N. 61 SENTENZA 25 gennaio - 10 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Elezioni - Norme della Regione Siciliana  -  Elezione  del  Consiglio
  comunale nei Comuni con popolazione superiore a 15.000  abitanti  -
  Modalita' di  calcolo  del  premio  di  maggioranza  -  Previsione,
  mediante norma autoqualificata di interpretazione  autentica,  che,
  nei casi in  cui  la  percentuale  del  60  per  cento  dei  seggi,
  necessaria perche' operi il  premio,  corrisponda  a  un  quoziente
  decimale, l'arrotondamento si  effettua  per  eccesso  in  caso  di
  decimale uguale o superiore a 50 centesimi e per  difetto  in  caso
  sia inferiore a 50 centesimi - Irragionevolezza  di  un  intervento
  innovativo, lesivo dell'affidamento dei candidati -  Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge della Regione Siciliana 3 marzo 2020, n. 6, art. 3. 
- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 24, primo comma,  103,  primo
  comma, 111, secondo comma, e 117, primo comma. 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,  Francesco  VIGANO',
  Luca  ANTONINI,   Stefano   PETITTI,   Angelo   BUSCEMA,   Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  della
legge della Regione Siciliana  3  marzo  2020,  n.  6  (Rinvio  delle
elezioni degli organi degli enti di area vasta. Disposizioni  varie),
promosso dal Tribunale amministrativo regionale per  la  Sicilia  nel
procedimento vertente tra S.S. C. e il Comune di Gela  e  altri,  con
ordinanza del  28  ottobre  2020,  iscritta  al  n.  6  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 6, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  R.A.  M.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente della Regione Siciliana; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  25  gennaio  2022  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    uditi l'avvocato Giuseppe Impiduglia per R.A. M., in collegamento
da remoto, ai sensi del punto 1) del  decreto  del  Presidente  della
Corte del 18  maggio  2021  e  l'avvocato  dello  Stato  Maria  Elena
Scaramucci Lallo per il Presidente della Regione Siciliana; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 ottobre 2020, (r.o. n. 6 del  2021),  il
Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Sicilia  solleva,   in
riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, primo comma, 103,  primo
comma, 111, secondo comma, e 117, primo  comma,  della  Costituzione,
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3  della  legge
della Regione Siciliana 3 marzo 2020, n.  6  (Rinvio  delle  elezioni
degli organi degli enti di area vasta. Disposizioni varie). 
    2.- Il giudice rimettente riferisce di essere stato investito  di
un ricorso col quale S.S.  C.,  candidata  non  eletta  al  Consiglio
comunale di Gela in occasione delle elezioni amministrative  svoltesi
il 28 aprile e il 12 maggio 2019, aveva invocato  l'annullamento  del
verbale delle operazioni dell'Ufficio centrale elettorale nella parte
relativa all'attribuzione del premio di  maggioranza,  chiedendo  una
parziale correzione del risultato elettorale. 
    Nell'ordinanza di rimessione  si  da'  conto  di  come  le  liste
collegate  al  candidato  sindaco  risultato  eletto  al   turno   di
ballottaggio avessero conseguito 11 seggi, in  base  al  criterio  di
assegnazione del numero di consiglieri previsto all'art. 4, comma  4,
della legge della Regione Siciliana 15 settembre 1997, n.  35  (Nuove
norme per la elezione  diretta  del  sindaco,  del  presidente  della
provincia, del consiglio comunale e  del  consiglio  provinciale).  A
questi  l'Ufficio  centrale  elettorale  ne  aveva  aggiunti  4,   in
applicazione del  successivo  comma  6,  che  prevede  il  premio  di
maggioranza nell'ambito delle elezioni dei  sindaci  e  dei  consigli
comunali dei Comuni siciliani  con  popolazione  superiore  a  15.000
abitanti. 
    La disposizione in questione stabilisce che «[a]lla  lista  o  al
gruppo di liste collegate al  candidato  proclamato  eletto  che  non
abbia gia' conseguito almeno il 60 per cento dei seggi del  Consiglio
viene assegnato, comunque, il 60  per  cento  dei  seggi,  sempreche'
nessun'altra lista o gruppo di liste collegate abbia gia' superato il
50 per cento dei voti validi. Salvo quanto previsto dal comma  3-ter,
i restanti seggi vengono assegnati alle altre liste o gruppi di liste
collegate, ai sensi del comma 4. Il premio  di  maggioranza  previsto
per la lista o le liste collegate al sindaco  eletto  a  primo  turno
viene attribuito solo nel caso in cui la lista  o  le  liste  abbiano
conseguito almeno il quaranta per cento dei voti validi». 
    Secondo la ricorrente nel giudizio  principale,  candidata  nella
lista «Avanti Gela» - facente parte  di  una  coalizione  concorrente
rispetto a quella  presentatasi  a  sostegno  del  sindaco  eletto  -
l'Ufficio centrale elettorale avrebbe applicato in modo erroneo  tale
disposizione, perche' il 60 per cento di 24 (numero totale  di  seggi
di cui si compone il Consiglio comunale di Gela) corrisponde a  14,4.
In forza  di  un  «principio  generale»,  si  sarebbe  dunque  dovuto
procedere all'arrotondamento del decimale all'unita'  piu'  prossima,
mentre l'arrotondamento all'unita' superiore sarebbe  possibile  solo
ove il numero risultante dall'operazione  di  calcolo  «contenga  una
cifra decimale superiore a 50 centesimi».  Concludeva  la  ricorrente
assumendo  che   l'Ufficio   centrale   elettorale   avrebbe   allora
illegittimamente  assegnato  alle  liste  di  maggioranza  15   seggi
anziche' 14. 
    All'esito  della  correzione  di  tale  errore,   asserita   come
doverosa, la stessa ricorrente, in quanto prima dei non eletti tra le
liste del raggruppamento avversario, avrebbe dovuto subentrare a R.A.
M.,  candidata  nella  lista  «Un'altra  Gela»  ed  assegnataria  del
quindicesimo seggio,  a  suo  dire  indebitamente  riconosciuto  alla
maggioranza. 
    3.- Nelle more del giudizio, entrava in  vigore  l'art.  3  della
legge reg.  Siciliana  n.  6  del  2020,  rubricato  «Interpretazione
autentica del comma  6  dell'articolo  4  della  legge  regionale  15
settembre 1997, n. 35», ai cui sensi «[il] comma  6  dell'articolo  4
della legge regionale 15 settembre 1997, n. 35 e successive modifiche
ed integrazioni si interpreta nel senso  che,  nei  casi  in  cui  la
percentuale del 60 per cento dei seggi non corrisponda ad  una  cifra
intera ma ad un quoziente decimale, l'arrotondamento si effettua  per
eccesso in caso di decimale uguale o superiore a 50 centesimi  e  per
difetto in caso di decimale inferiore a 50 centesimi». 
    Due  dei  controinteressati  al  ricorso,  C.L.  G.  e  A.R.  M.,
eccepivano l'illegittimita' costituzionale della norma  sopravvenuta,
stante  il   carattere   surrettiziamente   interpretativo   di   una
disposizione che, a loro dire, era invece intervenuta in  assenza  di
dubbi sull'applicazione  della  precedente  disciplina,  interferendo
peraltro su giudizi pendenti. 
    4.- Il Tribunale rimettente condivide i dubbi sulla  legittimita'
costituzionale della predetta disposizione. 
    4.1.- In punto di rilevanza, il giudice a quo  osserva  come,  in
applicazione della norma  censurata,  il  ricorso  andrebbe  accolto,
mentre  una  pronuncia   di   questa   Corte   che   ne   dichiarasse
l'illegittimita' costituzionale  condurrebbe  verso  un  rigetto,  in
forza   di   un   «orientamento   granitico   della    giurisprudenza
amministrativa» formatosi sulla disciplina statale  recata  dall'art.
73, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti  locali),  disposizione
che regola a sua volta, per i  Comuni  con  popolazione  superiore  a
15.000 abitanti, l'assegnazione del premio di maggioranza, e  che  il
rimettente considera in tutto analoga alla norma regionale oggetto di
interpretazione. L'art. 73, comma  10,  t.u.  enti  locali  statuisce
infatti che «[q]ualora  un  candidato  alla  carica  di  sindaco  sia
proclamato eletto al primo turno, alla lista o al gruppo di  liste  a
lui collegate che non abbia gia' conseguito, ai sensi  del  comma  8,
almeno il 60 per cento dei seggi del  consiglio,  ma  abbia  ottenuto
almeno il 40 per cento dei voti validi, viene  assegnato  il  60  per
cento dei seggi, sempreche' nessuna altra lista  o  altro  gruppo  di
liste collegate abbia superato il  50  per  cento  dei  voti  validi.
Qualora un candidato alla carica di sindaco sia proclamato eletto  al
secondo turno, alla lista o al gruppo di liste ad esso collegate  che
non abbia gia' conseguito, ai sensi del comma 8,  almeno  il  60  per
cento dei seggi del consiglio, viene assegnato il 60  per  cento  dei
seggi, sempreche'  nessuna  altra  lista  o  altro  gruppo  di  liste
collegate al primo turno abbia gia' superato nel turno medesimo il 50
per cento dei voti validi. I restanti seggi  vengono  assegnati  alle
altre liste o gruppi di liste collegate ai sensi del comma 8». 
    Afferma  il  rimettente  che,  secondo   la   lettura   di   tale
disposizione offerta dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, «il
dato testuale impone [...]  di  assegnare  alla  coalizione  vincente
almeno [il] 60 per cento dei seggi, con  conseguente  necessita',  in
caso  di  quoziente   frazionario,   di   arrotondamento   all'unita'
superiore». Il 60 per cento dei seggi costituirebbe, infatti, «non il
limite massimo bensi' quello minimo» dei seggi alla stessa spettanti,
voluto dal legislatore a garanzia della governabilita' dell'ente.  Il
medesimo orientamento sarebbe espresso  dal  giudice  amministrativo,
con specifico riferimento alla disciplina siciliana  (vengono  citate
le sentenze del Tribunale  amministrativo  regionale  della  Sicilia,
sezione seconda, 19 ottobre 2016, n.  2591  e  25  ottobre  2019,  n.
2465). 
    Sempre in punto di rilevanza, il giudice a quo,  consapevole  che
l'applicazione in giudizio della disposizione censurata  dipende  dai
suoi effetti realmente retroattivi,  esclude  la  percorribilita'  di
un'interpretazione  costituzionalmente   orientata,   non   ritenendo
possibile superare la  qualificazione  di  norma  di  interpretazione
autentica, che lo stesso legislatore regionale  le  ha  espressamente
attribuito. 
    4.2.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza,   afferma   il
Tribunale rimettente che, alla luce della  giurisprudenza  di  questa
Corte,  puo'  dubitarsi  della  legittimita'   costituzionale   della
previsione introdotta dal legislatore  siciliano,  sia  in  relazione
alla sussistenza dei  presupposti  per  il  legittimo  esercizio  del
potere di  interpretazione  autentica,  sia  a  causa  dell'incidenza
retroattiva della disposizione sui giudizi pendenti. 
    4.2.1.- Quanto al primo profilo, ad  essere  violato  sarebbe  il
principio  di  ragionevolezza,   «come   desumibile   dal   comma   2
dell'articolo 3  della  Costituzione».  Per  costante  giurisprudenza
costituzionale, infatti, le norme  retroattive  sarebbero  tenute  al
rispetto di «valori e interessi costituzionalmente  protetti»,  quali
il principio di  ragionevolezza  (che  si  riflette  nel  divieto  di
introdurre  ingiustificate  disparita'  di  trattamento),  la  tutela
dell'affidamento,  la  coerenza  e  certezza  del  diritto   (vengono
richiamate le sentenze n. 167 del 2018, n. 73 del 2017,  n.  170  del
2013, n. 78 del 2012, n. 93 e n. 41 del 2011  e  n.  209  del  2010).
Ancora, questa Corte avrebbe chiarito come la palese erroneita' della
auto-qualificazione di norma di interpretazione autentica costituisca
un «indice, sia pur non dirimente» della sua  irragionevolezza  (sono
citate anche le sentenze n. 73 del 2017, n. 103 del 2013 e n. 41  del
2011). 
    In effetti, sostiene il rimettente, non  potrebbe  predicarsi  la
natura realmente interpretativa della  disposizione  censurata  (cio'
che  potrebbe  deporre  per  la  sua  non  irragionevolezza   e   non
contrarieta' al  principio  di  affidamento:  vengono  richiamate  le
sentenze n. 108 del 2019, n. 73 del 2017 e n. 170 del 2008).  Invero,
l'art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2020  avrebbe  assegnato
alla disposizione interpretata «un  significato  che  sembra  esulare
dalle possibili varianti di  senso  dello  stesso  testo  normativo».
L'arrotondamento   per   difetto   imposto   da   tale   disposizione
comporterebbe infatti il riconoscimento alla maggioranza di un numero
di seggi inferiore alla soglia del 60 per cento, «in spregio al  dato
letterale della norma». Esattamente come segnalato  dalla  richiamata
giurisprudenza amministrativa. 
    D'altra parte, aggiunge  il  rimettente,  nello  stesso  contesto
della legge reg. Siciliana n. 35  del  1997,  quando  il  legislatore
regionale ha voluto prescrivere un  diverso  criterio,  lo  ha  fatto
esplicitamente: in particolare, nell'art. 4, comma  1,  in  relazione
alla composizione delle liste, dove si stabilisce che  queste  devono
comprendere  candidati  in  numero  non  superiore   a   quello   dei
consiglieri  da  eleggere  e  non  inferiore  ai   due   terzi,   con
arrotondamento all'unita' superiore nella ipotesi di  cifra  decimale
superiore a 50 centesimi. 
    La circostanza che la norma censurata non abbia valenza realmente
interpretativa  sarebbe  infine  dimostrata   dai   contenuti   della
circolare dell'Assessorato regionale delle autonomie locali  e  della
funzione pubblica della Regione Sicilia del 26 marzo 2020,  n.  3675,
intervenuta a precisare che la disciplina in questione  non  dovrebbe
applicarsi retroattivamente. 
    4.2.2.- L'art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2020 sarebbe
altresi' lesivo dell'art. 117, comma  1,  Cost.,  in  relazione  agli
artt. 6 e 13  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848. 
    Difetterebbero infatti i motivi imperativi di interesse  generale
che, secondo  la  giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo, legittimano interventi normativi di natura  interpretativa
o  innovativa  con  effetti  retroattivi.  Cio'  in  quanto  non   si
riscontrerebbero «"ragioni storiche epocali",  ovvero  necessita'  di
porre rimedio ad una imperfezione tecnica  della  legge  interpretata
ristabilendo una interpretazione aderente  alla  originaria  voluntas
legis» (sono richiamate, tra le altre, Corte EDU, sentenza 27  maggio
2004, Ogis-Institut Stanislas e altri contro Francia  e  sentenza  23
ottobre 1997, National & Provincial Building Society ed altri  contro
Regno unito). 
    Inoltre,  secondo  la  Corte  EDU,   non   sarebbero   consentiti
interventi normativi con effetti retroattivi idonei ad  incidere  sui
giudizi in corso (Corte EDU, sentenze 11 dicembre  2012,  De  Rosa  e
altri contro Italia, 14 febbraio 2012, Arrasa e altri contro  Italia,
7  giugno  2011,  Agrati  contro  Italia).  Proprio   questo   invece
accadrebbe, per  il  rimettente,  nel  caso  di  specie,  in  cui  la
disposizione  censurata  pretende  di  interpretare  una   previsione
risalente al 1997, intervenendo, oltretutto, solo  dopo  le  elezioni
del 2019 e,  in  particolare,  successivamente  all'instaurazione  di
contenziosi di fronte al  giudice  amministrativo  (tra  i  quali  il
giudizio a quo). Essa sarebbe cosi' destinata a incidere  sulla  loro
definizione, a vantaggio di una delle parti. Per questa  ragione,  la
norma  sarebbe  altresi'  lesiva  del  diritto  di  difesa   tutelato
dall'art. 24 Cost. e della «autonomia della funzione  giurisdizionale
assegnata al giudice amministrativo (art. 103 Cost.)», con  ulteriore
compromissione della parita' di trattamento tra le parti  processuali
ai sensi dell'art. 111 Cost. 
    5.- Si e' costituita in giudizio R.A. M., parte  nel  giudizio  a
quo, prospettando  l'accoglimento  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale. Il legislatore regionale avrebbe infatti  introdotto,
in violazione del tenore letterale dell'art. 4, comma 6, e della  sua
stessa ratio, consistente nel garantire la governabilita'  dell'ente,
una modalita' di attribuzione dei seggi non prevista dal testo  della
disposizione asseritamente interpretata. Quest'ultima sarebbe  invero
chiara nel riconoscere alla coalizione vincente «almeno»  il  60  per
cento dei seggi, come confermato dalla giurisprudenza amministrativa,
che avrebbe interpretato  la  disciplina  in  modo  univoco  (vengono
richiamate le sentenze del TAR Sicilia,  sezione  prima,  25  ottobre
2019, n. 2465 e sezione seconda, 19  ottobre  2016,  n.  2591).  Tali
pronunce, del resto, si riferirebbero ad un «orientamento  granitico»
del Consiglio di Stato (sono richiamati  la  sentenza  della  sezione
terza, 18 ottobre 2018, n. 5967  e  i  numerosi  precedenti  in  essa
citati) inerente all'art. 73 t.u. enti  locali,  previsione  ritenuta
dalla parte perfettamente sovrapponibile alla norma oggetto. 
    Oltre che lesiva dei principi di ragionevolezza,  di  coerenza  e
certezza  del  diritto,  la  previsione  introdotta  dal  legislatore
regionale  violerebbe  anche  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6 e 13 CEDU, nonche' gli artt.  24,  102  e  111
Cost., a conferma evocandosi la giurisprudenza sia di  questa  Corte,
sia della Corte EDU. 
    Infatti, la circostanza che la disposizione censurata  sia  stata
approvata in assenza di dubbi sulla effettiva  portata  dell'art.  4,
comma 6, della legge reg. Siciliana n. 35 del 1997  rivelerebbe  come
la stessa sia  stata  adottata  allo  scopo  di  interferire  con  le
funzioni costituzionalmente riservate al potere  giudiziario,  e  per
determinare «fatalmente»,  a  favore  di  una  parte  e  a  discapito
dell'altra, l'esito della  controversia  prendente  innanzi  al  TAR:
mentre il principio di parita' tra le parti  in  giudizio  esige  che
ciascuna non venga  posta  in  una  condizione  di  netto  svantaggio
rispetto all'altra (Corte EDU, sentenza 25  marzo  2014,  Biasucci  e
altri contro Italia). 
    La difesa di  R.A.  M.  osserva,  in  conclusione,  che,  essendo
destinata ad incidere sul giudizio in corso (e su un  altro  pendente
innanzi al TAR Sicilia, sede di Palermo,  nel  procedimento  r.g.  n.
1289 del 2019), la disposizione censurata rivelerebbe la  sua  natura
di «legge provvedimento», la cui adozione sarebbe tanto piu' grave in
ambito elettorale, ove viene in  rilievo  il  diritto  di  elettorato
passivo. 
    6.- Nel giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente  della  Regione
Siciliana, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  o,
comunque, non fondate. 
    6.1.- In punto di ammissibilita',  osserva  l'Avvocatura  che  il
giudice rimettente avrebbe «liquida[to] il requisito della  rilevanza
della questione di costituzionalita'  ai  fini  della  decisione  del
giudizio», presumendo  la  retroattivita'  della  norma  censurata  e
omettendo di  considerare  la  possibilita'  di  una  interpretazione
costituzionalmente conforme. Non sempre le leggi  di  interpretazione
autentica avrebbero infatti  portata  retroattiva  (viene  citata  la
sentenza n. 173 del 2019  di  questa  Corte,  relativa  proprio  alla
materia  elettorale).  In  ogni  caso,  pur  in   presenza   di   una
disposizione retroattiva, sarebbe decisiva una valutazione  circa  la
sua ragionevolezza, cioe' una verifica invece omessa dal ricorrente. 
    6.2.- Nel merito, l'Avvocatura sottolinea che il  contenzioso  in
essere origina dalla riduzione del numero dei  consiglieri  comunali,
prevista dalla legge della Regione Siciliana 26 giugno  2015,  n.  11
(Disposizioni in materia di composizione dei consigli e delle  giunte
comunali,  di  status  degli  amministratori  locali  e  di  consigli
circoscrizionali.  Disposizioni  varie).   In   occasione   di   tale
intervento, il legislatore siciliano avrebbe  omesso  di  considerare
l'eventualita' che,  proprio  a  seguito  della  correzione  numerica
introdotta, a seguito dei calcoli relativi all'assegnazione dei seggi
previsti dal premio di maggioranza, si  sarebbe  potuto  ricavare  un
quoziente con cifre decimali. 
    Invero, in occasione della consultazione elettorale del  2019,  i
diversi Uffici centrali elettorali competenti avrebbero  disposto  in
modo non uniforme proprio riguardo all'arrotondamento  dei  quozienti
decimali  (viene  riportato  l'esempio  delle  procedure   elettorali
relative ai Comuni di Bagheria e di Caltanissetta, in  cui  l'Ufficio
centrale elettorale aveva  operato  l'arrotondamento  verso  l'unita'
superiore, e quello, opposto, inerente al Comune di Monreale). 
    Questa incertezza avrebbe  indotto  la  Commissione  I  -  Affari
istituzionali dell'Assemblea regionale  siciliana  ad  approvare  una
risoluzione che impegnava il  Governo  regionale  ad  «attivare  ogni
iniziativa, anche legislativa, che  interpretando  autenticamente  la
vigente normativa regionale [...] confermi la  corretta  applicazione
del criterio decimale che prevede che nel  caso  di  cifre  decimali,
l'arrotondamento vada effettuato per difetto o per eccesso a  seconda
che il decimale preso in considerazione  sia  inferiore  o  superiore
alla  meta'  come  giurisprudenza  consolidata  afferma  da   sempre»
(risoluzione n. 1/I recante «Iniziative per la corretta  applicazione
delle  disposizioni  in  materia  di  attribuzione  del   premio   di
maggioranza nei consigli  dei  comuni  con  popolazione  superiore  a
15.000 abitanti», approvata nella seduta n. 116 del 6 novembre 2019). 
    In tale contesto, veniva approvato  l'art.  3  della  legge  reg.
Siciliana n. 6 del  2020,  che,  limitandosi  ad  indicare  un  «mero
criterio matematico», si sarebbe fondato sulla presenza  di  entrambe
le condizioni che, in generale, legittimano il  ricorso  a  norme  di
interpretazione  autentica:  «la  formulazione  ambigua  della  legge
regionale e la diversita'  delle  soluzioni  interpretative  adottate
dagli operatori del diritto» (sono richiamate le sentenze  di  questa
Corte n. 271 del 2011 e n. 155 del 1990). 
    Secondo  l'Avvocatura,  invece,  a   nulla   varrebbe   riferirsi
all'orientamento della giurisprudenza amministrativa  richiamato  dal
giudice a quo sull'art. 73 t.u. enti locali, «essendo il  legislatore
regionale munito di potesta' legislativa esclusiva in materia». 
    Nemmeno sarebbero violati l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 6 e 13 CEDU. Il  legislatore  regionale  sarebbe
infatti intervenuto a fugare un reale dubbio interpretativo, a tutela
di  «tutti  i  candidati  alle  elezioni»   e   dell'equilibrio   tra
l'interesse dei gruppi di maggioranza e quelli  di  minoranza.  Anche
gli ulteriori parametri invocati dal rimettente non  sarebbero  stati
illegittimamente incisi dalla disposizione censurata. Come  affermato
da questa Corte, infatti, la funzione giurisdizionale  «opera  su  un
piano  diverso  rispetto  a  quello   del   potere   legislativo   di
interpretazione autentica» (sentenza n. 234 del 2007). 
    7.- In prossimita' dell'udienza  pubblica  del  25  gennaio  2022
hanno depositato memoria sia la difesa della parte  sia  l'Avvocatura
generale dello Stato. 
    La  prima,  dopo  aver  insistito  sulla   ammissibilita'   delle
questioni  di  legittimita'  sollevate,  nel  merito  ha  soprattutto
evidenziato come solo  in  un  caso,  nel  2019,  l'Ufficio  centrale
elettorale avrebbe proceduto ad  assegnare  14  seggi  in  forza  del
premio  di  maggioranza,  mentre  nei  Comuni  di   Gela,   Bagheria,
Castelvetrano e  Caltanissetta  sarebbe  stata  seguita  l'opposta  e
corretta soluzione. 
    L'Avvocatura ha invece ribadito  come  il  legislatore  regionale
abbia legittimamente inteso risolvere  una  oggettiva  situazione  di
incertezza, seguendo un'opzione ermeneutica  non  estranea  al  testo
dell'art. 4, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 35 del 1997. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia solleva,
in riferimento agli artt. 3, secondo comma,  24,  primo  comma,  103,
primo  comma,  111,  secondo  comma,  e  117,  primo   comma,   della
Costituzione, questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  3
della legge della Regione Siciliana 3 marzo 2020, n. 6 (Rinvio  delle
elezioni degli organi degli enti di area vasta. Disposizioni varie). 
    La disposizione censurata interviene sulla disciplina che regola,
nella Regione Siciliana, l'attribuzione  del  premio  di  maggioranza
alla lista o al gruppo  di  liste  collegate  al  sindaco  proclamato
eletto nei Comuni  con  popolazione  superiore  ai  15.000  abitanti,
prevista all'art. 4, comma 6, della legge della Regione Siciliana  15
settembre 1997, n. 35  (Nuove  norme  per  la  elezione  diretta  del
sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del
consiglio  provinciale).  Tale  ultima  disposizione  stabilisce  che
«[a]lla lista o al gruppo di liste collegate al candidato  proclamato
eletto che non abbia gia' conseguito almeno il 60 per cento dei seggi
del Consiglio viene assegnato, comunque, il 60 per cento dei seggi». 
    Qualificandosi espressamente, fin dalla rubrica,  come  norma  di
interpretazione autentica,  la  disposizione  censurata  afferma  che
l'appena citato art. 4, comma 6, della legge reg. Siciliana n. 35 del
1997 «si interpreta nel senso che, nei casi in cui la percentuale del
60 per cento dei seggi non corrisponda ad una cifra intera ma  ad  un
quoziente decimale, l'arrotondamento si effettua per eccesso in  caso
di decimale uguale o superiore a 50 centesimi e per difetto  in  caso
di decimale inferiore a 50 centesimi». 
    Secondo il giudice a quo, la disposizione violerebbe il principio
di  ragionevolezza  desumibile   dall'«art.   3,   comma   2,   della
Costituzione»  (recte:   art.   3   Cost.   nella   sua   complessiva
formulazione, ove l'evidente lapsus calami non pregiudica la corretta
individuazione della doglianza: ex multis sentenze n. 172 e n. 35 del
2021e n. 228 del 2017). 
    Cio' in quanto, lungi  dal  dettare  l'interpretazione  autentica
della disposizione regionale relativa alle modalita' di  calcolo  del
premio  di  maggioranza,  avrebbe   assegnato   a   quest'ultima   un
significato non rientrante tra le possibili  varianti  di  senso  del
testo normativo. 
    Il ragionamento del rimettente si basa  su  un  semplice  calcolo
matematico, e sul raffronto del risultato  di  tale  calcolo  con  il
testo  letterale  della  disposizione   asseritamente   interpretata.
Essendo attualmente 24 i componenti dei consigli nei Comuni in esame,
il 60 per cento dei seggi equivale a  14,4,  e  l'arrotondamento  per
difetto,  poiche'  il  decimale  e'   inferiore   a   50   centesimi,
comporterebbe l'assegnazione alle liste collegate al  sindaco  eletto
di 14 consiglieri, pari al 58,33 per cento: dunque, di un  numero  di
seggi inferiore  al  60  per  cento,  appunto  «in  spregio  al  dato
letterale». 
    La norma censurata lederebbe, inoltre, l'art. 117,  primo  comma,
Cost., in relazione agli artt.  6  e  13  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con legge 4 agosto 1955, n.  848,  nonche'  gli  artt.  24,
primo comma, 103, primo comma e 111, secondo comma, Cost. Infatti, in
assenza di motivi imperativi  di  interesse  generale,  essa  avrebbe
introdotto una disciplina retroattiva che incide su giudizi  pendenti
a vantaggio di una delle parti  in  lite  per  l'assegnazione  di  un
seggio, in lesione dell'«autonomia della funzione giurisdizionale»  e
del principio del giusto processo, «declinato sotto il profilo  della
parita' di trattamento tra tutte le parti processuali». 
    2.-  Il  Presidente  della  Regione  Siciliana,  intervenuto   in
giudizio rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato,
eccepisce l'inammissibilita' delle questioni, poiche'  il  giudice  a
quo, prima di rimetterle dinnanzi a  questa  Corte,  «avrebbe  dovuto
verificare  se  la  disposizione  fosse  effettivamente  retroattiva,
indipendente[mente] dal nomen della disposizione stessa,  e  se  tale
retroattivita'  avesse   i   caratteri   della   irragionevolezza   e
contrastasse con altri valori costituzionalmente protetti». 
    Tale  eccezione,  per  vero  non  chiarissima,  e'   avanzata   a
conclusione di un ragionamento in cui, in primo  luogo,  si  addebita
all'ordinanza  di  rimessione  una   valutazione   affrettata   sulla
rilevanza delle questioni: se il giudice a quo - sembra di  capire  -
avesse  sperimentato   la   via   dell'interpretazione   adeguatrice,
orientandosi per la non retroattivita' della disposizione  censurata,
avrebbe potuto ritenerla non applicabile nel giudizio principale.  In
secondo luogo, l'Avvocatura  richiama  la  giurisprudenza  di  questa
Corte, secondo cui le leggi di interpretazione autentica, cosi'  come
quelle innovative con  effetti  retroattivi,  non  sono  di  per  se'
costituzionalmente illegittime, e lamenta che il rimettente, prima di
sollevare le  questioni,  avrebbe  dovuto,  appunto,  verificare  se,
essendo realmente retroattiva la disposizione  censurata,  la  stessa
travalicasse il limite della ragionevolezza. 
    L'eccezione deve essere respinta. 
    Attengono certamente al  merito,  e  non  all'ammissibilita',  le
valutazioni in punto di ragionevolezza  della  disciplina  censurata.
Quanto alla mancata esplorazione di una interpretazione conforme,  in
senso non retroattivo, dell'art. 3 della legge reg.  Siciliana  n.  6
del 2020 - lacuna che si tradurrebbe in  un  difetto  di  motivazione
sulla rilevanza delle questioni - e'  sufficiente  osservare  che  il
giudice  a  quo   ha   considerato   tale   possibilita',   ma   l'ha
consapevolmente esclusa, rilevando che la disposizione  censurata  si
auto-qualifica come interpretativa fin dalla rubrica. Cio' rende  del
tutto plausibili, almeno ai fini dell'accesso  delle  questioni  allo
scrutinio di merito,  sia  l'affermazione  della  natura  retroattiva
della norma, sia, di conseguenza, la sua ritenuta  applicabilita'  al
giudizio pendente. 
    Non rileva  in  senso  contrario  la  circolare  dell'Assessorato
regionale delle autonomie locali  e  della  funzione  pubblica  della
Regione Siciliana del 26 marzo 2020, n. 3675, in cui si asserisce che
«la disciplina interpretativa» in questione  troverebbe  applicazione
«dalla prossima tornata elettorale amministrativa». Per  sua  natura,
tale atto non e' idoneo a orientare  decisivamente  l'interpretazione
giurisdizionale di una fonte legislativa. 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata, per violazione dell'art.
3 Cost. 
    4.- Coglie innanzitutto nel  segno  il  giudice  a  quo,  laddove
addebita alla norma censurata di  aver  assegnato  alla  disposizione
interpretata un significato che non rientra tra le possibili varianti
di senso del testo oggetto di (pretesa) interpretazione autentica. 
    L'arrotondamento per difetto, quando il decimale e'  inferiore  a
50 centesimi, comporta l'assegnazione alle liste collegate al sindaco
eletto  di  14  consiglieri,  pari  al  58,33  per  cento  dei  seggi
consiliari, percio', senza dubbio, di un numero di seggi inferiore al
60 per cento, in evidente contrasto  con  il  dato  testuale  esibito
dalla disposizione asseritamente interpretata. 
    Ben vero, come osserva l'Avvocatura dello Stato, che la norma  di
interpretazione  autentica  oggetto  delle   odierne   questioni   di
legittimita' costituzionale e' intervenuta a risolvere una  specifica
questione -  quale  sia  il  criterio  cui  ricorrere  per  procedere
all'indispensabile arrotondamento di un decimale laddove  il  60  per
cento dei seggi  non  corrisponda  ad  un  numero  intero  -  insorta
successivamente all'entrata in vigore dell'art.  4,  comma  6,  della
legge reg. Siciliana n. 35 del 1997. 
    In effetti, per i  Comuni  con  popolazione  superiore  a  30.000
abitanti, qui  in  rilievo,  l'art.  43  della  legge  della  Regione
Siciliana 15 marzo 1963, n. 16 (Ordinamento amministrativo degli enti
locali nella Regione siciliana)  fissava  originariamente  in  30  il
numero dei membri del Consiglio comunale. Poiche' il 60 per cento  di
30 e' pari a 18, gli Uffici centrali  elettorali  non  si  erano  mai
trovati  nella  necessita',  per   l'assegnazione   del   premio   di
maggioranza,  di  procedere  ad  operazioni  di   arrotondamento   di
decimali. 
    Lo scenario e' mutato quando l'art. 1, comma 1, della legge della
Regione Siciliana 26 giugno 2015, n. 11 (Disposizioni in  materia  di
composizione dei consigli e delle giunte comunali,  di  status  degli
amministratori locali e di  consigli  circoscrizionali.  Disposizioni
varie) ha ridotto «del  20  per  cento»  il  numero  dei  consiglieri
comunali, portando cosi' il totale dei seggi consiliari da 30  a  24.
Il comma 4 del  medesimo  art.  1  ha  stabilito  che  la  correzione
introdotta operasse a partire dal primo rinnovo dei consigli comunali
successivo all'entrata in vigore della legge regionale,  determinando
cosi'  la  necessita'  di  utilizzare  un  criterio   per   procedere
all'arrotondamento. 
    Tuttavia, l'ordinanza di rimessione  nega,  persuasivamente,  che
quello insorto dopo l'entrata in vigore della legge reg. Siciliana n.
11 del 2015 costituisse un reale problema ai  fini  dell'assegnazione
del premio di maggioranza. Infatti, un  costante  orientamento  della
giurisprudenza amministrativa, formatosi ben prima del 2015,  risulta
saldamente attestato nel senso che, nell'ambito  della  procedura  di
assegnazione del premio, i decimali devono sempre essere  arrotondati
all'unita' superiore. 
    Tale  orientamento,  per  vero,  si  e'  formato   in   sede   di
interpretazione di una disposizione di legge  statale,  cioe'  l'art.
73, comma 10, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali), relativo  alla
consistenza  e  alle  modalita'  di  assegnazione   del   premio   di
maggioranza nelle elezioni comunali delle Regioni a statuto ordinario
(ex multis, Consiglio di Stato, sezione terza,  sentenze  18  ottobre
2018, n. 5967, 23 maggio 2017, n.  2408,  10  maggio  2017,  n.  2174
sezione quinta, sentenze 30 maggio 2016, n. 2299, 22 settembre  2015,
n. 4419, 30 giugno 2014, n. 3268 e n. 3269, 21 maggio 2013, n. 2761);
ma la disciplina in esso contenuta risulta del tutto  sovrapponibile,
nel dato letterale, a  quella  della  Regione  Siciliana  oggetto  di
interpretazione asseritamente autentica. 
    Cio' spiega perche' questo stesso  orientamento,  dopo  il  2015,
viene seguito anche dalla  giurisprudenza  amministrativa  formatasi,
nella Regione Siciliana, sull'art.  4,  comma  6,  della  legge  reg.
Siciliana n. 35 del 1997, ovviamente  prima  dell'entrata  in  vigore
della norma censurata (TAR Sicilia, sede di Catania, 19 ottobre 2016,
n. 2591; TAR Sicilia, sede di Palermo, 25 ottobre 2019, n. 2465). 
    A fondare un simile  orientamento  e',  risolutivamente,  proprio
l'argomento   letterale   teste'   esposto.   Osserva   il    giudice
amministrativo (Consiglio di Stato,  sentenza  18  ottobre  2018,  n.
5967) che «il dato testuale impone [...] di assegnare alla coalizione
vincente  almeno  il  60  per  cento  dei  seggi,   con   conseguente
necessita', in  caso  di  quoziente  frazionario,  di  arrotondamento
all'unita'  superiore».  Il  60  per  cento   dei   seggi,   infatti,
«costituisce nella fattispecie non il limite  massimo  bensi'  quello
minimo dei seggi spettanti alla  coalizione  vincente,  previsto  dal
legislatore per garantire la  governabilita'  dell'Ente  locale».  Di
contro,  «ove   si   effettuasse   l'arrotondamento   del   quoziente
frazionario per difetto, si otterrebbe una percentuale  inferiore  al
60%, con conseguente violazione del disposto normativo». 
    In questa prospettiva, la giurisprudenza sottolinea come  occorra
particolarmente considerare  il  significato  della  parola  «almeno»
inserita nella formula dell'art. 73 t.u. enti  locali  -  parola  che
ricompare, identica, nell'art. 4, comma 6, della legge reg. Siciliana
n. 35 del 1997 - («alla lista o al gruppo di liste  a  lui  collegate
che non abbia gia' conseguito [...] almeno il 60 per cento dei  seggi
del consiglio, [...] viene assegnato il 60  per  cento  dei  seggi»).
L'utilizzo  di  tale  termine,  si  sostiene,  e'  espressione  della
volonta' legislativa  di  assicurare  in  ogni  caso  la  percentuale
stabilita dalla norma. 
    Nella medesima prospettiva, e' significativo che la  disposizione
regionale risulti ancora piu'  stringente  nella  direzione  esposta,
giacche', a differenza di quella statale, prevede che, alla  lista  o
al gruppo di liste che gia' non l'abbia conseguito, il 60  per  cento
dei seggi venga assegnato «comunque». 
    E' appena  il  caso  di  aggiungere,  per  concludere  su  questo
aspetto, che  non  ha  pregio  l'obiezione  avanzata  dall'Avvocatura
generale circa la non pertinenza, nella questione in  esame,  di  una
giurisprudenza amministrativa formatasi su  disposizione  legislativa
statale  (l'art.  73,  comma  10,  t.u.  enti   locali,   del   tutto
sovrapponibile a quella regionale  censurata),  sul  presupposto  che
alla Regione Siciliana e' attribuita, in materia  di  elezione  degli
enti locali, potesta' legislativa esclusiva. L'argomento e', infatti,
fuori quadro: non e' qui in discussione l'ambito  di  competenza  del
legislatore regionale in materia di elezioni locali, ma il  carattere
fittizio o reale di una interpretazione che  si  auto-qualifica  come
autentica.  D'altra  parte,  non  mutano  le  regole  e   gli   esiti
dell'esegesi  giurisprudenziale  di  testi  normativi  identici,  sol
perche' muti la  fonte  della  disposizione  da  interpretare  (legge
statale o regionale). 
    5.-  L'analisi  che  precede   dimostra,   dunque,   l'erroneita'
dell'auto-qualificazione esibita dalla disposizione censurata. 
    A seguito  dell'intervento  legislativo  sub  iudice,  non  resta
immutato il tenore  testuale  della  disposizione  interpretata,  ne'
risulta privilegiata, e resa vincolante,  una  delle  interpretazioni
desumibili da  tale  testo  (sentenza  n.  15  del  1995).  La  norma
censurata non esprime - come dovrebbe, per qualificarsi correttamente
quale  interpretativa  -  «un  significato  appartenente   a   quelli
riconducibili  alla  previsione  interpretata  secondo  gli  ordinari
criteri dell'interpretazione della legge» (sentenza n. 133 del 2020):
al  contrario,  ne  indica  uno  estraneo  alle  variabili  di  senso
riconducibili al testo di quest'ultima (sentenze n. 70 del  2020,  n.
108 del 2019 e n. 73 del 2017). 
    L'art. 3 della legge reg. Siciliana n. 6 del 2020 - presentandosi
quale norma di interpretazione autentica - ha, in realta',  contenuto
e natura di  disciplina  innovativa  con  effetti  retroattivi.  Esso
determina il  mutamento  della  regola  espressa  dalla  disposizione
interpretata su un aspetto  decisivo  della  legislazione  elettorale
locale, cioe' la consistenza del premio  di  maggioranza,  che  viene
ridotto al di sotto della soglia del 60 per cento: un mutamento  che,
nonostante le allegazioni in senso  contrario  dell'Avvocatura  dello
Stato, dispiega con ogni evidenza effetti retroattivi ed e' destinato
ad incidere sui giudizi pendenti in ambito elettorale. 
    Peraltro, la giurisprudenza  di  questa  Corte  ha  chiarito  che
l'erroneita' dell'auto-qualificazione come norma  interpretativa  non
e' risolutiva, ai fini dell'esito  dello  scrutinio  di  legittimita'
costituzionale.  Piuttosto,  tale  erroneita'  puo'  costituire   «un
indice, sia pur non dirimente» (sentenze n. 73 del 2017, n.  103  del
2013 e n.  41  del  2011)  dell'irragionevolezza  della  disposizione
censurata. 
    Allo   stesso   modo,   la   giurisprudenza   costituzionale   ha
sottolineato che una disposizione innovativa con effetti retroattivi,
ancorche' qualificata di interpretazione autentica, non  e',  di  per
se' e in quanto tale, costituzionalmente illegittima.  Vale,  in  tal
caso, il principio per cui, nel rispetto di quanto previsto dall'art.
25 Cost. in materia penale, il legislatore puo' approvare  leggi  con
efficacia  retroattiva,  purche'  la  retroattivita'  trovi  adeguata
giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale (ex plurimis, sentenza n. 170 del 2013). 
    Tuttavia, il ricorso fittizio  all'interpretazione  autentica  si
rivela sintomatico di un «uso improprio della funzione  legislativa»,
e, pertanto, orienta verso un  sindacato  rigoroso  sulla  norma,  in
ragione della sua retroattivita' (sentenza n. 133 del 2020). 
    Nella prospettiva di uno stretto scrutinio di ragionevolezza,  si
tratta, dunque,  di  riscontrare  non  «la  mera  assenza  di  scelte
normative manifestamente arbitrarie, ma  l'effettiva  sussistenza  di
giustificazioni ragionevoli dell'intervento legislativo (sentenza  n.
432 del 1997)» (sentenza n. 108 del 2019), e di  valutare,  altresi',
se le motivazioni alla base dell'intervento legislativo  a  carattere
retroattivo siano di tale rilievo da prevalere rispetto alle esigenze
legate alla tutela del legittimo affidamento  dei  destinatari  della
regolazione originaria e al principio di certezza  e  stabilita'  dei
rapporti giuridici. 
    E' necessario aggiungere qui che siffatta esigenza  si  presenta,
con particolare evidenza,  in  relazione  ad  interventi  retroattivi
nella  materia  elettorale,  in  cui  affidamento  e  stabilita'  dei
rapporti giuridici sono posti a tutela di diritti e beni di peculiare
rilievo costituzionale, come il  diritto  inviolabile  di  elettorato
passivo  di  cui  all'art.  51  Cost.,  «aspetto   essenziale   della
partecipazione dei cittadini alla vita democratica» (sentenze  n.  48
del 2021 e n. 141 del 1996), e lo stesso diritto di  voto  esercitato
ai sensi  dell'art.  48  Cost.,  diritto  che  «svolge  una  funzione
decisiva nell'ordinamento costituzionale» (sentenza n. 35 del  2017),
in quanto ha «come connotato essenziale il  suo  collegamento  ad  un
interesse del corpo sociale nel suo insieme»  (sentenze  n.  240  del
2021 e n. 1 del 2014). 
    6.- Nella prospettiva appena indicata, non soccorrono, a sostegno
della ragionevolezza dell'intervento legislativo  in  esame,  ne'  la
stringente necessita'  di  rimediare  a  una  condizione  di  diffusa
incertezza quanto al calcolo dei seggi da assegnare alla lista  o  al
gruppo di liste collegate al candidato sindaco  che  non  abbia  gia'
conseguito  almeno  il  60  per  cento  dei  seggi  consiliari,   ne'
impellenti esigenze di rilievo costituzionale collegate, come  invece
asserisce  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  alla  garanzia  del
principio di rappresentativita' e a quello di tutela delle minoranze. 
    Sotto il primo profilo, non risulta a questa Corte, in assenza di
dettagliate  allegazioni  dell'Avvocatura  dello  Stato,  che   siano
numerosi i casi di  applicazione  divergente  della  normativa  nelle
elezioni del 2018 e del 2019. 
    Quanto al secondo  profilo,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato
asserisce che la quota del 60 per cento, quale premio di maggioranza,
sarebbe «il punto di equilibrio individuato  dal  legislatore  tra  i
contrapposti valori della governabilita'  dell'ente  locale  e  della
tutela  delle  minoranze,  tenuto  conto  che  il   principio   della
rappresentanza   proporzionale   risulta   gia'   sacrificato   dalla
previsione di un  correttivo  maggioritario  nella  ripartizione  dei
seggi, quindi con applicazione di una norma derogatoria  rispetto  al
principio di rappresentativita'». E ne ricava la conclusione che  ben
giustificato sarebbe, percio', l'arrotondamento all'unita' inferiore,
se il decimale e' inferiore a 50 centesimi: del resto, la maggioranza
consiliare  potrebbe  gia'  contare  «su   un   sostanzioso   margine
numerico», dovendosi altresi' considerare che il premio e' attribuito
«a scapito  della  rappresentativita'  politico-amministrativa  della
minoranza». 
    L'argomento teste' esposto attribuisce all'intervento legislativo
censurato obbiettivi di carattere generale - la riduzione della quota
del premio di maggioranza e una  sorta  di  sostegno  alle  minoranze
consiliari, in  nome  del  principio  di  rappresentativita'  -  che,
peraltro, non risultano dall'esame dei lavori preparatori della norma
in questione. Esso, in ogni  caso,  torna  a  dimostrare  che,  negli
effetti che  produce,  tale  intervento  e'  non  gia'  di  carattere
interpretativo, ma innovativo e correttivo, determinando in concreto,
con  efficacia  retroattiva,  una  (sia  pur  limitata)   diminuzione
dell'entita' del premio di maggioranza,  in  contrasto  con  il  dato
desumibile dal testo della disposizione  asseritamente  interpretata,
in evidente lesione dello stesso affidamento  nutrito  dai  candidati
alle elezioni, e, in ultima analisi, dagli stessi elettori. 
    Non  spettano  al  giudice  costituzionale,   in   questa   sede,
valutazioni sullo  specifico  sistema  elettorale  comunale  previsto
dalla  legge  regionale  siciliana,  ed  appartiene  certamente  alla
discrezionalita' del legislatore regionale modulare, in tale  ambito,
il rapporto tra premio di maggioranza, da  una  parte,  principio  di
rappresentativita' ed esigenza di tutela delle minoranze  consiliari,
dall'altra. 
    Tuttavia, per quel che rileva nell'ambito dello stretto controllo
di ragionevolezza sulla disposizione  censurata,  la  presenza  nella
legge reg. Siciliana n. 35 del  1997  di  specifiche  condizioni  per
l'attribuzione del premio (esso non e' assegnato se  la  lista  o  il
gruppo di liste collegate al sindaco  eletto  abbia  gia'  conseguito
almeno il 60 per cento dei seggi; se un'altra lista o gruppo di liste
abbiano superato il 50 per cento dei voti  validi;  se,  in  caso  di
sindaco eletto al primo turno, la lista o il  gruppo  di  liste  allo
stesso collegate non abbiano conseguito almeno il 40  per  cento  dei
voti validi) illustra con evidenza che non sussistono,  in  nome  dei
principi  costituzionali  di  rappresentativita'   e   tutela   delle
minoranze,   impellenti   necessita'   costituzionali   a    sostegno
dell'intervento correttivo con effetti retroattivi  realizzato  dalla
norma censurata. 
    Se, come sembra intendere l'Avvocatura generale dello  Stato,  un
intervento normativo correttivo di tal segno sia  invece  necessario,
questo e' ovviamente nella disponibilita' del legislatore  regionale,
ma non puo' avvenire, come invece e' accaduto  nel  caso  all'odierno
esame, sotto le mentite  spoglie  di  una  norma  di  interpretazione
autentica che mantiene in  vita  l'assegnazione,  «comunque»,  di  un
premio attestato «almeno» sulla soglia del 60 per cento. 
    In definitiva, l'attribuzione alla disposizione  interpretata  di
un significato non desumibile dal suo testo originario, la produzione
di effetti retroattivi in  lesione  della  certezza  del  diritto  in
materia  elettorale,  la  conseguente   violazione   dell'affidamento
nutrito, in tale materia, dai candidati alle elezioni (e dagli stessi
elettori)   determinano    l'illegittimita'    costituzionale,    per
irragionevolezza, dell'art. 3 della legge reg.  Siciliana  n.  6  del
2020. 
    Restano  assorbiti  i  motivi  di  censura  relativi  agli  altri
parametri costituzionali evocati. 
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della  legge
della Regione Siciliana 3 marzo 2020, n.  6  (Rinvio  delle  elezioni
degli organi degli enti di area vasta. Disposizioni varie). 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA