N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 gennaio 2022
Ordinanza del 12 gennaio 2022 del Consiglio di Garanzia del Senato della Repubblica sui ricorsi riuniti proposti, rispettivamente, dall'Amministrazione del Senato della Repubblica nei confronti di P.G. e altri e da F.S. nei confronti dell'Amministrazione del Senato della Repubblica. Previdenza - Assegni vitalizi - Soppressione dei regimi fiscali particolari per gli assegni vitalizi (ora pensioni) degli ex parlamentari - Omessa previsione che queste prestazioni siano disciplinate nel rispetto dei principi generali in materia previdenziale. - Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), art. 26, comma 1, lettera b). Previdenza - Assegni vitalizi - Trattamenti economici dei senatori cessati dal mandato, sia diretti che di reversibilita' - Prevista rideterminazione, a decorrere dal 1° gennaio 2019, con il metodo contributivo, sia per gli assegni in corso che per quelli di futura erogazione maturati in base alla normativa vigente al 31 dicembre 2011 e per gli anni di mandato svolti fino a tale data. - Deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica del 18 (recte: 16) ottobre 2018, n. 6, art. 1, comma 1.(GU n.11 del 16-3-2022 )
SENATO DELLA REPUBBLICA Consiglio di Garanzia composto da: Luigi Vitali, Presidente; Alberto Balboni, titolare; Ugo Grassi, titolare; Pasquale Pepe, titolare; Valeria Valente, titolare; ha adottato la seguente decisione. Visto il ricorso n. 288, presentato in data 8 ottobre 2020 dall'Amministrazione del Senato, rappresentata dal Segretario generale, per l'annullamento e/o la riforma, previa sospensione cautelare dell'efficacia, della decisione n. 660 adottata dalla Commissione contenziosa il 25 giugno 2020, depositata il 30 settembre 2020 e resa esecutiva con decreto del Presidente del Senato n. 12791 del 5 ottobre 2020; Viste le memorie presentate: (Ai sensi della vigente normativa in materia di protezione dei dati personali si omettono le pagine successive contenenti le generalita' dei resistenti, degli appellanti incidentali e degli altri intervenienti a vario titolo, tra cui risulta anche l'Associazione degli ex parlamentari della Repubblica nella persona del suo presidente). Omissis. Viste tutte le memorie, gli atti ed i documenti presentati dalle parti. Uditi: nelle sedute del 2 febbraio, 16 febbraio, 2, 17 e 30 marzo 2021, l'avvocato dello Stato Federico Basilica, in rappresentanza dell'Amministrazione del Senato, parte appellante; nella seduta del 2 febbraio 2021 gli avvocati Federico Sorrentino e Giuseppe Libutti; nella seduta del 16 febbraio 2021 gli avvocati Maurizio Paniz e Lorenzo Lentini; nella seduta del 2 marzo 2021 gli avvocati Giuseppe Salerno, Domenico Menorello, Rosa Sciatta e l'onorevole Omissis; nella seduta del 17 marzo 2021 gli avvocati Daniele Marchi, Alessandro Tozzi e Roberto Righi; nella seduta del 30 marzo 2020 - da remoto nella modalita' della videoconferenza, secondo quanto disposto con decreto n. 31 del 3 dicembre 2020 dal Presidente del Consiglio di Garanzia in considerazione dell'emergenza epidemiologica - l'avvocato Giovanni Guzzetta nonche' - in sede di replica - l'avvocato dello Stato Federico Basilica e gli avvocati Daniele Marchi, Rosa Sciatta, Lorenzo Lentini e l'onorevole Omissis; nella seduta del 31 marzo 2020 - in sede di replica - gli avvocati Maurizio Paniz, Federico Sorrentino, Giuseppe Salerno, Alessio Petretti, nonche' da remoto nella modalita' della videoconferenza, secondo quanto disposto con decreto n. 31 (del 3 dicembre 2020 dal Presidente del Consiglio di Garanzia in considerazione, dell'emergenza epidemiologica, l'avvocato Augusto Sinagra e - in sede di replica - gli avvocati Domenico Menorello, Felice Carlo Besostri, Roberto Righi. Visto ricorso n. 289, presentato in data 27 ottobre 2020 dall'onorevole Omissis per l'annullamento e la riforma della decisione della Commissione contenziosa 30 settembre 2020, n. 661, nonche' la memoria depositata dal l'Amministrazione del Senato data 17 novembre 2020; Uditi, nella seduta del 2 febbraio 2021, il relatore senatore Luigi Vitali, l'avvocato Federico Sorrentino, in rappresentanza dell'onorevole Omissis nonche' l'avvocato dello Stato Federico Basilica in rappresentanza dell'Amministrazione del Senato; Svolgimento del processo Ricorso n. 288. 1. Trattazione da parte della Commissione contenziosa. 1.1. In data 16 ottobre 2018 il Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica ha approvato la deliberazione n. 6, recante «Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e delle quote di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro rata nonche' dei trattamenti di reversibilita', relativi agli anni di mandato svolti fino al 31 dicembre 2011» provvedimento analogo a quello assunto gia' in data 12 luglio 2018 dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati (delibera n. 14 del 2018). La citata deliberazione ha previsto che, a decorrere dal 1° gennaio 2019, i trattamenti economici dei senatori cessati dal mandato (sia diretti, che di reversibilita'), fossero rideterminati applicando il metodo contributivo e cio' sia per gli assegni in corso di erogazione, sia per quelli di futura erogazione maturati sulla base della normativa vigente alla data del 31 dicembre 2011 e relativi agli anni di mandato svolti fino a tale data. In sintesi, il meccanismo di calcolo ha previsto che il «montante contributivo individuale» (determinato ai sensi dell'art. 2 della delibera) venga moltiplicato per un «coefficiente di trasformazione» (di cui alla tabella 1 allegata alla stessa delibera) relativo all'eta' anagrafica del senatore alla data della decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata. I commi 4 e 5 dell'art. 1 della delibera hanno stabilito che l'ammontare degli assegni rideterminati non possa comunque superare l'importo di quello in corso di erogazione, ne' risultare inferiore all'importo determinato moltiplicando il montante contributivo individuale maturato da un senatore che abbia svolto il mandato parlamentare nella sola XVII legislatura, rivalutato ai sensi dell'art. 2 per il coefficiente di trasformazione corrispondente all'eta' anagrafica di 65 anni vigente alla data del 31 dicembre 2018. La delibera inoltre istituito meccanismi di integrazione in casi particolari qualora, a seguito della rideterminazione, il trattamento risulti ridotto in misura superiore al 50 per cento rispetto all'importo dell'assegno previsto dal regolamento in vigore alla data dell'inizio del mandato parlamentare. 1.2. Avverso la menzionata delibera, sono stati depositati numerosi ricorsi, nonche' atti di intervento ad adiuvandum presso la Commissione contenziosa da parte di ex senatori e titolari di trattamenti di reversibilita'. interessati dalle modifiche, nonche' dall'Associazione degli ex parlamentari. Con i ricorsi in esame - adducendo argomentazioni sostanzialmente analoghe - sono stati chiesti: in via preliminare, la dichiarazione del difetto di giurisdizione degli organi di autodichia del Senato della Repubblica ed il sollevamento della questione di legittimita' costituzionale delle norme regolamentari del Senato nella parte in cui prevedono la giurisdizione esclusiva degli organi di autodichia; nel merito, la dichiarazione di illegittimita' costituzionale della deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 6 del 16 ottobre 2018, la disapplicazione, l'annullamento e/o la dichiarazione di nullita' e/o l'improduttivita' di effetti della delibera de qua, la condanna della parte resistente a riconoscere e versare ai ricorrenti l'integralita' dell'assegno vitalizio nella misura maturata e maturanda sulla base della normativa previgente, la condanna della parte resistente a versare tutte le somme indebitamente trattenute, da maggiorarsi con la rivalutazione e gli interessi legali, in ogni caso l'intera rifusione di spese, compenso di avvocato, oltre ad IVA, CA e rimborso forfettario. 1.3. In via preliminare e' stata eccepita la violazione degli articoli 6 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sull'equo processo e sul divieto di discriminazione, con riferimento al procedimento di formazione ed alla composizione degli organi di giustizia interni; questi ultimi, ad avviso dei ricorrenti, non garantirebbero quei requisiti di imparzialita', indipendenza e costituzione per legge necessari a garantire un equo processo. E' stato inoltre dedotto difetto di giurisdizione degli stessi organi, invocando la rimessione degli atti alla giurisdizione ordinaria e/o amministrativa, nonche' censurata la normativa interna del Senato nella parte in cui dispone che la giurisdizione esclusiva degli organi di autodichia si estenda anche a ricorsi presentati da non dipendenti contro atti o provvedimenti del Senato. 1.4. Nel merito, i ricorrenti hanno addotto diversi motivi di illegittimita' della delibera n. 6 del 2018, che in estrema sintesi si possono ricondurre alle seguenti argomentazioni. 1.4.1. Sotto un primo profilo, in particolare, ritenendo che il vitalizio sia da ricondurre alle indennita' parlamentari, delle quali condividerebbe finalita' e natura giuridica, e' stata eccepita la violazione della riserva di legge di cui all'art. 69 della Costituzione. A tale proposito e' stato richiamato il parere del Consiglio di Stato del 26 luglio 2018, nel quale sarebbe manifestata una preferenza per una disciplina in via legislativa della materia de qua, e cio' ai fini di tutela giurisdizionale e tenuto conto anche sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale n. 262 del 2017 - della problematicita' dell'estensione dell'autodichia a terzi. Sono stati inoltre avanzati dubbi sulla natura regolamentare o provvedimentale della delibera impugnata. 1.4.2. Sotto altro profilo, la delibera de qua si porrebbe in contrasto con l'art. 25 della Costituzione. Considerato il carattere sanzionatorio della delibera n. 6 del 2018, questa non potrebbe avere carattere retroattivo ma dovrebbe essere sottoposta al principio di stretta legalita'. 1.4.3. Un altro gruppo di censure si ricollega alla riserva di legge in materia di prestazioni patrimoniali ai sensi dell'art. 23 della Costituzione e dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali; nell'eccepire la violazione del principio per cui nessuna prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta se non in base alla legge, si rileva che sostanzialmente l'assegno, una volta entrato a far parte del patrimonio del percettore, non potrebbe essere oggetto di decurtazione in carenza di un'espressa previsione di legge. 1.4.4. La deliberazione in oggetto viene poi contestata sotto il profilo della carenza di motivazione, in violazione degli articoli 97 e 117 della Costituzione. E' stata richiamata a tale proposito la giurisprudenza della Corte costituzionale che, in situazioni analoghe di interventi a carattere eccezionale, ha subordinato la legittimita' degli stessi ad alcuni limiti di legittimita', quali in particolare: carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, conforme allo scopo prefissato, temporalmente limitato, dei sacrifici richiesti, nonche' la sussistenza di esigenze di contenimento della spesa pubblica. 1.4.5. In relazione agli articoli 2, 3, 97 e 117 della Costituzione, e' stato segnalato lo scostamento dal principio - recepito in giurisprudenza e di derivazione comunitaria - dell'intangibilita' dei diritti acquisiti e della certezza e stabilita' dei rapporti giuridici quale forma di tutela del legittimo affidamento, principio a cui farebbe riferimento anche il citato parere del Consiglio di Stato del 2018; che richiama la giurisprudenza costituzionale in materia di diritti previdenziali. 1.4.6. In rapporto agli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione si e' eccepito il fatto che la deliberazione de qua, intervenendo ora per allora, avrebbe creato una disparita' di trattamento fra senatori cessati dal mandato, impossibilitati ad attenuare l'impatto della portata innovativa della delibera stessa, e senatori ancora in carica, che avrebbero la possibilita' di effettuare invece una scelta consapevole in conseguenza del nuovo quadro normativo. La deliberazione avrebbe poi dovuto considerare il reddito complessivo percepito dall'interessato, distinguendo la posizione degli ex senatori che hanno svolto altri incarichi elettivi a livello regionale o nell'altro ramo del Parlamento e la posizione degli ex senatori che fruiscano o meno di altre prestazioni previdenziali. E' stata quindi segnalata la disparita' tra la generalita' dei lavoratori - per la quale il metodo contributivo e' stato adottato a partire dal 1° gennaio 2012 - e gli ex senatori, per i quali la deliberazione in esame estende retroattivamente il metodo contributivo pur avendo cessato da tempo il loro mandato. Si sono quindi lamentate alcune illegittimita' sul piano fiscale ed in particolare i profili inerenti alle imposte dirette gia' trattenute dal Senato quale sostituto d'imposta: cambiando la configurazione giuridica del vitalizio e rientrando le trattenute previdenziali nel disposto dell'art. 51 del TUIR, gli importi di quanto versato a titolo di imposta dovrebbero essere restituiti con interessi e rivalutazione. Inoltre, sono stati censurati i coefficienti di trasformazione, di cui alla tabella 1 della delibera; in particolare, la deliberazione de qua farebbe un'irrazionale ed errata applicazione dei coefficienti di trasformazione e dei criteri di calcolo probabilistici - che dovrebbero ordinariamente essere legati ad eventi futuri ed aleatori - riferendoli al passato. E' stato peraltro evidenziato che, secondo i criteri di calcolo introdotti dalla deliberazione, viene maggiormente colpito chi oggi e' piu' anziano. 1.4.7. Ulteriori motivi di censura riguardano i trattamenti di reversibilita', per i quali si e' in particolare sottolineata la maggior gravita' della violazione dell'affidamento, in quanto derivanti dal versamento di contribuzione volontaria. 1.4.8. Altri profili di censura hanno rimarcato la mancata considerazione di periodi di «sospensione» nell'erogazione dell'assegno vitalizio per assunzione di incarichi incompatibili, di cui la delibera avrebbe dovuto tener conto nella elaborazione dei coefficienti di trasformazione. 1.5. L'Amministrazione del Senato si e' costituita in tutti i giudizi, deducendo innanzitutto l'infondatezza delle questioni preliminari inerenti al difetto di giurisdizione per violazione degli articoli 6 e 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, anche in virtu' di quanto gia' affermato nel 2009 dalla Corte europea con la sentenza «Savino ed altri c. Italia» e dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 262 del 2017; 1.5.1. In relazione alle doglianze inerenti alla violazione dell'art. 69 della Costituzione, l'Amministrazione resistente ha richiamato il parere del Consiglio di Stato del 26 luglio 2018, che ha fatto riferimento alla possibilita' di ricorso allo strumento del regolamento minore da parte delle Camere nel disciplinare il trattamento economico di quiescenza dei parlamentari. 1.5.2. In merito alle lamentate violazioni del principio di irretroattivita' delle misure afflittivo-sanzionatorie, nonche' del principio di certezza del diritto e di tutela dell'affidamento, l'Amministrazione resistente, alla luce del menzionato parere del Consiglio di Stato e della giurisprudenza costituzionale, ha ritenuto che la riforma in esame non abbia una portata retroattiva, esplicando i suoi effetti solo per il futuro (dal 1° gennaio 2019), senza incidere sulle prestazioni gia' erogate; ha peraltro escluso che essa abbia finalita' punitive. Con riguardo alla tutela dell'affidamento, l'Amministrazione ha osservato che esso costituisce un limite generale, ma non incondizionato alla retroattivita' delle leggi, potendo recedere al cospetto di altre esigenze inderogabili. Ha infine rammentato che il principio di irretroattivita' delle leggi e' intangibile soltanto in materia penale. 1.5.3. In relazione alle censure inerenti alla violazione dell'art. 23 della Costituzione, l'Amministrazione resistente ha eccepito che la deliberazione de qua non configura una prestazione patrimoniale non prevista dalla legge, ma un ricalcolo - a partire dal 1° gennaio 2019 - dell'importo del vitalizio effettuato con il metodo contributivo. 1.5.4. Con riguardo all'affermata violazione degli articoli 3, 97 e 117 della Costituzione, e in particolare del principio generale dell'obbligo di motivazione, l'Amministrazione del Senato ha obiettato innanzitutto che, avendo la deliberazione impugnata natura normativa e non amministrativa, non e' necessaria una motivazione espressa. Ha comunque evidenziato che la ratio del provvedimento e' rintracciabile per relationem nella deliberazione «gemella» n. 14 adottata dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del 12 luglio 2018 e' richiamata nel preambolo della deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato. 1.5.5. La resistente ha inoltre respinto gli ulteriori profili di illegittimita' della deliberazione impugnata invocati in relazione alla violazione degli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione. In particolare, per cio' che attiene alle doglianze relative ai profili fiscali, ha replicato che trattasi di materia non rientrante nella giurisdizione degli organi di autodichia delle Camere, bensi' in quella della competente autorita' tributaria, mentre per quanto riguarda la contestazione della deliberazione nella parte in cui ha definito il criterio di calcolo del montante contributivo e la tabella con i coefficienti di trasformazione, ha rinviato all'audizione del Presidente dell'INPS del 3 ottobre 2018 da parte del Consiglio di Presidenza, richiamata nel preambolo della deliberazione de qua. 1.6. La Commissione contenziosa, dopo aver deliberato di procedere all'esame congiunto delle istanze cautelari e del merito dei ricorsi e previa riunione dei giudizi in considerazione della connessione oggettiva, in data 25 giugno 2020 ha assunto la decisione n. 660, depositata il 30 settembre 2020, oggetto della presente impugnativa. Dopo aver dichiarato l'estinzione di alcuni giudizi per rinuncia, dichiarato ammissibili tutti i ricorsi e gli interventi ad adiuvandum ed inammissibile per difetto di legittimazione un intervento ad opponendum spiegato dal CODACONS e dalla Associazione art. 32-97, la Commissione contenziosa, «viste le ordinanze delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 18265 e n. 18266 dell'8 luglio 2019, che hanno riconosciuto sostanzialmente la natura giuridica di pensione dell'assegno vitalizio percepito dagli ex parlamentari» e «richiamate le sentenze della Corte costituzionale n. 822 del 1988, n. 264 del 2012, n. 116 del 2013 e n. 108 del 2019, che hanno dettato diversi requisiti di legittimita' per gli interventi riduttivi sulle pensioni» ha parzialmente accolto i ricorsi, annullando per l'effetto le disposizioni della deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 nella parte: «a) in cui prevedono una totale rimozione dei provvedimenti di liquidazione a suo tempo legittimamente adottati e impongono una nuova liquidazione, che introduce criteri totalmente diversi, intervenendo cosi' sull'atto genetico del diritto e non sul rapporto, peraltro, anche in contrasto con quanto specificamente previsto dagli articoli 4, comma 1, del regolamento delle pensioni dei senatori del 2012 e III delle relative disposizioni transitorie; b) in cui prevedono il ricalcolo dell'ammontare degli importi mediante la moltiplicazione del montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'eta' anagrafica del senatore alla data di decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata, anziche' alla data di decorrenza dell'entrata in vigore della deliberazione n. 6 del 2018; c) in cui prevedono dei coefficienti di trasformazione che determinano sensibili riduzioni, con incidenza sulla qualita' della vita, degli importi di minore entita', senza alcun effetto su quelli di importo massimo; d) in cui prevedono criteri di correzione e di temperamento dei risultati del citato ricalcolo e, comunque, non idonei ad eliminare le conseguenze piu' gravi derivanti dall'applicazione del metodo adottato, come ha gia' ritenuto con sentenza n. 2 del 22 aprile 2020 il Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati che ha annullato il comma 7 della deliberazione dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati, avente identico contenuto del comma 7 della deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica; e) in cui, applicando gli stessi criteri anche ai trattamenti di reversibilita', non tengono conto del fatto che tali trattamenti sono gia' stati decurtati rispetto agli assegni diretti del 40 per cento e che l'ulteriore riduzione prevista incide gravemente sulla qualita' della vita». La Commissione ha infine precisato che «resta di competenza dell'Amministrazione l'eventuale adozione di integrazioni e di correzioni dell'impugnata delibera, conseguenti alla decisione odierna». 2. Secondo grado di giudizio. 2.1. In data 8 ottobre 2020, l'Amministrazione del Senato, rappresentata dal Segretario generale, ha presentato appello avverso la decisione n. 660 del 2020, con contestuale richiesta di sospensione cautelare. 2.2. Con decreto del 21 ottobre 2020, Prot. n. 28/CG/P il Presidente del Consiglio di garanzia, in considerazione dello stato di emergenza connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, prorogato con la delibera del Consiglio di Ministri 7 ottobre 2020, ha disposto che la seduta dedicata alla trattazione dell'udienza cautelare si svolgesse mediante il deposito di note di udienza riferite esclusivamente alla citata istanza cautelare, considerando presente ad ogni effetto il difensore che depositasse tali note. All'udienza del 29 ottobre 2020 il Consiglio di garanzia - esaminate le note di udienza e/o le memorie depositate sia dall'Amministrazione del Senato che da numerosi appellati (alcune con contestuali appelli incidentali) - ha accolto l'istanza di sospensione formulata dall'appellante (decisione n. 237 del 2020). 2.3. Successivamente, sia l'Amministrazione appellante che diversi resistenti hanno depositato ulteriori memorie (alcune delle quali contenenti appello incidentale) e documenti. Nelle sedute del 2 febbraio, 16 febbraio, 2, 17, 30 e 31 marzo 2021 sono intervenute - anche in modalita' da remoto, secondo quanto disposto con decreto n. 31 del 3 dicembre 2020 dal Presidente del Consiglio' di garanzia in considerazione dell'emergenza epidemiologica - le parti costituite. 2.4. All'udienza del 31 marzo 2021 il Collegio si e' riservato la decisione, assunta nella Camera di consiglio del 22 dicembre 2021. 2.5. Si fa presente che in data 4 dicembre 2020 e' pervenuto alla segreteria del Consiglio di garanzia atto di rinuncia al ricorso avverso la delibera n. 6 del 2018 da parte dell'onorevole Omissis. In estrema sintesi, si riporta il contenuto dei motivi di appello addotti dall'appellante Amministrazione, delle controdeduzioni di merito delle parti resistenti costituitesi nel presente grado di giudizio, nonche' degli appelli incidentali proposti. 3. Appello dell'Amministrazione del Senato. Nel merito, l'appello dell'Amministrazione del Senato e' affidato ai seguenti motivi di diritto: 1. Error in iudicando, carenza e contraddittorieta' della motivazione della decisione appellata con riferimento alla nuova liquidazione dei trattamenti previdenziali sulla base di criteri diversi da quelli originari. Sotto tale profilo l'appellante ha sostenuto che la deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 non sia intervenuta sull'atto genetico del diritto, ma soltanto sul rapporto; l'intervento, infatti, non ha comportato il recupero delle somme gia' erogate, ma, il suo effetto ha avuto una decorrenza posticipata di due mesi e mezzo rispetto alla sua adozione, riguardando soltanto le mensilita' da erogare a partire dal gennaio 2019. Argomentando dallo scrutinio effettuato dal Consiglio di Stato nel parere del 26 luglio 2018 (il quale ha richiamato anche l'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali), nonche' dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, l'Amministrazione ha ribadito anche nel presente grado di giudizio che il principio di irretroattivita' delle leggi e' intangibile soltanto in materia penale. Al di fuori di questo perimetro di assoluta intangibilita', i criteri di riferimento generali (desumibili dalla giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di affidamento) sembrerebbero. essere i seguenti: e' possibile incidere sulle situazioni sostanziali poste dalla normativa precedente - cioe' sull'affidamento al mantenimento della condizione giuridica gia' maturata - solo allorche' la nuova disciplina sia razionale e non arbitraria, non pregiudichi in modo irragionevole la situazione oggetto dell'intervento e sussista una causa normativa adeguata e giustificata da un'inderogabile esigenza di intervenire o da un interesse pubblico generale, entrambi riguardati alla luce della consistenza giuridica che ha assunto in concreto l'affidamento. Tali elementi di legittimita' sarebbero rinvenibili nella deliberazione impugnata. Viene peraltro osservato che - pur avendo la disposizione regolamentare oggetto del giudizio natura normativa, e quindi non necessitando di una motivazione espressa - tuttavia e' possibile risalire all'esigenza cui essa ha inteso porre rimedio, attraverso i lavori preparatori della deliberazione n. 14 del 2018, adottata dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati e richiamata nel preambolo di quella del Senato. 2. Carenza e contraddittorieta' della motivazione della decisione appellata con riferimento alle critiche alle modalita' tecniche di ricalcolo dell'ammontare degli importi mediante la moltiplicazione del montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'eta' anagrafica del senatore alla data di decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata, nonche' con riferimento alle sensibili riduzioni degli importi di minore entita'. Le conclusioni della decisione impugnata vengono censurate rammentando che la deliberazione n. 6 del 2018 fu preceduta da una lunga istruttoria effettuata in collaborazione con la Camera dei deputati - ove in particolare vi fu un carteggio molto fitto con il Presidente dell'INPS e, per tramite di quest'ultimo, anche con l'ISTAT - a cui fece seguito l'audizione diretta del Presidente dell'INPS da parte del Consiglio di Presidenza; quest'ultimo; secondo l'appellante, trovando conforto anche nel contributo dell'ISTAT, avrebbe spiegato come la metodologia adottata sia la migliore possibile, tenuto conto delle peculiarita' del sistema previdenziale degli ex parlamentari, per rendere quest'ultimo il piu' possibile omogeneo alle regole contributive introdotte nel nostro ordinamento pensionistico a meta' degli anni novanta per tutti gli altri contribuenti italiani. Quanto agli effetti di riduzione degli importi che incidono in misura maggiore sui trattamenti previdenziali di minore entita', viene osservato che si tratta anche in questo caso di una conseguenza connaturata al regime contributivo, in quanto gli importi piu' elevati degli assegni vitalizi corrispondono a periodi molto lunghi di esercizio del mandato parlamentare e, quindi, di contribuzione. 3. Carenza e contraddittorieta' della motivazione della decisione appellata con riferimento alle critiche ai criteri di correzione e di temperamento dei risultati del ricalcolo del trattamenti previdenziali per la loro presunta inidoneita' ad eliminare le conseguenze piu' gravi derivanti dall'applicazione del metodo adottato. Sotto tale profilo l'Amministrazione, dopo aver richiamato preliminarmente il comma 7 dell'art. 1 della delibera n. 6, del 2018, ha precisato che la sentenza, n. 2 del 22 aprile 2020 del Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati (citata nella decisione della Commissione contenziosa) e' espressamente di natura interlocutoria e non definitiva, nonche' oggetto di appello da parte dell'Amministrazione di quel ramo del Parlamento; inoltre, ha rilevato che la Commissione contenziosa (diversamente dall'omologo organo della Camera) non avrebbe indicato quale potrebbe essere un metodo alternativo per temperare gli effetti del ricalcolo dei trattamenti previdenziali nei casi di grave bisogno dei percettori. Da qui, secondo l'appellante, discenderebbe la lamentata carenza motivazionale addotta con l'appello. 4. Carenza e contraddittorieta' della motivazione della decisione appellata con riferimento alle critiche all'applicazione degli stessi criteri di ricalcolo dei trattamenti previdenziali anche a quelli di reversibilita'. Sotto tale profilo l'appellante ha evidenziato che non soltanto nell'ordinamento del Senato, ma anche nell'ordinamento generale le pensioni di reversibilita' scontano una riduzione percentuale rispetto alle pensioni dirette spettanti ai danti causa e che, laddove le pensioni dirette vengono ricalcolate con il metodo contributivo, tale effetto si ripercuote anche su quelle spettanti ai congiunti superstiti, rimanendo immutata la percentuale di riduzione. L'Amministrazione rilevato che, comunque, anche la questione dei trattamenti di reversibilita' e' stata oggetto degli studi preliminari effettuati dall'INPS su richiesta della Camera dei deputati e ne ha trattato il Presidente dell'Istituto nel corso della citata audizione dinanzi al Consiglio di Presidenza del Senato. 4. Controdeduzioni delle parti resistenti. 4.1. Occorre in primo luogo dar conto di alcune questioni poste in via pregiudiziale e/o preliminare. Parte dei resistenti, nel rimarcare la natura giurisdizionale e non politica dell'attivita' degli organi dell'autodichia e quindi del Consiglio di garanzia, ritiene che - in virtu' della legittimazione di quest'ultimo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale, nonche' della natura di norme primarie dei regolamenti adottati dalle Camere nell'ambito dell'autonomia ad esse attribuita dall'art. 64 della Costituzione - ove il Collegio non ritenga di esprimersi direttamente in merito ai diversi profili di illegittimita' costituzionale della delibera impugnata prospettati, debba investire della questione la Corte costituzionale. Alcune difese hanno dedotto in via pregiudiziale e/o preliminare alcuni profili di inammissibilita' del ricorso in appello e segnatamente: la carenza di formale mandato ad litem al Segretario generale da parte del Presidente del Senato, la carenza di una delibera del Consiglio di Presidenza che autorizzi il medesimo a presentare, notificare e depositare ricorso in appello in esame, l'avvenuta proposizione dell'appello stesso da parte dell'Amministrazione del Senato anziche' dal Consiglio di Presidenza, organo che ha emesso la delibera n. 6 del 2018. Sotto altro aspetto, alcuni resistenti hanno ritenuto l'appello inammissibile ove risulta essere una pedissequa riproposizione delle dichiarazioni dell'ex Presidente dell'INPS, mentre altri hanno eccepito che l'appello non si sarebbe focalizzato su tutti gli aspetti sollevati dalla decisione impugnata, ma solo su alcuni, con conseguente passaggio in giudicato di vari profili della Sentenza di primo grado. 4.2. Nel merito, le deduzioni delle parti resistenti possono essere sinteticamente e congiuntamente ricondotte alle seguenti argomentazioni. 4.2.1. Con un primo ordine di considerazioni viene sostanzialmente confutata l'affermazione dell'appellante, contenuta nel primo motivo di appello, secondo cui la deliberazione n. 6 del 2018 sarebbe intervenuta non sull'atto genetico del diritto al vitalizio, ma sul rapporto. Sotto tale profilo, viene rimarcato come la delibera non sia intervenuta esclusivamente sul quantum del trattamento, ma abbia invece radicalmente cambiato le regole utilizzate per determinarlo. In altre parole, si sarebbe dato luogo ad una riforma di sistema che ha inciso direttamente sulla disciplina sostanziale dell'istituto con effetti retroattivi, permanenti e definitivi; si eccepisce che tutti i trattamenti in corso di erogazione sono stati infatti assoggettati ad un nuovo metodo di calcolo, diverso da quello originario, con effetto ora per allora. Alcuni resistenti hanno ritenuto inconferente il riferimento operato da controparte alla possibilita' di intervento sui rapporti di durata, ponendo in luce come essa incida invece retroattivamente su un rapporto completamente esaurito, in cui la posizione sostanziale - a seguito della maturazione, liquidazione ed erogazione del vitalizio - e' gia' entrata a far parte del patrimonio degli interessati. In particolare, e' stato rilevato che il Senato, nel momento in cui nel 2012 ha emesso il regolamento delle pensioni dei senatori (con specifico riferimento all'art. 4 ed alla III disposizione transitoria) si e' autovincolato, in quanto ha affermato che trattamenti in precedenza erogati sono definitivamente acquisiti dagli interessati. La deliberazione si porrebbe altresi' in contrasto con i principi generali di certezza del diritto, della tutela dei diritti acquisiti e del legittimo affidamento in relazione a situazioni giuridiche pregresse gia' consolidate, in violazione degli articoli 3, 23, 69 (in particolare con riguardo alla riserva di legge in tema di indennita' dei parlamentari) e 117 della Costituzione. Viene peraltro osservato che la delibera impugnata incide su un diritto soggettivo perfetto qual e' quello derivante dal provvedimento di liquidazione a suo tempo prodotto. Sotto tale profilo, parte dei resistenti ritiene che il vitalizio abbia una triplice natura (di tutela della funzione del parlamentare, contrattuale e' assicurativa e lato sensu previdenziale); pur riconoscendo che dal 2012 si e' accentuata la natura previdenziale dello stesso, esclude che possa assimilarsi ad un vero e proprio trattamento pensionistico e sottolinea come la delibera impugnata non abbia soltanto operato una riduzione in via retroattiva del trattamento sino ad oggi goduto dagli interessati, sostituendo ex post un criterio di calcolo di tale trattamento con un altro meno favorevole, ma abbia preteso di trattare alla stregua di una pensione di anzianita' una prerogativa avente copertura costituzionale, che ha anche (ma non solo) funzione previdenziale e che in passato era regolata molto similmente ad un'assicurazione privata. Parte dei resistenti, nel propendere per la natura previdenziale del vitalizio, anche alla luce delle recenti pronunce della Corte di cassazione, ritengono che la delibera n. 6 del 2018 sia stata assunta in violazione dei principi posti dalla Corte costituzionale (in particolare, da ultimo, con le sentenze n. 108 del 2019 e n. 234 del 2020) per gli interventi di modifica dei trattamenti previdenziali, fra cui il carattere straordinario, le inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, il nesso di proporzionalita' tra sacrifici richiesti e ristoro del bilancio pubblico, la temporaneita'. Viene altresi' richiamata la giurisprudenza della CEDU e della Corte costituzionale, secondo cui la violazione del principio dell'affidamento e la compressione dei diritti acquisiti sono ammessi solo eccezionalmente e con motivazioni espresse adeguate, applicando un contributo di solidarieta' una tantum espressamente motivato, ragionevole nella misura, non contraddittorio, adeguato e rispettoso del principio di proporzionalita'. Nel rimarcare il legame dell'istituto dell'assegno vitalizio con l'art. 69 della Costituzione, diversi resistenti rilevano che - essendo esso una proiezione dell'indennita' parlamentare ed essendo quindi protetto dalla garanzia di cui all'art. 69 della Costituzione - la sua disciplina dovrebbe essere riservata alla fonte legislativa; viene altresi' sottolineata l'illegittimita' di una prestazione patrimoniale imposta solo agli ex parlamentari; si osserva ancora che la delibera, imponendo una sostanziale riduzione del trattamento pensionistico di questi ultimi, determinerebbe sostanzialmente un vulnus alla Costituzione atteso che l'assegna vitalizio e' posto a garanzia della loro indipendenza. Non corrisponderebbe inoltre al vero l'affermazione secondo cui il sistema contributivo sia stato e sia applicato alla «generalita' dei cittadini» in quanto - a parte gli ex parlamentari - non si rinverrebbe alcun pensionato a cui sia stata ricalcolata retroattivamente la pensione con il metodo contributivo. Sostanzialmente viene comunque eccepita dalla generalita' dei resistenti la violazione dei limiti costituzionali alla modifica in peius degli elementi costitutivi dei rapporti di durata, i quali - secondo l'insegnamento della Corte costituzionale - richiederebbero in particolare il rispetto del principio generale di ragionevolezza (che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento) la tutela dell'affidamento, l'esistenza di una causa normativa adeguata, attribuendo inoltre rilievo al grado di certezza acquisito nel tempo delle posizioni giuridiche coinvolte. In merito alla lesione del principio dell'affidamento, si rileva che nell'ordinamento previdenziale gli interventi peggiorativi hanno fatto salvi i trattamenti gia' maturati; si rimarca che l'affidamento sul vitalizio ha comportato per i parlamentari scelte di vita di varia natura, quali rinunce a carriere, incarichi o accensione di mutui o prestiti che ora non saranno piu' in grado onorare; cio' si pone in contrasto con gli insegnamenti della Corte costituzionale, nonche' con i principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Viene inoltre posta in luce la carenza motivazionale della delibera, a fronte in particolare dell'affermazione di controparte secondo cui in essa si riscontrerebbero «elementi sintomatici di legittimita'». E' stato evidenziato sotto tale profilo che, da un lato, la stessa resistente nell'affermare che la disposizione regolamentare non necessiti di motivazione espressa, ne riconoscerebbe la carenza; dall'altro, che tale carenza non puo' ritenersi colmata dal riferimento ad atti endoprocedimentali quali i lavori preparatori della delibera n. 14 della Camera dei deputati. Nel rammentare come la Corte costituzionale abbia chiarito che le misure che intervengono retroattivamente riducendo attribuzioni di natura patrimoniale debbano essere sottoposte ad uno stretto scrutinio di ragionevolezza (in quanto tese ad incidere sulla certezza dei rapporti preteriti e sul legittimo affidamento dei soggetti interessati) e' stato ribadito, alla luce della giurisprudenza della stessa Corte, che - nell'ambito di interventi quali quello in esame - risulta vieppiu' necessario indicare la «cornice finalistica» che deve estrinsecare le ragioni dell'adozione, la finalita' e gli obiettivi che esso si prefigge di raggiungere, nonche' la durata dell'intervento stesso. 4.2.2. In relazione al secondo motivo di appello - inerente alle critiche operate dalla decisione impugnata alle modalita' tecniche del ricalcolo dell'ammontare degli importi - le argomentazioni addotte dall'Amministrazione a sostegno della delibera sarebbero inammissibili ad avviso di alcuni resistenti, in quanto farebbero riferimento ad atti non depositati in giudizio e a profili motivazionali desunti aliunde. E' stato rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dall'Amministrazione del Senato, la fitta corrispondenza intercorsa tra la Camera dei deputati ed il Presidente dell'INPS, nonche' l'audizione di quest'ultimo presso il Senato dopo l'adozione della delibera «gemella» da parte della Camera, non volgano nel senso della legittimita' della metodologia adottata, ma piuttosto del fatto che - anche dopo l'emanazione del provvedimento da parte della Camera dei deputati - persistessero aspetti di dubbia legittimita'. Con particolare riguardo all'audizione del Presidente dell'INPS presso il Senato, essa dimostrerebbe che l'elaborazione fornita dall'Istituto sia solo un'ipotesi astratta, in quanto redatta senza le informazioni necessarie per fornire una reale conoscenza del sistema previdenziale degli ex parlamentari, quali la reale consistenza dei contributi versati, le integrazioni richieste per l'eventuale completamento delle legislature concluse anticipatamente, ed infine le conseguenze che la metodologia suggerita avrebbe comportato. Viene quindi escluso che la soluzione adottata sia stata la «migliore metodologia possibile», in considerazione in particolare del fatto che essa andrebbe ad incidere pesantemente sui soggetti che oggi hanno l'eta' piu' avanzata, che non sono state introdotte norme transitorie tese a limare le carenze e le distorsioni del metodo applicato e che il grado di consolidamento della situazione di fatto su cui incide la misura retroattiva e' elevato, atteso che un'alta percentuale dei percettori ha maturato il vitalizio da oltre dieci anni. Si osserva come gli ex parlamentari siano l'unica categoria nei confronti della quale e' stato operato il ricalcolo della pensione con il metodo contributivo; si sottolinea che sono stati colpiti gli ex senatori con vitalizi piu' modesti e che sono stati penalizzati coloro che hanno esercitato il mandato parlamentare in epoche molto lontane nel tempo. Con riguardo alla metodologia di calcolo, si sostiene che essa sarebbe solo in apparenza ispirata al sistema contributivo, mentre in realta' sussisterebbero rilevanti differenze con la riforma del sistema pensionistico attuata nell'ordinamento esterno (c.d. riforma Dini), la quale in primo luogo intervenne sulle pensioni ancora da maturare e non su quelle gia' maturate ed erogate, ed in secondo luogo previde una normativa transitoria. Viene ribadita in particolare l'irragionevolezza dei coefficienti di trasformazione riferiti alla decorrenza dell'assegno (ex tunc) a fronte della sperequazione che tali coefficienti applicati determinano tra i percettori dell'assegno. A tale proposito si rileva come l'essere ricorsi all'eta' anagrafica al momento del percepimento del vitalizio anziche' a quella del momento di entrata in vigore della delibera abbia portato a dare rilevanza a coefficienti di trasformazione basati non su eventi futuri ed incerti, ma su eventi gia' verificatisi e quindi certi, assegnando agli interessati la stessa aspettativa di vita di quella che avevano al momento in cui lasciarono il Parlamento e percepirono il vitalizio. Si eccepisce sotto tale profilo che la stima probabilistica su cui si basano i meccanismi previdenziali non puo' essere applicata ad eventi che si sono gia' verificati nel passato, perdendo il carattere dell'aleatorieta', elemento che contraddice i principi di fondo del sistema contributivo; inoltre, nel caso di specie il montante contributivo non e' agganciato ad un dato reale, e cioe' ai contributi effettivamente versati dai parlamentari, ma risulta essere fittizio; il rispetto del principio di ragionevolezza e di proporzionalita' avrebbe dovuto condurre a determinare ricalcolo a partire dalla data di decorrenza dell'entrata in vigore della deliberazione impugnata. Diversi resistenti hanno peraltro enucleato diverse specifiche criticita' nell'elaborazione dei coefficienti, che avrebbero tra l'altro generato disparita' di trattamento tra parlamentari e penalizzato in misura maggiore i trattamenti di minore entita'. Si rimarcano inoltre la violazione dei principi in materia fiscale e previdenziale, in conseguenza dei quali i contributi versati dagli interessati, a seguito della rideterminazione del vitalizio, dovrebbero essere considerati deducibili dalle imposte sui redditi e pertanto dar luogo alla restituzione di somme da parte dell'Erario per il pagamento di imposte non dovute, E' stato peraltro osservato come la delibera n. 6 del 2018 non abbia preso in considerazione situazioni che, per la loro peculiarita', avrebbero dovuto essere disciplinate differentemente mediante previsioni normative ad hoc, quali in particolare: il trattamento previdenziale degli ex senatori che hanno riscattato i periodi necessari alla maturazione del vitalizio o quelli mancanti per il completamento delle legislature; il trattamento previdenziale degli ex senatori che hanno svolto un precedente mandato presso la Camera dei deputati; il trattamento degli ex senatori il cui assegno vitalizio e' stato erogato e poi sospeso per la rielezione o per incompatibilita' con un incarico successivamente assunto; il trattamento degli ex senatori che hanno svolto un considerevole numero di mandati elettivi e che, dunque, hanno versato un considerevole ammontare di contributi e che si troverebbero ad avere diritto ad un vitalizio addirittura maggiorato, il quale non verra' corrisposto a causa della soglia massima prevista dalla delibera; il trattamento degli ex senatori che sono stati anche consiglieri regionali in regioni nelle quali sono previsti il divieto di cumulo od altre misure riduttive, i quali si sono trovati a subire lo stesso taglio di altri consiglieri regionali presso regioni nelle quali non e' prevista alcuna misura riduttiva; il trattamento degli ex senatori che abbiano svolto anche mandati presso il Parlamento europeo. 4.2.3. In merito al terzo motivo di ricorso - con il quale l'Amministrazione si duole della carenza motivazionale della decisione ove ha dichiarato illegittimi i commi 6 e 7 dell'articolo 1 della delibera n. 6 del 2018, recanti i criteri di correzione e di temperamento dei risultati del ricalcolo - si e' osservato che la decisione impugnata contiene un rinvio per relationem alla motivazione della decisione n. 2 del Consiglio di giurisdizione della Camera dei deputati e che comunque la Commissione ha delineato alcune direttrici di intervento. A fronte delle argomentazioni di parte appellante - la quale ha invocato il carattere di sentenza interlocutoria e non definitiva dell'organo di autodichia della Camera dei deputati - e' stato eccepito che il fatto che la sentenza n. 2 del 2020 sia una pronuncia non definitiva nulla toglierebbe alla sua immediata efficacia di annullamento del comma 7 dell'articolo 1 della citata delibera, annullamento che sarebbe stato disposto proprio sul presupposto della sua inidoneita' a garantire un efficace meccanismo di temperamento delle distorsioni derivanti dall'applicazione della delibera impugnata. E' stato inoltre rilevato come non fosse di spettanza dell'organo giurisdizionale di primo grado indicare un metodo alternativo per temperare gli effetti del ricalcolo, cio' competendo al Consiglio di Presidenza. 4.2.4. Con riguardo al quarto motivo di ricorso - il quale ha ad oggetto la parte della decisione n. 660 che annulla la delibera in ragione dell'applicazione degli stessi criteri di calcolo degli assegni vitalizi diretti a quelli di reversibilita', nonostante la decurtazione, quantificabile nell'ordine del 40 per cento, gia' disposta a carico di questi ultimi - sono state ritenute fuorvianti le argomentazioni dell'appellante, la quale ha eccepito che anche nell'ordinamento generale le pensioni di reversibilita' scontano una riduzione percentuale rispetto a quelle del dante causa. Sostanzialmente si rimarca che ricalcolo introdotto dalla delibera n. 6 del 2018 interviene sui vitalizi indiretti con gli stessi criteri di ricalcolo validi per la generalita' dei vitalizi in corso di erogazione, senza considerare che la sua applicazione va ad impattare su trattamenti gia' fortemente ridotti (in una misura pari quasi alla meta' del loro originario importo) in misura sproporzionata ed irragionevole. E' stato altresi' evidenziato come il coefficiente di trasformazione applicato sia quello dell'eta' del parlamentare al momento dell'originaria liquidazione del trattamento, con la conseguenza che, per i trattamenti di reversibilita', la loro rideterminazione sia condizionata da un evento assolutamente postumo, incerto ed imponderabile come l'eta' del congiunto al momento dell'originaria liquidazione. Un ulteriore ordine di considerazioni pone in evidenza da un lato la connotazione tipicamente assistenziale della reversibilita', dall'altro la peculiare disciplina che ha caratterizzato l'istituto dal 1993 al 2011. Si rammenta infatti che in tale periodo l'assegno di reversibilita' per familiari superstiti era oggetto di un'opzione del senatore, che pagava un contributo ad hoc, il che renderebbe particolarmente grave la violazione dell'affidamento: i senatori che decisero di versare volontariamente i contributi per la reversibilita', qualora avessero immaginato una cosi' drastica riduzione, non avrebbero versato tali contributi, ma avrebbero optato per altri strumenti assicurativi o finanziari. 4.3. Alcuni resistenti hanno infine fatto richiamo ad alcune recenti pronunce sia degli organi giurisdizionali statali, che di matrice europea, tra le quali in particolare le ordinanze della Suprema Corte di Cassazione n. 1720 del 2020 e n. 25211 del 2020 e la sentenza n. 28178 del 2020, nonche' la sentenza del 15 ottobre 2020 del Tribunale dell'Unione europea, le quali presenterebbero diversi elementi atti a suffragare le argomentazioni gia' esposte nelle proprie difese. 5. Appelli incidentali. Si da' conto, in maniera sintetica, degli appelli incidentali proposti da diversi resistenti. 5.1. I resistenti difesi dagli avvocati Felice Carlo Besostri e Giuseppe Libutti hanno rilevato che la decisione n. 660 della Commissione contenziosa ha omesso di pronunciarsi sul settimo motivo del ricorso di primo grado e sulle eccezioni sollevate con i motivi aggiunti depositati successivamente alla conoscenza della rideterminazione degli importi. In estrema sintesi, gli appellanti incidentali evidenziano che la rideterminazione del vitalizio non terrebbe conto del periodo prestato come parlamentare se non ai fini del calcolo del contributo versato, ma senza distinguere tra legislature piene e legislature riscattate, situazioni non omogenee di fatto e di diritto: si rileva che, nel caso di riscatto, non e' stata percepita dal beneficiario alcuna indennita' e tra i due casi vi e' un differente regime fiscale. Viene, inoltre rimarcata la natura pattizia sia dei vitalizi discendenti dal riscatto, sia di quelli derivanti dalla reversibilita', sia di quelli maturati sotto il regime del regolamento del 1997, tutte fattispecie nelle quali apparirebbe violato il principio pacta sunt servanda. I vitalizi provenienti da riscatto, secondo gli esponenti, non possono essere rideterminati, men che meno applicando coefficienti fondati su presupposti retroattivi. Ulteriori doglianze vengono inoltre argomentate in relazione. al comma 7 dell'articolo 1 della delibera n. 6 del 2018, nonche' all'omessa valutazione del complesso dei redditi del beneficiario nella rideterminazione del vitalizio. 5.2. Gli appellanti incidentali difesi dagli avvocati Federico Sorrentino e Aldo Sandulli, nonche' dall'avvocato Sara Calzi (per l'onorevole Omissis) e dall'avvocato Enrico Rabino (per la signora Omissis) sotto un primo profilo, hanno dedotto l'erroneita' della decisione di primo grado nella parte in cui ha rigettato il motivo di incompetenza e violazione dell'articolo 69 della Costituzione, inerente all'illegittimita' della delibera n. 6 del 2018 in quanto adottata con regolamento minore anziche' con legge. In secondo luogo, hanno eccepito il vizio di omessa pronuncia in ordine alla domanda di accertamento del diritto all'erogazione dell'assegno vitalizio diretto e di reversibilita' come previsto dalla disciplina previgente e dell'erroneita' ed illegittimita' di ogni diverso ricalcolo effettuato in applicazione della delibera impugnata. Infine, sono stati riproposti, ai sensi dell'articolo 101, comma 2, del codice del processo amministrativo, i motivi non esaminati ed assorbiti in primo grado e segnatamente: 1) Illegittimita' costituzionale della delibera anche per aver retroattivamente inciso su una prerogativa costituzionalmente garantita ai parlamentari a tutela della loro liberta' ed indipendenza (articoli 67 e 69 della Costituzione); 2) Difetto di istruttoria; 3) Radicale irragionevolezza, sul piano logico e su quello attuariale, del ricalcolo «contributivo» ex post; 4) Illegittimita' del calcolo del «montante contributivo», ricostruito in misura fittizia e sulla base di assunzioni gravemente penalizzanti; 5) Ulteriori irragionevoli assunzioni poste alla base del calcolo dei c.d. «coefficienti di trasformazione», in relazione, tra l'altro, all'aspettativa di vita e alla posizione dei superstiti; 6) Violazione degli articoli 3 e 38 della Costituzione e dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e di proporzionalita'. Violazione dell'articolo 163 del Testo unico delle imposte sui redditi. 5.3. Gli appellanti incidentali difesi dall'avvocato Lorenzo Lentini, nonche' dall'avvocato Paolo Marra (per gli eredi dell'onorevole Omissis), ferma restando l'infondatezza dell'appello principale, hanno impugnato in via incidentale la decisione di primo grado nella parte in cui: ha riconosciuto la giurisdizione della Commissione contenziosa, con estensione a loro avviso inammissibile del sistema di autodichia a soggetti che non rivestono funzioni di componenti del Senato, non sono dipendenti e, dunque, non rientrano nell'apparato servente dell'organo costituzionale; ha affermato che l'istituto del vitalizio «e' legittimamente disciplinato da fonte regolamentare parlamentare»; sotto tale profilo, la delibera n. 6 del 2018 dovrebbe essere integralmente annullata in quanto adottata in violazione della riserva di legge di cui all'articolo 69 della Costituzione e dell'articolo l del Protocollo n. l della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, il quale ha ricondotto anche i diritti di credito, segnatamente quelli rinvenienti da trattamenti retributivi, previdenziali ed assistenziali, tra i beni «protetti» che non possono essere incisi se non in base ad una fonte legislativa; non si e' pronunciata sulle domande di accertamento del diritto a conservare l'assegno vitalizio nella misura finora riconosciuta ed erogata ed alla restituzione delle somme a suo tempo trattenute sull'indennita' parlamentare dal Senato della Repubblica in veste di sostituto di imposta, oggi indebitamente ritenute, con conseguente condanna alla restituzione delle somme conseguenti; non ha accertato in modo puntuale la violazione dei principi che la Corte costituzionale ha prescritto per la legittimita' degli interventi su trattamenti pensionistici in essere, e segnatamente i principi di affidamento, ragionevolezza, straordinarieta' dell'intervento, proporzionalita' tra i sacrifici soggettivi e ristoro del bilancio pubblico, generalita', temporaneita'. 5.4. Gli appellanti incidentali difesi dagli avvocati Maurizio Paniz e Stefania Fullin hanno riproposto i motivi di ricorso e le questioni di illegittimita' costituzionale sollevate in primo grado e rimaste assorbite. Nella denegata ipotesi di accoglimento avversario, e dunque condizionatamente a tale accoglimento, viene impugnata la sentenza di primo grado laddove ha rigettato, al punto 2 della motivazione, l'eccezione di carenza di giurisdizione sulla base di «un orientamento giurisprudenziale autorevole e confermato, da ultimo, dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18265 e 18266 del 2019». Sotto tale profilo viene in particolare argomentata la non idoneita' del «Regolamento del Senato della Repubblica sulla tutela giurisdizionale relativa ad atti e provvedimenti amministrativi non concernenti i dipendenti» a garantire il diritto fondamentale ad un giusto processo, come consacrato dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, la violazione della riserva di legge di cui all'articolo 111 della Costituzione, nonche' del diritto di eguaglianza tutelato dall'articolo 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dall'articolo 3 della Costituzione. 5.5. L'onorevole Omissis propone appello incidentale, relativamente a tutte le richieste avanzate con il ricorso di primo grado. 5.6. L'onorevole Omissis , nella denegata ipotesi di ritenuto accoglimento anche parziale dell'appello, ha chiesto in via incidentale che il Collegio dichiari che la presente controversia e' sottratta all'autodichia del Senato della Repubblica e ritenga il difetto di giurisdizione della Commissione contenziosa. In particolare, egli ritiene che il punto 2 delle motivazioni della decisione n. 660 (nel quale il Collegio di primo grado ha ritenuto la propria giurisdizione) si ponga in contraddizione con il punto 7 delle stesse, laddove il vitalizio e' qualificato quale parte dell'indennita' parlamentare, che trova la sua fonte nella legge n. 1261 del 1965 ancorata all'articolo 69 della Costituzione. 5.7. Gli onorevoli Omissis , Omissis e Omissis , in via incidentale chiedono che la decisione n. 660 del 2020 sia modificata in relazione al motivo di ricorso - entrato a far parte della sentenza ma non scrutinato dalla Commissione in sede di motivazione della decisione stessa - inerente alla scelta di aver posto mano alla vicenda con regolamento e non con legge ordinaria; chiedono inoltre il rinvio della delibera al vaglio della Corte costituzionale per violazione degli articoli 3, 38, 51 e 53 della Costituzione. 5.8. L'onorevole Omissis ha proposto appello incidentale finalizzato ad ottenere la liquidazione delle spese e compensi giudiziali del primo grado di giudizio, ritenendo non sussistenti le condizioni per procedere alla loro compensazione, in considerazione soprattutto della soccombenza dell'Amministrazione del Senato. 5.9. L'onorevole Omissis e la signora Omissis hanno riproposto i motivi di ricorso dichiarati assorbiti in primo grado e articolato altresi': appello incidentale autonomo, con riferimento ai motivi rigettati, anche implicitamente, dalla decisione della Commissione contenziosa; appello incidentale condizionato, quanto all'eccezione di difetto di giurisdizione avanzata in via pregiudiziale nel ricorso di primo grado e rigettata dalla Commissione stessa per la denegata ipotesi in cui venisse accolta l'impugnazione principale dell'Amministrazione e rigettata quella incidentale autonoma. 6. Replica dell'Amministrazione del Senato. Per completezza di esposizione si riferiscono in estrema sintesi alcuni profili espressi dall'appellante Amministrazione con la memoria di replica depositata il 17 marzo 2021 e nell'intervento svolto nella seduta del 31 marzo 2021. In merito ai profili di inammissibilita' del ricorso in appello, l'appellante ha richiamato l'articolo 87, comma 1 del Testo unico, il quale dispone che la rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza dell'Amministrazione del Senato spettino al Segretario generale, o al consigliere parlamentare da esso delegato; tale disposizione integrerebbe in tal modo un caso di rappresentanza ex lege, che non necessita di apposito mandato. Ha peraltro osservato che il comma 2 dello stesso articolo prevede la facolta' dell'Amministrazione di farsi rappresentare e assistere da un avvocato dello Stato o da avvocati liberi professionisti. Con riguardo al merito, l'Amministrazione ha rimesso all'apprezzamento del Collegio due recenti decisioni del Tribunale dell'Unione europea sulla medesima materia oggetto del presente contenzioso, rese successivamente al deposito del ricorso n. 288 e segnatamente la sentenza del 15 ottobre 2020, la quale ha respinto i ricorsi presentati contro il Parlamento europeo nelle cause riunite T-389/19 ed altre, e la sentenza 10 febbraio 2021 con la quale e' stato respinto il ricorso contro il Parlamento europeo nelle cause riunite T-345/19 ed altre; l'orientamento giurisprudenziale eurounitario riassunto nelle due sentenze (riferite alla deliberazione n. 14 del 2018 dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati), dimostrerebbe che l'intervento disposto dalla due Camere sui trattamenti previdenziali degli ex parlamentari non abbia violato il legittimo affidamento. L'Amministrazione ha ribadito che l'intervento introdotto con la delibera del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 e' razionale, non arbitrario ed ispirato all'obiettivo dell'equita' sociale. In questa prospettiva, la tutela del principio del legittimo affidamento - come si ricava anche dalla suddetta giurisprudenza - non assurge a limite da tutelare ad ogni costo ed incondizionatamente. Ne consegue la necessita' di un contemperamento rispetto a posizioni giuridiche a soddisfazione mediata - come quelle in esame - sulle quali e' possibile incidere con misure non arbitrarie e quindi legittime. 7. Ulteriori istanze di natura cautelare. 7.1. Con istanza presentata il 9 settembre 2021 e trasmessa all'Amministrazione del Senato il 10 settembre 2021, l'onorevole Omissis - considerate le gravi ragioni derivanti da un aggravamento delle proprie condizioni di salute - ha chiesto al Presidente del Consiglio di garanzia o, in subordine, al Collegio, di disporre, inaudita altera parte o, in subordine, previa fissazione di apposita udienza, in via cautelare e d'urgenza la disapplicazione o, comunque, la sospensione dell'efficacia della delibera del Consiglio di Presidenza 16 ottobre 2018, n. 6, nonche' il ripristino della corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio, con condanna del Senato della Repubblica all'immediata sua ricostituzione e versamento dei relativi importi, compresi gli arretrati trattenuti. Il Presidente del Consiglio di garanzia, con decreto del 15 settembre 2021 Prot. n. 47/CG/P ha disposto in via monocratica che nei confronti del ricorrente onorevole Omissis fosse ripristinata la corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio a decorrere dalla data di deposito dell'istanza (9 settembre 2021). Il Collegio, convocato per la trattazione definitiva dell'istanza, con decisione n. 246, depositata il 28 ottobre 2021, ha confermato il provvedimento presidenziale del 15 settembre 2021, riservandosi di decidere sulle spese all'esito della decisione dell'appello sulla decisione n. 660 della Commissione contenziosa. 7.2. Con istanza depositata il 22 settembre 2021 e trasmessa all'Amministrazione del Senato in pari data, la signora Omissis , nella sua qualita' di figlia del fu senatore Omissis - considerate le gravi ragioni addotte dall'istante, corroborate da probatoria documentazione - ha chiesto al Consiglio di garanzia di voler revocare, limitatamente alla posizione della stessa, la decisione cautelare n. 270 del 29 ottobre 2020 con ogni conseguente pronuncia. Il Presidente del Consiglio di garanzia, con decreto del 23 settembre 2021 Prot. n. 48/CG/P, ha disposto in via monocratica che nei confronti della ricorrente signora Omissis fosse ripristinata la corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio di reversibilita' a decorrere dalla data di deposito dell'istanza (22 settembre 2021). Il Collegio, convocato per la trattazione definitiva dell'istanza, con decisione n. 245, depositata il 28 ottobre 2021, ha confermato il provvedimento presidenziale rinviando alla decisione definitiva la pronuncia sulle spese. 7.3. Con istanza depositata in data 7 ottobre 2021 e trasmessa all'Amministrazione del Senato 1'8 ottobre 2021 l'onorevole Omissis - facendo in particolare riferimento all'aggravamento delle condizioni di vita ed economiche della ricorrente e della propria famiglia - ha chiesto al Presidente del Consiglio di garanzia o, in subordine, al Collegio, di disporre inaudita altera parte oppure, in subordine, previa fissazione di apposita udienza, in via cautelare e di urgenza la disapplicazione o comunque la sospensione dell'efficacia della delibera del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018, nonche' il ripristino della corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio. Con decisione n. 247, depositata il 28 ottobre 2021, il Consiglio di garanzia ha accolto la richiesta cautelare disponendo per l'effetto il ripristino della corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio a decorrere dalla data di deposito dell'istanza (7 ottobre 2021), riservandosi di decidere sulle spese all'esito della decisione dell'appello sulla decisione n. 660 della Commissione contenziosa. 7.4. Con istanza depositata l'8 ottobre 2021 e trasmessa all'amministrazione in pari data l'onorevole Omissis - facendo in particolare riferimento alle proprie condizioni di salute e agli impegni economici assunti precedentemente al ricalcolo del vitalizio - ha chiesto al Presidente del Consiglio di garanzia o, in subordine, al Collegio, di disporre inaudita altera parte oppure, in subordine, previa fissazione di apposita udienza, in via cautelare e di urgenza la disapplicazione o comunque la sospensione dell'efficacia della delibera del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018, nonche' il ripristino della corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio. Con decisione n. 248, depositata il 28 ottobre 2021, 11 Consiglio di garanzia ha accolto la richiesta cautelare disponendo per l'effetto il ripristino della corresponsione dell'originaria misura dell'assegno vitalizio a decorrere dalla data di deposito dell'istanza (8 ottobre 2021), riservandosi di decidere sulle spese all'esito della decisione dell'appello sulla decisione n. 660 della Commissione contenziosa. Ricorso n. 289 (onorevole Omissis). 8. Trattazione da parte della Commissione contenziosa. 8.1. L'onorevole Omissis ha impugnato la deliberazione n. 6 del 2018 in due diversi giudizi di primo grado: il primo, aderendo ad altro ricorso collettivo, il secondo (ricorso n. 1547 depositato il 20 giugno 2019) in via autonoma, prospettando una specifica illegittimita' correlata alla propria posizione personale ed inerente all'interpretazione ed applicazione dei c.d. coefficienti di trasformazione del montante contributivo. Si rammenta che l'onorevole Omissis ha maturato il diritto alla corresponsione del vitalizio nell'anno ; l'erogazione del vitalizio gli e' poi stata sospesa per due volte, dal ... al ... e dal ... al ..., in relazione a due mandati parlamentari presso il Senato della Repubblica. 8.1.1. Con il ricorso individuale il ricorrente ha in particolare eccepito che l'articolo 2, comma 7, della deliberazione n. 6 del 2018 - il quale prevede che «Nel caso in cui, dopo la data di maturazione dell'assegno vitalizio, siano stati versati dal senatore ulteriori contributi in relazione allo svolgimento di un successivo mandato parlamentare, i contributi medesimi concorrono a formare un nuovo e diverso montante, che viene trasformato applicando i coefficienti di trasformazione corrispondenti all'eta' anagrafica del senatore alla data di cessazione dal successivo mandato. La prestazione cosi' determinata si somma alla precedente gia' maturata» - produrrebbe una distorsione nei meccanismi di calcolo del trattamento spettante. L'onorevole Omissis ha ritenuto che gli «eventi di sospensione» - tipici dell'ordinamento delle Camere e peculiari rispetto al sistema previdenziale generale - non possano essere ignorati nel calcolo dei coefficienti di trasformazione. A suo avviso, laddove l'erogazione sia sospesa per periodi piu' o meno lunghi, occorrerebbe modificare il coefficiente in senso piu' favorevole al beneficiario in quanto, in caso di sospensione, gli anni per i quali il montante contributivo sara' «spalmato» tra la data di pensionamento e la morte si riducono; la pensione dunque, secondo l'onorevole Omissis, dovrebbe essere correlativamente aumentata. 8.2. L'Amministrazione resistente, costituitasi in giudizio, ha sostenuto l'infondatezza nel merito del ricorso, osservando che la disposizione di cui al comma 7 dell'articolo 2 della deliberazione in questione, disposizione riguardante specificamente il caso del ricorrente, e' stata oggetto di un'approfondita istruttoria previa alla sua adozione. La resistente ha richiamato in proposito il testo dell'audizione del Presidente dell'INPS effettuata dal Consiglio di Presidenza del Senato il 3 ottobre 2018, dove e' stata a suo avviso chiaramente affrontata la questione delineata dal ricorrente. 8.3. Con decisione n. 661, assunta il 23 luglio e depositata il 30 settembre 2020, l'organo di primo grado, previa riunione con altro ricorso per connessione oggettiva, ha definito il ricorso individuale dell'onorevole Omissis, cosi concludendo: «La Commissione contenziosa prende atto del fatto che una parte delle richieste piu' generali avanzate dai ricorrenti sono gia' state esaminate nell'ambito della precedente decisione del 25 giugno 2020, che fra l'altro ha riguardato direttamente [...] l'onorevole Omissis (ricorso collettivo n. 1044) e in particolare la parte del dispositivo che ha annullato le disposizioni della deliberazione del Consiglio di Presidenza del Senato della Repubblica n. 6 del 16 ottobre 2018, nella parte in cui prevedono il ricalcolo dell'ammontare degli importi mediante la moltiplicazione del montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'eta' anagrafica del senatore alla data di decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata, anziche' alla data di decorrenza dell'entrata in vigore della deliberazione n. 6 del 2018; ribadisce che spetta all'Amministrazione l'eventuale individuazione di criteri matematici diversi e piu' equi circa le modalita' di calcolo dei contributi versati in periodi differenti tra una prima cessazione del mandato parlamentare ed una successiva e non immediata elezione in una delle due Camere, trattandosi di scelte discrezionali, estranee alle competenze della giurisdizione e pertanto rigetta i ricorsi per tale ultima questione». 9. Secondo grado di giudizio. 9.1. In data 27 ottobre 2020 l'onorevole Omissis ha impugnato la citata decisione n. 661 del 2020 per i seguenti motivi di diritto: 1. Violazione dell'articolo 295 del codice di procedura civile, in quanto, pur avendo la Commissione contenziosa rilevato l'esistenza un rapporto di pregiudizialita' tra la decisione n. 660 del 2020 e la presente controversia, non ha sospeso il giudizio, creando un pregiudizio al proprio diritto alla difesa. 2. Contraddittorieta' della pronuncia con riferimento al rapporto tra la decisione n. 660 del 2020 ed il presente giudizio. 3. Contraddittorieta' della pronuncia con riferimento all'unico motivo di ricorso rubricato «Violazione dell'articolo 3 della Costituzione e del principio di eguaglianza. Errore di fatto nell'utilizzo del coefficiente di trasformazione relativo all'anno di pensionamento, senza tenere conto del periodo di sospensione del vitalizio». L'onorevole Omissis ha, chiesto la riforma della decisione impugnata e l'accertamento del proprio diritto al ricalcolo del trattamento previdenziale, ove occorra previa disapplicazione o annullamento degli atti indicati nell'epigrafe del ricorso, facendo applicazione di un coefficiente di trasformazione che tenga conto dei periodi di sospensione di erogazione del vitalizio. 9.2. In data 17 novembre 2020 si e' costituita in giudizio l'Amministrazione del Senato la quale, richiamandosi a quanto gia' svolto in sede di appello della decisione n. 660, cui sostanzialmente rinvia la decisione n. 661 del 2020, ha ribadito le argomentazioni gia' espresse nel primo grado di giudizio. 9.3. In data 18 novembre 2020 l'onorevole Omissis ha depositato istanza cautelare chiedendo - in considerazione, in particolare, delle esigenze connesse con le condizioni di salute proprie e della consorte - la sospensione degli effetti della deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 nei propri confronti. 9.4. All'udienza del 2 febbraio 2021, convocata per l'esame congiunto dell'istanza sospensiva e del merito del ricorso, su richiesta della difesa dell'onorevole Omissis - la quale ha precisato che l'oggetto del ricorso in esame e' connesso con i profili affrontati anche nell'ambito del ricorso n. 288 - con il concorde avviso della controparte, e' stata disposta la trattazione congiunta del presente ricorso con il procedimento n. 288. Motivi della decisione 1. Preliminare ad ogni valutazione circa la legittimita' della delibera del Consiglio di Presidenza e' individuazione della natura dei vitalizi parlamentari. Sul punto e' diffusa l'opinione che tali trattamenti economici siano ormai del tutto assimilabili alle pensioni, e che tale tesi avrebbe trovato definitivo accoglimento nelle note ordinanze della Cassazione del 2019 (per tutte cfr. n. 18265 del 2019) le quali, ancorche' quale obiter dictum, avrebbero sancito tale assimilazione. Invero la questione potrebbe apparire piu' complessa da quanto possa desumersi da una ricognizione prima facie delle fonti. Pietra angolare del tema e' quanto chiarito da Corte costituzionale con la sentenza n. 289 del 1994. Scrivono i giudici delle leggi: «Tra le due situazioni (vitalizi e pensioni, ndr) - nonostante la presenza di alcuni profili di affinita' - non sussiste, infatti, una identita' ne' di natura ne' di regime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio, a differenza della pensione ordinaria, viene a collegarsi ad una indennita' di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico: indennita' che, nei suoi presupposti e nelle sue finalita', ha sempre assunto, nella disciplina costituzionale e ordinaria, connotazioni distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di pubblico impiego. La diversita' tra assegno vitalizio e pensione - pur variando in relazione alla diversa tipologia dei vitalizi previsti dalla legislazione in vigore - assume, d'altro canto, un'evidenza particolare in relazione ai vitalizi spettanti ai parlamentari cessati dal mandato, dal momento che questo particolare tipo di previdenza ha trovato la sua origine in una forma di mutualita' (Casse di previdenza per i deputati ed i senatori istituite nel 1956) che si e' gradualmente trasformata in una forma di previdenza obbligatoria di carattere pubblicistico, conservando peraltro un regime speciale che trova il suo assetto non nella legge, ma in regolamenti interni delle Camere (v. il regolamento della previdenza per i deputati, approvato il 30 ottobre 1968, con successive modificazioni, ed il regolamento per la previdenza ed assistenza ai senatori e loro familiari, approvato il 23 ottobre 1968, con successive modificazioni). L'evoluzione che, nel corso del tempo, ha caratterizzato questa particolare forma di previdenza ha condotto anche a configurare l'assegno vitalizio - secondo quanto e' emerso dai dati acquisiti presso la Presidenza delle due Camere - come istituto che, nella sua disciplina positiva, ha recepito, in parte, aspetti riconducibili al modello pensionistico e, in parte, profili tipici del regime delle assicurazioni private. Con una tendenza che di recente ha accentuato l'assimilazione del regime dei contributi a carico dei deputati e dei senatori a quello proprio dei premi assicurativi (v., in particolare, la delibera dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati n. 61/93 e del Consiglio di Presidenza del Senato n. 44/93, dove si stabilisce, a fini fiscali, di includere i contributi stessi nella base imponibile dell'indennita' parlamentare "in analogia ai premi assicurativi destinati a costituire le rendite vitalizie")». E' dunque alla luce di tale assunto che deve intendersi quanto affermato dalle citate sentenze della Cassazione allorquando chiariscono che «... se il c.d. vitalizio rappresenta la proiezione economica dell'indennita' parlamentare per la parentesi di vita successiva allo svolgimento del mandato - sebbene esso non trovi specifica menzione nella Costituzione, a differenza dell'indennita' prevista nell'art. 69 Cost. - puo' dirsi che la sua corresponsione sia sorretta dalla medesima ratio di sterilizzazione degli impedimenti economici all'accesso alle cariche di rappresentanza democratica del Paese e di garanzia dell'attribuzione ai parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano, di un trattamento economico adeguato ad assicurarne l'indipendenza, come del resto accade in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione democratica dello Stato». In altri termini: ancorche' sia vero che «gli assegni vitalizi dovuti, in dipendenza della cessazione dalla carica, a favore dei parlamentari si collegano all'indennita' di carica goduta in relazione all'esercizio di un mandato pubblico» e che tale collegamento sussiste anche tra retribuzione dovuta per rapporto di pubblico impiego e trattamento pensionistico, la diversita' a monte tra retribuzione ed indennita' non consentirebbe in modo automatico e diretto di derivare a mo' di sillogismo che anche il vitalizio sia in realta' tout court una pensione. Non a caso la Corte costituzionale chiarisce che tra vitalizi e pensioni - nonostante la presenza di alcuni profili di affinita' - non sussiste, infatti, una totale identita' di natura e di regime giuridico. La Corte costituzionale d'altra parte esclude pure che sia legittimo trattare i vitalizi come rendite vitalizie, di cui pure riconosce alcuni tratti; e simmetricamente puo' desumersi che eguale affermazione possa valere per l'automatica applicazione ai vitalizi di regole peculiari alle pensioni. Le sentenze rinvenibili sul tema definiscono quindi il perimetro entro cui rinvenire la natura dei vitalizi, ma non delineano in modo puntuale la natura ed il regime giuridico. Allo scopo un interessante spunto e' offerto da un passaggio delle citate sentenze della Cassazione. Scrivono i supremi giudici: «l'assenza di un riconoscimento economico per il periodo successivo alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo, rispetto al trattamento previdenziale ottenibile per un'attivita' lavorativa che fosse stata intrapresa per il medesimo lasso temporale». L'affermazione, in se' non errata, si fonda su un presupposto non vero, bensi' solo probabile: essa vale a condizione che il parlamentare sia stato distolto dal suo originario percorso lavorativo; si' che il vitalizio si ponga come surrogato per il mancato svolgimento delle ordinarie attivita' per il periodo di durata del munus publicum. Di converso appare infondata laddove il parlamentare non abbia svolto altre attivita', oltre quella di parlamentare, astrazion fatta dalla durata della stessa. Invero l'indicazione della Cassazione puo' utilmente impiegarsi - assunta a modello iniziale l'ipotesi di un parlamentare che abbia svolto, nella sua vita, solo un mandato pur di breve durata - per ravvisare nel vitalizio una indennita' volta a ristorare l'eletto per essere stato distolto dal suo percorso di vita, valutando anche in via forfettaria ed astratta l'eventuale perdita di altre chances. Il vitalizio, dunque, almeno nella sua fase iniziale, puo' considerarsi quale ristoro generico ed astratto per il pregiudizio esistenziale connesso allo svolgimento del mandato. Sotto questo profilo puo' ben dirsi che il vitalizio assume una funzione indennitaria per non aver vissuto una vita in tutto o in parte alternativa, ricomprese in questa quelle opportunita' non colte, talvolta irripetibili, che possono condurre ad altri ruoli e professioni, non solo eventualmente anche piu' gratificanti o redditizi (e' pero' anche vero il contrario). Si pensi a coloro i quali svolgono il loro mandato in giovanissima eta', proprio nel periodo piu' fecondo per l'inserimento nel mercato del lavoro, e quanto possa essere pregiudizievole tentare tale inserimento in anni successivi. Va da se' che la quantificazione di tale pregiudizio, riguardando un bene non direttamente misurabile in denaro e sotto questo profilo «non patrimoniale», pone all'interprete e al legislatore il problema di determinare quale somma sia idonea ad assicurare un equo ristoro. La divisata funzione indennitaria, pero', non puo' considerarsi esclusiva ed esaustiva: infatti man mano che l'attivita' politica prosegue in ragione del sopravvenire di' altri mandati, quel percorso esistenziale alternativo e temporaneo assume il ruolo di percorso principale e duraturo, sino a potersi anche estendere per un tempo pari alla durata minima del rapporto lavorativo utile alla maturazione di una vera e propria pensione. In questo caso la funzione indennitaria viene affiancata, in modo sempre maggiore, da una vera e propria funzione previdenziale. Puo' dunque affermarsi che il vitalizio e' connaturato da una duplice funzione, entrambe idonee a permeare l'intero istituto, ancorche' rispetto ai due possibili estremi si manifestino maggiormente o la prima o la seconda descritta. L'ordinamento italiano non e' estraneo ad istituti «polifunzionali»: a mo' di esempio puo' ricordarsi l'istituto della responsabilita' civile retto dalla duplice funzione sanzionatoria e compensativa. In questi casi dottrina e giurisprudenza insegnano che la disciplina applicabile va individuata non gia' all'esito di una meccanicistica operazione di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, bensi' all'esito della ricostruzione della norma del caso concreto all'esito di un ponderato bilanciamento di tutti gli interessi in gioco. A chiusura del ragionamento e al fine di una inconfutabile conferma delle conclusioni espresse sara' sufficiente citare alcuni pur brevi, ma significativi obiter dicta rinvenibili nella piu' recente giurisprudenza costituzionale relativa alla materia dei vitalizi di cui godono gli ex consiglieri regionali. Ad esempio, la Corte costituzionale (sentenza n. 108 del 2019, punto 5 del considerato in diritto), nel richiamare la propria sentenza n. 173 del 2016, precisa che si tratta di «fattispecie analoga, ma non sovrapponibile, perche' relativa alla materia previdenziale». Altresi': sempre la Consulta (sentenza n. 44 del 2021) ha affermato, in un inciso, che per il ricalcolo dei vitalizi spettanti ai consiglieri regionali cessati dal mandato non potesse venire «in considerazione la giurisprudenza costituzionale relativa alle previsioni che introducono contributi di solidarieta' o stabiliscono il blocco o la limitazione dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni». 2. La concreta disciplina dei vitalizi finisce cosi' con l'essere composita: se da un lato i regolamenti parlamentari ne definiscono le caratteristiche peculiari, dall'altro i formanti giurisprudenziali sono costretti ad attingere a diversi principi proprio in ragione della complessa natura. Prima della riforma del 2012 la funzione indennitaria appariva piu' evidente, pur concorrendo con quella previdenziale, in ragione di tre determinanti profili: l'erogazione gia' al termine del mandato o poco dopo; l'erogazione gia' all'esito dell'espletamento del mandato anche per pochi giorni (salvo il versamento dei contributi mancanti); il calcolo dell'assegno mensile secondo il metodo retributivo. Appare evidente, dunque, che a quei vitalizi non possono applicarsi tout court gli stessi principi elaborati per i trattamenti pensionistici. Di particolare rilievo e' sul punto la sentenza della Corte costituzionale sulle c.d. «pensioni d'oro» (sentenza n. 234 del 2020), le cui osservazioni devono dunque essere considerate alla luce della natura anche indennitaria dei vitalizi parlamentari. «In termini generali, la verifica di ragionevolezza e proporzionalita' di un contributo imposto ai titolari delle pensioni piu' elevate non puo' essere avulsa dalla considerazione dei gravi problemi strutturali che affliggono il sistema previdenziale italiano, la cui sostenibilita' e' tuttora affidata in un'ottica di solidarieta' a una gestione "a ripartizione", particolarmente esposta alla negativita' dell'andamento demografico: un numero sempre minore di lavoratori attivi, per di piu' spesso con percorsi lavorativi discontinui, e' chiamato a sostenere tramite i versamenti contributivi il peso di un numero sempre maggiore di pensioni in erogazione». Aggiungeva poi la Corte che alle finalita' perseguite dalla riduzione delle pensioni calcolate con metodo retributivo «non siano estranee connotazioni intergenerazionali. E' in tal senso pertinente il costante richiamo della difesa dell'INPS agli obiettivi di ricambio generazionale nel mercato del lavoro che il legislatore ha ritenuto di conseguire per il tramite del pensionamento anticipato in "quota 100", istituto che l'art. 14 del decreto-legge n. 4 del 2019, come convertito, ha introdotto in via sperimentale per il triennio 2019-2021. (...) Il prefigurato collegamento fra detta sperimentazione orientata alla mutualita' intergenerazionale e la provvista - sia pure assai modesta in termini relativi - creata mediante il prelievo di cui all'art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018 fa emergere, tuttavia, un profilo di irragionevolezza relativo alla durata del contributo, essendo quest'ultima prevista per un quinquennio. Tale durata, non solo risulta esorbitante rispetto all'orizzonte triennale del bilancio di previsione, fissato dall'art. 21 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (legge di contabilita' e finanza pubblica), ma costituisce anche un indice di irragionevolezza per sproporzione, poiche' riguarda una misura che persegue le sue finalita' proprio nell'arco del triennio». Rispetto ai vitalizi, non sembrano emergere in modo automatico e diretto alcuni presupposti necessari all'estensione del principio sopra ricordato anche ai vitalizi cosi' come disciplinati prima della riforma. Questi, innanzi tutto, non sono del tutto asserviti ad una funzione previdenziale, come gia' evidenziato. Considerata, dunque, la concorrente valenza indennitaria dei vitalizi cosi' come disciplinati prima della riforma del 2012, nonche' l'evidente necessita' di introdurre un maggior rigore nella gestione delle risorse dello Stato, puo' astrattamente valutarsi ragionevole un intervento volto a ridurre anche i vitalizi pre 2012, purche' cio' avvenga nel rispetto dei principi di rango costituzionale. Com'e' noto il maggior ostacolo che si oppone al ricorso a norme retroattive e' costituito dal principio di tutela del legittimo affidamento. Esso tuttavia presuppone come limite interno che la situazione soggettiva su cui si ripone la propria fiducia sia meritevole di tutela in quanto conforme a criteri di equita' e giustizia. Come sopra esposto i vitalizi pre 2012 apparivano quale diritto esorbitante rispetto alla stessa ratio, ancorche' duplice, che pure li sorreggeva. Ne deriva che una compressione del contenuto del diritto appare senz'altro conforme a Costituzione, purche', come anticipato, tale compressione sia operata nel rispetto dei principi costituzionali e segnatamente quelli di ragionevolezza, proporzionalita' ed eguaglianza sostanziale. 3. La delibera del Consiglio di presidenza stabilisce che i vitalizi vadano ridotti ricalcolandoli secondo il metodo contributivo. In particolare si e' previsto che: 1) si determinino i contributi erogati dai parlamentari; 2) al montante contributivo si applichino i coefficienti di trasformazione cosi' come elaborati alla bisogna dall'INPS; 3) si utilizzi l'aspettativa di vita calcolabile a far data dalla maturazione a suo tempo del diritto all'erogazione della prestazione sino al momento del ricalcolo. Se da un lato appare ragionevole estendere perpetuamente anche a ritroso gli stessi criteri utilizzati per i parlamentari eletti dal 2012 in poi, non cosi' per il criterio sub 3. L'applicazione retroattiva di una disposizione non giustifica che gli inevitabili correttivi ed adeguamenti (indispensabili laddove si dia corso ad una fictio iuris qual e' sempre la retroattivita') trasmodi nella creazione di una regola del tutto nuova finalizzata a conseguire in perpetuo la riduzione piu' onerosa possibile. Infatti, pretendere di valutare l'aspettativa di vita gia' a far data dalla pregressa maturazione del diritto vuol dire da un lato trattare in modo radicalmente differente i parlamentari in ragione di un dato del tutto occasionale qual e' l'eta' del soggetto al momento della conclusione del mandato, e dall'altro tradire il metodo della distribuzione del rischio in ragione dello scarto tra aspettativa di vita e durata effettiva della vita del singolo vitaliziato. Tale ultimo profilo appare del tutto estraneo a qualunque altra disposizione gia' nota, giacche' frutto di una crasi tra il precedente sistema, ove il vitalizio era erogato dalla cessazione del mandato o poco dopo, ma con metodo retributivo, e la regola posteriore secondo cui il vitalizio va erogato a far data dal compimento del sessantacinquesimo anno di eta', ma calcolato con metodo contributivo. Un simile criterio sarebbe stato costituzionalmente tollerabile (pur con le riserve di cui infra) se fosse stato contenuto entro ragionevoli limiti temporali, giacche' esso, seppur gravoso, avrebbe svolto una funzione compensativa rispetto ai periodi anteriori, in considerazione dei gravi problemi strutturali che affliggono la gestione delle risorse pubbliche, e cio' secondo quella ratio solidaristica di cui alla sentenza costituzionale 9 novembre 2020, n. 234. Al contrario, se imposto in perpetuo appare ne' proporzionalmente adeguato, ne' ragionevole. In realta' il Consiglio di presidenza, nell'esercizio del suo legittimo potere di modificare in modo permanente i vitalizi pre 2012 in modo da renderli omogenei a quelli erogati dopo la riforma, avrebbe dovuto tenere in conto non solo l'esigenza di contenimento della spesa pubblica, ma anche la tutela dell'interesse dei ricorrenti a subire una riduzione che fosse compatibile con la tutela dell'affidamento sul conseguimento di un assegno mensile che fosse equo, pur valutando che l'affidamento possa essersi formato sulla percezione di somme esuberanti rispetto alla natura indennitaria e previdenziale dei vitalizi stessi. La delibera in esame e' dunque illegittima nella parte in cui, nella determinazione delle somme da erogare, non ha tenuto in conto i principi costituzionali di uguaglianza sostanziale, di ragionevolezza e proporzionalita', oltre ad un contemperamento tra la tutela del legittimo affidamento e la sopravvenuta necessita' di contenimento della spesa pubblica. I suddetti principi, ove applicati alla fattispecie, avrebbero portato ad altre possibili soluzioni. Da queste considerazioni deriva che per una riduzione permanente si sarebbe dovuto utilizzare un criterio di calcolo innanzi tutto idoneo a contenere la riduzione (in alcuni casi sino all'80 per cento) dei vitalizi piu' bassi. Cio' innanzi tutto si sarebbe potuto fare prevedendo criteri correttivi piu' ragionevoli per le fasce piu' deboli, tenendo in conto, ad esempio, l'assenza di altre fonti di reddito, la necessita' di cure mediche, spese non eliminabili se non a prezzo di un maggior pregiudizio (si pensi al mutuo per una prima casa), tutto al fine di contemperare risparmio di spesa e tutela della dignita' della persona. In ordine poi al periodo di vita al quale applicare il coefficiente di trasformazione, il Consiglio di presidenza aveva a disposizione altri criteri tutti rispettosi del principio di eguaglianza sostanziale. Si valuti, ad esempio, il ricorso ad un calcolo a far data (in ogni caso) almeno dal compimento del sessantacinquesimo anno di eta' del parlamentare, oppure a far data dal 2012 in modo da applicare, pur con gli opportuni adeguamenti, la medesima regola gia' prevista sul piano generale dalla c.d. «legge Fornero». O, altresi', a far data dal giorno di adozione della delibera stessa, cosi' da contenere la retroattivita', alla quale, non dimentichiamolo, puo' farsi ricorso con misura proprio al fine di non sacrificare eccessivamente diritti progressi. Oppure, infine, si potrebbero ipotizzare «tagli lineari» in una certa percentuale per tutte le prestazioni. 4. Una volta definite in questi termini le conclusioni del Collegio, ne consegue che la relativa decisione sotto il profilo squisitamente tecnico-formale dovrebbe consistere (salvo quanto si dira' piu' innanzi), da un lato, in un accantonamento delle problematiche relative al carattere permanente del ricalcolo, con riferimento alla quale comunque non puo' sottacersi quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 44 del 2021, la quale ha ritenuto che per il ricalcolo dei vitalizi spettanti ai consiglieri regionali cessati dal mandato non dovesse considerarsi «la giurisprudenza costituzionale relativa alle previsioni che introducono cosiddetti contributi di solidarieta' o stabiliscono il blocco o la limitazione dei meccanismi di rivalutazione delle pensioni», come gia' ricordato. In ogni caso, se da una parte infatti potrebbe richiamarsi secondo alcuni la nota e gia' richiamata giurisprudenza costituzionale sulle riduzioni (solo temporanee) delle pensioni piu' alte, dall'altra parte secondo altri sarebbe invece decisiva la differenza strutturale tra le due prestazioni post attivita' e si presenterebbe comunque significativa la piu' volte richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 44 del 2021, la quale a contrario ha annullato l'art. 1, comma 12, della legge della Regione Sicilia 28 novembre 2019, n. 19, che prevedeva la limitata durata quinquennale del ricalcolo dei vitalizi spettanti agli ex deputati regionali, anziche' la loro previsione come norma a regime. Ancorche' si potrebbe contro-obiettare che i motivi dell'annullamento non hanno riguardato aspetti di stretta legittimita' sostanziale, ma piuttosto il mancato rispetto di disposizioni legislative, cui la Corte ha attribuito la natura di norme interposte qualificandole per il rango di principi di coordinamento della finanza pubblica. Sul punto questo Collegio tornera' piu' innanzi. Dall'altro lato, essa dovrebbe consistere nell'immediato (solo) in un annullamento parziale della deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica n. 6 del 16 ottobre 2018, con (esclusivo) riferimento al comma 2 dell'art. 1, riguardante criteri di rideterminazione delle prestazioni per gli ex senatori ricalcolate con metodo contributivo. Malgrado la necessita' di censurare la delibera nella parte de qua, nemmeno si devono determinare lacune applicative riguardo all'intera deliberazione del 2018, la cui ratio complessiva va salvaguardata, Infatti, in mancanza del fondamentale parametro relativo all'eta' anagrafica del senatore cui riferire il coefficiente di trasformazione (comma 2 dell'art. 1), evidentemente essa non potrebbe trovare esecuzione in alcun modo e quindi l'effetto sarebbe una sorta di «annullamento integrale di fatto» in assenza di tempestivi interventi correttivi da parte del Consiglio di presidenza del Senato. 5. Comunque sia - proprio al fine di assicurare in ogni caso una continuita' applicativa della deliberazione del 2018 e di evitare qualsiasi soluzione di continuita', quasi a voler considerare magis ut valeat il principio della conservazione degli atti giuridici - questo Collegio ritiene doveroso individuare nell'ordinamento un plausibile frammento normativo, che possa ritenersi applicabile fattispecie, anche se non certo «a rime obbligate», perche' come evidenziato in precedenza potrebbero essere molteplici le soluzioni adottabili in un'ottica di ragionevolezza e di proporzionalita', di tutela dell'affidamento e anche in termini delle varie misure possibili di mitigazione. Ma tali soluzioni sono rimesse evidentemente alla discrezionalita' del legislatore interno. Questo Collegio tuttavia non si sottrae al dovere di individuare nell'ordinamento una eventuale e provvisoria soluzione plausibile, salvo ogni potere del Consiglio di presidenza di intervenire, purche' nel rispetto dei parametri costituzionali sopra indicati. Il percorso argomentativo che vuole seguire il Consiglio di garanzia si pone, mutatis mutandis, nel solco del modello gia' consolidatosi nella giurisprudenza della Corte costituzionale, la quale - addirittura in materia penale - ferma sempre restando l'ampia discrezionalita' del legislatore, «valuta direttamente se la pena comminata debba considerarsi manifestamente eccessiva rispetto al fatto sanzionato, ricercando poi nel sistema punti di riferimento gia' esistenti per ricostruire in via interinale un nuovo quadro sanzionatorio in luogo di quello colpito dalla declaratoria di incostituzionalita', nelle more di un sempre possibile intervento legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel rispetto dei principi costituzionali» (punto 4.1 del considerato in diritto della sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 2019). Al riguardo il Consiglio di garanzia reputa di poter fare opportuno riferimento alla legge della Regione Sicilia 28 novembre 2019, n. 19, che ha stabilito un criterio di ricalcolo riferito a parametri di eta' non retroattivi, che fra l'altro non e' stato oggetto di impugnazione da parte del Governo (che pure si era attivato ad opponendum) ne' e' stato considerato ai fini di particolari iniziative o moniti da parte della Corte costituzionale (v. la sentenza n. 44 del 2021), alla quale pure la legge era stata sottoposta sotto altri profili poi accolti (la limitata durata quinquennale del ricalcolo dei vitalizi spettanti agli ex deputati regionali, anziche' la loro previsione come norma a regime). Sulla base del richiamato contesto normativo l'ammontare delle prestazioni dovrebbe essere ricalcolato con il metodo integralmente contributivo facendo riferimento a criteri anagrafici riferiti al 1° gennaio 2019, o a data successiva per i parlamentari ancora in carica, escludendosi cosi' applicazioni retroattive, con la conseguenza dell'adozione di criteri di ricalcolo non irragionevoli e maggiormente proporzionati e altresi' di una maggiore tutela del principio dell'affidamento. In questo senso - in mancanza dell'auspicato intervento normativo del Consiglio di presidenza - questo Collegio per i motivi sopra esposti ritiene si possa far riferimento al punto b) del dispositivo dell'impugnata decisione dell'organo di prime cure, laddove accoglie parzialmente i ricorsi esaminati e per l'effetto annulla le disposizioni della citata deliberazione nella parte «in cui prevedono il ricalcolo dell'ammontare degli importi mediante la moltiplicazione del montante contributivo individuale per il coefficiente di trasformazione relativo all'eta' anagrafica del senatore alla data di decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata, anziche' alla data di decorrenza dell'entrata in vigore della deliberazione n. 6 del 2018», assumendo questa sentenza sul punto valere costitutivo. A chiusura del ragionamento, ripercorrendo il percorso cronistorico che ha condotto all'approvazione della deliberazione n. 6 del 16 ottobre 2018 del Consiglio di presidenza e i relativi lavori preparatori, si pone in rilievo il fatto che essa e' di identico contenuto rispetto alla delibera dell'Ufficio di presidenza della camera n. 14 del 12 luglio 2018. Ma in quel Consesso l'originaria proposta del Collegio dei questori era proprio nel senso del criterio della non retroattivita' del coefficiente anagrafico (v. seduta del 26 aprile 2018, in atti Camera, XVIII Leg., Bollettino degli organi collegiali). 6. Per i trattamenti di reversibilita', andava una volta appare pleonastico ricordare che spetta discrezionalmente al Consiglio di presidenza del Senato stabilire ragionevoli criteri di ricalcolo o di tagli e ragionevoli ipotesi di mitigazioni considerando la particolarita' della prestazione. Questo Collegio non puo' che richiamare e condividere il punto e) del dispositivo dell'impugnata decisione della Commissione contenziosa, nel quale si sottolinea che «tali trattamenti sono gia' stati decurtati rispetto agli assegni diretti del 40 per cento e che l'ulteriore riduzione prevista incide gravemente sulla qualita' della vita». Anche in questo caso, il Consiglio di garanzia ribadisce l'auspicio di un tempestivo intervento normativo, in mancanza del quale pero' il Collegio - proprio rimanendo nei limiti delle proprie attribuzioni - ritiene che in ragione del favorevole criterio di calcolo qui disposto, non possa indicare ulteriori criteri di mitigazione, competendo, questi, alla discrezionalita' propria e non surrogabile, del Consiglio di presidenza. 7. Ulteriore tema da affrontare riguarda la disposizione del comma 7 dell'art. 1, concernente i criteri di correzione e di temperamento dei risultati dei ricalcoli effettuati. A giudizio del Collegio, pur prendendo atto dei contenuti della sentenza del Consiglio di giurisdizione della Camera n. 2 del 2020, la rilevanza di tale disposizione non puo' che apparire del tutto ridimensionata, una volta che sia stato definito un criterio di ricalcolo molto meno penalizzante rispetto all'originaria versione della delibera n. 6 del 2018. Pertanto - anche in considerazione delle vicende occorse presso l'altro ramo del Parlamento, che hanno visto susseguirsi nella materia specifica plurimi interventi normativi, difformi pronunce nei vari gradi di giudizio e un consistente incremento del contenzioso riferito alle istanze ex comma 7 dell'art. 1 della delibera, dopo la richiamata pronuncia del 2020 - il Collegio ritiene che l'attuale formulazione della disposizione richiamata possa apparire ragionevole e sufficientemente garantistica nei confronti di eventuali singole situazioni eccezionalmente «penose» a seguito del ricalcolo delle prestazioni. 8. Resta in ultimo da valutare le conseguenze della odierna decisione - relativa nello specifico al coefficiente di eta' piu' vantaggioso da adottare ai fini del ricalcolo delle prestazioni per gli ex senatori - circa l'eventuale corresponsione del complesso delle somme da restituire a seguito del nuovo coefficiente anagrafico indicato dalla presente decisione (i cosiddetti «arretrati»); questione che assume un particolare rilievo costituzionale e che deve essere affrontata in termini non meramente ordinari. Infatti - sulla base della pluriennale politica di contenimento dei costi di funzionamento delle amministrazioni parlamentari e anche a seguito delle eccezionali circostanze di emergenza nazionale legate all'evento pandemico -, il Consiglio di garanzia potrebbe anche eccezionalmente far riferimento, quale organo giurisdizionale, ai contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 10 del 2015, la quale, pur dichiarando l'illegittimita' costituzionale della norma tributaria impugnata, ha escluso la retroattivita' della sua decisione. La derogatoria irretroattivita' e' stata motivata con riferimento alle conseguenze economiche che avrebbe avuto quella decisione se avesse avuto la normale efficacia retroattiva, in un periodo di perdurante crisi economica, in un'ottica di bilanciamento tra i diversi interessi costituzionali coinvolti. Nondimeno appare assorbente la considerazione che, come sopra esposto, i criteri di calcolo individuati dal Consiglio di presidenza sarebbero sfuggiti ad ogni censura di illegittimita' se la riduzione fosse stata contenuta in apprezzabili limiti di tempo, pur rimanendo di ardua valutazione il giudizio di costituzionalita' dei criteri in quanto tali. Questo Collegio ritiene percio' che siffatta riduzione deve giudicarsi non piu' applicabile con efficacia ex nunc da questa pronuncia, salva l'efficacia sino a tale data nelle more della decisione costituzionale di cui infra, dovendosi contestualmente affermare che precedente metodo di calcolo e' sostituito da quello indicato in questa sentenza. In ordine alla piu' ampia questione se l'originario calcolo del Consiglio di presidenza possa considerarsi illegittimo anche laddove contenuto in un ragionevole arco temporale, con la conseguenza che gli «arretrati» dovrebbero essere computati a far data dalla delibera, si palesa quanto possa essere arduo il bilanciamento dei contrapposti interessi onde giungere ad una soluzione conforme a Costituzione; per cui viene rinviata, ogni decisione sul punto all'esito della questione di legittimita', che viene sollevata davanti alla Consulta in merito alla compatibilita' costituzionale o meno di un ricalcolo di prestazioni patrimoniali in godimento in via permanente, una volta cessata l'attivita' cui quelle prestazioni ineriscono. E' evidente infatti come questo elemento sia essenziale e rilevante al fine di decidere con ragionevolezza un aspetto non facile da esaminare per la pluralita' delle esigenze coinvolte. 9. In secondo luogo, si e' detto che appare a questo Collegio che in linea di massima la riduzione dei vitalizi possa essere compatibile con i principi costituzionali. Non puo' pero' lo stesso Collegio non prestare doverosamente attenzione a quanto sottolineato pressoche' da tutti i ricorrenti; i quali adombrano questioni di legittimita' costituzionale nei riguardi delle prescrizioni dell'impugnata deliberazione n. 6 del 2018, sotto vari profili e assumendo che essa violi, in rapporto alle rispettive prospettazioni, gli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma, della Costituzione e chiedono che questo Consiglio di garanzia proponga per quanto occorra la relativa questione di legittimita' costituzionale alla Corte costituzionale. A tale proposito il Consiglio di garanzia fa presente quanto segue: ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 213 del 2017, ha espressamente riconosciuto la legittimazione soggettiva di un collegio delle Camere avente funzioni giurisdizionali - «in quanto organo di autodichia chiamato a svolgere, in posizione super partes, funzioni giurisdizionali per la decisione di controversie» - a sollevare l'incidente di costituzionalita', come giudice a quo ai sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; preso atto del consolidato orientamento della Corte costituzionale, secondo il quale le norme contenute nei regolamenti parlamentari maggiori sono sottratte al sindacato della Corte stessa (v. da ultimo la sentenza n. 120 del 2014); richiamato l'art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, secondo cui una questione di legittimita' costituzionale puo' essere sollevata, anche di ufficio, dall'autorita' giurisdizionale davanti alla quale verte il giudizio; considerato l'art. 26, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, il quale recita: «1. Sono soppressi i regimi fiscali particolari concernenti: (...) b) gli assegni vitalizi spettanti ai membri del Parlamento nazionale (...) per la quota parte che non derivi da fonti riferibili a trattenute effettuate al percettore gia' assoggettate a ritenute fiscali». 1) Quanto alla rilevanza della questione costituzionale da sollevare, questo giudice remittente fa innanzitutto presente che l'impugnata normativa relativa al trattamento dei senatori cessati dal mandato e' contenuta nella deliberazione n. 6 del 2018 approvata dal Consiglio di presidenza del Senato, nell'ambito delle potesta' normative e organizzative devolute a quest'organo dall'art. 12 del Regolamento generale del Senato del 1971. Tuttavia, tale autonomia normativa «minore» non puo' considerarsi assoluta e totalmente libera nei fini, dovendosi piuttosto svolgere nel rispetto della Costituzione, dei suoi principi e delle regole dell'ordinamento giuridico generale, oltreche' - per quanto rilevante - del diritto sovranazionale. Per queste ragioni il legislatore, non casualmente, all'art. 26, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, ha stabilito per gli assegni vitalizi degli ex parlamentari la soppressione di qualsiasi regime fiscale particolare. Sennonche' tale prescrizione di ordine fiscale si presenta, per cosi' dire, «incompleta», laddove coerentemente e conseguentemente non ha previsto altresi' nei riguardi delle prestazioni de quibus l'applicazione dei principi generali dell'ordinamento previdenziale, vale a dire la preclusione della possibilita' di introdurre discipline particolari non conformi (almeno) a quel nucleo essenziale di principi generali (recte costituzionali) in ambito previdenziale, per lo piu' enucleati rinvenibili nella stessa giurisprudenza costituzionale. Tutto cio' premesso, giudice remittente ritiene la denunciata mancata previsione legislativa rilevante, se non decisiva, al fine di affrontare uno dei punti controversi (e fondamentali) nel presente giudizio, vale a dire la legittimita' costituzionale o no di una disciplina (quella sugli assegni vitalizi e le pensioni degli ex senatori), che abbia imposto i criteri di cui all'originaria delibera del Consiglio di presidenza in modo perpetuo e non gia' transitorio, cosi' da rispettare i criteri piu' volte indicati dalla Corte costituzionale a proposito delle erogazioni di tipo previdenziale (v. da ultimo la sentenza n. 234 del 2020). 2) Quanto alla non manifesta infondatezza della predetta questione di legittimita' costituzionale, questo giudice remittente ritiene di poter affermare in estrema sintesi che la materia degli assegni vitalizi e delle pensioni degli ex parlamentari e' di per se' suscettibile di determinare il formarsi di diritti soggettivi perfetti in capo agli interessati, la regolazione puo' essere si' affidata (anche e soprattutto) all'autonomia interna delle Camere, ma non in totale assenza di vincoli di livello generale stabiliti dalla legge dello Stato (come ad esempio avvenuto a livello fiscale), con evidenti rischi in termini di ragionevolezza delle prescrizioni e di compromissione della parita' di trattamento dei cittadini, qualora fossero approvate normative non conformi ai principi costituzionali in materia. Pertanto le circostanze esposte conducono a reputare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 26, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre l 994, n. 724, nella parte in cui - nel sopprimere qualsiasi regime fiscale particolare per gli assegni vitalizi (ora pensioni) degli ex parlamentari - non prevede altresi' dei principi generali per la disciplina di siffatte prestazioni. In conclusione: a) si solleva questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 26, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nella parte in cui - nel sopprimere qualsiasi regime fiscale particolare per gli assegni vitalizi (ora pensioni) degli ex parlamentari - non prevede altresi' che queste prestazioni vanno disciplinale nel rispetto dei principi generali in materia previdenziale, di ragionevolezza e parita' di trattamento fra cittadini, con riferimento agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma della Costituzione, e cio' al fine di determinare se il criterio di calcolo qui indicato vada applicato anche per la corresponsione degli arretrati a far data dal 1° gennaio 2019 sino alla data di efficacia di questa sentenza. 10. Questo Collegio, nel mentre sottopone alla Corte costituzionale la questione di legittimita' ora prospettata, ritiene altresi' necessario porre una questione di ordine generale che ad avviso di questo giudice merita una soluzione definitiva e non equivoca. Com'e' noto, la Corte costituzionale ha sempre negato che i regolamenti parlamentari possano essere sottoposti al suo giudizio (cfr. sentenza n. 154 del 1985). La costante giurisprudenza costituzionale pero' ha sempre avuto riguardo ai regolamenti adottati ai sensi dell'art. 64, comma 1, della Costituzione (c.d. regolamenti maggiori) e mai la Corte si e' pronunciata ex professo sui c.d. regolamenti minori, adottati dagli Uffici di presidenza (il c.d. «diritto parlamentare di tipo amministrativo»). Il giudice delle leggi ha osservato che con l'art. 134 della Costituzione il Costituente ha segnato rigorosamente i precisi ed invalicabili confini della propria competenza, e poiche' la formulazione ignora i regolamenti parlamentari, solo in via d'interpretazione potrebbe ritenersi che questi vi siano ugualmente compresi. A cio' pero' osterebbe la necessita' di assicurare l'indipendenza dell'organo sovrano da ogni potere. In altri termini secondo la Corte sarebbe il fondamentale principio di separazione dei poteri ad imporre che nessuno possa sindacare le modalita' con cui il Parlamento organizza le proprie funzioni e le proprie attivita'. Non vi sarebbe dunque un limite di natura squisitamente formale, potendo teoricamente intendersi i regolamenti quali atti aventi forza di legge, bensi' sostanziale in ragione del valore organizzativo dei predetti regolamenti. Queste decisioni, dunque, non consentono di giungere automaticamente alle stesse conclusioni per i regolamenti minori, che ben potrebbero meritare la qualifica di atti aventi forza di legge ed essere privi di ogni valore organizzativo, cosi' da essere estranei al principio di separazione dei poteri che giustifica ogni insindacabilita'. Che tale conclusione sia ragionevole puo' dimostrarsi con un argumentum a contrario. E' ormai copiosa normazione interna di rapporti privatistici, e con essi la costituzione, estinzione e modificazione di diritti soggettivi vantati da privati. Se, ad esempio, si ha riguardo alla normazione afferente ai dipendenti del Senato e' agevole notare che vengono attinti diritti oggetto in taluni casi di una riserva di legge (cfr. ad esempio l'art. 36, secondo comma della Costituzione). Poiche' l'intero rapporto lavorativo dei dipendenti e' normato all'esito di delibere del Consiglio di presidenza, delle due l'una: o tale normativa e' in violazione della Costituzione, oppure tali delibere sono atti aventi forza di legge. Considerata l'ampiezza e la qualita' delle materie regolate con tali atti, appare evidente che la seconda ipotesi costituisce una soluzione obbligata, come d'altra parte gia' affermato dalla giurisprudenza europea (cfr. sentenza n. 14 del 28 aprile 2009 della Corte europea dei diritti dell'uomo, c.d. sentenza Savino vs Italia). Cio' determinato, non puo' anche dubitarsi che tali atti debbano essere conformi ai principi costituzionali, non potendo l'autodichia dar luogo ad un'enclave estranea all'efficacia della Carta dei diritti fondamentali. Ed anche qui si pone una sola alternativa: o sono gli stessi organi giurisdizionali interni capaci di sindacare la costituzionalita' di questi regolamenti minori, oppure il sindacato compete alla Corte costituzionale. Nel primo caso non puo' che concludersi che il giudice interno sia dotato degli stessi poteri interpretativi, modificativi e manipolativi della Corte delle leggi. Nel secondo caso, invece, non solo la Corte costituzionale deve valutare se il legislatore interno rispetta la Carta fondamentale, ma puo' e deve anche interpretare l'art. 134 della Costituzione in modo che i principi supremi non siano sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da norme di rango costituzionale (cfr. sentenza n. 1146 del 1988), cosi' come anche integrati dai principi derivanti dai Trattati europei e segnatamente dall'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Sul punto devono ricordarsi i quattro criteri elaborati dalla Corte europea di giustizia che devono sussistere affinche' si possano considerare indipendenti ed imparziali gli organi giurisdizionali, vale a dire: a) le condizioni nelle quali e' stato creato l'organo; b) le caratteristiche del medesimo; c) le modalita' con le quali sono stati nominati i membri e d) la capacita' resistere alle influenze esterne (cfr. sentenza della CGUE - Grande Sezione - A.K. e altri c. Sąd Najwyższy del 19 novembre 2019). Accedendo all'ipotesi secondo cui non potrebbe essere la stessa giurisdizione interna a valutare la legittimita' costituzionale dei regolamenti minori quando aventi ad oggetto diritti fondamentali di natura privatistica, tale potere non potrebbe non competere ad altri che alla Corte costituzionale. Tutto cio' premesso appare a questo giudice che i regolamenti c.d. minori quando idonei ad incidere su diritti dei privati debbano essere riconosciuti quali «atti aventi forza di legge», estranei all'area dell'assoluta sovranita' ed indipendenza del Parlamento, e quindi diversi per loro stessa natura da quelli sottratti a quella insindacabilita' della Corte costituzionale in ragione del principio di separazione dei poteri. Seppur sarebbe fuorviante qualsiasi analogia rispetto alla differente fonte dei regolamenti del Governo, compresi quelli c.d. «indipendenti», questo Collegio non puo' non ricordare - per completezza di esposizione - che in qualche caso la stessa Corte costituzionale ha privilegiato la loro natura sostanziale e ne ha quindi ammesso la scrutinabilita' ai sensi dell'art. 134 della Costituzione (v. Corte costituzionale, sentenza 9 luglio 1993, n. 311). In conclusione: b) si solleva questione di legittimita' costituzionale nei riguardi dell'art. 1, comma 1, della delibera del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica n. 6 del 16 ottobre 2018, per le medesime ragioni ed effetti indicati al punto 9, con riguardo alla corresponsione delle restituzioni (i c.d. «arretrati») gia' a far data dalla delibera del Consiglio di presidenza. Ai fini dell'ammissibilita' della questione sollevata con riferimento all'idoneita' della fonte, si sottopone all'attenzione della Corte costituzionale l'opportunita', per cosi' dire, di una interpretazione costituzionalmente orientata dello stesso art. 134 della Costituzione, nel senso di ricomprendere fra gli «atti aventi forza di legge» anche i cosiddetti regolamenti minori delle Camere, almeno quando sono idonei ad incidere sui diritti soggettivi dei privati. 11. Restano assorbiti tutti gli altri motivi contenuti nei ricorsi, comprese le pretese basate sulla presunta illegittimita' del comma 4 dell'art. 1 e richiedenti un aumento, delle prestazioni a seguito del calcolo integralmente contributivo. Il Collegio si limita a ricordare che tale clausola di salvaguardia rappresenta ormai un principio generale della nostra legislazione, con riferimento ai rapporti fra calcoli retributivi e contributivi nella determinazione delle prestazioni. Nei contenuti piu' ampi dell'odierna decisione si intende altresi' assorbito anche l'appello presentato dall'onorevole, Omissis nei riguardi della decisione della Commissione contenziosa n. 661 del 2020 mediante il ricorso n. 289, la cui trattazione e' avvenuta in modo congiunto rispetto all'esame del ricorso n. 288 dell'amministrazione del Senato. 12. Le spese sono compensate in considerazione della parziale reciproca soccombenza e della stessa complessita' e novita' dell'intera materia del contendere.
P.Q.M. Il Consiglio di garanzia - disattesa ogni contraria istanza, eccezione e difesa - non definitivamente pronunciando sui ricorsi n. 288 e n. 289 del 2020, cosi' come riuniti, cosi' decide con sentenza parziale: a) accoglie, allo stato, parzialmente il ricorso incidentale degli appellati, confermando solo il punto b) dell'impugnata decisione della Commissione contenziosa n. 660 del 2020, e per l'effetto annulla parzialmente l'art. 1, comma 2, della deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica n. 6 del 18 ottobre 2018, nella parte in cui si riferisce - ai fini del coefficiente di trasformazione - «alla data di decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata», anziche' «all'eta' anagrafica posseduta dal percettore alla data di entrata in vigore della presente deliberazione», nei termini e nei limiti applicativi esplicitati nella motivazione che precede; b) per l'effetto di tanto dispone il ricalcolo da parte dell'amministrazione del Senato di ciascun trattamento sulla base delle statuizioni che precedono; c) rinvia la decisione sulle conseguenze in termini di eventuale corresponsione delle somme trattenute corrispondenti al periodo ricompreso tra il 1° gennaio 2019 e la data di efficacia di questa sentenza, e parzialmente da restituire, in esito al giudizio costituzionale di cui alla successiva lettera d), fermo restando che questo aspetto evidentemente fuoriesce dalle valutazioni rimesse alla Corte costituzionale e sara' formalmente definita dal Consiglio di garanzia, una volta acquisita una maggiore contezza nella cornice costituzionale di riferimento; d) altresi' per quanto esposto sub 9) e 10): visti l'art. 134 della Costituzione e l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonche' l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 26, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nella parte in cui - nel sopprimere qualsiasi regime fiscale particolare per gli assegni vitalizi (ora pensioni) degli ex parlamentari - non prevede altresi' che queste prestazioni vanno disciplinate nel rispetto dei principi generali in materia previdenziale, in rapporto agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma della Costituzione, tra cui - per quanto di interesse - i limiti posti al legislatore nell'individuazione dei parametri per determinare i vitalizi e con essi i limiti per un eventuale adeguamento retroattivo; altresi' egualmente ritiene non manifestamente infondata la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, della delibera del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica n. 6 del 18 ottobre 2018, laddove qualificata come «regolamento minore» avente forza di legge, nella parte in cui viola i principi di proporzionalita' e ragionevolezza nella determinazione retroattiva dei vitalizi, in rapporto agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma della Costituzione, sempre ai fini di un eventuale adeguamento retroattivo per il periodo di tempo sopra indicato; sospende il seguito del giudizio sui predetti ricorsi, come riuniti, sino all'esito del giudizio, incidentale innanzi alla Corte costituzionale, nella parte ancora non decisa; si riserva ogni ulteriore decisione all'esito del giudizio incidentale innanzi alla Corte costituzionale; dispone la trasmissione alla Corte costituzionale della presente decisione e degli atti concernenti i relativi giudizi, a cura della segreteria degli organi di tutela giurisdizionale del Senato; dispone altresi' la trasmissione della predetta decisione, parimenti a cura della segreteria degli organi di tutela giurisdizionale del Senato, al Presidente del Senato, al Presidente della Camera dei deputati, al Presidente del Consiglio dei ministri e alle parti. Cosi' deciso in Roma, il 22 dicembre 2021. Il Presidente estensore: Vitali Il titolare estensore: Grassi