N. 62 SENTENZA 25 gennaio - 10 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Elezioni - Elezioni del Sindaco e del Consiglio comunale  nei  Comuni
  con  popolazione  inferiore  ai   5.000   abitanti   -   Necessaria
  rappresentanza di  entrambi  i  generi  nelle  liste  elettorali  -
  Sanzioni, in caso di inosservanza - Esclusione  delle  liste,  come
  previsto per le elezioni nei Comuni con  popolazione  superiore  ai
  15.000 abitanti - Omessa previsione - Violazione  dei  principi  di
  parita' di genere e di  uguaglianza  sostanziale  -  Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- Decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 71,  comma  3-bis;
  decreto del Presidente della Repubblica 16  maggio  1960,  n.  570,
  art. 30, primo comma, lettere d-bis) ed e). 
- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 51, primo comma, e 117, primo
  comma; Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
  delle  liberta'  fondamentali,  art.  14;  Protocollo  n.  12  alla
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 1. 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,  Francesco  VIGANO',
  Luca  ANTONINI,   Stefano   PETITTI,   Angelo   BUSCEMA,   Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  71,  comma
3-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e dell'art. 30, primo
comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo
unico delle leggi per la composizione  e  la  elezione  degli  organi
delle Amministrazioni comunali), promosso  dal  Consiglio  di  Stato,
sezione terza, nel procedimento vertente tra  A.  F.  e  altro  e  il
Comune di Castello del Matese e altri, con  ordinanza  del  4  giugno
2021, iscritta al n. 130 del registro  ordinanze  2021  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  37,  prima   serie
speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di A. F. e L. D.L., nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udita nell'udienza  pubblica  del  25  gennaio  2022  la  Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    uditi l'avvocato Federico Maurizio Ricciardi per A. F. e L.  D.L.
e l'avvocato dello  Stato  Chiarina  Aiello  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 4 giugno  2021,  iscritta  al  n.  130  del
registro ordinanze 2021, il Consiglio di  Stato,  sezione  terza,  ha
sollevato questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  71,
comma 3-bis, del decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267  (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e dell'art. 30,
primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n.  570
(Testo unico delle leggi per la  composizione  e  la  elezione  degli
organi delle Amministrazioni comunali). 
    L'art. 71 t.u. enti locali disciplina l'elezione  del  sindaco  e
del consiglio comunale nei comuni sino  a  15.000  abitanti.  Il  suo
comma 3-bis, inserito dall'art. 2, comma 1, lettera  c),  numero  1),
della legge 23 novembre 2012, n. 215 (Disposizioni per promuovere  il
riequilibrio delle rappresentanze di  genere  nei  consigli  e  nelle
giunte degli enti locali e nei consigli  regionali.  Disposizioni  in
materia di pari opportunita' nella composizione delle commissioni  di
concorso nelle  pubbliche  amministrazioni),  prevede  quanto  segue:
«[n]elle liste dei  candidati  e'  assicurata  la  rappresentanza  di
entrambi i sessi. Nelle medesime liste, nei  comuni  con  popolazione
compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti,  nessuno  dei  due  sessi  puo'
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei  candidati,
con  arrotondamento  all'unita'  superiore  qualora  il  numero   dei
candidati del sesso meno rappresentato  da  comprendere  nella  lista
contenga una cifra decimale inferiore a 50 centesimi». 
    Il giudice a quo dubita della legittimita' costituzionale di tale
disposizione  «nella  parte  in  cui  non   prevede   la   necessaria
rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei comuni
con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti». 
    L'art. 30 del  d.P.R.  n.  570  del  1960  disciplina  i  compiti
spettanti  alla  «Commissione  elettorale   mandamentale»   dopo   la
presentazione delle candidature nei comuni sino  a  10.000  abitanti,
nell'ambito del procedimento preparatorio alle elezioni dei  consigli
comunali. In particolare, la  lettera  d-bis)  censurata  -  dapprima
inserita dall'art. 4, comma 1, della legge 15 ottobre  1993,  n.  415
(Modifiche  ed  integrazioni  alla  legge  25  marzo  1993,  n.   81,
sull'elezione diretta del sindaco, del  presidente  della  provincia,
del consiglio comunale e del consiglio provinciale) e successivamente
cosi' sostituita dall'art. 2, comma 2, lettera a), numero  1),  della
legge n. 215 del 2012 - prevede che, entro  il  giorno  successivo  a
quello  della  presentazione  delle   candidature   la   Commissione:
«verifica che nelle liste dei candidati, per le elezioni  nei  comuni
con  popolazione  superiore  a  5.000  abitanti,  sia  rispettata  la
previsione contenuta nel comma 3-bis dell'articolo 71 del testo unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali,  di  cui  al  decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267.  In  caso  contrario,  riduce  la
lista  cancellando  i  nomi  dei  candidati  appartenenti  al  genere
rappresentato  in  misura  eccedente  i  due  terzi  dei   candidati,
procedendo in tal caso dall'ultimo della lista.  La  riduzione  della
lista non puo', in ogni caso,  determinare  un  numero  di  candidati
inferiore  al  minimo  prescritto  per   l'ammissione   della   lista
medesima»; mentre la lettera e), modificata  dall'art.  2,  comma  2,
lettera a), numero 2, della legge n. 215 del  2012,  prevede  che  la
medesima Commissione «ricusa le liste che  contengono  un  numero  di
candidati  inferiore  al  minimo  prescritto  e  riduce  quelle   che
contengono un numero di candidati superiore  al  massimo  consentito,
cancellando gli ultimi nomi in modo da assicurare il  rispetto  della
previsione contenuta nel comma 3-bis» dell'art. 71 t.u. enti locali. 
    Il rimettente dubita della legittimita' costituzionale di  questa
disposizione «nella parte in cui esclude dal regime sanzionatorio sub
specie "esclusione della lista" [...] le liste elettorali  presentate
in violazione della necessaria rappresentativita' di entrambi i sessi
in riferimento ai comuni con meno di 5.000 abitanti». 
    Le questioni sono sollevate in riferimento agli artt. 3,  secondo
comma, 51, primo comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in  relazione  all'art.  14  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e  all'art.  1  del
Protocollo n. 12 alla CEDU, firmato a Roma il 4 novembre 2000. 
    1.1.- L'incidente di costituzionalita' e'  sorto  nel  corso  del
giudizio d'appello avverso la sentenza del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania n.  6185  del  16  dicembre  2020,  che  ha
respinto il ricorso proposto da A. F. e L.  D.L.  nella  qualita'  di
elettori e componenti di una lista  elettorale  denominata  «Castello
Unita», partecipante alle elezioni tenutesi il 21 e 22 settembre 2020
per il rinnovo del consiglio comunale di Castello del Matese,  comune
con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. 
    I ricorrenti, sull'assunto  che  la  sottocommissione  elettorale
circondariale, decidendo il loro  reclamo,  avrebbe  illegittimamente
negato la ricusazione dell'unica lista concorrente denominata «Le Due
Torri», in  quanto  composta  senza  candidature  femminili,  avevano
chiesto  l'annullamento  dei  provvedimenti   di   convalida   e   di
proclamazione degli eletti, la rettifica dei risultati  elettorali  e
l'assegnazione agli stessi ricorrenti, quali secondo e terzo dei  non
eletti, dei seggi ottenuti da tale lista concorrente. 
    Il TAR Campania, nel  respingere  il  ricorso,  ha  ritenuto  che
l'art. 2, comma l, lettera c), numero l),  della  legge  n.  215  del
2012, recante modifiche al t.u. enti locali e al d.P.R.  n.  570  del
1960, pur prevedendo il  controllo  e  il  diretto  intervento  delle
commissioni elettorali circondariali a garanzia della  rappresentanza
di entrambi i sessi anche  nelle  liste  dei  candidati  relative  ai
comuni con popolazione inferiore a 5.000 abitanti, non  appresterebbe
tuttavia misure sanzionatorie a carico delle liste che non assicurino
tale rappresentanza.  A  suo  giudizio,  inoltre,  non  e'  possibile
interpretare in via analogica le disposizioni sulla parita' di genere
previste per le elezioni nei comuni con popolazione superiore a 5.000
abitanti, per il carattere speciale della disciplina elettorale. 
    1.2.- Il rimettente osserva, in primo luogo, che l'attuale quadro
normativo prevede «tre livelli di tutela»  della  parita'  di  genere
nelle elezioni dei consigli comunali, diversamente operanti a seconda
del numero degli abitanti del comune. 
    Il livello  «massimo»  riguarderebbe  i  comuni  con  popolazione
superiore ai 15.000 abitanti, per i  quali  operano  «due  differenti
meccanismi, uno di riduzione e l'altro di esclusione» delle liste. La
regola secondo cui «nelle liste dei candidati nessuno dei  due  sessi
puo` essere rappresentato in misura superiore a due terzi» (art.  73,
comma 1, t.u. enti locali, come  modificato  dall'art.  2,  comma  1,
lettera d, numero 1, della legge  n.  215  del  2012)  e'  presidiata
dall'art. 33, primo comma, lettera d-bis), del d.P.R. n. 570 del 1960
(lettera cosi' sostituita dall'art. 2, comma 2, lettera b, numero  1,
della legge n. 215  del  2012),  in  base  al  quale  la  commissione
elettorale mandamentale «riduce  la  lista  cancellando  i  nomi  dei
candidati  appartenenti  al  genere  piu'  rappresentato,  procedendo
dall'ultimo della lista, in modo da assicurare il rispetto del  [...]
comma  1  dell'articolo  73  del  testo  unico  di  cui  al   decreto
legislativo n. 267 del 2000, e successive modificazioni». Qualora poi
«la lista, all'esito della cancellazione delle candidature eccedenti,
contenga  un  numero  di  candidati   inferiore   a   quello   minimo
prescritto», essa viene  ricusata  (art.  33,  primo  comma,  lettera
d-bis). 
    Un livello «intermedio» di tutela opererebbe invece per i  comuni
con popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti. Anche in questo
caso «nessuno dei due  sessi  puo`  essere  rappresentato  in  misura
superiore ai due terzi» (art. 71, comma 3-bis, secondo periodo,  t.u.
enti locali), ma il rimedio al superamento del limite  e'  costituito
solo dalla riduzione delle liste mediante cancellazione dei nomi  dei
candidati appartenenti al genere rappresentato in misura eccedente  i
due terzi,  procedendo  dall'ultimo  dei  candidati.  Non  e'  invece
prevista la ricusazione, stabilendosi che «[l]a riduzione della lista
non puo', in ogni caso, determinare un numero di candidati  inferiore
al minimo prescritto per l'ammissione della lista medesima» (art. 30,
primo comma, lettera d-bis, del d.P.R. n. 570 del 1960). 
    Infine, per i comuni con popolazione inferiore a 5.000  abitanti,
l'unica previsione di riequilibrio di genere sarebbe quella contenuta
nell'art. 71, comma 3-bis, primo periodo, t.u. enti  locali,  secondo
cui «[n]elle liste dei candidati e' assicurata la  rappresentanza  di
entrambi i sessi». Secondo il rimettente,  «la  rubrica  della  norma
"elezione del sindaco e del consiglio  comunale  nei  comuni  sino  a
15.000 abitanti" consente con certezza di estendere la sua  efficacia
ai Comuni che presentino tale densita' anagrafica e tuttavia  non  e'
prevista dalla vigente normativa alcuna misura sanzionatoria a carico
delle liste che  non  assicurino  la  rappresentanza  di  entrambi  i
sessi». 
    1.3.- Dopo  avere  cosi'  ricostruito  il  quadro  normativo,  il
rimettente osserva, quanto alla rilevanza, che il giudizio a quo  non
potrebbe essere definito senza applicare l'art. 71, comma 3-bis, t.u.
enti locali, come inserito dall'art. 2, comma 1, lettera  c),  numero
1), della legge n. 215 del 2012. La sua applicazione -  e  quindi  il
«mancato obbligo di rappresentativita' di  entrambi  i  generi  nelle
liste elettorali in Comuni con  meno  di  5.000  abitanti  e  [dalla]
contestuale assenza di meccanismi sanzionatori e deterrenti contro la
violazione del principio della parita' di genere» - comporterebbe  il
rigetto dell'appello. L'accoglimento delle questioni di  legittimita'
costituzionale  nei  termini  posti  dallo  stesso  giudice   a   quo
imporrebbe  invece  l'esclusione  della   lista   «Le   due   Torri»,
l'annullamento del risultato  elettorale  e  la  proclamazione  degli
appellanti quali consiglieri comunali. 
    Il  rimettente  esclude  la  possibilita'  di   interpretare   le
disposizioni censurate  in  senso  costituzionalmente  orientato.  In
particolare, il citato art. 71,  comma  3-bis,  non  potrebbe  essere
interpretato nel senso  che  «la  presenza  obbligatoria  di  persone
appartenenti ad entrambi i sessi [sarebbe]  prescritta  per  tutti  i
Comuni, a prescindere dal numero  di  abitanti  ma,  nei  Comuni  con
popolazione da 5.000 a 15.000 abitanti, tale presenza non  [potrebbe]
essere rappresentata in misura superiore ai 2/3», con la  conseguenza
che, ragionando a contrario, per i comuni con popolazione inferiore a
5.000 abitanti la presenza  di  entrambi  i  generi  dovrebbe  essere
assicurata «senza che venga in rilievo un limite minimo ne' massimo». 
    Questa interpretazione contrasterebbe, sia con il dato letterale,
sia con quello sistematico del censurato comma 3-bis. Nonostante  nel
suo incipit la disposizione sembri disporre un obbligo  generalizzato
di rappresentanza di entrambi i sessi a prescindere dal numero  degli
abitanti del comune, nella sua seconda parte «non risponde al  canone
di generalita'» e prevede una riserva di quote solo  nei  comuni  con
popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti. Questa  conclusione
troverebbe conferma, sul piano sistematico, sia nell'art.  30,  primo
comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. n. 570  del  1960,  anch'esso
oggetto di censura, che predispone  «misure  sanzionatorie»  solo  in
riferimento ai comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti, sia
nell'art. 71, comma 5, t.u.  enti  locali,  che  prevede  la  "doppia
preferenza di genere" quale ulteriore misura di  riequilibrio  tra  i
sessi, ma sempre nei soli comuni con popolazione compresa tra 5.000 e
15.000 abitanti. 
    Il rimettente esclude altresi' che possa essere applicata in  via
analogica la disciplina relativa ai «Comuni piu' grandi»,  in  quanto
il legislatore, «pur dopo avere espressamente previsto  l'obbligo  di
assicurare la parita' di genere nelle elezioni di  qualsiasi  Comune,
[avrebbe]  chiaramente  e  volutamente  omesso  di  disciplinare   le
conseguenze  della  violazione  di  tale  obbligo  nei  Comuni   piu'
piccoli»,   sicche'   un'estensione   analogica   «equivarrebbe    ad
un'attivita' di creazione legislativa». In  tale  senso  deporrebbero
anche i lavori preparatori della legge n. 215 del 2012 (e' citato  un
«Dossier  studi  n.  376/12»,   che   circoscriverebbe   la   portata
applicativa di tale legge ai «Comuni con popolazione pari o superiore
a 5.000 abitanti») e una circolare del Ministero dell'interno. 
    Non  sarebbe  percorribile,  infine,   neppure   la   via   della
disapplicazione delle norme censurate per  contrasto  con  l'art.  23
della Carta dei diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007. Si  tratterebbe  infatti  di  un  parametro  privo  di
«efficacia immediata e diretta,  quanto  meno  con  riferimento  alla
legislazione promozionale», essendo rimessa al legislatore  nazionale
la  scelta  degli  strumenti  per  l'affermazione  del  principio  di
parita'. 
    1.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  giudice  a  quo
ricorda la giurisprudenza costituzionale e sovranazionale in  materia
elettorale - materia in cui l'ampia discrezionalita' del  legislatore
e' sindacabile entro margini ridotti da questa Corte, che la potrebbe
scrutinare sotto  il  profilo  della  proporzionalita'  -  e  lamenta
innanzitutto il contrasto con l'art 51, primo comma, Cost. Di esso e'
invocata la natura precettiva, e non meramente programmatica,  quanto
alla  necessita'  di  predisporre  misure  dirette   a   colmare   le
diseguaglianze di genere nella partecipazione politica, anche al fine
di assicurare pieno riconoscimento a un diritto politico fondamentale
con i caratteri dell'inviolabilita' ai sensi dell'art. 2 Cost. 
    Dopo avere descritto gli  interventi  normativi  succedutisi  nel
tempo a favore della parita' di genere, con particolare riguardo alle
«azioni  positive»  previste  all'art.  42,  comma  1,  del   decreto
legislativo 11 aprile 2006, n. 198 (Codice  delle  pari  opportunita'
tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6  della  legge  28  novembre
2005, n. 246), il rimettente osserva che la normativa adottata a vari
livelli in materia elettorale, ivi compresa la legge n. 215 del 2012,
si sarebbe  concentrata  sul  sistema  delle  "quote".  Solo  per  le
elezioni comunali  permarrebbe  una  differenziazione  di  regime  in
ragione delle diverse dimensioni dei comuni, tale per cui  in  quelli
con popolazione inferiore a 5.000 abitanti opererebbe  unicamente  il
vincolo di una generica rappresentanza di entrambi i sessi». E  cio',
nonostante che i «contesti aggregativi di  modeste  dimensioni  [...]
rappresentino dei centri propulsivi di assoluta importanza nella vita
del Paese», come dimostra il fatto che, secondo dati  statistici  (e'
citato un rapporto dell'Associazione Nazionale Comuni Italiani - ANCI
- del 5 luglio 2019, intitolato «Atlante dei  piccoli  comuni»)  essi
corrispondono a oltre i  due  terzi  del  numero  totale  dei  comuni
italiani e vi risiedono quasi dieci milioni di persone. 
    La diversita' di  trattamento  riservata  ai  comuni  minori  non
sarebbe giustificata dalla presunta difficolta' di individuare  donne
candidate in contesti abitativi di  piccole  dimensioni,  considerato
che non vi e' un obbligo di candidare persone residenti nello  stesso
comune e che comunque eventuali difficolta' derivanti dalla  «carenza
demografica» prescindono dal genere dei candidati. 
    L'assenza per tali comuni  di  un  meccanismo  sanzionatorio  del
mancato  rispetto  del  vincolo  neutralizzerebbe   l'intervento   di
promozione, impedendo un'effettiva  realizzazione  della  parita'  di
genere. La ratio della legge n. 215 del 2012, diretta a rimuovere gli
ostacoli alla  partecipazione  all'organizzazione  politica,  sarebbe
infatti svuotata dalla mancata previsione di misure di tutela proprio
nelle  realta'  demograficamente  piu'  svantaggiate,  «in   cui   e'
oggettivamente piu'  difficile  valorizzare  il  patrimonio  umano  e
professionale delle donne». 
    La mancata previsione dell'obbligo di «liste  miste»  nei  comuni
con  meno  di  5.000   abitanti   renderebbe,   inoltre,   di   fatto
inapplicabile in essi l'art. 6, comma 3, t.u.  enti  locali,  secondo
cui «[g]li statuti comunali  e  provinciali  stabiliscono  norme  per
assicurare condizioni di pari opportunita` tra uomo e donna ai  sensi
della legge 10 aprile 1991, n. 125, e per garantire [...] la presenza
di entrambi i sessi  nelle  giunte  e  negli  organi  collegiali  non
elettivi del comune e della provincia, nonche´ degli enti, aziende ed
istituzioni da essi dipendenti». 
    1.4.1.-  Quanto  alla   violazione   dell'art.   3   Cost.   (che
costituirebbe un «prius logico-giuridico  dell'art.  51  Cost.»),  il
rimettente ritiene irragionevole che non sia previsto «alcun  vincolo
nella formazione delle liste  elettorali  nei  Comuni  fino  a  5.000
abitanti» e che gli aspiranti  candidati  restino  privati  «di  ogni
forma di tutela avverso le violazioni del  principio  di  parita'  di
genere nelle competizioni elettorali, principio che  [...]  e'  stato
per essi espressamente affermato dallo stesso legislatore». 
    Oggetto di censura non sarebbe, dunque, la scelta «di  articolare
discipline diverse che teng[a]no conto delle dimensioni dei  Comuni»,
ma quella di «non avere dato concretezza al principio di  parita'  di
genere». Predisponendo regimi di tutela differenziati, il legislatore
avrebbe introdotto un'ingiustificata disparita' di trattamento quanto
all'esercizio  del  diritto  inviolabile   di   elettorato   passivo.
Escludere  dall'ambito  di  applicazione  del  principio  di  parita'
milioni di cittadine per il solo fatto di vivere in comuni di piccole
dimensioni, inoltre, non  sarebbe  razionale,  non  essendovi  alcuna
evidenza  statistica,  sociologica   o   scientifica   che   dimostri
l'inutilita' di un intervento di riequilibrio delle rappresentanze di
genere in tali realta'. 
    Analoghe considerazioni varrebbero, secondo  il  giudice  a  quo,
quanto alla  violazione  del  divieto  di  discriminazione  contenuto
all'art. 14  CEDU  e  all'art.  1  Prot.  addiz.  n.  12  CEDU,  come
interpretati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
    Ad avviso del rimettente la discriminazione si  realizzerebbe  su
due piani: per un verso tra il  genere  maschile  (storicamente  piu'
rappresentato) e quello femminile;  per  l'altro,  all'interno  dello
stesso genere femminile, a seconda che si tratti di comuni  con  piu'
di 5.000 abitanti, in cui sarebbe assicurata la presenza di candidati
di entrambi i sessi, e comuni con numero inferiore  di  abitanti,  in
cui le donne rischiano di rimanere completamente escluse  dalla  vita
politica. Il vulnus coinvolgerebbe inoltre  lo  stesso  principio  di
buon andamento della pubblica amministrazione. 
    1.4.2.- Secondo il rimettente, infine, tutti gli argomenti svolti
con riguardo all'art. 71, comma 3-bis, t.u. enti  locali,  varrebbero
«in maniera speculare» anche per  l'art.  30,  primo  comma,  lettere
d-bis) ed e), del d.P.R. n. 570 del 1960. 
    2.-  Con  memoria  depositata  il  28  settembre  2021  si   sono
costituiti in giudizio A. F.  e  L.  D.L.,  appellanti  nel  processo
principale, che hanno chiesto l'accoglimento delle questioni. 
    2.1.- L'art. 71, comma 3-bis, t.u.  enti  locali  avrebbe  natura
precettiva e non programmatica e richiederebbe la necessaria presenza
di candidati di entrambi  i  sessi  anche  per  i  piccoli  comuni  -
ancorche'  non  ne  sia  prescritto  un  numero  determinato  o   una
percentuale minima  -  con  la  conseguenza  che  la  sua  violazione
comporterebbe  l'automatica  ricusazione  della   lista,   ai   sensi
dell'art. 30, primo comma, lettera e), del d.P.R. n.  570  del  1960.
Cio' sarebbe in linea, sia con il dato letterale  del  primo  periodo
del citato comma 3-bis,  ove  e'  usata  la  formula  imperativa  «e'
assicurata», sia con  la  ratio  della  legge  n.  215  del  2012  di
garantire anche per i  comuni  minori  la  parita'  di  genere  nelle
candidature. 
    Nei comuni con popolazione inferiore a  5.000  abitanti,  dunque,
l'applicazione dei «canoni» di ragionevolezza e  di  proporzionalita'
dovrebbe  condurre  l'interprete  -  in   mancanza   di   un'espressa
prescrizione ex lege di quote, non imposta dall'art.  51  Cost.  -  a
ritenere «imprescindibile [...] la presenza di  almeno  un  cittadino
dell'altro sesso (oltre al Sindaco che non fa  parte  della  lista)»,
corrispondendo cio' a una valutazione operata dal legislatore  tenuto
conto  della  «eterogeneita'  degli  enti  in  virtu'  del  numero  e
dell'estensione  territoriale».  Pur  non  stabilendo  quote  rigide,
l'art. 71, comma 3-bis, introdurrebbe comunque un limite conformativo
alla composizione delle liste nei  piccoli  comuni,  il  cui  mancato
rispetto determinerebbe l'illegittimita' dell'ammissione delle  liste
stesse. 
    La natura precettiva della disposizione  troverebbe  conferma  in
altre norme sull'accesso alle cariche pubbliche, quali gli  artt.  6,
comma 3, e 46, comma 3, t.u. enti locali.  In  base  alla  prima  gli
statuti comunali e provinciali stabiliscono norme per «garantire» (in
luogo di «promuovere», come  si  leggeva  nel  testo  previgente)  la
presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli  organi  collegiali
non elettivi del  comune  e  della  provincia,  nonche´  degli  enti,
aziende ed istituzioni da essi dipendenti. La seconda  prescrive  che
la nomina da parte del sindaco o del presidente della  provincia  dei
membri della giunta avvenga  «nel  rispetto  del  principio  di  pari
opportunita' tra donne e uomini, garantendo la presenza di entrambi i
sessi». 
    In attuazione del principio di cui all'art. 51  Cost.,  pertanto,
il legislatore sarebbe stato comunque tenuto a  prevedere  nel  testo
dell'art. 71, comma 3-bis, t.u. enti locali, un numero minimo  o  una
percentuale di candidati dell'altro sesso anche per le liste relative
ai  comuni  con  meno  di  5.000  abitanti,  al  fine  di  evitare  o
contrastare fenomeni elusivi della parita'  di  genere  e  fugare  le
incertezze interpretative. A fronte  della  censurata  omissione,  le
parti ritengono che spetti a questa Corte identificare con  efficacia
erga omnes, all'esito di un bilanciamento dei  valori  costituzionali
coinvolti, la soluzione piu' adeguata. 
    3.- Con atto depositato il  5  ottobre  2021  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso   dall'Avvocatura   dello   Stato,   che   ha   concluso   per
l'inammissibilita'  e  in  subordine  per  la  non  fondatezza  delle
questioni. 
    3.1.- L'inammissibilita'  deriva  dal  fatto  che  il  rimettente
chiede alla Corte di introdurre con sentenza una "sanzione" che  puo'
essere prevista solo dalla legge. L'intervento non potrebbe  comunque
avere efficacia retroattiva e di conseguenza non sarebbe  applicabile
nel giudizio a quo. 
    3.2.- Le questioni non sarebbero comunque fondate, in  quanto  la
scelta di non prevedere, nei comuni con meno di 5.000 abitanti, quote
di candidati di uno dei due generi, ne' sanzioni in caso  di  mancato
rispetto della rappresentanza di entrambi i sessi  tra  i  candidati,
costituirebbe il risultato della precisa  volonta'  del  legislatore,
desumibile dai lavori preparatori, di tenere conto della  difficolta'
di garantire tale rappresentanza nei comuni piu' piccoli.  Lo  stesso
legislatore    avrebbe    quindi    ragionevolmente    valutato    le
caratteristiche socio-demografiche dei comuni italiani  e  conciliato
il principio della parita' di genere con i principi -  non  inferiori
per rango costituzionale - della  partecipazione  democratica  e  del
pieno collegamento dei rappresentanti politici con il territorio. Ne'
il rimettente avrebbe allegato elementi idonei  a  smentire  il  dato
demografico emergente dai lavori preparatori della legge n.  215  del
2012, che giustifica la diversita' di regime giuridico. 
    Pur essendo vero, inoltre, che la normativa elettorale non impone
di candidare residenti nel comune, la possibile carenza di  candidati
dell'uno o dell'altro sesso nelle  comunita'  di  piccole  dimensioni
potrebbe condurre, in presenza di un vincolo numerico o per quote,  a
candidature  slegate  o   poco   legate   al   territorio   dell'ente
amministrato, con un rischio di deficit di  rappresentativita'  delle
liste. Soprattutto nelle piccole comunita', dunque, il  bilanciamento
degli interessi in gioco deve tradursi in un meccanismo  di  maggiore
flessibilita', che esprima un punto di equilibrio tra l'accesso  alle
cariche elettive nel rispetto della parita' di genere e  la  maggiore
rappresentativita' possibile dei territori. 
    L'interveniente  osserva   poi   che   le   donne   rappresentano
attualmente circa il trenta per cento  dei  componenti  dei  consigli
comunali nei comuni con meno di 5.000  abitanti,  avvicinandosi  alla
quota di un terzo prevista per i comuni con popolazione superiore,  a
dimostrazione dell'effettivita' del principio della parita' di genere
anche in mancanza di una specifica sanzione. 
    La violazione dell'obbligo di rappresentanza di entrambi i generi
nelle liste non sarebbe  comunque  priva  di  sanzione,  operando  la
sanzione politica, consistente nella possibilita' per gli elettori di
non premiare le liste che non si conformano al principio  di  parita'
di genere. 
    3.3.- Secondo l'Avvocatura, in definitiva, le questioni sollevate
sarebbero astratte e la loro  soluzione  implicherebbe  un  sindacato
inammissibilmente invasivo della discrezionalita' del legislatore. 
    4.- A. F. e L. D.L. hanno depositato  il  27  dicembre  2021  una
memoria illustrativa, in cui in particolare  replicano  all'eccezione
di inammissibilita' sollevata dall'interveniente, osservando che  «la
sanzione e' implicitamente connaturata all'intento del legislatore di
assicurare la presenza di entrambi i sessi nella composizione della/e
lista/e  indipendentemente  dal  numero  degli  abitanti»  e  che  la
rimessione alla Corte mira a «cristallizzare  nel  dettato  di  legge
(con effetto ex tunc proprio delle sentenze  di  incostituzionalita')
il numero minimo necessario di candidati  dell'altro  genere  (recte:
almeno uno) per i piccoli comuni». Nel merito  vengono  ribaditi  gli
argomenti svolti nell'atto di costituzione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Consiglio  di  Stato,  sezione   terza,   dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 71, comma  3-bis,  del  decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento degli enti locali), e  dell'art.  30,  primo  comma,
lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570 (Testo  unico
delle leggi per la composizione e  la  elezione  degli  organi  delle
Amministrazioni comunali). 
    La prima disposizione censurata disciplina l'elezione del sindaco
e del consiglio comunale nei comuni sino a 15.000  abitanti.  Il  suo
comma 3-bis, inserito dall'art. 2, comma 1, lettera  c),  numero  1),
della legge 23 novembre 2012, n. 215 (Disposizioni per promuovere  il
riequilibrio delle rappresentanze di  genere  nei  consigli  e  nelle
giunte degli enti locali e nei consigli  regionali.  Disposizioni  in
materia di pari opportunita` nella composizione delle commissioni  di
concorso nelle  pubbliche  amministrazioni),  prevede  quanto  segue:
«[n]elle liste dei  candidati  e'  assicurata  la  rappresentanza  di
entrambi i sessi. Nelle medesime liste, nei  comuni  con  popolazione
compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti,  nessuno  dei  due  sessi  puo'
essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei  candidati,
con  arrotondamento  all'unita'  superiore  qualora  il  numero   dei
candidati del sesso meno rappresentato  da  comprendere  nella  lista
contenga una cifra  decimale  inferiore  a  50  centesimi».  Essa  e'
censurata  «nella  parte   in   cui   non   prevede   la   necessaria
rappresentanza di entrambi i generi nelle liste elettorali nei comuni
con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti». 
    Oggetto della  seconda  disposizione  censurata  sono  i  compiti
spettanti  alla  «Commissione  elettorale   mandamentale»   dopo   la
presentazione delle candidature nei comuni sino  a  10.000  abitanti,
nell'ambito del procedimento preparatorio alle elezioni dei  consigli
comunali. In particolare, l'art. 30 del d.P.R. n. 570  del  1960,  al
primo comma, prevede che, entro il giorno successivo a  quello  della
presentazione delle candidature, tale Commissione:  «d-bis)  verifica
che nelle liste  dei  candidati,  per  le  elezioni  nei  comuni  con
popolazione superiore a 5.000 abitanti, sia rispettata la  previsione
contenuta nel comma 3-bis dell'articolo  71  del  testo  unico  delle
leggi  sull'ordinamento  degli  enti  locali,  di  cui   al   decreto
legislativo 18 agosto 2000, n. 267.  In  caso  contrario,  riduce  la
lista  cancellando  i  nomi  dei  candidati  appartenenti  al  genere
rappresentato  in  misura  eccedente  i  due  terzi  dei   candidati,
procedendo in tal caso dall'ultimo della lista.  La  riduzione  della
lista non puo', in ogni caso,  determinare  un  numero  di  candidati
inferiore al minimo prescritto per l'ammissione della lista medesima»
(lettera inserita dall'art. 4, comma 1, della legge 15 ottobre  1993,
n. 415, recante «Modifiche ed integrazioni alla legge 25 marzo  1993,
n. 81,  sull'elezione  diretta  del  sindaco,  del  presidente  della
provincia, del consiglio comunale  e  del  consiglio  provinciale»  e
successivamente cosi' sostituita dall'art. 2,  comma  2,  lettera  a,
numero 1, della legge n. 215 del  2012);  «e)  ricusa  le  liste  che
contengono un numero di candidati inferiore al  minimo  prescritto  e
riduce quelle che contengono un  numero  di  candidati  superiore  al
massimo consentito, cancellando gli ultimi nomi in modo da assicurare
il rispetto della previsione contenuta nel comma 3-bis  dell'articolo
71 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, di
cui al decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267»  (lettera  cosi'
modificata dall'art. 2, comma 2, lettera a, numero 2, della legge  n.
215 del 2012). 
    Questa seconda disposizione e'  censurata,  simmetricamente  alla
prima, «nella parte in  cui  esclude  dal  regime  sanzionatorio  sub
specie "esclusione della lista" [...] le liste elettorali  presentate
in violazione della necessaria rappresentativita' di entrambi i sessi
in riferimento ai comuni con meno di 5.000 abitanti». 
    Le questioni sono sollevate in riferimento agli artt. 3,  secondo
comma, 51, primo comma,  e  117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in  relazione  all'art.  14  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e  all'art.  1  del
Protocollo n. 12 alla CEDU, firmato a Roma il 4 novembre 2000. 
    1.1.- L'incidente di costituzionalita' e'  sorto  nel  corso  del
giudizio d'appello avverso la sentenza del  Tribunale  amministrativo
regionale per la Campania che ha respinto il ricorso proposto  da  A.
F. e L. D. L. nella qualita' di elettori e componenti  di  una  lista
elettorale partecipante alle elezioni tenutesi il 21 e  22  settembre
2020 per il rinnovo del consiglio comunale di  Castello  del  Matese,
comune con popolazione inferiore a 5.000 abitanti. 
    Nel giudizio di primo grado, i ricorrenti,  sull'assunto  che  la
sottocommissione elettorale circondariale, decidendo il loro reclamo,
avrebbe  illegittimamente  negato  la  ricusazione  dell'unica  lista
concorrente, in quanto composta da sette  candidati  tutti  di  sesso
maschile,  avevano  chiesto  l'annullamento  dei   provvedimenti   di
convalida e di proclamazione degli eletti, la rettifica dei risultati
elettorali e l'assegnazione agli stessi ricorrenti, quali  secondo  e
terzo dei non eletti, dei seggi ottenuti da tale lista concorrente. 
    1.2.- Secondo il rimettente, pur godendo il legislatore di  ampia
discrezionalita' nella materia elettorale, la scelta compiuta con  le
disposizioni in esame supererebbe i  limiti  della  ragionevolezza  e
della proporzionalita',  giacche'  essa  sarebbe  incoerente  con  le
finalita' proprie della normativa cui pertiene e  opererebbe  un  non
corretto  bilanciamento  degli  interessi  in  gioco,  non  idoneo  a
promuovere la parita' di genere nell'accesso alle  cariche  elettive.
Ne' la scelta  legislativa  potrebbe  trovare  giustificazione  nella
presunta difficolta'  di  individuare  donne  candidate  in  contesti
abitativi di piccole dimensioni, posto che non vi e'  un  obbligo  di
candidare persone residenti nel comune interessato dalla competizione
elettorale e che, comunque, eventuali  difficolta'  a  formare  liste
derivanti dalla «carenza demografica» prescinderebbero dal genere dei
candidati. 
    Di conseguenza, sarebbe violato  innanzitutto  l'art.  51,  primo
comma, Cost., che impegna il legislatore a predisporre misure dirette
a colmare le diseguaglianze di genere nella partecipazione  politica,
anche al  fine  di  assicurare  pieno  riconoscimento  a  un  diritto
politico fondamentale con i caratteri  dell'inviolabilita'  ai  sensi
dell'art. 2 Cost. 
    Sarebbe violato inoltre l'art. 3, secondo comma, Cost.,  sia  per
la gia' indicata irragionevolezza  e  la  sproporzione  della  scelta
legislativa, sia perche' solo per le  elezioni  comunali  permarrebbe
una differenziazione di regime in ragione  delle  diverse  dimensioni
dei comuni, tale per  cui  in  quelli  con  meno  di  5.000  abitanti
opererebbe unicamente il vincolo di una generica  «rappresentanza  di
entrambi i  sessi»,  e  cio',  nonostante  la  rilevante  consistenza
complessiva  e  l'importanza  dei  comuni  di   piccole   dimensioni.
L'assenza  poi  di  un   meccanismo   sanzionatorio   della   mancata
rappresentanza  di  uno  dei  due   sessi   impedirebbe   l'effettiva
realizzazione della parita' di genere in contrasto con la ratio della
stessa legge n. 215 del 2012, funzionale a sua volta a rimuovere  gli
ostacoli di ordine economico  e  sociale  che  impediscono  la  piena
partecipazione di tutti all'organizzazione politica. 
    Oggetto di censura, piu' precisamente, non sarebbe la  scelta  di
differenziare a seconda delle dimensioni dei comuni, ma quella di non
avere dato  concretezza  al  principio  di  parita'  di  genere.  Pur
ragionevolmente  predisponendo  regimi  di  tutela  differenziati   a
seconda delle dimensioni del comune, il legislatore  avrebbe  escluso
del tutto  dall'ambito  di  applicazione  del  principio  di  parita'
milioni di cittadine «per il solo fatto di vivere in  aree  urbane  a
bassa densita' demografica», e  cio'  irragionevolmente,  stante  che
nessuna evidenza statistica, sociologica o scientifica  dimostrerebbe
l'inutilita' di un intervento di riequilibrio delle rappresentanze di
genere in tali realta'. 
    Considerazioni analoghe varrebbero, secondo il giudice a  quo,  a
sostegno della lamentata violazione del  divieto  di  discriminazione
contenuto nell'art. 14 CEDU e nell'art. 1 Prot. addiz.  n.  12  CEDU,
come interpretati dalla Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo.  Non
sussisterebbe infatti alcuna giustificazione del diverso  trattamento
riservato ai comuni con meno di 5.000 abitanti rispetto a quelli  con
popolazione superiore, per i quali la rappresentanza  di  entrambi  i
generi nelle liste elettorali e' effettivamente assicurata. 
    2.-  Prima  di  esaminare  le  questioni,  e  anche  al  fine  di
individuarne con  esattezza  oggetto  e  petitum,  va  sinteticamente
descritto il quadro normativo in cui si inseriscono  le  disposizioni
censurate. 
    La citata legge n. 215 del 2012  -  diretta,  come  dice  il  suo
titolo, a promuovere il riequilibrio di genere nei consigli  e  nelle
giunte degli enti locali e nei  consigli  regionali  -  investe,  per
quanto qui segnatamente rileva,  la  disciplina  delle  elezioni  dei
consigli comunali, cui e' dedicato il suo art. 2, commi 1, lettere c)
e d), e 2, lettere a) e b). Il legislatore ha utilizzato  la  tecnica
della novellazione del t.u. enti locali e del d.P.R. n. 570 del 1960,
incidendo, in particolare, sulle seguenti disposizioni: artt. 71 e 73
t.u.  enti  locali,  sulle  elezioni  nei  comuni   con   popolazione
rispettivamente sino a 15.000 abitanti e superiore a 15.000 abitanti;
artt. 30 e 33 del d.P.R. n. 570 del 1960, sulla  presentazione  delle
candidature nei comuni con popolazione rispettivamente sino a  10.000
abitanti e superiore a 10.000 abitanti. 
    Il mancato coordinamento tra i citati testi legislativi determina
un'implicita modifica dell'ambito applicativo degli artt. 30 e 33 del
d.P.R. n. 570 del 1960. Nella versione novellata, queste disposizioni
contengono infatti rinvii  agli  artt.  71  e  73  t.u.  enti  locali
(relativi, come visto, ai comuni con popolazione rispettivamente sino
a 15.000 e superiore a 15.000 abitanti), pur rimanendo inserite nella
disciplina relativa ai comuni con popolazione rispettivamente sino  a
10.000 e superiore a 10.000 abitanti (sezioni II e III  del  capo  IV
del titolo II del d.P.R. n. 570 del 1960). 
    Il sistema e' disegnato graduando i vincoli - e le  sanzioni  per
la loro violazione - a seconda delle dimensioni dei comuni,  in  modo
tale che il rigore delle regole  si  attenua  con  il  diminuire  del
numero di abitanti del comune, in ragione di  tre  fasce  di  comuni,
quelli con piu' di 15.000 abitanti, quelli con popolazione fra  5.000
e 15.000 e quelli con meno di 5.000 abitanti. I meccanismi attraverso
cui viene promossa la parita' di  genere  nell'accesso  alle  cariche
elettive comunali sono, oltre all'obbligo generale di  assicurare  la
rappresentanza di entrambi i  sessi  su  cui  ci  si  soffermera'  di
seguito, la doppia preferenza di genere e la quota di lista. 
    La doppia preferenza di genere  e'  prevista  per  i  comuni  con
popolazione compresa tra 5.000 e 15.000 abitanti  e  per  quelli  con
popolazione superiore a 15.000  abitanti  (rispettivamente  art.  71,
comma 5, e art. 73, comma 3, t.u. enti  locali,  come  novellato  nel
2012).  In  questi  comuni  l'elettore  puo'  esprimere  fino  a  due
preferenze, ma esse devono riguardare  candidati  di  sesso  diverso,
pena l'annullamento della seconda. 
    Per gli stessi comuni e' inoltre previsto il vincolo della  quota
di lista (rispettivamente art. 71, comma 3-bis,  secondo  periodo,  e
art. 73, comma 1, ultimo periodo, t.u.  enti  locali  novellato),  in
base al quale nessuno dei due sessi puo' essere  rappresentato  nelle
liste  di  candidati  in  misura   superiore   a   due   terzi,   con
arrotondamento   all'unita`   superiore   qualora   il   sesso   meno
rappresentato da comprendere nella lista contenga una cifra  decimale
inferiore a 50 centesimi. 
    Il rispetto di questo secondo vincolo e' presidiato nel d.P.R. n.
570 del 1960, anch'esso come da ultimo novellato dalla legge  n.  215
del 2012, ove si prevede che la  commissione  elettorale  chiamata  a
verificare liste e candidature riduca le liste cancellando, a partire
dall'ultimo, i nominativi dei candidati eccedenti  la  quota  di  due
terzi per il genere di appartenenza, sino a ripristinare detta  quota
(art. 30, primo comma, lettera d-bis, per i comuni con popolazione da
5.000 a 15.000 abitanti, e art. 33, primo comma,  lettera  d-bis  per
quelli con popolazione superiore). 
    Le conseguenze dell'intervento di  riduzione  variano  a  seconda
della dimensione del comune, qualora, all'esito  della  cancellazione
delle candidature eccedenti, la lista presenti un numero di candidati
inferiore a quello minimo prescritto per l'ammissione  alle  elezioni
(pari, rispettivamente, ai tre quarti e ai due terzi dei  consiglieri
da eleggere, in base agli artt. 71, comma 3, e 73, comma 1, t.u. enti
locali). Nel caso dei  comuni  con  popolazione  superiore  a  15.000
abitanti, e' stabilito che  la  commissione  elettorale  «ricusa»  la
lista (art. 33, primo comma, lettera d-bis  del  d.P.R.  n.  570  del
1960), mentre nei comuni con popolazione da 5.000 a  15.000  abitanti
«[l]a riduzione della lista non puo`, in ogni  caso,  determinare  un
numero di candidati inferiore al minimo prescritto  per  l'ammissione
della lista medesima» (art. 30, primo comma, lettera d-bis d.P.R.  n.
570  del  1960).  Ne  risulta,  dunque,  una  garanzia   della   pari
opportunita' nell'accesso alla carica  di  consigliere  comunale  nei
comuni piu' grandi, con piu' di 15.000 abitanti, per i quali opera il
rimedio estremo della ricusazione della lista  non  rispettosa  delle
quote; mentre e' meno forte nei comuni con  popolazione  da  5.000  a
15.000 abitanti, per i quali la violazione del vincolo della quota e'
sanzionata con la cancellazione dei nominativi  eccedenti,  ma  senza
che possa essere violata la soglia del numero minimo dei candidati  e
senza che dunque la lista  possa  essere  esclusa  per  questo  dalla
competizione elettorale. 
    Per i comuni con meno di 5.000 abitanti non e'  prevista  ne'  la
doppia preferenza di genere, ne' la quota di lista, sicche' per  essi
l'unica norma di promozione del riequilibrio  risulta  essere  quella
generale, secondo cui «[n]elle liste dei candidati e'  assicurata  la
rappresentanza di entrambi i sessi», contenuta  nell'art.  71,  comma
3-bis, primo periodo, t.u. enti locali (introdotta dall'art. 2, comma
1, lettera c, numero 1, della legge n. 215 del 2012), che la  rubrica
della disposizione («Elezione del sindaco e  del  consiglio  comunale
nei comuni sino a 15.000 abitanti»), consente di riferire  senz'altro
a tutti i comuni, e quindi anche ai piu' piccoli. A presidio di  tale
obbligo non e' tuttavia prevista alcuna  sanzione,  a  differenza  di
quanto avviene invece,  come  visto,  per  gli  altri  due  ricordati
meccanismi di promozione della parita' di accesso alle cariche. 
    3.- Alla luce del descritto quadro normativo occorre  soffermarsi
innanzitutto  sull'interpretazione   delle   disposizioni   censurate
offerta dal rimettente, che,  nel  suo  percorso  argomentativo,  non
distingue  sempre  con  nettezza  l'ipotesi  -  paventata  in  alcuni
passaggi - della radicale assenza di  un  obbligo  di  rappresentanza
nelle liste di entrambi  i  generi  nei  comuni  con  meno  di  5.000
abitanti,  dall'ipotesi  dell'ineffettivita'   dell'obbligo   stesso,
conseguente alla mancata previsione di meccanismi sanzionatori  della
sua violazione. 
    Tant'e'  che  lo  stesso  Consiglio  di  Stato  censura  sia   la
previsione del primo periodo dell'art. 71,  comma  3-bis,  t.u.  enti
locali, secondo cui «[n]elle liste dei  candidati  e'  assicurata  la
rappresentanza di entrambi i sessi», nella parte in cui  non  sarebbe
riferibile a detti comuni, sia  le  previsioni  dell'art.  30,  primo
comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. n. 570 del 1960  nella  parte
in cui, sempre per  questi  stessi  comuni,  non  colpiscono  con  il
rimedio dell'esclusione le liste che non rispettano le  regole  sulla
rappresentanza. 
    Al riguardo, occorre tuttavia osservare che la  prima  delle  due
citate disposizioni non puo' che essere interpretata, alla luce della
sua  lettera  e  della  stessa  rubrica  dell'articolo  cui  pertiene
(«Elezione del sindaco e del consiglio comunale  nei  comuni  sino  a
15.000 abitanti»), nel senso di operare per tutti i comuni  con  meno
di 15.000  abitanti,  e  quindi  anche  per  quelli  con  popolazione
inferiore a 5.000, per  i  quali,  dunque,  si  devono  ritenere  non
ammesse liste di candidati appartenenti a un solo sesso. Il fatto che
la seconda parte della disposizione prescriva  la  riserva  di  quota
solo per i  comuni  con  popolazione  compresa  fra  5.000  e  15.000
abitanti  non  preclude  tale  conclusione,  come  non  la   preclude
l'assenza di un rimedio per  il  mancato  rispetto  della  necessaria
rappresentanza di genere. 
    Tale soluzione interpretativa, del resto, non e' esclusa  nemmeno
dall'ordinanza di rimessione, in particolare dove -  al  di  la'  del
tenore letterale del suo  petitum  -  essa  afferma  che  la  rubrica
dell'art. 71 t.u. enti locali «consente con certezza di estendere  la
sua efficacia ai Comuni che presentino tale densita'  anagrafica»,  e
lamenta  di  conseguenza  la  mancata  previsione   di   una   misura
sanzionatoria  della  violazione,  a  carico  delle  liste  che   non
assicurino la prescritta rappresentanza di entrambi i generi. 
    Sicche' si puo' ritenere che, in termini piu' aderenti al dettato
normativo, il rimettente si dolga, in realta', del carattere di  mera
affermazione di principio del vincolo della  necessaria  presenza  di
candidati di entrambi i sessi, e della mancanza di una misura,  anche
minima, idonea ad assicurarne l'effettivita'. 
    Cosi' ricostruite, le censure si devono quindi ritenere  riferite
al combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, t.u. enti locali e
30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. n.  570  del  1960,
nella parte in cui non e' prevista l'esclusione delle liste  che  non
assicurano la rappresentanza di  entrambi  i  sessi  nei  comuni  con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti. 
    Che, in effetti, la normativa in esame non preveda  sanzioni  per
l'inosservanza del vincolo della necessaria  rappresentanza  dei  due
sessi nelle liste presentate nei comuni con meno di 5.000 abitanti e'
circostanza indiscutibile. Dalla sua lettura risulta,  anzi,  che  la
violazione di tale vincolo non e' assistita  da  sanzioni  specifiche
nemmeno per  gli  altri  comuni,  quelli  cioe'  con  piu'  di  5.000
abitanti, per i quali i rimedi previsti sono quelli che riguardano la
violazione della regola sulla seconda preferenza - di cui e' previsto
l'annullamento se assegnata a un candidato dello stesso  sesso  della
prima - e quelli che colpiscono il mancato rispetto della riserva  di
quota - consistenti nella riduzione delle liste (art. 30, primo comma
lettera d-bis, del d.P.R. n. 570 del 1960),  nonche',  per  i  comuni
piu' grandi, nell'ulteriore misura dell'esclusione della lista quando
la riduzione comporti la violazione della soglia minima di  candidati
(art. 33, primo comma, lettera d-bis, del d.P.R. n. 570 del 1960). 
    Ne' soccorre, ai fini che interessano, l'art.  30,  primo  comma,
lettera e),  del  d.P.R.  n.  570  del  1960,  invocato  dalle  parti
appellanti  nel  processo  principale  e  costituite  in  giudizio  -
sostanzialmente a  sostegno  dell'irrilevanza  della  questione,  che
sarebbe superabile attraverso  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata del tessuto normativo - per sostenere che  la  composizione
delle liste con candidati di un solo sesso, contrastando  con  l'art.
71, comma 3-bis), primo periodo, t.u. enti locali,  comporterebbe  la
ricusazione disposta dal citato art. 30,  primo  comma,  lettera  e).
Tale misura, infatti,  e'  prevista  per  la  diversa  ipotesi  della
presentazione  di  liste  che  contengono  un  numero  di   candidati
inferiore al minimo prescritto (pari, come detto, ai tre  quarti  dei
consiglieri da eleggere: art. 71, comma 3, t.u. enti locali) e non e'
estendibile oltre tale caso. 
    E' vero che lo stesso art. 30, primo comma, lettera e), nel testo
modificato dall'art. 2 comma 2, lettera a), numero 2), della legge n.
215 del 2012, contiene un richiamo all'art.  71,  comma  3-bis,  t.u.
enti  locali,  ma  esso  e'  destinato  solo  a  regolare  l'ipotesi,
speculare alla precedente, della presentazione di liste eccedenti  il
numero massimo consentito (pari al numero dei consiglieri comunali da
eleggere: art. 71, comma 3, t.u. enti locali). Per queste e' prevista
la riduzione sino al ripristino del numero massimo in  modo  che  sia
assicurato anche il rispetto della quota di genere, con implicito  ma
inequivoco riferimento ai comuni con popolazione compresa tra 5.000 e
15.000 abitanti. 
    D'altra parte, anche per questi ultimi comuni  si  puo'  dubitare
dell'effettivita' della misura scelta dal legislatore per  promuovere
il riequilibrio della rappresentanza di genere. Non solo, infatti, il
mancato rispetto della quota non comporta l'esclusione  della  lista,
ma  nemmeno  il  meccanismo  della  riduzione,  nei  limiti   fissati
dall'art. 30, primo comma, lettera d-bis),  del  d.P.R.  n.  570  del
1960, elide il rischio di possibili  soluzioni  interamente  elusive.
L'impossibilita'  di  ricusare  la  lista,  se   la   sua   riduzione
determinasse «un numero di candidati inferiore al  minimo  prescritto
per l'ammissione della  lista  medesima»,  consentirebbe  infatti  di
presentare liste "minimali" con candidati di un solo  sesso,  facendo
coincidere il numero massimo dei candidati di un sesso con il  numero
minimo dei candidati in lista. 
    L'unico rimedio effettivo nel caso di liste di  candidati  di  un
solo sesso e' quello riservato, come visto, ai  comuni  con  piu'  di
15.000 abitanti, per i quali e' stabilita la  ricusazione  (e  dunque
l'esclusione)  delle  liste  che,  a  seguito  della  riduzione   per
inosservanza delle quote, scendano al di sotto del numero  minimo  di
candidati (art. 33, primo comma, lettera d-bis, del d.P.R. n. 570 del
1960), ipotesi, questa, che comprende anche quella "limite",  in  cui
l'impossibilita' di rispettare la quota sia dovuta al  fatto  che  la
lista e' formata da candidati di un solo sesso. 
    4.- In via preliminare vanno respinte le eccezioni formulate  dal
Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Secondo l'Avvocatura  le  questioni  sarebbero  inammissibili  in
quanto con esse si chiede a questa Corte di introdurre  con  sentenza
una sanzione che solo la legge  e'  autorizzata  a  disciplinare.  La
stessa sanzione non potrebbe inoltre avere efficacia retroattiva, con
la conseguenza che non sarebbe applicabile nel giudizio a quo. 
    Entrambe le eccezioni si fondano sul presupposto che l'intervento
additivo auspicato dal rimettente comporti l'introduzione di una vera
e propria sanzione, in quanto tale soggetta ai principi di riserva di
legge e di irretroattivita' fissati all'art. 25 Cost. Ma  si  tratta,
all'evidenza,  di  un  presupposto  erroneo,  posto  che  il  rimedio
dell'esclusione della lista dalla  competizione  elettorale,  che  il
rimettente  chiede  venga  introdotto   a   garanzia   dell'effettiva
rappresentanza nella lista di entrambi i sessi nei comuni con meno di
5.000 abitanti, non  puo'  essere  configurato  altrimenti  che  come
conseguenza della mancanza di un requisito  di  ammissibilita'  della
lista; e considerato altresi' che  la  qualificazione  della  misura,
come  lato  sensu  "sanzionatoria"  del  mancato  rispetto   di   una
prescrizione posta  a  pena  di  ammissibilita',  ha  un  significato
affatto diverso da quello che ha con riferimento alle sanzioni penali
o comunque di natura punitiva in senso stretto, cui si riferiscono le
garanzie dell'art. 25, secondo comma, Cost. (ex plurimis, sentenze n.
134 del 2019, n. 223 e n. 121 del  2018)  e  alla  cui  categoria  la
misura in esame non puo' in alcun modo essere ricondotta. 
    5.- Nel merito, le censure sollevate in riferimento agli artt. 3,
secondo comma, e 51,  primo  comma,  Cost.  possono  essere  trattate
insieme,  risolvendosi  in  una  unitaria   censura   di   violazione
dell'obbligo  costituzionale   di   promozione,   medianti   appositi
provvedimenti,  delle  pari   opportunita'   tra   donne   e   uomini
nell'accesso alle cariche elettive, nonche' di irragionevolezza e  di
non  proporzionalita'  della  scelta  espressa   nelle   disposizioni
denunciate. 
    Il rimettente lamenta, in sintesi, che le disposizioni censurate,
non prevedendo una sanzione  per  la  violazione  del  vincolo  della
necessaria rappresentanza dei due sessi nelle  liste  elettorali  nei
comuni con meno di 5.000 abitanti, si porrebbero in contrasto con  la
ratio della normativa che le contiene, che e'  quella  di  promuovere
l'effettiva parita' di  genere  nell'accesso  alle  cariche  elettive
comunali in attuazione  di  quanto  prescritto  dall'art.  51,  primo
comma, Cost. Le norme stesse violerebbero, dunque,  sia  quest'ultima
previsione  costituzionale,   sia   il   principio   di   uguaglianza
sostanziale, di cui  la  prima  e'  espressione  per  quanto  attiene
all'accesso alle cariche elettive. Esse realizzerebbero, inoltre,  un
non corretto bilanciamento degli interessi in campo, sacrificando  la
finalita' propria del riequilibrio  della  rappresentanza  ben  oltre
quanto strettamente necessario al fine di proteggere eventuali  altri
interessi rilevanti. 
    6.- Le questioni sono fondate. 
    6.1.- Secondo la costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  il
legislatore gode di ampia  discrezionalita'  nella  disciplina  della
materia elettorale. In essa si esprime  infatti  con  un  massimo  di
evidenza la politicita' della scelta  legislativa,  che  e'  pertanto
censurabile  solo   quando   risulti   manifestamente   irragionevole
(sentenze n. 35 del 2017, n. 1 del 2014, n. 242 del 2012, n. 271  del
2010, n. 107 del 1996 e n. 438 del 1993; ordinanza n. 260 del 2002). 
    Ne' si puo' ritenere che i margini di sindacato di  questa  Corte
si allarghino apprezzabilmente per il fatto che esso  investa  regole
elettorali - segnatamente riguardanti la  presentazione  delle  liste
dei  candidati  -  dirette  a  promuovere   il   riequilibrio   della
rappresentanza di genere, in attuazione del  citato  art.  51,  primo
comma, Cost, come modificato con la legge  costituzionale  30  maggio
2003, n. 1 (Modifica dell'art. 51 della  Costituzione).  Anche  nella
scelta  dei  mezzi  per  attuare   il   disegno   costituzionale   di
un'effettiva parita' tra donne e  uomini  nell'accesso  alle  cariche
elettive,   va   infatti   riconosciuta   al   legislatore   un'ampia
discrezionalita' in linea con l'orientamento espresso da questa Corte
secondo cui tali mezzi «possono essere di diverso tipo» (sentenza  n.
4 del 2010). 
    Di conseguenza, l'azione del legislatore che - corrispondendo  al
preciso impegno cui lo sollecita  la  Costituzione  -  si  accinga  a
promuovere la parita' di accesso alle cariche elettive,  intervenendo
sulla disciplina della presentazione  delle  liste  elettorali,  puo'
assumere forme alquanto diverse.  E  cosi'  e',  in  concreto,  nella
normativa statale e  regionale  emanata  a  tale  fine,  che  impiega
strumenti vari e differenziati, quali, fra gli altri: il  divieto  di
liste composte da candidati di un solo sesso; il rispetto di quote di
lista variamente congegnate; la  previsione  di  regole  di  garanzia
nelle preferenze. Inoltre, le varie prescrizioni sono accompagnate da
strumenti a loro  volta  vari,  a  presidio  dell'effettivita'  delle
diverse misure, quali: l'esclusione o  ricusazione  della  lista,  in
taluni casi preceduta dall'invito rivolto ai proponenti di  rivederla
entro un termine  determinato;  l'invalidita'  della  preferenza  non
rispettosa del vincolo di  genere;  misure  pecuniarie  sanzionatorie
delle  violazioni  per  le  liste  che   non   si   conformino   alle
prescrizioni. 
    Costituisce, del resto, espressione di tale  discrezionalita'  la
stessa scelta, operata nella normativa in esame,  di  un  sistema  di
misure di promozione della parita' di accesso alle  cariche  elettive
nei comuni graduato in ragione delle dimensioni di questi ultimi. 
    Nemmeno la pur ampia descritta discrezionalita'  del  legislatore
in materia sfugge, tuttavia, ai  limiti  generali  del  rispetto  dei
canoni di non manifesta irragionevolezza  e  di  necessaria  coerenza
rispetto alle finalita'  perseguite,  cui  si  deve  aggiungere,  per
quanto qui segnatamente interessa,  lo  specifico  limite  costituito
dall'obbligo di «promuove[re] attraverso  appositi  provvedimenti  le
pari opportunita' tra donne e uomini», al fine di garantire a tutti i
cittadini dell'uno e dell'altro sesso  la  possibilita'  di  accedere
alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza  (art.  51,  primo
comma, Cost.). Con la conseguenza che una disciplina  elettorale  che
omettesse di contemplare adeguate misure  di  promozione,  o  che  ne
escludesse l'applicazione a determinate competizioni elettorali  o  a
determinate categorie di  enti,  non  potrebbe  che  essere  ritenuta
lesiva della citata previsione costituzionale. 
    6.2.- La normativa in esame non esclude,  come  visto,  i  comuni
piu' piccoli dall'obbligo della presenza nelle  liste  elettorali  di
candidati di entrambi i sessi, cosicche' non si puo' negare che anche
per essi opera una, sia pur minima, misura  di  garanzia  delle  pari
opportunita' di accesso alle cariche. 
    Si tratta di una misura minima  di  «non  discriminazione»,  come
gia' sottolineato da questa Corte, che nella sentenza n. 49 del  2003
- resa su una disposizione regionale che imponeva,  nelle  liste  per
l'elezione del consiglio  regionale,  la  presenza  di  candidati  di
entrambi i sessi a pena di invalidita'  delle  liste  medesime  -  ha
affermato che «il vincolo imposto, per la sua portata oggettiva,  non
appare nemmeno tale da incidere propriamente, in modo  significativo,
sulla  realizzazione  dell'obiettivo   di   un   riequilibrio   nella
composizione  per  sesso  della  rappresentanza.  Infatti,  esso   si
esaurisce nell'impedire che, nel  momento  in  cui  si  esplicano  le
libere scelte di ciascuno dei partiti e dei  gruppi  in  vista  della
formazione delle liste, si attui una discriminazione  sfavorevole  ad
uno dei due sessi, attraverso la totale esclusione  di  candidati  ad
esso appartenenti. Le "condizioni di parita'" fra  i  sessi,  che  la
norma costituzionale richiede di promuovere, sono qui  imposte  nella
misura minima di una non discriminazione, ai fini della  candidatura,
a sfavore dei cittadini di uno dei due sessi». 
    Sennonche',  nella  normativa  qui  scrutinata,  la  stessa   pur
minimale misura di promozione non risulta assistita - a differenza di
quanto accadeva nella normativa regionale appena citata  -  da  alcun
rimedio per il caso di violazione dell'obbligo:  cio'  che  rende  la
misura stessa del tutto ineffettiva nella  protezione  dell'interesse
che mira a garantire e, in quanto tale, inadeguata a corrispondere al
vincolo costituzionale dell'art. 51, primo comma, Cost. 
    6.3.- La riscontrata  violazione,  ad  opera  delle  disposizioni
censurate, del vincolo discendente dall'art. 51, primo  comma,  Cost.
non puo' essere superata nemmeno facendo  leva  sulla  necessita'  di
contemperare l'obiettivo della  promozione  delle  pari  opportunita'
nella  vicenda  elettorale  con  altri  interessi  costituzionalmente
rilevanti, quale  in  particolare  quello  della  rappresentativita'.
Interesse, che, come paventa l'Avvocatura, sarebbe messo in  pericolo
dalla difficolta' di reperire candidati in numero  sufficiente  nelle
realta' demografiche piu' piccole. 
    Si   puo'   osservare,   infatti,   che   l'obbligo   di    liste
rappresentative dei due sessi, operante per i comuni piu' piccoli, e'
assolto con la semplice  presenza  di  un  solo  candidato  di  sesso
diverso dagli altri, e che,  d'altra  parte,  non  diverse  obiettive
difficolta' di reclutamento di  candidati  -  dell'uno  o  dell'altro
sesso  indifferentemente  -  si  presentano   negli   stessi   comuni
semplicemente  per  raggiungere  il  numero  minimo   prescritto   di
candidati  della  lista,  cio'  che  nondimeno  non  ha  dissuaso  il
legislatore  dal  prescrivere  comunque  l'anzidetto  numero   minimo
(almeno pari ai tre quarti del numero di consiglieri da eleggere)  e,
soprattutto, dal sanzionare il mancato rispetto  di  tale  condizione
con la ricusazione della lista (art. 30, primo comma, lettera e,  del
d.P.R. n. 570 del 1960). 
    Anche sotto questo profilo, dunque,  la  soluzione  adottata  dal
legislatore  per  quel  che  attiene  alla  promozione   delle   pari
opportunita' nei  comuni  piu'  piccoli  appare  -  oltre  che,  come
sottolineato, direttamente in contrasto con quanto previsto  all'art.
51, primo  comma,  Cost.  -  frutto  di  un  cattivo  uso  della  sua
discrezionalita',   manifestamente   irragionevole   e    fonte    di
un'ingiustificata disparita' di trattamento fra  comuni  nonche'  fra
aspiranti candidati (o candidate) nei rispettivi comuni, ai quali non
sono garantite, nei comuni piu' piccoli, le  stesse  opportunita'  di
accesso alle cariche elettive che la Costituzione intende  assicurare
a tutti in funzione del riequilibrio della rappresentanza  di  genere
negli organi elettivi. 
    Le disposizioni contestate risultano poi tanto piu'  censurabili,
se si considera la loro palese incoerenza con la ratio della legge n.
215 del 2012, che le ha introdotte al dichiarato fine di  «promuovere
il riequilibrio delle rappresentanze di genere nei consigli  e  nelle
giunte degli enti locali e nei consigli regionali»,  come  recita  il
suo titolo. 
    Alla luce  di  queste  considerazioni,  si  deve  concludere  che
sussiste la violazione degli artt. 3,  secondo  comma,  e  51,  primo
comma, Cost., sotto tutti i profili prospettati dal rimettente. 
    7.-  Riscontrato  il  vulnus,   va   esaminata   l'ammissibilita'
dell'intervento richiesto dallo stesso rimettente per porvi  rimedio,
individuato  nell'estensione  al  caso  di  specie   della   sanzione
dell'esclusione della lista, prevista per i  comuni  con  popolazione
superiore a  15.000  abitanti  dall'art.  33,  primo  comma,  lettera
d-bis), del d.P.R. n. 570 del 1960. Una soluzione che non puo'  dirsi
costituzionalmente obbligata, considerata la  varieta'  dei  mezzi  a
disposizione del legislatore per promuovere la parita' di  genere  e,
in particolare, per sanzionare la violazione degli obblighi  posti  a
tale fine, e la cui praticabilita' va dunque verificata. 
    7.1.- Al riguardo soccorre la  ormai  copiosa  giurisprudenza  di
questa Corte secondo  cui,  di  fronte  alla  violazione  di  diritti
fondamentali  -  e  questo  e'  certamente  il  caso  per  quanto  in
precedenza esposto - non puo' essere di ostacolo all'esame nel merito
della questione di legittimita' costituzionale l'assenza di  un'unica
soluzione a "rime obbligate" per ricondurre l'ordinamento al rispetto
della Costituzione, ancorche' si  versi  in  materie  riservate  alla
discrezionalita' del legislatore. 
    Secondo tale orientamento, «la "ammissibilita' delle questioni di
legittimita' costituzionale  risulta  [...]  condizionata  non  tanto
dall'esistenza di un'unica  soluzione  costituzionalmente  obbligata,
quanto dalla  presenza  nell'ordinamento  di  una  o  piu'  soluzioni
costituzionalmente adeguate, che si inseriscano nel tessuto normativo
coerentemente con la logica perseguita  dal  legislatore"  [...].  In
tale prospettiva, onde non sovrapporre la propria discrezionalita'  a
quella  del  Parlamento,  la  valutazione  della  Corte  deve  essere
condotta attraverso "precisi punti di riferimento  e  soluzioni  gia'
esistenti" [...]» (sentenza n. 63 del 2021; nello  stesso  senso,  da
ultimo, sentenza n. 28 del 2022). 
    7.2.- In applicazione di questi criteri,  la  soluzione  indicata
dal rimettente risulta costituzionalmente adeguata e merita di essere
accolta. 
    Per un verso, la sanzione dell'esclusione della lista in caso  di
violazione  delle  condizioni  prescritte  dalla  legge  per  la  sua
ammissibilita' e' gia' presente nella normativa in esame. In un primo
senso, infatti, si tratta segnatamente del rimedio che  -  diretto  a
sanzionare in via generale l'ipotesi  in  cui  la  cancellazione  dei
candidati eccedenti la quota di legge comporti  la  violazione  della
soglia minima di  candidati  prescritta  per  l'ammissibilita'  della
lista - colpisce, nei comuni con piu' di 15.000 abitanti,  la  stessa
violazione alla quale si intende estenderlo, ossia  il  caso  estremo
della lista formata da candidati di un solo sesso. E' ovvio,  invero,
che, in tale caso estremo, la riduzione della lista  fino  al  numero
minimo di candidati non  potrebbe  comunque  assicurare  il  rispetto
della quota. In un secondo senso, la medesima sanzione ricorre  anche
nella disciplina della presentazione delle liste nei comuni con  meno
di 5.000 abitanti, essendo prevista anche per essi, come  detto,  nel
caso di  liste  con  un  numero  di  candidati  inferiore  al  minimo
prescritto (art. 30, primo comma, lettera e, del d.P.R.  n.  570  del
1960). 
    Per altro verso, da un punto di vista piu' generale, la soluzione
prospettata si inserisce nel tessuto normativo coerentemente  con  la
logica perseguita dal legislatore: essa  non  altera  il  complessivo
sistema delle misure di promozione delineato dalla legge n.  215  del
2012, che conserva comunque il carattere di  gradualita'  in  ragione
della dimensione dei comuni, e conserva per quelli  piccoli  il  solo
obbligo  della  rappresentanza  di  entrambi  i  sessi  nelle  liste,
limitandosi a garantirne l'effettivita'  con  l'introduzione  di  una
sanzione per il caso di sua violazione. 
    Resta ferma, d'altra parte, la possibilita' per il legislatore di
individuare, nell'ambito della propria discrezionalita', altra - e in
ipotesi piu' congrua - soluzione,  purche'  rispettosa  dei  principi
costituzionali (ex plurimis,  sentenza  n.  222  del  2018),  nonche'
l'armonizzazione del sistema, anche considerando il caso  dei  comuni
con popolazione da 5.000 a 15.000 abitanti, nei  quali  la  riduzione
della lista non puo' andare  oltre  il  numero  minimo  di  candidati
prescritto. 
    8.- Si deve dunque dichiarare l'illegittimita' costituzionale del
combinato disposto degli artt. 71, comma 3-bis, t.u.  enti  locali  e
30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. n.  570  del  1960,
nella parte in cui non  prevede  l'esclusione  delle  liste  che  non
assicurano la rappresentanza di  entrambi  i  sessi  nei  comuni  con
popolazione inferiore a 5.000 abitanti. 
    Resta assorbita l'ulteriore questione  sollevata  in  riferimento
all'art. 117, primo comma, Cost., in relazione  all'art.  14  CEDU  e
all'art. 1 Prot. addiz. n. 12 CEDU. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale del  combinato  disposto
degli artt. 71, comma 3-bis, del decreto legislativo 18 agosto  2000,
n. 267 (Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali) e
30, primo comma, lettere d-bis) ed e), del d.P.R. 16 maggio 1960,  n.
570 (Testo unico delle leggi per la composizione e la elezione  degli
organi delle  Amministrazioni  comunali),  nella  parte  in  cui  non
prevede l'esclusione delle liste che non assicurano la rappresentanza
di entrambi i sessi nei comuni  con  popolazione  inferiore  a  5.000
abitanti. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA