N. 16 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 28 febbraio 2022

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 28 febbraio 2022 (del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri). 
 
Usi civici  -  Procedimento  amministrativo  -  Norme  della  Regione
  Calabria  -  Modifica  alla  legge  regionale  n.  18  del  2007  -
  Procedimenti di liquidazione degli usi  civici,  di  legittimazione
  della detenzione di fatto senza titolo di terre del demanio  civico
  comunale, di affrancazione  del  fondo  enfiteutico  -  Definizione
  semplificata ove questi abbiano ad oggetto le aree ivi  previste  -
  Previsione  che  proroga  il  termine  del  31  dicembre  2021,  di
  presentazione  della  richiesta  che   instaura   il   procedimento
  semplificato, sino al 31 dicembre 2022. 
- Legge della Regione Calabria 23 (recte: 28) dicembre  2021,  n.  41
  ("Modifica dell'articolo 27 della legge regionale 21  agosto  2007,
  n. 18 (Norme in materia di usi civici). Proroga termini"), art. 1. 
(GU n.12 del 23-3-2022 )
    Ricorso  ex  art.  127  della  Costituzione  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri pro tempore, rappresentato e  difeso  ex  lege
dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  c.f.  80224030587,  n.  fax
0696514000  ed  indirizzo  p.e.c.  per  il  ricevimento  degli   atti
ags.rm@mailcertavvocaturastato.it, presso i cui uffici in  Roma,  via
dei Portoghesi n. 12, e' domiciliato per legge, 
    Contro la Regione  Calabria,  in  persona  del  Presidente  della
Giunta regionale in carica, 
    per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1
della legge della Regione  Calabria  n.  41  del  23  dicembre  2021,
pubblicata nel BURC della Regione Calabria n.  114  del  29  dicembre
2021, recante «Modifica dell'art. 27 della legge regionale 21  agosto
2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici). Proroga  termini»,  per
violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma,  lettera  s),  117,
secondo comma, lettera l), 118 della Costituzione, rispetto ai  quali
costituiscono norme interposte la legge n. 168  del  2017  (Norme  in
materia di domini collettivi)  nonche'  le  altre  norme  statali  in
materia di usi civici, gli articoli 142, comma 1,  lettera  h),  135,
143 e 145 del Codice dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  e  del
principio di leale collaborazione e cio' a seguito ed in forza  della
delibera di impugnativa assunta  dal  Consiglio  dei  ministri  nella
seduta del 24 febbraio 2022. 
 
                                Fatto 
 
    La legge regionale n. 41 del 2021, «Modifica dell'art.  27  della
legge regionale 21 agosto 2007,  n.  18  (Norme  in  materia  di  usi
civici). Proroga termini», dispone, all'art. 1, intitolato  (Modifica
dell'art. 27, comma 1, legge regionale 21 agosto 2007, n. 18): 
      1. «Alla fine del comma 1 dell'art. 27 della legge regionale 21
agosto 2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici), le  parole:  «31
dicembre 2021» sono sostituite dalle seguenti: «31 dicembre 2022». 
    Preliminarmente si evidenzia che, nel suo impianto generale,  non
oggetto di modifica da parte della legge regionale n. 41 in esame, la
legge regionale Calabria n.  18  del  2007  ha  inteso  conferire  ai
comuni, ai sensi dell'art. 14, le funzioni amministrative concernenti
la liquidazione degli usi civici,  la  verifica  demaniale  di  terre
oggetto di usi civici, la legittimazione  di  occupazioni  abusive  e
l'affrancazione, la gestione e la classificazione dei terreni di  uso
civico, e ha riservato alla  Regione  la  competenza  in  materia  di
funzioni di  programmazione,  indirizzo,  coordinamento  e  controllo
(art. 6). 
    La medesima legge ha altresi' introdotto, in  via  transitoria  e
per le sole «aree urbane», individuate dall'art. 26  quali  le  «aree
con destinazione urbanistica edificatoria,  commerciale,  agricola  o
industriale, ovvero aree parzialmente  o  completamente  edificate  o
pertinenze di  fondi  urbani»,  una  procedura  semplificata  per  la
definizione delle procedure di cui agli articoli  17,  19  e  20;  la
procedura de qua prevede che, all'interno di  tali  aree  urbane,  e'
possibile definire le istanze di liquidazione degli  usi  civici,  di
legittimazione della detenzione di fatto senza titolo  di  terre  del
demanio civico comunale,  di  affrancazione  del  fondo  enfiteutico,
mediante una procedura con iter semplificato. 
    Tale procedura semplificata prevede, ai sensi dell'art. 27, commi
3 e 4, che ai fini della definizione delle  istanze  di  liquidazione
degli usi civici, di legittimazione dell'occupazione abusiva di terre
del demanio civico comunale e di affrancazione del fondo  enfiteutico
non e'  richiesta  ne'  l'acquisizione  del  parere  della  Comunita'
montana, ne'  l'approvazione  o  il  visto  regionale;  inoltre  tali
istanze si intendono accolte con la formazione  del  silenzio-assenso
nel caso in  cui  il  Comune  non  comunichi,  entro  il  termine  di
centoventi giorni  dalla  presentazione,  il  rigetto  delle  stesse,
ovvero rappresenti esigenze istruttorie o richieda l'integrazione  di
atti o documenti, nel qual caso il termine e' interrotto e riprende a
decorrere   per   ulteriori   centoventi   giorni   dall'espletamento
dell'istruttoria o dall'integrazione documentale. 
    L'esperimento della richiamata procedura, che prima  dell'entrata
in vigore della legge regionale in esame  risultava  consentito  fino
alla data del 31 dicembre 2021, e' stato prorogato, per effetto della
odierna novella, fino alla data del 31 dicembre 2022. 
    Tale proroga, costituendo soltanto l'ultima di una lunga serie di
proroghe gia' disposte in  materia  dalla  Regione  Calabria,  appare
idonea a determinare, irrimediabilmente,  una  stabilizzazione  della
misura in esame, a dispetto del suo carattere transitorio. 
    Tanto   premesso,   la   legge   regionale    suddetta,    giusta
determinazione assunta dal Consiglio dei ministri nella seduta del 24
febbraio 2022, e' impugnata per i seguenti 
 
                          Motivi di diritto 
 
  1. Illegittimita' costituzionale  dell'art.  1  della  legge  della
Regione Calabria n. 41 del 23  dicembre  2021,  pubblicata  nel  BURC
della Regione Calabria n. 114 del 29 dicembre 2021, recante «Modifica
dell'art. 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n.  18  (Norme  in
materia di  usi  civici).  Proroga  termini»,  per  violazione  degli
articoli 9 e 117, secondo comma, lettera s), 118 della  Costituzione,
rispetto ai quali costituiscono norme interposte la legge n. 168  del
2017 (Norme in materia di domini collettivi) nonche' le  altre  norme
statali in materia di usi civici, gli articoli 142, comma 1,  lettera
h), 135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  e
del principio di leale collaborazione. 
  1. Quadro normativo di riferimento. 
    Come si e' detto, la procedura semplificata prevista dall'art. 27
della legge regionale 21 agosto 2007, n. 18 (norme in materia di  usi
civici), nell'assegnare al comune un ruolo pressoche'  esclusivo  con
riferimento a quelle funzioni amministrative che incidono  sugli  usi
civici, non tiene in debito conto che si sta legiferando in un ambito
appartenente alla esclusiva competenza dello Stato. 
    Come  noto,  l'art.  142,  comma  1,  lettera  h),  del   decreto
legislativo 22 gennaio 2004, n.  42,  recante  il  «Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, ai sensi dell'art. 10 della legge 6 luglio
2002, n. 137», nel disciplinare le aree tutelate per  legge,  include
fra queste le zone gravate da usi civici,  sottoponendole  a  vincolo
paesaggistico. 
    Il Codice dei beni culturali e del paesaggio riprende quanto gia'
stabilito  con  decreto-legge  27  giugno  1985,  n.   312,   recante
«Disposizioni  urgenti  per  la  tutela  delle  zone  di  particolare
interesse ambientale», convertito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431. 
    Tale disciplina e' improntata al principio  secondo  il  quale  i
caratteri morfologici, le peculiari  tipologie  d'utilizzo  dei  beni
d'uso civico e il relativo regime giuridico sono meritevoli di tutela
per la realizzazione  di  interessi  generali,  ulteriori  e  diversi
rispetto a quelli che avevano favorito  la  conservazione  integra  e
incontaminata di questi patrimoni collettivi, in ragione  del  valore
paesaggistico intrinseco che le  aree  territoriali  coperte  da  uso
civico  presentano  per  le  loro  caratteristiche  morfologiche   ed
ubicazionali. 
    Le disposizioni richiamate, come ribadito in piu' occasioni dalla
Corte  costituzionale,  costituiscono   norme   di   grande   riforma
economico-sociale. 
    Esse si impongono pertanto al rispetto del legislatore  regionale
(tra le tante, sentenze n. 210 del 2014, n. 207 e n. 66 del 2012,  n.
226 e n. 164 del 2009). 
    E' infatti indiscussa la sussistenza di uno  specifico  interesse
unitario della  comunita'  nazionale  alla  conservazione  degli  usi
civici, nella misura  in  cui  essa  contribuisce  alla  salvaguardia
dell'ambiente e del paesaggio. 
    La straordinaria importanza di tali patrimoni e la necessita'  di
conservarli  integri  per  le  generazioni  future  ha   portato   il
legislatore del 1927 (legge  16  giugno  1927,  n.  1766  e  relativo
regolamento  di  attuazione  del  26  febbraio  1928,  n.   332   sul
riordinamento degli usi civici nel Regno)  a  sancire  il  regime  di
indisponibilita' e di  tutela  dei  beni  demaniali  di  uso  civico,
rafforzato dalla loro classificazione come «beni ambientali» (legge 8
agosto 1985, n. 431). 
    Gia' nel sistema della legge del 1927, i beni  demaniali  di  uso
civico   erano   tutelati   nella   loro   originaria    destinazione
agro-silvo-pastorale. 
    La legge 20 novembre 2017, n. 168, recante «Norme in  materia  di
domini collettivi», ha rafforzato il regime di  indisponibilita'  dei
detti beni, introducendo il concetto  della  «perpetua»  destinazione
agro-silvo-pastorale dei beni  demaniali  di  uso  civico,  che  deve
quindi permanere per le generazioni future, con il  mantenimento  del
vincolo ambientale anche in caso di liquidazione degli usi civici. 
    Con la predetta legge si e' stabilito che i  beni  di  collettivo
godimento sono tutelati e valorizzati in quanto elementi fondamentali
per la vita e  lo  sviluppo  delle  collettivita'  locali;  strumenti
primari per assicurare  la  conservazione  e  la  valorizzazione  del
patrimonio  naturale  nazionale;  componenti  stabili   del   sistema
ambientale; basi territoriali di istituzioni storiche di salvaguardia
del patrimonio culturale e naturale;  strutture  eco-paesistiche  del
paesaggio   agro-silvo-pastorale   nazionale;   fonte   di    risorse
rinnovabili  da  valorizzare   e   utilizzare   a   beneficio   delle
collettivita' locali degli aventi diritto. 
    La stessa legge prevede inoltre, all'art.  3,  comma  3,  che  il
regime    giuridico    dei    beni    collettivi    «resta     quello
dell'inalienabilita', dell'indivisibilita',  dell'inusucapibilita'  e
della perpetua destinazione agro-silvo-pastorale». 
    Tale regime e' reso ancora piu' stringente dal  successivo  comma
6, del medesimo art. 3, il quale stabilisce  che  «Con  l'imposizione
del vincolo paesaggistico sulle zone gravate da  usi  civici  di  cui
all'art. 142, comma 1, lettera h), del Codice dei  beni  culturali  e
del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.  42,
l'ordinamento giuridico garantisce  l'interesse  della  collettivita'
generale alla conservazione degli usi  civici  per  contribuire  alla
salvaguardia dell'ambiente e del paesaggio. Tale vincolo e' mantenuto
sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici». 
    La Corte costituzionale ha avuto modo di evidenziare  che  «(...)
dalla nuova legge - e gia' per effetto della nuova terminologia nella
denominazione  dell'istituto  -  emerge   con   evidenza   il   netto
cambiamento  di  prospettiva  con  cui   l'ordinamento   statale   ha
provveduto alla regolamentazione della materia. 
    Infatti, se la disciplina contenuta nella legge n. 1766 del  1927
era ispirata  ad  una  chiara  finalita'  liquidatoria,  che  trovava
fondamento nella  posizione  di  disfavore  con  cui  il  legislatore
dell'epoca  valutava  l'uso  promiscuo  delle  risorse  fondiarie   e
nell'esigenza di trasformare la proprieta' collettiva  in  proprieta'
individuale, nel quadro del controllo sull'indirizzo delle  attivita'
produttive  proprio  del   carattere   dirigistico   dell'ordinamento
corporativo, al contrario la disciplina contenuta nella legge n.  168
del  2017,  pur  senza  abrogare  la  precedente  normativa,  risulta
orientata alla  prevalente  esigenza  di  salvaguardare  le  numerose
forme, molteplici e diverse nelle varie aree territoriali, in cui  si
realizzano modalita' di godimento congiunto e riservato  di  un  bene
fondiario da parte dei membri di una comunita', sul  presupposto  che
esse sono funzionali non soltanto alla realizzazione di un  interesse
privato dei partecipanti, ma anche di interessi  superindividuali  di
carattere generale, connessi con la salvaguardia  dell'ambiente,  del
paesaggio e del patrimonio storico  e  culturale  del  Paese»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 228 del 2021). 
    In altra  pronuncia  in  materia  di  usi  civici,  la  Corte  ha
affermato che «il riconoscimento normativo della  valenza  ambientale
dei beni civici ha determinato, da un lato, l'introduzione di vincoli
diversi  e  piu'  penetranti  e,  dall'altro,  la  sopravvivenza  del
principio  tradizionale,   secondo   cui   eventuali   mutamenti   di
destinazione - salvo  i  casi  eccezionali  di  legittimazione  delle
occupazioni e di alienazione dei beni silvo-pastorali - devono essere
compatibili con  l'interesse  generale  della  comunita'  che  ne  e'
titolare» (cfr. sentenza n. 103 del 2017). 
    La Corte ha evidenziato, ancora, che  «La  consolidata  vocazione
ambientalista degli usi civici e dei domini  collettivi  -  che,  per
altro verso, chiama in causa la competenza esclusiva del  legislatore
statale in materia di «tutela dell'ambiente» e  «dell'ecosistema»  di
cui all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  della  Costituzione
(sentenza n. 103 del 2017), oltre quella in materia  di  «ordinamento
civile» (...) - e' ora chiaramente affermata dalla  stessa  legge  n.
168 del 2017, nella parte  in  cui  -  nell'enunciare  che  i  domini
collettivi sono riconosciuti in attuazione, tra l'altro, dell'art.  9
della Costituzione (sentenza n. 71 del 2020) -  stabilisce  che,  con
l'imposizione  del  vincolo  paesaggistico,  l'ordinamento  giuridico
garantisce   l'interesse   della    collettivita'    generale    alla
conservazione degli usi  civici  per  contribuire  alla  salvaguardia
dell'ambiente e del paesaggio ed  aggiunge  che  «[t]ale  vincolo  e'
mantenuto sulle terre anche in caso di liquidazione degli usi civici»
(art. 3, comma 6). 
    Inoltre la dichiarata connotazione  dei  domini  collettivi  come
«comproprieta' inter-generazionale» (art.  1,  comma  1,  lettera  c,
della legge n. 168 del 2017) mostra una chiara proiezione  diacronica
affinche' l'ambiente e il paesaggio siano garantiti anche alle future
generazioni» (cosi' ancora Corte costituzionale, n. 228 del 2021). La
Corte ha anche affermato che «La regola  generale,  desumibile  dalla
legge n. 1766 del 1927, rimane quella per cui un bene gravato da  uso
civico non puo' essere oggetto di alienazione o di liquidazione al di
fuori delle ipotesi tassative contemplate dalla legge  stessa  e  dal
regolamento dettato per la sua esecuzione (regio decreto 26  febbraio
1928, n. 332, recante «Approvazione del regolamento per la esecuzione
della legge 16 giugno 1927, n.  1766,  sul  riordinamento  degli  usi
civici nel Regno»)" (Corte costituzionale n. 228 del 2021). Tanto che
«la destinazione di beni civici puo' essere variata solo nel rispetto
della  vocazione   dei   beni   e   dell'interesse   generale   della
collettivita'» (Corte costituzionale n. 103 del 2017). 
    In questo quadro si inserisce il recente  intervento  legislativo
di  cui  al  decreto-legge  31  maggio  2021,  n.  77  (c.d.  decreto
semplificazioni),  convertito,  con  modificazioni,  dalla  legge  29
luglio 2021, n. 108, mediante il  quale  il  legislatore  statale  ha
introdotto talune importanti novita' in materia di  trasferimenti  di
diritti di uso civico e  permute  aventi  a  oggetto  terreni  a  uso
civico. 
    In particolare,  l'art.  63-bis  del  predetto  decreto-legge  ha
aggiunto tre nuovi commi (8-bis, 8-ter e 8-quater) all'art. 3,  della
legge n. 168 del 2017, prevedendo la facolta' per  le  regioni  e  le
Province autonome di Trento e  Bolzano  di  consentire  ai  comuni  i
trasferimenti di diritti di uso civico e le permute  -  nei  casi  di
terreni appartenenti al demanio civico in situazione di  accertata  e
irreversibile  trasformazione  -  in  altre  aree   appartenenti   al
patrimonio   disponibile   degli   Enti   territoriali   e    locali,
esclusivamente per terreni di superficie e valore equivalente. 
    I trasferimenti di diritti di uso civico e  le  permute  hanno  a
oggetto terreni di superficie e  valore  ambientale  equivalenti  che
appartengono al patrimonio disponibile  degli  enti.  Questi  terreni
vengono di conseguenza demanializzati, mentre quelli dai  quali  sono
trasferiti  i  diritti  di  uso   civico   vengono   di   conseguenza
sdemanializzati e su di essi e' mantenuto il vincolo paesaggistico. 
    Mediante tale novella il legislatore statale introduce, pertanto,
talune deroghe -  aventi  carattere  eccezionale  e,  come  tali,  di
stretta interpretazione, in ossequio alla  richiamata  giurisprudenza
della Corte costituzionale - alla regola generale sancita dalla legge
n. 168 del 2017, ove si stabilisce, come detto,  la  inalienabilita',
indivisibilita',  inusucapibilita'   e   la   perpetua   destinazione
agro-silvo-pastorale dei beni collettivi (art. 3, comma 3). 
  2. Illegittimita' costituzionale della proroga disposta dall'art. 1
della legge Regione Calabria n. 41 del 2021. 
    a. La legge regionale in esame, pertanto, deve essere  analizzata
all'interno del quadro normativo statale di riferimento. 
    Essa introduce la  proroga  -  per  un  ulteriore  anno  -  della
procedura semplificata disciplinata dall'art. 27 della  legge  n.  18
del 2007, governata dall'istituto del silenzio-assenso ed esperibile,
in particolare, per la definizione  dei  procedimenti  amministrativi
concernenti la  liquidazione  degli  usi  civici,  la  legittimazione
dell'occupazione abusiva di  terre  del  demanio  civico  comunale  e
l'affrancazione del fondo enfiteutico. 
    Per la definizione di tali istanze, dispone l'art. 27,  al  comma
3, non e' necessario acquisire il parere della Comunita' montana, ne'
ottenere l'approvazione o il visto regionale. Il successivo  comma  4
dispone inoltre che l'istanza si intenda accolta nel caso in  cui  il
Comune non comunichi, entro il termine  di  centoventi  giorni  dalla
presentazione, il rigetto della stessa, ovvero  rappresenti  esigenze
istruttorie o richieda l'integrazione di atti o documenti,  nel  qual
caso, il termine e' interrotto e riprende a decorrere  per  ulteriori
centoventi    giorni     dall'espletamento     dell'istruttoria     o
dall'integrazione documentale. 
    Ne consegue evidentemente che, oltre a non prevedere da parte del
Comune ne' l'acquisizione del parere  della  Comunita'  montana,  ne'
l'approvazione o il visto regionale, tale  iter  semplificato  poggia
sull'istituto del silenzio-assenso, dal momento che e' stabilito  che
in tutti i casi in cui il Comune interessato non  riesca  a  definire
l'istanza del privato  con  un  provvedimento  espresso  nel  termine
previsto dalla  norma  censurata,  le  domande  sopra  richiamate  si
intenderanno accolte. 
    La  disposizione  risulta,  quindi,  improntata  a  favorire   la
liquidazione degli usi  civici,  la  legittimazione  dell'occupazione
senza titolo e l'affrancazione dei fondi  enfiteutici,  consentendole
con  le  modalita'  estremamente  semplificate  sopra  descritte,   e
addirittura con la formazione del provvedimento per silenzio-assenso.
Pertanto, la disposizione regionale si pone radicalmente in contrasto
con la disciplina statale, che non reca analoghe  «semplificazioni»",
e - soprattutto - contravviene ai principi sottesi alla legge n.  168
del 2017, la quale, come sopra ricordato, ha  superato  la  finalita'
liquidatoria della normativa previgente, valorizzando le esigenze  di
conservazione in perpetuo degli usi civici. 
    La disposizione regionale e', infatti, improntata  a  una  logica
tutta sbilanciata in favore della proprieta' privata e  in  danno  di
quella collettiva, tanto da consentire la cessazione di  quest'ultima
sulla base di una mera istanza di un privato, senza il  parere  della
Comunita' montana e sulla base di una volonta'  del  Comune  espressa
mediante un mero silenzio-assenso. 
    Di conseguenza, la Regione interviene in via del tutto  autonoma,
in una materia disciplinata dalla  legge  statale,  ponendosi  al  di
fuori degli stringenti limiti imposti dalla stessa. 
    Al riguardo, la Corte costituzionale ha avuto  modo  di  chiarire
che «La competenza regionale nella  materia  degli  usi  civici  deve
essere intesa come legittimazione a promuovere, ove  ne  ricorrano  i
presupposti, i procedimenti amministrativi finalizzati  alle  ipotesi
tipiche di sclassificazione previste dalla legge 16 giugno  1927,  n.
1766 (Conversione in legge del regio decreto 22 maggio 1924, n.  751,
riguardante il riordinamento degli usi civici nel  Regno,  del  regio
decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica  l'art.  26  del  regio
decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del regio decreto 16  maggio  1926,
n.  895,  che  proroga  i  termini  assegnati  dall'art.  2  del   R.
decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751) e dal relativo  regolamento  di
attuazione  (regio  decreto  26  febbraio  1928,   n.   332   recante
«Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno
1927, n. 1766,  sul  riordinamento  degli  usi  civici  del  Regno»),
nonche'  quelli  inerenti  al  mutamento   di   destinazione   (Corte
costituzionale n. 178 del 2018). 
    Piu' in dettaglio, l'Ecc. Corte e la stessa Corte  di  Cassazione
hanno affermato che "l'art.  66  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 616 del 1977, che ha trasferito alle  Regioni  soltanto
le funzioni amministrative in materia  di  usi  civici,  non  ha  mai
consentito alla Regione - e non consente oggi,  nel  mutato  contesto
del Titolo V della Parte II della Costituzione  -  di  invadere,  con
norma legislativa, la  disciplina  dei  diritti  [condominiali  degli
utenti], estinguendoli, modificandoli o alienandoli [e che]  un  bene
gravato da uso civico non puo' essere oggetto di  alienazione  al  di
fuori delle ipotesi tassative previste dalla legge n. 1766 del 1927 e
dal regio decreto n. 332 del 1928 per il particolare regime della sua
titolarita' e della sua circolazione, «che lo  assimila  ad  un  bene
appartenente al demanio [...]» (Corte di  cassazione,  sezione  terza
civile, sentenza 28 settembre 2011, n. 19792)" (Corte costituzionale,
n. 113 del  2018).  L'incommerciabilita'  derivante  da  tale  regime
comporta che  la  preminenza  di  quel  pubblico  interesse,  che  ha
impresso al bene immobile il vincolo dell'uso civico stesso, ne vieti
qualunque circolazione (in questo senso ancora Corte  costituzionale,
n. 113 del 2018). 
    L'art. 1, della legge regionale  n.  41  del  2021,  che  apporta
modifiche alla legge regionale 21 agosto 2007, n. 18, prevedendo che:
«Alla fine del comma 1 dell'art. 27 della legge regionale  21  agosto
2007, n. 18 (Norme in materia di usi civici), le parole "31  dicembre
2021" sono sostituite dalle seguenti: "31 dicembre 2022", e' pertanto
costituzionalmente illegittimo». 
    Le  disposizioni  contenute  nel  predetto  art.  1  della  legge
regionale in esame invadono la potesta' legislativa  esclusiva  dello
Stato in materia di  tutela  del  paesaggio,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), della Costituzione, in  quanto  prevedono,
all'esito di un procedimento avente carattere  semplificato  e,  come
gia' evidenziato, governato dall'istituto  del  silenzio-assenso,  la
liquidazione degli usi  civici,  la  legittimazione  dell'occupazione
abusiva di terre del demanio civico comunale  e  l'affrancazione  del
fondo enfiteutico dei beni ricadenti  in  aree  urbane  senza  -  tra
l'altro - tenere conto  che  le  zone  gravate  da  usi  civici  sono
assoggettate a vincolo paesaggistico ai sensi dell'art. 142, comma 1,
lettera h), del Codice dei beni culturali e del paesaggio. 
    Le previsioni regionali censurate inoltre  svolgono  le  funzioni
riservate al piano paesaggistico, che e' lo  strumento  al  quale  e'
rimessa la fissazione della disciplina d'uso dei beni  paesaggistici,
ai sensi degli articoli 135 e 143 del Codice dei beni culturali e del
paesaggio. 
    Al riguardo, occorre ricordare che "la sovrapposizione fra tutela
del paesaggio e tutela dell'ambiente si  riflette  in  uno  specifico
interesse unitario della comunita' nazionale alla conservazione degli
usi civici, in quanto e nella misura in cui concorrono a  determinare
la forma del territorio su cui si esercitano, intesa  quale  prodotto
di  «una  integrazione  tra  uomo  e   ambiente   naturale»"   (Corte
costituzionale n. 46 del 1995). 
    Alla tutela - tra l'altro -  di  tale  interesse  e'  diretta  la
previsione dell'art. 143, comma 1, lettera c), del  Codice  dei  beni
culturali e del paesaggio, ove si prevede che il piano  paesaggistico
debba comprendere la «ricognizione delle  aree  di  cui  al  comma  1
dell'art. 142, loro delimitazione e rappresentazione in scala  idonea
alla identificazione, nonche' determinazione  di  prescrizioni  d'uso
intese ad assicurare la conservazione  dei  caratteri  distintivi  di
dette aree e, compatibilmente con essi, la valorizzazione». 
    Come detto, tra le aree  interessate  dal  richiamato  art.  142,
comma 1, del Codice dei beni  culturali  e  del  paesaggio  rientrano
quelle «assegnate alle universita' agrarie e le zone gravate  da  usi
civici» (lettera h). 
    Il Codice assegna  una  posizione  di  assoluta  preminenza,  nel
contesto della pianificazione territoriale, al  Piano  paesaggistico,
approvato sulla base dell'intesa tra lo Stato e la Regione (cfr. art.
135, comma 1), il quale non e' derogabile, ne' modificabile da  alcun
altro piano, programma o progetto di intervento (art. 145). 
    La co-pianificazione, ai sensi del citato art. 143 del Codice dei
beni culturali e del paesaggio, ha natura obbligatoria  per  le  aree
vincolate gravate da vincoli paesaggistici, ed  e'  norma  di  grande
riforma economico-sociale, che  si  impone,  peraltro,  finanche  nei
confronti delle regioni ad autonomia speciale. 
    Nella sua giurisprudenza, codesta Ecc.ma Corte costituzionale  ha
spesso sottolineato  che  l'impronta  unitaria  della  pianificazione
paesaggistica «e' assunta a valore  imprescindibile,  non  derogabile
dal legislatore regionale in quanto espressione di un intervento teso
a stabilire una metodologia uniforme nel rispetto della  legislazione
di tutela dei beni culturali e paesaggistici  sull'intero  territorio
nazionale» (Corte costituzionale, n. 182  del  2006;  cfr.  anche  la
sentenza n. 272 del 2009). 
    Con il nuovo art. 1 della legge regionale, la Regione  interviene
tuttavia  unilateralmente,  anziche'  attraverso  la   pianificazione
condivisa, e si inserisce,  altresi',  nel  quadro  della  incompiuta
pianificazione  paesaggistica  regionale,  nonostante   il   percorso
intrapreso dall'Amministrazione abbia  portato  all'approvazione  del
propedeutico Quadro Territoriale Regionale a Valenza Paesaggistica. 
    La tutela del paesaggio, che e' dettata dalle leggi dello  Stato,
trova infatti la sua espressione nei piani  territoriali,  a  valenza
ambientale, o nei piani paesaggistici, redatti dalle Regioni. 
    I piani paesaggistici regionali costituiscono il luogo della piu'
compita espressione legislativa delle politiche in materia di  tutela
e valorizzazione del paesaggio, luogo  in  cui  le  diverse  potesta'
statali e regionali si compongono in un quadro unitario. 
    b. La mancata adozione degli stessi e l'utilizzo,  da  parte  del
legislatore regionale, di modalita' unilaterali che si pongono al  di
fuori dello strumento collaborativo del piano  paesaggistico  la  cui
redazione e' obbligatoria  per  le  Regioni,  costituiscono  altresi'
violazione del principio di leale collaborazione di cui all'art.  118
della Costituzione. 
    I principi in materia di co-pianificazione contenuti  nel  Codice
dei  beni   culturali   e   del   paesaggio   comportano,   pertanto,
l'illegittimita' costituzionale di una disciplina  regionale  recante
forme di modificazione dei vincoli di destinazione delle aree gravate
da usi civici, senza consentire allo Stato di far valere  la  propria
competenza a tutelare il paesaggio e prevedendo effetti  modificativi
del regime dei beni prima e  al  di  fuori  del  piano  paesaggistico
(Corte costituzionale n. 210 del 2014). 
    In  questa  prospettiva,  e'  stata  ritenuta  illegittima,   per
violazione degli articoli 9 e 117, secondo comma, lettera  s),  della
Costituzione, anche una disciplina regionale che attribuiva ai Comuni
il potere  di  attuare  processi  di  transazione  giurisdizionale  a
chiusura  di  liti  o  cause  legali  in  corso  (cfr.  ancora  Corte
costituzionale n. 210 del 2014). Nel solco  di  questi  principi,  la
Corte,  anche  di  recente,  ha  affermato   che   «e'   proprio   la
pianificazione ambientale e  paesaggistica,  esercitata  da  Stato  e
Regione, secondo le condivise modalita' specificate da  questa  Corte
(sentenza n. 210 del 2014), la sede nella  quale  eventualmente  puo'
essere   modificata,   attraverso   l'istituto   del   mutamento   di
destinazione,  l'utilizzazione  dei  beni  d'uso  civico  per   nuovi
obiettivi» (Corte costituzionale n. 178 del 2018). 
    La  disciplina  regionale  censurata,  dettando   unilateralmente
previsioni   relative   alla   liquidazione,   alla    legittimazione
dell'occupazione abusiva e alla affrancazione del  fondo  enfiteutico
in  aree  gravate  da  usi  civici  e',  pertanto,  illegittima   per
violazione dell'art. 142, comma 1, lettera h), nonche' degli articoli
135, 143 e 145 del Codice dei beni culturali e del  paesaggio,  della
legge n. 168 del 2017, nonche' delle altre norme statali  in  materia
di usi civici; disposizioni che costituiscono  altrettanti  parametri
interposti rispetto agli articoli 9, 117, secondo comma, lettera  s),
e 118 della Costituzione. 
2.  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1  della  legge  della
Regione Calabria n. 41 del 23  dicembre  2021,  pubblicata  nel  BURC
della Regione Calabria n. 114 del 29 dicembre 2021, recante «Modifica
dell'art. 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n.  18  (Norme  in
materia di usi civici). Proroga termini»,  per  violazione  dell'art.
117, secondo comma, lettera l) della Costituzione rispetto  ai  quali
costituiscono norme interposte la legge n. 168  del  2017  (Norme  in
materia di domini collettivi)  nonche'  le  altre  norme  statali  in
materia di usi civici. 
    Come e' emerso dal quadro normativo di riferimento in materia  di
usi civici, dettagliatamente richiamato  ed  illustrato,  e  come  di
recente affermato da codesta Ecc.ma  Corte  costituzionale  «gli  usi
civici e ora i domini collettivi  configurano,  secondo  il  costante
orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 71  del
2020, n. 178 e n. 113 del  2018  e  n.  103  del  2017),  un  diritto
soggettivo dominicale, che  presenta  i  caratteri  della  proprieta'
comune, sia pure senza quote, su un bene indiviso. Si tratta, dunque,
di un diritto  reale,  che  segue  il  bene,  tutelabile  con  azione
petitoria, e che presenta i caratteri propri dei diritti reali quali,
in particolare, l'assolutezza, l'immediatezza e l'inerenza. 
    La  natura   di   diritto   dominicale   attrae   la   disciplina
dell'istituto  nella  materia  «ordinamento   civile»,   alla   quale
appartiene la qualificazione della natura pubblica o privata dei beni
(sentenza n. 228  del  2016),  la  regolazione  della  titolarita'  e
dell'esercizio del diritto, l'individuazione del  suo  contenuto,  la
disciplina delle facolta' di godimento e di disposizione in cui  esso
si estrinseca (art. 832  del  codice  civile)  e  quella  della  loro
estensione e dei loro limiti. 
    L'attribuzione alla potesta' legislativa  esclusiva  dello  Stato
della materia «ordinamento civile»  trova  fondamento  nell'esigenza,
sottesa al principio di  uguaglianza,  di  garantire  nel  territorio
nazionale l'uniformita' della disciplina dettata per i  rapporti  tra
privati (da ultimo, sentenza n. 75 del 2021) - (Corte costituzionale,
sentenza n. 228 del 2021). 
    Il regime dominicale degli  usi  civici  appartiene  quindi  alla
materia «ordinamento civile», di competenza esclusiva dello Stato. 
    E, come gia' detto, la ragione  dell'attribuzione  alla  potesta'
legislativa esclusiva dello Stato della materia «ordinamento  civile»
trova, per quanto riguarda gli usi civici e ora i domini  collettivi,
fondamento nell'esigenza, sottesa al  principio  di  uguaglianza,  di
garantire nel territorio  nazionale  l'uniformita'  della  disciplina
dettata per i rapporti tra privati. 
    La  norma  regionale  impugnata  lede  questa  esigenza   perche'
interviene nella disciplina della proprieta' collettiva, peraltro  in
modo difforme da quanto previsto  dalle  norme  statali  in  materia,
cosi' pregiudicando la necessaria uniformita' della  regolamentazione
dell'istituto su tutto il territorio nazionale. 
    La legge statale non consente in linea di principio l'alienazione
o la liquidazione degli usi  civici,  fuori  dei  casi  espressamente
contemplati. 
    Introducendo  la  possibilita'  di  liquidare  gli  usi   civici,
legittimarne l'uso senza titolo  o  affrancare  i  fondi  enfiteutici
anche per  silentium  e  senza  il  parere  delle  Comunita'  montane
comporta un grave vulnus  alla  conservazione  dei  predetti  diritti
collettivi, non previsto dalla legge statale. 
    Risulta pertanto violata anche la potesta' legislativa  esclusiva
dello Stato in materia di ordinamento civile  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera l), della Costituzione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,   come   sopra
rappresentato e difeso, 
    chiede che codesta Ecc.ma Corte costituzionale voglia  dichiarare
costituzionalmente illegittimo, e conseguentemente annullare,  per  i
motivi sopra indicati ed  illustrati,  l'art.  1  della  legge  della
Regione Calabria n. 41 del 23  dicembre  2021,  pubblicata  nel  BURC
della Regione Calabria n. 114 del 29 dicembre 2021, recante «Modifica
dell'art. 27 della legge regionale 21 agosto 2007, n.  18  (Norme  in
materia di usi civici). Proroga termini». 
    Con l'originale notificato del presente ricorso si deposita: 
      attestazione relativa alla approvazione, da parte del Consiglio
dei ministri, nella riunione  del  giorno  24  febbraio  2022,  della
determinazione di impugnare la legge della Regione Calabria n. 41 del
2021, secondo i termini e per le motivazioni  di  cui  alla  allegata
relazione del Ministro per gli affari regionali e le autonomie; copia
della legge regionale impugnata pubblicata nel  Bollettino  ufficiale
della Regione Calabria. 
    Con riserva di illustrare e sviluppare in prosieguo i  motivi  di
ricorso anche alla luce delle difese avversarie. 
      Roma, 25 febbraio 2022 
 
                   L'Avvocato dello Stato: Mangia