N. 57 SENTENZA 16 febbraio - 8 marzo 2022

Giudizio sull'ammissibilita' dei referendum. 
 
Referendum  -   Richiesta   di   referendum   abrogativo   denominata
  «Limitazione delle misure cautelari: abrogazione dell'ultimo inciso
  dell'art. 274, comma 1, lett. c), codice di  procedura  penale,  in
  materia di misure cautelari e, segnatamente, di esigenze cautelari,
  nel processo penale» -  Assenza  delle  cause  di  inammissibilita'
  previste dall'art. 75 Cost. - Quesito chiaro,  semplice,  omogeneo,
  univoco rispetto la natura ablativa  dell'istituto  referendario  -
  Assenza di carattere propositivo del quesito - Ammissibilita' della
  richiesta. 
- Codice  di  procedura  penale,  risultante  dalle  modificazioni  e
  integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente
  parte: art. 274, comma 1, lett. c), limitatamente alle  parole:  "o
  della stessa specie di quello per cui si procede.  Se  il  pericolo
  riguarda la commissione di delitti della stessa  specie  di  quello
  per cui si procede, le misure di custodia cautelare  sono  disposte
  soltanto se trattasi di delitti per i quali  e'  prevista  la  pena
  della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero  ,
  in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali e'
  prevista la pena della  reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a
  cinque anni nonche' per il delitto di  finanziamento  illecito  dei
  partiti di cui all'art. 7 della legge  2  maggio  1974,  n.  195  e
  successive modificazioni. 
- Costituzione, art. 75; legge costituzionale 11 marzo  1953,  n.  1,
  art. 2, primo comma. 
(GU n.10 del 9-3-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  ammissibilita',  ai  sensi  dell'art.  2,  primo
comma,  della  legge  costituzionale  11  marzo  1953,  n.  1  (Norme
integrative della Costituzione concernenti la Corte  costituzionale),
della richiesta di referendum popolare  per  l'abrogazione  dell'art.
274, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica
22 settembre 1988, n.  447  (Approvazione  del  codice  di  procedura
penale) e successive modificazioni e integrazioni, limitatamente alle
parole: «o della stessa specie di quello per cui si  procede.  Se  il
pericolo riguarda la commissione di delitti della  stessa  specie  di
quello per cui si procede,  le  misure  di  custodia  cautelare  sono
disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali e'  prevista  la
pena della reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a  quattro  anni
ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di  delitti  per  i
quali e' prevista la pena della reclusione non inferiore nel  massimo
a cinque anni nonche' per il delitto di  finanziamento  illecito  dei
partiti di cui all'art. 7  della  legge  2  maggio  1974,  n.  195  e
successive modificazioni.», giudizio iscritto al n. 174 del  registro
referendum. 
    Vista l'ordinanza del 29 novembre 2021  con  la  quale  l'Ufficio
centrale  per  il  referendum  presso  la  Corte  di  cassazione   ha
dichiarato conforme a legge la richiesta; 
    udito nella camera di consiglio del 15 febbraio 2022  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    uditi gli avvocati  Sonia  Sau  per  la  Regione  autonoma  della
Sardegna e Giovanni Guzzetta per i Consigli regionali  delle  Regioni
Lombardia,  Basilicata,  Friuli-Venezia  Giulia,  Sardegna,  Liguria,
Sicilia, Umbria, Veneto e Piemonte; 
    deliberato nella camera di consiglio del 16 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 29  novembre  2021,  depositata  il  giorno
successivo, l'Ufficio centrale per il referendum,  costituito  presso
la Corte di cassazione ai sensi dell'art. 12 della  legge  25  maggio
1970, n. 352 (Norme sui  referendum  previsti  dalla  Costituzione  e
sulla iniziativa legislativa del popolo) e successive  modificazioni,
ha  dichiarato  legittima  la  richiesta  di  referendum  abrogativo,
promossa dai Consigli regionali delle Regioni Lombardia,  Basilicata,
Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Liguria, Sicilia, Umbria,  Veneto  e
Piemonte, sul seguente quesito:  «Volete  voi  che  sia  abrogato  il
decreto del Presidente della Repubblica 22  settembre  1988,  n.  447
(Approvazione  del  codice  di  procedura  penale)  risultante  dalle
modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente
alla seguente parte: art. 274, comma 1, lett. c), limitatamente  alle
parole: "o della stessa specie di quello per cui si  procede.  Se  il
pericolo riguarda la commissione di delitti della  stessa  specie  di
quello per cui si procede,  le  misure  di  custodia  cautelare  sono
disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali e'  prevista  la
pena della reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a  quattro  anni
ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di  delitti  per  i
quali e' prevista la pena della reclusione non inferiore nel  massimo
a cinque anni nonche' per il delitto di  finanziamento  illecito  dei
partiti di cui all'art. 7  della  legge  2  maggio  1974,  n.  195  e
successive modificazioni."?». 
