N. 64 SENTENZA 26 gennaio - 10 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -   Incompatibilita'   del   giudice   -   Casi   -
  Incompatibilita' a celebrare il dibattimento  per  il  giudice  che
  abbia respinto la richiesta di  sospensione  del  procedimento  con
  messa alla prova - Omessa previsione  -  Denunciata  disparita'  di
  trattamento e violazione del diritto di difesa e del  principio  di
  imparzialita' e  terzieta'  del  giudice  -  Non  fondatezza  delle
  questioni. 
- Codice di procedura penale, art. 34, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma. 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2,
del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale  ordinario  di
Spoleto, con ordinanza del 7 gennaio 2020, e dal Tribunale  ordinario
di  Palermo,  con  ordinanza   del   14   gennaio   2021,   iscritte,
rispettivamente, al n. 93 del registro ordinanze 2020 e al n. 75  del
registro ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell'anno 2020 e n. 22, prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 26 gennaio  2022  il  Giudice
relatore Franco Modugno; 
    deliberato nella camera di consiglio del 26 gennaio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 7 gennaio 2020 (r. o. n. 93 del  2020),  il
Tribunale ordinario  di  Spoleto,  in  composizione  monocratica,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  secondo  comma,  e  111,
secondo  comma,  della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale,
«nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare  e/o
procedere  al  (successivo)  giudizio  (ordinario)  del  Giudice  del
dibattimento  che  ha  rigettato  la  richiesta  di  sospensione  del
processo con messa alla prova dell'imputato». 
    1.1.- Il giudice a quo riferisce di essere investito del processo
nei confronti di una persona imputata del reato di cui all'art.  635,
secondo comma, del codice penale, per avere, mediante l'utilizzazione
di mazzetta edile, danneggiato e reso inservibile un distributore  di
sigarette posto davanti a una tabaccheria. 
    Alla prima udienza,  l'imputato  ha  chiesto,  a  mezzo  del  suo
difensore munito di procura speciale, la sospensione del procedimento
con messa alla prova. 
    Il giudice rimettente - pur ritenendo sussistenti  le  condizioni
generali per l'accesso a tale rito (limite  di  pena  e  mancanza  di
condizioni ostative) - ha respinto la richiesta a fronte del dissenso
espresso dalla persona offesa, dei precedenti  penali  dell'imputato,
della  relazione  di  indagine  sociale  effettuata  dall'ufficio  di
esecuzione  penale  esterna  e  dei  contenuti   del   programma   di
trattamento elaborato, che non prevedeva alcun  intervento  a  favore
dell'offeso. 
    Di  seguito  a  cio',  il  difensore  dell'imputato  ha  eccepito
l'incompatibilita' del rimettente rispetto  all'ulteriore  corso  del
giudizio, prospettando l'illegittimita' costituzionale dell'art.  34,
comma 2, cod. proc. pen., nella parte in cui  non  prevede  una  tale
incompatibilita'. 
    1.2.- Ad avviso del giudice a quo, le questioni  di  legittimita'
costituzionale  prospettate  dalla  difesa  sarebbero   rilevanti   -
risultando la loro decisione preliminare a ogni  altro  provvedimento
inerente al successivo corso del processo - e, al tempo  stesso,  non
manifestamente infondate. 
    Al riguardo, il rimettente rileva  come,  in  sede  di  decisione
sull'ammissione  dell'imputato  alla  prova,  il   giudice   eserciti
penetranti poteri cognitivi e valutativi sulla res iudicanda. 
    L'art. 464-quater, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce,  infatti,
che il giudice si pronuncia con ordinanza sulla  richiesta  di  messa
alla  prova,  sempre  che   non   debba   pronunciare   sentenza   di
proscioglimento immediato dell'imputato a norma  dell'art.  129  cod.
proc. pen.:  il  che  implicherebbe  un  sia  pur  sommario  giudizio
positivo sulle circostanze indicate da tale disposizione  (ossia  che
il fatto sussista, che l'imputato lo abbia  commesso,  che  il  fatto
costituisca reato e sia previsto dalla legge come reato, che il reato
risulti procedibile e non estinto). 
    Essendo, d'altro canto, illogico ammettere alla prova un imputato
che appaia innocente, o che risulti non punibile per  altra  ragione,
sarebbe giocoforza ritenere che il giudice debba valutare,  in  prima
battuta, i presupposti della sua colpevolezza, con una verifica che -
come riconosciuto da questa Corte (e' citata la sentenza n.  131  del
2019) - si estende  persino  alla  correttezza  della  qualificazione
giuridica attribuita al fatto dal pubblico ministero. 
    Che la commissione di un reato ad opera  dell'imputato  sia  alla
base  della  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla   prova
troverebbe,  del  resto,  indiretta   conferma   nelle   disposizioni
dell'art. 168-quater cod. pen. (secondo il quale la sospensione viene
revocata se l'imputato, durante il periodo della prova,  commette  un
«nuovo delitto» non colposo, o un  «reato»  della  stessa  indole  di
quello per cui si procede), dell'art. 464-quater, comma 3, cod. proc.
pen. (ove si stabilisce che  la  sospensione  viene  concessa  se  il
giudice ritiene che l'imputato si asterra' dal «commettere  ulteriori
reati»), nonche' dell'art. 464-septies cod. proc. pen., che ricollega
all'esito  positivo  della  prova  la  pronuncia  di   una   sentenza
dichiarativa dell'estinzione del reato (il che presupporrebbe che  un
reato sia stato commesso). 
    Riguardo, poi, ai poteri discrezionali esercitabili nella fase di
ammissione alla prova, l'art. 464-quater, comma 3,  cod.  proc.  pen.
richiede al giudice di  accertare,  in  base  ai  parametri  indicati
dall'art. 133 cod. pen., l'idoneita'  del  programma  di  trattamento
proposto e l'assenza del pericolo  di  recidiva.  Il  riferimento  ai
criteri stabiliti dal codice penale per la determinazione della  pena
in concreto comporta, quindi, che il giudice debba tenere conto della
gravita' del reato e della capacita' a delinquere dell'imputato. 
    Di particolare rilievo  risulterebbe,  inoltre,  l'individuazione
della base conoscitiva dalla quale il giudice puo' attingere elementi
utili ai fini della decisione. 
    Di la' dalla sicura possibilita' di  fare  largo  uso  di  quanto
contenuto nel fascicolo per il dibattimento, l'art. 464-bis, comma 5,
cod. proc. pen. riconosce al giudice un potere istruttorio - sia  pur
limitato  ai  soli  casi  necessari  -  consentendogli  di  acquisire
informazioni sulle condizioni di vita dell'imputato, salvo il  dovere
di portare  gli  elementi  raccolti  a  conoscenza  delle  parti  del
processo. 
    Secondo quanto affermato da questa Corte con la  sentenza  n.  91
del 2018, d'altro canto, il giudice puo' anche acquisire  e  prendere
in esame gli atti di indagine preliminare contenuti nel fascicolo del
pubblico  ministero,  fermo   restando   l'obbligo   di   restituirli
all'organo dell'accusa nel caso di  rigetto  della  richiesta.  Cio',
sulla base di una applicazione analogica dell'art.  135  del  decreto
legislativo  28  luglio  1989,  n.  271  (Norme  di  attuazione,   di
coordinamento  e  transitorie  del  codice  di   procedura   penale):
disposizione concernente l'ipotesi della  richiesta  di  applicazione
della pena  rinnovata  prima  della  dichiarazione  di  apertura  del
dibattimento  di  primo  grado,  ma  da  reputare  estensibile   alla
procedura in esame sul rilievo che anche in tal caso il  dibattimento
viene evitato. 
    1.3.- Alla luce di quanto precede,  dovrebbe  quindi  concludersi
che il giudice chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di  ammissione
alla prova compie un accertamento ampio e non meramente  formale  sul
fatto  di  reato  per  cui  si  procede  e   sulla   persona   stessa
dell'imputato: con la conseguenza che  la  decisione  sul  punto  non
potrebbe ritenersi meramente procedurale e interlocutoria.  Nel  caso
di mancato accoglimento della richiesta,  la  pronuncia  assumerebbe,
anzi,  il  carattere  di  provvedimento  che   definisce   una   fase
processuale - quella degli atti introduttivi al  dibattimento  -  con
valutazioni di merito sulla fondatezza dell'ipotesi accusatoria. 
    Tale conclusione si concilierebbe appieno con  la  natura  ibrida
dell'istituto,  il  quale  si   caratterizza   per   una   fisionomia
sostanziale unita a una intrinseca dimensione processuale,  cosi'  da
configurarsi come nuovo rito speciale alternativo al dibattimento. Si
tratterebbe, in specie, di  un  procedimento  in  tutto  equiparabile
all'applicazione  della  pena  su  richiesta  delle  parti  «per   la
predominante base  consensuale»,  posto  che,  in  entrambi  i  casi,
l'imputato, in cambio dell'ottenimento di benefici sanzionatori,  non
contesta l'accusa, rinunciando al  pieno  esercizio  del  diritto  di
difesa. 
    1.4.- Tutto cio'  indurrebbe  a  ritenere  che,  nell'ipotesi  di
rigetto della richiesta di sospensione  del  procedimento  con  messa
alla  prova,  il  giudice  debba  divenire   incompatibile   rispetto
all'ulteriore corso del giudizio di merito. 
    La  mancata  previsione  di  tale  ipotesi  di   incompatibilita'
violerebbe il principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), per l'evidente
disparita'  di  trattamento  che  si  realizzerebbe  fra   situazioni
analoghe,  non  essendovi  alcuna  ragione   per   differenziare   la
disciplina del caso in esame da quella prevista  per  i  «paritetici»
casi contemplati espressamente dall'art.  34,  comma  2,  cod.  proc.
pen., o per quelli similari ad essi aggiunti nel corso del tempo  per
effetto di pronunce di questa Corte. 
    Risulterebbe  vulnerato,  altresi',  l'art.  24,  secondo  comma,
Cost., in quanto «le conseguenze negative dipendenti dalla scelta del
rito  speciale  si  tradurrebbero  in  ripercussioni  pregiudizievoli
inerenti ad una  modalita'  di  esercizio  dello  stesso  diritto  di
difesa». 
    Apparirebbero compromesse, infine, l'imparzialita' e la terzieta'
del giudice, che  rappresentano,  ai  sensi  dell'art.  111,  secondo
comma, Cost., uno  dei  cardini  del  giusto  processo,  giacche'  il
processo che prosegua con l'apertura del  dibattimento  davanti  allo
stesso magistrato che ha rigettato la richiesta di messa  alla  prova
sarebbe inevitabilmente condizionato dalle valutazioni - negative per
la  posizione  dell'imputato  -  precedentemente  formulate  da  tale
magistrato. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    2.1.- Nell'atto  di  intervento,  la  difesa  statale  ripercorre
preliminarmente l'evoluzione giurisprudenziale  e  legislativa  della
norma sottoposta a scrutinio, ricordando come, alla luce dei principi
affermati da questa Corte,  la  previsione  dell'incompatibilita'  si
renda  costituzionalmente  necessaria  ove  ricorrano   le   seguenti
condizioni: a) il giudice deve essere stato chiamato a  compiere  una
valutazione strumentale all'assunzione di una decisione, non  essendo
sufficiente la mera conoscenza di  atti  anteriormente  compiuti;  b)
deve trattarsi di una decisione "di  contenuto",  implicante,  cioe',
valutazioni che attengono al merito dell'accusa, e non gia'  al  mero
svolgimento  del  processo;  c)  la   precedente   valutazione   deve
collocarsi in una  diversa  fase  del  processo,  essendo  del  tutto
ragionevole che, all'interno di ciascuna delle fasi, resti preservata
l'esigenza di globalita' e continuita'. 
    2.2.- Cio' premesso,  ad  avviso  della  difesa  dello  Stato  le
questioni sarebbero  inammissibili  per  erroneita'  del  presupposto
interpretativo  e  omessa   sperimentazione   di   un'interpretazione
conforme a Costituzione della norma censurata. 
    I dubbi di legittimita' costituzionale espressi dal giudice a quo
trovano, infatti, la loro premessa fondante nell'assunto per  cui  il
giudice, nel decidere  sulla  richiesta  di  ammissione  alla  prova,
opererebbe  valutazioni  di  merito  sulla  fondatezza   dell'ipotesi
accusatoria. 
    L'opzione  interpretativa   privilegiata   dal   rimettente   non
troverebbe, tuttavia, conferma nella giurisprudenza di  legittimita',
la quale  ha  escluso,  in  piu'  occasioni,  che  il  rigetto  della
richiesta di messa alla prova  possa  determinare  l'incompatibilita'
del giudice a  partecipare  al  giudizio  che  prosegue  nelle  forme
ordinarie, trattandosi di  decisione  adottata  nella  medesima  fase
processuale e che non implica, altresi', una valutazione  sul  merito
dell'accusa, ma esclusivamente una  delibazione  sull'inesistenza  di
cause di proscioglimento immediato ai sensi dell'art. 129 cod.  proc.
pen.,  nonche'  una  verifica   dell'idoneita'   del   programma   di
trattamento e una prognosi favorevole  riguardo  all'inesistenza  del
pericolo di recidiva (sono citate Corte di cassazione, sezione quarta
penale, sentenza 9-24 luglio 2019, n. 33260 e sezione  terza  penale,
sentenza 20 gennaio 2016-11 aprile 2016, n. 14750). 
    2.3.-  Tali  rilievi  dimostrerebbero,  comunque  sia,   la   non
fondatezza nel merito delle questioni. 
    In primo luogo, infatti, l'ordinanza di rigetto  della  richiesta
di messa alla prova e' assunta  nella  medesima  fase  del  processo,
ovvero quella dibattimentale,  e  ha  il  solo  effetto  di  impedire
all'imputato  l'accesso  al  rito  speciale,  determinando  cosi'  la
prosecuzione del giudizio. 
    In  secondo  luogo,  poi,  l'ambito  valutativo  del  giudice  e'
delineato dall'art. 464-quater cod.  proc.  pen.,  consistendo  nella
verifica  dell'inesistenza  di  cause  di  proscioglimento  ai  sensi
dell'art. 129 cod. proc.  pen.  e  dell'idoneita'  del  programma  di
trattamento sulla base dei criteri di cui  all'art.  133  cod.  pen.,
nonche'  nella  formulazione  di  una  prognosi   positiva   riguardo
all'assenza del pericolo di recidiva. Per consolidata  giurisprudenza
di legittimita', riguardo al primo profilo, l'apprezzamento richiesto
al giudice  sarebbe  limitato  all'accertamento  dell'inesistenza  di
cause  di  proscioglimento  immediato  e   funzionale   all'ulteriore
svolgimento del procedimento: il  che  escluderebbe  che  il  giudice
fondi il suo giudizio su valutazioni di merito.  Neppure  il  secondo
profilo  sul  quale  deve  vertere   la   valutazione   del   giudice
concernerebbe,  peraltro,   il   merito   dell'ipotesi   accusatoria,
concentrandosi    piuttosto    sulla     «dimensione     "personale"»
dell'imputato. 
    Anche  questa  Corte  avrebbe,  del   resto,   riconosciuto   che
nell'istituto in esame manca  un'attribuzione  di  colpevolezza:  nei
confronti dell'imputato  e  su  sua  richiesta,  viene  disposto,  in
difetto di un formale accertamento di responsabilita', un trattamento
alternativo  alla  pena  che  sarebbe  stata  applicata  in  caso  di
eventuale condanna (e' citata la sentenza n. 91 del 2018). 
    Esulerebbe,   quindi,   dalla   decisione   del   giudice    ogni
apprezzamento che possa pregiudicare la sua imparzialita' e terzieta'
nel   processo,   con   conseguente   insussistenza    dei    vulnera
costituzionali prospettati dal giudice a quo. 
    Per quanto attiene, in modo particolare, all'asserita  violazione
dell'art. 24, secondo comma, Cost., in disparte  ogni  considerazione
sull'asserita   equiparabilita'    dell'istituto    in    esame    al
patteggiamento - che andrebbe in realta' esclusa, alla luce di quanto
affermato da questa Corte nella citata sentenza  n.  91  del  2018  -
l'Avvocatura dello Stato rileva che la scelta  del  rito,  in  quanto
tale, non reca  alcun  vulnus  al  diritto  di  difesa,  poiche',  se
l'imputato ritiene  di  avere  elementi  per  dimostrare  la  propria
innocenza, non e' obbligato a richiedere  la  messa  alla  prova.  Il
rigetto della  richiesta  non  implicherebbe,  a  sua  volta,  alcuna
compressione del diritto in parola, che l'imputato potra'  esercitare
pienamente  nel  corso  del  dibattimento   disciplinato   dal   rito
ordinario. 
    3.- Con ordinanza del 14 gennaio 2021 (r. o. n. 75 del 2021),  il
Tribunale ordinario  di  Palermo,  in  composizione  monocratica,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24,  secondo  comma,  e  111,
secondo   comma,   Cost.,   analoghe   questioni   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod. proc. pen.,  «nella  parte
in cui non prevede l'incompatibilita' a procedere nel giudizio  [del]
giudice del dibattimento che ha rigettato la richiesta di sospensione
del processo con messa alla prova dell'imputato». 
    3.1.- Il rimettente riferisce di essere  investito  del  processo
nei confronti di una persona imputata del  reato  previsto  dall'art.
590-bis, commi primo e quinto, numero 2), cod. pen. 
    Riferisce, altresi', che il difensore munito di procura  speciale
ha chiesto la sospensione  del  procedimento  con  messa  alla  prova
dell'imputato. 
    Anche  in  questo  caso,  il  giudice  a  quo  -  pur   ritenendo
sussistenti le  condizioni  per  l'applicazione  dell'istituto  -  ha
rigettato la richiesta a fronte del dissenso espresso  dalla  persona
offesa e della circostanza che l'imputato aveva  rifiutato  qualsiasi
iniziativa risarcitoria nei confronti di quest'ultima, la quale aveva
subito lesioni gravi senza conseguire alcun ristoro. 
    Di seguito a cio', il difensore  ha  eccepito  l'incompatibilita'
del giudice, prospettando l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.
34, comma 2, cod. proc. pen. nella parte in cui non  la  prevede  nel
caso considerato. 
    3.2.- Richiamando l'ordinanza  di  rimessione  del  Tribunale  di
Spoleto, sopra indicata, il giudice a quo  reputa  le  questioni  non
manifestamente infondate. 
    Il  rimettente  rileva  che,  nel  decidere  sulla  richiesta  di
ammissione alla prova, il giudice deve valutare «i presupposti  della
colpevolezza in tutti i suoi  elementi  costitutivi»,  tenendo  conto
della  gravita'  del   reato   e   della   capacita'   a   delinquere
dell'imputato. 
    La decisione non  potrebbe  essere,  pertanto,  qualificata  come
meramente procedurale e, anzi, nel caso di rigetto  della  richiesta,
essa  implicherebbe  una  valutazione  di  merito  sulla   fondatezza
dell'impianto accusatorio, potendo essere paragonata  alla  pronuncia
sulla richiesta di applicazione della pena. 
    Alla luce di cio', la  mancata  previsione  dell'incompatibilita'
del giudice  nell'ipotesi  in  esame  genererebbe  seri  dubbi  sulla
legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma 2, cod.  proc.  pen.,
apparendo violati l'art. 3 Cost., «per disparita' di  trattamento  in
situazioni analoghe»; l'art. 24, secondo comma, Cost., «che  inerisce
il diritto di difesa riconosciuto a tutti i  cittadini»;  e,  infine,
l'art.  111,  secondo  comma,  Cost.,  «in  quanto  il  processo   si
svolgerebbe dinanzi al giudice che ha gia' espresso delle valutazioni
negative sull'imputato con  la  compromissione  dell'imparzialita'  e
terzieta' dello stesso». 
    4.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
non fondate. 
    4.1.-  In  via   preliminare,   la   difesa   statale   eccepisce
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di  motivazione  sulla
rilevanza e sulla non manifesta infondatezza. 
    Nel sollevare le questioni, il giudice a quo si sarebbe limitato,
infatti, a richiamare  la  precedente  ordinanza  di  rimessione  del
Tribunale di Spoleto, accompagnando tale richiamo  con  una  succinta
motivazione esclusivamente in punto di  non  manifesta  infondatezza:
motivazione che non espliciterebbe in modo adeguato  le  ragioni  del
ritenuto  contrasto  della   norma   con   ciascuno   dei   parametri
costituzionali evocati. 
    Il rimettente non  avrebbe  speso,  d'altra  parte,  neppure  una
parola a dimostrazione della rilevanza delle questioni. 
    4.2. - Per il  resto,  l'Avvocatura  dello  Stato  svolge  difese
identiche a quelle prospettate in relazione all'ordinanza iscritta al
n. 93 del r. o. 2020. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con due ordinanze di rimessione sostanzialmente  analoghe,  i
Tribunali  ordinari  di  Spoleto  e  di  Palermo,   in   composizione
monocratica, dubitano della legittimita' costituzionale dell'art. 34,
comma 2, del codice di procedura  penale,  nella  parte  in  cui  non
prevede che il giudice del dibattimento che ha rigettato la richiesta
dell'imputato di sospensione del procedimento con  messa  alla  prova
non possa partecipare al giudizio che prosegue nelle forme ordinarie. 
    Ad    avviso    dei    rimettenti,    la    mancata    previsione
dell'incompatibilita' del giudice nel caso considerato  implicherebbe
la violazione dell'art. 3 della Costituzione, per  contrasto  con  il
principio di  eguaglianza.  Non  vi  sarebbe,  infatti,  ragione  per
differenziare il caso in esame da quelli espressamente previsti dalla
norma censurata o a essi aggiunti per effetto di pronunce  di  questa
Corte, posto che, nel decidere sulla  richiesta  di  ammissione  alla
prova, il giudice esprimerebbe valutazioni di merito in  ordine  alla
fondatezza  dell'ipotesi   di   accusa   e   sulla   stessa   persona
dell'imputato. 
    Sarebbero violati, altresi', gli artt. 24, secondo comma, e  111,
secondo comma, Cost., giacche'  il  processo  che  prosegua  in  sede
dibattimentale davanti allo stesso magistrato  che  ha  rigettato  la
richiesta di messa alla prova  sarebbe  inevitabilmente  condizionato
dalle  valutazioni  -  negative  per  la  posizione  dell'imputato  -
precedentemente espresse da tale magistrato  per  la  formazione  del
proprio convincimento, con conseguente lesione del diritto di  difesa
dell'imputato  e  dei  principi  di  imparzialita'  e  terzieta'  del
giudice. 
    2.-  Le  due  ordinanze   di   rimessione   sollevano   questioni
sostanzialmente identiche, sicche' i relativi giudizi  vanno  riuniti
per essere definiti con unica decisione. 
    3.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
entrambi i giudizi a mezzo dell'Avvocatura generale dello  Stato,  ha
eccepito l'inammissibilita' delle questioni sollevate  dal  Tribunale
di Palermo per difetto di motivazione, sia sulla rilevanza, sia sulla
non manifesta infondatezza. 
    Nel proporre i quesiti, il giudice a  quo  si  sarebbe  limitato,
infatti, a richiamare  la  precedente  ordinanza  di  rimessione  del
Tribunale di Spoleto, accompagnando tale richiamo  con  una  succinta
motivazione esclusivamente in punto di  non  manifesta  infondatezza:
motivazione che non espliciterebbe in modo adeguato  le  ragioni  del
ritenuto  contrasto  della  norma  con  i  parametri   costituzionali
evocati. Il rimettente non avrebbe speso, d'altra parte, neppure  una
parola a dimostrazione della rilevanza delle questioni. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Pur in assenza di affermazioni espresse sul punto  da  parte  del
giudice rimettente, la  rilevanza  delle  questioni  emerge  in  modo
immediato  dalla  descrizione  della   vicenda   concreta   contenuta
nell'ordinanza di rimessione, ove si riferisce che il giudice  a  quo
ha  rigettato  la  richiesta   dell'imputato   di   sospensione   del
procedimento con messa alla prova per ragioni non meramente formali e
che  si  trova  ora  di  fronte  all'eccezione   del   difensore   di
incompatibilita' a proseguire la trattazione del giudizio nelle forme
ordinarie. 
    Quanto, poi, alla motivazione sulla non  manifesta  infondatezza,
non si e' nella specie al cospetto di un'ipotesi di  motivazione  per
relationem ad altra ordinanza di rimessione, inammissibile secondo la
costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 170
del 2015, ordinanze n. 64 e n. 19 del 2018). 
    Il giudice  a  quo  richiama,  a  tal  riguardo,  l'ordinanza  di
rimessione  del   Tribunale   di   Spoleto   e   ripercorre   poi   -
sinteticamente,  ma  in  termini,  comunque   sia,   di   sufficiente
comprensibilita' - le argomentazioni da essa poste a  fondamento  dei
dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  mostrando   con   cio'   di
condividerle e di farle proprie: il che basta a rendere le  questioni
ammissibili  (ex  plurimis,  con  riguardo  a  fattispecie  analoghe,
sentenze n. 92 del 2021, n. 214 del 2019 e n. 88 del 2018). 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri  ha  eccepito,  per
altro verso, l'inammissibilita' delle questioni sollevate da entrambi
i  rimettenti  per  erroneo  presupposto  interpretativo   e   omessa
sperimentazione dell'interpretazione conforme a Costituzione. 
    Rileva  la  difesa  dello  Stato  che  i  dubbi  di  legittimita'
costituzionale prospettati poggiano sull'assunto per cui il  giudice,
nel decidere sulla richiesta di  ammissione  alla  prova,  opererebbe
valutazioni  di  merito  sulla  fondatezza  dell'ipotesi  di  accusa:
opzione  interpretativa,  questa,  che  non   troverebbe,   tuttavia,
conforto nella giurisprudenza di legittimita',  espressasi  in  senso
contrario. 
    Anche tale eccezione non e' fondata. 
    Il Tribunale di Spoleto (la cui impostatura e' fatta propria  dal
Tribunale di Palermo) ha motivato infatti ampiamente, sulla scorta di
ripetuti riferimenti al dato normativo e a pronunce di questa  Corte,
il proprio assunto per cui, con il rigetto della richiesta  di  messa
alla prova, il giudice esprimerebbe un  apprezzamento  di  merito  in
ordine alla responsabilita' dell'imputato. A fronte di cio' - e salvo
quanto si osservera' tra breve, riguardo al fatto che non e'  questo,
in realta', il profilo  decisivo  ai  fini  della  risoluzione  degli
odierni   incidenti   di    legittimita'    costituzionale    -    la
condivisibilita' del presupposto  interpretativo  dei  rimettenti  e'
questione   che   attiene,   comunque   sia,   al   merito,   e   non
all'ammissibilita' (ex plurimis, sentenze n. 230, n. 158 e n. 50  del
2020). 
    5.- Se pure dunque ammissibili, nel merito le questioni non  sono
tuttavia fondate. 
    5.1.- Per costante giurisprudenza di questa Corte, le norme sulla
incompatibilita'  del  giudice,  derivante  da  atti   compiuti   nel
procedimento, sono poste a tutela dei valori della terzieta' e  della
imparzialita' della giurisdizione,  presidiati  dagli  artt.  3,  24,
secondo comma, e 111, secondo comma, Cost., risultando finalizzate  a
evitare che la decisione  sul  merito  della  causa  possa  essere  o
apparire condizionata dalla forza della  prevenzione  -  ossia  dalla
naturale tendenza a confermare una decisione gia' presa o a mantenere
un atteggiamento gia' assunto -  scaturente  da  valutazioni  cui  il
giudice sia stato precedentemente chiamato in  ordine  alla  medesima
res iudicanda (ex plurimis, sentenze n. 16 e n. 7 del  2022,  n.  183
del 2013, n. 153 del 2012, n. 177 del 2010 e n. 224 del 2001). 
    L'imparzialita' del giudice richiede, in specie, che «la funzione
del giudicare sia assegnata a un soggetto "terzo", non solo scevro di
interessi propri che possano far velo alla rigorosa applicazione  del
diritto ma anche sgombro da convinzioni precostituite in ordine  alla
materia da decidere,  formatesi  in  diverse  fasi  del  giudizio  in
occasione di funzioni decisorie ch'egli sia stato chiamato a svolgere
in precedenza» (sentenza n. 155 del 1996). 
    In quest'ottica, l'art. 34 cod. proc. pen. - dopo aver  regolato,
al comma 1, la cosiddetta incompatibilita'  "verticale",  determinata
dall'articolazione e dalla consecutio dei diversi gradi di giudizio -
si  occupa,  al  comma   2   (oggi   censurato),   della   cosiddetta
incompatibilita' "orizzontale", attinente alla relazione tra la  fase
del giudizio e quella che immediatamente la precede. 
    La disposizione, costruita secondo  la  tecnica  della  casistica
tassativa («[n]on puo' partecipare al  giudizio  il  giudice  che  ha
emesso il provvedimento  conclusivo  dell'udienza  preliminare  o  ha
disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna
o ha deciso sull'impugnazione avverso la  sentenza  di  non  luogo  a
procedere»), e' stata notoriamente oggetto, nel corso del  tempo,  di
numerose  declaratorie  di  illegittimita'  costituzionale  di   tipo
additivo,  che  hanno  dilatato  significativamente  l'elenco   delle
ipotesi di operativita' dell'istituto. 
    In tale contesto, questa Corte  ha  da  tempo  chiarito  come  la
previsione  dell'incompatibilita'   del   giudice   debba   ritenersi
costituzionalmente necessaria  nel  concorso  di  quattro  condizioni
(sentenze n. 16 del 2022, n. 153 del 2012 e n. 131 del 1996). 
    In   primo   luogo,   presupposto   di   ogni    incompatibilita'
endoprocessuale e' la preesistenza di valutazioni  che  cadono  sulla
medesima res iudicanda. 
    In secondo luogo - benche' l'architettura del nuovo  rito  penale
richieda, in linea di principio, che  le  conoscenze  probatorie  del
giudice si formino nella fase del dibattimento - non basta a generare
l'incompatibilita'  la  semplice  conoscenza  di  atti  anteriormente
compiuti, ma occorre che il giudice sia stato chiamato a compiere una
valutazione di essi, strumentale all'assunzione di una decisione. 
    In terzo luogo, tale decisione deve avere natura  non  "formale",
ma "di contenuto":  essa  deve  comportare,  cioe',  valutazioni  che
attengono al merito dell'ipotesi  di  accusa,  e  non  gia'  al  mero
svolgimento del processo. 
    Da ultimo (e  soprattutto,  per  quanto  qui  rileva),  affinche'
insorga  l'incompatibilita',  e'   necessario   che   la   precedente
valutazione si collochi in una diversa fase del procedimento. 
    La giurisprudenza  di  questa  Corte  e',  infatti,  costante,  a
partire almeno dal 1996, nel  ritenere  del  tutto  ragionevole  che,
all'interno di ciascuna delle fasi - intese come sequenze ordinate di
atti  che  possono  implicare  apprezzamenti  incidentali,  anche  di
merito,  su  quanto  in  esse  risulti,  prodromici  alla   decisione
conclusiva  -,  resti,  in  ogni  caso,  preservata   l'esigenza   di
continuita' e di globalita', venendosi altrimenti a  determinare  una
assurda  frammentazione  del  procedimento,  che   implicherebbe   la
necessita' di disporre, per la medesima fase del giudizio,  di  tanti
giudici diversi quanti  sono  gli  atti  da  compiere  (ex  plurimis,
sentenze n. 7 del 2022, n. 66 del 2019, n. 18 del 2017,  n.  153  del
2012, n. 177 e n. 131 del 1996; ordinanze n. 76 del 2007, n. 123 e n.
90 del 2004, n. 370 del 2000, n. 232 del 1999). In questi  casi,  «il
provvedimento non costituisce anticipazione di un giudizio  che  deve
essere instaurato, ma, al contrario, si inserisce  nel  giudizio  del
quale il giudice e' gia' correttamente investito senza che  ne  possa
essere spogliato: anzi e' la competenza ad adottare il  provvedimento
dal quale si vorrebbe far derivare l'incompatibilita' che  presuppone
la competenza per il giudizio di merito e si giustifica in ragione di
essa» (sentenza n. 177 del 1996). 
    5.2.- Alla luce  dei  principi  ora  ricordati,  le  censure  dei
giudici a quibus non possono essere condivise. 
    Con le questioni sollevate, i rimettenti vorrebbero far  si'  che
il giudice del  dibattimento  che  -  prima  della  dichiarazione  di
apertura di questo (costituente, ai sensi dell'art. 464-bis, comma 2,
cod. proc. pen., il termine ultimo per la  richiesta  di  accesso  al
rito alternativo  nei  procedimenti  a  citazione  diretta,  quali  i
giudizi a quibus) - abbia rigettato  la  richiesta  dell'imputato  di
sospensione  del  procedimento  con   messa   alla   prova,   divenga
incompatibile  a  trattare  il  giudizio  che  prosegue  nelle  forme
ordinarie. 
    A tali fini, i giudici a quibus annettono decisivo  rilievo  alla
circostanza che, a loro avviso, il rigetto della richiesta  di  messa
alla  prova  implicherebbe,  sotto  un  complesso  di  profili,   una
approfondita valutazione sul  merito  della  res  iudicanda:  assunto
contestato dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  facendo  leva  su
pronunce della giurisprudenza di legittimita'  pervenute  ad  opposta
conclusione (Corte di cassazione,  sezione  quarta  penale,  sentenza
9-24 luglio 2019,  n.  33260;  Corte  di  cassazione,  sezione  terza
penale, sentenza 20 gennaio 2016-11 aprile 2016, n. 14750). 
    Valida o meno che sia la loro  tesi,  i  rimettenti  non  tengono
conto,  tuttavia,  di  un  particolare  essenziale:  che,  cioe',  il
provvedimento cui intenderebbero annettere efficacia pregiudicante si
colloca, non gia' in una fase processuale precedente e  distinta,  ma
nella stessa fase -  quella  dibattimentale  -  rispetto  alla  quale
l'invocato effetto pregiudicante dovrebbe dispiegarsi; il che esclude
in radice, alla luce  della  ricordata,  costante  giurisprudenza  di
questa   Corte,   la   configurabilita'   di   una   situazione    di
incompatibilita' costituzionalmente necessaria. 
    Il  Tribunale  di  Spoleto  -  pur   senza   fare   alcun   cenno
all'orientamento di questa Corte sul punto - sostiene, in verita', in
un passaggio dell'ordinanza  di  rimessione,  che  il  rigetto  della
richiesta  di  messa  alla  prova   assumerebbe   il   carattere   di
provvedimento che definisce «una delicata fase [...] quale e'  quella
degli  atti  introduttivi  al  dibattimento».   Quella   degli   atti
introduttivi (artt. 484 e seguenti cod. proc. pen.)  non  e',  pero',
una autonoma fase processuale, ma una semplice "sub-fase" (al pari di
quelle dell'istruzione dibattimentale,  della  discussione  finale  e
della deliberazione) dell'unitaria fase del  dibattimento:  onde  non
puo'  costituire  utile  termine  di  riferimento  ai  fini  che  qui
interessano (con riguardo a distinto contesto, ordinanza  n.  90  del
2004). 
    Del principio di non  configurabilita'  di  una  incompatibilita'
"endofasica" questa Corte ha gia'  fatto,  d'altra  parte,  disparate
applicazioni, anche rispetto a ipotesi del tutto  analoghe  a  quella
oggi in esame: concernenti, cioe', decisioni negative su richieste di
ammissione a riti speciali, o a forme alternative di definizione  del
procedimento, assunte dal giudice del dibattimento in  sede  di  atti
introduttivi.  Sono   state   dichiarate,   infatti,   manifestamente
infondate, per la ragione  indicata,  questioni  volte  a  introdurre
l'incompatibilita'  a  esercitare  le   funzioni   di   giudice   del
dibattimento nei confronti del giudice che - in considerazione  della
permanenza delle conseguenze dannose o pericolose del reato  e  della
ritenuta  gravita'  del  fatto  -  abbia  respinto  la  richiesta  di
oblazione cosiddetta discrezionale,  presentata  dall'imputato  prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento ai  sensi  dell'art.
162-bis del codice penale (ordinanze n. 370 del 2000  e  n.  232  del
1999); o l'incompatibilita' a partecipare  al  giudizio  del  giudice
che,  prima  dell'apertura  del  dibattimento,  si  sia   pronunciato
(negandola)  in  ordine  all'idoneita'  della  condotta   riparatoria
dedotta dall'imputato ai fini del proscioglimento per estinzione  del
reato ai sensi dell'art. 35 del decreto legislativo 28  agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di  pace,  a
norma  dell'articolo  14  della  legge  24  novembre  1999,  n.  468)
(ordinanza n. 76 del 2007); ovvero,  ancora,  l'incompatibilita'  del
giudice dibattimentale che abbia respinto in limine la  richiesta  di
giudizio abbreviato condizionato all'assunzione di determinati  mezzi
di prova (ordinanza n. 433 del 2006). 
    Non significativo  e'  l'unico  precedente  di  segno  contrario,
rappresentato dalla sentenza n.  186  del  1992,  che  ha  dichiarato
costituzionalmente illegittimo l'art. 34, comma 2,  cod.  proc.  pen.
nella parte in cui non prevedeva l'incompatibilita' a partecipare  al
giudizio  del  giudice  del  dibattimento  che  abbia  rigettato   la
richiesta di applicazione di pena concordata ai sensi  dell'art.  444
cod. proc. pen. Tale pronuncia si colloca, infatti,  temporalmente  a
monte delle sentenze n. 177 e n. 131 del 1996, con  le  quali  questa
Corte   ha   puntualizzato   in   modo   definitivo   i   presupposti
dell'incompatibilita' costituzionalmente rilevante, e in  particolare
quello della diversita' di fase: tanto che, solo pochi anni dopo,  le
conclusioni della sentenza  relativa  al  patteggiamento  sono  state
espressamente qualificate come «superate» dalla successiva evoluzione
della giurisprudenza costituzionale (ordinanza n. 232 del 1999). 
    6.- Alla luce delle considerazioni che  precedono,  le  questioni
vanno dichiarate, quindi, non fondate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e  111,  secondo  comma,
della  Costituzione,  dal  Tribunale  ordinario  di  Spoleto  e   dal
Tribunale ordinario di Palermo con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 26 gennaio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                      Franco MODUGNO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA