravose, sproporzionate rispetto  alle  condotte  ascritte  al
reo, stridenti rispetto alle esigenze di finalismo rieducativo e tali
da comportare disparita' di trattamento tra imputati abbienti e non». 
    La   rilevanza   della    questione    subordinata    deriverebbe
dall'incidenza sull'individuazione del trattamento  sanzionatorio  da
applicare all'imputato nel  giudizio  a  quo,  laddove  la  questione
sollevata in via principale fosse  giudicata  infondata,  e,  dunque,
l'istanza di patteggiamento avanzata dall'imputato non potesse essere
accolta. 
    3.5.- Poiche' il monito espresso nella sentenza n.  15  del  2020
sarebbe rimasto inascoltato, non avendo il legislatore  provveduto  a
modificare l'art. 53, secondo comma, della legge  n.  689  del  1981,
questa Corte sarebbe ora «obbligata  a  intervenire»  (e'  citata  la
sentenza  n.  179  del  2017),  al  fine  di   evitare   «trattamenti
sanzionatori "generalmente avvertiti  come  iniqui"»  (e'  citata  la
sentenza n. 207 del 2017). 
    4.- Anche in questo giudizio e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale siano dichiarate inammissibili. 
    4.1.- L'interveniente, previa  dettagliata  disamina  del  quadro
normativo di riferimento e delle plurime  modifiche  legislative  del
tasso di ragguaglio tra pena detentiva  e  pena  pecuniaria  previsto
dall'art. 135 cod.  pen.  -  sovente  accompagnate  da  un  parallelo
aumento dell'importo delle pene  pecuniarie  -,  osserva  che  questa
Corte, nella sentenza n. 214 del 2014,  ha  dichiarato  inammissibile
una questione di legittimita' costituzionale  degli  artt.  135  cod.
pen. e 53, secondo comma, della  legge  n.  689  del  1981,  volta  a
conseguire una modificazione del tasso di ragguaglio di 250 euro  per
un giorno di pena detentiva, sul rilievo che l'allora rimettente,  in
assenza di una soluzione costituzionalmente  obbligata,  invocava  un
intervento sostitutivo della disciplina sottoposta  a  scrutinio,  da
ritenersi di esclusiva spettanza del legislatore. 
    Anche l'odierna ordinanza di rimessione proporrebbe una soluzione
interpretativa ritenuta dal giudice a  quo  piu'  opportuna,  ma  non
costituzionalmente  imposta,  trascurando  che  le   valutazioni   di
dosimetria   sanzionatoria   sono   di   esclusiva   pertinenza   del
legislatore, come del resto confermato dalle sentenze n. 40 del 2019,
n. 233 e n. 222 del 2018 e n. 148 del 2016 di questa Corte. 
    4.2.- In ogni caso,  le  questioni  sarebbero  inammissibili  per
inesatta  e/o  incompleta  identificazione  della  norma  oggetto  di
censura e contraddittorieta' del petitum  formulato  dal  rimettente,
che mirerebbe a reintrodurre nel testo dell'art. 53,  secondo  comma,
della legge n. 689 del 1981 il richiamo all'art. 133-bis  cod.  pen.,
senza pero' censurare anche l'art. 4 della legge n. 134 del 2003, che
tale riferimento ha espunto. 
    Poiche' l'esito ripristinatorio avuto di mira dal giudice  a  quo
presupporrebbe   la    previa    declaratoria    di    illegittimita'
costituzionale dell'art. 4 della legge n. 134 del 2003, la questione,
ancorche' «in astratto [...] non manifestamente  infondata»,  sarebbe
inammissibile per parziale  aberratio  ictus,  avendo  il  rimettente
omesso di censurare anche tale ulteriore disposizione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 5 ottobre 2020, iscritta al n. 177 del r.o.
2020, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale  ordinario
di Ravenna ha  sollevato  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 53, secondo comma, della legge  24  novembre  1981  n.  689
(Modifiche al sistema penale), «nella parte in cui [...] prevede che,
nel determinare l'ammontare della  pena  pecuniaria  in  sostituzione
della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice  individui
il valore giornaliero al quale puo' essere  assoggettato  l'imputato,
da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, in  un  valore  [...]
che non puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 c.p.,
pari a  euro  250,00,  anziche'  fare  applicazione  dei  criteri  di
ragguaglio di cui all'art. 459, co. 1 bis, c.p.c., ovvero poter  fare
applicazione dei meccanismi di adeguamento di cui  all'art.  133  bis
del codice penale», denunziandone  il  contrasto  con  gli  artt.  3,
secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione. 
    2.- Con ordinanza del 14 aprile 2021, iscritta al n. 129 del r.o.
2021, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale  ordinario
di  Taranto  ha  parimenti  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 53, secondo comma, della legge  n.  689  del
1981, «nella  parte  in  cui  detta  disposizione  prevede  che,  nel
determinare il quantum della pena pecuniaria sostitutiva  della  pena
detentiva di durata inferiore a sei mesi,  il  Giudice  individui  il
valore minimo giornaliero di un giorno  di  reclusione  nella  misura
della somma indicata dall'articolo 135  c.p.,  pari  a  250,00  euro,
anziche' nella minor somma di 75,00 € prevista dall'articolo 459, co.
l-bis c.p.p.», per ritenuto contrasto con gli artt. 3, secondo comma,
27, terzo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione
all'art. 49,  paragrafo  3,  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE). 
    In via subordinata, la  stessa  disposizione  e'  denunciata,  in
riferimento ai medesimi parametri, nella parte in  cui  «non  prevede
che il Giudice, nel determinare la  pena  pecuniaria  sostitutiva  di
pena detentiva di durata inferiore  a  sei  mesi,  [...]  possa  fare
applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima
previsto dall'articolo 133-bis c.p.». 
    3.- Le due  ordinanze  pongono  questioni  analoghe  e  meritano,
pertanto, di essere riunite per la trattazione  e  decise  con  unica
sentenza. 
    In effetti, entrambi i giudici rimettenti si dolgono in  sostanza
dell'eccessivita' del tasso giornaliero di  sostituzione  della  pena
detentiva con la pena pecuniaria, che - in forza del rinvio  compiuto
dal censurato art. 53, secondo comma, della legge  n.  689  del  1981
all'art. 135 del codice penale - e' attualmente pari a 250 euro. Tale
tasso condurrebbe a risultati  sanzionatori  sproporzionati  rispetto
alla gravita' del reato e alle condizioni economiche del reo; dal che
deriverebbe la violazione congiunta degli artt. 3, secondo  comma,  e
27, terzo comma, Cost. nonche' - secondo  il  GIP  del  Tribunale  di
Taranto - dell'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.
49, paragrafo 3, CDFUE. 
    4.-  Quanto  all'ammissibilita'  delle   questioni   prospettate,
occorre osservare quanto segue. 
    4.1.- Le questioni poste dall'ordinanza iscritta al  n.  177  del
r.o.  2020,  sollevate  dal  GIP  del  Tribunale  di  Ravenna,   sono
inammissibili. 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  ha,  in  proposito,  eccepito
l'insufficiente motivazione  sulla  rilevanza  delle  questioni,  non
avendo il rimettente chiarito per quale  motivo  la  pena  pecuniaria
calcolata  sulla  base  della   disciplina   censurata   risulterebbe
eccessivamente gravosa per l'imputato. 
    L'eccezione e' fondata, dal momento che il giudice rimettente  ha
effettivamente omesso  di  illustrare  per  quale  ragione  una  pena
pecuniaria sostitutiva di 20.000  euro  in  aggiunta  alla  multa  di
2.222,22 euro - oggetto di specifica richiesta di applicazione  della
pena da parte dell'imputato, in sede di opposizione al decreto penale
di condanna per il delitto  di  assunzione  di  lavoratori  privi  di
valido  permesso  di  soggiorno  -  debba  ritenersi   sproporzionata
rispetto alle  sue  condizioni  economiche,  sulle  quali  lo  stesso
giudice a quo non fornisce alcuna  informazione.  Tale  insufficiente
descrizione della fattispecie concreta non consente a questa Corte di
apprezzare la rilevanza delle questioni prospettate (sentenze n.  114
del 2021 e n. 254 del 2020; ordinanze n. 136 del 2021 e  n.  147  del
2020). 
    Da cio' deriva l'inammissibilita' di tutte le questioni sollevate
dal GIP del Tribunale di Ravenna,  restando  assorbite  le  ulteriori
eccezioni formulate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    4.2.- A diverso esito  conduce  lo  scrutinio  di  ammissibilita'
delle questioni sollevate dal GIP del Tribunale di Taranto. 
    4.2.1.- L'Avvocatura generale dello Stato  ha,  in  primo  luogo,
eccepito l'inammissibilita' di tali  questioni,  in  difetto  di  una
soluzione costituzionalmente obbligata ai vulnera denunciati. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La sentenza n. 214 del 2014, invocata  dall'interveniente,  aveva
invero ritenuto l'inammissibilita' di una questione  sollevata  sulla
stessa disposizione, con la quale il  rimettente  chiedeva  a  questa
Corte di fissare a 97 euro, anziche' a 250, il tasso  di  conversione
giornaliero della pena detentiva in pena pecuniaria. La  Corte  aveva
allora   rilevato   come   la   soluzione    proposta    non    fosse
«costituzionalmente obbligata», ritenendo necessario un intervento da
parte  del  legislatore   in   una   materia   riservata   alla   sua
discrezionalita'. 
    Tuttavia, una  ormai  copiosa  giurisprudenza  di  questa  Corte,
successiva a quella sentenza, non ritiene piu'  che  l'impossibilita'
di individuare un'unica  soluzione  costituzionalmente  obbligata  al
vulnus    denunciato    costituisca    un    ostacolo    insuperabile
all'ammissibilita' di questioni di legittimita'  costituzionale,  ben
potendo    questa    Corte    reperire    essa    stessa    soluzioni
costituzionalmente adeguate, gia' esistenti nel sistema  e  idonee  a
colmare temporaneamente la lacuna creata dalla  stessa  pronuncia  di
accoglimento della questione; ferma restando poi la possibilita'  per
il  legislatore  di   individuare,   nell'esercizio   della   propria
discrezionalita', una diversa soluzione  nel  rispetto  dei  principi
enunciati da questa Corte. E cio'  tanto  in  materia  di  dosimetria
sanzionatoria (sentenze n. 185 del 2021, n. 40 del 2019, n. 233 e  n.
222 del 2018, n. 236 del 2016), quanto altrove (ex  multis,  sentenze
n. 63 del 2021, n. 252 e n. 224 del 2020, n. 242 del 2019 e n. 99 del
2019). 
    Lo  stesso  rimettente  indica   d'altronde,   in   rapporto   di
subordinazione,   due    possibili    soluzioni    a    suo    avviso
costituzionalmente   adeguate,   rappresentate,   la   prima,   dalla
sostituzione del tasso di 250 euro  giornalieri,  previsto  dall'art.
135 cod. pen., con quello minimo di 75 euro gia'  previsto  dall'art.
459, comma 1-bis, del  codice  di  procedura  penale  in  materia  di
decreto penale  di  condanna;  e,  la  seconda,  dall'addizione  alla
disposizione  denunciata  della  possibilita'  per  il   giudice   di
diminuire sino a un terzo  il  valore  giornaliero  di  250  euro  in
relazione alle condizioni economiche del reo, sulla  base  di  quanto
gia' previsto dall'art. 133-bis cod. pen. 
    4.2.2.- In  secondo  luogo,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
eccepisce l'aberratio ictus nella quale sarebbe incorso il giudice  a
quo, il quale erroneamente non  avrebbe  esteso  le  proprie  censure
all'art. 4, comma 1, lettera a), della legge 12 giugno 2003,  n.  134
(Modifiche al codice di procedura penale in materia  di  applicazione
della  pena  su  richiesta  delle  parti):  e  dunque  proprio   alla
disposizione che ha espunto dal testo della disposizione censurata il
riferimento  all'art.  133-bis  cod.  pen.,  che  lo  stesso  giudice
mirerebbe ora a ripristinare mediante la propria domanda formulata in
via subordinata. 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    Il rimettente individua infatti correttamente la disposizione che
stabilisce - attraverso il richiamo  all'art.  135  cod.  pen.  -  il
meccanismo di conversione  oggetto  delle  proprie  censure.  D'altra
parte, con il petitum formulato in via subordinata il rimettente  non
mira ad ottenere una -  problematica  -  reviviscenza  del  frammento
normativo che richiamava l'art. 133-bis  cod.  pen.,  abrogato  dalla
legge  n.  134  del  2003,  come  sembrerebbe  implicare  l'eccezione
formulata dalla difesa statale (sulla reviviscenza di disposizioni  a
seguito di sentenze di illegittimita' costituzionale, sentenza  n.  7
del 2020 e  ivi  ulteriori  riferimenti).  Piuttosto,  il  rimettente
individua chiaramente nella facolta' di diminuire sino a un terzo  la
pena pecuniaria minima  prevista  dall'art.  133-bis  cod.  pen.  una
soluzione normativa gia' esistente nel sistema, la quale - una  volta
estesa anche all'istituto della sostituzione della pena  detentiva  -
sarebbe  in  grado  di  ricondurre  a  legalita'  costituzionale   la
disposizione censurata. Richiesta,  questa,  pienamente  ammissibile,
alla luce delle considerazioni poc'anzi svolte. 
    4.2.3.- Deve, invece, essere dichiarata  d'ufficio  inammissibile
la sola questione formulata in riferimento all'art. 117, primo comma,
Cost. in relazione all'art. 49, paragrafo 3,  CDFUE,  non  avendo  il
rimettente chiarito per quali ragioni la disciplina censurata  ricada
nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione europea: cio' che
condiziona  in  via  generale,   ai   sensi   dell'art.   51   CDFUE,
l'operativita' dei diritti riconosciuti dalla Carta, e di conseguenza
la stessa possibilita' di invocarli quali  parametri  interposti  nel
giudizio  incidentale  di  legittimita'  costituzionale  (ex  multis,
sentenze n. 213, n. 185, n. 33 e n. 30 del 2021). Il che naturalmente
non esclude la possibilita' che i diritti della Carta possano  essere
utilizzati come strumenti interpretativi nella lettura  delle  stesse
disposizioni costituzionali corrispondenti (come, ad  esempio,  nelle
sentenze n. 33 del 2021, n. 102 del 2020, n. 272 del 2017  e  n.  236
del 2016). 
    5.- Ai fini dell'esame nel  merito  delle  residue  questioni  di
legittimita'  costituzionale  sollevate  dal  GIP  del  Tribunale  di
Taranto, appare opportuna una sintetica  ricostruzione  del  contesto
normativo in cui tali questioni si collocano. 
    5.1.- L'art. 53 della legge n. 689 del 1981 prevede che  le  pene
detentive brevi possano essere sostituite dal  giudice  con  le  pene
sostitutive della semidetenzione, della liberta' controllata e  della
pena pecuniaria entro i limiti massimi, rispettivamente, di due anni,
un anno e sei mesi. 
    Il successivo art.  58  disciplina  l'esercizio  di  tale  potere
discrezionale da parte del giudice. Sulla base dei  generali  criteri
per la commisurazione della pena indicati dall'art. 133 cod. pen., il
giudice valuta anzitutto se sostituire la pena, essendo tenuto a  non
farlo allorche' presuma che le prescrizioni non saranno adempiute dal
condannato, oltre che in  presenza  delle  cause  ostative  enumerate
dall'art. 59 della stessa legge n. 689 del 1981; nel caso poi in  cui
opti  per  la  sostituzione,   «sceglie   quella   piu'   idonea   al
reinserimento sociale del condannato». 
    Come e' noto, l'istituto della sostituzione della pena  detentiva
fu  introdotto  nel  nostro  ordinamento  nel  1981  con  l'obiettivo
fondamentale di evitare, per quanto possibile, gli  effetti  negativi
determinati dall'esecuzione delle  pene  detentive  di  breve  durata
(peraltro contenute, nella versione originaria della legge, entro  il
limite massimo di sei mesi):  pene  troppo  brevi,  appunto,  perche'
potesse essere impostato e attuato un programma rieducativo realmente
efficace  in  favore  del  condannato;  ma  abbastanza   lunghe   per
determinare gravi conseguenze  a  suo  carico,  per  reati  di  bassa
gravita', dal momento che l'ingresso in carcere provoca non  soltanto
una brusca lacerazione dei rapporti familiari, sociali  e  lavorativi
sino a quel momento intrattenuti (con conseguente difficolta'  di  un
loro ripristino una volta  terminata  l'esecuzione  della  pena),  ma
anche il contatto con persone condannate per reati assai  piu'  gravi
e, in generale, con  subculture  criminali  che  possono  condurlo  a
maturare scelte di vita stabilmente orientate verso la commissione di
nuovi reati. 
    Di  talche',  piu'  che  a   contribuire,   in   positivo,   alla
risocializzazione del reo, le pene sostitutive risultano orientate  a
evitare, per quanto  possibile,  gli  effetti  desocializzanti  della
carcerazione  di  breve  durata,  assicurando  al   contempo   -   in
conseguenza del loro contenuto comunque afflittivo - un risultato  di
intimidazione e ammonimento del reo, che dovrebbe distoglierlo  dalla
commissione di nuovi reati in futuro. 
    5.2.- Tali essenziali obiettivi sono caratteristici  anche  dalla
pena pecuniaria  sostitutiva  della  pena  detentiva  breve,  cui  e'
dedicato il secondo comma dell'art. 53 della legge n. 689  del  1981,
oggi censurato. 
    Nel testo modificato, da ultimo, dall'art. 4 della legge  n.  134
del 2003, tale disposizione prevede, in particolare,  un  sistema  di
determinazione  della   pena   pecuniaria   sostitutiva   per   tassi
giornalieri: il giudice «individua il  valore  giornaliero  al  quale
puo' essere assoggettato l'imputato e lo moltiplica per i  giorni  di
pena detentiva», tenendo conto - ai fini della determinazione di tale
valore  giornaliero  -  «della   condizione   economica   complessiva
dell'imputato e del suo nucleo familiare».  Tale  valore  giornaliero
non puo' peraltro «essere inferiore alla somma indicata dall'articolo
135 del codice penale  e  non  puo'  superare  di  dieci  volte  tale
ammontare». La pena pecuniaria complessiva risultante  puo',  infine,
essere soggetta al beneficio della rateizzazione  previsto  dall'art.
133-ter cod. pen., pure richiamato dalla disposizione in esame. 
    Le censure dell'odierno rimettente si appuntano sul limite minimo
del tasso di conversione giornaliero  che  il  giudice  e'  tenuto  a
stabilire:   limite   minimo   determinato   mediante   il    rinvio,
pacificamente considerato come "mobile", all'art. 135 cod. pen.  Come
piu' analiticamente rammentato dalla sentenza n. 214 del  2014,  tale
disposizione detta un criterio di ragguaglio fra  pene  pecuniarie  e
pene  detentive  che  e'  applicabile  in  linea  di  principio  «per
qualsiasi  effetto  giuridico»,  e  il  cui  importo  originario   di
cinquanta lire per ogni giorno di pena detentiva e' stato oggetto  di
«reiterati interventi di adeguamento, sollecitati  dalla  progressiva
perdita di potere di acquisto della moneta». 
    In particolare, l'art. 101 della legge n. 689 del  1981  innalzo'
da 5.000 a 25.000  lire  per  ogni  giorno  di  pena  detentiva  tale
coefficiente, che fu ulteriormente elevato a 75.000 lire dalla  legge
5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell'articolo 135 del codice penale:
ragguaglio  tra  pene  pecuniarie  e  pene  detentive);   somma   poi
arrotondata a 38 euro in seguito all'introduzione della moneta unica. 
    Infine, la legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni  in  materia
di sicurezza pubblica) ha  drasticamente  innalzato  il  criterio  di
ragguaglio alla misura oggi oggetto  delle  censure  del  rimettente,
pari a 250 euro giornalieri: con una modifica che, come  sottolineato
ancora  nella  sentenza  n.  214  del  2014,   «torna   a   vantaggio
dell'imputato, allorche'  sia  la  pena  pecuniaria  a  dover  essere
ragguagliata alla pena detentiva (ad esempio,  in  sede  di  verifica
della fruibilita' dei benefici della sospensione  condizionale  della
pena  e  della  non  menzione  della  condanna  nel  certificato  del
casellario  giudiziale);  mentre  va  a  suo  discapito  nell'ipotesi
inversa,  cosi'  come   tipicamente   avviene   quando   si   discuta
dell'applicazione dell'istituto di cui all'art. 53 della legge n. 689
del 1981». 
    6.- Cio' premesso, le questioni sollevate dal giudice  rimettente
sull'eccessivita' di tale limite minimo, in riferimento agli artt. 3,
secondo comma, e 27, terzo comma, Cost., sono fondate. 
    6.1.- Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (per una
piu' estesa ricapitolazione, sentenza n. 112 del 2019), ai sensi  del
combinato disposto degli artt. 3 e 27,  terzo  comma,  Cost.  l'ampia
discrezionalita' di cui dispone il legislatore nella  quantificazione
delle pene incontra il proprio limite  nella  manifesta  sproporzione
della singola  scelta  sanzionatoria,  sia  in  relazione  alle  pene
previste per altre figure di reato (sentenze n. 88 del  2019,  n.  68
del 2012, n. 409 del 1989,  n.  218  del  1974),  sia  rispetto  alla
intrinseca gravita' delle condotte abbracciate da una singola  figura
di reato (sentenze n. 136 e 73 del 2020, n. 284 e 40 del 2019, n. 222
del 2018, n. 236 del 2016, n. 341 del  1994).  Il  limite  in  parola
esclude, piu' in particolare, che la severita' della  pena  comminata
dal  legislatore  possa   risultare   manifestamente   sproporzionata
rispetto alla gravita' oggettiva  e  soggettiva  del  reato:  il  che
accade, in particolare, ove il legislatore fissi  una  misura  minima
della pena troppo elevata, vincolando cosi' il giudice all'inflizione
di pene che potrebbero  risultare,  nel  caso  concreto,  chiaramente
eccessive rispetto alla sua gravita'. 
    6.2.- Il limite costituzionale in  parola  non  puo'  non  valere
anche per la pena pecuniaria, che e' una sanzione criminale  a  tutti
gli effetti, seppur con una precisazione  imposta  dalla  sua  stessa
natura. 
    Come questa Corte ebbe modo di rilevare gia'  nella  sentenza  n.
131 del 1979, la pena detentiva comprime la liberta'  personale,  che
e' «bene primario posseduto da ogni essere vivente», mentre  la  pena
pecuniaria incide sul patrimonio, bene che «non inerisce naturalmente
alla persona umana»;  di  talche'  la  pena  pecuniaria  naturalmente
«comporta l'inconveniente di una disuguale afflittivita' e al limite,
dell'impossibilita'  di  applicarla,  in   funzione   delle   diverse
condizioni  economiche  dei  soggetti  condannati».  Dunque,   mentre
l'impatto di pene  detentive  di  eguale  durata  puo'  in  linea  di
principio ipotizzarsi come omogeneo per ciascun condannato, cosi' non
e' per le pene  pecuniarie:  una  multa  del  medesimo  importo  puo'
risultare piu' o meno afflittiva secondo le disponibilita' reddituali
e patrimoniali del  singolo  condannato.  Di  qui,  aveva  proseguito
questa Corte, la ricerca da parte di molti legislatori  contemporanei
«di  rimedi,  atti  a  salvaguardare  l'efficacia   e   la   concreta
uguaglianza dell'effetto della pena pecuniaria,  mediante  meccanismi
d'adeguamento alle diverse condizioni economiche dei condannati». 
    Un tale  adeguamento,  come  rileva  l'odierno  rimettente,  deve
ritenersi imposto dal principio di eguaglianza, da  cui  discende  il
compito  della  Repubblica  di  rimuovere  gli  ostacoli  di   ordine
economico e sociale che limitano di fatto la liberta' e l'eguaglianza
dei cittadini (art. 3, secondo comma, Cost.).  Nella  prospettiva  di
un'eguaglianza "sostanziale" e non  solo  "formale",  il  vaglio  che
questa Corte e' chiamata  a  compiere  sulla  manifesta  sproporzione
della pena pecuniaria non potra' che  confrontarsi  con  il  dato  di
realta' del diverso impatto del medesimo quantum  di  una  tale  pena
rispetto a ciascun destinatario. Tale diverso impatto esige di essere
"compensato" attraverso uno di quei rimedi cui aveva fatto  cenno  la
sentenza n. 131 del 1979, in modo che  il  giudice  sia  posto  nella
condizione di tenere debito conto - nella commisurazione  della  pena
pecuniaria - delle condizioni economiche del  reo,  oltre  che  della
gravita' oggettiva e soggettiva del reato  (nell'ambito  del  diritto
comparato, sulla illegittimita'  costituzionale  di  pene  pecuniarie
suscettibili di risultare  gravemente  sproporzionate  rispetto  alle
concrete condizioni economiche  dei  singoli  condannati,  e'  citata
Corte Suprema del Canada, sentenza 14 dicembre  2018,  Regina  contro
Boudreault, 3 SCR 599). 
    A questa esigenza e' ispirato, nell'ordinamento italiano,  l'art.
133-bis cod. pen., che, al primo comma, impone al giudice  di  tenere
conto  delle  condizioni  economiche  del  reo  nella  determinazione
dell'ammontare della  multa  e  dell'ammenda  e,  al  secondo  comma,
prevede la possibilita' di un aumento  sino  al  triplo  del  massimo
stabilito dalla legge, nonche' di una diminuzione sino a un terzo del
minimo, allorche' il giudice  ritenga  «che  la  misura  massima  sia
inefficace ovvero che la misura minima sia  eccessivamente  gravosa».
Analogamente,  in  materia  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,
l'art. 11 della legge n.  689  del  1981  dispone  che,  in  sede  di
determinazione di tali sanzioni, si debba  tenere  conto,  oltre  che
della gravita' della violazione  e  di  eventuali  condotte  compiute
dall'agente   per   l'eliminazione   o   l'attenuazione   delle   sue
conseguenze, anche della personalita' e delle  condizioni  economiche
dell'agente medesimo; mentre, nel settore specifico delle  violazioni
in materia di tutela  dei  mercati  finanziari  -  caratterizzato  da
sanzioni pecuniarie amministrative di natura punitiva  e  di  impatto
potenzialmente assai  significativo  -  l'art.  194-bis  del  decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico  delle  disposizioni
in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli  8
e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52) parimenti dispone che  nella
determinazione dell'ammontare delle sanzioni debba tenersi conto, tra
l'altro,  della  «capacita'  finanziaria   del   responsabile   della
violazione» (comma 1, lettera c). 
    Come gia' rilevato nella sentenza n. 131  del  1979,  il  diritto
comparato mostra poi che numerosi ordinamenti hanno adottato  in  via
generale - proprio per meglio assicurare l'eguaglianza  "sostanziale"
- il sistema cosiddetto dei tassi giornalieri,  caratterizzato  dalla
scomposizione del processo di commisurazione della pena pecuniaria in
due fasi distinte: una prima fase, nella quale si  stabilisce,  sulla
base della gravita' oggettiva e soggettiva del reato, il numero delle
quote giornaliere che il condannato e' tenuto a pagare; e una seconda
fase, in cui viene fissato il valore di ciascuna  quota,  sulla  base
delle condizioni economiche del condannato stesso - e in  particolare
della  quota  di  reddito  giornaliero  che  si  presume  egli  possa
ragionevolmente impiegare per il  pagamento  della  pena  pecuniaria,
tenuto conto anche  dell'ammontare  del  patrimonio  di  cui  risulti
disporre - (in questo senso, ad  esempio,  l'art.  131-5  del  codice
penale francese, il § 40 del codice  penale  tedesco,  il  §  19  del
codice penale austriaco, l'art. 50 del codice penale spagnolo, l'art.
47 del codice penale portoghese). 
    6.3.- La disposizione ora scrutinata si ispira,  in  effetti,  al
modello dei tassi giornalieri, stabilendo che per ogni giorno di pena
detentiva  sostituita  il  giudice  debba  individuare   il   «valore
giornaliero cui puo' essere assoggettato l'imputato»,  tenendo  conto
«della condizione  economica  complessiva  dell'imputato  e  del  suo
nucleo familiare». Tuttavia, essa prevede altresi'  che  tale  valore
giornaliero non possa essere inferiore alla somma indicata  dall'art.
135 cod. pen., che, a seguito delle modifiche introdotte dalla  legge
n. 94 del 2009, e' oggi pari a 250 euro.  E  tale  limite  minimo  e'
attualmente  da  intendersi  come  inderogabile,  non  essendo   piu'
possibile la diminuzione sino  a  un  terzo  che  in  precedenza  era
consentita dal richiamo all'art. 133-bis cod. pen., ora eliminato dal
testo  della  disposizione  censurata  per  effetto  delle  modifiche
introdotte dalla legge n. 134 del 2003. 
    Una quota giornaliera di 250 euro e', all'evidenza, ben superiore
a quella che la gran parte delle persone che vivono oggi  nel  nostro
Paese sono ragionevolmente in grado  di  pagare,  in  relazione  alle
proprie disponibilita' reddituali e  patrimoniali.  Moltiplicata  poi
per il numero di giorni di pena detentiva da sostituire,  una  simile
quota conduce a risultati estremamente onerosi per  molte  di  queste
persone, sol che si consideri ad esempio - come gia' osservato  nella
sentenza n. 15 del 2020 - che «il  minimo  legale  della  reclusione,
fissato dall'art. 23 cod. pen. in quindici giorni, deve  oggi  essere
sostituito in una multa di almeno 3.750 euro, mentre la  sostituzione
di sei mesi di reclusione (pari al limite massimo entro il quale puo'
operare il meccanismo previsto dall'art. 53, comma 2, della legge  n.
689 del 1981) da' luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro». 
    Il caso oggetto del  giudizio  a  quo  dimostra  emblematicamente
l'elevatezza della sanzione determinata dalla disposizione censurata:
a fronte di una condotta in definitiva di modesto disvalore, come una
violenza privata realizzata mediante il parcheggio di  un'autovettura
in prossimita' dell'ingresso dell'abitazione  delle  persone  offese,
con l'effetto di impedire a queste ultime di entrare e uscire con  la
propria macchina, la sostituzione della pena concordata  dalle  parti
di  tre  mesi  di  reclusione  -  ritenuta  congrua  dal  giudice   -
condurrebbe all'irrogazione di una pena pecuniaria sostitutiva di ben
22.500 euro: una somma che, come puntualmente osserva  il  giudice  a
quo  sulla  base  della  documentazione  prodotta  dall'imputato,  e'
sostanzialmente pari ai redditi da lui dichiarati per  l'intero  anno
2020. 
    Come gia' sottolineato dalla sentenza n. 15 del 2020,  una  quota
giornaliera di  conversione  cosi'  elevata  «ha  determinato,  nella
prassi, una drastica compressione del ricorso alla sostituzione della
pena pecuniaria, che pure era stata  concepita  dal  legislatore  del
1981 - in piena sintonia con la logica  dell'art.  27,  terzo  comma,
Cost. - come prezioso strumento destinato a evitare a chi  sia  stato
ritenuto responsabile di reati di modesta gravita' di  scontare  pene
detentive troppo  brevi  perche'  possa  essere  impostato  un  reale
percorso trattamentale,  ma  gia'  sufficienti  a  produrre  i  gravi
effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale  e  lavorativo,
che il solo  ingresso  in  carcere  solitamente  produce».  Al  tempo
stesso, la disposizione  censurata  ha  finito  per  «trasformare  la
sostituzione della pena  pecuniaria  in  un  privilegio  per  i  soli
condannati abbienti», in contrasto con l'art. 3 Cost. 
    6.4.- Simili considerazioni appaiono, del resto,  alla  base  del
criterio stabilito dall'art. 1, comma 17, lettera l), della legge  27
settembre 2021, n.  134  (Delega  al  Governo  per  l'efficienza  del
processo  penale  nonche'  in  materia  di  giustizia  riparativa   e
disposizioni per la celere definizione dei procedimenti  giudiziari),
con cui si delega il Governo a prevedere che il  valore  giornaliero,
al  quale  puo'  essere  assoggettato  il  condannato  in   caso   di
sostituzione della pena  detentiva,  debba  essere  individuato,  nel
minimo, «in misura indipendente dalla somma  indicata  dall'art.  135
del codice penale», cosi' da «evitare che la sostituzione della  pena
risulti eccessivamente onerosa in rapporto alle condizioni economiche
del condannato e del suo nucleo familiare, consentendo al giudice  di
adeguare la sanzione sostitutiva alle condizioni economiche e di vita
del condannato». 
    7.- Questa Corte e' chiamata ora, a due anni dal monito contenuto
nella sentenza n. 15 del 2020 piu' volte citata, a porre rimedio alle
violazioni riscontrate. 
    La semplice ablazione  della  disposizione  censurata  renderebbe
impossibile  la  sostituzione  della  pena  detentiva  con  la   pena
pecuniaria, pregiudicando cosi' la  funzionalita'  di  uno  strumento
importante,  anche  se  oggi  sottoutilizzato  proprio   in   ragione
dell'incongruita'  della  disciplina  censurata,  per  «contenere  la
privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana
nella misura minima necessaria» (sentenza n. 179 del 2017): cio'  che
determinerebbe un  «insostenibile  vuoto  di  tutela»  per  interessi
costituzionalmente rilevanti  (sentenza  n.  185  del  2021,  nonche'
sentenza n. 222 del 2018). 
    Si  rende  percio'  necessario  reperire  nel  sistema  soluzioni
normative  gia'   esistenti,   che   consentano   di   porre   almeno
provvisoriamente  rimedio  agli  accertati   vizi   di   legittimita'
costituzionale, assicurando al contempo  la  perdurante  operativita'
della sostituzione della pena detentiva. 
    Al riguardo, questa Corte non puo' allo stato che ricorrere  alla
soluzione - suggerita dal petitum formulato  in  via  principale  dal
giudice rimettente - consistente nella sostituzione del minimo di 250
euro con quello  di  75  euro  per  ogni  giorno  di  pena  detentiva
sostituita, stabilito dall'art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen.  in
relazione al decreto penale di condanna; soluzione che peraltro  poco
si discosta, nell'esito pratico, da quella -  prospettata  attraverso
il  petitum  formulato  in  via  subordinata  -  di  ripristinare  la
possibilita' per il giudice di diminuire sino  a  un  terzo  la  pena
pecuniaria  minima,  prevista  in  via  generale  dall'art.  133-bis,
secondo comma, cod. pen. (cio' che condurrebbe a fissare a  circa  83
euro il minimo del valore giornaliero). 
    Non e' invece necessaria - ne'  e'  richiesta  dal  rimettente  -
alcuna modifica relativa al massimo del valore giornaliero, che  deve
pertanto rimanere ancorato alla misura - fissata  dal  legislatore  -
pari a dieci volte l'ammontare stabilito dall'art. 135 cod.  pen.,  e
dunque, oggi, a 2.500  euro;  cio'  che  consente  di  mantenere  una
differenza  di  regime  tra  l'ordinaria  sostituzione   della   pena
detentiva con la pena  pecuniaria,  disciplinata  dalla  disposizione
censurata, e quella speciale prevista  dall'art.  459,  comma  1-bis,
cod. proc. pen. in materia di decreto penale di condanna, che prevede
un valore giornaliero massimo pari a tre volte la somma di 75 euro (e
cioe' pari a 225 euro). 
    In conclusione, la disposizione censurata deve essere  dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in cui, al quarto periodo,
prevede che «[i]l valore giornaliero non puo' essere  inferiore  alla
somma indicata dall'art. 135 del codice penale e non puo' superare di
dieci volte tale ammontare», anziche' «[i]l  valore  giornaliero  non
puo' essere inferiore a 75 euro e non puo' superare di dieci volte la
somma indicata dall'art. 135 del codice penale». 
    8.- Resta ovviamente ferma  la  possibilita'  che  nell'esercizio
della menzionata delega di cui alla legge n.  134  del  2021  vengano
individuate soluzioni diverse, e in ipotesi ancor  piu'  adeguate,  a
garantire la piena conformita' della  disciplina  della  sostituzione
della  pena  detentiva   con   la   pena   pecuniaria   ai   principi
costituzionali cosi' come poc'anzi declinati. 
    E resta ferma, piu' in generale,  la  stringente  opportunita'  -
piu' volte segnalata da questa Corte - che il legislatore intervenga,
nell'attuazione  della  delega  stessa  ovvero  mediante   interventi
normativi ad hoc, a restituire  effettivita'  alla  pena  pecuniaria,
anche attraverso una revisione degli attuali meccanismi di esecuzione
forzata e di conversione in pene limitative della liberta'  personale
(sentenza n. 279 del 2019); e cio' «nella consapevolezza che soltanto
una disciplina della pena  pecuniaria  in  grado  di  garantirne  una
commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravita'
del reato quanto alle condizioni economiche del  reo,  e  assieme  di
assicurarne poi l'effettiva riscossione, puo'  costituire  una  seria
alternativa alla pena detentiva, cosi' come di fatto accade in  molti
altri ordinamenti contemporanei» (sentenza n. 15 del 2020). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 53, secondo
comma, della legge 24 novembre 1981  n.  689  (Modifiche  al  sistema
penale), nella parte in cui prevede che «[i]l valore giornaliero  non
puo' essere inferiore alla somma indicata dall'art.  135  del  codice
penale e non puo' superare di dieci volte tale  ammontare»,  anziche'
«[i]l valore giornaliero non puo' essere inferiore a 75  euro  e  non
puo' superare di dieci volte la  somma  indicata  dall'art.  135  del
codice penale»; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 53, secondo comma, della legge  n.  689  del
1981, sollevate, in riferimento agli artt. 3, secondo  comma,  e  27,
terzo  comma,  della  Costituzione,  dal  Giudice  per  le   indagini
preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Ravenna  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 53, secondo comma, della legge  n.  689  del
1981, sollevata, in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.,  in
relazione  all'art.  49,  paragrafo  3,  della  Carta   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), dal Giudice per le indagini
preliminari  del  Tribunale  ordinario  di  Taranto  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 12 gennaio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'1 febbraio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA