N. 66 SENTENZA 8 febbraio - 11 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse - Riscossione delle imposte - Procedure di  discarico
  dell'inesigibilita'  dei  crediti  affidati   agli   agenti   della
  riscossione  -  Definizione   degli   agenti   di   riscossione   -
  Applicabilita' retroattiva alle  societa'  private  "scorporate"  -
  Estensione a loro favore del meccanismo dello "scalare  inverso"  -
  Violazione  del  principio  di  ragionevolezza   -   Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
Imposte e tasse - Riscossione delle imposte - Procedure di  discarico
  dell'inesigibilita'  dei  crediti  affidati   agli   agenti   della
  riscossione - Automatico annullamento dei debiti di importo residuo
  fino a mille euro anche agli effetti dei rapporti pendenti tra enti
  territoriali  e  societa'  private  "scorporate"  -  Meccanismo  di
  esenzione  da  responsabilita'   amministrativa   e   contabile   -
  Denunciata irragionevolezza, preclusione dell'accesso  alla  tutela
  giurisdizionale, violazione dei  principi  dell'effettivita'  della
  tutela  giurisdizionale,  del  perseguimento  degli  equilibri   di
  finanza  pubblica,  del  buon  andamento  dell'organizzazione   dei
  pubblici uffici nonche' di quello di effettivita'  della  capacita'
  contributiva e lesone dell'autonomia, anche finanziaria,  dell'ente
  locale - Inammissibilita' delle questioni. 
- Legge 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, commi 687, secondo periodo,
  e 688, secondo periodo, in combinato disposto  con  il  comma  684;
  legge 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, comma 815; decreto-legge 23
  ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, nella legge 17
  dicembre 2018, n. 136, art. 4, come interpretato dall'art. 1, comma
  815, della legge 27 dicembre 2019, n. 160,  in  combinato  disposto
  con l'art. 1, comma 529, della legge 24 dicembre 2012, n. 228. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111, 114,  117,  118  e
  119, primo, secondo e quarto comma. 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  commi
687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, in  combinato  disposto
con il comma 684, della legge  23  dicembre  2014,  n.  190,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)», come interpretati  dall'art.
1, comma 815, della legge 27  dicembre  2019,  n.  160  (Bilancio  di
previsione  dello  Stato  per  l'anno  finanziario  2020  e  bilancio
pluriennale  per  il  triennio  2020-2022),   e   dell'art.   4   del
decreto-legge 23  ottobre  2018,  n.  119  (Disposizioni  urgenti  in
materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni,  nella
legge 17 dicembre 2018, n. 136, come interpretato dall'art. 1,  comma
815, della legge n. 160 del 2019, in combinato disposto con l'art. 1,
comma  529,  della  legge  24  dicembre   2012,   n.   228,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2013)»,  promossi  dalla  Corte  dei
conti, sezione  giurisdizionale  per  la  Regione  Abruzzo,  con  tre
ordinanze del 31 maggio 2021, iscritte,  rispettivamente,  ai  numeri
126, 127 e  128  del  registro  ordinanze  2021  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  37,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione della Societa' di gestione entrate
e tributi (SOGET) spa e del Comune di Teramo,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  2022  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    uditi gli avvocati Alfonso Celotto per SOGET spa, Cosima Cafforio
per il Comune di Teramo e gli avvocati dello Stato Gianni De Bellis e
Fabrizio Urbani Neri per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con tre ordinanze di analogo tenore del 31 maggio 2021  (reg.
ord. numeri 126, 127 e 128 del 2021), la  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale  per  la  Regione  Abruzzo,  ha  sollevato   distinte
questioni di legittimita' costituzionale. 
    1.1.- Innanzitutto i rimettenti  dubitano,  in  riferimento  agli
artt. 3,  24,  53,  81,  97,  103,  111  (quest'ultimo  in  relazione
all'«art. 6 CEDU come ripreso dall'art. 47 Carta UE») e  119,  primo,
secondo  e  quarto  comma,  della  Costituzione,  della  legittimita'
costituzionale dell'art.  1,  commi  687,  secondo  periodo,  e  688,
secondo periodo, in combinato disposto con il comma 684, della  legge
23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e  pluriennale  dello  Stato  (legge  di  stabilita'
2015)», «come interpretati autenticamente» dall'art.  1,  comma  815,
della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2020  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2020-2022), ovverosia  nel  presupposto  interpretativo  che
essi avrebbero «effetto anche per le societa' private "scorporate"». 
    Piu' precisamente, il citato art. 1, comma 815,  della  legge  n.
160 del 2019, dispone che «[i] contenuti delle norme vigenti riferite
agli agenti della riscossione si  intendono  applicabili,  sin  dalla
data di entrata in vigore delle stesse norme,  anche  alle  attivita'
svolte in regime di concessione per conto degli enti locali,  il  cui
ramo d'azienda e' stato trasferito ai sensi  dell'articolo  3,  comma
24, lettera b)», del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203  (Misure
di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti  in  materia
tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge
2 dicembre 2005, n. 248  (cioe'  alle  cosiddette  societa'  "private
scorporate"). 
    Quanto poi ai  censurati  commi  687,  secondo  periodo,  e  688,
secondo periodo, dell'art. 1 della legge n. 190 del  2014,  essi,  in
sintesi, stabiliscono che: a) il  controllo  delle  comunicazioni  di
inesigibilita' relative alle quote di cui al comma 684  del  medesimo
art. 1 della citata legge n. 190 del 2014 (ovverosia quelle  affidate
agli agenti della riscossione dal 1°  gennaio  2000  al  31  dicembre
2017) puo' essere avviato  solo  decorsi  i  termini  previsti  dallo
stesso comma 684 (secondo il  cosiddetto  meccanismo  dello  "scalare
inverso"),  anche  con   riguardo   alle   comunicazioni   presentate
anteriormente alla data di entrata  in  vigore  della  citata  legge,
poiche' integrabili entro i medesimi termini  previsti  per  la  loro
presentazione; b) le quote inesigibili, di valore inferiore o pari  a
300 euro - con esclusione di quelle afferenti  alle  risorse  proprie
tradizionali di cui  all'art.  2,  paragrafo  1,  lettera  a),  delle
decisioni 2007/436/CE, Euratom, del Consiglio,  del  7  giugno  2007,
relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunita'  europee  e
2014/335/UE, Euratom, del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa  al
sistema  delle  risorse  proprie  dell'Unione  europea  -  non   sono
assoggettate al controllo di cui all'art. 19 del decreto  legislativo
13 aprile  1999,  n.  112  (Riordino  del  servizio  nazionale  della
riscossione, in attuazione  della  delega  prevista  dalla  legge  28
settembre 1998, n. 337). 
    La Corte dei conti ha inoltre sollevato  -  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 (questo in  relazione  all'«art.  6
CEDU come ripreso dall'art. 47 Carta  UE»),  114,  117,  118  e  119,
primo, secondo e quarto comma,  Cost.  -  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n.  119
(Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),  convertito,
con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n.  136,  in  quanto
prevederebbe l'automatico annullamento dei debiti di importo  residuo
fino a mille euro, stabilendo altresi', mediante rinvio  all'art.  1,
comma  529,  della  legge  24  dicembre   2012,   n.   228,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di  stabilita'  2013)»,  l'inapplicabilita'  degli
artt. 19 e 20 del d.lgs. n. 112 del 1999 e, fatti  salvi  i  casi  di
dolo,   l'improcedibilita'   del    giudizio    di    responsabilita'
amministrativo e contabile, «anche agli effetti dei rapporti pendenti
tra enti territoriali e societa' private  "scorporate"  (ex  art.  1,
comma 815, della legge 27 dicembre 2019, n. 160)». 
    Piu' precisamente, il censurato art. 4 dispone che  i  debiti  di
importo residuo, alla data di entrata in vigore del decreto-legge (24
ottobre 2018), fino a mille euro, comprensivo di capitale,  interessi
per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti  dai  singoli
carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al
31 dicembre 2010, ancorche' riferiti alle cartelle per  le  quali  e'
gia'   intervenuta   la   richiesta   definizione   agevolata,   sono
automaticamente annullati. 
    2.- La sezione  giurisdizionale  regionale  per  l'Abruzzo  della
Corte dei conti riferisce: a) di essere stata chiamata a decidere tre
distinti giudizi instaurati dalla  Societa'  di  gestione  entrate  e
tributi (SOGET) spa  che,  definendosi  «agente  della  riscossione»,
aveva impugnato, ai sensi dell'art. 20, comma 4, del  d.lgs.  n.  112
del 1999, i provvedimenti definitivi (prot. n. 8931 del  13  febbraio
2017) con cui l'«ente creditore» Comune di Teramo aveva rifiutato  il
discarico per inesigibilita' di quote iscritte a ruolo e affidate per
la riscossione alla suddetta societa' per azioni; b)  di  avere  gia'
sollevato, in relazione all'art. 1, commi  687,  secondo  periodo,  e
688, secondo periodo, della legge n. 190 del  2014  le  questioni  di
legittimita' costituzionale di cui alle ordinanze  iscritte  al  reg.
ord. numeri 83, 84 e 120 del 2018, dichiarate inammissibili da questa
Corte con la sentenza n. 51 del 2019, nel presupposto che le societa'
cessionarie di ramo di azienda  relativo  alle  attivita'  svolte  in
regime  di  concessione  per  conto  degli  enti  locali  (cosiddette
scorporate), come la SOGET, non potessero essere annoverate  tra  gli
«agenti della riscossione»; c) che all'indomani della citata sentenza
sarebbe intervenuta «l'interpretazione autentica» di  cui  al  citato
art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019, a suo avviso,  «volta
a superare l'opzione ermeneutica indicata dalla Corte  costituzionale
medesima, con l'effetto di far riprendere valenza alle considerazioni
a suo tempo svolte» dalla medesima sezione giurisdizionale. 
    Cio' premesso, la suddetta sezione  rimettente  rievoca  l'intera
vicenda processuale e integra le correlate questioni di  legittimita'
con i riferimenti agli interventi normativi e giurisprudenziali medio
tempore intervenuti. 
    3.- Quanto alla rilevanza delle censure afferenti  ai  menzionati
commi 687 e 688 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, i giudici  a
quibus precisano che: a) le controversie riguardano quote relative  a
«partite di somme iscritte a  ruolo,  a  vario  titolo»,  concernenti
annualita' dal 2000 al 2014 (relativamente al giudizio di cui al reg.
ord. n. 83 del 2018)  ovvero  dal  2000  al  2008  (relativamente  ai
giudizi di cui al reg. ord. n. 84 e n. 120 del 2018),  e  comprendono
anche quote di valore non superiore  a  300  euro;  b)  le  questioni
sollevate rivestono  pregiudizialita'  logica  e  giuridica  rispetto
all'esame del  merito  sull'effettiva  inesigibilita'  delle  singole
quote e sulle relative cause. 
    Ad avviso dei rimettenti  la  rilevanza  sarebbe  confermata  dal
citato art. 1, comma 815, di  «interpretazione  autentica»,  poiche',
«anche a  voler  accedere  all'interpretazione  restrittiva»  che  ne
limita gli effetti «ai soli crediti "ante scorporo"» (in questo  caso
avvenuto il 25 settembre 2006) e non indistintamente a tutti i ruoli,
tale disposizione avrebbe chiarito che la SOGET, nei rapporti con  il
Comune  di  Teramo,  dovrebbe   essere   considerata   agente   della
riscossione  appunto  «quanto  meno  per  le  attivita'  oggetto   di
scorporo»  che  costituirebbero  comunque  una  parte   delle   quote
sottoposte a giudizio. 
    Ne'  la  rilevanza  sarebbe  pregiudicata  dal  sopravvenire  del
censurato art. 4 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito,  poiche',
anche laddove fosse ritenuto  applicabile  ai  rapporti  per  cui  e'
causa, residuerebbero «comunque partite di importo superiore a  mille
euro, non soggette a  stralcio,  come  incontestato  tra  le  parti».
Precisano al riguardo i giudici  a  quibus  che,  se  per  i  carichi
affidati all'agente della riscossione  dal  1°  gennaio  2000  al  31
dicembre 2010 tale norma  potrebbe  avere  portata  assorbente  delle
questioni prospettate in relazione alle quote di importo fino  a  300
euro, in ogni caso  tali  censure  manterrebbero  la  loro  rilevanza
quanto meno per i carichi affidati dopo il 2010 fino a tutto il 2014. 
    La rilevanza non sarebbe parimenti pregiudicata  dall'entrata  in
vigore - nelle  more  del  giudizio  -  dell'art.  4,  comma  4,  del
decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41  (Misure  urgenti  in  materia  di
sostegno alle imprese e agli operatori economici, di lavoro, salute e
servizi   territoriali,   connesse   all'emergenza   da    COVID-19),
convertito, con modificazioni, nella legge 21 maggio 2021, n. 69,  ai
sensi del quale «[s]ono automaticamente annullati i debiti di importo
residuo, alla data di entrata in  vigore  del  presente  decreto  [23
marzo 2021], fino a 5.000 euro, comprensivo  di  capitale,  interessi
per ritardata iscrizione a ruolo e sanzioni, risultanti  dai  singoli
carichi affidati agli agenti della riscossione dal 1° gennaio 2000 al
31 dicembre 2010 [...]». Rilevano, infatti, innanzitutto i rimettenti
che «alla data di deposito della presente ordinanza» non  era  ancora
stato emanato il decreto  ministeriale  (di  cui  al  comma  5  della
medesima  disposizione)  recante  le   modalita'   e   le   date   di
annullamento, cosicche'  non  si  sarebbe  ancora  perfezionato,  ne'
formalizzato l'annullamento parziale dei relativi  carichi.  In  ogni
caso - precisano i giudici a quibus - relativamente alle vicende  per
cui e' causa residuerebbero carichi: a) di importo anche superiore  a
cinquemila euro; b) affidati successivamente al 2010; c)  riguardanti
soggetti «con reddito imponibile al 2019 non compreso  nel  tetto  di
30.000 euro» prescritto dalla disciplina per l'accesso all'istituto. 
    3.1.-  I  rimettenti  affermano  poi  che  «[l]a   normativa   di
riferimento e' pacificamente rinvenibile nell'articolo 1 della  legge
23 dicembre 2014 n. 190»,  per  cui  i  termini  previsti  dal  primo
periodo del comma 684  dell'art.  1  della  legge  n.  190  del  2014
(richiamati dal secondo periodo del comma 687 dello stesso art. 1)  e
modificati, in corso di causa, prima dall'art. 1, comma 10-quinquies,
del decreto-legge 16 ottobre 2017, n. 148  (Disposizioni  urgenti  in
materia finanziaria e per esigenze  indifferibili),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 4 dicembre 2017, n. 172, poi dall'art.  3,
comma 20, del d.l. n. 119 del 2018 (in vigore dal 24 ottobre 2018) si
applicano alle fattispecie oggetto dei giudizi a quibus. 
    La Corte dei conti rimettente precisa infine che agli effetti dei
giudizi sottoposti al suo esame - concernenti come gia'  ricordato  i
carichi affidati dal 2000 al 2014 - non  inciderebbero  le  ulteriori
proroghe dei termini per  la  presentazione  delle  comunicazioni  di
inesigibilita' disposte dall'art. 68, comma 4, del  decreto-legge  17
marzo 2020, n. 18 (Misure di  potenziamento  del  Servizio  sanitario
nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e  imprese
connesse all'emergenza epidemiologica da COVID-19),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020,  n.  27,  e  dall'art.  4,
comma 1, lettera c), del  d.l.  n.  41  del  2021,  come  convertito,
poiche'  hanno  riguardato  comunicazioni  relative   ad   annualita'
successive, ovverosia dal 2018. 
    3.2.- I  rimettenti,  inoltre,  stante  il  tenore  delle  norme,
affermano non essere praticabile l'interpretazione costituzionalmente
orientata delle disposizioni  denunciate  propugnata  dal  Comune  di
Teramo, per cui, da un lato, il differimento del termine  ultimo  per
la presentazione della domanda di discarico non impedirebbe  all'ente
creditore   di   esercitare   il   controllo    sull'attivita'    del
concessionario e, dall'altro, l'esclusione delle  quote  fino  a  300
euro  dall'assoggettamento  al   controllo   sarebbe   esclusivamente
funzionale a esentare da responsabilita' amministrativa  e  contabile
l'ente creditore che non lo esercitasse. 
    3.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza, i giudici a quibus,
nel presupposto interpretativo che il citato art. 1, comma 815, della
legge n. 160 del 2019 abbia valenza di interpretazione autentica, nel
senso di considerare agenti della  riscossione,  agli  effetti  delle
norme censurate, anche le  societa'  "scorporate",  ritengono  che  i
menzionati periodi dei commi 687 e 688 dell'art. 1 della legge n. 190
del  2014,  in  combinato  disposto  con  il  precedente  comma  684,
lederebbero  l'art.  3  Cost.,   in   relazione   al   principio   di
ragionevolezza,  poiche',  per  le  ragioni  di  ordine   sistematico
ritraibili dalla motivazione della sentenza di questa Corte n. 51 del
2019 (punto 4.3.4. del Considerato in diritto), sarebbe irragionevole
l'«opzione interpretativa» che conseguirebbe alla «scelta legislativa
di aver esteso (ab origine, o comunque con interpretazione autentica)
il meccanismo dello "scalare inverso"  anche  alle  societa'  private
"scorporate", "prorogando in un futuro abnormemente lontano i termini
per il controllo da parte degli enti creditori"». 
    3.4.- Sulla base di queste  premesse  interpretative,  i  giudici
rimettenti ripropongono in termini identici le medesime censure a suo
tempo prospettate nelle gia' menzionate ordinanze n. 81, n. 84  e  n.
120 del  2018  con  le  quali  erano  state  sollevate  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 687, secondo  periodo,
e 688, secondo periodo, della legge n. 190 del 2014,  poi  decise  da
questa Corte con la citata sentenza n. 51 del 2019. 
    Piu' precisamente  osservano  che,  con  le  citate  disposizioni
dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014, in combinato disposto con il
precedente comma 684 (che  prevede  appunto  il  meccanismo  "scalare
inverso"),  «il  legislatore  sembr[erebbe]  aver  abdicato,  per   i
prossimi  anni,  alla  tempestiva  vigilanza   sull'andamento   delle
riscossioni  di  crediti  risalenti  nel  tempo»  e  conseguentemente
ritengono che le norme censurate  violerebbero  l'art.  3  Cost.,  in
relazione al principio di ragionevolezza. Cio' in quanto, da un lato,
nel regolare la procedura di discarico per inesigibilita' dei crediti
(sia  nella  fase  amministrativa  del  procedimento  che  in  quella
successiva giurisdizionale), esse prevederebbero (con l'art. 1, comma
687, secondo periodo) un periodo di sospensione della definizione dei
rapporti tra ente creditore e  agente  della  riscossione  di  durata
oggettivamente abnorme (tale da sfiorare i quaranta anni, per i ruoli
del 2000, i venti anni, per i ruoli del 2008 e i dieci  anni,  per  i
ruoli del 2014), rendendo l'agente della riscossione non  interessato
a  presentare  la  comunicazione   di   inesigibilita'.   Dall'altro,
sottrarrebbero al controllo dell'ente creditore le quote affidate  di
valore unitario non superiore a 300 euro (art. 1, comma 688,  secondo
periodo), anche nelle ipotesi in cui tali quote  abbiano  un  ingente
valore cumulativo, impedendo cosi' all'ente creditore ogni  sindacato
sull'operato del proprio agente. 
    Secondo i giudici rimettenti,  le  censurate  disposizioni  della
legge n. 190 del 2014 si porrebbero in  contrasto  altresi'  con  gli
artt. 24 e 103 Cost., perche' impedirebbero di fatto,  per  un  tempo
incongruamente lungo, di accedere alla tutela giurisdizionale dinanzi
al giudice contabile per definire la posizione patrimoniale dell'ente
creditore e, per le quote di valore unitario inferiore o pari  a  300
euro, addirittura  precluderebbero  in  via  definitiva  e  non  solo
temporanea la possibilita' di accesso a detta tutela. 
    Rispetto poi  agli  artt.  111  Cost.  e  «6  CEDU  come  ripreso
dall'art. 47 Carta UE», i rimettenti ne assumono la  lesione  perche'
la disciplina  censurata,  posticipando  di  venti  o  quaranta  anni
l'eventuale processo davanti al giudice contabile,  non  garantirebbe
l'effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    Essi  ritengono,  inoltre,   che   le   indubbiate   disposizioni
violerebbero sia l'art. 81 Cost., in quanto il rinvio «ad un  momento
futuro  eccessivamente  lontano»   dell'accertamento   dell'effettiva
riscuotibilita' di un credito  contrasterebbe  con  il  perseguimento
degli equilibri di finanza pubblica, sia  l'art.  97  Cost.,  perche'
rappresenterebbero «un ostacolo a che l'organizzazione pubblica possa
bene organizzarsi per assicurare una sana gestione finanziaria». 
    Quanto all'art. 53 Cost., i giudici a  quibus  affermano  che  la
disciplina censurata, disponendo la sospensione per lungo  tempo  dei
controlli dell'attivita' di riscossione ovvero  addirittura  la  loro
esclusione (per le quote di valore unitario inferiore o  pari  a  300
euro),  contrasterebbe  con  il  principio  di   effettivita'   della
capacita' contributiva,  perche'  consentirebbe  che  l'attivita'  di
riscossione si svolga in condizioni  di  non  effettiva  parita'  nei
confronti  di  tutti  i  contribuenti,   tollerando   situazioni   di
sottrazione all'obbligo di contribuzione. 
    Infine, i giudici rimettenti denunciano la lesione dell'art. 119,
primo, secondo e quarto comma, Cost., in quanto l'applicazione  delle
due disposizioni  impedirebbe  all'ente  locale  creditore  di  avere
conoscenza delle risorse finanziarie effettivamente disponibili. 
    4.- Riguardo  alla  distinta  censura  formulata  in  riferimento
all'art. 4 del d.l. n. 119 del 2018, come  convertito,  i  rimettenti
precisano, in punto di rilevanza, che l'annullamento dei  crediti  da
esso disposto «sicuramente travolgerebbe, come  incontestato,  almeno
una parte dei carichi in giudizio». Cio' sia a  voler  accedere  alla
gia'  accennata   «interpretazione   restrittiva   della   norma   di
interpretazione   autentica   sulla   nozione   di   "agenti    della
riscossione"», cioe' limitandola ai soli crediti  ante  scorporo  del
2006,  sia  prediligendo  quella  piu'  ampia   per   cui   sarebbero
interessati tutti quei carichi di importo fino a mille euro  affidati
tra il 2000 e il 2010.  Del  resto  -  precisa  la  Corte  dei  conti
rimettente - secondo quanto riferito  dal  Comune  di  Teramo  e  non
contestato,  la  SOGET,  in  forza  di  tale  disposizione,   avrebbe
effettivamente annullato crediti  del  Comune  per  complessivi  euro
2.053.290,72. 
    Aggiungono  inoltre  i  giudici  a  quibus  che  sia  il   tenore
letterale, sia la ratio della norma, sia l'espresso  rinvio  all'art.
1, comma 529, della legge  n.  228  del  2012  (idoneo  ad  escludere
l'applicabilita' delle procedure di discarico per  inesigibilita',  i
correlati controlli e la responsabilita'  dell'agente,  ad  eccezione
delle  sole  fattispecie  di  dolo)  renderebbero  la  norma   stessa
applicabile «anche ai rapporti pendenti e in particolare a quelli sub
iudice», tra cui rientrerebbero quelli per i quali e' causa. 
    4.1.-  Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  i   rimettenti
ripropongono le medesime  questioni  di  legittimita'  costituzionale
«gia' dinanzi illustrate con riferimento alle quote di importo fino a
trecento euro» prospettate in relazione agli artt. 3, 24, 53, 81, 97,
103, 111, e 119, primo, secondo e quarto comma, Cost., individuandole
per rinvio ai paragrafi VI.1 e  seguenti  di  ciascuna  ordinanza  di
rimessione. 
    «In aggiunta» ai predetti parametri, i rimettenti argomentano  le
loro doglianze pure in riferimento agli artt. 114, 117 e  118  Cost.,
poiche' tale disciplina  lederebbe  l'autonomia,  anche  finanziaria,
dell'ente locale interessato,  «prescinde[ndo]  totalmente  non  solo
dalle valutazioni ed  ipotetiche  determinazioni  dell'ente  medesimo
[...], ma anche  dalle  caratteristiche  concrete  del  magazzino  di
crediti  oggetto  di  "stralcio"  (essendovi   intuitive,   rilevanti
differenze tra i crediti statali e quelli degli enti locali), nonche'
dallo stato del relativo contenzioso, senza peraltro prevedere  alcun
meccanismo compensativo». 
    Ad avviso della Corte dei conti rimettente sarebbe inoltre «[d]el
tutto  eccentrico»  il   correlato   meccanismo   di   esenzione   da
responsabilita'  amministrativa  e   contabile,   mediante   espressa
improcedibilita' nei relativi giudizi, ancorche' si tratti di crediti
«ricadenti  in  epoca  anteriore  alla  disposizione  legislativa  di
"stralcio"».  Cio'  aggraverebbe  le  gia'  prospettate  censure   in
riferimento:  a)   all'art.   3   Cost.,   per   irragionevolezza   e
arbitrarieta' dell'annullamento indiscriminato di crediti «sulla sola
base del relativo importo e dell'anno di affidamento in riscossione»;
b) all'art. 24 Cost., poiche' il Comune sarebbe privato  del  diritto
ad attivare o proseguire la difesa giudiziale delle proprie ragioni e
del proprio patrimonio «tanto nei confronti del debitore, quanto  nei
confronti  dell'agente,  pur  a  fronte  di  pregressi  comportamenti
gravemente colposi di quest'ultimo»; c) all'art. 53 Cost., in  quanto
la norma denunciata  si  risolverebbe  «in  una  impropria  esenzione
d'imposta, con effetto retroattivo». 
    Inoltre la disciplina  censurata  priverebbe  arbitrariamente  la
societa' scorporata  della  possibilita'  di  beneficiare  dell'aggio
della riscossione, seppure in relazione a crediti di modesto  importo
- solitamente di piu' agevole realizzo - e a prescindere dallo  stato
della procedura di riscossione. 
    Infine, secondo i giudici a quibus, sulla base  della  menzionata
sentenza n. 51 del 2019 di questa Corte, che ha distinto le  societa'
pubbliche (subentrate ai precedenti  concessionari  nazionali)  dalle
societa' private "scorporate" operanti  per  gli  enti  territoriali,
potrebbe «seriamente dubitarsi,  dopo  la  norma  di  interpretazione
autentica, della ragionevolezza della scelta legislativa nella  parte
in cui ha automaticamente esteso la "rottamazione" anche ai  rapporti
tra enti territoriali e societa' private  "scorporate",  includendovi
in linea di principio anche i carichi affidati  successivamente  allo
scorporo, incidendo cosi' nei  rapporti  convenzionali  tra  soggetti
privati e soggetti pubblici  dotati  di  garanzie  costituzionali  di
autonomia». 
    5.-  In  data  4  ottobre  2021,  in  ciascuno  dei  tre  giudizi
incidentali, si e' costituito il Comune di Teramo, ente creditore. 
    5.1.- In merito alle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo  periodo,  in
combinato disposto con il comma 684, della legge  n.  190  del  2014,
«come interpretati autenticamente»  dall'art.  1,  comma  815,  della
legge n. 160 del 2019, la difesa  comunale,  in  via  principale,  ha
ulteriormente   argomentato   l'interpretazione    costituzionalmente
orientata disattesa dai rimettenti. 
    In via subordinata il  Comune  ha  chiesto  l'accoglimento  delle
questioni  aderendo  alle  prospettazioni  della  Corte  dei   conti,
limitandosi ad aggiungere alcune considerazioni. In  particolare,  la
difesa comunale, traendo  spunto  dai  passaggi  argomentativi  della
richiamata sentenza n. 51 del 2019, afferma che  «dovrebbe  risultare
pacifica l'incostituzionalita' dell'estensione» del meccanismo  dello
"scalare inverso" «operata dall'art. 1, comma 815» della legge n. 160
del 2019, ai concessionari della  riscossione  che,  come  la  SOGET,
siano imprese private. 
    5.2.- Quanto poi alle questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 4 del d.l. n. 119 del 2018,  come  convertito,  prospettate
«in combinato disposto» con il predetto art. 1, comma 815, la  difesa
comunale, in via principale, afferma che esse sarebbero inammissibili
per difetto di rilevanza nei giudizi a  quibus.  Ed  infatti,  avendo
gia' avuto luogo il procedimento  di  discarico  per  inesigibilita',
conclusosi con i provvedimenti di diniego (oggetto di impugnazione da
parte di SOGET), non dovrebbe poter trovare applicazione la normativa
sopravvenuta che prevede l'annullamento di debiti e, a  carico  dello
Stato, il rimborso in  favore  dell'agente  della  riscossione  delle
spese sostenute  per  le  procedure  esecutive  relative  alle  quote
annullate. 
    Osserva ancora la difesa comunale che  il  difetto  di  rilevanza
troverebbe ulteriore  riscontro  nel  tenore  letterale  della  norma
censurata  che,   escludendo   espressamente   l'applicazione   della
disciplina delle  comunicazioni  di  inesigibilita'  e  dei  relativi
controlli, farebbe salvi gli effetti prodotti nei casi in cui  quelle
disposizioni  fossero  gia'  state  applicate,  «come  accaduto   nei
rapporti tra Comune di Teramo e SOGET per cui e' causa». 
    In via subordinata, laddove si aderisse  alla  ricostruzione  dei
rimettenti sulla rilevanza  della  disciplina  censurata,  il  Comune
chiede l'accoglimento di tutte le questioni sollevate facendo proprie
le relative argomentazioni a sostegno evidenziate dalle ordinanze  di
rimessione. 
    6.- In data 5 ottobre  2021,  in  ciascuno  dei  tre  giudizi  di
legittimita', si e' costituita la SOGET, chiedendo il  rigetto  delle
questioni. 
    La societa' - nel presupposto che  l'art.  1,  comma  815,  della
legge n. 160 del 2019 abbia «evidente natura interpretativa»,  avendo
«risolto i dubbi insorti all'indomani della pronuncia della Consulta,
restituendo unitarieta' al sistema della riscossione» - afferma  che:
a)  i  nuovi  termini  di   integrazione   delle   comunicazioni   di
inesigibilita' di cui al comma 687 dell'art. 1 della legge n. 190 del
2014 non violerebbero gli artt. 53, 81 e 97 Cost., essendo diretti  a
favorire le entrate pubbliche e non il soggetto privato preposto alla
riscossione; b) l'inibizione dei controlli sulle  quote  fino  a  300
euro   comporterebbe    il    benefico    effetto    di    consentire
l'intensificazione dei controlli per le quote di importo maggiore; c)
la  disciplina  denunciata  costituirebbe   il   risultato   di   una
ragionevole  ponderazione  di  valori  costituzionalmente  rilevanti,
effettuata   nell'ambito   della   discrezionalita'   riservata    al
legislatore. 
    In subordine, la SOGET sollecita l'adozione di una pronuncia  che
tuteli l'affidamento da essa maturato  e  non  travolga  gli  effetti
medio tempore prodotti dalle norme censurate,  eventualmente  facendo
ricorso alla  «sequenza  decisionale  "in  due  tempi"  rappresentata
dall'ordinanza n. 207 del 2018 e dalla sentenza n. 242 del  2019,  al
fine di invocare la collaborazione del  legislatore  per  scongiurare
gli effetti del  vuoto  legislativo  provocato  dalla  rimozione  del
differimento (incostituzionale) dei termini». 
    7.- Con atti depositati il 5 ottobre 2021, in  ciascuno  dei  tre
giudizi, e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  (per  la
mancanza di un  tentativo  di  lettura  costituzionalmente  orientata
della   disciplina   censurata,   nonche',   conseguentemente,    per
insufficiente motivazione sulla rilevanza) o comunque non fondate. 
    7.1.- Osserva l'Avvocatura generale che la Corte  dei  conti  non
avrebbe fornito nessuna argomentazione sull'applicabilita' del citato
art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019 nei giudizi a  quibus,
considerandolo «un vero e proprio assioma», sottraendosi  quindi  «al
doveroso tentativo» di  un'interpretazione  adeguatrice  delle  norme
censurate col sistema della riscossione e con il principio  stabilito
nella citata sentenza n. 51 del 2019 di questa Corte «per il quale la
qualita' di Agente della Riscossione spett[erebbe]  esclusivamente  a
soggetti riconducibili all'ambito pubblico». Secondo l'interveniente,
infatti, il tenore letterale del menzionato art. 1,  comma  815,  non
sembrerebbe necessariamente implicare l'automatica applicazione  alle
societa' cosiddette scorporate,  in  modo  indistinto,  di  tutte  le
disposizioni di legge relative agli agenti pubblici della riscossione
ovverosia anche di  quelle,  come  appunto  le  norme  oggetto  delle
odierne  censure,  per  le  quali  l'estensione  a  soggetti  privati
«comporterebbe un assetto normativo palesemente irragionevole». 
    7.2.-  Nel  merito,  l'Avvocatura  generale  argomenta   la   non
fondatezza di tutte le censure. 
    7.2.1.- Piu' precisamente, riguardo ai denunciati commi dell'art.
1 della legge  n.  190  del  2014  sarebbe  priva  di  fondamento  la
questione  sollevata  in  riferimento  all'art.  3  Cost.  quanto  al
principio di ragionevolezza. Tali disposizioni infatti, se inquadrate
nell'ambito del peculiare contesto in cui  sono  state  dettate,  non
trasmoderebbero in manifesta irragionevolezza, essendo finalizzate  a
risolvere un «fenomeno strutturale» di accumulo di un'ingente mole di
partite creditorie insolute.  Inoltre,  l'eliminazione  di  una  sola
parte  della  disciplina  ne  «incrinerebbe  irrimediabilmente   [la]
coerenza  e  determinerebbe  irrimediabilmente  l'illegittimita'  del
residuo impianto normativo». 
    La difesa statale denuncia poi la non fondatezza delle  questioni
sollevate in riferimento agli artt. 24 e 103  Cost.,  in  quanto  non
sarebbero provviste di un'effettiva autonomia rispetto alla  eccepita
violazione dell'art. 3 Cost. e comunque  risulterebbero  inconferenti
rispetto a  disposizioni  chiaramente  relative  a  procedimenti  non
giurisdizionali, bensi' amministrativi  (ovverosia  di  controllo  di
inesigibilita' delle quote) che solo  eventualmente  potrebbero  dare
luogo a vicende in sede giudiziale. 
    Del pari inconferente sarebbe  il  richiamo  all'art.  81  Cost.,
considerato che l'iscrizione a ruolo di un credito non sarebbe di per
se' idonea a giustificare la copertura di previsioni  di  spesa.  Del
resto, il differimento temporale  della  formale  eliminazione  dalle
scritture  contabili  dei  crediti   affidati   agli   agenti   della
riscossione  non  impedirebbe  all'ente  pubblico  di  effettuare  le
proprie valutazioni ai fini della redazione del bilancio, posto  che,
ai sensi dell'art. 36, comma 1, del d.lgs. n. 112 del  1999  (attuato
con decreto del Ministro delle finanze 22 ottobre  1999),  tale  ente
avrebbe a disposizione periodicamente e  dettagliatamente  «tutte  le
informazioni concernenti le attivita' compiute  dallo  stesso  agente
per il recupero dei carichi affidati». 
    Le  stesse   argomentazioni,   secondo   l'Avvocatura   generale,
dimostrerebbero  la  non  fondatezza  anche  delle  censure  riferite
all'art. 119, primo, secondo e quarto comma, Cost. 
    Parimenti non fondate sarebbero poi le doglianze rivolte all'art.
97  Cost.,  poiche'  le  disposizioni  indubbiate  sarebbero   invece
destinate a operare una predeterminazione in  via  legislativa  delle
priorita' di azione in materia di verifica dell'inesigibilita'  delle
somme iscritte a ruolo. 
    Ancora inconferente sarebbe il richiamo all'art. 53  Cost.,  data
la  discrezionalita'  delle  scelte   del   legislatore   in   merito
all'attivita' di riscossione. 
    7.2.2.- L'interveniente argomenta infine la non fondatezza  delle
nuove questioni sollevate dai giudici a quibus relativamente all'art.
4 del d.l. n. 119 del 2018, come convertito. 
    Quanto ai denunciati vulnera agli artt. 114, 117, 118 e 119 Cost.
per lesione dell'autonomia finanziaria dell'ente locale, l'Avvocatura
generale osserva che i rimettenti avrebbero omesso di considerare che
la disciplina censurata costituirebbe «legittimo esercizio del potere
legislativo dello  Stato  in  materia  di  politica  economica  e  di
gestione  dell'economia  nazionale»  relativamente  ad   aspetti   di
costituzione, funzionamento e gestione del sistema della  riscossione
mediante   ruolo,   caratterizzato   «da   esigenze   unitarie    che
impo[rrebbero] una disciplina centralizzata ed omogenea» (sono citate
l'ordinanza n. 32 del 2019 e la sentenza n. 29  del  2018  di  questa
Corte). 
    Parimenti non fondate sarebbero le censure riferite agli artt. 3,
24 e 53 Cost. 
    In  particolare,  secondo  la  difesa   statale   la   disciplina
indubbiata, nel disporre l'automatico annullamento dei carichi fino a
mille euro affidati dal 2000 al 2010, sarebbe diretta non solo a dare
certezza a rapporti  assai  risalenti,  ma  anche  a  concentrare  la
capacita'  operativa  dell'agente  della   riscossione   sulle   piu'
fruttuose azioni di recupero dei carichi piu'  recenti  per  i  quali
sarebbe «piu' ragionevole nutrire concrete aspettative di incasso». 
    8.- In data 17 gennaio 2022 il Comune  di  Teramo  ha  depositato
memoria in  ciascuno  dei  tre  giudizi,  confutando  le  ragioni  di
inammissibilita' sollevate dall'Avvocatura generale. 
    9.- In data 18 gennaio 2022 la SOGET  ha  depositato  memoria  in
ciascuno dei tre giudizi. 
    La societa'  dopo  aver  preliminarmente  dichiarato  di  aderire
all'eccezione di inammissibilita' formulata dall'Avvocatura  generale
per omesso tentativo di interpretazione conforme  e  per  difetto  di
motivazione sulla rilevanza, nel merito insiste per il rigetto  delle
questioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con tre ordinanze di analogo tenore del 31 maggio 2021  (reg.
ord. numeri 126, 127 e 128 del 2021), la  Corte  dei  conti,  sezione
giurisdizionale  per  la  Regione  Abruzzo,  ha  sollevato   distinte
questioni di legittimita' costituzionale. 
    1.1.- Innanzitutto i rimettenti  dubitano,  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 (questo in  relazione  all'«art.  6
CEDU come ripreso dall'art. 47 Carta UE») e  119,  primo,  secondo  e
quarto comma, della Costituzione, della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 687, secondo periodo, e 688, secondo  periodo,  in
combinato disposto con il comma 684, della legge 23 dicembre 2014, n.
190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale  dello  Stato  (legge   di   stabilita'   2015)»,   «come
interpretati autenticamente» dall'art. 1, comma 815, della  legge  27
dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno
finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il  triennio  2020-2022),
ovverosia nel presupposto interpretativo che essi,  nel  regolare  la
procedura di discarico  per  inesigibilita'  dei  crediti,  avrebbero
«effetto anche per le societa' private "scorporate"». 
    Piu' precisamente, il citato art. 1, comma 815,  della  legge  n.
160 del 2019, dispone che «[i] contenuti delle norme vigenti riferite
agli agenti della riscossione si  intendono  applicabili,  sin  dalla
data di entrata in vigore delle stesse norme,  anche  alle  attivita'
svolte in regime di concessione per conto degli enti locali,  il  cui
ramo d'azienda e' stato trasferito ai sensi  dell'articolo  3,  comma
24, lettera b)», del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203  (Misure
di contrasto all'evasione fiscale e disposizioni urgenti  in  materia
tributaria e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge
2 dicembre 2005, n.  248  (cioe'  alle  cosiddette  societa'  private
"scorporate"). 
    I censurati commi 687, secondo periodo, e 688,  secondo  periodo,
dell'art. 1 della legge n. 190 del  2014,  in  sintesi,  stabiliscono
che: a) il controllo delle comunicazioni di  inesigibilita'  relative
alle quote di cui al comma 684 del medesimo art. 1 della citata legge
n.  190  del  2014  (ovverosia  quelle  affidate  agli  agenti  della
riscossione dal 1° gennaio 2000 al  31  dicembre  2017)  puo'  essere
avviato solo decorsi  i  termini  previsti  dallo  stesso  comma  684
(secondo il cosiddetto meccanismo dello "scalare inverso"), anche con
riguardo alle comunicazioni presentate  anteriormente  alla  data  di
entrata in vigore della citata legge,  poiche'  integrabili  entro  i
medesimi termini previsti per la  loro  presentazione;  b)  le  quote
inesigibili, di valore inferiore o pari a 300 euro -  con  esclusione
di quelle afferenti alle risorse proprie tradizionali di cui all'art.
2, paragrafo 1, lettera a), delle decisioni 2007/436/CE, Euratom, del
Consiglio, del 7 giugno  2007,  relativa  al  sistema  delle  risorse
proprie  delle  Comunita'  europee  e   2014/335/UE,   Euratom,   del
Consiglio, del 26 maggio 2014,  relativa  al  sistema  delle  risorse
proprie dell'Unione europea - non sono assoggettate al  controllo  di
cui all'art. 19 del  decreto  legislativo  13  aprile  1999,  n.  112
(Riordino del servizio nazionale  della  riscossione,  in  attuazione
della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337). 
    Quanto alla non manifesta infondatezza, i giudici a  quibus,  nel
presupposto interpretativo che il citato art.  1,  comma  815,  della
legge n. 160 del 2019 abbia valenza di interpretazione autentica, nel
senso di considerare agenti della  riscossione,  agli  effetti  delle
norme censurate, anche le societa'  private  "scorporate",  ritengono
che i citati commi 687 e 688 dell'art. 1 della legge n. 190 del 2014,
in combinato disposto con il precedente comma 684, lederebbero l'art.
3 Cost., in relazione al principio di ragionevolezza. 
    Pertanto, sulla base di queste premesse interpretative, i giudici
rimettenti ripropongono le medesime censure  gia'  prospettate  nelle
ordinanze n. 81, n. 84 e n. 120 del 2018 con  le  quali  erano  state
sollevate questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi
687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, della legge n. 190  del
2014, poi decise da questa Corte con la sentenza n. 51 del 2019. 
    Segnatamente osservano che, con le citate disposizioni  dell'art.
1 della  legge  n.  190  del  2014,  in  combinato  disposto  con  il
precedente comma 684 (che  prevede  appunto  il  meccanismo  "scalare
inverso"),  «il  legislatore  sembr[erebbe]  aver  abdicato,  per   i
prossimi  anni,  alla  tempestiva  vigilanza   sull'andamento   delle
riscossioni  di  crediti  risalenti  nel  tempo»  e  conseguentemente
ritengono che le norme sopra denunciate violerebbero l'art. 3  Cost.,
in relazione al principio di ragionevolezza. Cio' in  quanto,  da  un
lato, nel regolare la procedura di discarico per  inesigibilita'  dei
crediti (sia nella fase amministrativa del procedimento che in quella
successiva giurisdizionale), esse prevederebbero (con l'art. 1, comma
687, secondo periodo) un periodo di sospensione della definizione dei
rapporti tra ente creditore e  agente  della  riscossione  di  durata
oggettivamente abnorme (tale da sfiorare i quaranta anni, per i ruoli
del 2000, i venti anni, per i ruoli del 2008 e i dieci  anni,  per  i
ruoli del 2014), rendendo l'agente della riscossione non  interessato
a  presentare  la  comunicazione   di   inesigibilita'.   Dall'altro,
sottrarrebbero al controllo dell'ente creditore le quote affidate  di
valore unitario non superiore a 300 euro (art. 1, comma 688,  secondo
periodo), anche nelle ipotesi in cui tali quote  abbiano  un  ingente
valore cumulativo, impedendo cosi' all'ente creditore ogni  sindacato
sull'operato del proprio agente. 
    Secondo i giudici rimettenti,  le  censurate  disposizioni  della
legge n. 190 del 2014 si porrebbero altresi'  in  contrasto  con  gli
artt. 24 e 103 Cost., perche' impedirebbero di fatto,  per  un  tempo
incongruamente lungo, di accedere alla tutela giurisdizionale dinanzi
al giudice contabile per definire la posizione patrimoniale dell'ente
creditore e, per le quote di valore unitario inferiore o pari  a  300
euro, addirittura  precluderebbero  in  via  definitiva  e  non  solo
temporanea la possibilita' di accesso a detta tutela. 
    Rispetto poi  agli  artt.  111  Cost.  e  «6  CEDU  come  ripreso
dall'art. 47 Carta UE», i rimettenti ne assumono la  lesione  perche'
la disciplina  censurata,  posticipando  di  venti  o  quaranta  anni
l'eventuale processo davanti al giudice contabile,  non  garantirebbe
l'effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    Essi  ritengono,  inoltre,   che   le   indubbiate   disposizioni
violerebbero sia l'art. 81 Cost., in quanto il rinvio «ad un  momento
futuro  eccessivamente  lontano»   dell'accertamento   dell'effettiva
riscuotibilita' di un credito  contrasterebbe  con  il  perseguimento
degli equilibri di finanza pubblica, sia  l'art.  97  Cost.,  perche'
rappresenterebbero «un ostacolo a che l'organizzazione pubblica possa
bene organizzarsi per assicurare una sana gestione finanziaria». 
    Quanto all'art. 53 Cost., i giudici a  quibus  affermano  che  la
sospensione  per  lungo  tempo  dei   controlli   dell'attivita'   di
riscossione ovvero addirittura la loro esclusione (per  le  quote  di
valore unitario inferiore o pari a 300 euro), contrasterebbe  con  il
principio  di  effettivita'  della  capacita'  contributiva,  perche'
l'attivita' di  riscossione  non  si  svolgerebbe  in  condizioni  di
effettiva parita' nei confronti di tutti i  contribuenti,  tollerando
situazioni di sottrazione all'obbligo di contribuzione. 
    Infine, i giudici rimettenti denunciano la lesione dell'art. 119,
primo, secondo e quarto comma, Cost., in quanto l'applicazione  delle
due disposizioni  impedirebbe  all'ente  locale  creditore  di  avere
conoscenza delle risorse finanziarie effettivamente disponibili. 
    1.2.- Inoltre i rimettenti dubitano, in riferimento agli artt. 3,
24, 53, 81, 97, 103, 111 (questo in relazione all'«art. 6  CEDU  come
ripreso dall'art. 47 Carta UE»), 114, 117, 118 e 119, primo,  secondo
e quarto comma, Cost., della legittimita' costituzionale dell'art.  4
del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119  (Disposizioni  urgenti  in
materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni,  nella
legge 17 dicembre 2018, n. 136, in quanto  prevederebbe  l'automatico
annullamento dei  debiti  di  importo  residuo  fino  a  mille  euro,
stabilendo altresi', mediante rinvio all'art.  1,  comma  529,  della
legge  24  dicembre  2012,  n.  228,  recante  «Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  (Legge  di
stabilita' 2013)», l'inapplicabilita' degli artt. 19 e 20 del  d.lgs.
n. 112 del 1999 e, fatti salvi i casi di dolo, l'improcedibilita' del
giudizio di responsabilita' amministrativo e contabile,  «anche  agli
effetti dei  rapporti  pendenti  tra  enti  territoriali  e  societa'
private "scorporate" (ex art. 1, comma 815, della legge  27  dicembre
2019, n. 160)». 
    Quanto alla non manifesta infondatezza i rimettenti  ripropongono
le medesime questioni di legittimita'  costituzionale  «gia'  dinanzi
illustrate con riferimento alle quote  di  importo  fino  a  trecento
euro» prospettate in relazione agli artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111
e 119 Cost., individuandole per rinvio ai paragrafi VI.1  e  seguenti
di ciascuna ordinanza di rimessione. 
    «In aggiunta» ai predetti parametri, i rimettenti argomentano  le
loro doglianze pure in riferimento agli artt. 114, 117 e  118  Cost.,
poiche' tale disciplina  lederebbe  l'autonomia,  anche  finanziaria,
dell'ente locale interessato, «prescindendo totalmente non solo dalle
valutazioni ed ipotetiche determinazioni dell'ente medesimo [...], ma
anche dalle caratteristiche concrete del magazzino di crediti oggetto
di  "stralcio"  (essendovi  intuitive,  rilevanti  differenze  tra  i
crediti statali e quelli degli enti locali), nonche' dallo stato  del
relativo  contenzioso,  senza  peraltro  prevedere  alcun  meccanismo
compensativo». 
    Ad avviso della Corte dei conti rimettente sarebbe inoltre «[d]el
tutto  eccentrico»  il   correlato   meccanismo   di   esenzione   da
responsabilita'  amministrativa  e   contabile,   mediante   espressa
improcedibilita' nei relativi giudizi, ancorche' si tratti di crediti
«ricadenti  in  epoca  anteriore  alla  disposizione  legislativa  di
"stralcio"».  Cio'  aggraverebbe  le  gia'  prospettate  censure   in
riferimento:  a)   all'art.   3   Cost.,   per   irragionevolezza   e
arbitrarieta' dell'annullamento indiscriminato di crediti «sulla sola
base del relativo importo e dell'anno di affidamento in riscossione»;
b) all'art. 24 Cost., poiche' il Comune sarebbe privato  del  diritto
ad attivare o proseguire la difesa giudiziale delle proprie ragioni e
del proprio patrimonio «tanto nei confronti del debitore, quanto  nei
confronti  dell'agente,  pur  a  fronte  di  pregressi  comportamenti
gravemente colposi di quest'ultimo»; c) all'art. 53 Cost., in  quanto
la norma denunciata  si  risolverebbe  «in  una  impropria  esenzione
d'imposta, con effetto retroattivo». 
    2.- Preliminarmente va rilevato che le  suddette  questioni  sono
sollevate in tre diversi giudizi vertenti tra le medesime parti e  in
relazione a  disposizioni  coincidenti.  I  giudizi  di  legittimita'
costituzionale sono percio' tra loro connessi  e  vanno  riuniti  per
essere congiuntamente trattati e decisi con unica pronuncia. 
    3.- Esaminando partitamente le diverse questioni di  legittimita'
costituzionale sottoposte al vaglio di questa Corte, con  riferimento
al  primo  gruppo   di   esse   non   sussistono   ragioni   ostative
all'ammissibilita'. 
    Innanzitutto   va   precisato,   infatti,   che   i   rimettenti,
correttamente  e  in  modo  ampio,  hanno  dato   conto   dello   ius
superveniens  (relativo  alle  ulteriori  proroghe   del   meccanismo
"scalare  inverso",  basato  cioe'   sull'esame   prioritario   delle
annualita' piu' recenti), motivando anche le  ragioni  per  le  quali
tali modifiche non incidono ratione temporis  sulla  rilevanza.  Essi
hanno specificamente precisato che tale profilo non sarebbe intaccato
nemmeno dalla sopravvenuta disciplina dello stralcio automatico  fino
a mille euro, di cui al censurato art. 4, del d.l. n. 119  del  2018,
come convertito, ne' da quella dell'annullamento dei carichi  residui
fino a 5.000 euro, di cui all'art. 4, comma 4, del  decreto-legge  22
marzo 2021, n. 41 (Misure urgenti in materia di sostegno alle imprese
e agli operatori economici, di lavoro, salute e servizi territoriali,
connesse all'emergenza da COVID-19), convertito,  con  modificazioni,
nella legge  21  maggio  2021,  n.  69,  residuando  comunque,  nelle
annualita' oggetto di contestazione, sia carichi di importi superiori
a 5.000 euro, sia quote inferiori o pari a euro 300 in annualita' dal
2010 al 2014 non interessate dai predetti sgravi. 
    Inoltre non sono fondate le  eccezioni  di  inammissibilita'  per
omesso  tentativo  di   interpretazione   conforme   a   Costituzione
formulate, in due prospettive distinte, dal Comune di  Teramo,  parte
costituita nel giudizio a quo, e dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, intervenuto in giudizio per mezzo dell'Avvocatura  generale
dello Stato. 
    Quanto all'eccezione del Comune, appaiono  pienamente  valide  le
ragioni al riguardo addotte dagli stessi rimettenti, secondo i  quali
il tenore  letterale  delle  disposizioni  censurate  non  lascerebbe
spazio a un'interpretazione «che  consenta  di  superare  il  vincolo
temporale ivi stabilito». Non e' infatti condivisibile l'esegesi  per
cui,  da  un  lato,  il  differimento  del  termine  ultimo  per   la
presentazione della domanda di  discarico  non  impedirebbe  all'ente
creditore   di   esercitare   il   controllo    sull'attivita'    del
concessionario e, dall'altro, l'esclusione delle  quote  fino  a  300
euro  dall'assoggettamento  al   controllo   sarebbe   esclusivamente
funzionale a esentare da responsabilita' amministrativa  e  contabile
l'ente creditore che non lo esercitasse. 
    Parimenti non fondata  e'  l'eccezione  dell'Avvocatura  generale
secondo  cui  dall'omesso  tentativo  di   interpretazione   conforme
discenderebbe una insufficiente motivazione sulla rilevanza. 
    Non solo l'art. 1, comma 815,  piu'  volte  citato  non  consente
alternative in merito  all'applicabilita'  alle  cosiddette  societa'
private "scorporate" (come di  seguito  meglio  illustrato  infra  al
punto 4.1.), ma esso assume  uno  specifico  significato  proprio  in
riferimento alla motivazione della sentenza n. 51  del  2019  e,  per
l'effetto,  alle  censure   oggi   riproposte   in   relazione   alle
disposizioni della legge n. 190 del 2014. 
    4.- La complessita' della vicenda rende,  in  effetti,  opportuno
ricordare, prima di procedere all'esame del merito, che questa  Corte
nella  sentenza  n.  51  del  2019  ha  dichiarato  inammissibili  le
questioni di legittimita' costituzionale gia' sollevate dai  medesimi
rimettenti sull'art. 1, commi 687, secondo periodo,  e  688,  secondo
periodo, della citata legge n. 190  del  2014,  in  riferimento  agli
artt. 3, 24, 53, 81, 97, 103, 111 e  119,  primo,  secondo  e  quarto
comma,  Cost.,  per  difetto  di  rilevanza  a   causa   dell'erroneo
presupposto interpretativo sui soggetti destinatari  della  normativa
denunciata. 
    Nelle ordinanze,  infatti,  si  attribuiva  «alla  SOGET  spa  la
qualita' di agente della riscossione del Comune  di  Teramo,  laddove
risulta dagli stessi atti dei giudizi,  anche  di  costituzionalita',
che tale societa' e', invece, una cessionaria  del  ramo  di  azienda
relativo alle attivita' svolte in regime  di  concessione  per  conto
degli enti locali», cioe' una "societa' privata scorporata". 
    Si era quindi ritenuto che la societa'  non  potesse  annoverarsi
tra gli «agenti della riscossione», cui unicamente e univocamente  il
legislatore aveva inteso riferire la disciplina censurata. 
    A  cio'  la  sentenza  perveniva  dopo   un'ampia   ricostruzione
dell'evoluzione del complesso quadro  normativo,  avallata  anche  da
argomenti di carattere  sistematico,  basati  sulla  distinzione  tra
«proroghe "generiche", in quanto riguardanti  tutti  i  concessionari
della  riscossione,  e  proroghe  "specifiche"   che   hanno   invece
riguardato solo i soggetti  "pubblici"  della  riscossione  (cioe'  i
soggetti a partecipazione pubblica ai sensi del comma 7  dell'art.  3
del d.l. n. 203 del 2005)». 
    Dopo  averne  illustrato  le  specifiche   rationes   e   cadenze
temporali, questa Corte giungeva infatti alla  conclusione  che  «una
disciplina di straordinaria eccezionalita' come quella introdotta con
l'art. 1, commi da 682 a 689,  della  legge  n.  190  del  2014  puo'
trovare applicazione [...] solo relativamente  a  quelle  fattispecie
ricomprese  nelle  proroghe  "specifiche"  disposte  dal   comma   12
dell'art. 3 del d.l.  n.  203  del  2005,  per  le  quali  i  termini
risultavano ancora pendenti alla data  di  entrata  in  vigore  della
riforma», «con conseguente irragionevolezza  di  una  interpretazione
che, a dispetto del tenore letterale,  la  estendesse  alle  suddette
societa' private "scorporate"». 
    Questo  in  quanto,  da  un  lato,  tale  disciplina   e'   stata
«introdotta nell'intento di rispondere a particolari  ed  eccezionali
esigenze  derivanti   esclusivamente   dall'istituzione   di   agenti
"pubblici" della riscossione» e connesse  all'«ingresso,  disposto  a
suo  tempo  ex  lege,  dei  soggetti  "pubblici"  nell'attivita'   di
riscossione degli enti territoriali, chiamati anche a supplire,  piu'
o meno obtorto collo, alle disfunzioni nell'attivita' di  riscossione
risalenti alle precedenti gestioni private». 
    E, dall'altro, perche' «i  termini  per  la  presentazione  delle
comunicazioni di  inesigibilita'  da  parte  della  societa'  private
"scorporate", in relazione ai ruoli  a  queste  consegnati  dall'ente
creditore,  erano  rimasti  fissati  dall'ultima  proroga  "generica"
[...]»; per cui «l'estensione del nuovo meccanismo "scalare  inverso"
anche  alle  societa'  private  "scorporate"   sortirebbe,   percio',
l'inammissibile effetto di riaprire termini ormai  scaduti  da  molti
anni (fattispecie che  non  si  verifica  per  i  ruoli  affidati  ai
soggetti del sistema "pubblico" della riscossione), prorogando in  un
futuro abnormemente lontano i termini per il controllo da parte degli
enti creditori» (ancora, sentenza n. 51 del 2019). 
    4.1.- A meno  di  un  anno  dalla  pubblicazione  della  suddetta
sentenza, tuttavia, il comma 815 dell'art. 1 della legge n.  160  del
2019 ha disposto che «[i] contenuti delle norme vigenti riferite agli
agenti della riscossione si intendono applicabili, sin dalla data  di
entrata in vigore delle stesse norme, anche alle attivita' svolte  in
regime di concessione per  conto  degli  enti  locali,  il  cui  ramo
d'azienda e' stato trasferito ai sensi  dell'articolo  3,  comma  24,
lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248»,  cioe'  alle
cosiddette societa' private "scorporate". 
    E' in forza di questa nuova disposizione che i giudici  a  quibus
tornano sostanzialmente a  sottoporre,  in  riferimento  ai  medesimi
parametri e motivazioni, a questa Corte le questioni di legittimita',
gia' sollevate nella precedente occasione, sulle norme relative  alle
comunicazioni delle quote inesigibili secondo un meccanismo  "scalare
inverso" e al non assoggettamento a controllo delle quote fino a  300
euro. Le questioni tuttavia vengono ora orientate non  piu'  su  tali
norme di  per  se'  considerate,  ma  sull'estensione  retroattiva  -
prodotta per effetto dell'art. 1, comma 815, prima  richiamato  -  di
queste ultime alle societa' private "scorporate". 
    Piu' precisamente,  secondo  i  giudici  a  quibus,  i  censurati
periodi dei commi 687 e 688 dell'art. 1 della legge n. 190 del  2014,
in combinato disposto con il precedente comma 684, «come interpretati
autenticamente dall'art. 1, comma 815, della legge 27 dicembre  2019,
n.  160»  ovverosia  «con  effetto  anche  per  le  societa'  private
"scorporate"»,  lederebbero,  in  particolare,  l'art.  3  Cost.,  in
relazione al principio di ragionevolezza. E infatti, per le  «ragioni
di ordine sistematico» ritraibili dalla motivazione della sentenza di
questa  Corte  n.  51  del  2019,  sarebbe  irragionevole  l'«opzione
interpretativa» che conseguirebbe «alla scelta  legislativa  di  aver
esteso (ab origine, o  comunque  con  interpretazione  autentica)  il
meccanismo  dello  "scalare  inverso"  anche  alle  societa'  private
"scorporate", 'prorogando in un futuro abnormemente lontano i termini
per il controllo da parte degli enti creditori'». 
    In questi termini deve essere quindi circoscritto il petitum  dei
rimettenti, che, del resto, solo in  virtu'  della  suddetta  novella
normativa, possono tornare fondatamente a sostenere, rispetto al dato
normativo precedentemente considerato da questa Corte nella  sentenza
n. 51 del 2019, la rilevanza delle questioni. 
    Di questa delimitazione e' riprova il fatto che i  rimettenti  si
premurano di precisare che queste specifiche questioni sono sollevate
avendo «riguardo alle sole disposizioni che, effettivamente, assumono
concreta ed attuale rilevanza nell'ambito del presente giudizio». 
    4.2.- Le questioni sono fondate in riferimento all'art. 3  Cost.,
per violazione del principio di ragionevolezza, con  assorbimento  di
tutti gli altri profili. 
    L'art. 1, comma 815, della legge n. 160 del  2019  riecheggia  la
terminologia dell'originaria formulazione del comma  28  dell'art.  3
del d.l. n. 203 del 2005, come convertito,  che  disponeva  che  «[a]
decorrere dal 1° ottobre 2006», data di soppressione del  sistema  di
affidamento in concessione del servizio nazionale della  riscossione,
«i riferimenti  contenuti  in  norme  vigenti  ai  concessionari  del
servizio nazionale  della  riscossione  si  intendono  riferiti  alla
Riscossione S.p.a. ed alle societa' dalla stessa partecipate [...]». 
    Tale formulazione ha consentito  di  applicare,  dal  1°  ottobre
2006, alla Riscossione spa e alle societa' dalla  stessa  partecipate
tutti i riferimenti normativi delle previgenti disposizioni  relativi
ai concessionari nazionali della riscossione. 
    Il comma 815 dell'art. 1 della legge n. 160 del 2019, seppure  in
forma poco cristallina, appare quindi diretto a  estendere  "ora  per
allora" anche alle societa' "scorporate" la qualificazione di  agenti
della riscossione in senso stretto, in riferimento  agli  adempimenti
cui tali societa' erano tenute. 
    In  tale  prospettiva,  per  quanto   qui   rileva,   l'esplicita
precisazione nella disposizione «sin dalla data di entrata in  vigore
delle stesse norme» ha la puntuale funzione di saldare la  sorte  dei
controlli delle quote delle societa' scorporate a quella  dell'agente
della riscossione, neutralizzando cosi' la  fondamentale  distinzione
tra proroghe "generiche" e proroghe "specifiche"  invece  evidenziata
come elemento caratterizzante lo sviluppo dell'ordinamento da  questa
Corte nella ricordata sentenza n. 51 del 2019. 
    4.3.- Questo effetto viene prodotto da una disposizione  che  non
si autoqualifica espressamente come di interpretazione autentica,  ma
che evoca senz'altro una formula tipica («si intendono  applicabili»)
di siffatte leggi, al punto da indurre i  rimettenti  a  qualificarla
tale. Tuttavia, al contempo, la medesima disposizione, a dispetto del
naturale  effetto  retroattivo  dell'interpretazione  autentica,   si
premura  di  assicurare  tale   efficacia   attraverso   un'esplicita
previsione: «sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme». 
    Si  tratta  di  ambiguita'  che  possono  pero'  essere   sciolte
considerando che tale disposizione  e'  stata  emanata  non  solo  in
mancanza di un contrasto giurisprudenziale  o  di  dubbi  manifestati
dalla dottrina, ma proprio a ridosso della piu' volte citata sentenza
n. 51 del 2019, la quale, come si e' sopra riportato, aveva in radice
escluso la possibilita' di ricavare dall'ordinamento allora in vigore
un'interpretazione  che  estendesse  il  «nuovo  meccanismo  "scalare
inverso" anche alle societa' private "scorporate"». 
    In particolare, in tale pronuncia, dalla  richiamata  distinzione
tra proroghe "generiche" (riguardanti  tutti  i  concessionari  della
riscossione) dei termini per la presentazione delle comunicazioni  di
inesigibilita' e proroghe "specifiche" (riguardanti solo  i  soggetti
"pubblici" della riscossione), nonche' dalla constatazione  che  solo
per le prime si e' verificata una soluzione  di  continuita',  si  e'
tratta la necessaria conclusione che  non  rientra  tra  i  possibili
significati attribuibili alla  littera  legis  l'applicabilita'  alle
societa' "scorporate" delle norme che  avevano  introdotto  il  nuovo
meccanismo "scalare inverso". 
    Il  citato  comma   815,   pertanto,   nonostante   l'espressione
utilizzata («[i] contenuti delle norme vigenti riferite  agli  agenti
della riscossione si intendono applicabili»),  assume  senz'altro  il
carattere di una  norma  dalla  natura  innovativa  e  dall'efficacia
retroattiva, poiche' "impone" una scelta che non  e'  ascrivibile  in
alcun modo alle possibili varianti di senso  delle  norme  che  hanno
introdotto il meccanismo "scalare inverso". 
    4.4.- Una volta precisata la  natura  innovativa  della  suddetta
disposizione, va  accertato  se  la  prevista  «retroattivita'  trovi
adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza [...]  e  non
contrasti con altri valori e interessi  costituzionalmente  protetti»
(sentenza n. 39 del 2021). 
    Procedendo  quindi  nello  scrutinio  di  costituzionalita',   va
rilevato che l'equivoco  utilizzo  della  terminologia  tipica  delle
leggi  di  interpretazione  autentica,  sebbene   non   sfociato   in
un'autoqualificazione, porta in ogni caso a identificare, quanto alla
retroattivita' del novum introdotto dal suddetto comma 815, un  primo
indice di irragionevolezza (ex plurimis sentenza n. 39 del 2021), che
pero' concorre con quelli, ben piu' decisivi, che vengono  alla  luce
considerando la precipua genesi del meccanismo "scalare inverso". 
    Del resto gia' nella sentenza di questa Corte n. 51 del  2019  si
era  rilevato  che  il  menzionato  meccanismo,  infatti,  era  stato
introdotto nello specifico intento di  rispondere  a  particolari  ed
eccezionali esigenze riferibili solo ed  esclusivamente  agli  agenti
"pubblici"  della  riscossione  e  per  i  quali  i  termini  per  la
presentazione delle comunicazioni di inesigibilita' erano, al momento
della sua entrata in vigore, ancora aperti, a  differenza  di  quelli
riferibili alle societa' private  "scorporate",  che  erano,  invece,
ormai scaduti. 
    Nella  medesima  sentenza   si   era   altresi'   rimarcato   che
l'estensione  del  nuovo  meccanismo  "scalare  inverso"  anche  alle
societa'  private  "scorporate"  «sortirebbe  [...]   l'inammissibile
effetto di riaprire termini ormai scaduti da molti anni  (fattispecie
che non si verifica per i ruoli  affidati  ai  soggetti  del  sistema
"pubblico" della riscossione), prorogando in un  futuro  abnormemente
lontano i termini per il controllo da parte degli enti creditori». 
    Non   e'   dato,   percio',    rinvenire    alcuna    ragionevole
giustificazione della disposizione censurata, che  inoltre,  rispetto
alla «linea di politica del  diritto  giudicata  piu'  opportuna  dal
legislatore»  (sentenza  n.  39  del  2021),   si   presenta,   anzi,
irrimediabilmente contraddittoria, nonche' inidonea a radicare  alcun
affidamento tutelabile. 
    Il citato art. 1, comma 815, nella misura in cui  si  salda  alle
disposizioni  che  disciplinano  il  meccanismo   "scalare   inverso"
ampliandone retroattivamente la portata,  non  supera  pertanto,  per
tutte queste ragioni, il controllo di ragionevolezza. 
    Deve quindi essere  dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale,
per violazione dell'art. 3 Cost., con  assorbimento  delle  ulteriori
censure, dell'art. 1, commi 687,  secondo  periodo,  e  688,  secondo
periodo, in combinato disposto con il comma 684, della legge  n.  190
del 2014, nella parte in cui, per effetto  dell'art.  1,  comma  815,
della legge n. 160 del 2019, risultano applicabili «sin dalla data di
entrata in vigore delle stesse norme, anche alle attivita' svolte  in
regime di concessione per  conto  degli  enti  locali,  il  cui  ramo
d'azienda e' stato trasferito ai sensi  dell'articolo  3,  comma  24,
lettera b), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203,  convertito,
con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248». 
    5.-  Le  ulteriori  questioni  di   legittimita'   costituzionale
sollevate hanno ad oggetto l'art. 4 del d.l. n. 119  del  2018,  come
convertito, ritenuto in contrasto con gli artt. 3, 24,  53,  81,  97,
103, 111 (questo in relazione all'«art. 6 CEDU come ripreso dall'art.
47 Carta UE»), 114, 117, 118 e 119, primo, secondo  e  quarto  comma,
Cost. «nella parte in cui prevede anche  agli  effetti  dei  rapporti
pendenti tra enti territoriali e societa'  private  "scorporate"  (ex
art.  1,  comma  815,  della  legge  27  dicembre  2019,  n.   160)»,
l'automatico annullamento dei debiti di importo residuo fino a  mille
euro, stabilendo altresi', mediante rinvio  all'art.  1,  comma  529,
della legge n. 228 del 2012, l'inapplicabilita'  delle  procedure  di
invio delle comunicazioni di inesigibilita' e del relativo  controllo
e, fatti salvi i casi di dolo,  l'improcedibilita'  del  giudizio  di
responsabilita' amministrativo e contabile. 
    5.1.- Le questioni sono inammissibili per plurimi motivi. 
    Innanzitutto sono  state  sollevate  senza  prendere  una  chiara
posizione sulla portata normativa del combinato disposto dell'art.  4
del d.l. n. 119 del 2018, come convertito, e dell'art. 1, comma  815,
della legge n. 160 del 2019. Infatti i rimettenti  non  sciolgono  le
alternative tesi sull'ambito di estensione da  attribuire  al  citato
art.  1,  comma  815,  ovvero   se   sia   necessario   seguire   una
«interpretazione restrittiva», limitata ai soli carichi affidati ante
scorporo (incentrata su una equiparazione di carattere oggettivo, che
pone al centro i ruoli), oppure un'esegesi piu' ampia (incentrata  su
una  equiparazione  di  carattere  soggettivo)  per   cui   sarebbero
interessati tutti i carichi affidati tra il 2000 e il 2010 e  quindi,
«in linea di principio», «anche i  carichi  affidati  successivamente
allo scorporo». 
    In tal modo, non risulta  adeguatamente  circoscritto  «il  thema
decidendum del giudizio incidentale» (sentenza n. 168 del 2020). 
    Inoltre i rimettenti non hanno chiarito se l'oggetto  delle  loro
censure sia, per effetto del menzionato art. 1, comma 815, il  citato
art. 4 nella sua  interezza  (ovvero  il  meccanismo  dello  stralcio
automatico delle cartelle fino a mille euro, in  se'  considerato)  o
piuttosto il suddetto art. 4 solo nella parte in cui  e'  applicabile
anche alle societa' scorporate. 
    La prima  ipotesi  trova  riscontro  in  diversi  passaggi  delle
ordinanze, in cui, dopo aver considerato il menzionato art. 1,  comma
815, della legge n. 160 del 2019 al fine di  motivare  la  rilevanza,
esse rivolgono in realta' le loro  doglianze  alla  disciplina  dello
stralcio in quanto tale. 
    Cio' si verifica  in  particolare  nelle  censure  formulate  «in
aggiunta» (rispetto a quelle  individuate  per  rinvio  ai  parametri
della prima questione) in riferimento agli artt. 114, 117 e 118 Cost.
per «lesione dell'autonomia - anche finanziaria  -  dell'ente  locale
interessato, il quale si vede annullare con legge statale, in via  di
straordinaria urgenza e necessita', crediti "residui" per un  ingente
valore complessivo [...]». Nello stesso senso conducono  i  lamentati
vulnera agli artt. 3, 24 e 53 Cost. tutti  finalizzati  a  denunciare
l'illegittimita' costituzionale dello stralcio in se',  anche  quindi
in riferimento al sistema pubblico di riscossione. 
    La seconda ipotesi trova invece riscontro nel richiamo alla  piu'
volte  citata  sentenza  n.  51  del  2019  che,   «nel   ricostruire
minuziosamente e sistematicamente il quadro normativo  stratificatosi
nel corso del tempo, aveva tenuto ben  distinta  [...]  la  posizione
delle societa' pubbliche (subentrate agli ex concessionari)  rispetto
alla posizione delle societa' private "scorporate" operanti  per  gli
enti territoriali». 
    Ne  segue  il  carattere  ancipite  delle  questioni,  perche'  i
rimettenti non si sono limitati a una presentazione sequenziale della
medesima questione, ma hanno  chiesto  a  questa  Corte  due  diversi
interventi, in rapporto  di  alternativita'  irrisolta  (ex  plurimis
sentenze n. 152 e n. 95 del 2020), il che impedisce  di  identificare
il verso delle censure, ridondando nella loro inammissibilita'  anche
sotto questo profilo. 
    5.2.- Resta pero' fermo che, nel nuovo contesto della riforma del
sistema della riscossione  pubblica,  inaugurata  nel  segno  di  una
maggiore efficienza, anche  a  seguito  del  monito  contenuto  nella
sentenza n. 120 del 2021 di questa Corte, dall'art. 1, commi da 14  a
23, della legge 30 dicembre 2021,  n.  234  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il
triennio  2022-2024),   dovranno   essere   evitati   interventi   di
"rottamazione" o "stralcio" contrari  al  valore  costituzionale  del
dovere tributario e tali da recare pregiudizio al sistema dei diritti
civili e sociali tutelati dalla Costituzione  (sentenza  n.  288  del
2019). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
687, secondo periodo, e 688, secondo periodo, in  combinato  disposto
con il comma 684, della legge  23  dicembre  2014,  n.  190,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2015)»,  nella  parte  in  cui,  per
effetto dell'art. 1, comma 815, della legge 27 dicembre 2019, n.  160
(Bilancio di previsione dello Stato per  l'anno  finanziario  2020  e
bilancio  pluriennale   per   il   triennio   2020-2022),   risultano
applicabili, «sin dalla data di entrata in vigore delle stesse norme,
anche alle attivita' svolte in regime di concessione per conto  degli
enti locali, il cui ramo  d'azienda  e'  stato  trasferito  ai  sensi
dell'articolo 3, comma 24, lettera b), del decreto-legge 30 settembre
2005, n. 203, convertito, con modificazioni, nella legge  2  dicembre
2005, n. 248»; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 23 ottobre 2018, n.  119
(Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria),  convertito,
con modificazioni,  nella  legge  17  dicembre  2018,  n.  136,  come
interpretato dall'art. 1, comma 815, della legge n. 160 del 2019,  in
combinato disposto con l'art. 1, comma 529, della legge  24  dicembre
2012, n. 228, recante «Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e  pluriennale  dello  Stato  (Legge  di  stabilita'  2013)»,
sollevate dalla Corte  dei  conti,  sezione  giurisdizionale  per  la
Regione Abruzzo, in riferimento agli artt. 3, 24, 53,  81,  97,  103,
111, 114, 117, 118 e  119,  primo,  secondo  e  quarto  comma,  della
Costituzione, con le ordinanze indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA