N. 23 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 gennaio 2022

Ordinanza del 12 gennaio 2022 del Consiglio di  Garanzia  del  Senato
della  Repubblica  sui  ricorsi  riuniti  proposti,  rispettivamente,
dall'Amministrazione del Senato della  Repubblica  nei  confronti  di
P.G. e altri e da F.S. nei confronti dell'Amministrazione del  Senato
della Repubblica. 
 
Previdenza - Assegni  vitalizi  -  Soppressione  dei  regimi  fiscali
  particolari per  gli  assegni  vitalizi  (ora  pensioni)  degli  ex
  parlamentari -  Omessa  previsione  che  queste  prestazioni  siano
  disciplinate  nel  rispetto  dei  principi  generali   in   materia
  previdenziale. 
- Legge 23 dicembre 1994, n. 724 (Misure di  razionalizzazione  della
  finanza pubblica), art. 26, comma 1, lettera b). 
Previdenza - Assegni vitalizi - Trattamenti  economici  dei  senatori
  cessati dal mandato, sia diretti che di reversibilita'  -  Prevista
  rideterminazione, a decorrere dal 1° gennaio 2019,  con  il  metodo
  contributivo, sia per gli assegni in corso che per quelli di futura
  erogazione maturati in base alla normativa vigente al  31  dicembre
  2011 e per gli anni di mandato svolti fino a tale data. 
- Deliberazione  del  Consiglio  di  Presidenza  del   Senato   della
  Repubblica del 18 (recte: 16) ottobre 2018, n. 6, art. 1, comma 1. 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
 
                       SENATO DELLA REPUBBLICA 
                        Consiglio di Garanzia 
 
    composto da: 
        Luigi Vitali, Presidente; 
        Alberto Balboni, titolare; 
        Ugo Grassi, titolare; 
        Pasquale Pepe, titolare; 
        Valeria Valente, titolare; 
    ha adottato la seguente decisione. 
    Visto il ricorso n.  288,  presentato  in  data  8  ottobre  2020
dall'Amministrazione  del  Senato,   rappresentata   dal   Segretario
generale, per  l'annullamento  e/o  la  riforma,  previa  sospensione
cautelare dell'efficacia,  della  decisione  n.  660  adottata  dalla
Commissione contenziosa il 25 giugno 2020, depositata il 30 settembre
2020 e resa esecutiva con decreto del Presidente del Senato n.  12791
del 5 ottobre 2020; 
    Viste le memorie presentate: 
        (Ai sensi della vigente normativa in  materia  di  protezione
dei dati personali si omettono le  pagine  successive  contenenti  le
generalita' dei resistenti,  degli  appellanti  incidentali  e  degli
altri  intervenienti  a  vario  titolo,   tra   cui   risulta   anche
l'Associazione degli ex parlamentari della Repubblica  nella  persona
del suo presidente). 
    Omissis. 
    Viste tutte le memorie, gli atti ed i documenti presentati  dalle
parti. 
    Uditi: 
        nelle sedute del 2 febbraio, 16 febbraio, 2, 17  e  30  marzo
2021, l'avvocato dello Stato  Federico  Basilica,  in  rappresentanza
dell'Amministrazione del Senato, parte appellante; 
        nella seduta  del  2  febbraio  2021  gli  avvocati  Federico
Sorrentino e Giuseppe Libutti; 
        nella seduta del 16 febbraio 2021 gli avvocati Maurizio Paniz
e Lorenzo Lentini; 
        nella seduta del 2 marzo 2021 gli avvocati Giuseppe  Salerno,
Domenico Menorello, Rosa Sciatta e l'onorevole Omissis; 
        nella seduta del 17 marzo 2021 gli avvocati  Daniele  Marchi,
Alessandro Tozzi e Roberto Righi; 
        nella seduta del 30 marzo 2020 - da  remoto  nella  modalita'
della videoconferenza, secondo quanto disposto con decreto n. 31  del
3  dicembre  2020  dal  Presidente  del  Consiglio  di  Garanzia   in
considerazione dell'emergenza epidemiologica  -  l'avvocato  Giovanni
Guzzetta nonche' - in  sede  di  replica  -  l'avvocato  dello  Stato
Federico Basilica  e  gli  avvocati  Daniele  Marchi,  Rosa  Sciatta,
Lorenzo Lentini e l'onorevole Omissis; 
        nella seduta del 31 marzo 2020 - in sede  di  replica  -  gli
avvocati  Maurizio  Paniz,  Federico  Sorrentino,  Giuseppe  Salerno,
Alessio  Petretti,  nonche'   da   remoto   nella   modalita'   della
videoconferenza, secondo quanto disposto con decreto  n.  31  (del  3
dicembre  2020  dal  Presidente  del   Consiglio   di   Garanzia   in
considerazione,  dell'emergenza  epidemiologica,  l'avvocato  Augusto
Sinagra e - in sede di replica -  gli  avvocati  Domenico  Menorello,
Felice Carlo Besostri, Roberto Righi. 
    Visto  ricorso  n.  289,  presentato  in  data  27  ottobre  2020
dall'onorevole  Omissis  per  l'annullamento  e  la   riforma   della
decisione della Commissione contenziosa 30 settembre  2020,  n.  661,
nonche' la memoria depositata dal l'Amministrazione del  Senato  data
17 novembre 2020; 
    Uditi, nella seduta del 2 febbraio  2021,  il  relatore  senatore
Luigi  Vitali,  l'avvocato  Federico  Sorrentino,  in  rappresentanza
dell'onorevole  Omissis  nonche'  l'avvocato  dello  Stato   Federico
Basilica in rappresentanza dell'Amministrazione del Senato; 
 
                      Svolgimento del processo 
 
Ricorso n. 288. 
    1. Trattazione da parte della Commissione contenziosa. 
    1.1. In data 16 ottobre  2018  il  Consiglio  di  Presidenza  del
Senato della Repubblica ha approvato la deliberazione n.  6,  recante
«Rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e  delle  quote
di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro  rata  nonche'
dei trattamenti di reversibilita',  relativi  agli  anni  di  mandato
svolti fino al 31  dicembre  2011»  provvedimento  analogo  a  quello
assunto gia' in data 12 luglio 2018 dall'Ufficio di Presidenza  della
Camera dei deputati (delibera n. 14 del 2018). 
    La citata deliberazione ha  previsto  che,  a  decorrere  dal  1°
gennaio 2019,  i  trattamenti  economici  dei  senatori  cessati  dal
mandato (sia diretti, che di reversibilita'),  fossero  rideterminati
applicando il metodo contributivo e cio' sia per gli assegni in corso
di erogazione, sia per quelli di  futura  erogazione  maturati  sulla
base della normativa  vigente  alla  data  del  31  dicembre  2011  e
relativi agli anni di mandato svolti fino a tale data. 
    In sintesi, il meccanismo di calcolo ha previsto che il «montante
contributivo individuale» (determinato ai  sensi  dell'art.  2  della
delibera) venga moltiplicato per un «coefficiente di  trasformazione»
(di cui alla  tabella  1  allegata  alla  stessa  delibera)  relativo
all'eta'  anagrafica  del  senatore  alla   data   della   decorrenza
dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro rata. 
    I commi 4 e 5 dell'art. 1  della  delibera  hanno  stabilito  che
l'ammontare degli assegni rideterminati non possa  comunque  superare
l'importo di quello in corso di erogazione, ne'  risultare  inferiore
all'importo  determinato  moltiplicando  il   montante   contributivo
individuale maturato da un  senatore  che  abbia  svolto  il  mandato
parlamentare  nella  sola  XVII  legislatura,  rivalutato  ai   sensi
dell'art. 2 per  il  coefficiente  di  trasformazione  corrispondente
all'eta' anagrafica di 65 anni vigente  alla  data  del  31  dicembre
2018. 
    La delibera inoltre istituito meccanismi di integrazione in  casi
particolari qualora, a seguito della rideterminazione, il trattamento
risulti  ridotto  in  misura  superiore  al  50  per  cento  rispetto
all'importo dell'assegno previsto dal regolamento in vigore alla data
dell'inizio del mandato parlamentare. 
    1.2.  Avverso  la  menzionata  delibera,  sono  stati  depositati
numerosi ricorsi, nonche' atti di intervento ad adiuvandum presso  la
Commissione contenziosa  da  parte  di  ex  senatori  e  titolari  di
trattamenti di reversibilita'. interessati dalle  modifiche,  nonche'
dall'Associazione degli ex parlamentari. 
    Con i ricorsi in esame - adducendo argomentazioni sostanzialmente
analoghe - sono stati chiesti: in via preliminare,  la  dichiarazione
del difetto di giurisdizione degli organi di  autodichia  del  Senato
della Repubblica ed il sollevamento della questione  di  legittimita'
costituzionale delle norme regolamentari del Senato  nella  parte  in
cui prevedono la giurisdizione esclusiva degli organi di  autodichia;
nel merito, la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  della
deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 6 del 16  ottobre  2018,
la disapplicazione, l'annullamento e/o la dichiarazione  di  nullita'
e/o l'improduttivita' di effetti della delibera de qua,  la  condanna
della  parte  resistente  a  riconoscere  e  versare  ai   ricorrenti
l'integralita'  dell'assegno  vitalizio  nella  misura   maturata   e
maturanda sulla base della normativa previgente,  la  condanna  della
parte resistente a versare tutte le somme  indebitamente  trattenute,
da maggiorarsi con la rivalutazione e gli interessi legali,  in  ogni
caso l'intera rifusione di spese, compenso di avvocato, oltre ad IVA,
CA e rimborso forfettario. 
    1.3. In via preliminare e' stata  eccepita  la  violazione  degli
articoli 6 e 14 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sull'equo processo e
sul divieto di discriminazione, con riferimento  al  procedimento  di
formazione ed alla composizione degli organi  di  giustizia  interni;
questi ultimi, ad avviso  dei  ricorrenti,  non  garantirebbero  quei
requisiti di imparzialita', indipendenza  e  costituzione  per  legge
necessari a garantire un equo processo. 
    E' stato inoltre dedotto difetto di  giurisdizione  degli  stessi
organi,  invocando  la  rimessione  degli  atti  alla   giurisdizione
ordinaria e/o amministrativa, nonche' censurata la normativa  interna
del Senato nella parte in cui dispone che la giurisdizione  esclusiva
degli organi di autodichia si estenda anche a ricorsi  presentati  da
non dipendenti contro atti o provvedimenti del Senato. 
    1.4. Nel merito, i ricorrenti hanno  addotto  diversi  motivi  di
illegittimita' della delibera n. 6 del 2018, che in  estrema  sintesi
si possono ricondurre alle seguenti argomentazioni. 
    1.4.1. Sotto un primo profilo, in particolare, ritenendo  che  il
vitalizio sia da ricondurre alle indennita' parlamentari, delle quali
condividerebbe finalita' e natura giuridica,  e'  stata  eccepita  la
violazione  della  riserva  di  legge  di  cui  all'art.   69   della
Costituzione. A tale proposito e'  stato  richiamato  il  parere  del
Consiglio di Stato del 26 luglio 2018, nel quale sarebbe  manifestata
una preferenza per una disciplina in via legislativa della materia de
qua, e cio' ai fini di tutela giurisdizionale e  tenuto  conto  anche
sulla scorta della sentenza della Corte  costituzionale  n.  262  del
2017 - della problematicita' dell'estensione dell'autodichia a terzi. 
    Sono stati inoltre avanzati dubbi sulla  natura  regolamentare  o
provvedimentale della delibera impugnata. 
    1.4.2. Sotto altro profilo, la delibera de  qua  si  porrebbe  in
contrasto con l'art. 25 della Costituzione. Considerato il  carattere
sanzionatorio della delibera n. 6 del 2018, questa non potrebbe avere
carattere retroattivo ma dovrebbe essere sottoposta al  principio  di
stretta legalita'. 
    1.4.3. Un altro gruppo di censure si ricollega  alla  riserva  di
legge in materia di prestazioni patrimoniali ai  sensi  dell'art.  23
della Costituzione e dell'art. 1  del  Protocollo  addizionale  n.  1
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle  liberta'  fondamentali;  nell'eccepire   la   violazione   del
principio per cui nessuna prestazione personale o  patrimoniale  puo'
essere  imposta  se  non  in  base  alla   legge,   si   rileva   che
sostanzialmente  l'assegno,  una  volta  entrato  a  far  parte   del
patrimonio  del  percettore,   non   potrebbe   essere   oggetto   di
decurtazione in carenza di un'espressa previsione di legge. 
    1.4.4. La deliberazione in oggetto viene poi contestata sotto  il
profilo della carenza di motivazione, in violazione degli articoli 97
e 117 della Costituzione. E' stata richiamata  a  tale  proposito  la
giurisprudenza della Corte costituzionale che, in situazioni analoghe
di interventi a carattere eccezionale, ha subordinato la legittimita'
degli stessi ad alcuni limiti di legittimita', quali in  particolare:
carattere eccezionale,  transeunte,  non  arbitrario,  conforme  allo
scopo prefissato, temporalmente limitato,  dei  sacrifici  richiesti,
nonche' la  sussistenza  di  esigenze  di  contenimento  della  spesa
pubblica. 
    1.4.5.  In  relazione  agli  articoli  2,  3,  97  e  117   della
Costituzione, e' stato  segnalato  lo  scostamento  dal  principio  -
recepito  in  giurisprudenza   e   di   derivazione   comunitaria   -
dell'intangibilita'  dei  diritti  acquisiti  e  della   certezza   e
stabilita' dei rapporti giuridici quale forma di tutela del legittimo
affidamento, principio a cui  farebbe  riferimento  anche  il  citato
parere  del  Consiglio  di  Stato   del   2018;   che   richiama   la
giurisprudenza costituzionale in materia di diritti previdenziali. 
    1.4.6. In rapporto agli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione  si
e' eccepito il fatto che la deliberazione de  qua,  intervenendo  ora
per allora, avrebbe creato una disparita' di trattamento fra senatori
cessati dal mandato, impossibilitati  ad  attenuare  l'impatto  della
portata innovativa  della  delibera  stessa,  e  senatori  ancora  in
carica, che avrebbero la possibilita' di effettuare invece una scelta
consapevole in conseguenza del nuovo quadro normativo. 
    La  deliberazione  avrebbe  poi  dovuto  considerare  il  reddito
complessivo percepito  dall'interessato,  distinguendo  la  posizione
degli ex senatori che hanno svolto altri incarichi elettivi a livello
regionale o nell'altro ramo del Parlamento e la  posizione  degli  ex
senatori che fruiscano o meno di altre prestazioni previdenziali. 
    E' stata quindi segnalata la disparita' tra  la  generalita'  dei
lavoratori - per la quale il metodo contributivo e' stato adottato  a
partire dal 1° gennaio 2012 - e gli  ex  senatori,  per  i  quali  la
deliberazione   in   esame   estende   retroattivamente   il   metodo
contributivo pur avendo cessato da tempo il loro mandato. 
    Si sono quindi lamentate alcune illegittimita' sul piano  fiscale
ed in particolare  i  profili  inerenti  alle  imposte  dirette  gia'
trattenute  dal  Senato  quale  sostituto  d'imposta:  cambiando   la
configurazione giuridica del vitalizio  e  rientrando  le  trattenute
previdenziali nel disposto dell'art. 51  del  TUIR,  gli  importi  di
quanto versato a titolo di imposta dovrebbero essere  restituiti  con
interessi e rivalutazione. 
    Inoltre, sono stati censurati i coefficienti  di  trasformazione,
di  cui  alla  tabella  1  della   delibera;   in   particolare,   la
deliberazione de qua farebbe un'irrazionale  ed  errata  applicazione
dei  coefficienti  di  trasformazione  e  dei  criteri   di   calcolo
probabilistici -  che  dovrebbero  ordinariamente  essere  legati  ad
eventi futuri ed aleatori - riferendoli al passato. 
    E' stato peraltro evidenziato che, secondo i criteri  di  calcolo
introdotti dalla deliberazione, viene maggiormente colpito  chi  oggi
e' piu' anziano. 
    1.4.7. Ulteriori motivi di censura riguardano  i  trattamenti  di
reversibilita', per i quali si  e'  in  particolare  sottolineata  la
maggior  gravita'  della  violazione  dell'affidamento,   in   quanto
derivanti dal versamento di contribuzione volontaria. 
    1.4.8. Altri  profili  di  censura  hanno  rimarcato  la  mancata
considerazione   di   periodi   di   «sospensione»    nell'erogazione
dell'assegno vitalizio per assunzione di incarichi incompatibili,  di
cui la delibera avrebbe dovuto tener  conto  nella  elaborazione  dei
coefficienti di trasformazione. 
    1.5. L'Amministrazione del Senato si e'  costituita  in  tutti  i
giudizi,  deducendo  innanzitutto  l'infondatezza   delle   questioni
preliminari inerenti al difetto di giurisdizione per violazione degli
articoli 6 e 14 della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, anche in  virtu'  di
quanto gia' affermato nel 2009 dalla Corte europea  con  la  sentenza
«Savino ed altri c. Italia»  e  dalla  Corte  costituzionale  con  la
sentenza n. 262 del 2017; 
    1.5.1. In  relazione  alle  doglianze  inerenti  alla  violazione
dell'art. 69  della  Costituzione,  l'Amministrazione  resistente  ha
richiamato il parere del Consiglio di Stato del 26 luglio  2018,  che
ha fatto riferimento alla possibilita' di ricorso allo strumento  del
regolamento  minore  da  parte  delle  Camere  nel  disciplinare   il
trattamento economico di quiescenza dei parlamentari. 
    1.5.2. In merito  alle  lamentate  violazioni  del  principio  di
irretroattivita' delle misure afflittivo-sanzionatorie,  nonche'  del
principio di certezza  del  diritto  e  di  tutela  dell'affidamento,
l'Amministrazione resistente, alla luce  del  menzionato  parere  del
Consiglio di Stato e della giurisprudenza costituzionale, ha ritenuto
che la riforma in esame non abbia una portata retroattiva, esplicando
i suoi effetti solo per  il  futuro  (dal  1°  gennaio  2019),  senza
incidere sulle prestazioni gia' erogate; ha peraltro escluso che essa
abbia finalita' punitive. 
    Con riguardo alla tutela dell'affidamento,  l'Amministrazione  ha
osservato  che  esso  costituisce  un   limite   generale,   ma   non
incondizionato alla retroattivita' delle leggi, potendo  recedere  al
cospetto di altre esigenze inderogabili. 
    Ha infine rammentato che il principio di  irretroattivita'  delle
leggi e' intangibile soltanto in materia penale. 
    1.5.3.  In  relazione  alle  censure  inerenti  alla   violazione
dell'art. 23  della  Costituzione,  l'Amministrazione  resistente  ha
eccepito che la deliberazione de qua non  configura  una  prestazione
patrimoniale non prevista dalla legge, ma un ricalcolo  -  a  partire
dal 1° gennaio 2019 - dell'importo del vitalizio  effettuato  con  il
metodo contributivo. 
    1.5.4. Con riguardo all'affermata violazione degli articoli 3, 97
e 117 della Costituzione, e in  particolare  del  principio  generale
dell'obbligo  di  motivazione,  l'Amministrazione   del   Senato   ha
obiettato innanzitutto che, avendo la deliberazione impugnata  natura
normativa e non amministrativa, non  e'  necessaria  una  motivazione
espressa. Ha comunque evidenziato che la ratio del  provvedimento  e'
rintracciabile per relationem nella  deliberazione  «gemella»  n.  14
adottata dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati del  12
luglio 2018 e'  richiamata  nel  preambolo  della  deliberazione  del
Consiglio di Presidenza del Senato. 
    1.5.5. La resistente ha inoltre respinto gli ulteriori profili di
illegittimita' della deliberazione impugnata  invocati  in  relazione
alla violazione degli articoli 2, 3 e 97 della Costituzione. 
    In particolare, per cio' che attiene alle doglianze  relative  ai
profili fiscali, ha replicato che trattasi di materia non  rientrante
nella giurisdizione degli organi di autodichia delle  Camere,  bensi'
in quella della competente autorita' tributaria,  mentre  per  quanto
riguarda la contestazione della deliberazione nella parte in  cui  ha
definito il criterio  di  calcolo  del  montante  contributivo  e  la
tabella  con  i   coefficienti   di   trasformazione,   ha   rinviato
all'audizione del Presidente dell'INPS del 3 ottobre  2018  da  parte
del  Consiglio  di  Presidenza,  richiamata   nel   preambolo   della
deliberazione de qua. 
    1.6.  La  Commissione  contenziosa,  dopo  aver   deliberato   di
procedere all'esame congiunto delle istanze cautelari  e  del  merito
dei ricorsi e previa riunione dei  giudizi  in  considerazione  della
connessione oggettiva, in data 25 giugno 2020 ha assunto la decisione
n. 660, depositata il  30  settembre  2020,  oggetto  della  presente
impugnativa. 
    Dopo aver dichiarato l'estinzione di alcuni giudizi per rinuncia,
dichiarato ammissibili tutti i ricorsi e gli interventi ad adiuvandum
ed inammissibile per  difetto  di  legittimazione  un  intervento  ad
opponendum spiegato dal CODACONS e dalla Associazione art. 32-97,  la
Commissione contenziosa, «viste  le  ordinanze  delle  Sezioni  Unite
della Corte di cassazione n. 18265 e n. 18266 dell'8 luglio 2019, che
hanno riconosciuto sostanzialmente la natura  giuridica  di  pensione
dell'assegno vitalizio percepito dagli ex parlamentari» e «richiamate
le sentenze della Corte costituzionale n. 822 del 1988,  n.  264  del
2012, n. 116 del 2013 e n. 108 del 2019, che  hanno  dettato  diversi
requisiti  di  legittimita'  per  gli  interventi   riduttivi   sulle
pensioni» ha parzialmente accolto i ricorsi, annullando per l'effetto
le disposizioni della deliberazione del Consiglio di Presidenza n.  6
del 2018 nella parte: 
        «a) in cui prevedono una totale rimozione  dei  provvedimenti
di liquidazione a suo tempo legittimamente adottati e  impongono  una
nuova  liquidazione,  che  introduce  criteri   totalmente   diversi,
intervenendo cosi' sull'atto genetico del diritto e non sul rapporto,
peraltro, anche in contrasto con quanto specificamente previsto dagli
articoli 4, comma 1, del regolamento delle pensioni dei senatori  del
2012 e III delle relative disposizioni transitorie; 
        b) in cui prevedono il ricalcolo dell'ammontare degli importi
mediante la moltiplicazione del montante contributivo individuale per
il coefficiente di trasformazione relativo  all'eta'  anagrafica  del
senatore  alla  data  di  decorrenza  dell'assegno  vitalizio  o  del
trattamento previdenziale pro rata, anziche' alla data di  decorrenza
dell'entrata in vigore della deliberazione n. 6 del 2018; 
        c) in cui prevedono dei coefficienti  di  trasformazione  che
determinano sensibili riduzioni, con incidenza sulla  qualita'  della
vita, degli importi di minore entita', senza alcun effetto su  quelli
di importo massimo; 
        d) in cui prevedono criteri di correzione e  di  temperamento
dei risultati  del  citato  ricalcolo  e,  comunque,  non  idonei  ad
eliminare le conseguenze piu' gravi derivanti  dall'applicazione  del
metodo adottato, come ha gia' ritenuto  con  sentenza  n.  2  del  22
aprile 2020 il Consiglio di giurisdizione della Camera  dei  deputati
che ha annullato il  comma  7  della  deliberazione  dell'Ufficio  di
Presidenza della Camera dei deputati, avente identico  contenuto  del
comma 7 della deliberazione del Consiglio di  Presidenza  del  Senato
della Repubblica; 
        e) in cui, applicando gli stessi criteri anche ai trattamenti
di reversibilita', non tengono conto del fatto che  tali  trattamenti
sono gia' stati decurtati rispetto agli assegni diretti  del  40  per
cento e che l'ulteriore riduzione prevista  incide  gravemente  sulla
qualita' della vita». 
    La Commissione ha  infine  precisato  che  «resta  di  competenza
dell'Amministrazione  l'eventuale  adozione  di  integrazioni  e   di
correzioni  dell'impugnata  delibera,  conseguenti   alla   decisione
odierna». 
2. Secondo grado di giudizio. 
    2.1. In  data  8  ottobre  2020,  l'Amministrazione  del  Senato,
rappresentata dal Segretario generale, ha presentato appello  avverso
la  decisione  n.  660  del  2020,  con  contestuale   richiesta   di
sospensione cautelare. 
    2.2. Con decreto  del  21  ottobre  2020,  Prot.  n.  28/CG/P  il
Presidente del Consiglio di garanzia, in considerazione  dello  stato
di emergenza connesso all'insorgenza di patologie derivanti da agenti
virali trasmissibili, prorogato con  la  delibera  del  Consiglio  di
Ministri 7 ottobre 2020, ha disposto  che  la  seduta  dedicata  alla
trattazione dell'udienza cautelare si svolgesse mediante il  deposito
di note  di  udienza  riferite  esclusivamente  alla  citata  istanza
cautelare, considerando presente ad ogni  effetto  il  difensore  che
depositasse tali note. 
    All'udienza del 29  ottobre  2020  il  Consiglio  di  garanzia  -
esaminate  le  note  di  udienza  e/o  le  memorie   depositate   sia
dall'Amministrazione del Senato che da numerosi appellati (alcune con
contestuali  appelli  incidentali)  -   ha   accolto   l'istanza   di
sospensione formulata dall'appellante (decisione n. 237 del 2020). 
    2.3.  Successivamente,  sia  l'Amministrazione   appellante   che
diversi resistenti hanno depositato ulteriori memorie  (alcune  delle
quali contenenti appello incidentale) e documenti. 
    Nelle sedute del 2 febbraio, 16 febbraio, 2, 17, 30  e  31  marzo
2021 sono intervenute - anche in modalita' da remoto, secondo  quanto
disposto con decreto n. 31 del 3 dicembre  2020  dal  Presidente  del
Consiglio'   di    garanzia    in    considerazione    dell'emergenza
epidemiologica - le parti costituite. 
    2.4. All'udienza del 31 marzo 2021 il Collegio si e' riservato la
decisione, assunta nella Camera di consiglio del 22 dicembre 2021. 
    2.5. Si fa presente che in data 4 dicembre 2020 e' pervenuto alla
segreteria del Consiglio di garanzia  atto  di  rinuncia  al  ricorso
avverso la delibera n. 6 del 2018 da parte dell'onorevole Omissis. 
    In estrema sintesi, si riporta il contenuto dei motivi di appello
addotti dall'appellante  Amministrazione,  delle  controdeduzioni  di
merito delle parti resistenti  costituitesi  nel  presente  grado  di
giudizio, nonche' degli appelli incidentali proposti. 
3. Appello dell'Amministrazione del Senato. 
    Nel merito, l'appello dell'Amministrazione del Senato e' affidato
ai seguenti motivi di diritto: 
        1. Error in iudicando,  carenza  e  contraddittorieta'  della
motivazione della decisione  appellata  con  riferimento  alla  nuova
liquidazione dei trattamenti  previdenziali  sulla  base  di  criteri
diversi da quelli originari. 
    Sotto tale profilo l'appellante ha sostenuto che la deliberazione
del Consiglio di  Presidenza  n.  6  del  2018  non  sia  intervenuta
sull'atto  genetico  del   diritto,   ma   soltanto   sul   rapporto;
l'intervento, infatti, non ha comportato il recupero delle somme gia'
erogate, ma, il suo effetto ha avuto una  decorrenza  posticipata  di
due mesi e mezzo rispetto alla sua adozione, riguardando soltanto  le
mensilita' da erogare a partire dal gennaio 2019. 
    Argomentando dallo scrutinio effettuato dal  Consiglio  di  Stato
nel parere del 26 luglio 2018 (il quale ha richiamato anche l'art.  1
del Protocollo addizionale n. 1  della  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e  delle  liberta'  fondamentali),
nonche'   dalla   giurisprudenza    della    Corte    costituzionale,
l'Amministrazione ha ribadito anche nel presente  grado  di  giudizio
che il principio  di  irretroattivita'  delle  leggi  e'  intangibile
soltanto in materia penale.  Al  di  fuori  di  questo  perimetro  di
assoluta  intangibilita',   i   criteri   di   riferimento   generali
(desumibili  dalla  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale   in
materia  di  affidamento)  sembrerebbero.  essere  i   seguenti:   e'
possibile incidere sulle situazioni sostanziali poste dalla normativa
precedente - cioe' sull'affidamento al mantenimento della  condizione
giuridica gia' maturata - solo  allorche'  la  nuova  disciplina  sia
razionale e non arbitraria, non pregiudichi in modo irragionevole  la
situazione oggetto dell'intervento e  sussista  una  causa  normativa
adeguata e giustificata da un'inderogabile esigenza di intervenire  o
da un interesse pubblico  generale,  entrambi  riguardati  alla  luce
della consistenza giuridica che ha assunto in concreto l'affidamento. 
    Tali  elementi  di  legittimita'  sarebbero   rinvenibili   nella
deliberazione impugnata. 
    Viene  peraltro  osservato  che  -  pur  avendo  la  disposizione
regolamentare oggetto del giudizio natura  normativa,  e  quindi  non
necessitando di una motivazione  espressa  -  tuttavia  e'  possibile
risalire all'esigenza cui essa ha inteso porre rimedio, attraverso  i
lavori preparatori della  deliberazione  n.  14  del  2018,  adottata
dall'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati e richiamata nel
preambolo di quella del Senato. 
        2.  Carenza  e  contraddittorieta'  della  motivazione  della
decisione appellata con  riferimento  alle  critiche  alle  modalita'
tecniche  di  ricalcolo  dell'ammontare  degli  importi  mediante  la
moltiplicazione  del  montante  contributivo   individuale   per   il
coefficiente  di  trasformazione  relativo  all'eta'  anagrafica  del
senatore  alla  data  di  decorrenza  dell'assegno  vitalizio  o  del
trattamento previdenziale pro  rata,  nonche'  con  riferimento  alle
sensibili riduzioni degli importi di minore entita'. 
    Le  conclusioni  della  decisione  impugnata  vengono   censurate
rammentando che la deliberazione n. 6 del 2018 fu  preceduta  da  una
lunga istruttoria effettuata in  collaborazione  con  la  Camera  dei
deputati - ove in particolare vi fu un carteggio molto fitto  con  il
Presidente dell'INPS  e,  per  tramite  di  quest'ultimo,  anche  con
l'ISTAT - a cui  fece  seguito  l'audizione  diretta  del  Presidente
dell'INPS da parte del Consiglio di Presidenza; quest'ultimo; secondo
l'appellante, trovando  conforto  anche  nel  contributo  dell'ISTAT,
avrebbe  spiegato  come  la  metodologia  adottata  sia  la  migliore
possibile, tenuto conto delle peculiarita' del sistema  previdenziale
degli ex parlamentari, per rendere  quest'ultimo  il  piu'  possibile
omogeneo alle regole contributive introdotte nel  nostro  ordinamento
pensionistico  a  meta'  degli  anni  novanta  per  tutti  gli  altri
contribuenti italiani. 
    Quanto agli effetti di riduzione degli importi  che  incidono  in
misura maggiore sui  trattamenti  previdenziali  di  minore  entita',
viene osservato che si tratta anche in questo caso di una conseguenza
connaturata al  regime  contributivo,  in  quanto  gli  importi  piu'
elevati degli assegni vitalizi corrispondono a periodi  molto  lunghi
di esercizio del mandato parlamentare e, quindi, di contribuzione. 
        3.  Carenza  e  contraddittorieta'  della  motivazione  della
decisione appellata con  riferimento  alle  critiche  ai  criteri  di
correzione  e  di  temperamento  dei  risultati  del  ricalcolo   del
trattamenti  previdenziali  per  la  loro  presunta  inidoneita'   ad
eliminare le conseguenze piu' gravi derivanti  dall'applicazione  del
metodo adottato. 
    Sotto  tale  profilo  l'Amministrazione,  dopo  aver   richiamato
preliminarmente il comma 7 dell'art. 1 della delibera n. 6, del 2018,
ha precisato che la sentenza, n. 2 del 22 aprile 2020  del  Consiglio
di giurisdizione della Camera dei deputati  (citata  nella  decisione
della   Commissione   contenziosa)   e'   espressamente   di   natura
interlocutoria e non definitiva, nonche' oggetto di appello da  parte
dell'Amministrazione  di  quel  ramo  del  Parlamento;  inoltre,   ha
rilevato che la Commissione  contenziosa  (diversamente  dall'omologo
organo della Camera) non avrebbe indicato quale  potrebbe  essere  un
metodo alternativo  per  temperare  gli  effetti  del  ricalcolo  dei
trattamenti previdenziali nei casi di grave bisogno  dei  percettori.
Da qui, secondo  l'appellante,  discenderebbe  la  lamentata  carenza
motivazionale addotta con l'appello. 
        4.  Carenza  e  contraddittorieta'  della  motivazione  della
decisione appellata con riferimento  alle  critiche  all'applicazione
degli stessi criteri di ricalcolo dei trattamenti previdenziali anche
a quelli di reversibilita'. 
    Sotto tale profilo l'appellante ha evidenziato che  non  soltanto
nell'ordinamento del Senato, ma anche  nell'ordinamento  generale  le
pensioni  di  reversibilita'  scontano  una   riduzione   percentuale
rispetto alle pensioni  dirette  spettanti  ai  danti  causa  e  che,
laddove  le  pensioni  dirette  vengono  ricalcolate  con  il  metodo
contributivo, tale effetto si ripercuote anche su quelle spettanti ai
congiunti superstiti, rimanendo immutata la percentuale di riduzione. 
    L'Amministrazione rilevato che, comunque, anche la questione  dei
trattamenti  di  reversibilita'  e'   stata   oggetto   degli   studi
preliminari  effettuati  dall'INPS  su  richiesta  della  Camera  dei
deputati e ne ha trattato il Presidente dell'Istituto nel corso della
citata audizione dinanzi al Consiglio di Presidenza del Senato. 
4. Controdeduzioni delle parti resistenti. 
    4.1. Occorre in primo luogo dar conto di alcune  questioni  poste
in via pregiudiziale e/o preliminare. 
    Parte dei resistenti, nel rimarcare la natura  giurisdizionale  e
non politica dell'attivita' degli organi dell'autodichia e quindi del
Consiglio di garanzia, ritiene che - in virtu'  della  legittimazione
di quest'ultimo a sollevare questioni di legittimita' costituzionale,
nonche' della natura di norme primarie dei regolamenti adottati dalle
Camere nell'ambito dell'autonomia ad  esse  attribuita  dall'art.  64
della Costituzione -  ove  il  Collegio  non  ritenga  di  esprimersi
direttamente  in  merito  ai  diversi   profili   di   illegittimita'
costituzionale della delibera impugnata prospettati, debba  investire
della questione la Corte costituzionale. 
    Alcune difese hanno dedotto in via pregiudiziale e/o  preliminare
alcuni  profili  di  inammissibilita'  del  ricorso  in   appello   e
segnatamente: la carenza di formale mandato ad  litem  al  Segretario
generale da parte del  Presidente  del  Senato,  la  carenza  di  una
delibera del Consiglio di  Presidenza  che  autorizzi  il medesimo  a
presentare, notificare e depositare  ricorso  in  appello  in  esame,
l'avvenuta    proposizione    dell'appello    stesso     da     parte
dell'Amministrazione del Senato anziche' dal Consiglio di Presidenza,
organo che ha emesso la delibera n. 6 del 2018. 
    Sotto altro aspetto, alcuni resistenti hanno  ritenuto  l'appello
inammissibile ove risulta essere una pedissequa riproposizione  delle
dichiarazioni  dell'ex  Presidente  dell'INPS,  mentre  altri   hanno
eccepito che l'appello  non  si  sarebbe  focalizzato  su  tutti  gli
aspetti sollevati dalla decisione impugnata, ma solo su  alcuni,  con
conseguente passaggio in giudicato di vari profili della Sentenza  di
primo grado. 
    4.2. Nel merito, le  deduzioni  delle  parti  resistenti  possono
essere  sinteticamente  e  congiuntamente  ricondotte  alle  seguenti
argomentazioni. 
    4.2.1.   Con   un   primo   ordine   di   considerazioni    viene
sostanzialmente confutata l'affermazione  dell'appellante,  contenuta
nel primo motivo di appello, secondo cui la deliberazione  n.  6  del
2018 sarebbe  intervenuta  non  sull'atto  genetico  del  diritto  al
vitalizio, ma sul rapporto. 
    Sotto tale profilo, viene rimarcato  come  la  delibera  non  sia
intervenuta esclusivamente sul  quantum  del  trattamento,  ma  abbia
invece radicalmente cambiato le regole utilizzate  per  determinarlo.
In altre parole, si sarebbe dato luogo ad una riforma di sistema  che
ha inciso direttamente sulla disciplina sostanziale dell'istituto con
effetti retroattivi, permanenti e definitivi; si eccepisce che  tutti
i trattamenti in corso di erogazione sono stati infatti  assoggettati
ad un nuovo metodo di calcolo,  diverso  da  quello  originario,  con
effetto ora per allora. 
    Alcuni resistenti  hanno  ritenuto  inconferente  il  riferimento
operato da controparte alla possibilita' di intervento  sui  rapporti
di durata, ponendo in luce come essa incida  invece  retroattivamente
su  un  rapporto  completamente  esaurito,  in   cui   la   posizione
sostanziale - a seguito della maturazione, liquidazione ed erogazione
del vitalizio - e' gia' entrata a  far  parte  del  patrimonio  degli
interessati. In particolare, e' stato rilevato  che  il  Senato,  nel
momento in cui nel 2012 ha emesso il regolamento delle  pensioni  dei
senatori  (con  specifico  riferimento  all'art.  4   ed   alla   III
disposizione transitoria) si e' autovincolato, in quanto ha affermato
che trattamenti in precedenza erogati sono definitivamente  acquisiti
dagli interessati. 
    La deliberazione si porrebbe altresi' in contrasto con i principi
generali di certezza del diritto, della tutela dei diritti  acquisiti
e del legittimo affidamento  in  relazione  a  situazioni  giuridiche
pregresse gia' consolidate, in violazione degli articoli  3,  23,  69
(in particolare con  riguardo  alla  riserva  di  legge  in  tema  di
indennita' dei parlamentari) e 117 della Costituzione. Viene peraltro
osservato che la delibera impugnata incide su un  diritto  soggettivo
perfetto qual e' quello derivante dal provvedimento di liquidazione a
suo tempo prodotto. 
    Sotto tale profilo, parte dei resistenti ritiene che il vitalizio
abbia una triplice natura (di tutela della funzione del parlamentare,
contrattuale  e'  assicurativa  e  lato  sensu  previdenziale);   pur
riconoscendo che dal 2012 si e' accentuata  la  natura  previdenziale
dello stesso, esclude che possa assimilarsi  ad  un  vero  e  proprio
trattamento pensionistico e sottolinea come la delibera impugnata non
abbia  soltanto  operato  una  riduzione  in  via   retroattiva   del
trattamento sino ad oggi goduto  dagli  interessati,  sostituendo  ex
post un criterio di calcolo di tale trattamento  con  un  altro  meno
favorevole, ma abbia preteso di trattare alla stregua di una pensione
di anzianita' una prerogativa avente copertura costituzionale, che ha
anche (ma non solo) funzione  previdenziale  e  che  in  passato  era
regolata molto similmente ad un'assicurazione privata. 
    Parte dei resistenti, nel propendere per la natura  previdenziale
del vitalizio, anche alla luce delle recenti pronunce della Corte  di
cassazione, ritengono che la delibera n. 6 del 2018 sia stata assunta
in violazione dei  principi  posti  dalla  Corte  costituzionale  (in
particolare, da ultimo, con le sentenze n. 108 del 2019 e n. 234  del
2020) per gli interventi di modifica dei  trattamenti  previdenziali,
fra cui il  carattere  straordinario,  le  inderogabili  esigenze  di
contenimento della spesa pubblica, il nesso di  proporzionalita'  tra
sacrifici   richiesti   e   ristoro   del   bilancio   pubblico,   la
temporaneita'. 
    Viene altresi' richiamata la giurisprudenza  della  CEDU e  della
Corte  costituzionale,  secondo  cui  la  violazione  del   principio
dell'affidamento e la compressione dei diritti acquisiti sono ammessi
solo eccezionalmente e con motivazioni espresse adeguate,  applicando
un contributo di  solidarieta'  una  tantum  espressamente  motivato,
ragionevole nella misura, non contraddittorio, adeguato e  rispettoso
del principio di proporzionalita'. 
    Nel rimarcare il legame dell'istituto dell'assegno vitalizio  con
l'art. 69 della  Costituzione,  diversi  resistenti  rilevano  che  -
essendo esso una proiezione dell'indennita' parlamentare  ed  essendo
quindi protetto dalla garanzia di cui all'art. 69 della  Costituzione
- la sua disciplina dovrebbe essere riservata alla fonte legislativa;
viene  altresi'  sottolineata  l'illegittimita'  di  una  prestazione
patrimoniale imposta solo agli ex parlamentari; si osserva ancora che
la delibera, imponendo  una  sostanziale  riduzione  del  trattamento
pensionistico di questi  ultimi,  determinerebbe  sostanzialmente  un
vulnus alla Costituzione atteso che l'assegna vitalizio  e'  posto  a
garanzia della loro indipendenza. 
    Non corrisponderebbe inoltre al vero l'affermazione  secondo  cui
il sistema contributivo sia stato e sia applicato  alla  «generalita'
dei cittadini» in quanto - a parte  gli  ex  parlamentari  -  non  si
rinverrebbe  alcun   pensionato   a   cui   sia   stata   ricalcolata
retroattivamente la pensione con il metodo contributivo. 
    Sostanzialmente viene comunque  eccepita  dalla  generalita'  dei
resistenti la violazione dei limiti costituzionali alla  modifica  in
peius degli elementi costitutivi dei rapporti di durata,  i  quali  -
secondo l'insegnamento della Corte costituzionale  -  richiederebbero
in particolare il rispetto del principio generale  di  ragionevolezza
(che si riflette nel divieto di introdurre ingiustificate  disparita'
di trattamento) la tutela dell'affidamento, l'esistenza di una  causa
normativa adeguata, attribuendo inoltre rilievo al grado di  certezza
acquisito nel tempo delle posizioni giuridiche coinvolte. 
    In merito alla lesione del principio dell'affidamento, si  rileva
che nell'ordinamento previdenziale gli interventi peggiorativi  hanno
fatto salvi i trattamenti gia' maturati; si rimarca che l'affidamento
sul vitalizio ha comportato per i  parlamentari  scelte  di  vita  di
varia natura, quali rinunce a carriere,  incarichi  o  accensione  di
mutui o prestiti che ora non saranno piu' in grado onorare;  cio'  si
pone in contrasto con gli insegnamenti  della  Corte  costituzionale,
nonche' con i principi della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. 
    Viene inoltre  posta  in  luce  la  carenza  motivazionale  della
delibera, a fronte in particolare  dell'affermazione  di  controparte
secondo cui in essa  si  riscontrerebbero  «elementi  sintomatici  di
legittimita'». E' stato evidenziato sotto tale  profilo  che,  da  un
lato,  la  stessa  resistente  nell'affermare  che  la   disposizione
regolamentare   non   necessiti   di   motivazione    espressa,    ne
riconoscerebbe la carenza; dall'altro,  che  tale  carenza  non  puo'
ritenersi colmata dal riferimento ad atti endoprocedimentali quali  i
lavori preparatori della delibera n. 14 della Camera dei deputati. 
    Nel rammentare come la Corte costituzionale abbia chiarito che le
misure che intervengono retroattivamente  riducendo  attribuzioni  di
natura  patrimoniale  debbano  essere  sottoposte  ad   uno   stretto
scrutinio  di  ragionevolezza  (in  quanto  tese  ad  incidere  sulla
certezza dei rapporti  preteriti  e  sul  legittimo  affidamento  dei
soggetti  interessati)   e'   stato   ribadito,   alla   luce   della
giurisprudenza della stessa Corte, che -  nell'ambito  di  interventi
quali quello in esame  -  risulta  vieppiu'  necessario  indicare  la
«cornice finalistica» che deve estrinsecare le ragioni dell'adozione,
la finalita' e gli obiettivi che  esso  si  prefigge di  raggiungere,
nonche' la durata dell'intervento stesso. 
    4.2.2. In relazione al secondo motivo di appello - inerente  alle
critiche operate dalla decisione impugnata  alle  modalita'  tecniche
del  ricalcolo  dell'ammontare  degli  importi  -  le  argomentazioni
addotte dall'Amministrazione  a  sostegno  della  delibera  sarebbero
inammissibili ad avviso di alcuni  resistenti,  in  quanto  farebbero
riferimento  ad  atti  non  depositati  in  giudizio  e   a   profili
motivazionali desunti aliunde. 
    E'  stato  rilevato  che,  contrariamente  a   quanto   sostenuto
dall'Amministrazione del Senato, la fitta  corrispondenza  intercorsa
tra la Camera  dei  deputati  ed  il  Presidente  dell'INPS,  nonche'
l'audizione di quest'ultimo presso il Senato  dopo  l'adozione  della
delibera «gemella» da parte della Camera, non volgano nel senso della
legittimita' della metodologia adottata, ma piuttosto del fatto che -
anche dopo l'emanazione del provvedimento da parte della  Camera  dei
deputati - persistessero aspetti di dubbia legittimita'. 
    Con particolare riguardo all'audizione del  Presidente  dell'INPS
presso il  Senato,  essa  dimostrerebbe  che  l'elaborazione  fornita
dall'Istituto sia solo un'ipotesi astratta, in quanto  redatta  senza
le informazioni necessarie  per  fornire  una  reale  conoscenza  del
sistema  previdenziale  degli  ex  parlamentari,   quali   la   reale
consistenza dei contributi versati,  le  integrazioni  richieste  per
l'eventuale completamento delle legislature concluse anticipatamente,
ed  infine  le  conseguenze  che  la  metodologia  suggerita  avrebbe
comportato. 
    Viene quindi escluso che  la  soluzione  adottata  sia  stata  la
«migliore metodologia possibile», in  considerazione  in  particolare
del fatto che essa andrebbe ad incidere pesantemente sui soggetti che
oggi hanno l'eta' piu' avanzata, che non sono state introdotte  norme
transitorie tese a limare le carenze  e  le  distorsioni  del  metodo
applicato e che il grado di consolidamento della situazione di  fatto
su cui incide la misura retroattiva e' elevato,  atteso  che  un'alta
percentuale dei percettori ha maturato il vitalizio  da  oltre  dieci
anni. 
    Si osserva come gli ex parlamentari siano l'unica  categoria  nei
confronti della quale e' stato operato il  ricalcolo  della  pensione
con il metodo contributivo; si sottolinea che sono stati colpiti  gli
ex senatori con vitalizi piu' modesti e che  sono  stati  penalizzati
coloro che hanno esercitato il mandato parlamentare in  epoche  molto
lontane nel tempo. 
    Con riguardo alla metodologia di calcolo, si  sostiene  che  essa
sarebbe solo in apparenza ispirata al sistema contributivo, mentre in
realta' sussisterebbero  rilevanti  differenze  con  la  riforma  del
sistema pensionistico attuata nell'ordinamento esterno (c.d.  riforma
Dini), la quale in primo luogo intervenne sulle  pensioni  ancora  da
maturare e non su quelle gia' maturate  ed  erogate,  ed  in  secondo
luogo previde una normativa transitoria. 
    Viene ribadita in particolare l'irragionevolezza dei coefficienti
di trasformazione riferiti alla decorrenza dell'assegno (ex  tunc)  a
fronte  della   sperequazione   che   tali   coefficienti   applicati
determinano tra i percettori dell'assegno. A tale proposito si rileva
come l'essere ricorsi all'eta' anagrafica al momento del percepimento
del vitalizio anziche' a quella del  momento  di  entrata  in  vigore
della delibera abbia portato  a  dare  rilevanza  a  coefficienti  di
trasformazione basati non su eventi futuri ed incerti, ma  su  eventi
gia' verificatisi e quindi  certi,  assegnando  agli  interessati  la
stessa aspettativa di vita di quella che avevano al  momento  in  cui
lasciarono il Parlamento e percepirono il vitalizio. 
    Si eccepisce sotto tale profilo che la  stima  probabilistica  su
cui si basano i meccanismi previdenziali non puo' essere applicata ad
eventi che si sono gia' verificati nel passato, perdendo il carattere
dell'aleatorieta', elemento che contraddice i principi di  fondo  del
sistema  contributivo;  inoltre,  nel  caso  di  specie  il  montante
contributivo  non  e'  agganciato  ad  un  dato  reale,  e  cioe'  ai
contributi effettivamente versati dai parlamentari, ma risulta essere
fittizio;  il  rispetto  del  principio  di   ragionevolezza   e   di
proporzionalita' avrebbe dovuto condurre a  determinare  ricalcolo  a
partire  dalla  data  di  decorrenza  dell'entrata  in  vigore  della
deliberazione impugnata. 
    Diversi resistenti hanno peraltro  enucleato  diverse  specifiche
criticita' nell'elaborazione  dei  coefficienti,  che  avrebbero  tra
l'altro  generato  disparita'  di  trattamento  tra  parlamentari   e
penalizzato in misura maggiore i trattamenti di minore entita'. 
    Si rimarcano  inoltre  la  violazione  dei  principi  in  materia
fiscale e  previdenziale,  in  conseguenza  dei  quali  i  contributi
versati dagli  interessati,  a  seguito  della  rideterminazione  del
vitalizio, dovrebbero essere considerati deducibili dalle imposte sui
redditi e pertanto dar luogo alla  restituzione  di  somme  da  parte
dell'Erario per il pagamento di imposte non dovute, 
    E' stato peraltro osservato come la delibera n. 6  del  2018  non
abbia  preso  in  considerazione  situazioni   che,   per   la   loro
peculiarita', avrebbero dovuto  essere  disciplinate  differentemente
mediante previsioni normative ad hoc, quali in particolare: 
        il trattamento previdenziale  degli  ex  senatori  che  hanno
riscattato i periodi  necessari  alla  maturazione  del  vitalizio  o
quelli mancanti per il completamento delle legislature; 
        il trattamento previdenziale  degli  ex  senatori  che  hanno
svolto un precedente mandato presso la Camera dei deputati; 
        il trattamento degli ex senatori il cui assegno vitalizio  e'
stato erogato e poi sospeso per la rielezione o per  incompatibilita'
con un incarico successivamente assunto; 
        il  trattamento  degli  ex  senatori  che  hanno  svolto   un
considerevole numero di mandati elettivi e che, dunque, hanno versato
un considerevole ammontare di contributi e  che  si  troverebbero  ad
avere diritto ad un vitalizio addirittura maggiorato,  il  quale  non
verra' corrisposto  a  causa  della  soglia  massima  prevista  dalla
delibera; 
        il  trattamento  degli  ex  senatori  che  sono  stati  anche
consiglieri regionali in regioni nelle quali sono previsti il divieto
di cumulo od altre misure riduttive, i quali si sono trovati a subire
lo stesso taglio di altri consiglieri regionali presso regioni  nelle
quali non e' prevista alcuna misura riduttiva; 
        il trattamento degli ex senatori  che  abbiano  svolto  anche
mandati presso il Parlamento europeo. 
    4.2.3. In merito al terzo  motivo  di  ricorso  -  con  il  quale
l'Amministrazione  si  duole  della   carenza   motivazionale   della
decisione ove ha dichiarato illegittimi i commi 6 e 7 dell'articolo 1
della delibera n. 6 del 2018, recanti i criteri di  correzione  e  di
temperamento dei risultati del ricalcolo - si  e'  osservato  che  la
decisione  impugnata  contiene  un   rinvio   per   relationem   alla
motivazione della decisione n. 2 del Consiglio di giurisdizione della
Camera dei deputati e che comunque la Commissione ha delineato alcune
direttrici di intervento. 
    A fronte delle argomentazioni di parte appellante - la  quale  ha
invocato il carattere di sentenza  interlocutoria  e  non  definitiva
dell'organo di autodichia  della  Camera  dei  deputati  -  e'  stato
eccepito che il fatto che la sentenza n. 2 del 2020 sia una pronuncia
non definitiva nulla toglierebbe  alla  sua  immediata  efficacia  di
annullamento del comma  7  dell'articolo  1  della  citata  delibera,
annullamento che sarebbe stato disposto proprio sul presupposto della
sua inidoneita' a garantire un efficace  meccanismo  di  temperamento
delle  distorsioni   derivanti   dall'applicazione   della   delibera
impugnata. 
    E' stato inoltre rilevato come non fosse di spettanza dell'organo
giurisdizionale di primo grado indicare  un  metodo  alternativo  per
temperare gli effetti del ricalcolo, cio' competendo al Consiglio  di
Presidenza. 
    4.2.4. Con riguardo al quarto motivo di ricorso - il quale ha  ad
oggetto la parte della decisione n. 660 che annulla  la  delibera  in
ragione dell'applicazione  degli  stessi  criteri  di  calcolo  degli
assegni vitalizi diretti a quelli di  reversibilita',  nonostante  la
decurtazione, quantificabile  nell'ordine  del  40  per  cento,  gia'
disposta a carico di questi ultimi - sono state  ritenute  fuorvianti
le argomentazioni dell'appellante, la quale  ha  eccepito  che  anche
nell'ordinamento generale le pensioni di reversibilita' scontano  una
riduzione percentuale rispetto a quelle del dante causa. 
    Sostanzialmente  si  rimarca  che  ricalcolo   introdotto   dalla
delibera n. 6 del 2018 interviene  sui  vitalizi  indiretti  con  gli
stessi criteri di ricalcolo validi per la generalita' dei vitalizi in
corso di erogazione, senza considerare che la sua applicazione va  ad
impattare su trattamenti gia' fortemente ridotti (in una misura  pari
quasi  alla  meta'   del   loro   originario   importo)   in   misura
sproporzionata ed irragionevole. 
    E'  stato  altresi'   evidenziato   come   il   coefficiente   di
trasformazione applicato sia quello  dell'eta'  del  parlamentare  al
momento  dell'originaria  liquidazione  del   trattamento,   con   la
conseguenza  che,  per  i  trattamenti  di  reversibilita',  la  loro
rideterminazione sia condizionata da un evento assolutamente postumo,
incerto  ed  imponderabile  come  l'eta'  del  congiunto  al  momento
dell'originaria liquidazione. 
    Un ulteriore ordine di considerazioni pone in evidenza da un lato
la  connotazione  tipicamente  assistenziale  della   reversibilita',
dall'altro la peculiare disciplina che ha  caratterizzato  l'istituto
dal 1993 al 2011. Si rammenta infatti che in tale  periodo  l'assegno
di reversibilita' per familiari superstiti era oggetto di  un'opzione
del senatore, che pagava un contributo  ad  hoc,  il  che  renderebbe
particolarmente grave la violazione dell'affidamento: i senatori  che
decisero   di   versare   volontariamente   i   contributi   per   la
reversibilita',  qualora  avessero  immaginato  una  cosi'   drastica
riduzione, non avrebbero versato tali contributi, ma avrebbero optato
per altri strumenti assicurativi o finanziari. 
    4.3. Alcuni resistenti hanno  infine  fatto  richiamo  ad  alcune
recenti pronunce sia degli organi  giurisdizionali  statali,  che  di
matrice europea, tra le  quali  in  particolare  le  ordinanze  della
Suprema Corte di Cassazione n. 1720 del 2020 e n. 25211 del 2020 e la
sentenza n. 28178 del 2020, nonche' la sentenza del 15  ottobre  2020
del Tribunale dell'Unione europea, le quali  presenterebbero  diversi
elementi atti a  suffragare  le  argomentazioni  gia'  esposte  nelle
proprie difese. 
5. Appelli incidentali. 
    Si da' conto, in maniera  sintetica,  degli  appelli  incidentali
proposti da diversi resistenti. 
    5.1. I resistenti difesi dagli avvocati Felice Carlo  Besostri  e
Giuseppe Libutti  hanno  rilevato  che  la  decisione  n.  660  della
Commissione contenziosa ha omesso di pronunciarsi sul settimo  motivo
del ricorso di primo grado e sulle eccezioni sollevate con  i  motivi
aggiunti   depositati   successivamente   alla    conoscenza    della
rideterminazione degli importi. 
    In estrema sintesi, gli appellanti incidentali evidenziano che la
rideterminazione  del  vitalizio  non  terrebbe  conto  del   periodo
prestato come parlamentare se non ai fini del calcolo del  contributo
versato, ma senza distinguere tra  legislature  piene  e  legislature
riscattate, situazioni non omogenee di fatto e di diritto: si  rileva
che, nel caso di riscatto, non e' stata  percepita  dal  beneficiario
alcuna indennita' e tra  i  due  casi  vi  e'  un  differente  regime
fiscale. 
    Viene, inoltre rimarcata la  natura  pattizia  sia  dei  vitalizi
discendenti   dal   riscatto,   sia   di   quelli   derivanti   dalla
reversibilita',  sia  di  quelli  maturati  sotto   il   regime   del
regolamento del  1997,  tutte  fattispecie  nelle  quali  apparirebbe
violato il principio pacta sunt servanda. 
    I vitalizi provenienti da riscatto, secondo  gli  esponenti,  non
possono essere rideterminati, men che  meno  applicando  coefficienti
fondati su presupposti retroattivi. 
    Ulteriori doglianze vengono inoltre argomentate in relazione.  al
comma 7 dell'articolo  1  della  delibera  n.  6  del  2018,  nonche'
all'omessa valutazione del complesso  dei  redditi  del  beneficiario
nella rideterminazione del vitalizio. 
    5.2. Gli appellanti incidentali difesi  dagli  avvocati  Federico
Sorrentino e Aldo Sandulli, nonche'  dall'avvocato  Sara  Calzi  (per
l'onorevole Omissis) e dall'avvocato Enrico Rabino  (per  la  signora
Omissis) sotto un primo profilo,  hanno  dedotto  l'erroneita'  della
decisione di primo grado nella parte in cui ha rigettato il motivo di
incompetenza  e  violazione  dell'articolo  69  della   Costituzione,
inerente all'illegittimita' della delibera n. 6 del  2018  in  quanto
adottata con regolamento minore anziche' con legge. 
    In secondo luogo, hanno eccepito il vizio di omessa pronuncia  in
ordine  alla  domanda  di  accertamento  del  diritto  all'erogazione
dell'assegno vitalizio diretto  e  di  reversibilita'  come  previsto
dalla disciplina previgente e dell'erroneita'  ed  illegittimita'  di
ogni diverso ricalcolo  effettuato  in  applicazione  della  delibera
impugnata. 
    Infine, sono stati riproposti, ai sensi dell'articolo 101,  comma
2, del codice del processo amministrativo, i motivi non esaminati  ed
assorbiti  in  primo  grado   e   segnatamente:   1)   Illegittimita'
costituzionale della delibera anche per aver retroattivamente  inciso
su una prerogativa costituzionalmente  garantita  ai  parlamentari  a
tutela della loro liberta' ed indipendenza (articoli 67  e  69  della
Costituzione);   2)   Difetto    di    istruttoria;    3)    Radicale
irragionevolezza, sul  piano  logico  e  su  quello  attuariale,  del
ricalcolo «contributivo» ex post; 4) Illegittimita' del  calcolo  del
«montante contributivo», ricostruito in misura fittizia e sulla  base
di assunzioni gravemente  penalizzanti;  5)  Ulteriori  irragionevoli
assunzioni poste alla base del  calcolo  dei  c.d.  «coefficienti  di
trasformazione», in relazione, tra l'altro, all'aspettativa di vita e
alla posizione dei superstiti; 6) Violazione degli articoli  3  e  38
della Costituzione e dei principi di eguaglianza, di ragionevolezza e
di proporzionalita'. Violazione dell'articolo  163  del  Testo  unico
delle imposte sui redditi. 
    5.3. Gli  appellanti  incidentali  difesi  dall'avvocato  Lorenzo
Lentini,  nonche'  dall'avvocato   Paolo   Marra   (per   gli   eredi
dell'onorevole Omissis), ferma restando  l'infondatezza  dell'appello
principale, hanno impugnato in via incidentale la decisione di  primo
grado nella parte in cui: 
        ha   riconosciuto   la   giurisdizione   della    Commissione
contenziosa, con estensione a loro avviso inammissibile  del  sistema
di autodichia a soggetti che non rivestono funzioni di componenti del
Senato, non sono dipendenti e, dunque,  non  rientrano  nell'apparato
servente dell'organo costituzionale; 
        ha affermato che l'istituto del vitalizio «e'  legittimamente
disciplinato  da  fonte  regolamentare  parlamentare»;   sotto   tale
profilo, la delibera n. 6  del  2018  dovrebbe  essere  integralmente
annullata in quanto adottata in violazione della riserva di legge  di
cui  all'articolo  69  della  Costituzione  e  dell'articolo  l   del
Protocollo n. l della Convenzione europea  per  la  salvaguardia  dei
diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  il  quale   ha
ricondotto  anche  i  diritti   di   credito,   segnatamente   quelli
rinvenienti   da   trattamenti    retributivi,    previdenziali    ed
assistenziali, tra i beni «protetti» che non possono essere incisi se
non in base ad una fonte legislativa; 
        non si e'  pronunciata  sulle  domande  di  accertamento  del
diritto  a  conservare  l'assegno  vitalizio  nella   misura   finora
riconosciuta ed erogata ed alla restituzione delle somme a suo  tempo
trattenute sull'indennita' parlamentare dal Senato  della  Repubblica
in veste di sostituto di imposta, oggi  indebitamente  ritenute,  con
conseguente condanna alla restituzione delle somme conseguenti; 
        non ha accertato in modo puntuale la violazione dei  principi
che la Corte costituzionale ha prescritto per la  legittimita'  degli
interventi su trattamenti pensionistici in essere, e  segnatamente  i
principi    di    affidamento,    ragionevolezza,    straordinarieta'
dell'intervento,  proporzionalita'  tra  i  sacrifici  soggettivi   e
ristoro del bilancio pubblico, generalita', temporaneita'. 
    5.4. Gli appellanti incidentali difesi  dagli  avvocati  Maurizio
Paniz e Stefania Fullin hanno riproposto i motivi  di  ricorso  e  le
questioni di illegittimita' costituzionale sollevate in primo grado e
rimaste assorbite. 
    Nella denegata  ipotesi  di  accoglimento  avversario,  e  dunque
condizionatamente a tale accoglimento, viene impugnata la sentenza di
primo grado laddove ha  rigettato,  al  punto  2  della  motivazione,
l'eccezione  di  carenza  di  giurisdizione   sulla   base   di   «un
orientamento giurisprudenziale autorevole e  confermato,  da  ultimo,
dalle sentenze delle Sezioni Unite della Cassazione n. 18265 e  18266
del 2019». 
    Sotto tale  profilo  viene  in  particolare  argomentata  la  non
idoneita' del «Regolamento del Senato della Repubblica  sulla  tutela
giurisdizionale relativa ad atti e provvedimenti  amministrativi  non
concernenti i dipendenti» a garantire il diritto fondamentale  ad  un
giusto processo, come consacrato dalla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali,  la
violazione della riserva di  legge  di  cui  all'articolo  111  della
Costituzione,   nonche'   del   diritto   di   eguaglianza   tutelato
dall'articolo 14 della Convenzione europea per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  e  dall'articolo  3
della Costituzione. 
    5.5.   L'onorevole   Omissis   propone    appello    incidentale,
relativamente a tutte le richieste avanzate con il ricorso  di  primo
grado. 
    5.6. L'onorevole Omissis , nella  denegata  ipotesi  di  ritenuto
accoglimento  anche  parziale  dell'appello,  ha   chiesto   in   via
incidentale che il Collegio dichiari che la presente controversia  e'
sottratta all'autodichia del Senato della  Repubblica  e  ritenga  il
difetto  di   giurisdizione   della   Commissione   contenziosa.   In
particolare, egli ritiene che il  punto  2  delle  motivazioni  della
decisione n. 660 (nel quale il Collegio di primo grado ha ritenuto la
propria giurisdizione) si ponga in  contraddizione  con  il  punto  7
delle  stesse,  laddove  il  vitalizio  e'  qualificato  quale  parte
dell'indennita' parlamentare, che trova la sua fonte nella  legge  n.
1261 del 1965 ancorata all'articolo 69 della Costituzione. 
    5.7.  Gli  onorevoli  Omissis  ,  Omissis  e  Omissis  ,  in  via
incidentale chiedono che la decisione n. 660 del 2020 sia  modificata
in relazione al motivo  di  ricorso  -  entrato  a  far  parte  della
sentenza ma non scrutinato dalla Commissione in sede  di  motivazione
della decisione stessa - inerente alla scelta di aver posto mano alla
vicenda con regolamento e non con legge ordinaria;  chiedono  inoltre
il rinvio della delibera al vaglio  della  Corte  costituzionale  per
violazione degli articoli 3, 38, 51 e 53 della Costituzione. 
    5.8.  L'onorevole  Omissis  ha   proposto   appello   incidentale
finalizzato ad  ottenere  la  liquidazione  delle  spese  e  compensi
giudiziali del primo grado di giudizio, ritenendo non sussistenti  le
condizioni per procedere alla loro compensazione,  in  considerazione
soprattutto della soccombenza dell'Amministrazione del Senato. 
    5.9. L'onorevole Omissis e la signora Omissis hanno riproposto  i
motivi di ricorso dichiarati assorbiti in primo  grado  e  articolato
altresi': 
        appello  incidentale  autonomo,  con  riferimento  ai  motivi
rigettati, anche implicitamente, dalla  decisione  della  Commissione
contenziosa; 
        appello incidentale  condizionato,  quanto  all'eccezione  di
difetto di giurisdizione avanzata in via pregiudiziale nel ricorso di
primo grado e rigettata dalla  Commissione  stessa  per  la  denegata
ipotesi   in   cui   venisse   accolta   l'impugnazione    principale
dell'Amministrazione e rigettata quella incidentale autonoma. 
6. Replica dell'Amministrazione del Senato. 
    Per completezza di esposizione si riferiscono in estrema  sintesi
alcuni  profili  espressi  dall'appellante  Amministrazione  con   la
memoria di replica depositata  il 17  marzo  2021  e  nell'intervento
svolto nella seduta del 31 marzo 2021. 
    In merito ai profili di inammissibilita' del ricorso in  appello,
l'appellante ha richiamato l'articolo 87, comma 1 del Testo unico, il
quale dispone che la rappresentanza,  il  patrocinio  e  l'assistenza
dell'Amministrazione del Senato spettino al Segretario generale, o al
consigliere  parlamentare  da  esso   delegato;   tale   disposizione
integrerebbe in tal modo un caso di rappresentanza ex lege,  che  non
necessita di apposito mandato. Ha peraltro osservato che il  comma  2
dello stesso articolo prevede  la  facolta'  dell'Amministrazione  di
farsi rappresentare e assistere da  un  avvocato  dello  Stato  o  da
avvocati liberi professionisti. 
    Con   riguardo   al   merito,   l'Amministrazione   ha    rimesso
all'apprezzamento del Collegio due recenti  decisioni  del  Tribunale
dell'Unione europea  sulla  medesima  materia  oggetto  del  presente
contenzioso, rese successivamente al deposito del ricorso  n.  288  e
segnatamente la sentenza del 15 ottobre 2020, la quale ha respinto  i
ricorsi presentati contro il Parlamento europeo nelle  cause  riunite
T-389/19 ed altre, e la sentenza 10 febbraio 2021  con  la  quale  e'
stato respinto il ricorso contro il Parlamento  europeo  nelle  cause
riunite   T-345/19   ed   altre;   l'orientamento   giurisprudenziale
eurounitario   riassunto   nelle   due   sentenze   (riferite    alla
deliberazione n. 14 del 2018 dell'Ufficio di Presidenza della  Camera
dei deputati), dimostrerebbe  che  l'intervento  disposto  dalla  due
Camere sui trattamenti previdenziali degli ex parlamentari non  abbia
violato il legittimo affidamento. 
    L'Amministrazione ha ribadito che l'intervento introdotto con  la
delibera del Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 e' razionale,  non
arbitrario ed ispirato all'obiettivo dell'equita' sociale. In  questa
prospettiva, la tutela del principio del legittimo affidamento - come
si ricava anche dalla suddetta giurisprudenza - non assurge a  limite
da tutelare ad ogni costo  ed  incondizionatamente.  Ne  consegue  la
necessita' di un contemperamento rispetto a  posizioni  giuridiche  a
soddisfazione mediata  - come  quelle  in  esame  -  sulle  quali  e'
possibile incidere con misure non arbitrarie e quindi legittime. 
7. Ulteriori istanze di natura cautelare. 
    7.1. Con istanza presentata  il  9  settembre  2021  e  trasmessa
all'Amministrazione del Senato  il  10  settembre  2021,  l'onorevole
Omissis - considerate le gravi ragioni derivanti da  un  aggravamento
delle proprie condizioni di salute - ha  chiesto  al  Presidente  del
Consiglio di garanzia o, in  subordine,  al  Collegio,  di  disporre,
inaudita altera parte o, in subordine, previa fissazione di  apposita
udienza, in via cautelare e d'urgenza la disapplicazione o, comunque,
la  sospensione  dell'efficacia  della  delibera  del  Consiglio   di
Presidenza 16  ottobre  2018,  n.  6,  nonche'  il  ripristino  della
corresponsione dell'originaria  misura  dell'assegno  vitalizio,  con
condanna del Senato della Repubblica all'immediata sua ricostituzione
e versamento dei relativi importi, compresi gli arretrati trattenuti. 
    Il Presidente del Consiglio  di  garanzia,  con  decreto  del  15
settembre 2021 Prot. n. 47/CG/P ha disposto in  via  monocratica  che
nei confronti del ricorrente onorevole Omissis fosse ripristinata  la
corresponsione  dell'originaria  misura  dell'assegno   vitalizio   a
decorrere dalla data di deposito dell'istanza (9 settembre 2021). 
    Il   Collegio,   convocato   per   la   trattazione    definitiva
dell'istanza, con decisione n. 246, depositata il 28 ottobre 2021, ha
confermato il provvedimento  presidenziale  del  15  settembre  2021,
riservandosi  di  decidere  sulle  spese  all'esito  della  decisione
dell'appello sulla decisione n. 660 della Commissione contenziosa. 
    7.2. Con istanza depositata il  22  settembre  2021  e  trasmessa
all'Amministrazione del Senato in pari data,  la  signora  Omissis  ,
nella sua qualita' di figlia del fu senatore Omissis - considerate le
gravi  ragioni  addotte  dall'istante,  corroborate   da   probatoria
documentazione -  ha  chiesto  al  Consiglio  di  garanzia  di  voler
revocare, limitatamente alla posizione  della  stessa,  la  decisione
cautelare n. 270 del 29 ottobre 2020 con ogni conseguente pronuncia. 
    Il Presidente del Consiglio  di  garanzia,  con  decreto  del  23
settembre 2021 Prot. n. 48/CG/P, ha disposto in via  monocratica  che
nei confronti della ricorrente signora Omissis fosse ripristinata  la
corresponsione  dell'originaria  misura  dell'assegno  vitalizio   di
reversibilita' a decorrere dalla data di  deposito  dell'istanza  (22
settembre 2021). 
    Il Collegio,   convocato   per    la    trattazione    definitiva
dell'istanza, con decisione n. 245, depositata il 28 ottobre 2021, ha
confermato il provvedimento presidenziale  rinviando  alla  decisione
definitiva la pronuncia sulle spese. 
    7.3. Con istanza depositata in data 7 ottobre  2021  e  trasmessa
all'Amministrazione del Senato 1'8 ottobre 2021 l'onorevole Omissis -
facendo in particolare riferimento all'aggravamento delle  condizioni
di vita ed economiche della ricorrente e della propria famiglia -  ha
chiesto al Presidente del Consiglio di garanzia o, in  subordine,  al
Collegio, di disporre inaudita altera  parte  oppure,  in  subordine,
previa fissazione di apposita udienza, in via cautelare e di  urgenza
la disapplicazione o comunque  la  sospensione  dell'efficacia  della
delibera del Consiglio di  Presidenza  n.  6  del  2018,  nonche'  il
ripristino della corresponsione dell'originaria  misura  dell'assegno
vitalizio. 
    Con decisione n. 247, depositata il 28 ottobre 2021, il Consiglio
di  garanzia  ha  accolto  la  richiesta  cautelare  disponendo   per
l'effetto il ripristino della corresponsione  dell'originaria  misura
dell'assegno  vitalizio  a   decorrere   dalla   data   di   deposito
dell'istanza (7 ottobre 2021), riservandosi di decidere  sulle  spese
all'esito della decisione dell'appello sulla decisione n.  660  della
Commissione contenziosa. 
    7.4.  Con  istanza  depositata  l'8  ottobre  2021  e   trasmessa
all'amministrazione in pari data l'onorevole  Omissis  -  facendo  in
particolare riferimento alle proprie  condizioni  di  salute  e  agli
impegni economici assunti precedentemente al ricalcolo del  vitalizio
- ha chiesto al Presidente del Consiglio di garanzia o, in subordine,
al Collegio, di disporre inaudita altera parte oppure, in  subordine,
previa fissazione di apposita udienza, in via cautelare e di  urgenza
la disapplicazione o comunque  la  sospensione  dell'efficacia  della
delibera del Consiglio di  Presidenza  n.  6  del  2018,  nonche'  il
ripristino della corresponsione dell'originaria  misura  dell'assegno
vitalizio. 
    Con decisione n. 248, depositata il 28 ottobre 2021, 11 Consiglio
di  garanzia  ha  accolto  la  richiesta  cautelare  disponendo   per
l'effetto il ripristino della corresponsione  dell'originaria  misura
dell'assegno  vitalizio  a   decorrere   dalla   data   di   deposito
dell'istanza (8 ottobre 2021), riservandosi di decidere  sulle  spese
all'esito della decisione dell'appello sulla decisione n.  660  della
Commissione contenziosa. 
Ricorso n. 289 (onorevole Omissis). 
    8. Trattazione da parte della Commissione contenziosa. 
    8.1. L'onorevole Omissis ha impugnato la deliberazione n.  6  del
2018 in due diversi giudizi di primo grado:  il  primo,  aderendo  ad
altro ricorso collettivo, il secondo (ricorso n. 1547  depositato  il
20  giugno  2019)  in  via  autonoma,  prospettando   una   specifica
illegittimita' correlata alla propria posizione personale ed inerente
all'interpretazione  ed  applicazione  dei   c.d.   coefficienti   di
trasformazione del montante contributivo. 
    Si rammenta che l'onorevole Omissis ha maturato il  diritto  alla
corresponsione del vitalizio nell'anno ; l'erogazione  del  vitalizio
gli e' poi stata sospesa per due volte, dal ... al ... e dal  ...  al
..., in relazione a due mandati parlamentari presso il  Senato  della
Repubblica. 
    8.1.1. Con il ricorso individuale il ricorrente ha in particolare
eccepito che l'articolo 2, comma 7, della deliberazione n. 6 del 2018
- il quale prevede che «Nel caso in cui, dopo la data di  maturazione
dell'assegno vitalizio, siano stati versati  dal  senatore  ulteriori
contributi in relazione allo svolgimento  di  un  successivo  mandato
parlamentare, i contributi medesimi concorrono a formare un  nuovo  e
diverso montante, che viene trasformato applicando i coefficienti  di
trasformazione corrispondenti all'eta' anagrafica del  senatore  alla
data di cessazione  dal  successivo  mandato.  La  prestazione  cosi'
determinata si somma alla precedente gia' maturata» - produrrebbe una
distorsione nei meccanismi di calcolo del trattamento spettante. 
    L'onorevole Omissis ha ritenuto che gli «eventi di sospensione» -
tipici dell'ordinamento delle Camere e peculiari rispetto al  sistema
previdenziale generale - non possano essere ignorati nel calcolo  dei
coefficienti di trasformazione. A suo  avviso,  laddove  l'erogazione
sia sospesa per periodi piu' o meno lunghi,  occorrerebbe  modificare
il coefficiente in senso piu' favorevole al beneficiario  in  quanto,
in caso di sospensione, gli anni per i quali il montante contributivo
sara' «spalmato» tra la data di pensionamento e la morte si riducono;
la pensione dunque,  secondo  l'onorevole  Omissis,  dovrebbe  essere
correlativamente aumentata. 
    8.2. L'Amministrazione resistente, costituitasi in  giudizio,  ha
sostenuto l'infondatezza nel merito del ricorso,  osservando  che  la
disposizione di cui al comma 7 dell'articolo 2 della deliberazione in
questione,  disposizione  riguardante  specificamente  il  caso   del
ricorrente, e' stata oggetto di  un'approfondita  istruttoria  previa
alla sua adozione. La resistente ha richiamato in proposito  il testo
dell'audizione del Presidente dell'INPS effettuata dal  Consiglio  di
Presidenza del Senato il 3 ottobre 2018, dove e' stata a  suo  avviso
chiaramente affrontata la questione delineata dal ricorrente. 
    8.3. Con decisione n. 661, assunta il 23 luglio e  depositata  il
30 settembre 2020, l'organo di primo grado, previa riunione con altro
ricorso per connessione oggettiva, ha definito il ricorso individuale
dell'onorevole Omissis, cosi concludendo: 
        «La Commissione contenziosa 
          prende atto del fatto che una parte  delle  richieste  piu'
generali  avanzate  dai  ricorrenti   sono   gia'   state   esaminate
nell'ambito della precedente decisione del 25 giugno  2020,  che  fra
l'altro ha riguardato direttamente [...] l'onorevole Omissis (ricorso
collettivo n. 1044) e in particolare la parte del dispositivo che  ha
annullato  le  disposizioni  della  deliberazione  del  Consiglio  di
Presidenza del Senato della Repubblica n.  6  del  16  ottobre  2018,
nella parte  in  cui  prevedono  il  ricalcolo  dell'ammontare  degli
importi  mediante  la  moltiplicazione  del   montante   contributivo
individuale per il coefficiente di trasformazione  relativo  all'eta'
anagrafica  del  senatore  alla  data  di   decorrenza   dell'assegno
vitalizio o del trattamento previdenziale  pro  rata,  anziche'  alla
data di decorrenza dell'entrata in vigore della  deliberazione  n.  6
del 2018; 
          ribadisce  che   spetta   all'Amministrazione   l'eventuale
individuazione di criteri matematici diversi e  piu'  equi  circa  le
modalita' di calcolo dei contributi versati in periodi differenti tra
una prima cessazione del mandato parlamentare ed una successiva e non
immediata elezione in una delle due  Camere,  trattandosi  di  scelte
discrezionali,  estranee  alle  competenze  della   giurisdizione   e
pertanto rigetta i ricorsi per tale ultima questione». 
9. Secondo grado di giudizio. 
    9.1. In data 27 ottobre 2020 l'onorevole Omissis ha impugnato  la
citata decisione n. 661 del 2020 per i seguenti motivi di diritto: 
        1. Violazione  dell'articolo  295  del  codice  di  procedura
civile, in quanto, pur avendo  la  Commissione  contenziosa  rilevato
l'esistenza un rapporto di pregiudizialita' tra la decisione  n.  660
del 2020 e la presente controversia,  non  ha  sospeso  il  giudizio,
creando un pregiudizio al proprio diritto alla difesa. 
        2. Contraddittorieta'  della  pronuncia  con  riferimento  al
rapporto tra la decisione n. 660 del 2020 ed il presente giudizio. 
        3.  Contraddittorieta'  della   pronuncia   con   riferimento
all'unico motivo di ricorso  rubricato  «Violazione  dell'articolo  3
della Costituzione e del principio di  eguaglianza. Errore  di  fatto
nell'utilizzo del coefficiente di trasformazione relativo all'anno di
pensionamento, senza tenere conto  del  periodo  di  sospensione  del
vitalizio». 
    L'onorevole  Omissis  ha,  chiesto  la  riforma  della  decisione
impugnata e l'accertamento  del  proprio  diritto  al  ricalcolo  del
trattamento  previdenziale,  ove  occorra  previa  disapplicazione  o
annullamento degli atti indicati nell'epigrafe del  ricorso,  facendo
applicazione di un coefficiente di trasformazione che tenga conto dei
periodi di sospensione di erogazione del vitalizio. 
    9.2. In data 17  novembre  2020  si  e'  costituita  in  giudizio
l'Amministrazione del Senato la quale, richiamandosi  a  quanto  gia'
svolto in sede di appello della decisione n. 660, cui sostanzialmente
rinvia la decisione n. 661 del 2020, ha  ribadito  le  argomentazioni
gia' espresse nel primo grado di giudizio. 
    9.3. In data 18 novembre 2020 l'onorevole Omissis  ha  depositato
istanza cautelare chiedendo  -  in  considerazione,  in  particolare,
delle esigenze connesse con le condizioni di salute proprie  e  della
consorte - la  sospensione  degli  effetti  della  deliberazione  del
Consiglio di Presidenza n. 6 del 2018 nei propri confronti. 
    9.4. All'udienza del  2  febbraio  2021,  convocata  per  l'esame
congiunto dell'istanza  sospensiva  e  del  merito  del  ricorso,  su
richiesta della difesa dell'onorevole Omissis - la quale ha precisato
che l'oggetto  del  ricorso  in  esame  e'  connesso  con  i  profili
affrontati anche nell'ambito del ricorso n. 288  -  con  il  concorde
avviso della controparte, e' stata disposta la trattazione  congiunta
del presente ricorso con il procedimento n. 288. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    1. Preliminare ad ogni valutazione circa  la  legittimita'  della
delibera del Consiglio di Presidenza e' individuazione  della  natura
dei vitalizi parlamentari. 
    Sul punto e' diffusa l'opinione che  tali  trattamenti  economici
siano ormai del tutto assimilabili alle pensioni,  e  che  tale  tesi
avrebbe trovato definitivo accoglimento nelle  note  ordinanze  della
Cassazione del 2019 (per tutte cfr. n.  18265  del  2019)  le  quali,
ancorche' quale obiter dictum, avrebbero sancito tale assimilazione. 
    Invero la questione potrebbe apparire piu'  complessa  da  quanto
possa desumersi da una ricognizione prima facie delle fonti. 
    Pietra  angolare  del  tema   e'   quanto   chiarito   da   Corte
costituzionale con la sentenza n. 289 del 1994. 
    Scrivono i giudici delle leggi: «Tra le due situazioni  (vitalizi
e pensioni, ndr) -  nonostante  la  presenza  di  alcuni  profili  di
affinita' - non sussiste, infatti, una identita' ne' di natura ne' di
regime giuridico, dal momento che l'assegno vitalizio,  a  differenza
della pensione ordinaria, viene a collegarsi  ad  una  indennita'  di
carica goduta in relazione  all'esercizio  di  un  mandato  pubblico:
indennita' che, nei suoi presupposti e nelle sue finalita', ha sempre
assunto, nella disciplina costituzionale  e  ordinaria,  connotazioni
distinte da quelle proprie della retribuzione connessa al rapporto di
pubblico impiego. 
    La diversita' tra assegno vitalizio e pensione - pur variando  in
relazione  alla  diversa  tipologia  dei  vitalizi   previsti   dalla
legislazione  in  vigore  -  assume,   d'altro   canto,   un'evidenza
particolare  in  relazione  ai  vitalizi  spettanti  ai  parlamentari
cessati dal mandato, dal  momento  che  questo  particolare  tipo  di
previdenza ha trovato la sua  origine  in  una  forma  di  mutualita'
(Casse di previdenza per i deputati ed i senatori istituite nel 1956)
che si  e'  gradualmente  trasformata  in  una  forma  di  previdenza
obbligatoria di  carattere  pubblicistico,  conservando  peraltro  un
regime speciale che trova il suo  assetto  non  nella  legge,  ma  in
regolamenti interni delle Camere (v. il regolamento della  previdenza
per  i  deputati,  approvato  il  30  ottobre  1968,  con  successive
modificazioni, ed il regolamento per la previdenza ed  assistenza  ai
senatori  e  loro  familiari,  approvato  il  23  ottobre  1968,  con
successive modificazioni). 
    L'evoluzione che, nel corso del tempo, ha  caratterizzato  questa
particolare forma di  previdenza  ha  condotto  anche  a  configurare
l'assegno vitalizio - secondo quanto e'  emerso  dai  dati  acquisiti
presso la Presidenza delle due Camere - come istituto che, nella  sua
disciplina positiva, ha recepito, in parte, aspetti riconducibili  al
modello pensionistico e, in parte, profili tipici  del  regime  delle
assicurazioni private. Con una tendenza che di recente ha  accentuato
l'assimilazione del regime dei contributi a carico dei deputati e dei
senatori a quello proprio dei premi assicurativi (v., in particolare,
la delibera dell'Ufficio di Presidenza della Camera dei  deputati  n.
61/93 e del Consiglio di Presidenza del  Senato  n.  44/93,  dove  si
stabilisce, a fini fiscali, di includere i  contributi  stessi  nella
base imponibile dell'indennita' parlamentare "in  analogia  ai  premi
assicurativi destinati a costituire le rendite vitalizie")». 
    E' dunque alla luce di tale assunto che  deve  intendersi  quanto
affermato  dalle  citate  sentenze   della   Cassazione   allorquando
chiariscono che «... se il c.d. vitalizio rappresenta  la  proiezione
economica dell'indennita'  parlamentare  per  la  parentesi  di  vita
successiva allo svolgimento del  mandato -  sebbene  esso  non  trovi
specifica menzione nella Costituzione, a  differenza  dell'indennita'
prevista nell'art. 69 Cost. - puo' dirsi che  la  sua  corresponsione
sia  sorretta  dalla  medesima   ratio   di   sterilizzazione   degli
impedimenti economici  all'accesso  alle  cariche  di  rappresentanza
democratica  del   Paese   e   di   garanzia   dell'attribuzione   ai
parlamentari, rappresentanti del popolo sovrano,  di  un  trattamento
economico adeguato ad  assicurarne  l'indipendenza,  come  del  resto
accade in tutti gli ordinamenti ispirati alla concezione  democratica
dello Stato». 
    In altri termini: ancorche' sia vero che  «gli  assegni  vitalizi
dovuti, in dipendenza della cessazione dalla  carica,  a  favore  dei
parlamentari  si  collegano  all'indennita'  di  carica   goduta   in
relazione  all'esercizio  di  un  mandato  pubblico»   e   che   tale
collegamento sussiste anche tra retribuzione dovuta per  rapporto  di
pubblico impiego e trattamento pensionistico, la diversita'  a  monte
tra retribuzione ed indennita' non consentirebbe in modo automatico e
diretto di derivare a mo' di sillogismo che anche il vitalizio sia in
realta' tout court una pensione. 
    Non a caso la Corte costituzionale chiarisce che tra  vitalizi  e
pensioni - nonostante la presenza di alcuni profili  di  affinita'  -
non sussiste, infatti, una totale identita' di  natura  e  di  regime
giuridico. La Corte costituzionale d'altra parte esclude pure che sia
legittimo trattare i vitalizi come rendite  vitalizie,  di  cui  pure
riconosce alcuni tratti; e simmetricamente puo' desumersi che  eguale
affermazione possa valere per l'automatica applicazione  ai  vitalizi
di regole peculiari alle pensioni. Le sentenze rinvenibili  sul  tema
definiscono quindi il perimetro entro cui  rinvenire  la  natura  dei
vitalizi, ma non delineano in modo puntuale la natura  ed  il  regime
giuridico. 
    Allo scopo un interessante spunto  e'  offerto  da  un  passaggio
delle citate sentenze della Cassazione. Scrivono i  supremi  giudici:
«l'assenza di un riconoscimento economico per il  periodo  successivo
alla cessazione del mandato parlamentare varrebbe quale disincentivo,
rispetto al trattamento  previdenziale  ottenibile  per  un'attivita'
lavorativa  che  fosse  stata  intrapresa  per  il   medesimo   lasso
temporale». L'affermazione,  in  se'  non  errata,  si  fonda  su  un
presupposto non vero, bensi' solo probabile: essa vale  a  condizione
che il parlamentare sia stato distolto dal  suo  originario  percorso
lavorativo; si' che il vitalizio  si  ponga  come  surrogato  per  il
mancato svolgimento delle  ordinarie  attivita'  per  il  periodo  di
durata del munus publicum. Di converso appare  infondata  laddove  il
parlamentare non  abbia  svolto  altre  attivita',  oltre  quella  di
parlamentare, astrazion fatta dalla durata della stessa. 
    Invero l'indicazione della Cassazione puo' utilmente impiegarsi -
assunta a modello iniziale l'ipotesi di  un  parlamentare  che  abbia
svolto, nella sua vita, solo un mandato pur di  breve  durata  -  per
ravvisare nel vitalizio una indennita' volta a ristorare l'eletto per
essere stato distolto dal suo percorso di vita,  valutando  anche  in
via forfettaria ed astratta l'eventuale perdita di altre chances. 
    Il vitalizio,  dunque,  almeno  nella  sua  fase  iniziale,  puo'
considerarsi quale ristoro generico ed astratto  per  il  pregiudizio
esistenziale connesso allo  svolgimento  del  mandato.  Sotto  questo
profilo  puo'  ben  dirsi  che  il  vitalizio  assume  una   funzione
indennitaria per non aver vissuto  una  vita  in  tutto  o  in  parte
alternativa, ricomprese in  questa  quelle  opportunita'  non  colte,
talvolta  irripetibili,  che  possono  condurre  ad  altri  ruoli   e
professioni, non  solo  eventualmente  anche  piu'   gratificanti   o
redditizi (e' pero' anche vero il contrario). Si  pensi  a  coloro  i
quali svolgono il loro mandato  in  giovanissima  eta',  proprio  nel
periodo piu' fecondo per l'inserimento  nel  mercato  del  lavoro,  e
quanto possa essere pregiudizievole tentare tale inserimento in  anni
successivi. Va da se' che la  quantificazione  di  tale  pregiudizio,
riguardando un bene non direttamente misurabile  in  denaro  e  sotto
questo  profilo  «non  patrimoniale»,  pone   all'interprete   e   al
legislatore il problema di determinare  quale  somma  sia  idonea  ad
assicurare un equo ristoro. 
    La divisata funzione indennitaria, pero', non  puo'  considerarsi
esclusiva ed esaustiva: infatti man  mano  che  l'attivita'  politica
prosegue in ragione del sopravvenire di' altri mandati, quel percorso
esistenziale alternativo e temporaneo assume  il  ruolo  di  percorso
principale e duraturo, sino a potersi anche estendere  per  un  tempo
pari  alla  durata  minima  del  rapporto   lavorativo   utile   alla
maturazione di una  vera  e  propria  pensione.  In  questo  caso  la
funzione indennitaria viene affiancata, in modo sempre  maggiore,  da
una vera e propria funzione previdenziale. 
    Puo' dunque affermarsi che il vitalizio  e'  connaturato  da  una
duplice funzione,  entrambe  idonee  a  permeare  l'intero  istituto,
ancorche'  rispetto  ai  due   possibili   estremi   si   manifestino
maggiormente o la prima o la seconda descritta. 
    L'ordinamento   italiano   non   e'    estraneo    ad    istituti
«polifunzionali»: a mo' di esempio puo' ricordarsi  l'istituto  della
responsabilita' civile retto dalla duplice funzione  sanzionatoria  e
compensativa. 
    In  questi  casi  dottrina  e  giurisprudenza  insegnano  che  la
disciplina applicabile va  individuata  non  gia'  all'esito  di  una
meccanicistica operazione di sussunzione della  fattispecie  concreta
in quella astratta, bensi' all'esito della ricostruzione della  norma
del caso concreto all'esito di un ponderato  bilanciamento  di  tutti
gli interessi in gioco. 
    A chiusura del  ragionamento  e  al  fine  di  una  inconfutabile
conferma delle conclusioni espresse sara' sufficiente  citare  alcuni
pur brevi, ma  significativi  obiter  dicta  rinvenibili  nella  piu'
recente  giurisprudenza  costituzionale  relativa  alla  materia  dei
vitalizi di cui godono gli ex consiglieri regionali. Ad  esempio,  la
Corte  costituzionale  (sentenza  n.  108  del  2019,  punto  5   del
considerato in diritto), nel richiamare la propria  sentenza  n.  173
del 2016, precisa che si  tratta  di  «fattispecie  analoga,  ma  non
sovrapponibile, perche' relativa alla materia previdenziale». 
    Altresi': sempre  la  Consulta  (sentenza  n.  44  del  2021)  ha
affermato, in un inciso, che per il ricalcolo dei vitalizi  spettanti
ai consiglieri regionali cessati dal mandato non potesse  venire  «in
considerazione  la  giurisprudenza   costituzionale   relativa   alle
previsioni che introducono contributi di solidarieta' o  stabiliscono
il blocco o la limitazione  dei  meccanismi  di  rivalutazione  delle
pensioni». 
    2. La concreta disciplina dei vitalizi finisce cosi' con l'essere
composita: se da un lato i regolamenti parlamentari ne definiscono le
caratteristiche peculiari, dall'altro  i  formanti  giurisprudenziali
sono costretti ad attingere a diversi  principi  proprio  in  ragione
della complessa natura. 
    Prima della riforma del 2012 la  funzione  indennitaria  appariva
piu' evidente, pur concorrendo con quella previdenziale,  in  ragione
di tre determinanti profili: l'erogazione gia' al termine del mandato
o  poco  dopo;  l'erogazione  gia'  all'esito  dell'espletamento  del
mandato anche per pochi giorni (salvo il  versamento  dei  contributi
mancanti);  il  calcolo  dell'assegno  mensile  secondo   il   metodo
retributivo. 
    Appare  evidente,  dunque,  che  a  quei  vitalizi  non   possono
applicarsi tout court gli stessi principi elaborati per i trattamenti
pensionistici. Di particolare rilievo e' sul punto la sentenza  della
Corte costituzionale sulle c.d. «pensioni d'oro» (sentenza n. 234 del
2020), le cui osservazioni devono dunque essere considerate alla luce
della natura anche indennitaria dei vitalizi parlamentari. 
    «In  termini  generali,   la   verifica   di   ragionevolezza   e
proporzionalita' di un contributo imposto ai titolari delle  pensioni
piu' elevate non puo' essere avulsa dalla  considerazione  dei  gravi
problemi  strutturali  che  affliggono   il   sistema   previdenziale
italiano, la cui sostenibilita' e' tuttora affidata in  un'ottica  di
solidarieta' a una gestione "a ripartizione", particolarmente esposta
alla negativita' dell'andamento demografico: un numero sempre  minore
di lavoratori attivi, per di  piu'  spesso  con  percorsi  lavorativi
discontinui,  e'  chiamato   a   sostenere   tramite   i   versamenti
contributivi il peso di un numero  sempre  maggiore  di  pensioni  in
erogazione». Aggiungeva poi la Corte che  alle  finalita'  perseguite
dalla riduzione delle pensioni calcolate con metodo retributivo  «non
siano estranee  connotazioni  intergenerazionali.  E'  in  tal  senso
pertinente il costante richiamo della difesa dell'INPS agli obiettivi
di ricambio generazionale nel mercato del lavoro che  il  legislatore
ha ritenuto di conseguire per il tramite del pensionamento anticipato
in "quota 100", istituto che l'art. 14 del  decreto-legge  n.  4  del
2019, come convertito, ha  introdotto  in  via  sperimentale  per  il
triennio 2019-2021.  (...)  Il  prefigurato  collegamento  fra  detta
sperimentazione orientata alla  mutualita'  intergenerazionale  e  la
provvista - sia pure assai  modesta  in  termini  relativi  -  creata
mediante il prelievo di cui all'art. 1, comma 261, della legge n. 145
del 2018  fa  emergere,  tuttavia,  un  profilo  di  irragionevolezza
relativo alla durata del contributo,  essendo  quest'ultima  prevista
per un quinquennio. 
    Tale durata, non solo risulta esorbitante rispetto  all'orizzonte
triennale del bilancio di  previsione,  fissato  dall'art.  21  della
legge 31 dicembre 2009, n.  196  (legge  di  contabilita'  e  finanza
pubblica), ma costituisce anche un  indice  di  irragionevolezza  per
sproporzione,  poiche'  riguarda  una  misura  che  persegue  le  sue
finalita' proprio nell'arco del triennio». 
    Rispetto ai vitalizi, non sembrano emergere in modo automatico  e
diretto alcuni presupposti  necessari  all'estensione  del  principio
sopra ricordato anche ai vitalizi cosi' come disciplinati prima della
riforma. Questi, innanzi tutto, non sono del tutto asserviti  ad  una
funzione previdenziale, come gia' evidenziato. 
    Considerata, dunque,  la  concorrente  valenza  indennitaria  dei
vitalizi cosi'  come  disciplinati  prima  della  riforma  del  2012,
nonche' l'evidente necessita' di introdurre un maggior  rigore  nella
gestione delle risorse  dello  Stato,  puo'  astrattamente  valutarsi
ragionevole un intervento volto a ridurre anche i vitalizi pre  2012,
purche'  cio'  avvenga   nel   rispetto   dei   principi   di   rango
costituzionale. 
    Com'e' noto il maggior ostacolo che si oppone al ricorso a  norme
retroattive e' costituito  dal  principio  di  tutela  del  legittimo
affidamento. 
    Esso tuttavia presuppone come limite interno  che  la  situazione
soggettiva su cui si ripone la  propria  fiducia  sia  meritevole  di
tutela in quanto conforme a criteri  di  equita'  e  giustizia.  Come
sopra  esposto  i  vitalizi  pre  2012   apparivano   quale   diritto
esorbitante rispetto alla stessa ratio, ancorche' duplice,  che  pure
li sorreggeva. Ne deriva  che  una  compressione  del  contenuto  del
diritto appare senz'altro  conforme  a  Costituzione,  purche',  come
anticipato, tale compressione sia operata nel rispetto  dei  principi
costituzionali   e    segnatamente    quelli    di    ragionevolezza,
proporzionalita' ed eguaglianza sostanziale. 
    3. La delibera del  Consiglio  di  presidenza  stabilisce  che  i
vitalizi   vadano   ridotti   ricalcolandoli   secondo   il    metodo
contributivo. In particolare si e' previsto che: 1) si determinino  i
contributi erogati dai parlamentari; 2) al montante  contributivo  si
applichino i coefficienti di trasformazione cosi' come elaborati alla
bisogna dall'INPS; 3) si utilizzi l'aspettativa di vita calcolabile a
far data dalla maturazione a suo  tempo  del  diritto  all'erogazione
della prestazione sino al momento del ricalcolo. 
    Se da un lato appare ragionevole estendere perpetuamente anche  a
ritroso gli stessi criteri utilizzati per i parlamentari  eletti  dal
2012 in poi, non cosi' per il criterio sub 3. 
    L'applicazione retroattiva di una disposizione non giustifica che
gli inevitabili correttivi ed adeguamenti (indispensabili laddove  si
dia corso ad una fictio  iuris  qual  e'  sempre  la  retroattivita')
trasmodi nella creazione di una regola del tutto nuova finalizzata  a
conseguire in perpetuo la riduzione piu' onerosa possibile.  Infatti,
pretendere di valutare l'aspettativa di vita gia' a  far  data  dalla
pregressa maturazione del diritto vuol dire da un  lato  trattare  in
modo radicalmente differente i parlamentari in ragione di un dato del
tutto occasionale qual  e'  l'eta'  del  soggetto  al  momento  della
conclusione  del  mandato,  e  dall'altro  tradire  il  metodo  della
distribuzione del rischio in ragione dello scarto tra aspettativa  di
vita e durata effettiva della  vita  del  singolo  vitaliziato.  Tale
ultimo  profilo  appare  del  tutto  estraneo   a   qualunque   altra
disposizione  gia'  nota,  giacche'  frutto  di  una  crasi  tra   il
precedente sistema, ove il vitalizio era erogato dalla cessazione del
mandato  o  poco  dopo,  ma  con  metodo  retributivo,  e  la  regola
posteriore secondo cui  il  vitalizio  va  erogato  a  far  data  dal
compimento del sessantacinquesimo anno  di  eta',  ma  calcolato  con
metodo   contributivo.   Un    simile    criterio    sarebbe    stato
costituzionalmente tollerabile (pur con le riserve di cui  infra)  se
fosse stato contenuto entro ragionevoli  limiti  temporali,  giacche'
esso,  seppur  gravoso,  avrebbe  svolto  una  funzione  compensativa
rispetto ai periodi anteriori, in considerazione dei  gravi  problemi
strutturali che affliggono la gestione  delle  risorse  pubbliche,  e
cio'  secondo  quella  ratio  solidaristica  di  cui  alla   sentenza
costituzionale 9 novembre 2020, n. 234. Al contrario, se  imposto  in
perpetuo appare ne' proporzionalmente adeguato, ne' ragionevole. 
    In realta' il Consiglio di  presidenza,  nell'esercizio  del  suo
legittimo potere di modificare in modo permanente i vitalizi pre 2012
in modo da renderli  omogenei  a  quelli  erogati  dopo  la  riforma,
avrebbe dovuto tenere in conto non solo  l'esigenza  di  contenimento
della  spesa  pubblica,  ma  anche  la  tutela   dell'interesse   dei
ricorrenti a subire una riduzione che fosse compatibile con la tutela
dell'affidamento sul conseguimento di un assegno  mensile  che  fosse
equo, pur valutando che l'affidamento  possa  essersi  formato  sulla
percezione di somme esuberanti rispetto alla  natura  indennitaria  e
previdenziale dei vitalizi stessi. 
    La delibera in esame e' dunque illegittima nella  parte  in  cui,
nella determinazione delle somme da erogare, non ha tenuto in conto i
principi costituzionali di uguaglianza sostanziale, di ragionevolezza
e proporzionalita', oltre ad un contemperamento  tra  la  tutela  del
legittimo affidamento e la sopravvenuta  necessita'  di  contenimento
della  spesa  pubblica.  I  suddetti  principi,  ove  applicati  alla
fattispecie, avrebbero portato ad altre possibili soluzioni. 
    Da queste considerazioni deriva che per una riduzione  permanente
si sarebbe dovuto utilizzare un criterio  di  calcolo  innanzi  tutto
idoneo a contenere la riduzione  (in  alcuni  casi  sino  all'80  per
cento) dei vitalizi piu' bassi. Cio' innanzi tutto si sarebbe  potuto
fare prevedendo criteri correttivi piu' ragionevoli per le fasce piu'
deboli, tenendo in conto, ad esempio, l'assenza  di  altre  fonti  di
reddito, la necessita' di cure mediche, spese non eliminabili se  non
a prezzo di un maggior pregiudizio (si pensi al mutuo per  una  prima
casa), tutto al fine di contemperare  risparmio  di  spesa  e  tutela
della dignita' della persona. 
    In  ordine  poi  al  periodo  di  vita  al  quale  applicare   il
coefficiente di trasformazione, il Consiglio di  presidenza  aveva  a
disposizione  altri  criteri  tutti  rispettosi  del   principio   di
eguaglianza sostanziale. Si valuti, ad  esempio,  il  ricorso  ad  un
calcolo  a  far  data  (in  ogni  caso)  almeno  dal  compimento  del
sessantacinquesimo anno di eta' del parlamentare, oppure a  far  data
dal 2012 in modo da applicare, pur con gli opportuni adeguamenti,  la
medesima regola gia' prevista sul piano generale  dalla  c.d.  «legge
Fornero». O, altresi', a  far  data  dal  giorno  di  adozione  della
delibera stessa, cosi' da contenere la  retroattivita',  alla  quale,
non dimentichiamolo, puo' farsi ricorso con misura proprio al fine di
non sacrificare eccessivamente diritti progressi. Oppure, infine,  si
potrebbero ipotizzare «tagli lineari» in una  certa  percentuale  per
tutte le prestazioni. 
    4. Una volta  definite  in  questi  termini  le  conclusioni  del
Collegio, ne consegue che la  relativa  decisione  sotto  il  profilo
squisitamente tecnico-formale dovrebbe consistere  (salvo  quanto  si
dira'  piu'  innanzi),  da  un  lato,  in  un  accantonamento   delle
problematiche relative al carattere  permanente  del  ricalcolo,  con
riferimento alla quale comunque non puo' sottacersi quanto  affermato
dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 44 del 2021,  la  quale
ha  ritenuto  che  per  il  ricalcolo  dei  vitalizi   spettanti   ai
consiglieri regionali cessati dal mandato  non  dovesse  considerarsi
«la  giurisprudenza  costituzionale  relativa  alle  previsioni   che
introducono cosiddetti contributi di solidarieta' o  stabiliscono  il
blocco  o  la  limitazione  dei  meccanismi  di  rivalutazione  delle
pensioni», come gia' ricordato. 
    In ogni caso,  se  da  una  parte  infatti  potrebbe  richiamarsi
secondo   alcuni   la   nota   e   gia'   richiamata   giurisprudenza
costituzionale sulle riduzioni (solo temporanee) delle pensioni  piu'
alte, dall'altra parte  secondo  altri  sarebbe  invece  decisiva  la
differenza strutturale tra le due prestazioni  post  attivita'  e  si
presenterebbe  comunque  significativa  la  piu'   volte   richiamata
sentenza della Corte costituzionale  n.  44  del  2021,  la  quale  a
contrario ha annullato l'art. 1, comma 12, della legge della  Regione
Sicilia 28 novembre 2019, n. 19, che  prevedeva  la  limitata  durata
quinquennale del ricalcolo dei vitalizi spettanti  agli  ex  deputati
regionali, anziche' la loro previsione come norma a regime. Ancorche'
si potrebbe contro-obiettare che i motivi dell'annullamento non hanno
riguardato aspetti di stretta legittimita' sostanziale, ma  piuttosto
il mancato rispetto di disposizioni  legislative,  cui  la  Corte  ha
attribuito la natura di norme interposte qualificandole per il  rango
di principi di coordinamento della finanza pubblica. Sul punto questo
Collegio tornera' piu' innanzi. 
    Dall'altro lato, essa dovrebbe consistere  nell'immediato  (solo)
in un annullamento parziale  della  deliberazione  del  Consiglio  di
presidenza del Senato della Repubblica n. 6 del 16 ottobre 2018,  con
(esclusivo) riferimento al comma 2 dell'art. 1,  riguardante  criteri
di rideterminazione delle prestazioni per gli ex senatori ricalcolate
con metodo contributivo. 
    Malgrado la necessita' di censurare la delibera  nella  parte  de
qua,  nemmeno  si  devono  determinare  lacune  applicative  riguardo
all'intera deliberazione  del  2018,  la  cui  ratio  complessiva  va
salvaguardata,  Infatti,  in  mancanza  del  fondamentale   parametro
relativo  all'eta'  anagrafica   del   senatore   cui   riferire   il
coefficiente di trasformazione (comma 2 dell'art.  1),  evidentemente
essa non potrebbe trovare esecuzione in alcun modo e quindi l'effetto
sarebbe una sorta di «annullamento integrale di fatto» in assenza  di
tempestivi interventi correttivi da parte del Consiglio di presidenza
del Senato. 
    5. Comunque sia - proprio al fine di assicurare in ogni caso  una
continuita' applicativa della deliberazione del  2018  e  di  evitare
qualsiasi soluzione di continuita', quasi a voler  considerare  magis
ut valeat il principio della conservazione  degli  atti  giuridici  -
questo Collegio  ritiene  doveroso  individuare  nell'ordinamento  un
plausibile  frammento  normativo,  che  possa  ritenersi  applicabile
fattispecie, anche se non certo  «a  rime  obbligate»,  perche'  come
evidenziato in precedenza potrebbero essere molteplici  le  soluzioni
adottabili in un'ottica di ragionevolezza e di  proporzionalita',  di
tutela  dell'affidamento  e  anche  in  termini  delle  varie  misure
possibili  di   mitigazione.   Ma   tali   soluzioni   sono   rimesse
evidentemente alla discrezionalita' del legislatore interno. 
    Questo Collegio tuttavia non si sottrae al dovere di  individuare
nell'ordinamento una eventuale e  provvisoria  soluzione  plausibile,
salvo ogni potere del Consiglio di presidenza di intervenire, purche'
nel rispetto dei parametri costituzionali sopra indicati. 
    Il percorso argomentativo  che  vuole  seguire  il  Consiglio  di
garanzia si pone,  mutatis  mutandis,  nel  solco  del  modello  gia'
consolidatosi nella giurisprudenza  della  Corte  costituzionale,  la
quale - addirittura in materia penale - ferma sempre restando l'ampia
discrezionalita' del legislatore, «valuta  direttamente  se  la  pena
comminata debba considerarsi  manifestamente  eccessiva  rispetto  al
fatto sanzionato, ricercando poi nel  sistema  punti  di  riferimento
gia' esistenti per ricostruire in  via  interinale  un  nuovo  quadro
sanzionatorio in  luogo  di  quello  colpito  dalla  declaratoria  di
incostituzionalita', nelle more di  un  sempre  possibile  intervento
legislativo volto a rideterminare la misura della pena, nel  rispetto
dei principi costituzionali» (punto 4.1 del  considerato  in  diritto
della sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 2019). 
    Al riguardo  il  Consiglio  di  garanzia  reputa  di  poter  fare
opportuno riferimento alla legge della Regione  Sicilia  28  novembre
2019, n. 19, che ha stabilito un criterio  di  ricalcolo  riferito  a
parametri di eta' non retroattivi,  che  fra  l'altro  non  e'  stato
oggetto di impugnazione  da  parte  del  Governo  (che  pure  si  era
attivato  ad  opponendum)  ne'  e'  stato  considerato  ai  fini   di
particolari iniziative o moniti da parte della  Corte  costituzionale
(v. la sentenza n. 44 del 2021), alla quale pure la legge  era  stata
sottoposta sotto  altri  profili  poi  accolti  (la  limitata  durata
quinquennale del ricalcolo dei vitalizi spettanti  agli  ex  deputati
regionali, anziche' la loro previsione come norma a regime). 
    Sulla base del richiamato contesto  normativo  l'ammontare  delle
prestazioni dovrebbe essere ricalcolato con il  metodo  integralmente
contributivo facendo riferimento a criteri anagrafici riferiti al  1°
gennaio 2019, o a  data  successiva  per  i  parlamentari  ancora  in
carica,  escludendosi  cosi'   applicazioni   retroattive,   con   la
conseguenza dell'adozione di criteri di ricalcolo non irragionevoli e
maggiormente proporzionati e altresi'  di  una  maggiore  tutela  del
principio dell'affidamento. 
    In questo senso - in mancanza dell'auspicato intervento normativo
del Consiglio di presidenza - questo  Collegio  per  i  motivi  sopra
esposti ritiene si possa far riferimento al punto b) del  dispositivo
dell'impugnata decisione dell'organo di prime cure, laddove  accoglie
parzialmente  i  ricorsi  esaminati  e  per  l'effetto   annulla   le
disposizioni della citata deliberazione nella parte «in cui prevedono
il ricalcolo dell'ammontare degli importi mediante la moltiplicazione
del  montante  contributivo  individuale  per  il   coefficiente   di
trasformazione relativo all'eta' anagrafica del senatore alla data di
decorrenza dell'assegno vitalizio o del trattamento previdenziale pro
rata, anziche' alla data di decorrenza dell'entrata in  vigore  della
deliberazione n. 6 del 2018», assumendo  questa  sentenza  sul  punto
valere costitutivo. 
    A  chiusura   del   ragionamento,   ripercorrendo   il   percorso
cronistorico che ha condotto all'approvazione della deliberazione  n.
6 del 16 ottobre 2018 del Consiglio di presidenza e i relativi lavori
preparatori, si pone in rilievo il fatto  che  essa  e'  di  identico
contenuto rispetto alla delibera  dell'Ufficio  di  presidenza  della
camera n. 14 del 12 luglio 2018. Ma  in  quel  Consesso  l'originaria
proposta del Collegio dei questori era proprio nel senso del criterio
della non retroattivita' del coefficiente anagrafico (v.  seduta  del
26 aprile 2018, in atti Camera, XVIII Leg., Bollettino  degli  organi
collegiali). 
    6. Per i trattamenti di reversibilita', andava una  volta  appare
pleonastico ricordare che spetta discrezionalmente  al  Consiglio  di
presidenza del Senato stabilire ragionevoli criteri di ricalcolo o di
tagli  e  ragionevoli  ipotesi   di   mitigazioni   considerando   la
particolarita'  della  prestazione.  Questo  Collegio  non  puo'  che
richiamare e condividere il punto e) del  dispositivo  dell'impugnata
decisione della Commissione contenziosa, nel quale si sottolinea  che
«tali trattamenti sono gia' stati  decurtati  rispetto  agli  assegni
diretti del 40 per cento e che l'ulteriore riduzione prevista  incide
gravemente sulla qualita' della vita». 
    Anche  in  questo  caso,  il  Consiglio  di  garanzia   ribadisce
l'auspicio di un tempestivo intervento  normativo,  in  mancanza  del
quale pero' il Collegio - proprio rimanendo nei limiti delle  proprie
attribuzioni - ritiene che in  ragione  del  favorevole  criterio  di
calcolo  qui  disposto,  non  possa  indicare  ulteriori  criteri  di
mitigazione, competendo, questi, alla discrezionalita' propria e  non
surrogabile, del Consiglio di presidenza. 
    7. Ulteriore tema da  affrontare  riguarda  la  disposizione  del
comma 7 dell'art.  1,  concernente  i  criteri  di  correzione  e  di
temperamento dei risultati dei ricalcoli effettuati. 
    A giudizio del Collegio, pur prendendo atto dei  contenuti  della
sentenza del Consiglio di giurisdizione della Camera n. 2  del  2020,
la rilevanza di tale disposizione non puo'  che  apparire  del  tutto
ridimensionata, una volta che  sia  stato  definito  un  criterio  di
ricalcolo molto meno penalizzante  rispetto  all'originaria  versione
della delibera n. 6 del 2018. 
    Pertanto - anche in considerazione delle vicende  occorse  presso
l'altro ramo  del  Parlamento,  che  hanno  visto  susseguirsi  nella
materia specifica plurimi interventi normativi, difformi pronunce nei
vari gradi di giudizio e un consistente  incremento  del  contenzioso
riferito alle istanze ex comma 7 dell'art. 1 della delibera, dopo  la
richiamata pronuncia del 2020 - il  Collegio  ritiene  che  l'attuale
formulazione della disposizione richiamata possa apparire ragionevole
e sufficientemente garantistica nei confronti  di  eventuali  singole
situazioni eccezionalmente «penose» a  seguito  del  ricalcolo  delle
prestazioni. 
    8. Resta in ultimo  da  valutare  le  conseguenze  della  odierna
decisione - relativa nello specifico al  coefficiente  di  eta'  piu'
vantaggioso da adottare ai fini del ricalcolo delle  prestazioni  per
gli ex senatori -  circa  l'eventuale  corresponsione  del  complesso
delle somme da restituire a seguito del nuovo coefficiente anagrafico
indicato  dalla  presente  decisione  (i   cosiddetti   «arretrati»);
questione che assume un particolare rilievo costituzionale e che deve
essere affrontata in termini non meramente ordinari. 
    Infatti - sulla base della pluriennale politica  di  contenimento
dei costi di funzionamento delle amministrazioni parlamentari e anche
a seguito delle eccezionali circostanze di emergenza nazionale legate
all'evento pandemico -,  il  Consiglio  di  garanzia  potrebbe  anche
eccezionalmente far riferimento,  quale  organo  giurisdizionale,  ai
contenuti della sentenza della Corte costituzionale n. 10  del  2015,
la quale, pur dichiarando l'illegittimita' costituzionale della norma
tributaria  impugnata,  ha  escluso  la  retroattivita'   della   sua
decisione. La derogatoria  irretroattivita'  e'  stata  motivata  con
riferimento alle conseguenze  economiche  che  avrebbe  avuto  quella
decisione se avesse avuto la normale  efficacia  retroattiva,  in  un
periodo di perdurante crisi economica, in un'ottica di  bilanciamento
tra i diversi interessi costituzionali  coinvolti.  Nondimeno  appare
assorbente la considerazione che, come sopra esposto,  i  criteri  di
calcolo individuati dal Consiglio di presidenza sarebbero sfuggiti ad
ogni censura di illegittimita' se la riduzione fosse stata  contenuta
in apprezzabili limiti di tempo, pur rimanendo di  ardua  valutazione
il giudizio di costituzionalita' dei criteri in quanto  tali.  Questo
Collegio ritiene percio' che siffatta riduzione deve  giudicarsi  non
piu' applicabile con efficacia ex nunc  da  questa  pronuncia,  salva
l'efficacia  sino  a   tale   data   nelle   more   della   decisione
costituzionale di cui infra, dovendosi contestualmente affermare  che
precedente metodo di calcolo e'  sostituito  da  quello  indicato  in
questa sentenza. 
    In ordine alla piu' ampia questione se l'originario  calcolo  del
Consiglio di presidenza possa considerarsi illegittimo anche  laddove
contenuto in un ragionevole arco temporale, con  la  conseguenza  che
gli  «arretrati»  dovrebbero  essere  computati  a  far  data   dalla
delibera, si palesa quanto possa essere arduo  il  bilanciamento  dei
contrapposti interessi onde giungere  ad  una  soluzione  conforme  a
Costituzione; per  cui  viene  rinviata,  ogni  decisione  sul  punto
all'esito  della  questione  di  legittimita',  che  viene  sollevata
davanti alla Consulta in merito alla compatibilita' costituzionale  o
meno di un ricalcolo di prestazioni patrimoniali in godimento in  via
permanente, una volta  cessata  l'attivita'  cui  quelle  prestazioni
ineriscono. E' evidente infatti come questo elemento sia essenziale e
rilevante al fine di  decidere  con  ragionevolezza  un  aspetto  non
facile da esaminare per la pluralita' delle esigenze coinvolte. 
    9. In secondo luogo, si e' detto che appare a questo Collegio che
in  linea  di  massima  la  riduzione  dei  vitalizi   possa   essere
compatibile con i principi costituzionali. Non puo' pero'  lo  stesso
Collegio non prestare doverosamente attenzione a quanto  sottolineato
pressoche' da tutti i ricorrenti;  i  quali  adombrano  questioni  di
legittimita'   costituzionale   nei   riguardi   delle   prescrizioni
dell'impugnata deliberazione n. 6 del  2018,  sotto  vari  profili  e
assumendo che essa violi, in rapporto alle rispettive prospettazioni,
gli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo  comma,  della
Costituzione e chiedono che questo Consiglio di garanzia proponga per
quanto occorra la relativa questione di  legittimita'  costituzionale
alla Corte costituzionale. 
    A tale proposito il Consiglio  di  garanzia  fa  presente  quanto
segue: 
        ricordato che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 213
del 2017, ha espressamente riconosciuto la legittimazione  soggettiva
di un collegio delle Camere avente  funzioni  giurisdizionali  -  «in
quanto organo di autodichia chiamato a svolgere, in  posizione  super
partes, funzioni giurisdizionali per la decisione di controversie»  -
a sollevare l'incidente di costituzionalita', come giudice a  quo  ai
sensi dell'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87; 
        preso  atto  del   consolidato   orientamento   della   Corte
costituzionale, secondo il quale le norme contenute  nei  regolamenti
parlamentari maggiori sono sottratte al sindacato della Corte  stessa
(v. da ultimo la sentenza n. 120 del 2014); 
        richiamato l'art. 23, terzo comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87, secondo cui una questione di legittimita' costituzionale  puo'
essere sollevata, anche di  ufficio,  dall'autorita'  giurisdizionale
davanti alla quale verte il giudizio; 
        considerato l'art. 26, comma 1, lettera b),  della  legge  23
dicembre 1994, n. 724, il quale recita: «1. Sono soppressi  i  regimi
fiscali particolari concernenti: (...) 
          b) gli assegni vitalizi spettanti ai membri del  Parlamento
nazionale (...) per la quota parte che non derivi da fonti riferibili
a trattenute effettuate al percettore gia'  assoggettate  a  ritenute
fiscali». 
    1)  Quanto  alla  rilevanza  della  questione  costituzionale  da
sollevare, questo giudice remittente  fa  innanzitutto  presente  che
l'impugnata normativa relativa al trattamento  dei  senatori  cessati
dal mandato e' contenuta nella deliberazione n. 6 del 2018  approvata
dal Consiglio di presidenza del Senato,  nell'ambito  delle  potesta'
normative e organizzative devolute a quest'organo  dall'art.  12  del
Regolamento generale del Senato del 1971. 
    Tuttavia, tale autonomia normativa «minore» non puo' considerarsi
assoluta e totalmente libera nei fini, dovendosi  piuttosto  svolgere
nel rispetto della Costituzione, dei suoi  principi  e  delle  regole
dell'ordinamento giuridico generale, oltreche' - per quanto rilevante
- del diritto sovranazionale. 
    Per queste ragioni il legislatore, non casualmente, all'art.  26,
comma 1, lettera b),  della  legge  23  dicembre  1994,  n.  724,  ha
stabilito  per  gli  assegni  vitalizi  degli  ex   parlamentari   la
soppressione di qualsiasi regime fiscale particolare. 
    Sennonche' tale prescrizione di ordine fiscale si  presenta,  per
cosi' dire, «incompleta», laddove  coerentemente  e  conseguentemente
non ha previsto altresi' nei riguardi  delle  prestazioni  de  quibus
l'applicazione dei principi generali dell'ordinamento  previdenziale,
vale  a  dire  la  preclusione  della  possibilita'   di   introdurre
discipline particolari non conformi (almeno) a quel nucleo essenziale
di principi generali (recte costituzionali) in ambito  previdenziale,
per  lo  piu'  enucleati  rinvenibili  nella  stessa   giurisprudenza
costituzionale. 
    Tutto cio' premesso, giudice  remittente  ritiene  la  denunciata
mancata previsione legislativa rilevante, se non decisiva, al fine di
affrontare uno dei punti controversi (e  fondamentali)  nel  presente
giudizio, vale a dire la legittimita'  costituzionale  o  no  di  una
disciplina (quella sugli assegni vitalizi  e  le  pensioni  degli  ex
senatori), che abbia imposto i criteri di cui all'originaria delibera
del Consiglio di presidenza in modo perpetuo e non gia'  transitorio,
cosi' da  rispettare  i  criteri  piu'  volte  indicati  dalla  Corte
costituzionale a proposito delle erogazioni di tipo previdenziale (v.
da ultimo la sentenza n. 234 del 2020). 
    2)  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza   della   predetta
questione di legittimita' costituzionale, questo  giudice  remittente
ritiene di poter affermare in estrema sintesi che  la  materia  degli
assegni vitalizi e delle pensioni degli ex parlamentari e' di per se'
suscettibile  di  determinare  il  formarsi  di  diritti   soggettivi
perfetti in capo agli interessati, la  regolazione  puo'  essere  si'
affidata (anche e soprattutto) all'autonomia interna delle Camere, ma
non in totale assenza di vincoli di livello generale stabiliti  dalla
legge dello Stato (come ad esempio avvenuto a livello  fiscale),  con
evidenti rischi in termini di ragionevolezza delle prescrizioni e  di
compromissione della parita' di trattamento  dei  cittadini,  qualora
fossero approvate normative non conformi ai  principi  costituzionali
in materia. 
    Pertanto  le  circostanze  esposte  conducono  a   reputare   non
manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
relativa all'art. 26, comma 1, lettera b), della legge 23 dicembre  l
994, n. 724, nella parte in cui -  nel  sopprimere  qualsiasi  regime
fiscale particolare per gli assegni vitalizi (ora pensioni) degli  ex
parlamentari - non prevede altresi'  dei  principi  generali  per  la
disciplina di siffatte prestazioni. 
    In  conclusione:  a)  si  solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale relativa all'art. 26, comma 1, lettera b), della legge
23 dicembre 1994, n.  724,  nella  parte  in  cui  -  nel  sopprimere
qualsiasi regime fiscale particolare per gli  assegni  vitalizi  (ora
pensioni) degli ex parlamentari - non  prevede  altresi'  che  queste
prestazioni vanno disciplinale nel rispetto dei principi generali  in
materia previdenziale, di ragionevolezza e parita' di trattamento fra
cittadini, con riferimento agli articoli 2, 3, 23, 36, 38, 53, 67, 69
e 117, primo comma della Costituzione, e cio' al fine di  determinare
se il criterio di calcolo qui indicato vada applicato  anche  per  la
corresponsione degli arretrati a far data dal 1°  gennaio  2019  sino
alla data di efficacia di questa sentenza. 
    10.  Questo   Collegio,   nel   mentre   sottopone   alla   Corte
costituzionale la questione di legittimita' ora prospettata,  ritiene
altresi' necessario porre una questione di  ordine  generale  che  ad
avviso di questo  giudice  merita  una  soluzione  definitiva  e  non
equivoca. 
    Com'e' noto, la Corte  costituzionale  ha  sempre  negato  che  i
regolamenti parlamentari possano essere sottoposti  al  suo  giudizio
(cfr.  sentenza  n.  154  del  1985).  La   costante   giurisprudenza
costituzionale pero' ha sempre avuto riguardo ai regolamenti adottati
ai sensi dell'art. 64, comma 1, della Costituzione (c.d.  regolamenti
maggiori) e mai la Corte si  e'  pronunciata  ex  professo  sui  c.d.
regolamenti minori, adottati dagli  Uffici  di  presidenza  (il  c.d.
«diritto parlamentare di  tipo  amministrativo»).  Il  giudice  delle
leggi  ha  osservato  che  con  l'art.  134  della  Costituzione   il
Costituente  ha  segnato  rigorosamente  i  precisi  ed  invalicabili
confini della propria competenza, e poiche' la formulazione ignora  i
regolamenti parlamentari,  solo  in  via  d'interpretazione  potrebbe
ritenersi che questi vi  siano  ugualmente  compresi.  A  cio'  pero'
osterebbe la  necessita'  di  assicurare  l'indipendenza  dell'organo
sovrano da ogni potere. In altri termini secondo la Corte sarebbe  il
fondamentale principio di  separazione  dei  poteri  ad  imporre  che
nessuno possa sindacare le modalita' con cui il Parlamento  organizza
le proprie funzioni e le proprie attivita'. Non vi sarebbe dunque  un
limite  di  natura  squisitamente   formale,   potendo   teoricamente
intendersi i regolamenti quali atti aventi  forza  di  legge,  bensi'
sostanziale  in  ragione  del  valore  organizzativo   dei   predetti
regolamenti. Queste decisioni, dunque,  non  consentono  di  giungere
automaticamente alle stesse conclusioni per i regolamenti minori, che
ben potrebbero meritare la qualifica di atti aventi forza di legge ed
essere privi di ogni valore organizzativo, cosi' da  essere  estranei
al  principio  di  separazione  dei  poteri   che   giustifica   ogni
insindacabilita'. 
    Che tale conclusione sia  ragionevole  puo'  dimostrarsi  con  un
argumentum a contrario. 
    E' ormai copiosa normazione interna di rapporti  privatistici,  e
con essi la  costituzione,  estinzione  e  modificazione  di  diritti
soggettivi vantati da privati. Se, ad esempio, si  ha  riguardo  alla
normazione afferente ai dipendenti del Senato e' agevole  notare  che
vengono attinti diritti oggetto in taluni  casi  di  una  riserva  di
legge (cfr. ad esempio l'art. 36, secondo comma della  Costituzione).
Poiche'  l'intero  rapporto  lavorativo  dei  dipendenti  e'  normato
all'esito di delibere del Consiglio di presidenza, delle due l'una: o
tale normativa e'  in  violazione  della  Costituzione,  oppure  tali
delibere sono atti aventi forza di legge. Considerata l'ampiezza e la
qualita' delle materie regolate con tali atti, appare evidente che la
seconda ipotesi costituisce una  soluzione  obbligata,  come  d'altra
parte gia' affermato dalla giurisprudenza europea (cfr.  sentenza  n.
14 del 28 aprile 2009 della Corte europea dei diritti dell'uomo, c.d.
sentenza Savino vs Italia). 
    Cio' determinato, non puo' anche dubitarsi che tali atti  debbano
essere conformi ai principi costituzionali, non potendo  l'autodichia
dar luogo  ad  un'enclave  estranea  all'efficacia  della  Carta  dei
diritti fondamentali. Ed anche qui si pone una  sola  alternativa:  o
sono gli stessi organi giurisdizionali interni capaci di sindacare la
costituzionalita' di questi regolamenti minori, oppure  il  sindacato
compete alla Corte  costituzionale.  Nel  primo  caso  non  puo'  che
concludersi che il giudice interno sia  dotato  degli  stessi  poteri
interpretativi, modificativi e manipolativi della Corte delle  leggi.
Nel secondo caso, invece,  non  solo  la  Corte  costituzionale  deve
valutare se il legislatore interno rispetta la Carta fondamentale, ma
puo' e deve anche interpretare l'art. 134 della Costituzione in  modo
che i principi supremi non siano sovvertiti  o  modificati  nel  loro
contenuto essenziale neppure da norme di rango  costituzionale  (cfr.
sentenza n. 1146 del 1988), cosi' come anche integrati  dai  principi
derivanti dai Trattati europei  e  segnatamente  dall'art.  47  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Sul punto  devono
ricordarsi  i  quattro  criteri  elaborati  dalla  Corte  europea  di
giustizia che devono  sussistere  affinche'  si  possano  considerare
indipendenti ed imparziali gli organi giurisdizionali, vale  a  dire:
a) le  condizioni  nelle  quali  e'  stato  creato  l'organo;  b)  le
caratteristiche del medesimo; c) le modalita' con le quali sono stati
nominati i membri e d) la capacita' resistere alle influenze  esterne
(cfr. sentenza della CGUE - Grande Sezione -  A.K.  e  altri  c.  Sąd
Najwyższy del 19 novembre 2019). Accedendo  all'ipotesi  secondo  cui
non potrebbe essere la stessa giurisdizione  interna  a  valutare  la
legittimita' costituzionale dei regolamenti minori quando  aventi  ad
oggetto diritti fondamentali di natura privatistica, tale potere  non
potrebbe non competere ad altri che alla Corte costituzionale. 
    Tutto cio' premesso appare a questo  giudice  che  i  regolamenti
c.d. minori quando idonei ad incidere su diritti dei privati  debbano
essere riconosciuti quali «atti  aventi  forza  di  legge»,  estranei
all'area dell'assoluta sovranita' ed indipendenza del  Parlamento,  e
quindi diversi per loro stessa natura da quelli  sottratti  a  quella
insindacabilita' della Corte costituzionale in ragione del  principio
di separazione dei poteri. 
    Seppur  sarebbe  fuorviante  qualsiasi  analogia  rispetto   alla
differente fonte dei regolamenti del Governo,  compresi  quelli  c.d.
«indipendenti»,  questo  Collegio  non  puo'  non  ricordare  -   per
completezza di esposizione - che in  qualche  caso  la  stessa  Corte
costituzionale ha privilegiato la loro natura  sostanziale  e  ne  ha
quindi ammesso  la  scrutinabilita'  ai  sensi  dell'art.  134  della
Costituzione (v. Corte costituzionale, sentenza  9  luglio  1993,  n.
311). 
    In  conclusione:  b)  si  solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale nei riguardi dell'art. 1, comma 1, della delibera  del
Consiglio di presidenza del Senato  della  Repubblica  n.  6  del  16
ottobre 2018, per le medesime ragioni ed effetti indicati al punto 9,
con  riguardo  alla  corresponsione  delle   restituzioni   (i   c.d.
«arretrati»)  gia'  a  far  data  dalla  delibera  del  Consiglio  di
presidenza. Ai fini dell'ammissibilita' della questione sollevata con
riferimento all'idoneita' della fonte,  si  sottopone  all'attenzione
della Corte costituzionale l'opportunita', per  cosi'  dire,  di  una
interpretazione costituzionalmente orientata dello  stesso  art.  134
della Costituzione, nel senso di ricomprendere fra gli  «atti  aventi
forza di legge» anche i cosiddetti regolamenti minori  delle  Camere,
almeno quando sono idonei ad  incidere  sui  diritti  soggettivi  dei
privati. 
    11. Restano  assorbiti  tutti  gli  altri  motivi  contenuti  nei
ricorsi, comprese le pretese basate sulla presunta illegittimita' del
comma 4 dell'art. 1 e richiedenti un  aumento,  delle  prestazioni  a
seguito del calcolo integralmente contributivo. Il Collegio si limita
a ricordare che tale clausola di salvaguardia  rappresenta  ormai  un
principio generale della  nostra  legislazione,  con  riferimento  ai
rapporti fra calcoli retributivi e contributivi nella  determinazione
delle prestazioni. 
    Nei  contenuti  piu'  ampi  dell'odierna  decisione  si   intende
altresi' assorbito anche l'appello presentato dall'onorevole, Omissis
nei riguardi della decisione della Commissione contenziosa n. 661 del
2020 mediante il ricorso n. 289, la cui trattazione  e'  avvenuta  in
modo   congiunto   rispetto   all'esame   del    ricorso    n.    288
dell'amministrazione del Senato. 
    12. Le spese sono compensate  in  considerazione  della  parziale
reciproca  soccombenza  e  della  stessa   complessita'   e   novita'
dell'intera materia del contendere. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Consiglio di garanzia  -  disattesa  ogni  contraria  istanza,
eccezione e difesa - non definitivamente pronunciando sui ricorsi  n.
288 e n. 289 del 2020, cosi' come riuniti, cosi' decide con  sentenza
parziale: 
        a) accoglie, allo stato, parzialmente il ricorso  incidentale
degli  appellati,  confermando  solo  il  punto   b)   dell'impugnata
decisione della Commissione  contenziosa  n.  660  del  2020,  e  per
l'effetto annulla parzialmente l'art. 1, comma 2, della deliberazione
del Consiglio di presidenza del Senato della Repubblica n. 6  del  18
ottobre 2018,  nella  parte  in  cui  si  riferisce  -  ai  fini  del
coefficiente  di  trasformazione   -   «alla   data   di   decorrenza
dell'assegno vitalizio o del  trattamento  previdenziale  pro  rata»,
anziche' «all'eta' anagrafica posseduta dal percettore alla  data  di
entrata in vigore della presente deliberazione», nei  termini  e  nei
limiti applicativi esplicitati nella motivazione che precede; 
        b) per l'effetto di  tanto  dispone  il  ricalcolo  da  parte
dell'amministrazione del Senato di  ciascun  trattamento  sulla  base
delle statuizioni che precedono; 
        c) rinvia  la  decisione  sulle  conseguenze  in  termini  di
eventuale corresponsione delle  somme  trattenute  corrispondenti  al
periodo ricompreso tra il 1° gennaio 2019 e la data di  efficacia  di
questa sentenza, e parzialmente da restituire, in esito  al  giudizio
costituzionale di cui alla successiva lettera d), fermo restando  che
questo aspetto evidentemente fuoriesce dalle valutazioni rimesse alla
Corte costituzionale e sara' formalmente definita  dal  Consiglio  di
garanzia, una volta acquisita una  maggiore  contezza  nella  cornice
costituzionale di riferimento; 
        d) altresi' per quanto esposto sub 9) e 10): 
          visti l'art. 134 della Costituzione e l'art. 1 della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, nonche' l'art. 23  della  legge
11 marzo 1953, n. 87; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale relativa all'art. 26,  comma  1,  lettera
b), della legge 23 dicembre 1994, n. 724, nella parte in  cui  -  nel
sopprimere qualsiasi  regime  fiscale  particolare  per  gli  assegni
vitalizi (ora pensioni) degli ex parlamentari - non prevede  altresi'
che queste prestazioni vanno disciplinate nel rispetto  dei  principi
generali in materia previdenziale, in rapporto agli  articoli  2,  3,
23, 36, 38, 53, 67, 69 e 117, primo comma della Costituzione, tra cui
-  per  quanto  di  interesse  -  i  limiti  posti   al   legislatore
nell'individuazione dei parametri per determinare i  vitalizi  e  con
essi i limiti per un eventuale adeguamento retroattivo; 
    altresi'  egualmente  ritiene  non  manifestamente  infondata  la
questione della legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
della  delibera  del  Consiglio  di  presidenza  del   Senato   della
Repubblica n.  6  del  18  ottobre  2018,  laddove  qualificata  come
«regolamento minore» avente forza di legge, nella parte in cui  viola
i principi di proporzionalita' e ragionevolezza nella  determinazione
retroattiva dei vitalizi, in rapporto agli articoli 2, 3, 23, 36, 38,
53, 67, 69 e 117, primo comma della Costituzione, sempre ai  fini  di
un eventuale adeguamento retroattivo per il periodo  di  tempo  sopra
indicato; 
    sospende il seguito  del  giudizio  sui  predetti  ricorsi,  come
riuniti, sino all'esito del giudizio, incidentale innanzi alla  Corte
costituzionale, nella parte ancora non decisa; 
    si  riserva  ogni  ulteriore  decisione  all'esito  del  giudizio
incidentale innanzi alla Corte costituzionale; 
    dispone la trasmissione alla Corte costituzionale della  presente
decisione e degli atti concernenti i relativi giudizi, a  cura  della
segreteria degli organi di tutela giurisdizionale del Senato; 
    dispone  altresi'  la  trasmissione  della  predetta   decisione,
parimenti  a  cura  della   segreteria   degli   organi   di   tutela
giurisdizionale del Senato, al Presidente del Senato,  al  Presidente
della Camera dei deputati, al Presidente del Consiglio dei ministri e
alle parti. 
    Cosi' deciso in Roma, il 22 dicembre 2021. 
 
                   Il Presidente estensore: Vitali 
 
                                        Il titolare estensore: Grassi