    2.- L'Ufficio centrale ha attribuito al quesito cosi' proposto la
seguente  denominazione:   «Limitazione   delle   misure   cautelari:
abrogazione dell'ultimo inciso dell'art.  274,  comma  1,  lett.  c),
codice di  procedura  penale,  in  materia  di  misure  cautelari  e,
segnatamente, di esigenze cautelari, nel processo penale». 
    3.-  Ricevuta  la   comunicazione   dell'ordinanza   dell'Ufficio
centrale per il referendum, il Presidente della Corte  costituzionale
ha fissato, per la conseguente trattazione e deliberazione, la camera
di consiglio del 15 febbraio  2022,  disponendo  che  ne  fosse  data
comunicazione ai presentatori della  richiesta  di  referendum  e  al
Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell'art. 33, secondo
comma, della legge n. 352 del 1970. 
    4.- I Consigli regionali proponenti hanno depositato memoria l'11
febbraio  2022,   concludendo   affinche'   questa   Corte   dichiari
ammissibile il quesito. 
    A  loro  avviso,   la   disposizione   incisa   dalla   richiesta
referendaria non rientra in alcuna delle  categorie  che  l'art.  75,
secondo  comma,  della  Costituzione  indica   come   precluse   alla
deliberazione  popolare,  ne'  il  quesito  si  presenta  privo   dei
necessari caratteri di omogeneita', atteso che  la  sua  formulazione
«garantisce  pienamente  l'autenticita'   e   la   genuinita'   della
manifestazione di volonta' del corpo elettorale». 
    Non vi sarebbe, infine, alcun ostacolo all'ammissibilita' neanche
alla luce  del  limite  costituito  dalle  disposizioni  a  carattere
costituzionalmente   vincolato,   considerato   che,    secondo    la
giurisprudenza di questa Corte (e' evocata  la  sentenza  n.  64  del
1970), la disciplina delle misure  cautelari  e'  rimessa  alla  piu'
ampia discrezionalita' del legislatore. 
    5.- Ha depositato memoria l'11 febbraio  2022  anche  la  Regione
autonoma della Sardegna, in persona del suo Presidente  pro  tempore,
chiedendo che il referendum sia dichiarato ammissibile. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il presente giudizio ha  ad  oggetto  l'ammissibilita'  della
richiesta di referendum abrogativo dichiarata legittima con ordinanza
del  29  novembre  2021  dell'Ufficio  centrale  per  il  referendum,
costituito presso la Corte di cassazione. 
    Tale richiesta, promossa dai  Consigli  regionali  delle  Regioni
Lombardia,  Basilicata,  Friuli-Venezia  Giulia,  Sardegna,  Liguria,
Sicilia, Umbria, Veneto  e  Piemonte,  ha  ad  oggetto  l'abrogazione
dell'ultimo inciso del primo periodo e  dell'intero  secondo  periodo
dell'art. 274, comma 1, lettera c), del decreto del Presidente  della
Repubblica 22 settembre 1988, n.  447  (Approvazione  del  codice  di
procedura penale) e successive modificazioni  e  integrazioni,  ossia
limitatamente alle parole: «o della stessa specie di quello  per  cui
si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di  delitti  della
stessa specie di quello per cui si procede,  le  misure  di  custodia
cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per  i  quali
e' prevista la pena della reclusione  non  inferiore  nel  massimo  a
quattro anni ovvero, in caso di custodia  cautelare  in  carcere,  di
delitti per  i  quali  e'  prevista  la  pena  della  reclusione  non
inferiore nel massimo  a  cinque  anni  nonche'  per  il  delitto  di
finanziamento illecito dei partiti di cui all'art. 7  della  legge  2
maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni». 
    In esito al procedimento svoltosi di fronte all'Ufficio  centrale
per il referendum, al  quesito  abrogativo  e'  stato  attribuito  il
presente titolo: «Limitazione  delle  misure  cautelari:  abrogazione
dell'ultimo inciso dell'art.  274,  comma  1,  lett.  c),  codice  di
procedura penale, in materia di misure cautelari e, segnatamente,  di
esigenze cautelari, nel processo penale». 
    2.- In via preliminare, si deve rilevare  che,  nella  camera  di
consiglio  del  15  febbraio  2022,  questa   Corte   ha   consentito
l'illustrazione orale delle memorie depositate dai  proponenti  della
richiesta referendaria ai sensi  dell'art.  33,  terzo  comma,  della
legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme  sui  referendum  previsti  dalla
Costituzione e sulla iniziativa legislativa  del  popolo)  e,  ancora
prima, ha disposto l'ammissione degli scritti presentati da  soggetti
diversi da  quelli  indicati  dalla  disposizione  ora  richiamata  e
tuttavia  interessati  alla   decisione   sull'ammissibilita'   della
richiesta di referendum, come  contributi  contenenti  argomentazioni
ulteriori rispetto a quelle altrimenti a disposizione della Corte (ex
plurimis: sentenze n. 10 del 2020, n. 5 del 2015, n. 13 del 2012,  n.
28, n. 27, n. 26, n. 25 e n. 24 del 2011). 
    Tale ammissione, che deve essere qui confermata, non  si  traduce
pero' in un diritto di questi soggetti di partecipare al procedimento
- che, comunque, «deve tenersi, e concludersi, secondo una  scansione
temporale definita» (sentenza n. 31 del 2000) - e  di  illustrare  le
relative tesi in camera di consiglio, ma comporta  solo  la  facolta'
della  Corte,  ove  lo  ritenga  opportuno,   di   consentire   brevi
integrazioni orali degli scritti,  come  e'  appunto  avvenuto  nella
camera di consiglio del 15 febbraio 2022, prima che i soggetti di cui
al citato art. 33 abbiano illustrato le rispettive posizioni. 
    3.- La  disposizione  investita  dalla  richiesta  di  referendum
abrogativo concorre a definire le  esigenze  cautelari  che  operano,
congiuntamente ai «gravi indizi di colpevolezza» di cui all'art.  273
cod. proc. pen., quali condizioni generali  di  applicabilita'  delle
misure cautelari personali di cui al Titolo I del Libro IV del codice
di procedura penale. Essa, in particolare, individua al primo periodo
l'esigenza  cautelare  consistente  nel  pericolo  che   la   persona
sottoposta alle indagini o l'imputato «commetta gravi delitti con uso
di armi o di altri mezzi  di  violenza  personale  o  diretti  contro
l'ordine costituzionale ovvero delitti di criminalita' organizzata  o
della stessa specie di quello per cui si procede». 
    All'ultimo inciso di tale previsione, che e'  quello  su  cui  si
appunta la richiesta  referendaria  in  esame,  e'  poi  connesso  il
periodo immediatamente successivo, anch'esso ricompreso  nel  quesito
referendario, che delimita le soglie  di  pena  dei  delitti  oggetto
della specifica prognosi di recidiva in vista dell'applicazione delle
sole  misure  cautelari   custodiali   e,   in   via   di   ulteriore
specificazione,   della   custodia   cautelare   in   carcere.   Tale
disposizione, introdotta dall'art. 3, comma 2, della legge  8  agosto
1995, n. 332 (Modifiche al codice di  procedura  penale  in  tema  di
semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di
difesa) e successivamente  rimodulata,  stabilisce  oggi,  a  seguito
delle modifiche da ultimo apportate  con  l'art.  2  della  legge  16
aprile 2015, n. 47  (Modifiche  al  codice  di  procedura  penale  in
materia di misure cautelari personali. Modifiche alla legge 26 luglio
1975, n. 354, in materia di visita a persone affette da  handicap  in
situazione di gravita'), che, in caso di pericolo di  commissione  di
delitti della stessa specie di quello per cui si procede,  le  misure
di custodia cautelare sono disposte a carico  dell'imputato  o  della
persona sottoposta alle indagini soltanto se si tratta di delitti per
i quali e' prevista  la  pena  della  reclusione  non  inferiore  nel
massimo a quattro anni, ovvero, in  caso  di  custodia  cautelare  in
carcere, di delitti puniti con la pena della reclusione non inferiore
nel massimo a cinque anni, nonche' per il  delitto  di  finanziamento
illecito dei partiti, di cui all'art. 7 della legge 2 maggio 1974, n.
195 (Contributo dello Stato al finanziamento dei partiti politici). 
    Nessun limite di pena correlato ai delitti  di  cui  si  teme  la
reiterazione e'  quindi  previsto  per  l'applicazione  delle  misure
cautelari coercitive non custodiali e per le misure interdittive, per
le quali valgono pertanto le condizioni di applicabilita'  ordinarie,
rispettivamente previste dagli artt. 280 e 287 cod. proc. pen. Questi
ultimi stabiliscono, in  linea  generale,  che  le  misure  cautelari
personali,  tanto  coercitive  quanto  interdittive,  possono  essere
applicate solo quando si procede per delitti per  i  quali  la  legge
stabilisce la pena dell'ergastolo o della  reclusione  superiore  nel
massimo a tre anni. 
    3.1.- Nell'ambito delle esigenze cautelari disciplinate dall'art.
274, comma 1, cod. proc. pen., quella prevista dalla  lettera  c)  si
correla  nel  suo  complesso   alle   «esigenze   di   tutela   della
collettivita'»  che  gia'  il  legislatore  delegante  aveva   tenuto
distinte dalle restanti ragioni giustificatrici di misure  cautelari,
costituite dalle «inderogabili esigenze attinenti alle indagini e per
il tempo strettamente necessario» ovvero dalla  circostanza  che  «la
persona si e' data alla fuga o vi e' concreto pericolo di fuga» (art.
2, numero 59, della legge 16 febbraio 1987, n.  81,  recante  «Delega
legislativa al Governo della Repubblica per  l'emanazione  del  nuovo
codice di procedura penale»). 
    Tali ragioni, tradottesi rispettivamente nelle lettere  a)  e  b)
del medesimo art.  274,  comma  1,  cod.  proc.  pen.,  costituiscono
pertanto la tipizzazione delle  esigenze  «strettamente  inerenti  al
processo» che questa Corte, a partire dalla sentenza n. 64 del  1970,
ha costantemente individuato quale  ambito  proprio  di  operativita'
delle misure cautelari nel processo penale. 
    L'esigenza cautelare di cui all'art. 274, comma  1,  lettera  c),
cod. proc. pen. ha un fondamento in parte diverso, che  va  rinvenuto
in finalita' di prevenzione esterne al processo, da ricondursi - come
detto - a «esigenze di tutela della collettivita'», locuzione che  il
legislatore delegante del 1987  ha  ripreso  (secondo  quanto  emerge
dalla «Relazione  governativa  al  testo  definitivo  del  codice  di
procedura penale») dalla sentenza n. 1 del 1980 di questa  Corte,  in
cui il perimetro di tale  nozione  veniva  riferito  al  pericolo  di
commissione di reati contrassegnati da «uso d'armi o di  altri  mezzi
di  violenza  contro  le  persone,  riferibilita'  ad  organizzazioni
criminali comuni o politiche, direzione lesiva verso le condizioni di
base della sicurezza collettiva o dell'ordine democratico». 
    Peraltro, nella medesima sentenza, gia' si dava conto  del  fatto
che esigenze di prevenzione potessero porsi a  fondamento  di  misure
cautelari, come del resto questa Corte aveva rilevato a partire dalla
richiamata sentenza n. 64 del 1970, allorche' aveva stabilito che non
si potesse «escludere  che  la  legge  possa  (entro  i  limiti,  non
insindacabili, di ragionevolezza) presumere che la  persona  accusata
di reato particolarmente grave e colpita  da  sufficienti  indizi  di
colpevolezza, sia in condizione di porre  in  pericolo  quei  beni  a
tutela dei quali la detenzione preventiva viene predisposta». 
    A fianco, pertanto, delle fattispecie evocate nella sentenza n. 1
del 1980, contrassegnate da un'intrinseca gravita' e tradottesi,  nel
testo vigente dell'art. 274, comma 1, lettera c),  cod.  proc.  pen.,
nel pericolo di commissione di «gravi delitti con uso di  armi  o  di
altri  mezzi  di  violenza  personale  o  diretti   contro   l'ordine
costituzionale  ovvero  delitti  di  criminalita'  organizzata»,   il
legislatore delegato ha previsto  l'esigenza  cautelare  connessa  al
pericolo  che  l'imputato  o  la  persona  sottoposta  alle  indagini
commetta un delitto  «della  stessa  specie  di  quello  per  cui  si
procede». Solo a partire dal 1995, come si e' detto, tale prognosi di
recidiva specifica e' assistita  da  una  condizione  attinente  alla
gravita' dei reati di cui si teme la reiterazione, ma  unicamente  ai
fini dell'applicazione di una misura custodiale o, in termini  ancora
piu' stringenti, della custodia cautelare in carcere. 
    4.- Il quesito referendario, che  investe  unicamente  l'esigenza
cautelare consistente nel pericolo di commissione  di  delitti  della
stessa specie, e' ammissibile. 
    5.- Non sussiste, innanzi  tutto,  alcuna  preclusione  derivante
dalla potenziale interferenza tra  la  disposizione  interessata  dal
quesito stesso e uno degli ambiti di cui all'art. 75, secondo  comma,
Cost., siano essi intesi alla luce di  un'interpretazione  letterale,
ovvero sulla base di un'interpretazione logico-sistematica, cosi'  da
far rientrare in tale categoria anche «le disposizioni produttive  di
effetti collegati in modo cosi' stretto  all'ambito  di  operativita'
delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, che  la  preclusione
debba ritenersi sottintesa» (secondo la  giurisprudenza  costante  di
questa Corte, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978). 
    5.1.-  Nessun  dubbio  puo'  aversi  con  riguardo   alle   leggi
tributarie e di bilancio o a quelle di amnistia  e  di  indulto.  Ne'
esistono obblighi internazionali che impongano l'adozione  di  misure
di  restrizione,  per  qualsivoglia  reato,   fondate   sull'esigenza
cautelare di cui si chiede l'abrogazione. 
    In  particolare,   appare   evidente   l'assenza   di   qualsiasi
interferenza dell'eventuale abrogazione  dell'esigenza  cautelare  in
questione col  complesso  di  disposizioni  attinenti  all'esecuzione
delle richieste di mandato d'arresto  europeo.  L'art.  9,  comma  5,
della legge 22 aprile 2005, n. 69  (Disposizioni  per  conformare  il
diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del
13  giugno  2002,  relativa  al  mandato  d'arresto  europeo  e  alle
procedure  di  consegna   tra   Stati   membri),   infatti,   esclude
espressamente che, per l'adozione delle misure  cautelari  coercitive
finalizzate  all'esecuzione  del  mandato  d'arresto  ad  opera   del
Presidente della Corte d'appello, possa venire in rilievo  l'esigenza
cautelare di cui all'art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. 
    6.- Neppure sussistono ostacoli all'ammissibilita'  con  riguardo
alle modalita' di formulazione del quesito referendario,  cosi'  come
ricavabili anch'esse  dall'interpretazione  logico-sistematica  della
Costituzione (sentenze n. 174 del 2011, n. 137 del 1993,  n.  48  del
1981  e  n.  70  del  1978)  e  identificate  nei   requisiti   della
«omogeneita',  chiarezza  e   semplicita',   completezza,   coerenza,
idoneita' a conseguire il  fine  perseguito,  rispetto  della  natura
ablativa dell'operazione referendaria» (sentenza n. 17 del 2016). 
    6.1.- Preliminare rispetto a  tale  scrutinio  e'  l'accertamento
intorno alla  «evidenza  del  fine  intrinseco  all'atto  abrogativo»
(sentenza n. 47 del 1991),  anche  tenuto  conto  del  fatto  che  la
richiesta referendaria e'  atto  privo  di  motivazione,  sicche'  il
quesito va interpretato «esclusivamente in base alla sua formulazione
ed all'incidenza del referendum sul quadro normativo di  riferimento»
(ex multis, sentenza n. 25 del 2011 e, da ultimo, sentenza n. 51  del
2022). Solo  mediante  questo  accertamento  obiettivo,  infatti,  e'
possibile verificare, conformemente  ai  caratteri  del  giudizio  di
ammissibilita' e senza che «possano  venire  in  rilievo  profili  di
illegittimita' costituzionale della  legge  oggetto  della  richiesta
referendaria o della normativa di risulta» (sentenza n. 13 del 2012),
se dalle disposizioni di cui si propone l'abrogazione si possa trarre
con chiarezza una «matrice razionalmente unitaria»  (sentenze  n.  25
del 1981 e n. 16 del 1978),  vale  a  dire  «un  criterio  ispiratore
fondamentalmente  comune  o  un  principio,  la  cui  eliminazione  o
permanenza viene fatta dipendere dalla risposta del corpo elettorale»
(sentenza n. 17 del 2016). 
    Nel caso di specie, il quesito referendario, benche'  si  avvalga
della tecnica del ritaglio, investe un frammento normativo dotato  di
un autonomo contenuto precettivo, consistente  nella  previsione  per
cui il giudice puo' rinvenire una specifica  esigenza  cautelare  nel
pericolo  che  l'imputato  o  la  persona  sottoposta  alle  indagini
commetta un delitto della stessa specie di quello per cui si procede.
In questo modo, non puo' dubitarsi che un'obiettiva ratio sorregga la
specifica  operazione  referendaria,  consistente   nell'eliminazione
dell'esigenza  cautelare  fondata  sul  pericolo  derivante  da   una
prognosi di recidiva specifica,  e  nella  conseguente  finalita'  di
limitare l'operativita' dell'art. 274,  comma  1,  lettera  c),  cod.
proc. pen. al solo pericolo di commissione di gravi delitti  con  uso
di armi o di altri mezzi  di  violenza  personale  o  diretti  contro
l'ordine costituzionale ovvero delitti di  criminalita'  organizzata.
Alla previsione che  potrebbe  residuare  dall'eventuale  abrogazione
referendaria, poi,  si  correlerebbe,  senza  frizioni  sistematiche,
quello  che  costituisce   effettivamente   l'ultimo   inciso   della
previsione in parola, secondo cui  «[l]e  situazioni  di  concreto  e
attuale pericolo, anche in relazione alla personalita' dell'imputato,
non possono essere desunte esclusivamente dalla gravita'  del  titolo
di reato per cui si procede». 
    6.2.- Alla luce di quanto appena  illustrato,  si  deve  pertanto
ritenere che  il  quesito  referendario,  in  quanto  privo  di  quei
connotati  di  manipolativita'  idonei  a   denotare   un   carattere
«surrettiziamente  propositivo»  dell'alternativa  posta   al   corpo
elettorale (sentenze n. 10 del 2020, n. 13 del 2012, n. 26 del 2011 e
n. 33 del 2000), tende in realta' «a un esito  netto  e  lineare,  in
ragione della propria natura  meramente  ablativa,  concretandosi  le
conseguenze abrogative in  una  situazione  esattamente  contraria  a
quella prevista dalle  norme  oggetto  del  referendum  e  facilmente
percepibile dal corpo elettorale» (sentenza n. 13 del 1995). 
    Se tanto  pare  sufficiente  a  riscontrare  i  sopra  menzionati
requisiti  dell'omogeneita',  della  chiarezza  e   semplicita'   del
quesito, della sua idoneita' a conseguire il fine  perseguito  e  del
rispetto  della  natura  ablativa  dell'operazione  referendaria,  lo
stesso e' a dirsi per cio' che concerne la completezza e la  coerenza
dell'abrogazione sottoposta al giudizio del corpo elettorale. 
    A partire dalla sentenza n. 27 del 1981, infatti, questa Corte ha
ritenuto che un quesito referendario sia privo,  nel  suo  complesso,
del carattere dell'omogeneita' laddove esso  non  sia  assistito  dai
caratteri di una  necessaria  autosufficienza  dell'atto  abrogativo,
come nel caso in cui vengano lasciate intatte disposizioni  idonee  a
garantire la perdurante operativita' di interi  plessi  normativi  di
cui si chiedeva l'eliminazione ad opera del voto  popolare  (sentenze
n. 35 del 2000, n. 30 del 1997 e n. 36 del 1993). 
    Nel caso di specie, nonostante la centralita' della  disposizione
oggetto  della  richiesta  abrogativa  nella  disciplina  codicistica
riguardante le misure cautelari, il quesito che si intende sottoporre
al corpo elettorale non ha mancato di includere  alcuna  disposizione
funzionalmente collegata a quella di  cui  si  chiede  l'abrogazione,
sicche'  non  vengono  minate  ne'  la  sua  coerenza,  ne'  la   sua
completezza. 
    Richiami testuali all'art. 274, comma 1, lettera c),  cod.  proc.
pen. nel suo complesso figurano, innanzi tutto, nell'art. 275,  comma
1-bis (in tema di misure  cautelari  applicate  contestualmente  alla
sentenza di condanna) e nell'art. 300, comma 5, cod. proc.  pen.  (in
tema di applicazione di misure cautelari al soggetto  condannato  per
lo stesso fatto a seguito di proscioglimento o  di  sentenza  di  non
luogo a procedere). In nessun modo, tuttavia, e'  possibile  ritenere
che il quesito  incida  sull'operativita'  di  tali  previsioni,  che
continuerebbero ad applicarsi, ma riferendosi al contenuto  dell'art.
274,  comma  1,  lettera  c),  cod.  proc.  pen.   che   residuerebbe
dall'eventuale abrogazione referendaria. 
    Allo stesso esito si deve poi addivenire con  riguardo  a  quanto
stabilito dall'art. 391, comma 5, secondo periodo, cod.  proc.  pen.,
che  consente  al  giudice,  in  sede   di   convalida   dell'arresto
facoltativo, di applicare una misura  coercitiva  nei  confronti  del
soggetto arrestato «per uno dei delitti indicati  nell'articolo  381,
comma 2, cod. proc. pen., ovvero per uno  dei  delitti  per  i  quali
l'arresto e' consentito anche fuori dei casi di flagranza», «anche al
di fuori dei limiti di pena previsti dagli  articoli  274,  comma  1,
lettera c), e 280». 
    Si tratta, come ritenuto da questa Corte da ultimo nella sentenza
n. 137 del 2020, di un meccanismo  di  portata  derogatoria  rispetto
agli  ordinari  presupposti  applicativi   delle   misure   cautelari
coercitive, che tuttavia - ai fini che in questa sede  interessano  -
vedrebbe garantita la sua operativita' anche in  esito  all'eventuale
realizzarsi dell'operazione referendaria, in quanto la deroga in esso
contenuta continuerebbe a valere unicamente rispetto alle  soglie  di
pena  fissate  dall'art.  280  cod.  proc.   pen.   Peraltro,   nulla
impedirebbe  al  legislatore  di  intervenire  sulla  disciplina   di
risulta, fermo restando medio  tempore  il  «compito  dell'interprete
[di] apprezzare le conseguenze  che,  dall'eventuale  esito  positivo
della consultazione, potranno derivare sulla  normativa  di  contorno
non inclusa nel quesito» (sentenza n. 22 del 1997). 
    7.- Non vi sono, infine, ragioni ostative all'ammissibilita'  del
quesito derivanti dalla natura  costituzionalmente  necessaria  della
disposizione di cui si chiede l'abrogazione con referendum. 
    Sin dalla sentenza n. 16 del 1978, tale ordine di limitazioni  e'
stato  individuato  alla  luce   della   necessita'   di   preservare
l'esistenza di «valori  di  ordine  costituzionale,  riferibili  alle
strutture od  ai  temi  delle  richieste  referendarie,  da  tutelare
escludendo i relativi referendum, al di la' della  lettera  dell'art.
75 secondo comma Cost.». Una delle categorie  in  cui  si  articolava
tale limite consisteva, in particolare, nei  «referendum  aventi  per
oggetto    disposizioni    legislative    ordinarie    a    contenuto
costituzionalmente vincolato,  il  cui  nucleo  normativo  non  possa
venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i
corrispondenti specifici disposti della  Costituzione  stessa  (o  di
altre leggi costituzionali)». Piu' in particolare, questa Corte aveva
chiarito allora, e costantemente ha ribadito nei decenni  successivi,
che tale categoria non si  riferisce  a  «tutte  le  leggi  ordinarie
comunque  costitutive  od  attuative  di  istituti,  di  organi,   di
procedure, di principi stabiliti o previsti dalla  Costituzione»,  ma
solo a quelle «che non possono venir modificate  o  rese  inefficaci,
senza  che  ne  risultino   lese   le   corrispondenti   disposizioni
costituzionali». 
    Successivamente, anche alla luce della  «naturale  difficolta'  a
distinguere in  concreto  le  leggi  a  contenuto  costituzionalmente
vincolato da quelle  semplicemente  riferibili  a  norme  e  principi
costituzionali»  (sentenza  n.  45  del  2005),   questa   Corte   ha
individuato il proprium di tale categoria nel  fatto  che  «la  legge
ordinaria da  abrogare  incorpori  determinati  principi  o  disposti
costituzionali, riproducendone i contenuti o concretandoli  nel  solo
modo costituzionalmente consentito» (sentenza n. 26 del 1981). 
    Con la sentenza  n.  27  del  1987  sono  state  conseguentemente
individuate  due  distinte  ipotesi  al   cui   metro   valutare   la
riferibilita' della disposizione oggetto di referendum a un contenuto
costituzionalmente necessitato: «[i]nnanzitutto  le  leggi  ordinarie
che contengono l'unica necessaria disciplina attuativa conforme  alla
norma costituzionale, di modo che la loro abrogazione si  tradurrebbe
in lesione di quest'ultima (cfr. sentenze n. 16/1978 e  n.  26/1981);
in secondo luogo, le leggi ordinarie, la cui  eliminazione  ad  opera
del referendum priverebbe totalmente di efficacia un principio  o  un
organo costituzionale "la cui esistenza e' invece voluta e  garantita
dalla Costituzione (cfr. sentenza n. 25 del 1981)"». 
    Parallelamente, questa Corte ha  individuato,  nel  novero  delle
leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, «anche  la  categoria
delle  leggi  ordinarie  la  cui   eliminazione   determinerebbe   la
soppressione di una tutela minima  per  situazioni  che  tale  tutela
esigono secondo la Costituzione» (sentenza n. 35 del 1997). 
    7.1.- La disposizione incisa dalla  richiesta  di  referendum  in
esame non presenta alcuno dei caratteri  in  cui  si  e'  articolata,
nella giurisprudenza di questa Corte,  la  categoria  delle  leggi  a
contenuto costituzionalmente necessario o vincolato. 
    Essa  non  mostra,  infatti,   alcun   rapporto   di   necessaria
implicazione con  una  disposizione  o  un  principio  costituzionali
suscettibili di veder menomata la loro portata in caso di abrogazione
referendaria,  ne',  a  maggior  ragione,  puo'  ritenersi  che  essa
costituisca  l'unica  modalita'  costituzionalmente  compatibile   di
inveramento di un principio o di un  disposto  costituzionale.  Anzi,
essa deve contemperarsi con  il  principio  stabilito  dall'art.  27,
secondo comma,  Cost.,  in  base  al  quale  «[l]'  imputato  non  e'
considerato colpevole sino alla condanna definitiva». 
    Del  resto,  questa  Corte  ha  costantemente  ribadito  che   lo
strumento penale costituisce «un'extrema ratio,  cui  il  legislatore
ricorre quando,  nel  suo  discrezionale  apprezzamento,  lo  ritenga
necessario per l'assenza o l'inadeguatezza di altri mezzi di  tutela»
(sentenza  n.  8  del   2022),   considerato   che   «[l]e   esigenze
costituzionali di tutela non si esauriscono [...]  nella  (eventuale)
tutela penale, ben potendo  invece  essere  soddisfatte  con  diverse
forme di precetti e di sanzioni» (sentenza n.  447  del  1998;  nello
stesso senso, sentenza n. 317 del 1996). Principio, questo,  che  non
puo'  non  riverberarsi  anche  sulle  misure  cautelari   personali,
soprattutto quelle privative della liberta' personale, approntate dal
legislatore in vista del conseguimento delle  finalita'  proprie  del
processo penale e per fronteggiare imprescindibili esigenze di tutela
della   collettivita'    ancor    prima    dell'accertamento    della
responsabilita' penale (sentenza n. 22 del 2022), alle  quali  ultime
si riferisce specificamente la disposizione della quale si chiede  la
parziale  abrogazione   per   via   referendaria.   Esigenze,   giova
sottolineare, a presidio delle quali resterebbe,  in  ogni  caso,  il
frammento dell'art. 274, comma 1, lettera c), cod.  proc.  pen.,  non
interessato dal quesito referendario, che continuerebbe a  consentire
di ravvisare un'esigenza cautelare  nel  pericolo  di  compimento  di
«gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale
o  diretti  contro  l'ordine   costituzionale   ovvero   delitti   di
criminalita' organizzata». 
    8.-  Non  ostandovi,   pertanto,   alcuna   ragione   di   ordine
costituzionale, la richiesta di  referendum  deve  essere  dichiarata
ammissibile. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara ammissibile la  richiesta  di  referendum  popolare  per
l'abrogazione dell'art. 274, comma 1, lettera  c),  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.  447  (Approvazione
del  codice  di  procedura  penale)  e  successive  modificazioni   e
integrazioni, limitatamente alle parole: «o della  stessa  specie  di
quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione  di
delitti della stessa specie di quello per cui si procede,  le  misure
di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi  di  delitti
per i quali e' prevista la pena della reclusione  non  inferiore  nel
massimo a quattro anni ovvero,  in  caso  di  custodia  cautelare  in
carcere, di delitti per i quali e' prevista la pena della  reclusione
non inferiore nel massimo a cinque anni nonche'  per  il  delitto  di
finanziamento illecito dei partiti di cui all'art. 7  della  legge  2
maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni», richiesta dichiarata
legittima con ordinanza del 29 novembre  2021  dall'Ufficio  centrale
per il referendum. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 febbraio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'8 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA