N. 1 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 19 gennaio 2022
Ricorso per conflitto di attribuzione tra enti depositato in cancelleria il 25 gennaio 2022 (della Regione Siciliana). Corte dei conti - Bilancio e contabilita' pubblica - Sentenza della Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, n. 20 del 17 dicembre 2021, in relazione al ricorso n. 740/SR/DELC proposto dalla Procura generale presso la Sezione giurisdizionale d'appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana avverso la decisione di parifica del rendiconto - Previsto accertamento che il fondo crediti di dubbia esigibilita' debba esser rideterminato in aumento di euro 43.503.989,07, anziche' di euro 34.992.196,45, come accertato in precedenza dalle Sezioni riunite siciliane - Assunto secondo il quale la Regione avrebbe dovuto arrestare l'iter procedurale di approvazione del rendiconto, nonostante l'avvenuta parificazione da parte della Sezione regionale di controllo della Corte dei conti, in attesa della scadenza del termine per un eventuale accesso alla fase giurisdizionale dinnanzi alla Corte stessa in speciale composizione. - Sentenza della Corte dei Conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, del 17 dicembre 2021, n. 20/201/DELC, in relazione al ricorso n. 740/SR/DELC.(GU n.7 del 16-2-2022 )
Ricorso per conflitto di attribuzione tra Enti ex articolo 134 della Costituzione nell'interesse della Regione Siciliana, in persona del Presidente pro-tempore Sebastiano Musumeci, rappresentato e difeso, sia congiuntamente che disgiuntamente, giusta procura a margine del presente atto, e come da delibere di Giunta regionale 25 novembre 2021, n. 494, e 11 gennaio 2022, n. 8, dagli avvocati Gianluigi Maurizio Amico (PEC: gianluigimaurizioamico@pecavvpa.it) e Giuseppa Mistretta (PEC: giuseppa.mistretta@pec.net) dell'Ufficio legislativo e legale della Presidenza della Regione Siciliana (fax 091-6254244), elettivamente domiciliato presso la sede dell'Ufficio della Regione Siciliana in Roma, via Marghera n. 36, contro il Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, con sede in Roma, Palazzo Chigi, piazza Colonna, n. 370, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato, con domicilio in Roma, via dei Portoghesi, n. 12; resistente La Corte dei conti Sezioni Riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, con domicilio in Roma, via A. Baiamonti, n. 25; Per la risoluzione del conflitto di attribuzione tra enti insorto tra la Regione Siciliana e la Corte dei conti sezioni riunite in speciale composizione, in sede giurisdizionale, per effetto dell'emanazione della sentenza n. 20/2021/DELC emessa dalla medesima Corte dei conti in relazione al giudizio n. 740/SR/DELC, depositata il 17 dicembre 2021 e notificata dall'Ufficio di Procura Generale presso la Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana in data 21 dicembre 2021. In particolare, per la dichiarazione che la Corte dei conti sezioni riunite in speciale composizione in sede giurisdizionale, con l'emanazione della citata sentenza ha leso le attribuzioni costituzionali riconosciute alla Regione Siciliana e nella specie l'autonomia e l'esercizio delle prerogative dell'Assemblea Regionale Siciliana (ARS), non arrestando la procedibilita' del giudizio di appello a seguito della promulgazione della legge regionale n. 26 del 2021, di approvazione del Rendiconto 2019, in violazione alle disposizioni di cui all'art. 100 del c.p.c. ed all'art. 150 del R.D. n. 827/1924, ed in assoluta controtendenza con la consolidata giurisprudenza nella materia che ha sempre riconosciuto la funzione ausiliaria nel giudizio di parifica del rendiconto della Corte dei conti e l'intangibilita' del rendiconto successivamente ed autonomamente approvato dall'Organo legislativo. Fatto 1. In data 2 luglio 2021 e' stata depositata in Segreteria dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti per la Regione Siciliana in sede di giudizio di parifica del rendiconto generale della Regione Siciliana per l'esercizio finanziario 2019, la decisione n. 6/2021/SS.RR./PARI, il cui dispositivo era stato letto all'udienza del 18 giugno 2021. Con ricorso ex art. 11, comma 6, lettera e), c.g.c. la Procura Generale presso la Sezione Giurisdizionale d'Appello della Corte dei conti per la Regione Siciliana, ha impugnato la suindicata decisione limitatamente ai profili relativi a: Fondo Crediti di Dubbia Esigibilita' (FCDE) accantonato nel risultato di amministrazione del rendiconto relativo all'esercizio finanziario 2019 e calcolato sulla base delle risultanze contabili relative al quinquennio 2014/2018, conformandosi all'orientamento espresso dalle Sezioni riunite per la Regione Siciliana della Corte dei conti (SS.RR.) nella decisione n. 6/2019/ SS.RR./PARI che ha definito il giudizio di parificazione per l'esercizio 2018, costringendo la Regione a mutare le precedenti modalita' operative; Capitoli di spesa 9000023 e 214918 e di entrata 3684, 3685, 3358, 3415, 3486 e 3365, sollevando la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della legge regionale n. 3/2016, con riferimento agli articoli 81, terzo comma e 117, secondo comma, lettere e) ed m), della Costituzione, motivandola, sotto il profilo della rilevanza, con la circostanza che l'accoglimento della questione provocherebbe «l'aumento del disavanzo da fondi ordinari della Regione e l'obbligo del reintegro dei fondi vincolati non regionali per pari importo»; e sotto il profilo della fondatezza limitandosi a contestare genericamente l'affermazione delle SS.RR., secondo la quale, nel caso di specie, non sussisterebbero elementi processuali idonei a ravvisare la lesione dei LEA. La Regione Siciliana si e' costituita nel relativo giudizio sostenendo che con la deliberazione 7 settembre 2021, n. 354, la Giunta di Governo della Regione Siciliana ha esitato il disegno di legge «Approvazione del Rendiconto generale della Regione per l'esercizio finanziario 2019 e del Rendiconto consolidato di cui al comma 8 dell'articolo 11 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 e successive modifiche ed integrazioni». Esso e' stato depositato presso l'organo legislativo e cioe' l'Assemblea Regionale Siciliana (ARS), assumendo il numero di disegno di legge (ddl) 1067. La II Commissione legislativa permanente Bilancio dell'ARS ha trattato ed esitato favorevolmente il predetto disegno di legge nella seduta del 15 settembre u. s., come risultante dal relativo verbale-ordine del giorno. In data 21 settembre 2021 sono iniziati i lavori dell'aula poi sfociati nell'emanazione della legge regionale 30 settembre 2021, n. 26, pubblicata nella G.U.R.S. 5 ottobre 2021, n. 44, parte I. La Regione Siciliana nelle difese spiegate ha pregiudizialmente sostenuto, l'inammissibilita'/improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza dell'interesse ad agire, e quindi la cessazione della materia del contendere, a seguito dell'approvazione del rendiconto generale della Regione siciliana. Cio', alla luce di una giurisprudenza consolidata delle stesse Sezioni riunite della Corte dei conti, le quali in analoghe fattispecie hanno sempre affermato che l'interesse a ricorrere permane «fintantoche' l'Assemblea legislativa della Regione stessa, nell'esercizio delle sue prerogative autonomamente esercitabili, approvi con legge il rendiconto generale. Detta legge ... fa cessare ... l'interesse ad agire, precludendo cosi' la possibilita' di ogni impugnazione sulla deliberazione emessa al termine del giudizio di parifica» (cfr. sentenza n. 27/2014/EL e n. 44/2017/EL). Si tratta di una conclusione derivante dalla funzione di ausiliarieta' che il giudizio di parifica svolge rispetto all'assemblea legislativa regionale, chiamata ad approvare il rendiconto. Nella considerazione che «la decisione di parifica costituisce, infatti, momento conclusivo dell'attivita' di controllo svolta dalla Sezione regionale di controllo e funge da presupposto necessario e ineludibile per pervenire all'intangibilita' del rendiconto successivamente ed autonomamente approvato dall'Organo legislativo (sentenza n. 27/2014/EL)». Nella consapevolezza quindi, della piena distinzione ed autonomia fra la sfera di competenza della Corte dei conti e l'autonoma funzione politica della Regione, esercitata quest'ultima mediante l'approvazione del rendiconto con legge all'esito del giudizio di parifica e soprattutto alla luce della circostanza che «le funzioni di controllo non possono essere spinte sino a vincolare il contenuto degli atti legislativi o a privarli dei loro effetti», e che «le funzioni della Corte dei conti trovano un limite nella potesta' legislativa dei Consigli regionali che, in base all'assetto dei poteri stabiliti dalla Costituzione, la esercitano in piena autonomia politica, senza che organi a essi estranei possano ne' vincolarla ne' incidere sull'efficacia degli atti che ne sono espressione» (Corte costituzionale sentenza n. 39/2014, Corte dei conti, sezioni riunite in s.g. in speciale composizione sentenza n. 1/2019/EL). Nel merito, ha comunque sostenuto che l'approvazione del rendiconto con legge e la conseguente cessazione della materia del contendere rendono, altresi', irrilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge regionale n. 3/2016, sollevata dal ricorrente, il cui presupposto e', oltre alla non manifesta infondatezza, la rilevanza ai fini della decisione nel presente giudizio. D'altronde, la questione di legittimita' costituzionale del citato art. 6 della l.r. n. 3/2016, gia' sollevata dallo stesso Procuratore Generale era stata dichiarata inammissibile dalle SS.RR. per la Regione siciliana in Sede di controllo, che ha avuto modo di evidenziare che «il PM effettuata una ricognizione delle criticita' emerse in sede istruttoria circa la c.d. "perimetrazione sanitaria" e richiamate recenti pronunce della Corte costituzionale in materia di garanzia dell'erogazione dei LEA, nulla argomenta, viceversa, sull'effettiva incidenza della norma ai fini della decisione da assumere, anche alla luce degli esiti del contraddittorio effettuato nell'adunanza del 3 giugno. Il vaglio della rilevanza, infatti, secondo il prevalente orientamento giurisprudenziale piu' recente, deve tener conto della circostanza che la norma cui la questione si riferisce dovra' necessariamente trovare applicazione, secondo un nesso di stretta strumentalita', non potendo, il giudizio a quo essere altrimenti deciso. Peraltro, nella specie, come emerge anche dalla memoria depositata dall'Amministrazione regionale sulla prospettata questione di legittimita' costituzionale, non sussistono elementi processuali idonei a ravvisare la lesione dei LEA. Inoltre, quale constatazione dirimente, non sussiste neppure il nesso di pregiudizialita' normativa, poiche' come emerge dalla relazione di accompagnamento e dalla presente deliberazione sul rendiconto (v. infra pag. 77 ss.), la vigenza delle disposizioni in questione non impedisce alle Sezioni Riunite di adottare la dichiarazione di irregolarita' delle spese individuate all'interno del «perimetro sanitario. In conclusione, la questione di legittimita' costituzionale sollevata dal PM va dichiarata inammissibile, non avendo la Parte pubblica neppure individuato i capitoli di spesa inficiati dalla dedotta illegittimita' costituzionale, e comunque irrilevante ai fini del presente giudizio sul rendiconto della Regione siciliana per l'esercizio 2019». Peraltro, la prospettazione assiomatica di insufficienza di risorse finanziarie sul Fondo Sanitario, da cui deriverebbe una inadeguata erogazione dei LEA nel corso dell'anno 2019, non appare sostenuta da specifici elementi a supporto ed anzi risulta contraddetta dall'analisi delle risultanze finanziarie validate dai tavoli tecnici ministeriali. Con riferimento, invece, alla corretta quantificazione del FCDE, si sono contestate le tesi spiegate ex adverso, richiamando le precedenti pronunce della Corte dei conti per la Regione Siciliana sul tema, gia' in sede di verifica del rendiconto generale dell'esercizio 2017, con la quale e' stato sottolineato che il quinquennio da prendere a riferimento ai fini del calcolo della media delle riscossioni per il corretto computo del FCDE e' quello antecedente all'esercizio finanziario in esame (ovvero per il rendiconto 2018, il quinquennio 2013-2017 e, conseguentemente, per il rendiconto 2019, il quinquennio e' quello 2014-2018). 2. Cio' posto, all'udienza del 7 ottobre 2021, fissata per la discussione del ricorso i Procuratori Generali nell'esercizio della funzione requirente, hanno ritenuto preliminarmente inammissibile la questione di correzione di errore materiale sollevata dal Procuratore regionale presso la sezione di controllo per la Regione Siciliana sul testo della decisione di Parifica, poi impugnata, ed hanno chiesto al collegio la declaratoria della cessazione della materia del contendere per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, a seguito della promulgazione della citata legge regionale n. 26/2021 di approvazione del Rendiconto 2019. Anche la difesa regionale, ha insistito per l'improcedibilita' del ricorso richiamando gli scritti difensivi. A conclusione dell'udienza di discussione, la Corte dei cnti a Sezioni riunite in s.g., in speciale composizione ha, tuttavia, pronunciato il seguente dispositivo: «- accoglie l'istanza di correzione di errore materiale e, per l'effetto, dispone che in fronte della decisione sia apposta l'intestazione "IN NOME DEL POPOLO ITALIANO"; - accoglie il primo motivo di ricorso e, per l'effetto, accerta che il Fondo crediti di dubbia esigibilita' debba essere rideterminato in aumento di euro 43.503.986,07 anziche' di euro 34.992.196,45 come accertato dalle Sezioni riunite siciliane; - con separata ordinanza, solleva questione di legittimita' costituzionale in merito all'articolo 6 della legge della Regione Siciliana 17 marzo 2016, n. 3 e conseguentemente sospende il giudizio quanto agli effetti sul saldo determinato dai capitoli di spesa interessati dalla suindicata legge». Il dispositivo e' stato ritenuto, ex se, illegittimo e violativo delle attribuzioni costituzionali e statutarie della Regione Siciliana ed e' stato impugnato dinnanzi a codesta Ecc.ma Corte con ricorso per conflitto di attribuzione tra Enti 30 novembre 2021, che ha assunto il n. Reg. Ric. 4/2021, nelle more del deposito delle motivazioni della sentenza e riservandosi di integrare le proprie difese. La relativa sentenza, riportante il n. 20/2021/DELC, emessa nel suddetto giudizio n. 740/SR/DELC, e' stata depositata dalla Corte dei conti Sezioni riunite in sede giurisdizionale, il 17 dicembre 2021 e notificata dall'Ufficio di Procura Generale presso la Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione Siciliana in data 21 dicembre 2021. Chiedendo preliminarmente la riunione per connessione oggettiva e soggettiva del presente ricorso a quello pendente Reg. Ric. n. 4/2021, si riportano e si ripropongono, preliminarmente, anche con riferimento alla sentenza, oggetto dell'odierno ricorso, i motivi di impugnazione gia' proposti avverso il dispositivo: Diritto «1. Lesione da parte della Corte dei conti a Sezioni riunite in s.g., in speciale composizione delle attribuzioni legislative costituzionalmente garantite alla Regione Siciliana. a) Sull'ammissibilita' del ricorso. Le Regioni possono proporre ricorso per conflitto di attribuzioni, a norma dell'art. 39, primo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, quando esse lamentino una lesione di una propria competenza costituzionale. Sin dalla sentenza n. 40 del 1977, la Consulta adita ha affermato che «la natura dell'atto, che si affermi invasivo dell'altrui competenza costituzionale, non ha mai assunto, nella giurisprudenza di questa Corte, rilievo determinante ai fini dell'ammissibilita' di conflitti tra Stato e Regioni». Percio', in antitesi rispetto a precedenti pronunce in cui la prospettiva adottata era stata quella della c.d. vindicatio potestatis, l'idoneita' dell'atto a fungere da base dei conflitti intersoggettivi da c.d. interferenza o da menomazione viene oggi misurata in relazione non gia' alla natura dell'atto stesso, ma «alla [rispettiva] potenziale lesivita' dell'ordine costituzionale delle competenze». In tale direzione «la figura dei conflitti di attribuzione non si restringe alla sola ipotesi di contestazione circa l'appartenenza del medesimo potere, che ciascuno dei soggetti contendenti rivendichi per se', ma si estende a comprendere ogni ipotesi in cui dall'illegittimo esercizio di un potere altrui consegua la menomazione di una sfera di attribuzioni costituzionalmente assegnate all'altro soggetto». Nel campo specifico dei rapporti con l'Autorita' giudiziaria, la giurisprudenza costituzionale si e' attestata su una concezione del conflitto come un'estensione o rovesciamento della vindicatio potestatis, cioe' come contestatio potestatis. Lo stesso concetto si e' espresso con la locuzione «superamento di limiti esterni», dal quale derivi un'illegittima situazione di soggezione, indipendente dal contenuto dell'atto dell'Autorita' giudiziaria. Nella fattispecie, non spetta a organi giudiziari alcun potere di ingerenza nell'esercizio delle finzioni costituzionalmente riservate alla Regione che connotano il «livello costituzionale dell'autonomia garantita alla Regione», la' dove si abbia estrinsecazione di scelte politiche libere, sanzionatili solo politicamente (per il principio Corte costituzionale n. 70/85 e n. 337/2009). In tutti questi casi, il conflitto verrebbe, infatti, a configurarsi non come controllo sul contenuto dell'attivita' giurisdizionale, ma come garanzia di sfere di attribuzioni che si vogliono costituzionalmente protette da interferenze da parte di organi della giurisdizione o che si vogliono riservare al controllo di altra istanza costituzionale. Anche di recente, infatti, codesta ecc.ma Corte ha avuto modo di chiarire che «(i)n disparte la possibilita' che l'atto oggetto del conflitto possa essere altresi' impugnato in sede giurisdizionale, quel che rileva e' (..) il tono costituzionale del conflitto stesso, il quale sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis, sentenze n. 28 del 2018, n. 87 del 2015 e n. 52 del 2013)»; sicche', «q)uando (..) oggetto di ricorso siano sentenze o altri atti giurisdizionali, il conflitto intersoggettivo e' costantemente ritenuto ammissibile, in presenza delle anzidette condizioni». Da qui, la piena ammissibilita' anche del presente ricorso, attraverso il quale, per l'appunto, la Regione non intende affatto negare l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte della Corte dei conti, bensi' il venir meno in concreto dell'utilita' di una pronuncia del medesimo Collegio in conseguenza dell'approvazione del rendiconto con legge. Circostanza che avrebbe dovuto condurre l'Organo giurisdizionale ad arrestare il procedimento, dichiarando la cessazione della materia del contendere, non in relazione alla composizione degli interessi delle parti, ma per il sopravvenuto venir meno dell'interesse ad agire. b) Sulla violazione delle Prerogative costituzionali. L'art. 19, III comma, dello Statuto della Regione Siciliana prevede che il rendiconto relativo all'esercizio finanziario, venuto in scadenza l'anno precedente e predisposto dal Governo, sia approvato con legge dall'Assemblea. Con il rendiconto generale, l'amministrazione regionale espone le risultanze degli atti di gestione del bilancio nel corso dell'anno precedente. Il relativo disegno di legge e' atto di iniziativa governativa e la sua approvazione da parte dell'organo legislativo costituisce atto tipico di controllo politico sull'operato dell'esecutivo. Nell'esplicazione di questa importante finzione parlamentare si inserisce, storicamente, il giudizio di parifica della Corte dei conti che, sin dagli albori dello Stato unitario (cfr. articoli 29 e 32 della legge 14 agosto 1862, n. 800), ha esercitato una funzione certativa delle risultanze di gestione del bilancio pubblico. Si segnala che gia' all'indomani dell'entrata in vigore della Costituzione repubblicana, la Regione siciliana, con il decreto legislativo di attuazione n. 655 del 1948, ha fatto rinvio alla disciplina nazionale circa le modalita' di presentazione e la struttura stessa del rendiconto, di guisa che il giudizio di parifica, da parte delle Sezioni Riunite per la Regione siciliana, e' sempre intervenuto quale momento fondamentale del ciclo di bilancio ai sensi degli artt. 39, 40 e 41 del T.U. sulla Corte dei conti di cui al R.D. n. 1214 del 1934. Con riferimento alle regioni, tra l'altro, l'articolo 1, comma 5, del decreto legge n. 174/2012 prescrive, all'ultimo periodo, che «La decisione di parifica e la relazione sono trasmesse al presidente della Giunta regionale e al Consiglio regionale», con il sostanziale obiettivo di adattare all'assetto istituzionale regionale il modulo procedurale previsto per lo Stato, che vede la trasmissione della decisione della Corte dei conti al Parlamento, unitamente alla gia' esposta relazione ex art. 41, R.D. n. 1214/1934. Ha chiarito in proposito la Corte costituzionale adita che «Il Parlamento viene successivamente chiamato ad approvare a sua volta - nell'esercizio della sua autonoma funzione politica - il rendiconto governativo (art. 81, c. 1, Costituzione)» (Corte costituzionale 19 dicembre 1966, n. 121). Tali principi affermati dalla Consulta, afferendo ai connotati ontologici del giudizio di parifica e del suo esito, non possono che riferirsi anche alla parifica del rendiconto regionale, che costituisce anch'essa espressione della funzione «referente ed ausiliaria» della Corte dei conti (art. 100 Costituzione) nonche' della posizione di indipendenza, terzieta' e imparzialita' con la quale detta funzione e' esercitata (art. 108 Costituzione) nei confronti di Parlamento e Governo, quali supremi organi costituzionali di indirizzo politico-amministrativo. La funzione ausiliaria e referente della Magistratura contabile preposta non possono che essere pertinenti anche con riferimento a Consiglio e Giunta regionale (da investire degli esiti della verifica in forza della trasmissione della delibera di parifica ai rispettivi presidenti) quali supremi organi di indirizzo politico-amministrativo e di governo regionale (v. Corte conti, Sez. autonomie, 26 marzo 2013, n. 9). Orbene, dato per assodato che la pronuncia avente per oggetto il rendiconto delle Regioni a statuto speciale non si differenzia dal giudizio sul rendiconto generale dello Stato (sentenza n. 121 del 1966), la funzione di tale decisione e' quella di concludere un procedimento complesso che implica la verifica della regolarita' amministrativo-contabile di tutte le operazioni sottostanti i conti del bilancio, dello stato patrimoniale e del Conto economico. Cio' al fine di dare giuridica certezza alle risultanze del bilancio attraverso un sistema garante dell'affidabilita' degli enti circa la dimostrazione della situazione economico-finanziaria. Con riguardo alla parifica del rendiconto, le sfere di competenza della Regione e della Corte dei conti si presentano, quindi, distinte e non confliggenti. Nella sostanza appare consolidato il principio in base al quale nel giudizio di parifica le Sezioni riunite regionali si pronunciano sul rendiconto regionale, nell'esercizio di una funzione rigorosamente neutrale e disinteressata, con una decisione a carattere di definitivita'. Purtuttavia, assecondare la sindacabilita' della descritta funzione di controllo, da parte delle Sezioni riunite in speciale composizione in sede giurisdizionale, anche oltre la previsione normativa, potrebbe avere effetti di non secondario rilievo costituzionale: il riconoscimento, in via pretoria, di un secondo grado di giudizio in materia di parificazione, a fronte dell'approvazione con legge del rendiconto sulla base delle indicazioni fornite in sede di parifica, comporta, infatti, una interferenza in un procedimento legislativo di esclusiva pertinenza regionale, con effetti inevitabili su di una prerogativa propria dell'assemblea legislativa regionale. Sostanzialmente la vis espansiva, esasperatamente applicata ad atti preordinati a dare certezza (delibera di parifica), potrebbe minarne in radice quell'attendibilita' che l'attivita' di controllo ha inteso garantire, nella considerazione che la stessa si esplica con un provvedimento di natura giurisdizionale, non impugnabile nel merito e quindi definitivo, idoneo, nel caso di specie, a ledere le attribuzioni costituzionalmente garantite alla Regione, oltre che dalle norme statutarie e dalle sue norme di attuazione (decreto legislativo 18 giugno 1999, n. 200 «Norme di attuazione dello statuto speciale della regione siciliana recanti integrazioni e modifiche al decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 655, in materia di istituzione di una sezione giurisdizionale regionale d'appello della Corte dei conti e di controllo sugli atti regionali»), dallo stesso Titolo V della Parte seconda della Costituzione, che ha soppresso i controlli ad effetto giuridico preclusivo prima esistenti, dell'autonomia finanziaria spettante alla Regione. In definitiva si riprodurrebbero le stesse conseguenze che hanno condotto a ritenere costituzionalmente illegittimo il comma 7 dell'art. 1, del decreto-legge n. 174 del 2012, che disciplinava gli interventi che gli enti controllati e, tra questi, le Regioni, sono tenuti a porre in essere in seguito alla pronuncia del giudizio di controllo operato dalla Corte dei conti ai sensi dei commi 3 e 4 nonche' le conseguenze della mancata adozione degli stessi. In particolare, in base a tale disposizione, dalla pronuncia di accertamento adottata dalla competente sezione regionale di controllo della Corte dei conti poteva conseguire «l'obbligo di adottare (...) i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarita' e a ripristinare gli equilibri di bilancio», cioe', nella specie, l'obbligo di modificare la legge di approvazione del bilancio o del rendiconto mediante i provvedimenti, anch'essi legislativi, necessari per la rimozione delle irregolarita' e il ripristino degli equilibri di bilancio. Dall'omissione della trasmissione di detti provvedimenti o dalla verifica negativa della sezione regionale di controllo della Corte dei conti in ordine agli stessi, derivava la preclusione dell'attuazione dei programmi di spesa per i quali fosse accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilita' finanziaria. La disposizione impugnata attribuiva, dunque, alle pronunce di accertamento e di verifica delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti l'effetto, da un canto, di vincolare il contenuto della produzione legislativa delle Regioni, obbligate a modificare le proprie leggi di bilancio, dall'altro, di inibire l'efficacia di tali leggi in caso di inosservanza del suddetto obbligo (per la mancata trasmissione dei provvedimenti modificativi o per la inadeguatezza degli stessi). La Corte adita e' stata chiamata ad intervenire sulla disposizione richiamata, affermando che le citate «conseguenze» non possono essere fatte discendere da una pronuncia della Corte dei conti, le cui finzioni di controllo non possono essere spinte sino a vincolare il contenuto degli atti legislativi o a privarli dei loro effetti. «Le funzioni di controllo della Corte dei conti trovano infatti un limite nella potesta' legislativa dei Consigli regionali che, in base all'assetto dei poteri stabilito dalla Costituzione, la esercitano in piena autonomia politica, senza che organi a essi estranei possano ne' vincolarla ne' incidere sull'efficacia degli atti che ne sono espressione (salvo, beninteso, il sindacato di costituzionalita' delle leggi regionali spettante alla Corte costituzionale). La Corte dei conti, d'altro canto, e' organo che - come, in generale, la giurisdizione e l'amministrazione - e' sottoposto alla legge (statale e regionale); la previsione che una pronuncia delle sezioni regionali di controllo di detta Corte possa avere l'effetto di inibire l'efficacia di una legge si configura, percio', come palesemente estranea al nostro ordinamento costituzionale e lesiva della potesta' legislativa regionale» (sentenza n. 39/2014). Se cosi' e', ovvero se il giudizio di parificazione deve intendersi quale sede naturale per accertare gli scostamenti dai parametri costituzionali e correggerli preventivamente in modo da evitare successivi paralizzanti ricorsi di incostituzionalita', la pronuncia contestata, a fronte della emanazione della legge di approvazione del rendiconto - conforme, peraltro, al giudizio di parificazione espresso dalla sezione di controllo regionale - e quindi dell'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse ad agire, interviene forzatamente sulla potesta' legislativa regionale con potenziali effetti inibitori sull'efficacia della medesima legge regionale. Proprio con riferimento ai contenuti di tale giurisdizione, le stesse Sezioni riunite della Corte dei conti in sede giurisdizionale in speciale composizione hanno gia' avuto modo di affermare che, quella sorta di revisio prioris istantiae del tutto peculiare riconosciuta allo stesso Organo giurisdizionale: «e' attuata lasciando in ogni caso ferma la diversa natura delle diverse attribuzioni in sede di controllo e giurisdizionale della Corte dei conti», sicche', nel caso di specie, «la revisio e' finalizzata soltanto a verificare la conformita' rispetto all'ordinamento della deliberazione emessa all'esito del giudizio di parifica, e al solo fine di determinarne la conferma o l'annullamento» (sentenze n. 2/2013/EL, n. 11/2014/EL e 44/2017). La revisio prioris istantiae postula, dunque, nel caso di impugnazione della delibera che conclude il giudizio di parifica, un insieme di poteri cognitivi da parte delle Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione finalizzati esclusivamente a sindacare i limiti esterni della finzione attribuita alla Sezione regionale nei termini sopra descritti e cio' in coerenza con la peculiare natura del giudizio di parifica che, come ribadito si pone in un rapporto di ausiliarieta' nei confronti delle assemblee legislative ed e' dunque teleologicamente collegata alla legge di approvazione del rendiconto stesso. La decisione di parifica costituisce, infatti, momento conclusivo dell'attivita' di controllo svolta dalla Sezione regionale di controllo e funge da presupposto necessario e ineludibile per pervenire all'intangibilita' del rendiconto successivamente ed autonomamente approvato dall'Organo legislativo. Cio' e' in linea con quanto affermato dalla Corte adita sin dalle prime pronunce (sentenze n. 121 del 1966 e n. 142 del 1968), secondo cui la parifica, inserendosi obbligatoriamente nel rapporto Governo - Parlamento, ed in posizione di indipendenza rispetto alle assemblee legislative, riveste un ruolo specifico conferendo certezza ai risultati del rendiconto predisposto dall'amministrazione. Sicche', pur ipotizzandosi al momento della proposizione del ricorso un interesse ad agire del ricorrente, data l'idoneita' astratta della pronuncia richiesta al conseguimento del risultato utile sperato (art. 100 c.p.c.), a seguito dell'approvazione del rendiconto con legge viene meno in concreto l'utilita' di una pronuncia del Collegio. Ne' e' stata accolta, per una diversa interpretazione, l'argomentazione, secondo cui l'approvazione del rendiconto in assenza della propedeutica ed essenziale dichiarazione di regolarita' da parte della competente Sezione della Corte dei conti - intesa come compiuta definizione dell'intero iter, compreso il gravame dinanzi alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione - appare in conflitto con i principi di equilibrio di bilancio e di necessaria copertura finanziaria. Cio' in quanto la non utilita' di una pronuncia nel merito del Collegio in conseguenza dell'approvazione del rendiconto con legge regionale deriva proprio dalla funzione di ausiliarieta' che il giudizio di parifica svolge rispetto all'assemblea regionale, secondo quanto piu' volte affermato dalla Corte costituzionale nei precedenti sopra richiamati. Alla stessa stregua dei principi sopra enunciati non sono state accolte, in quella sede, le argomentazioni della Procura generale, secondo cui la richiesta formulata dalla Regione di cessazione della materia del contendere non poteva trovare accoglimento e all'uopo e' stato precisato che non si tratta, di dover dichiarare una cessazione della materia del contendere in relazione alla composizione degli interessi delle parti, ma si tratta di accertare il sopravvenuto venir meno dell'interesse ad agire, come e' avvenuto, per effetto del venir meno in concreto dell'utilita' di una pronuncia del medesimo Collegio in conseguenza dell'approvazione del rendiconto con legge (sentenza Corte dei conti se. Riunite n. 44/2017). c) Sulla natura del giudizio di parificazione. Ad ogni modo la difesa regionale non ignora come si sia sviluppato recentemente un dibattito dottrinario intorno alla natura giuridica anche della stessa delibera di parifica, pur manifestandosi da piu' parti l'esigenza di salvaguardare l'autonomia delle Regioni e, in particolare, le prerogative delle Assemblee elettive. Alla luce di quanto esposto, in estrema sintesi, e' possibile individuare due differenti impostazioni ricostruttive. Una prima, corroborata dalla giurisprudenza costituzionale, tesa a valorizzare l'attivita' tradizionalmente ausiliaria della Corte dei conti in sede di giudizio di parifica, che riconduce la delibera nell'alveo dell'art. 100 Costituzione e ne fa derivare la natura strumentale all'esercizio della finzione legislativa. Una seconda impostazione, al contrario, valorizzando il ruolo della Corte dei conti nel nuovo scenario costituzionale in cui risalta il principio dell'equilibrio del bilancio, riconoscerebbe alla decisione di parifica natura definitiva e vincolante. Nella sostanza sembrerebbero subire una tensione quei tradizionali caratteri della natura «ausiliaria» e «collaborativa» delle finzioni di controllo della Corte dei conti nei confronti delle autonomie territoriali, che costituiscono i presupposti imprescindibili su cui la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto di poter fondare su basi sicure la «compatibilita'» con il principio autonomistico dei controlli esterni affidati alla magistratura contabile, assicurandone una sorta di «pacifica convivenza». Tale ultima ricostruzione, per vero, non e' condivisibile specie in assenza di una espressa volonta' del legislatore in tal senso. Infatti, seppure e' innegabile il rafforzamento dei controlli sui bilanci regionali voluto dal citato decreto-legge n. 174 del 2012, va comunque ricordato che, nell'introdurre il giudizio di parifica, il comma 5 dell'art. 1 si limita, significativamente, a rinviare alle norme del T U. sulla Corte dei conti, in nulla innovando rispetto al suo tradizionale ruolo ausiliario. Inoltre, come visto, nel sanzionare con pronuncia di illegittimita' costituzionale, tra gli altri, il comma 7 dell'art. 1 del D.L. 174 del 2012 codesta Corte ha avuto modo dichiarare che i Consigli regionali esercitano la propria potesta' legislativa «in piena autonomia politica senza che organi a essi estranei possano ne' vincolarla ne' incidere sull'efficacia degli atti che ne sono espressione (salvo, beninteso, il sindacato di costituzionalita' delle leggi regionali spettante alla Corte costituzionale)» (Corte costituzionale sentenza n. 39 del 2014). Le carenze della vigente disciplina positiva del procedimento di parifica e le incertezze che ne discendono, soprattutto in termini di applicazione uniforme di regole e garanzie che risultino adeguate alla predeterminazione della posizione, dei poteri e delle prerogative dei soggetti coinvolti, sono di innegabile evidenza e non possono condurre all'adozione di una concezione del controllo estrema - anche in relazione al procedimento di parifica dei rendiconti - attesa l'esigenza di rispettare e garantire le prerogative delle Autonomie territoriali. 2. Lesione da parte di un Organo dello Stato delle attribuzioni costituzionali della Regione Siciliana per violazione del principio di leale collaborazione di cui agli articoli 5 e 120 Costituzione. La cooperazione leale e' il principio attraverso il quale si persegue il riequilibrio tra le istituzioni in conflitto, realizzando il massimo di inclusione possibile. Di fronte a un conflitto, pertanto, l'obiettivo e' quello di individuare la soluzione che realizza in concreto la conciliazione tra gli interessi di cui gli organi costituzionali sono portatori, in modo da ricomporre la divisione e realizzare il massimo di inclusione, di unita' e di collaborazione possibile. La funzione cooperativa emerge da una serie di previsioni costituzionali, fra le quali spicca per importanza e per chiarezza l'art. 120, comma II, che aggiunge il tassello del necessario rispetto del principio di leale collaborazione nell'esercizio dei poteri sostitutivi. Posizione, questa, abbracciata anche dalla Corte adita, che, richiamando la propria giurisprudenza in materia (sent. n. 19 e n. 242 del 1997), ha confermato la portata generale del principio di leale collaborazione, il quale, come nell'assetto precedente, non potrebbe che operare su tutto l'arco delle relazioni fra Stato e autonomie territoriali. In tale piu' ampio, ma unitario contesto, si inserisce il controllo affidato alle sezioni regionali della Corte dei conti, funzione che deve atteggiarsi quale attivita' di referto agli organi assembleari dello Stato, delle Regioni e degli enti locali, con carattere precipuamente collaborativo ed ausiliario, senza vincolare l'autonomia degli enti. Compito della Corte dei conti e' quello, quindi, di verificare, nel rispetto della natura collaborativa del controllo sulla gestione, il perseguimento degli obiettivi posti dalle leggi statali o regionali di principio e di programma, secondo la rispettiva competenza, nonche' la sana gestione finanziaria degli enti locali ed il funzionamento dei controlli interni. La compatibilita' di un controllo esterno collaborativo con l'autonomia degli enti soggetti alla verifica necessita di una Corte dei conti che tenga primariamente ben distinte le funzioni di controllo da quelle giurisdizionali, evitando che il controllo esterno si trasformi da collaborativo a fase istruttoria anche prodromica. Si pone, pertanto, come determinante un intervento diretto a definire i limiti dei controlli di natura repressiva, piuttosto che collaborativi, che, al contrario dei primi, interferiscono con le prerogative di autonomia. Cio' soprattutto nella considerazione che se si dovesse ammettere che le scelte di autocorrezione dell'ente, secondo le indicazione fornite dalla sezione regionale di controllo, operate in sede di approvazione della con legge del Rendiconto, possano messe in discussione in sede di giudizio contabile successivo al controllo collaborativo, si perverrebbe a riconoscere, inevitabilmente, una conseguenza «sanzionatoria» in sede giurisdizionale. Questa visione risulta pero' in contrasto con l'autonomia riconosciuta agli enti locali e alle regioni rafforzata dalla riforma del titolo V della Costituzione, soprattutto se si considera che l'eventuale interferenza proviene da un organo esterno. Si assisterebbe, quindi, ad un forte ridimensionamento del controllo collaborativo, che si dovrebbe estrinsecare nel sollecitare ed attivare rimedi e misure adeguate che spettano, pero', in via esclusiva all'ente autonomo. Cio' nel rispetto del principio autonomistico della costituzione, in base al quale il potere di decidere sulla spesa pubblica spetta alle assemblee legislative (elette dal popolo) non essendoci altro soggetto che possa assumere determinazioni in tale ambito. Tutti gli altri soggetti devono orientare al meglio le scelte verso decisioni efficienti, compatibili con i principi costituzionali, al fine di non creare disequilibrio nella gestione della cosa pubblica». Tutto cio' premesso, alla luce delle motivazioni contenute nella sentenza impugnata, si rappresenta, ulteriormente, quanto segue: Diritto Lesione da parte della Corte dei conti a Sezioni riunite in s.g., in speciale composizione delle attribuzioni legislative costituzionalmente garantite alla Regione Siciliana. Dalle motivazioni della sentenza de qua emerge in maniera inequivocabile il percorso interpretativo seguito dall'Organo giudicante, gia' invero chiaro a seguito dell'emanazione del mero dispositivo, nella consapevolezza che la circostanza di essere pervenuti all'emanazione di una decisione nel merito - da parte della Corte dei conti in speciale composizione, in sede giurisdizionale - nonostante l'emanazione della legge regionale n. 26/2021, di approvazione del rendiconto per l'esercizio finanziario 2019, aveva gia' comportato la lesione delle attribuzioni costituzionali riconosciute alla Regione Siciliana e nella specie l'autonomia e l'esercizio delle prerogative dell'Assemblea Regionale Siciliana (ARS). Appare significativo, al riguardo, riportare alcuni frammenti della richiamata sentenza al fine di delineare i contorni del contestato ragionamento esegetico-giuridico seguito dall'Organo giurisdizionale, che, sostanzialmente, attraverso lo sviluppo di due tematiche principali, e cioe' la natura del giudizio di parificazione e le regole procedurali applicabili, nonche' il ruolo svolto dall'Organo giurisdizionale nel «Processo Unico», conferma gli effetti preclusivi della pronuncia, come denunciati, ed impone azioni correttive consequenziali, da assumersi nelle forme di legge. Dal tenore della motivazione della sentenza oggetto di impugnazione emerge che: « (...) il giudizio di parificazione spicca per essere, anche nella fase necessaria ed officiosa del controllo, un giudizio a struttura contenziosa piena. (...) L'interprete ha il compito ed il dovere di individuare, anche per la prima fase contenziosa, le norme processuali applicabili, nell'ambito delle regole positive dell'ordinamento processuale vigente. Tali norme sono ricavabili in assenza di normativa specifica, solo attraverso il procedimento analogico. Le norme applicabili alla decisione del giudizio di parificazione sono quindi quelle generali dettate per le decisioni emesse nell'ambito del giudizio sui conti (parte Titolo I, Capo III), a cui il giudizio di parificazione e' sostanzialmente assimilabile (...)». Tale assunto, oltre che incoerente, si presta a contestazione sotto molteplici profili. Non puo' infatti che ribadirsi l'impossibilita' di riconoscere natura giurisdizionale al provvedimento che conclude il giudizio di parificazione che la Corte dei conti (nelle sue articolazioni regionali, quando si tratta del rendiconto di una regione) e' chiamata a svolgere. La previsione normativa secondo la quale in questa materia la Corte dei conti delibera «con le formalita' della sua giurisdizione contenziosa», ben puo' essere letta come riferentesi al modo del deliberare, che il legislatore ha voluto fosse modellato sullo stampo del giudizio contenzioso perche' considerato piu' adatto a garantire in questo campo l'attendibilita' del risultato deliberativo, senza per questo incidere sulla natura dell'attivita', rientrante tra quelle che la Corte dei conti esplica quale organo non gia' giurisdizionale bensi' di controllo. Un conto, infatti, sono le forme del procedimento, altro e' la natura della funzione che in quelle forme viene svolta. Funzione che non risponde alle caratteristiche di una vera e propria attivita' giurisdizionale: - la stessa, senza dubbio, non mira ad accertare l'avvenuta violazione di norme giuridiche per applicare e rendere effettiva la conseguente sanzione, giacche' niente di tutto cio' si realizza nel giudizio di parificazione operato dalla Corte dei conti, la cui funzione ausiliaria, per le Regioni, e' ribadita dall'art. 1, comma 5, terzo periodo, del decreto legge n. 174/2012; - non si pone l'obiettivo di comporre un contrasto di posizioni giuridicamente rilevanti tra parti contrapposte, che in quella sede sarebbe impossibile identificare, non potendosi neppure figurativamente considerare tali da un lato l'amministrazione regionale e dall'altro il Procuratore contabile, il quale interviene nel giudizio solo in veste di organo di garanzia; - e neppure le puo' essere riconosciuta la funzione di dare certezza definitiva ad una situazione giuridica che la richieda, mediante un accertamento destinato a produrre effetti di giudicato, giacche' parrebbe del tutto improprio riconoscere simili effetti alla decisione di parificazione emessa dalla Corte dei conti su un progetto di rendiconto che resta ancora modificabile con la relativa legge di approvazione (Cass., Sez. un., 30 ottobre 2014, n. 23072). In particolare, con delib. 14 giugno 2013, n. 7, la Corte dei conti Sezioni riunite ha approfondito le questioni legate alle «formalita' della giurisdizione contenziosa» che si applicano al giudizio di parificazione, a norma dell'art. 40 r.d. n. 1214/1934, per gli aspetti relativi alle modalita' del contraddittorio con gli enti controllati e al ruolo di garanzia riconosciuto dalla legge al rappresentante del pubblico ministero. E' bene sottolineare che la deliberazione evidenzia come tali formalita' sono anche a fondamento del potere della Corte di adire il giudice delle leggi per ritenuta incostituzionalita' delle norme di spesa lesive dell'art. 81 Costituzione. Si e' precisato, all'uopo, che il contraddittorio con gli enti controllati deve essere assicurato durante tutto l'iter procedurale, a partire dall'istruttoria e su tutti i temi sottoposti a verifica, per essere definito, attraverso successivi affinamenti, prima dell'udienza pubblica. Con riferimento all'attuazione del principio del contraddittorio nel giudizio in esame, le decisioni delle sezioni regionali hanno costantemente interpretato la relativa udienza come l'esito di un procedimento che appartiene alla funzione di controllo. Pertanto, le sezioni hanno curato il dialogo istituzionale con gli enti controllati sin dalla fase istruttoria, secondo la prassi collaudata in ambito statale e, piu' in generale, in applicazione dei principi da tempo invalsi nelle procedure di controllo. La circostanza che il giudizio di parificazione sia di competenza della sezione di controllo - e non di quella giurisdizionale - della Corte dei conti parrebbe d'altronde confermare tale conclusione. Senza considerare, peraltro, che le stesse norme sulla parificazione del rendiconto dello Stato, cui l'art. 1, c. 5, del decreto legge n. 174/2012 rinvia, sono collocate nel titolo II del T.U. delle leggi sulla Corte dei conti (r.d. n. 1214/1934), nel capo successivo a quello sul controllo, ma prima di quello sulla giurisdizione. Ne', d'altronde, puo' ritenersi ammissibile la costruzione artificiosa compiuta dall'Organo giurisdizionale attraverso il rinvio operato, per analogia, alle disposizioni sul giudizio di conto, chiamate a disciplinare, in via interpretativa, la fase contenziosa della parificazione. In tale direzione, deve evidenziarsi, innanzitutto, che, come e' noto, il giudizio di conto, disciplinato dagli articoli 137 e seguenti del decreto legislativo n. 174/2016, recante il Codice di giustizia contabile ha ad oggetto la gestione dell'agente contabile, ed e' finalizzato alla determinazione del corretto rapporto di debito/credito fra quest'ultimo e l'ente pubblico. Ai sensi dell'art. 139, comma 2, del decreto legislativo n. 174/2016: «L'amministrazione individua un responsabile del procedimento che, espletata la fase di verifica o controllo amministrativo (..), previa parificazione del conto, lo deposita (..)». Il successivo art. 140, dispone poi che: «Il conto, munito dell'attestazione di parifica, e' depositato nella segreteria della sezione giurisdizionale competente, che lo trasmette al giudice designato quale relatore dal presidente. (...)». Infine l'art. 145, sancisce che: «(...) Il giudice relatore dopo aver accertato la parificazione da parte dell'amministrazione, procede all'esame del conto, dei documenti ad esso allegati e degli altri atti (...)». Ne discende che lo stesso quadro normativo richiamato, piuttosto che poter fungere da parametro regolativo della fase «contenziosa» della parifica, corrobora, ancor di piu', la collocazione della predetta fase nella sfera meramente amministrativa di controllo, quale momento di accertamento separato ed antecedente (Corte dei conti Sicilia Sez. giurisdiz. Delib., 02-09-2020, n. 432). Ma vi e' di piu'. Secondo il percorso motivazionale riportato nel provvedimento impugnato, la fase della parificazione e la eventuale e successiva fase giurisdizionale, formerebbero un «(...) processo strutturato "in unico grado" dinanzi a due diversi giudici, la sezione territoriale di controllo e queste Sezioni riunite (art. 20, l. n. 243/2012 e artt. 11, co. 6, 123 e seguenti, 172 e seguenti del c.g.c.). Entrambe le fasi partecipano della stessa unitaria natura e pertanto in esse deve essere garantito, come richiede la vigente Costituzione, il giusto processo (art. 111 Cost.). (...) l'eventuale approvazione del rendiconto, nelle more della sua conclusione (giudizio di parificazione) equivale ad una approvazione della legge di rendiconto, prima della conclusione del giudizio di parifica (...)». Secondo tale assunto, quindi, la Regione avrebbe dovuto arrestare l'iter procedurale, nonostante l'avvenuta parificazione del rendiconto finanziario da parte della sezione regionale di controllo della Corte dei conti, e non esercitare le proprie prerogative mediante l'approvazione, con legge, dell'atto finanziario, in attesa che si fosse esaurito il termine per un eventuale ed ipotetico accesso alla fase giurisdizionale dinnanzi la Corte dei conti in speciale composizione. Invero, l'art. 11, comma 6, lett. e) del decreto legislativo n. 174/2016 consente l'esercizio della giurisdizione esclusiva in tema di contabilita' pubblica da parte delle Sezioni riunite, in speciale composizione della Corte dei conti anche nelle materie di contabilita' pubblica, ma solo nell'eventualita' di impugnazioni conseguenti alle deliberazioni delle sezioni regionali di controllo. Non puo' sottacersi, inoltre, che il riconoscimento della giustiziabilita' della parifica e' stata ritenuta coerente al sistema vigente, a fasi alterne ed esclusivamente sulla base di una elaborazione giurisprudenziale, sul presupposto del riconoscimento di una giurisdizione esclusiva della stessa Corte dei conti in materia di contabilita' pubblica. Senza che al riguardo sia possibile rinvenire alcuna previsione additiva e/o innovativa, con riferimento al procedimento di parifica del bilancio dinanzi la Sezione regionale di controllo, quindi in assenza di una disposizione specifica. Appare palese, pertanto, come la ricostruzione del quadro istituzionale prospettata nella sentenza impugnata si presti ad essere considerata apodittica, priva di alcun fondamento normativo, in assoluta controtendenza con l'orientamento espresso dalla stessa sezione, oltre che in aperta violazione delle regole basilari poste a fondamento del giusto processo. A tal proposito, appare pertinente richiamare la sentenza n. 9/2021/EL, con la quale e' stato sancito che le formalita' delle due fasi (parificazione e successiva ed eventuale fase giurisdizionale) rispondono a finalita' diverse. Quelle non contenziose del giudizio di controllo coniugano le esigenze di celerita' e certezza connesse al ciclo di bilancio con quelle di legalita' dello stesso. In quest'ottica «la L. cost. 1/2012 ha riqualificato l'ausiliarieta' di questo giudice nel sistema repubblicano, valorizzando la sua funzione di garanzia (...) e di uguaglianza. (...) Le due fasi coniugano obiettivi diversi che si declinano nell'organizzazione del procedimento. (...) La fase contenziosa, eventuale, si instaura in presenza un doppio presupposto, soggettivo ed oggettivo: un ricorrente che lamenta l'intervenuta lesione di un interesse protetto dalla legge, per il quale e' legittimato (...) e una pronuncia di accertamento emessa da una sezione regionale di controllo (...)». Senza considerare che, se dal punto di vista della conseguenzialita' cronologica il giudizio di parificazione deve precedere la legge di approvazione - senza pero' che la parificazione si ponga come condizione di procedibilita' del provvedimento legislativo, trattandosi di due procedimenti distinti che danno luogo a due atti distinti, entrambi obbligatori - la sostenuta non definitivita' della delibera di parificazione, che emergerebbe dal ragionamento delle Sezioni riunite, rimetterebbe in discussione tutta la costruzione sistemica del rapporto Corte dei conti-Assemblea legislativa, che, invece, dovrebbe poter contare su una garanzia di certezza e affidabilita' dei dati finali del rendiconto parificato. Cio', soprattutto, atteso che la legge regionale di approvazione del rendiconto 2019 (n. 26/2021) non e' stato oggetto di impugnazione da parte della Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'accertata lesione delle prerogative costituzionali riconosciute alla Regione Siciliana trova, in questa direzione, esplicita conferma nella parte dell'atto impugnato in cui si dispone che: «(...) la sentenza definisce e mette a disposizione delle "autorita' di bilancio" lo stato del saldo di equilibrio ad una certa data, imponendo azioni correttive nelle forme di legge (...)». Da tale assunto deriva che la Regione Siciliana - la quale ha legittimamente esercitato il proprio potere legislativo, approvando con legge il rendiconto, in assenza di alcuna disposizione di legge che gli imponesse di attendere sino all'esaurimento della eventuale fase contenziosa innanzi alle Sezioni riunite - ha subito, comunque ed in ogni caso, un'interferenza nel procedimento legislativo di esclusiva pertinenza regionale, gia' posto in essere, dovendo ricorrere ad interventi correttivi con effetti inevitabili su di una prerogativa propria dell'assemblea legislativa regionale. Per tutto quanto esposto e per quanto si fa riserva di ulteriormente produrre e dedurre, la Regione Siciliana, ut supra rappresentata, difesa e domiciliata, rassegna le seguenti conclusioni.
P.Q.M. Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso: preliminarmente, disporre la riunione per connessione oggettiva e soggettiva del presente ricorso a quello pendente al numero registro ricorsi 4/2021, proposto avverso il dispositivo Corte dei conti a Sezioni riunite, in sede giurisdizionale e in speciale composizione, reso all'udienza del 7 ottobre 2021; dichiarare che non spetta allo Stato, e per esso alla Corte dei conti sezioni riunite in sede giurisdizionale in speciale composizione, a seguito dell'approvazione della legge regionale 30 settembre 2021, n. 26 (Approvazione del rendiconto generale della Regione per l'esercizio 2019), l'esercizio della funzione giurisdizionale e conseguentemente il potere di adottare la decisione di cui al dispositivo reso all'udienza del 7 ottobre 2021 (ricorso n. 740/SR/DELC di cui in premessa), in quanto lesivo delle attribuzioni costituzionali e statutarie della Regione - a mente dello Statuto della Regione Siciliana, approvato col regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455 e convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, in specie articolo 19 - e poiche' viola le disposizioni di cui all'art. 100 del codice di procedura civile ed all'art. 150 del R.D. n. 827/1924. per l'effetto annullare la sentenza n. 20/2021/DELC della Corte dei conti, sezioni riunite in speciale composizione, in sede giurisdizionale depositata in data 17 dicembre 2021 in relazione al ricorso n. 740/SR/DELC. Si deposita: 1) sentenza Corte dei conti SSRR_n. 20 del 17 dicembre 2021, in relazione al ricorso n. 740/SR/DELC; 2) delibera Giunta regionale 11 gennaio 2022, n. 8. Palermo, 19 gennaio 2022 avv. Giuseppe Mistretta - avv. Gianluigi M. Amico