N. 67 SENTENZA 8 febbraio - 11 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Politiche sociali - Assegno per  il  nucleo  familiare  -
  Nozione di nucleo familiare - Esclusione del coniuge, dei figli  ed
  equiparati di cittadino straniero che non abbiano la residenza  nel
  territorio della Repubblica,  salva  la  clausola  di  reciprocita'
  ovvero sia stata stipulata convenzione internazionale -  Contrasto,
  accertato dalla Corte GUE adita  con  rinvio  pregiudiziale,  della
  norma censurata con il diritto  dell'Unione  europea  -  Denunciata
  violazione degli obblighi derivanti dall'ordinamento comunitario  -
  Inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69, convertito, con  modificazioni,
  nella legge 13 maggio 1988, n. 153, art. 2, comma 6-bis. 
- Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma;  direttiva  2003/109/CE,
  artt. 2, paragrafo 1, lettere a), b), e  c),  e  11,  paragrafo  1,
  lettera d); direttiva (UE) 2011/98, artt. 3, paragrafo  1,  lettere
  b) e c), e 12, paragrafo 1, lettera e). 
(GU n.11 del 16-3-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma
6-bis, del decreto-legge 13 marzo  1988,  n.  69  (Norme  in  materia
previdenziale,  per  il  miglioramento  delle  gestioni  degli   enti
portuali   ed   altre   disposizioni   urgenti),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 13 maggio 1988,  n.  153,  promossi  dalla
Corte di cassazione, sezione lavoro, con due ordinanze dell'8  aprile
2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 110  e  111  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 33, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  di  R.  M,  di  S.   B.G.   e
dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nonche'  gli
atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  dell'8  febbraio  2022  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi gli avvocati Alberto  Guariso  per  R.  M  e  altro,  Mauro
Sferrazza per l'INPS e l'avvocato dello Stato Paolo  Gentili  per  il
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'8 aprile 2021,  iscritta  al  n.  110  del
registro ordinanze 2021, la Corte di cassazione,  sezione  lavoro  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma
6-bis, del decreto-legge 13 marzo  1988,  n.  69  (Norme  in  materia
previdenziale,  per  il  miglioramento  delle  gestioni  degli   enti
portuali   ed   altre   disposizioni   urgenti),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, per contrasto  con
gli artt. 11 e 117, primo comma,  della  Costituzione,  in  relazione
agli artt. 2, paragrafo 1, lettere a), b), e),  e  11,  paragrafo  1,
lettera  d),  della  direttiva  2003/109/CE  del  Consiglio,  del  25
novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi  che
siano soggiornanti di lungo periodo, nella parte in cui, anche «per i
cittadini non appartenenti all'Unione europea titolari di permesso di
lungo soggiorno», prevede che non fanno parte del nucleo familiare di
cui al comma  6,  del  medesimo  art.  2,  il  coniuge,  i  figli  ed
equiparati  che  non  abbiano  la  residenza  nel  territorio   della
Repubblica, salvo che dallo Stato di cui lo  straniero  e'  cittadino
sia riservato  un  trattamento  di  reciprocita'  nei  confronti  dei
cittadini   italiani   ovvero   sia   stata   stipulata   convenzione
internazionale,  diversamente  da  quanto  previsto  per  gli   altri
beneficiari  dell'assegno  per  il  nucleo  familiare  non  cittadini
stranieri. 
    2.- Dinanzi al giudice a quo  pende  il  procedimento  introdotto
dall'Istituto  nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS)  per  la
cassazione della sentenza con la quale la Corte d'appello di  Brescia
ha confermato l'accoglimento del ricorso di R. M, cittadino pakistano
titolare  di  permesso  di  lungo   soggiorno,   che   ha   domandato
l'accertamento   del   carattere    discriminatorio    del    mancato
riconoscimento dell'assegno per nucleo familiare nel periodo compreso
tra settembre 2011 ed aprile 2014, durante il quale i suoi  familiari
erano rientrati nel Paese d'origine, e la condanna  dell'INPS  e  del
datore  di  lavoro   al   pagamento   delle   relative   somme,   con
predisposizione di un piano di rimozione degli effetti negativi della
discriminazione, ai sensi dell'art. 28  del  decreto  legislativo  1°
settembre 2011, n.  150  (Disposizioni  complementari  al  codice  di
procedura civile  in  materia  di  riduzione  e  semplificazione  dei
procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'articolo  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69). 
    2.1.- La Corte rimettente riferisce che la sentenza  oggetto  del
ricorso per cassazione ha riconosciuto  a  R.  M.  l'assegno  per  il
nucleo familiare anche nei  periodi  di  assenza  dei  familiari  dal
territorio italiano, previa disapplicazione dell'art. 2, comma 6-bis,
del d.l. n. 69 del 1988, in quanto norma contrastante con il  diritto
dell'Unione europea. 
    Il giudice di merito ha rilevato  che  l'art.  11,  paragrafo  1,
lettera d), della direttiva 2003/109/CE impone agli Stati  membri  di
riconoscere al soggiornante di lungo periodo il medesimo  trattamento
previsto dalla disciplina nazionale  per  i  cittadini,  quanto  alle
prestazioni  sociali,  all'assistenza  sociale  e   alla   protezione
sociale, e che la disciplina dell'assegno  per  il  nucleo  familiare
applicabile al cittadino italiano, contenuta nell'art.  2,  comma  2,
del d.l. n. 69 del 1988, riconosce  detto  assegno  indipendentemente
dal luogo di residenza dei componenti il nucleo stesso. 
    Con l'art. 1  del  decreto  legislativo  8  gennaio  2007,  n.  3
(Attuazione della  direttiva  2003/109/CE  relativa  allo  status  di
cittadini  di  Paesi  terzi  soggiornanti  di  lungo   periodo),   il
legislatore e' intervenuto sull'art. 9  del  decreto  legislativo  25
luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), prevedendo, al comma 12, che lo  straniero  titolare  del
permesso  di  soggiorno  di  lungo  periodo  puo'   usufruire   delle
prestazioni di assistenza sociale, di previdenza  sociale  ed  altro,
salvo che sia diversamente  disposto  e  sempre  che  sia  dimostrata
l'effettiva residenza dello straniero sul territorio nazionale. 
    Infine, il giudice di merito ha  escluso  che  l'assegno  per  il
nucleo familiare rientri tra le misure  per  le  quali  la  direttiva
2003/109/CE ha riconosciuto agli Stati membri la facolta' di limitare
l'equiparazione. 
    2.2.- La Corte rimettente da' conto altresi'  del  contenuto  del
ricorso dell'INPS. 
    L'Istituto ha censurato la decisione di merito per  violazione  o
falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 2, comma 6-bis,
del d.l. n. 69 del 1988, come convertito, 43 e 44 del d.lgs.  n.  286
del 1998, anche in relazione all'art. 12  delle  Preleggi.  Ha  anche
contestato  che  l'assegno  per  il  nucleo  familiare  abbia  natura
assistenziale  ed  essenziale,  tale  da  impedire  la  derogabilita'
all'obbligo di parita' di trattamento, evidenziando peraltro  che  il
dubbio interpretativo riguardo alla facolta' del legislatore  statale
di limitare la parita' di trattamento avrebbe  comportato  il  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia, oppure il  promovimento  della
questione di legittimita' costituzionale. 
    2.3.- La  Corte  rimettente  riferisce  di  avere  disposto,  con
ordinanza n. 9021  del  2019,  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia ai sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del  trattato
di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato  dalla  legge  2  agosto
2008, n. 130, per chiarire la  portata  dell'art.  11,  paragrafo  1,
lettera d), della direttiva 2003/109/CE,  essendo  sorto  il  «dubbio
interpretativo relativo alla eventualita' che il principio di parita'
di trattamento ivi previsto comporti che i familiari del cittadino di
Paese terzo lungo soggiornante e titolare del diritto alla erogazione
dell'assegno per il nucleo familiare di cui alla  legge  n.  153  del
1988, art. 2, pur risiedendo di  fatto  fuori  dal  territorio  dello
Stato membro ove questi presta la sua attivita',  siano  inclusi  nel
novero dei familiari sostanziali  beneficiari  del  trattamento».  Si
deve ritenere, infatti, che il nucleo familiare individuato dall'art.
2 della legge n. 153 del 1988, non e' solo  preso  in  considerazione
per la base di calcolo dell'importo relativo al trattamento familiare
in oggetto, ma ne e'  anche  il  beneficiario,  per  il  tramite  del
titolare della retribuzione o della pensione  cui  lo  stesso  accede
(pag. 5 dell'ordinanza di rimessione). 
    2.3.1.- Nel rinvio pregiudiziale, prosegue la  Corte  rimettente,
e'  stato  precisato  che  l'assegno  per  il  nucleo  familiare   si
configura,  dal  punto  di  vista  strutturale,   come   integrazione
economica di cui beneficiano tutti i prestatori  di  lavoro  presenti
nel  territorio  italiano  (nonche'  i  titolari  di  pensioni  e  di
prestazioni economiche previdenziali derivanti da lavoro subordinato,
i  lavoratori  assistiti  da  assicurazione  contro  le  malattie,  i
dipendenti e i pensionati degli enti pubblici),  purche'  abbiano  un
nucleo familiare che produce redditi non superiori ad una determinata
soglia; che l'importo dell'assegno viene quantificato in  proporzione
al numero dei componenti, al numero dei figli e al reddito familiare;
che  l'assegno  ha  natura  sia  previdenziale,  per  il   meccanismo
finanziario che ne e' alla base (Corte di cassazione, sezioni  unite,
sentenza 7 marzo 2008, n.  6179),  sia  assistenziale,  tenuto  conto
dell'incidenza  del  numero  e  delle  condizioni  psico-fisiche  dei
componenti del nucleo familiare (Corte di cassazione, sezione lavoro,
sentenze 30 marzo 2015, n. 6351 e 9 febbraio 2018, n. 3214). 
    In  conclusione,  si  tratterebbe  di  prestazione  che   rientra
nell'ambito della previsione di cui all'art. 11, paragrafo 1, lettera
d), della direttiva 2003/109/CE. 
    2.4.- Il giudice rimettente riferisce, quindi, che  la  Corte  di
giustizia, con la sentenza 25  novembre  2020,  in  causa  C-303/109,
INPS, ha dichiarato che l'art. 11, paragrafo  1,  lettera  d),  della
direttiva 2003/109/CE deve essere interpretato  nel  senso  che  esso
osta a una disposizione come l'art. 2, comma 6-bis,  della  legge  n.
153 del 1988, secondo il quale non fanno parte del  nucleo  familiare
di cui a tale legge il coniuge  nonche'  i  figli  ed  equiparati  di
cittadino di paese terzo che non abbiano la residenza nel  territorio
della  Repubblica  italiana,   salvo   reciprocita'   o   convenzione
internazionale, posto che la Repubblica italiana non  si  e'  avvalsa
della deroga consentita dall'art. 11,  paragrafo  2,  della  medesima
direttiva, non essendo stata espressa una tale intenzione in sede  di
recepimento della direttiva 2003/109/CE nel diritto nazionale. 
    2.5.- Conclusa la descrizione della fattispecie sottoposta al suo
giudizio, la Corte di  cassazione  argomenta  sulla  rilevanza  della
questione di legittimita' costituzionale, osservando in  primo  luogo
che «occorre dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia»,
stante  il  vincolo  da  essa  derivante  per  la  definizione  della
controversia principale (sono richiamate le sentenze 3 febbraio 1977,
in causa C-52/76, Benedetti,  e  5  marzo  1986,  in  causa  C-69/85,
Wünsche Handelsgesellschaft). 
    Sul tema specifico della rimozione degli  effetti  discriminatori
derivanti da atti normativi, la rimettente richiama la giurisprudenza
della  Corte  di  giustizia  (sentenza  14  marzo  2018,   in   causa
C-482/2016, Stollwitzer), che ha riconosciuto la discrezionalita' del
legislatore nella scelta dei  rimedi,  e  quindi  osserva  che  nella
fattispecie  in  esame,  «ai  fini   dell'eliminazione   dell'effetto
discriminatorio, non e' tanto  significativa  la  condotta  osservata
dall'INPS nel negare la prestazione  economica  dell'assegno  per  il
nucleo familiare oggetto di ricorso,  quanto  la  formulazione  della
disposizione italiana che disciplina la fattispecie concreta». 
    Secondo il giudice a quo, il rilevato  contrasto  tra  l'art.  2,
comma 6-bis e il diritto  dell'Unione  non  potrebbe  essere  risolto
facendo ricorso  all'interpretazione  conforme,  poiche'  non  esiste
margine di scelta  tra  due  interpretazioni  possibili  della  norma
interna, che  presenta  significato  chiaro  ed  univoco,  e  sarebbe
impraticabile anche la  tecnica  della  disapplicazione  della  norma
interna, in assenza di una  disciplina  self  executing  direttamente
applicabile alla fattispecie  oggetto  del  giudizio  principale.  Il
diritto dell'Unione, infatti, non disciplina direttamente la  materia
dei trattamenti di famiglia. 
    La  direttiva  2003/109/CE  impone  agli  Stati  membri  di   non
differenziare il trattamento degli stranieri con  permesso  di  lungo
soggiorno da quello riservato ai propri cittadini, ma  «non  contiene
una disciplina completa che consenta di affermare in via  diretta  il
primato della (inesistente) disciplina euro unitaria sulla disciplina
nazionale». 
    In conclusione, in assenza  dei  presupposti  per  realizzare  la
sostituzione  della  norma  interna   con   la   disciplina   dettata
dall'Unione, la disapplicazione della norma interna  si  risolverebbe
in una «modifica della  norma  nazionale  mediante  sostituzione  del
criterio  della  reciprocita'  ovvero  della  specifica   convenzione
internazionale  con  quello  della  parita'  di  trattamento,  ove  i
destinatari diretti della prestazione siano cittadini  di  paesi  non
europei titolari di un permesso di lungo  soggiorno  ai  sensi  della
citata direttiva». Si tratterebbe di un intervento  manipolativo  non
consentito al giudice di legittimita', con la conseguente  necessita'
di promuovere l'incidente di costituzionalita'. 
    2.6.- Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  la
rimettente osserva che l'incompatibilita' dell'art. 2,  comma  6-bis,
del d.l. n. 69 del 1988 con il diritto  dell'Unione,  come  accertata
dalla Corte di giustizia,  renderebbe  evidente  il  contrasto  della
norma interna con i parametri evocati. 
    E' richiamata la giurisprudenza costituzionale (sentenze  n.  227
del 2010, n. 232 del 1975, n. 183 del 1973, n. 98 del 1965  e  n.  14
del 1964) che ha individuato  nell'art.  11  Cost.  il  parametro  di
riferimento nel rapporto tra ordinamento nazionale e diritto europeo,
riconoscendo il  principio  di  prevalenza  di  quest'ultimo,  ed  il
conseguente potere-dovere  in  capo  al  giudice  di  dare  immediata
applicazione alla norma  provvista  di  effetto  diretto,  ovvero  di
sollevare questione di legittimita' costituzionale per violazione del
predetto parametro quando la norma interna  contrasti  con  la  norma
comunitaria sprovvista di effetto diretto. L'obbligo del rispetto dei
vincoli derivanti dall'ordinamento europeo e' stato poi ribadito  dal
novellato art. 117, primo  comma,  Cost.,  confermando  espressamente
quanto gia' ricollegato in via interpretativa all'art. 11 Cost. 
    La Corte rimettente segnala  poi  che  la  stessa  giurisprudenza
costituzionale ha negato efficacia diretta all'art. 12  del  Trattato
che istituisce la Comunita' economica europea (CEE), firmato  a  Roma
il 25 marzo 1957, entrato in vigore il 1° gennaio 1958, oggi art.  18
TFUE, che vieta ogni discriminazione in base  alla  nazionalita'  nel
campo  di  applicazione  del  Trattato,   ritenendo   necessario   il
promovimento  della  questione  di  legittimita'  costituzionale  per
rimuovere  la  discriminazione.  In  particolare,  si  e'   affermato
(sentenza n. 227 del 2010) che il contrasto con il principio  di  non
discriminazione  non  sarebbe  «sempre  di  per  se'  sufficiente»  a
consentire la disapplicazione della norma interna  confliggente,  dal
momento che il legislatore nazionale puo' prevedere limitazioni  alla
parita' di trattamento tra il proprio cittadino ed  il  cittadino  di
altro Stato membro, a condizione che la limitazione sia proporzionata
e adeguata. 
    2.7.- Alla luce degli argomenti svolti, la  Corte  di  cassazione
ritiene rilevante e non  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  6-bis  citato,  che
assoggetta ad un  regime  peculiare,  regolato  dal  principio  della
reciprocita' o della apposita convenzione, i beneficiari dell'assegno
per il nucleo familiare non cittadini italiani (o  europei)  che  non
risiedono nel territorio nazionale, per contrasto con gli artt. 11  e
117, primo comma, Cost. in relazione alla direttiva 2003/109/CE,  che
all'art.  11,  paragrafo  1,  lettera  d),  prevede  il  diritto  dei
cittadini di paesi terzi titolari del permesso di lungo  soggiorno  e
dei loro familiari di cui all'art. 2, paragrafo 1, lettere a), b)  ed
e), di beneficiare dello stesso trattamento  riservato  ai  cittadini
dello Stato membro in cui soggiornano per quanto concerne  i  settori
della sicurezza sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004 del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004,  relativo  al
coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. 
    3.- Con atto depositato il 6 settembre 2021, si e' costituito nel
giudizio  incidentale   l'INPS,   parte   ricorrente   nel   giudizio
principale,  ed  ha  chiesto  che   la   questione   sia   dichiarata
inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata. 
    3.1.- L'Istituto ricostruisce la  normativa  nazionale  e  quella
dell'Unione per evidenziare, a sostegno dell'inammissibilita', che il
giudizio di cassazione avrebbe potuto essere definito senza sollevare
la questione di costituzionalita'. 
    La norma censurata,  comunque,  si  sottrarrebbe  ai  prospettati
dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  in  quanto  rispettosa  dei
principi di proporzionalita' e ragionevolezza, oltre che giustificata
nelle finalita'. 
    3.2.-  Muovendo  dal  presupposto  che  beneficiari   sostanziali
dell'assegno per il nucleo familiare siano i  componenti  del  nucleo
stesso che fanno riferimento al lavoratore,  l'INPS  ritiene  che  la
norma censurata legittimamente esiga la loro presenza  effettiva  nel
territorio nazionale, ai fini del riconoscimento della prestazione. 
    In  ogni  caso,  fuori  dell'ambito  dei   diritti   fondamentali
riconosciuti dalla Costituzione, il  principio  di  eguaglianza  puo'
avere «un'operativita' piu' sfumata», in ragione della diversita' del
rapporto che il cittadino e lo straniero instaurano con lo Stato. 
    L'Istituto  rileva  quindi  che  in  sede  di  attuazione   della
direttiva 2003/109/CE, avvenuta con il d.lgs. n. 3 del 2007,  che  ha
riformulato l'art. 9 del d.lgs.  n.  286  del  1998,  il  legislatore
nazionale ha espressamente previsto, al comma  12,  lettera  c),  del
citato art. 9, che il  titolare  di  permesso  di  soggiorno  UE  per
soggiornanti di lungo periodo puo' «usufruire  delle  prestazioni  di
assistenza  sociale,  di  previdenza  sociale  [...]  salvo  che  sia
diversamente  disposto  e  sempre  che  sia  dimostrata   l'effettiva
residenza dello straniero sul territorio nazionale». 
    L'Istituto sottolinea che l'integrazione dei cittadini dei  Paesi
terzi, che costituisce la finalita' della direttiva citata,  si  puo'
realizzare soltanto se i familiari soggiornano anch'essi regolarmente
nel territorio nazionale. 
    3.3.-  Sotto  diverso  profilo,  l'INPS  richiama  il   principio
dell'equilibrio di bilancio previsto dall'art. 81 Cost.,  nel  quadro
dei valori di  rilievo  costituzionale,  in  funzione  del  quale  il
legislatore nazionale puo' prevedere la graduazione degli  interventi
assistenziali sulla base del maggiore  radicamento  territoriale  del
nucleo familiare. 
    In tale contesto, e con riferimento alle limitazioni alla parita'
di trattamento consentite dall'art. 11, paragrafo 2, della  direttiva
2003/109/CE, si sarebbe gia' espressa questa Corte nella sentenza  n.
222 del 2013, in cui si  e'  affermato  l'obbligo  di  rispettare  la
parita' di trattamento tra cittadini  italiani  e  comunitari  da  un
lato, e cittadini extracomunitari dall'altro, riguardo  a  servizi  e
prestazioni  che  soddisfano  un  bisogno  primario   dell'individuo,
ovvero, secondo quanto precisato dalla successiva sentenza n. 50  del
2019,  «riflettano  il  godimento  dei  diritti   inviolabili   della
persona». 
    Nella  prospettiva  indicata,  sarebbe  esclusa   la   violazione
dell'art. 11  della  direttiva  2003/109/CE,  essendo  consentito  al
legislatore nazionale di riservare talune  prestazioni  assistenziali
ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti  nel
territorio nazionale, il cui status vale di per  se'  a  generare  un
adeguato nesso tra la partecipazione  alla  organizzazione  politica,
economica  e  sociale  della   Repubblica,   e   l'erogazione   delle
provvidenze (sono citate le sentenze n. 222 del 2013, n. 308 e n. 148
del 2008). 
    4.- R. M., parte resistente nel giudizio  di  cassazione,  si  e'
costituita  nel  giudizio  incidentale,  con  atto  depositato  il  7
settembre 2021,  ed  ha  chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile per difetto di rilevanza, o, in subordine, fondata. 
    4.1.- La difesa della parte privata osserva  che  la  definizione
generale di nucleo familiare contenuta nell'art. 2, comma 6, del d.l.
n. 69 del 1988, come convertito, e' priva di  riferimenti,  sia  alla
nazionalita' dei componenti, sia al luogo di residenza degli  stessi.
L'art. 2, al comma 6-bis oggetto  di  censura,  individua  invece  un
"sottogruppo",  costituito  dai  nuclei  familiari  per  i  quali  il
richiedente l'assegno sia cittadino straniero (compresi  i  cittadini
UE), e ad esso riserva un regime diverso. 
    La questione sollevata dalla Corte rimettente  avrebbe  dunque  a
oggetto una norma che definisce diversamente, e con conseguenze  meno
vantaggiose,  la  nozione  di  nucleo  familiare  a   seconda   della
nazionalita' del componente-richiedente. 
    Si tratta di questione che non e' mai stata esaminata dai giudici
comuni con riferimento all'eventuale contrasto con gli artt. 3  e  31
Cost., ma soltanto sotto il profilo della conformita' con  l'art.  11
della direttiva 2003/109/CE. Tale profilo,  risolto  dai  giudici  di
merito prevalentemente nel senso della non conformita', ha costituito
l'oggetto del rinvio pregiudiziale disposto nel giudizio  principale,
definito dalla Corte di giustizia nel  senso  della  incompatibilita'
dell'art. 2, comma 6-bis citato con il diritto dell'Unione. 
    Il giudizio incidentale promosso dalla stessa Corte di cassazione
si caratterizzerebbe, quindi, per il fatto  che  la  non  conformita'
della norma interna con quella dell'Unione e' stata gia' accertata in
maniera incontrovertibile e  vincolante  e  pertanto,  come  chiarito
dalla stessa rimettente,  occorre  "soltanto"  dare  esecuzione  alla
sentenza della CGUE. 
    4.2.- La difesa  della  parte  privata  reputa  la  questione  di
legittimita' costituzionale inammissibile in quanto, dopo la sentenza
nella causa 303/19 della Corte di giustizia, l'art.  2,  comma  6-bis
non potrebbe trovare applicazione nel giudizio principale, in ragione
del vincolo sorto dalla richiamata sentenza. 
    Nella fattispecie in esame, del resto, non verrebbe  in  evidenza
una ipotesi di "doppia tutela", in cui «la violazione di  un  diritto
della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla
Costituzione italiana sia quelle codificate dalla Carta  dei  diritti
dell'Unione» (sono citate l'ordinanza n. 117 del 2019 e  la  sentenza
n. 20 del 2019 di questa Corte). 
    La violazione  e  la  tutela  invocate  nel  giudizio  principale
atterrebbero  unicamente  al   diritto   derivato   dell'Unione,   in
particolare al rispetto dell'obbligo di parita' di  trattamento,  che
costituisce uno dei capisaldi del diritto europeo, anche  in  materia
di immigrazione. 
    Con l'attribuzione ai soggiornanti di lungo periodo  del  diritto
ad un trattamento eguale ai cittadini dello  Stato  membro,  l'Unione
disciplina i diritti di costoro, esercitando le  competenze  ad  essa
attribuite dall'art. 79, comma 2, lettera b), TFUE. 
    4.3.- Nel contesto normativo cosi' delineato,  secondo  la  parte
privata, la Corte di cassazione avrebbe  erroneamente  ricercato  una
disciplina compiuta dell'Unione in  grado  di  sostituirsi  a  quella
nazionale  dei  trattamenti  di  famiglia,  anziche'  valorizzare  il
diritto alla parita'  di  trattamento  previsto  dalla  direttiva,  e
disapplicare la disciplina  nazionale  la'  dove  questa  prevede  un
trattamento "diseguale" per i cittadini stranieri. 
    In questa prospettiva, la verifica  dei  requisiti  richiesti  ai
fini della diretta applicazione delle norme  dell'Unione  -  precetto
chiaro, preciso e incondizionato - avrebbe dovuto essere condotta con
riferimento all'obbligo della parita' di trattamento, che sicuramente
tali caratteri possiede. 
    La diversa ricostruzione fatta  propria  dalla  Corte  rimettente
condurrebbe al risultato inaccettabile e comunque contrario ai  dicta
della Corte di giustizia, che il diritto dell'Unione  non  possa  mai
autonomamente garantire un trattamento uguale a due  gruppi  sociali,
se non nelle materie oggetto di specifica  disciplina  da  parte  del
diritto derivato. 
    4.4.- La  difesa  della  parte  privata  esamina  poi  la  citata
sentenza della Corte di giustizia Stollwitzer, richiamata dalla Corte
rimettente  a  sostegno  della   discrezionalita'   del   legislatore
nazionale nella individuazione delle  modalita'  di  rimozione  delle
discriminazioni, ed osserva che il tema della discrezionalita' non e'
pertinente. Nella fattispecie oggi in discussione il legislatore  non
ha  ancora  adottato  misure  che  ristabiliscano   la   parita'   di
trattamento, pertanto il senso e l'efficacia dell'obbligo di  parita'
di trattamento puo' essere garantito solo attraverso l'estensione  ai
soggetti  svantaggiati  del   trattamento   riservato   ai   soggetti
privilegiati. 
    4.5.-  Ulteriormente  la  difesa  della  parte  privata  contesta
l'affermazione del giudice rimettente, secondo cui sarebbe consentito
al  legislatore  di  prevedere  una  limitazione  alla   parita'   di
trattamento tra  il  proprio  cittadino  e  il  cittadino  straniero,
purche' adeguata e proporzionata. 
    Nella fattispecie oggi  in  esame  non  verrebbe  in  rilievo  il
divieto di discriminazione di cui all'art. 18 TFUE, richiamato  dalla
Corte rimettente, ma l'obbligo di  parita'  di  trattamento  previsto
dall'art. 11, paragrafo 1, lettera d)  della  direttiva  2003/109/CE,
che non consente deroghe "purche' proporzionate",  ma  esclusivamente
deroghe a condizione che la relativa facolta' sia stata espressamente
esercitata. La sentenza della Corte di giustizia nella causa C-303/19
ha accertato che l'Italia non ha esercitato la facolta' di deroga. 
    5.- Con atto depositato il 7 settembre 2021, e'  intervenuto  nel
giudizio  incidentale  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
chiedere il rigetto della questione. 
    5.1.-  Dopo  avere  proceduto  alla  ricostruzione  del  contesto
normativo interno e dell'Unione, richiamando in particolare l'art. 9,
commi 1 e 12, del d.lgs. n. 286 del 1998, la disciplina  dell'assegno
familiare contenuta nell'art.  2  del  d.l.  n.  69  del  1988,  come
convertito, e la direttiva  2003/86/CE  del  22  settembre  2003  del
Consiglio, relativa al  diritto  al  ricongiungimento  familiare,  la
difesa statale concentra l'attenzione sul tema  della  adeguatezza  e
proporzionalita' della norma censurata, e della possibile limitazione
alla parita' di trattamento, secondo quanto  previsto  dall'art.  11,
paragrafo 2, della direttiva  2003/109/CE,  come  riconosciuto  dalla
Corte di giustizia nella sentenza resa  in  causa  C-303/19,  che  ha
definito il rinvio pregiudiziale. 
    La difesa dello Stato richiama quindi l'ordinanza  di  rimessione
(in particolare, il  paragrafo  27)  e  con  essa  la  giurisprudenza
costituzionale ivi citata, per  sottolineare  che  l'incompatibilita'
della norma interna con il principio di non discriminazione  potrebbe
derivare solo da un difetto di proporzionalita' e di adeguatezza  del
trattamento differenziato rispetto alle finalita' della  direttiva  e
degli altri valori costituzionali e del  diritto  dell'Unione.  Nella
specie, non vi sarebbero i presupposti  per  ritenere  manifestamente
irragionevole il trattamento differenziato riguardo al riconoscimento
dell'assegno per il nucleo familiare. 
    5.2.- In particolare, la difesa statale osserva  che  all'assegno
in oggetto, in quanto misura rientrante nel novero delle  prestazioni
sociali,  si  applica  l'art.  11,  paragrafo  2,   della   direttiva
2003/109/CE, che consente agli Stati membri di limitare la parita' di
trattamento garantita ai soggiornanti di lungo periodo  «ai  casi  in
cui il soggiornante di lungo periodo, o il familiare per  cui  questi
chiede la prestazione, ha eletto dimora o  risiede  abitualmente  nel
suo territorio». 
    Tale previsione sarebbe  connessa  al  considerando  n.  2  della
direttiva 2003/109/CE, che configura la  parita'  di  trattamento  in
termini non  assoluti  ma  tendenziali  e,  soprattutto,  in  stretto
collegamento con il requisito della residenza effettiva del cittadino
straniero nello Stato membro, presupposto quest'ultimo necessario per
ottenere lo status di lungo soggiornante e per conservarlo. 
    Quanto ai  familiari  dello  straniero,  la  medesima  direttiva,
all'art. 2, lettera  e),  li  definisce  attraverso  il  rinvio  alla
direttiva 2003/86/CE, relativa al  ricongiungimento  familiare.  Cio'
comporta che costoro possono essere presi in considerazione  al  fine
del  diritto  alle  prestazioni  in  materia  familiare  soltanto  se
«ricongiunti»,  vale  a  dire  se  stabilmente  conviventi   con   il
soggiornante nel territorio dello Stato membro (direttiva 2003/86/CE,
considerando n. 4 e art. 2). 
    Del resto, prosegue la difesa statale,  la  Corte  di  giustizia,
nella sentenza  nella  causa  303/19  (punto  29),  ha  chiarito  che
l'assenza del familiare dal territorio nazionale non puo'  precludere
il diritto all'assegno per il nucleo familiare se e' riferibile ad un
periodo «che puo' essere temporaneo», laddove l'art. 2, comma  6-bis,
del d.l. n. 69 del 1988, esclude il diritto all'assegno familiare nei
soli casi in cui l'assenza da temporanea sia diventata definitiva. 
    Sotto tale profilo, la norma interna non  contrasterebbe  con  il
sistema e con la finalita' della  direttiva  2003/109/CE,  in  quanto
proporzionata e adeguata, mentre  sarebbe  apodittica  l'affermazione
contenuta al punto 35 della sentenza 303/19,  secondo  cui  sarebbero
irrilevanti le difficolta' di controllo della  condizione  reddituale
dei soggetti rientrati nei  paesi  d'origine,  e  non  pertinente  il
richiamo alla sentenza della Corte  GCE  26  maggio  2016,  in  causa
C-300/15, Kholl e  Kholl-Schlesser,  in  materia  di  discriminazioni
fiscali al diritto fondamentale  alla  libera  circolazione  tra  gli
Stati membri. Nella fattispecie in esame, infatti, non si discute  di
liberta' fondamentali garantite dal  Trattato,  come  nel  precedente
richiamato,  ma  di  diritti  particolari  riconosciuti  dal  diritto
derivato, e di movimenti tra Unione e Paesi terzi. 
    5.3.- La  proporzionalita'  della  disciplina  nazionale  sarebbe
confermata, secondo la difesa statale, anche dal fatto che  essa  non
nega in toto il trattamento - come nel  caso  deciso  dalla  sentenza
della CGUE 21 giugno 2017, in causa C-449/16, Martinez Silva, - ma si
limita a ridurre nel quantum la prestazione previdenziale. 
    La norma censurata sarebbe proporzionata e  adeguata  al  diritto
dell'Unione, e  rispettosa  di  altri  valori  costituzionali  e  del
diritto dell'Unione, primo tra tutti l'equilibrio di bilancio di  cui
all'art. 81 Cost., attuativo a sua volta di precisi vincoli  europei.
L'art.  153,  paragrafo  4,  TFUE   stabilisce,   infatti,   che   le
disposizioni del diritto dell'Unione in materia di  politica  sociale
non compromettono la  facolta'  riconosciuta  agli  Stati  membri  di
definire i  principi  fondamentali  del  loro  sistema  di  sicurezza
sociale,  e  non  devono   incidere   sensibilmente   sull'equilibrio
finanziario dello stesso. 
    5.4.- La difesa statale contesta poi che la deroga  al  principio
della parita' di trattamento, prevista  dall'art.  11,  paragrafo  2,
della direttiva 2003/109/CE non sarebbe applicabile, in quanto non vi
e' stata espressa dichiarazione dello Stato di volersene avvalere  in
sede di recepimento della direttiva, operato con il d.lgs. n.  3  del
2007. 
    In  realta',  al  momento   del   recepimento   della   direttiva
2003/109/CE,   la   condizione    procedurale    consistente    nella
dichiarazione espressa di volersi avvalere della deroga non esisteva,
essendo  stata  introdotta  solo  in  via  giurisprudenziale  con  la
sentenza 24 aprile 2012, in causa C-571/10, Kamberaj, (punto  87),  e
comunque, stante l'assenza  di  termini,  la  deroga  sarebbe  ancora
esercitabile, sicche', come ritenuto  nell'ordinanza  di  rimessione,
qualsiasi  intervento   sulla   norma   interna   avrebbe   contenuto
manipolativo. 
    5.5.- Con riferimento ai parametri evocati, la difesa dello Stato
reputa erroneo il richiamo all'art. 11 Cost., poiche' si discuterebbe
di  una  competenza  ripartita,  quella  inerente   alla   disciplina
dell'immigrazione, ai sensi dell'art. 79, paragrafo  2,  lettera  b),
TFUE,  che  non  comprenderebbe,  come  rilevato  anche  dalla  Corte
rimettente, la disciplina della prestazione sociale dell'assegno  per
il nucleo familiare. 
    6.- In  prossimita'  dell'udienza,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato memoria per illustrare gli argomenti gia'  svolti
nell'atto  di  intervento  a  sostegno  della  non  fondatezza  della
questione. 
    7.- Ai sensi  dell'art.  4-ter  delle  Norme  integrative  per  i
giudizi davanti alla Corte costituzionale, vigente ratione  temporis,
l'ASGI - Associazione studi giuridici sull'immigrazione ha depositato
opinione scritta a titolo di amicus curiae. 
    L'opinione, ammessa con decreto presidenziale del 4 gennaio 2022,
richiama  il  quadro  normativo   e   giurisprudenziale   anche   con
riferimento al piu' ampio  contenzioso  riguardante  il  diritto  dei
cittadini di Paesi terzi alle prestazioni di assistenza  e  sicurezza
sociale, e quindi si associa alle argomentazioni svolte dalla  difesa
della parte privata in punto di inammissibilita' della questione, per
difetto di rilevanza. 
    8.- Con ordinanza in data 8 aprile 2021, iscritta al n.  111  del
registro ordinanze 2021, la Corte di cassazione,  sezione  lavoro  ha
sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma
6-bis, del d.l. n. 69 del 1988, come convertito,  per  contrasto  con
gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., in relazione  agli  artt.  3,
paragrafo 1, lettere b) e c), e 12, paragrafo 1,  lettera  e),  della
direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento e del Consiglio del 13 dicembre
2011, relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un
permesso  unico  che  consente  ai  cittadini  di  paesi   terzi   di
soggiornare e lavorare nel territorio di uno  Stato  membro  e  a  un
insieme comune di  diritti  per  i  lavoratori  di  paesi  terzi  che
soggiornano regolarmente in uno Stato membro. 
    L'art. 2, comma 6-bis citato e' oggetto di censura nella parte in
cui, «anche per  i  cittadini  non  appartenenti  all'Unione  europea
titolari di permesso unico di soggiorno e di lavoro, prevede che  non
fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6, il coniuge  ed  i
figli ed equiparati [...] che non abbiano la residenza nel territorio
della Repubblica, salvo che  dallo  Stato  di  cui  lo  straniero  e'
cittadino sia riservato un trattamento di reciprocita' nei  confronti
dei  cittadini  italiani  ovvero  sia  stata  stipulata   convenzione
internazionale in materia di trattamenti  di  famiglia,  diversamente
dagli altri beneficiari non cittadini stranieri». 
    8.1.- Dinanzi alla rimettente pende  il  procedimento  introdotto
dall'INPS per la cassazione della sentenza della Corte  d'appello  di
Torino che ha accolto il ricorso con  il  quale  S.  B.G.,  cittadino
srilankese titolare di permesso unico di soggiorno e  di  lavoro,  ha
chiesto l'accertamento  del  carattere  discriminatorio  del  mancato
riconoscimento dell'assegno  del  nucleo  familiare  per  il  periodo
gennaio-giugno 2014 e giugno-luglio 2016, durante  il  quale  i  suoi
familiari erano rientrati  nel  Paese  d'origine,  e  la  conseguente
condanna dell'INPS e del datore di lavoro al pagamento delle relative
somme. Ha chiesto anche che siano rimossi gli effetti negativi  della
discriminazione, ai sensi dell'art. 28 del d.lgs. n. 150 del 2011. 
    8.2.- La Corte rimettente riferisce che la  sentenza  oggetto  di
ricorso per  cassazione  ha  riconosciuto  l'assegno  per  il  nucleo
familiare  previa  disapplicazione  dell'art.  2,  comma  6-bis,  sul
rilievo che la norma indicata sarebbe discriminatoria. 
    Il giudice di merito ha rilevato  che  l'art.  12,  paragrafo  1,
lettera e), della direttiva 2011/98/UE, prevede che i  lavoratori  di
paesi terzi di  cui  all'art.  3,  paragrafo  1,  lettere  b)  e  c),
beneficiano dello stesso trattamento  riservato  ai  cittadini  dello
Stato membro in cui soggiornano, quanto ai  settori  della  sicurezza
sociale definiti nel regolamento (CE) n. 883/2004. L'assegno  per  il
nucleo familiare rientrerebbe nei settori  della  sicurezza  sociale,
come confermato dalla Corte  di  giustizia  nella  sentenza  Martinez
Silva, riguardante l'analoga misura di cui all'art. 65 della legge 23
dicembre  1998,  n.  448  (Misure  di   finanza   pubblica   per   la
stabilizzazione e lo sviluppo). 
    Il giudice di merito ha rilevato,  inoltre,  che  il  legislatore
nazionale  non  aveva  esercitato  la  facolta'  di  deroga  prevista
dall'art. 12, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2011/98/UE,  e
che la disposizione contenuta nell'art. 12, paragrafo 1, lettera  e),
della  direttiva  sarebbe  sufficientemente  precisa   e   priva   di
condizioni, tale da imporre la disapplicazione  della  norma  interna
contrastante. 
    8.3.- La Corte rimettente richiama in sintesi  il  contenuto  del
ricorso per cassazione dell'INPS, che ha  censurato  la  sentenza  di
merito per violazione o falsa  applicazione  del  combinato  disposto
degli artt. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988, come convertito,
43 e 44 del d.lgs. n. 286 del 1998, 12 della direttiva  2011/98/UE  e
del decreto  legislativo  4  marzo  2014,  n.  40  (Attuazione  della
direttiva 2011/98/UE relativa a una procedura unica di domanda per il
rilascio di un permesso unico che  consente  ai  cittadini  di  Paesi
terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro  e
a un insieme comune di diritti per i lavoratori di  Paesi  terzi  che
soggiornano regolarmente in uno Stato  membro),  anche  in  relazione
all'art. 12 delle Preleggi. 
    In particolare, l'Istituto ha contestato l'interpretazione  della
direttiva 2011/98/UE  alla  base  della  sentenza  di  merito,  avuto
riguardo alla diversa posizione dei titolari  di  permesso  unico  di
soggiorno e di lavoro rispetto  ai  titolari  di  permesso  di  lungo
soggiorno di cui alla  direttiva  2003/109/CE,  e  ha  osservato  che
l'assegno per  il  nucleo  familiare  ha  natura  previdenziale,  non
assistenziale. 
    8.4.- La  Corte  rimettente  riferisce  di  avere  disposto,  con
ordinanza n. 9022  del  2019,  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di
giustizia ai sensi dell'art. 267 TFUE, per chiarire  la  portata  del
principio fissato  dall'art.  12,  paragrafo  1,  lettera  e),  della
direttiva 2011/98/UE, che prevede che i  lavoratori  di  Paesi  terzi
beneficiano dello stesso trattamento  riservato  ai  cittadini  dello
Stato membro in cui soggiornano,  avuto  riguardo  ai  settori  della
sicurezza sociale definiti nel regolamento n. 883 del 2004. 
    Il  «dubbio  interpretativo»  riguardava  l'eventualita'  che  il
principio di parita' di trattamento previsto dall'art. 11,  paragrafo
1, lettera d), comportasse che i familiari  del  cittadino  di  Paese
terzo lungo soggiornante  e  titolare  del  diritto  alla  erogazione
dell'assegno per il nucleo familiare, pur risiedendo di  fatto  fuori
dal territorio dello Stato membro ove questi presta la sua attivita',
fossero inclusi nel novero dei familiari sostanziali beneficiari  del
trattamento,  e  cio'  sul  presupposto  che  il   nucleo   familiare
individuato dall'art. 2, del d.l. n. 69 del 1988, non rileva soltanto
quale base di calcolo dell'importo relativo al trattamento familiare,
ma ne e' anche il beneficiario, per il  tramite  del  titolare  della
retribuzione o della pensione cui lo stesso accede. 
    8.5.- Lo schema argomentativo del rinvio pregiudiziale risulta in
larga parte coincidente con quello  adottato  nel  rinvio  avente  ad
oggetto  la  direttiva  2003/109/CE,  richiamato  nell'ordinanza   di
rimessione n. 110 del 2021. 
    8.6.- Il giudice a quo riferisce che la Corte di  giustizia,  con
la sentenza 25 novembre 2020 in causa C-302/109, INPS, ha  dichiarato
che l'art. 12, paragrafo 1, lettera e),  della  direttiva  2011/98/UE
deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa  di
uno Stato membro in forza della quale, ai fini  della  determinazione
dei diritti a una prestazione di sicurezza sociale, non vengono presi
in considerazione i familiari  del  titolare  di  permesso  unico  di
soggiorno e di lavoro, ai sensi dell'art. 2, lettera c), della stessa
direttiva, che risiedano  non  gia'  nel  territorio  di  tale  Stato
membro,  bensi'  in  un  Paese  terzo,  mentre   vengono   presi   in
considerazione i  familiari  del  cittadino  di  detto  Stato  membro
residenti in un Paese terzo. 
    8.7.-  All'esito  del  rinvio  pregiudiziale,  e  sulla  base  di
argomentazioni coincidenti con quelle esposte nell'ordinanza  n.  110
del 2021, in precedenza sintetizzate, la Corte di cassazione  ritiene
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 6-bis, d.l. n. 69  del  1988,  come
convertito, per violazione degli artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.
in relazione agli artt. 3, paragrafo  1,  lettere  b)  e  c),  e  12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE. 
    9.- Con atto depositato il 6 settembre 2021 si e' costituito  nel
giudizio  incidentale  l'INPS,  chiedendo  che   la   questione   sia
dichiarata inammissibile o, in subordine, manifestamente infondata. 
    9.1.- Come gia' dedotto nell'atto di costituzione depositato  nel
giudizio  incidentale  promosso  con  l'ordinanza  n.  110  del  2021
(sintetizzato al punto 3), l'Istituto ritiene che la Corte rimettente
avrebbe dovuto senz'altro accogliere il ricorso per  cassazione,  dal
momento che il giudice di merito aveva  fatto  ricorso  alla  tecnica
della disapplicazione  in  assenza  di  una  disciplina  eurounitaria
direttamente applicabile. 
    L'INPS svolge rilievi critici alla sentenza C-302/19 della  CGUE,
e  conclusivamente  evidenzia  che  la  natura  previdenziale   della
prestazione in oggetto, al di  fuori  del  novero  delle  prestazioni
essenziali  a  tutela  dei  diritti   fondamentali   della   persona,
imporrebbe di ritenere che il legislatore nazionale possa graduare il
riconoscimento  di  tale  prestazione  in  funzione  del  radicamento
territoriale del nucleo  familiare,  anche  alla  luce  del  criterio
dell'equilibrio di bilancio previsto dall'art. 81 Cost. 
    10.- Con atto depositato il 7 settembre 2021,  si  e'  costituita
nel giudizio incidentale la parte privata  S.  B.G.,  resistente  nel
giudizio principale, e ha chiesto che  la  questione  sia  dichiarata
inammissibile per carenza di rilevanza o, in subordine, fondata. 
    10.1.- L'atto di costituzione si presenta coincidente con  quello
depositato nel giudizio incidentale promosso con l'ordinanza  n.  110
del 2021, alla cui sintesi si puo' rinviare (punto 4). 
    11.- Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio  incidentale  con  atto  depositato  il  7  settembre  2021,
chiedendo che la questione sia  dichiarata  non  fondata  sulla  base
delle medesime argomentazioni esposte a sostegno della non fondatezza
della questione sollevata con  l'ordinanza  n.  110  del  2021,  gia'
sintetizzate (punto 5). 
    12.- In prossimita' della decisione, l'Avvocatura generale  dello
Stato ha depositato memoria illustrativa di contenuto coincidente con
quello della memoria depositata nel giudizio incidentale promosso con
l'ordinanza n. 110 del 2021. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con le ordinanze indicate in epigrafe (r.o. n. 110 e  n.  111
del 2021), la Corte di cassazione, sezione lavoro, solleva  questioni
di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma   6-bis,   del
decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in  materia  previdenziale,
per il miglioramento delle gestioni  degli  enti  portuali  ed  altre
disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge  13
maggio 1988, n. 153. 
    La disposizione censurata, collocata all'interno della disciplina
dell'assegno per il nucleo familiare, prevede che  «non  fanno  parte
del nucleo familiare di cui  al  comma  6  il  coniuge,  i  figli  ed
equiparati di cittadino straniero che non abbiano  la  residenza  nel
territorio della Repubblica, salvo che lo Stato di cui  lo  straniero
e' cittadino riservi un trattamento di reciprocita' nei confronti dei
cittadini   italiani   ovvero   sia   stata   stipulata   convenzione
internazionale in materia di trattamenti di famiglia». 
    1.1.- L'ordinanza n. 110 del 2021 prospetta la  violazione  degli
artt. 11 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione agli artt. 2, paragrafo  1,  lettere  a),  b),  c),  e  11,
paragrafo  1,  lettera  d),  della  direttiva  n.   2003/109/CE   del
Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status  dei  cittadini
di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo. 
    1.2.- Anche l'ordinanza n. 111 del 2021 prospetta  la  violazione
degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
agli artt. 3, paragrafo 1, lettere b),  e  c),  e  12,  paragrafo  1,
lettera e), della direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa ad una procedura  unica  di
domanda per  il  rilascio  di  un  permesso  unico  che  consente  ai
cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio  di
uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di
paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro. 
    1.2.1. Ne' l'una ne'  l'altra  ordinanza  evocano  la  violazione
della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea  e  in
particolare l'art. 34. 
    1.3.- Come riferito dalla Corte rimettente,  il  contrasto  della
norma censurata con il diritto dell'Unione e' stato  accertato  dalla
Corte  di   giustizia   dell'Unione   europea,   adita   con   rinvio
pregiudiziale nel corso di entrambi i giudizi a quibus. 
    1.3.1. - Con la sentenza 25 novembre 2020, nella causa  C-303/19,
INPS, la Corte di giustizia ha affermato che l'art. 11, paragrafo  1,
lettera d), della direttiva 2003/109/CE impone agli Stati  membri  di
riconoscere ai cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo
le prestazioni di sicurezza sociale alle stesse  condizioni  previste
per i cittadini dello Stato membro, qualora lo Stato - come  accaduto
per  la  Repubblica  italiana  -  non  abbia  espresso,  in  sede  di
recepimento della direttiva, l'intenzione di avvalersi  della  deroga
alla parita' di trattamento consentita  dall'art.  11,  paragrafo  2,
della direttiva stessa. 
    1.3.2.- Con la sentenza 25  novembre  2020,  in  causa  C-302/19,
INPS, la Corte di giustizia ha affermato che l'art. 12, paragrafo  1,
lettera e), della direttiva 2011/98/UE,  del  13  dicembre  2011  del
Parlamento europeo e del Consiglio, relativa a una procedura unica di
domanda per  il  rilascio  di  un  permesso  unico  che  consente  ai
cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio  di
uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di
paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno  Stato  membro,  deve
essere interpretato nel senso che esso impone agli  Stati  membri  di
riconoscere ai cittadini di paesi terzi titolari di permesso unico le
prestazioni di sicurezza sociale, tra cui rientra  l'assegno  per  il
nucleo familiare, alle stesse condizioni  previste  per  i  cittadini
dello Stato membro. 
    2.- Le questioni di legittimita' costituzionale, sollevate  dalla
Corte di cassazione con le due ordinanze,  sostanzialmente  analoghe,
si prestano a una trattazione  congiunta  mediante  la  riunione  dei
giudizi. 
    3.- Preliminarmente si da' atto che, con decreto  del  Presidente
della Corte costituzionale del 4 gennaio  2022,  ai  sensi  dell'art.
4-ter delle Norme  integrative  per  i  giudizi  davanti  alla  Corte
costituzionale, vigente  ratione  temporis,  sono  state  ammesse  le
opinioni scritte presentate dall'Associazione per gli studi giuridici
sull'immigrazione (ASGI), in qualita' di amici curiae,  opinioni  che
offrono elementi utili alla conoscenza e alla  valutazione  del  caso
sottoposto a questa Corte. 
    4.- Le ordinanze di rimessione sono state pronunciate nell'ambito
di due giudizi introdotti dall'Istituto  nazionale  della  previdenza
sociale (INPS) per la cassazione delle relative sentenze  di  merito,
che hanno riconosciuto il diritto all'assegno per il nucleo familiare
a due cittadini di paesi terzi,  l'uno  proveniente  dal  Pakistan  e
l'altro dallo Sri Lanka,  titolari  rispettivamente  di  permesso  di
lungo soggiorno e di permesso unico di soggiorno e di  lavoro,  anche
per il periodo in cui i loro  familiari  avevano  fatto  rientro  nei
paesi d'origine. 
    I giudici di merito avevano proceduto alla disapplicazione  della
disposizione contenuta nell'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n.  69  del
1988,  come  convertito,  ostativa  al  riconoscimento  del   diritto
all'assegno per il nucleo familiare per  i  periodi  di  assenza  dei
familiari dal territorio italiano,  in  quanto  contrastante  con  il
diritto derivato dell'Unione, che, all'art. 11, paragrafo 1,  lettera
d), della direttiva 2003/109/CE e all'art. 12, paragrafo  1,  lettera
e)  della  direttiva  2011/98/UE,  impone  agli   Stati   membri   di
riconoscere ai cittadini  di  paesi  terzi  il  medesimo  trattamento
previsto per i propri cittadini in materia di prestazioni sociali. 
    4.1.- Nei giudizi dinanzi  a  questa  Corte  si  sono  costituiti
l'INPS e le parti private. 
    4.2.- L'Istituto ha  chiesto  che  le  prospettate  questioni  di
legittimita'  costituzionale  siano   dichiarate   inammissibili   o,
comunque, non fondate,  assumendo  l'erroneita'  delle  decisioni  di
merito che hanno proceduto a  disapplicare  la  norma  interna  e  la
legittimita' del trattamento differenziato, una volta che i familiari
del  richiedente  l'assegno  si  siano  allontanati  dal   territorio
nazionale. 
    4.3.-  Le  parti  private  hanno  chiesto  la   declaratoria   di
inammissibilita' delle questioni  per  difetto  di  rilevanza  o,  in
subordine, l'accoglimento delle stesse. 
    Esse assumono che l'antinomia tra la norma interna e  il  diritto
derivato dell'Unione, gia' accertata dalla Corte di giustizia in sede
di rinvio pregiudiziale, debba essere risolta con la  disapplicazione
della  norma  interna.  Per  un  verso,  l'obbligo  di   parita'   di
trattamento,  previsto  dalle  direttive  2003/109/CE  e   2011/98/UE
sarebbe dotato di effetto diretto, per altro verso, non  residuerebbe
alcuna  discrezionalita'  del  legislatore   con   riferimento   alla
rimozione della discriminazione  gia'  realizzata.  Quanto  poi  alla
possibilita' per il legislatore di prevedere limitazioni  all'obbligo
di  parita'  di  trattamento  purche'  adeguate  e  proporzionali   -
prospettata dal giudice rimettente - la difesa  delle  parti  private
evidenzia che la Corte di giustizia ha chiarito che  la  facolta'  di
deroga prevista dalle  citate  direttive  non  risulta  essere  stata
esercitata in sede di recepimento. 
    In subordine, la stessa difesa insiste per  l'accoglimento  delle
questioni   sulla   base   dell'accertamento    dell'incompatibilita'
dell'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69  del  1988  con  il  diritto
dell'Unione, effettuato in sede di rinvio pregiudiziale. 
    5.- Prima di procedere all'esame delle  questioni,  e'  opportuno
richiamare  brevemente  la  disciplina  dell'assegno  per  il  nucleo
familiare. 
    5.1.- Istituito dalla legge n. 153 del  1988,  di  conversione  e
parzialmente modificativa del d.l. n. 69 del 1988, l'assegno  per  il
nucleo familiare  (da  ora:  ANF)  e'  una  prestazione  economica  a
sostegno del reddito delle famiglie dei lavoratori dipendenti  o  dei
pensionati  da  lavoro  dipendente,  calcolata  in   relazione   alla
dimensione del nucleo familiare e  alla  sua  tipologia,  nonche'  in
considerazione del reddito complessivo prodotto al suo interno. 
    La legge n. 153 del 1988, nel segnare un passaggio  terminologico
da «assegni familiari» (d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, recante «Testo
unico delle norme concernenti gli assegni familiari») ad «assegni per
il nucleo familiare», ne accentua la duplice natura  previdenziale  e
di sostegno a situazioni di bisogno  (Corte  di  cassazione,  sezioni
unite, sentenza 7 marzo 2008, n. 6179; Corte di  cassazione,  sezione
lavoro, sentenza 30 marzo 2015, n. 6351). 
    In luogo del requisito della «vivenza a carico»,  condizione  per
la concessione della provvidenza, e' lo stato di bisogno  del  nucleo
nel suo complesso, che qualifica il nucleo stesso quale  destinatario
della tutela. 
    L'assegno in oggetto, funzionale all'integrazione del reddito del
nucleo familiare, e quindi corrisposto non in  favore  dei  familiari
singolarmente considerati come beneficiari, ma in favore  del  nucleo
complessivamente  considerato,  si  calcola   in   relazione   a   un
accertamento in concreto del reale bisogno economico della  famiglia,
riferito al rapporto tra il numero dei suoi componenti e  l'ammontare
del reddito complessivo. 
    I soggetti, in relazione ai quali il nuovo trattamento  e'  stato
riconosciuto, sono qualificati dall'appartenenza al nucleo familiare,
anche se non conviventi e  non  a  carico  del  richiedente,  poiche'
fruitori di redditi propri. Cio' che rileva, ai fini della percezione
della prestazione in capo al richiedente,  e'  il  reddito  familiare
complessivamente considerato. 
    5.2.- La normativa  in  esame  individua  la  nozione  di  nucleo
familiare, con valenza generale, all'art. 2, comma 6, del d.l. n.  69
del 1988, come convertito, che prevede:  «[i]l  nucleo  familiare  e'
composto dai  coniugi,  con  esclusione  del  coniuge  legalmente  ed
effettivamente  separato,  e  dai  figli  ed  equiparati,  ai   sensi
dell'art. 38 del d.P.R. 26 aprile 1957, n. 818, di eta'  inferiore  a
18 anni compiuti ovvero, senza limite di eta', qualora si trovino,  a
causa di infermita' o  difetto  fisico  o  mentale,  nell'assoluta  e
permanente impossibilita' di dedicarsi ad  un  proficuo  lavoro.  Del
nucleo familiare possono far parte, alle stesse  condizioni  previste
per i figli ed equiparati, anche i fratelli, le sorelle ed  i  nipoti
di eta' inferiore a 18 anni compiuti ovvero  senza  limiti  di  eta',
qualora si trovino, a causa di infermita' o difetto fisico o mentale,
nell'assoluta e permanente impossibilita' di dedicarsi ad un proficuo
lavoro, nel caso in cui essi siano orfani di entrambi  i  genitori  e
non abbiano conseguito il diritto a pensione ai superstiti». 
    Lo stesso art. 2, al comma 6-bis, introduce una  diversa  nozione
di nucleo familiare riferita ai cittadini stranieri,  prevedendo  che
«[n]on fanno parte del nucleo familiare di cui al comma 6 il  coniuge
ed i figli ed equiparati di cittadino straniero che  non  abbiano  la
residenza nel territorio della Repubblica, salvo che dallo  Stato  di
cui lo  straniero  e'  cittadino  sia  riservato  un  trattamento  di
reciprocita' nei confronti dei cittadini italiani  ovvero  sia  stata
stipulata convenzione internazionale in  materia  di  trattamenti  di
famiglia. L'accertamento degli Stati nei quali vige il  principio  di
reciprocita' e' effettuato dal Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, sentito il Ministro degli affari esteri». 
    Pertanto, ai fini  del  riconoscimento  del  diritto  all'assegno
familiare, il requisito della residenza nel territorio  italiano  non
e' richiesto per i familiari del cittadino italiano, mentre lo e' per
i familiari del cittadino straniero, salvo che sussista un regime  di
reciprocita' o sia in vigore una convenzione  internazionale  con  il
paese d'origine di quest'ultimo. 
    5.3.- Il legislatore e' recentemente intervenuto  a  disciplinare
nuovamente la materia. La legge 1° aprile  2021,  n.  46  (Delega  al
Governo  per  riordinare,  semplificare  e  potenziare  le  misure  a
sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e universale),
«[a]l  fine  di  favorire  la  natalita'»,  ha  delegato  il  Governo
all'adozione di «uno o piu' decreti legislativi volti  a  riordinare,
semplificare e potenziare, anche in  via  progressiva,  le  misure  a
sostegno dei figli a carico attraverso l'assegno unico e universale»,
improntato a un «principio universalistico» e modulato -  secondo  un
criterio di progressivita' - in rapporto alle  condizioni  economiche
del nucleo familiare (art. 1). 
    La delega e' stata attuata con il decreto legislativo 29 dicembre
2021, n. 230 (Istituzione dell'assegno unico e universale per i figli
a carico, in attuazione della delega conferita al  Governo  ai  sensi
della legge 1° aprile 2021, n. 46), che, a  decorrere  dal  1°  marzo
2022, ha istituito «l'assegno  unico  e  universale  per  i  figli  a
carico, che costituisce un beneficio economico  attribuito,  su  base
mensile, per il periodo compreso tra marzo di ciascun anno e febbraio
dell'anno successivo, ai nuclei familiari sulla base della condizione
economica del nucleo» (art. 1). 
    5.3.1.- Le nuove norme in tema  di  assegno  unico  universale  -
prestazione, come si e' detto, erogata a decorrere dal 1° marzo  2022
- non incidono sui giudizi a quibus, concernenti fattispecie  che  si
sono perfezionate nel vigore della disciplina anteriore. 
    6.- La Corte di cassazione ha chiarito, sia  in  sede  di  rinvio
pregiudiziale, sia nelle ordinanze  che  sollevano  le  questioni  di
legittimita' costituzionale, che l'ANF presenta caratteristiche  tali
da essere ricompreso nell'ambito delle previsioni di cui  agli  artt.
11, paragrafo 1,  lettera  d),  della  direttiva  2003/109/CE  e  12,
paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/98/UE. 
    Entrambe  le  disposizioni  citate  impongono   la   parita'   di
trattamento tra le categorie in esse indicate e i cittadini italiani,
avuto riguardo alle prestazioni sociali. 
    L'art. 11, paragrafo 1, lettera d), della  direttiva  2003/109/CE
prevede che «il soggiornante di  lungo  periodo»  gode  dello  stesso
trattamento  dei  cittadini  nazionali   per   quanto   riguarda   le
prestazioni sociali, l'assistenza sociale e la protezione sociale  ai
sensi della legislazione nazionale. 
    L'art. 12, paragrafo 1, lettera e),  della  direttiva  2011/98/UE
prevede che  «i  lavoratori  dei  paesi  terzi  di  cui  all'art.  3,
paragrafo 1, lettere b) e c)» beneficiano  dello  stesso  trattamento
riservato ai cittadini dello Stato  membro  in  cui  soggiornano  per
quanto concerne  i  settori  della  sicurezza  sociale  definiti  nel
regolamento (CE) n.  883  del  2004  del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei  sistemi
di sicurezza sociale. 
    7.- Nel contesto normativo delineato, connotato dalla  perdurante
vigenza dell'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988, anche dopo
il recepimento delle direttive richiamate,  avvenuto  rispettivamente
con il decreto legislativo 8 gennaio 2007,  n.  3  (Attuazione  della
direttiva 2003/109/CE relativa allo  status  di  cittadini  di  Paesi
terzi soggiornanti di lungo periodo) e con il decreto  legislativo  4
marzo 2014, n. 40 (Attuazione della direttiva 2011/98/UE, relativa ad
una procedura unica di domanda per il rilascio di un  permesso  unico
che consente ai cittadini di paesi terzi di  soggiornare  e  lavorare
nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune  di  diritti
per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano regolarmente  in  uno
Stato membro), la Corte di cassazione si e'  rivolta  alla  Corte  di
giustizia, con lo strumento del rinvio pregiudiziale  interpretativo,
ai sensi dell'art. 267 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea (TFUE), come modificato dall'art. 2 del Trattato  di  Lisbona
del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.  130,
e ha posto un quesito riguardo alla compatibilita' del citato art. 2,
comma 6-bis, con le direttive 2003/109/CE e 2011/98/UE. 
    8.- In entrambe le sentenze rese a  seguito  del  duplice  rinvio
pregiudiziale la Corte di  giustizia  ha  concluso  nel  senso  della
incompatibilita'  dell'art.  2,  comma  6-bis,  con  le  disposizioni
contenute negli artt. 11, paragrafo 1, lettera  d),  della  direttiva
2003/109, e con l'art. 12, paragrafo 1, lettera e),  della  direttiva
2011/98/UE. 
    8.1- Nella sentenza nella causa C-303/19, riferita alla direttiva
2003/109/CE, si afferma che il  diritto  dell'Unione  non  limita  la
facolta'  degli  Stati  membri  di  organizzare  i  loro  sistemi  di
sicurezza sociale. Tuttavia, nell'esercitare tale facolta', essi sono
tenuti a conformarsi al diritto dell'Unione (punto 20). 
    La Corte di giustizia ha chiarito che, in favore dei cittadini di
paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, l'art. 11 della  direttiva
prevede, come regola generale, il diritto alla parita' di trattamento
nei settori individuati e alle condizioni ivi previste, ed elenca poi
le deroghe a tale diritto che gli  Stati  membri  hanno  facolta'  di
stabilire. Tali deroghe devono essere interpretate restrittivamente e
possono essere invocate solo  qualora  gli  organi  competenti  nello
Stato membro interessato per  l'attuazione  della  direttiva  abbiano
chiaramente espresso l'intenzione di avvalersi  delle  stesse  (punto
23, con richiamo alla sentenza 24 aprile  2012,  in  causa  C-571/10,
Kamberaj). 
    La  Corte  ha  quindi  accertato  che  non  e'   stata   espressa
l'intenzione di avvalersi della deroga in sede di  recepimento  della
direttiva nel diritto italiano (punti 37 e 38). 
    Quanto al dubbio prospettato dal giudice del rinvio, la Corte  di
giustizia ha precisato che, «se e' vero  che  sono  i  familiari  che
beneficiano di detto assegno, cio' che costituisce  l'oggetto  stesso
di una prestazione familiare [...], risulta che l'assegno e'  versato
al lavoratore o pensionato, componente a  propria  volta  del  nucleo
familiare» (punto 36). 
    Pertanto, in  assenza  di  esercizio  della  facolta'  di  deroga
consentita  dall'articolo  11,  paragrafo  2,  il  beneficio  di  una
prestazione di sicurezza sociale al soggiornante di lungo periodo non
puo' essere rifiutato o ridotto per il motivo che i suoi familiari  o
taluni di essi risiedano  in  un  paese  terzo,  quando  invece  tale
beneficio e' riconosciuto ai cittadini italiani indipendentemente dal
luogo in cui i loro familiari risiedono. 
    8.2.- Nella sentenza nella causa C-302/19, avente ad  oggetto  la
direttiva  2011/98/UE,  dopo  avere  svolto  argomentazioni  analoghe
quanto alla facolta' degli  Stati  membri  di  organizzare  i  propri
regimi di sicurezza sociale, la  Corte  di  giustizia  ha  richiamato
l'art. 12, paragrafo 1, lettera e), che impone agli Stati  membri  di
far beneficiare della  parita'  di  trattamento,  nei  settori  della
sicurezza sociale di cui al regolamento n. 883/2004, i  cittadini  di
paesi terzi ammessi a fini lavorativi, quali sono i  titolari  di  un
permesso unico, ai sensi dell'art. 2,  lettera  c),  della  direttiva
medesima. 
    L'assegno per  il  nucleo  familiare  costituisce,  infatti,  una
prestazione di  sicurezza  sociale,  che  rientra  nel  novero  delle
prestazioni familiari di cui all'art. 3, paragrafo 1, lettera j), del
regolamento n. 883/2004 (punto 40,  con  richiamo  alla  sentenza  21
giugno 2017, in causa C-449/16 Martinez Silva). 
    Analogamente a quanto riferito con riguardo alla  sentenza  nella
causa C-303/19, la Corte di giustizia ha chiarito che,  se  anche  si
ritenga che i sostanziali beneficiari dell'assegno in oggetto siano i
familiari, e' vero altresi' che l'assegno e' versato al lavoratore  o
pensionato, componente a propria volta del  nucleo  familiare  (punto
45). 
    A  proposito  della  limitazione  del  diritto  alla  parita'  di
trattamento, la Corte ha  precisato  anche  in  questo  caso  che  le
deroghe elencate dalla direttiva, da  interpretare  restrittivamente,
sono invocabili solo qualora gli organi competenti nello Stato membro
interessato per  l'attuazione  della  direttiva  abbiano  chiaramente
espresso l'intenzione di avvalersene (punto  26,  con  richiamo  alla
sentenza Martinez Silva). 
    La stessa Corte ha poi affermato che «non risulta da alcuna delle
deroghe ai diritti conferiti dall'articolo 12, paragrafo  1,  lettera
e), della direttiva 2011/98/UE, previste all'art. 12, paragrafo 2, di
quest'ultima, una possibilita' per gli Stati membri di escludere  dal
diritto alla parita' di trattamento  il  lavoratore  titolare  di  un
permesso unico i cui familiari  risiedono  non  gia'  nel  territorio
dello Stato membro interessato, bensi' in un paese terzo» (punto 27). 
    Richiamate le finalita' della direttiva, la Corte ha sottolineato
che,  nel  garantire  un  obbligo  di  parita'  di  trattamento   dei
lavoratori provenienti da paesi terzi, si riconosce il contributo  di
costoro all'economia dell'Unione, attraverso «il loro lavoro e i loro
versamenti di imposte», e si contrasta la concorrenza  sleale  tra  i
cittadini di uno Stato membro e i cittadini di  paesi  terzi  causata
dall'eventuale sfruttamento di questi ultimi (punti 34 e 35). 
    9.- Concluso l'iter del rinvio pregiudiziale con le due decisioni
della Corte  di  giustizia,  la  Corte  di  cassazione  ha  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  6-bis,
del d.l. n. 69  del  1988,  come  convertito,  per  contrasto  con  i
parametri che sovraintendono al rapporto tra l'ordinamento  nazionale
e il diritto dell'Unione, gli artt. 11 e  117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo con l'interposizione delle direttive indicate. 
    10.- Le questioni  cosi'  prospettate  devono  essere  dichiarate
inammissibili per carenza di rilevanza,  come  eccepito  anche  dalla
difesa delle parti private. 
    10.1.- La Corte rimettente assume di non poter dare attuazione al
diritto dell'Unione, come  interpretato  nelle  sentenze  rese  dalla
Corte di giustizia in risposta al  duplice  rinvio  pregiudiziale  da
essa stessa disposto. 
    Dopo avere escluso il ricorso allo strumento dell'interpretazione
conforme, per l'univoco contenuto della disciplina di cui all'art. 2,
comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988, come convertito,  la  Corte  di
cassazione ritiene di non poter procedere alla disapplicazione  della
disposizione citata poiche', con riferimento alla prestazione sociale
in oggetto, il diritto  europeo  non  detta  una  disciplina  in  se'
compiuta, da applicare in luogo di quella dichiarata incompatibile. 
    10.2.-  Per  confutare  quest'ultimo  argomento,   e'   opportuno
prendere le mosse dalla scelta, operata dalla Corte di cassazione, di
rivolgersi alla Corte di Lussemburgo, prima di sollevare la questione
di costituzionalita' dinanzi a questa Corte. 
    Tale  scelta  si  colloca  all'interno  di  una   procedura   che
identifica  nella  Corte  di  giustizia  l'interprete   del   diritto
dell'Unione, al fine di garantirne l'uniforme applicazione  in  tutti
gli Stati membri (art. 267 TFUE). 
    La   competenza    esclusiva    della    Corte    di    giustizia
nell'interpretazione e nell'applicazione dei  Trattati,  riconosciuta
da questa Corte in sede di rinvio pregiudiziale (da ultimo  ordinanze
n. 116 e n. 117 del 2021, rispettivamente  punto  8  e  punto  7  del
Considerato; ordinanza n. 182 del 2020, punto 3.2. del  Considerato),
comporta, in virtu' del principio di effettivita' delle  tutele,  che
le decisioni adottate sono vincolanti, innanzi  tutto  nei  confronti
del giudice che ha disposto il rinvio (Corte di  giustizia,  sentenza
16 giugno 2015, in causa C-62/14, Gauweiler e altri, punto 16; e gia'
sentenza 3 febbraio 1977, in causa 52/76, Benedetti, punto 26). 
    Nel sistema cosi' disegnato, la procedura pregiudiziale, oltre  a
rappresentare un canale di raccordo fra giudici nazionali e Corte  di
giustizia per risolvere eventuali incertezze interpretative, concorre
ad assicurare e rafforzare il primato del diritto dell'Unione. 
    A partire dalla sentenza Simmenthal (sentenza 9  marzo  1978,  in
causa 106/77, Amministrazione delle finanze dello Stato), la Corte di
giustizia ha affermato che  il  giudice  nazionale  ha  l'obbligo  di
garantire la piena efficacia delle norme europee  dotate  di  effetto
diretto,  «disapplicando  all'occorrenza,  di   propria   iniziativa,
qualsiasi disposizione  contrastante  della  legislazione  nazionale,
anche posteriore,  senza  doverne  chiedere  o  attendere  la  previa
rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro  procedimento
costituzionale» (punto 24). 
    In tempi molto  piu'  vicini,  la  stessa  Corte  e'  tornata  ad
affermare  la  centralita'  del  rinvio  pregiudiziale,  al  fine  di
garantire  piena  efficacia  al  diritto  dell'Unione  e   assicurare
l'effetto utile dell'art.  267  TFUE,  cui  si  salda  il  potere  di
«disapplicare»  la  contraria  disposizione  nazionale  (sentenza  20
dicembre 2017, in causa C-322/16, Global Starnet Ltd., punti 21 e 22;
sentenza 24 ottobre 2018, in causa C-234/17, XC e  altri,  punto  44;
sentenza 19 dicembre 2019, in causa C-752/18,  Deutsche  Umwelthilfe,
punto 42; sentenza 16 luglio 2020, in causa  C-686/18,  OC  e  altri,
punto 30). La Corte di giustizia ha inoltre precisato che la  mancata
disapplicazione di una disposizione nazionale ritenuta  in  contrasto
con il diritto europeo viola «i principi di uguaglianza tra gli Stati
membri e di leale cooperazione  tra  l'Unione  e  gli  Stati  membri,
riconosciuti dall'art. 4, paragrafi 2 e 3, TUE,  con  l'articolo  267
TFUE, nonche' [...] il principio del primato del diritto dell'Unione»
(sentenza 22 febbraio 2022, in causa C430/21, RS, punto 88). 
    11.- Il principio del primato del diritto dell'Unione e l'art. 4,
paragrafi 2 e 3, TUE costituiscono dunque l'architrave su cui  poggia
la comunita'  di  corti  nazionali,  tenute  insieme  da  convergenti
diritti e obblighi. Questa Corte,  ha  costantemente  affermato  tale
principio,  valorizzandone  gli  effetti  propulsivi  nei   confronti
dell'ordinamento interno. In tale sistema il sindacato accentrato  di
costituzionalita',  configurato   dall'art.   134   Cost.,   non   e'
alternativo a un meccanismo diffuso di attuazione del diritto europeo
(sentenza n. 269 del 2017, punti 5.2 e 5.3 del Considerato;  sentenza
n. 117 del 2019, punto 2 del Considerato),  ma  con  esso  confluisce
nella costruzione di tutele sempre piu' integrate. 
    12.- Nella  prospettiva  del  primato  del  diritto  dell'Unione,
diversamente da quanto assume la Corte di cassazione, alle  norme  di
diritto europeo contenute negli artt. 11, paragrafo  1,  lettera  d),
della direttiva 2003/109/CE e 12,  paragrafo  1,  lettera  e),  della
direttiva 2011/98/UE, deve riconoscersi effetto diretto  nella  parte
in cui  prescrivono  l'obbligo  di  parita'  di  trattamento  tra  le
categorie di cittadini di  paesi  terzi  individuate  dalle  medesime
direttive  e  i  cittadini  dello  Stato  membro   in   cui   costoro
soggiornano. 
    Si tratta di un obbligo cui corrisponde il diritto del  cittadino
di  paese  terzo  -rispettivamente  titolare  di  permesso  di  lungo
soggiorno e titolare di un permesso unico di soggiorno e di lavoro  -
a ricevere le prestazioni sociali alle stesse condizioni previste per
i cittadini dello Stato membro. La tutela riconosciuta al diritto  in
questione e la sua azionabilita'  richiamano  le  condizioni  che  la
costante  giurisprudenza  della  Corte  di  giustizia  individua  per
affermare l'efficacia diretta delle disposizioni su cui tali  diritti
si fondano (a partire dalla  sentenza  19  novembre  1991,  in  cause
riunite C-6/90 e C-9/90, Francovich). 
    Non e' quindi la disciplina delle  prestazioni  sociali  -  nella
specie  dell'assegno  per  il  nucleo  familiare  -  l'oggetto  delle
direttive citate. Come  ha  chiarito  la  Corte  di  giustizia  nelle
sentenze  rese  a   seguito   del   duplice   rinvio   pregiudiziale,
l'organizzazione dei regimi  di  sicurezza  sociale  rientra  tra  le
competenze degli Stati membri, che possono conformare e modificare il
sistema  delle  provvidenze  in  coerenza  con  esigenze  interne  di
sostenibilita' complessiva. 
    Le richiamate direttive si limitano a  prescrivere  l'obbligo  di
parita' di trattamento, in forza della previsione di cui all'art. 79,
comma 2, lettera b), TFUE, che consente al Parlamento  europeo  e  al
Consiglio, in sede di procedura legislativa  ordinaria,  di  adottare
misure nel settore della «definizione dei diritti  dei  cittadini  di
paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno Stato membro». 
    L'intervento dell'Unione si sostanzia, dunque,  nella  previsione
dell'obbligo di non differenziare il  trattamento  del  cittadino  di
paese terzo rispetto a quello riservato ai cittadini degli  stati  in
cui essi operano legalmente. 
    Si tratta di un obbligo imposto  dalle  direttive  richiamate  in
modo chiaro, preciso e incondizionato, come tale  dotato  di  effetto
diretto. 
    12.1.- In relazione a prestazioni in favore di  talune  categorie
di cittadini di paesi terzi,  questa  Corte  si  e',  peraltro,  gia'
espressa per dichiarare la manifesta inammissibilita' delle questioni
sollevate. In particolare, con  riferimento  all'art.  65,  comma  1,
della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica  per
la stabilizzazione e lo  sviluppo),  come  modificato  dall'art.  13,
comma  1,  della  legge  6  agosto  2013,  n.  97  (Disposizioni  per
l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia
all'Unione europea - Legge europea 2013), e dell'art.  74,  comma  1,
del decreto legislativo 26 marzo 2021 (Testo unico delle disposizioni
legislative in materia di tutela e sostegno della maternita' e  della
paternita', a norma dell'articolo 15 della legge  8  marzo  2000,  n.
53), e'  stata  evidenziata  l'incompleta  ricostruzione  del  quadro
normativo,  poiche'  il  rimettente  non  aveva  preso  in  esame  la
direttiva 2011/98/UE - in particolare  il  principio  di  parita'  di
trattamento  (art.  12)  riconosciuto  a  determinate  categorie   di
cittadini di paesi terzi, come interpretato dalla Corte di  giustizia
europea  -  e  non  ne  aveva  valutato  l'applicabilita'  nel   caso
sottoposto al suo giudizio (ordinanza n. 52 del 2019). 
    12.2.- Alla luce di quanto sin qui detto, si puo'  affermare  che
le  disposizioni  censurate,  ritenute  dalla  Corte   di   giustizia
incompatibili  con  il  diritto  europeo,  si   prestano   a   essere
disapplicate dal giudice rimettente. 
    13.- L'ulteriore argomento prospettato dalla Corte di cassazione,
a sostegno della impraticabilita' della disapplicazione  della  norma
interna in  contrasto  con  il  diritto  dell'Unione,  risiede  nella
valorizzazione della discrezionalita' del legislatore. A quest'ultimo
spetterebbe la scelta  dei  rimedi  con  cui  rimuovere  gli  effetti
discriminatori e quella di limitare la parita' di trattamento. 
    Anche questo argomento non puo' essere condiviso. 
    13.1.- Ben puo' il legislatore scegliere  le  modalita'  con  cui
eliminare l'accertata discriminazione anche per il passato. Tuttavia,
il  compito  della  rimozione  degli  effetti   discriminatori   gia'
verificatisi rimane affidato al giudice. 
    Come affermato dalla Corte di giustizia nella sentenza  14  marzo
2018, in causa C-482/16, Stollwitzer punto 30,  l'eliminazione  della
discriminazione deve essere  assicurata  mediante  il  riconoscimento
alle persone  appartenenti  alla  categoria  sfavorita  degli  stessi
vantaggi di cui beneficiano le persone della categoria  privilegiata.
Il regime applicato alla categoria privilegiata costituisce  il  solo
riferimento normativo da prendere in considerazione fino a quando  il
legislatore nazionale non abbia provveduto a ristabilire  la  parita'
di trattamento, e con essa  la  conformita'  del  diritto  interno  a
quello dell'Unione. 
    13.2.- Quanto poi ai possibili limiti da apporre alla parita'  di
trattamento, la Corte di cassazione richiama una decisione di  questa
Corte in cui si e' affermato che «il contrasto con  il  principio  di
non discriminazione di cui all'art. 12 del Trattato CE, non e' sempre
di per se' sufficiente  a  consentire  la  "non  applicazione"  della
confliggente norma interna da parte  del  giudice  comune»,  e  «[a]l
legislatore dello Stato membro [...] e' consentito di  prevedere  una
limitazione di parita' di trattamento tra il proprio cittadino  e  il
cittadino di altro Stato membro, a condizione che sia proporzionata e
adeguata» (sentenza n. 227 del 2010). 
    Il richiamo non e' pertinente. 
    13.3.-  La  sentenza  n.  227  del  2010,  citata   dalla   Corte
rimettente, aveva a oggetto l'art. 18, comma  1,  lettera  r),  della
legge 22 aprile 2005, n. 69 (Disposizioni per conformare  il  diritto
interno alla decisione quadro  2005/584/GAI  del  Consiglio,  del  13
giugno 2002, relativa al mandato di arresto europeo e alle  procedure
di consegna degli Stati membri). 
    Diversamente da tale decisione quadro, priva di effetti  diretti,
le direttive 2003/109/CE e 2011/98/UE impongono come regola  generale
la parita' di trattamento, in relazione alla prestazione  sociale  in
esame, e riconoscono agli Stati membri la facolta' di  limitare  tale
parita', esprimendo  chiaramente  l'intenzione  di  volersi  avvalere
della facolta' di deroga. 
    A tale proposito, la Corte di giustizia, nel rispondere ai rinvii
pregiudiziali, ha accertato che il legislatore nazionale  non  si  e'
avvalso della facolta' di limitare il trattamento paritario  prevista
dall'art. 11, paragrafo  2,  della  direttiva  2003/109/CE  (sentenza
nella causa C-303/19, punto 38),  ed  ha  osservato  che  l'art.  12,
paragrafo 2, della direttiva 2011/98/UE non consente di escludere dal
diritto alla parita' di trattamento  il  lavoratore  titolare  di  un
permesso unico di soggiorno e di lavoro i cui familiari risiedono non
gia' nel territorio dello Stato  membro  interessato,  bensi'  in  un
paese terzo (sentenza C-302/19, punto 27, che richiama il punto 24). 
    Il vincolo, generato dalle sentenze della Corte di giustizia  nei
confronti dei giudici del rinvio, riguarda anche  tali  affermazioni,
che concorrono a sorreggere il giudizio di incompatibilita' dell'art.
2, comma 6-bis, con il diritto derivato dell'Unione. 
    14.- Si puo' inoltre osservare che, sul tema delle  deroghe  alla
parita' di trattamento previste dalla direttiva 2011/98/UE, la difesa
statale ha  segnalato  che  nella  sentenza  della  Grande  camera  2
settembre 2021, in  causa  350/20,  O.D.  e  altri,  successiva  alla
sentenza nella causa C-302/19, e' stato affermato che «la  Repubblica
italiana non si e' avvalsa della facolta' offerta agli  Stati  membri
di limitare la parita' di trattamento  come  previsto  dall'art.  12,
paragrafo 2, lettera b), della  direttiva  2011/98»  (punto  64).  Vi
sarebbe  pertanto  sul  punto   una   contraddizione   interna   alla
giurisprudenza della Corte di giustizia. 
    Dopo la pronuncia della Corte di giustizia  ora  citata,  resa  a
seguito di  rinvio  pregiudiziale,  questa  Corte  ha  affermato  che
l'esercizio della facolta' di deroga «si correla  non  soltanto  alla
salvaguardia dell'effetto utile  della  direttiva,  ma  anche  a  una
fruttuosa  e  trasparente  fase  di  recepimento,   che   lo   stesso
legislatore dell'Unione europea  vuole  contraddistinta  dall'impegno
degli Stati membri a una costante interlocuzione con la  Commissione»
(sentenza n. 54 del 2022, punto 9.4.1 Considerato in diritto). 
    Peraltro, nel senso appena indicato - del mancato esercizio della
facolta' di deroga in sede di recepimento della direttiva  2011/98/UE
- la Corte di  giustizia  si  era  pronunciata  gia'  nella  sentenza
Martinez Silva (punto 30), precisando che la normativa limitativa del
diritto alla parita' di trattamento  era  contenuta  in  disposizioni
adottate prima del recepimento della direttiva (art. 65  della  legge
n. 448 del 1998), che  non  potevano  essere  considerate  istitutive
delle limitazioni consentite dalla medesima direttiva. 
    Una  situazione  analoga  si  registra   con   riferimento   alla
disciplina  dell'ANF  prevista  dal  d.l.  n.  69  del   1988,   come
convertito, anch'essa antecedente  al  recepimento  della  direttiva,
sicche', in assenza di deroga, la disposizione contenuta nell'art. 2,
comma 6-bis, del  citato  decreto  realizza  una  discriminazione  in
contrasto con il diritto dell'Unione. 
    15.- In conclusione, questa Corte deve rilevare che nei giudizi a
quibus ricorrono le condizioni per fare  luogo  alla  disapplicazione
dell'art. 2, comma 6-bis, del d.l. n. 69 del 1988,  come  convertito.
Pertanto, le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  aventi  ad
oggetto tale disposizione devono essere dichiarate inammissibili  per
difetto di rilevanza. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 6-bis, del decreto-legge  13  marzo
1988, n. 69 (Norme in materia  previdenziale,  per  il  miglioramento
delle gestioni degli enti portuali ed  altre  disposizioni  urgenti),
convertito, con modificazioni, nella legge 13 maggio  1988,  n.  153,
sollevate, in riferimento agli artt. 11 e  117,  primo  comma,  della
Costituzione - quest'ultimo in relazione agli artt. 2,  paragrafo  1,
lettere a), b), e c), e 11, paragrafo 1, lettera d), della  direttiva
2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status
dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo,
e agli artt. 3, paragrafo 1, lettere b), e c),  e  12,  paragrafo  1,
lettera e), della direttiva (UE) 2011/98 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 13 dicembre 2011, relativa ad una procedura  unica  di
domanda per  il  rilascio  di  un  permesso  unico  che  consente  ai
cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio  di
uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di
paesi terzi che soggiornano regolarmente in uno Stato membro -  dalla
Corte di cassazione, sezione lavoro, con  le  ordinanze  indicate  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta l'8 febbraio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'11 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA