N. 75 SENTENZA 23 febbraio - 24 marzo 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Paesaggio  -  Norme  della  Regione  Siciliana  -  Nulla  osta   alla
  concessione  in  sanatoria  -  Vincolo  paesaggistico  sopravvenuto
  rispetto  all'ultimazione  di   un'opera   abusiva   -   Esclusione
  dell'irrogazione di sanzioni  amministrative  pecuniarie  derivanti
  dal  vincolo  -  Denunciata  irragionevolezza  e   violazione   del
  principio di buon andamento della pubblica  amministrazione  -  Non
  fondatezza della questione. 
- Legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17, art. 5,  comma
  3. 
- Costituzione, artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma, lettera s). 
(GU n.13 del 30-3-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma  3,
della  legge  della  Regione  Siciliana  31  maggio   1994,   n.   17
(Provvedimenti per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e  per  la
destinazione delle costruzioni edilizie abusive esistenti),  promossi
dal Consiglio di giustizia amministrativa per  la  Regione  Siciliana
con due  sentenze  non  definitive  del  14  giugno  2021,  iscritte,
rispettivamente, ai numeri 162 e 163 del registro  ordinanze  2021  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  43,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di C. P. e di C. B.,  quest'ultimo
atto fuori termine; 
    udita nell'udienza pubblica  del  23  febbraio  2022  la  Giudice
relatrice Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati Vincenzo Caponnetto  per  C.  B.  e  Salvatore
Palillo per C. P.; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 febbraio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Il Consiglio  di  Giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana (CGARS), con sentenza non definitiva  iscritta  al  n.  162
reg. ord. del 2021, solleva, in riferimento  all'art.  14,  comma  1,
lettera n), del regio decreto legislativo  15  maggio  1946,  n.  455
(Approvazione dello  statuto  della  Regione  Siciliana),  convertito
nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e agli artt. 3, 9,
97 e 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 5, comma 3, della  legge  della
Regione Siciliana  31  maggio  1994,  n.  17  (Provvedimenti  per  la
prevenzione dell'abusivismo edilizio  e  per  la  destinazione  delle
costruzioni edilizie abusive  esistenti),  in  base  al  quale  «[i]l
nulla-osta dell'autorita'  preposta  alla  gestione  del  vincolo  e'
richiesto, ai fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il
vincolo sia stato apposto successivamente all'ultimazione  dell'opera
abusiva. Tuttavia, nel caso di vincolo  apposto  successivamente,  e'
esclusa  l'irrogazione   di   sanzioni   amministrative   pecuniarie,
discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore
dell'abuso edilizio»: questo secondo periodo e' la norma censurata. 
    Il CGARS riferisce che il giudizio a quo e' stato promosso  dalla
Regione Siciliana contro C. P., per la  riforma  della  sentenza  del
Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sede  di  Palermo,
17 dicembre 2018, n. 2668, che ha accolto il ricorso  proposto  dallo
stesso C. P. contro il decreto del  dirigente  del  Dipartimento  dei
beni culturali e dell'identita' siciliana 1° febbraio 2017,  n.  190,
che - ai sensi dell'art. 167 del decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n.  42  (Codice  dei  beni  culturali  e  del  paesaggio,  ai   sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio  2002,  n.  137)  -  gli  aveva
ingiunto  di  pagare  20.812,05  euro   a   titolo   di   «indennita'
risarcitoria» per il danno causato al paesaggio con la  realizzazione
di un fabbricato sito nel Comune di Agrigento. Il TAR avrebbe accolto
la censura fondata sulla  sopravvenienza  del  vincolo  paesaggistico
rispetto alla commissione dell'abuso,  in  virtu'  del  principio  di
irretroattivita' di cui all'art. 1 della legge 24 novembre  1981,  n.
689 (Modifiche al sistema penale), e al censurato art.  5,  comma  3,
della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994. 
    Il giudice a quo, in primo luogo, esamina e dichiara non  fondato
il secondo motivo di appello, con cui la Regione ha fatto valere  che
«il sistema vigente all'epoca dell'abuso sanzionava  l'esecuzione  di
opere abusive su un bene di interesse artistico o storico (art. 59 l.
n. 1089/1939)». 
    Quanto al primo motivo di appello (con cui si sostiene  che  alla
data  dell'abuso  l'area  sarebbe  gia'  stata  oggetto  di   vincolo
paesaggistico e non solo archeologico), il CGARS  condivide  i  primi
passaggi della motivazione del TAR, concernenti l'insussistenza di un
vincolo paesaggistico sull'area in questione al  momento  dell'abuso,
la sussistenza di un vincolo archeologico allo stesso  momento  e  la
non assimilabilita' del secondo al primo ai fini  dell'applicabilita'
dell'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d'ora in avanti, anche  cod.
beni culturali). Il giudice a quo ricostruisce l'evoluzione normativa
relativa  alla  Valle  dei  Templi  e  conclude   che,   al   momento
dell'edificazione oggetto del giudizio a quo  (1973-1976),  nell'area
non esisteva  alcun  vincolo  paesaggistico  (introdotto  nel  1985),
mentre esisteva un vincolo archeologico, sulla base  di  due  decreti
ministeriali del 1968 e del 1971: tale vincolo, peraltro, secondo  il
rimettente (che richiama, fra l'altro, la sentenza n. 74 del 1969  di
questa Corte), non aveva portata equivalente  a  quella  del  vincolo
paesaggistico. 
    Il CGARS esamina poi i successivi passaggi della motivazione  del
TAR, secondo il quale l'indennita' di cui all'art. 167 del d.lgs.  n.
42 del 2004 sarebbe una sanzione amministrativa  e  l'atto  impugnato
avrebbe dunque violato il  principio  di  irretroattivita'  enunciato
all'art. 1 della legge n. 689 del 1981 e all'art. 5, comma  3,  della
legge reg. Siciliana n. 17 del 1994. Il rimettente riferisce che, per
lungo tempo, la giurisprudenza ha attribuito carattere  sanzionatorio
all'indennita' in questione, peraltro senza  applicare  integralmente
il regime della legge n. 689 del 1981; ritiene, tuttavia, che  «sulla
scorta di un piu' recente e meditato  orientamento  giurisprudenziale
[...] l'indennita' di cui all'art. 167 comma 5  d.  lgs.  n.  42/2004
abbia  una  funzione  riparatoria,  essendo  funzionale   alla   cura
dell'interesse paesaggistico, e  quindi  che  alla  medesima  non  si
applichi la l. n. 689/1981». 
    Il CGARS ricorda che, se la  compatibilita'  paesaggistica  viene
accertata ai sensi dell'art. 167, comma 4, cod.  beni  culturali,  il
trasgressore e' tenuto a pagare  una  somma  equivalente  al  maggior
importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito. Il  pagamento
di tale somma  concorrerebbe  alla  tutela  del  paesaggio  (cio'  e'
desunto dal  criterio  di  quantificazione,  legato  anche  al  danno
arrecato, e dalla destinazione della somma: art. 167,  comma  6,  del
d.lgs.  n.  42   del   2004)   e   avrebbe   anche   una   «finalita'
general-preventiva».  Il  rimettente  ricorda   che   la   precedente
normativa (art. 15 della legge  29  giugno  1939,  n.  1497,  recante
«Protezione delle bellezze naturali») qualificava  l'indennita'  come
risarcitoria e che la recente giurisprudenza del Consiglio  di  Stato
non applica ad essa la legge n. 689 del 1981. Peraltro,  l'indennita'
avrebbe anche «una  funzione  di  deterrenza  derivante  dall'effetto
afflittivo», legato anche al criterio di quantificazione  basato  sul
maggior importo tra danno e profitto; la portata  afflittiva  sarebbe
comunque «secondaria», considerati l'irrilevanza  del  dolo  o  della
colpa e  il  fatto  che  la  condanna  pecuniaria  non  conseguirebbe
direttamente  all'illecito,  essendo  invece  «il  corollario  e   il
contrappeso» di un  provvedimento  favorevole  (l'accertamento  della
compatibilita' ambientale). 
    Nel complesso, l'indennita'  in  questione  avrebbe  dunque  «una
finalita'  compensativa  del  danno  prodotto   e   solo   in   parte
afflittiva»; di fronte ad essa il  privato  sarebbe  titolare  di  un
interesse legittimo; al procedimento  si  applicherebbe  la  legge  7
agosto  1990,  n.  241  (Nuove  norme  in  materia  di   procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti  amministrativi),
non la legge n. 689 del 1981, non  trattandosi  di  una  sanzione  in
senso stretto. 
    Il TAR avrebbe dunque errato nel ritenere violato il principio di
irretroattivita' di cui all'art. 1  della  legge  n.  689  del  1981,
giacche' invece, per regola generale, la pubblica amministrazione  e'
tenuta ad applicare la normativa vigente nel momento della pronuncia.
Il CGARS ricorda che, in base alla sentenza del Consiglio  di  Stato,
adunanza plenaria, 7 giugno 1999, n. 20,  l'autorita'  preposta  alla
tutela del vincolo deve tener conto del vincolo esistente al  momento
in  cui  valuta  la   domanda   di   sanatoria;   la   giurisprudenza
amministrativa successiva avrebbe seguito  tale  impostazione,  anche
per  quanto  attiene  all'indennita'  connessa  all'accertamento   di
compatibilita'  paesaggistica.  Tale  orientamento  sarebbe  sorretto
anche dall'art. 2, comma 46, della legge 23  dicembre  1996,  n.  662
(Misure di razionalizzazione della finanza  pubblica),  secondo  cui,
«[p]er le opere eseguite in aree sottoposte al vincolo di cui alla L.
29 giugno  1939,  n.  1497,  e  al  D.L.  27  giugno  1985,  n.  312,
convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto  1985,  n.  431,  il
versamento dell'oblazione non esime dall'applicazione dell'indennita'
risarcitoria prevista dall'articolo 15 della citata legge n. 1497 del
1939». 
    In base alla disciplina statale, pertanto,  l'indennita'  sarebbe
dovuta e  l'appello  andrebbe  accolto.  Tuttavia,  il  CGARS  rileva
l'esistenza del citato art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n.
17 del 1994, che reca interpretazione autentica dell'art.  23,  comma
10, della legge della Regione Siciliana 10 agosto 1985, n. 37  (Nuove
norme in materia di  controllo  dell'attivita'  urbanistico-edilizia,
riordino urbanistico e sanatoria delle opere  abusive),  in  base  al
quale, «[p]er le costruzioni che ricadono in zone vincolate da  leggi
statali o regionali per la tutela di  interessi  storici,  artistici,
architettonici,  archeologici,  paesistici,   ambientali,   igienici,
idrogeologici, delle coste marine, lacuali o fluviali, le concessioni
in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli enti  di
tutela sempre che il vincolo, posto  antecedentemente  all'esecuzione
delle opere, non  comporti  inedificabilita'  e  le  costruzioni  non
costituiscano  grave  pregiudizio  per  la   tutela   medesima».   Il
rimettente richiama la disposizione «nel testo  "sopravvissuto"  alla
sentenza  della  Corte  costituzionale»  n.  39  del  2006,  che   ha
dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 17, comma 11,  della
legge della Regione Siciliana 16  aprile  2003,  n.  4  (Disposizioni
programmatiche e finanziarie per  l'anno  2003),  il  quale  articolo
aveva sostituito il primo e il secondo capoverso dell'art.  5,  comma
3, della legge reg. Siciliana n. 17 del 1994. In base  a  tale  norma
(che avrebbe ripreso vigore dopo  l'annullamento  della  disposizione
sostitutiva),   in   caso   di   vincolo   apposto    successivamente
all'ultimazione  dell'opera  abusiva,  e'  comunque   necessario   il
nulla-osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo, ai fini
della concessione in  sanatoria,  ma  «e'  esclusa  l'irrogazione  di
sanzioni   amministrative   pecuniarie,   discendenti   dalle   norme
disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio». 
    Il CGARS argomenta la vigenza dell'art. 5, comma 3,  della  legge
reg. Siciliana n. 17 del 1994 «in una duplice prospettiva». In  primo
luogo,  il  rimettente  rileva   che,   secondo   la   giurisprudenza
costituzionale, la reviviscenza di norme abrogate da leggi dichiarate
costituzionalmente   illegittime    opererebbe    «nell'ipotesi    di
annullamento di norma espressamente abrogatrice». Sicche' l'art.  17,
comma 11, della legge reg. Siciliana n. 4 del  2003,  sostituendo  la
disposizione  censurata   e   offrendo   un'interpretazione   opposta
dell'art. 23, comma 10, della legge reg. Siciliana n.  37  del  1985,
avrebbe  «di  fatto  [...]   abrogato   l'interpretazione   contenuta
nell'art.  5  comma  3  l.r.  n.   17/1994   nella   sua   originaria
formulazione».  Il  CGARS  aggiunge  che,  se  la  reviviscenza   non
operasse,   resterebbe   «priva   di   effetti   la   pronuncia    di
incostituzionalita'»,  in  quanto,   fra   le   due   interpretazioni
possibili, prevarrebbe quella dettata dalla  disposizione  dichiarata
costituzionalmente illegittima. Non  essendo  cio'  ammissibile,  non
potrebbe che rivivere la norma sostituita, «posto che  il  meccanismo
sostitutivo evidenzia come non sia venuta meno l'esigenza di  normare
la specifica materia». 
    In secondo luogo, il rimettente osserva che  il  citato  art.  2,
comma 46, della legge  n.  662  del  1996  non  avrebbe  abrogato  la
disposizione censurata, in quanto, in materia di competenza  primaria
di una Regione speciale, la successiva  legge  statale  incompatibile
con una legge regionale  precedente  non  consentirebbe  di  ritenere
implicitamente  abrogata  la  seconda.  La   competenza   legislativa
primaria della Regione Siciliana richiederebbe l'intervento di questa
Corte, volto ad accertare l'eventuale contrasto con una norma statale
di grande riforma economico-sociale. 
    Il   CGARS   solleva,   dunque,   questione    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17
del 1994, con specifico  riferimento  al  suo  ultimo  periodo,  «che
inibisce l'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie in  caso
di vincolo sopravvenuto». 
    1.1.- Il rimettente argomenta poi la  rilevanza  della  questione
osservando che, sulla base della norma censurata, dovrebbe confermare
la pronuncia di primo grado, mentre, qualora  essa  fosse  dichiarata
costituzionalmente   illegittima   (o    qualora    fosse    ritenuta
implicitamente abrogata), dovrebbe riformare la  sentenza  appellata.
Il  rimettente  sottolinea  anche  la  particolare  importanza  della
questione, dato che il giudizio de  quo  e'  uno  dei  circa  ottanta
attualmente pendenti innanzi a se'. 
    Il giudice a quo rileva inoltre che la  norma  censurata  sarebbe
diretta «a impedire che  dall'abuso  derivino  effetti  negativi  sul
proprietario dell'immobile allorquando il  vincolo  paesaggistico  e'
successivo  alla  realizzazione  dell'abuso»;   essa,   dunque,   non
attribuirebbe un «ruolo decisivo»  all'uso  del  termine  "sanzione",
mirando piuttosto a impedire «l'esborso di denaro,  indipendentemente
dalla qualificazione di quest'ultimo». Il CGARS ritiene, dunque,  non
percorribile l'interpretazione  adeguatrice,  secondo  cui  la  norma
censurata  -  utilizzando  il  termine  «sanzione»  -   non   sarebbe
riferibile all'indennita' prevista dall'art. 167, comma 5, del d.lgs.
n. 42 del 2004. Il rimettente osserva anche, da un lato, che una tale
interpretazione «determinerebbe un'ipotesi di norma inutiliter data»,
e, dall'altro, che la  norma  censurata,  stando  alla  sua  costante
applicazione, intende riferirsi proprio all'indennita' paesaggistica. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza, il  CGARS  ritiene,
in  primo  luogo,  che  la  norma  censurata  violi  «la   competenza
legislativa esclusiva dello Stato  in  materia  di  tutela  dei  beni
culturali e del paesaggio, ai sensi degli artt.  9  e  117  comma  2,
lett. s) della Costituzione, in quanto determina una lesione  diretta
dei beni culturali e paesaggistici tutelati, con la conseguente grave
diminuzione del livello di tutela  garantito  nell'intero  territorio
nazionale». La norma in esame, in quanto  «provvede  a  delineare  le
conseguenze dell'abuso anche paesaggistico»,  interferirebbe  con  la
disciplina della protezione del paesaggio, che rispecchia «la  natura
unitaria del valore primario e assoluto dell'ambiente», di competenza
esclusiva statale. Il rimettente ricorda anche che l'art.  14,  comma
1, lettera n),  dello  statuto  attribuisce  alla  Regione  Siciliana
potesta' legislativa esclusiva in materia di «tutela del paesaggio» e
«conservazione delle antichita' e delle opere artistiche». 
    Secondo il CGARS, le regioni non possono modificare «gli istituti
di protezione ambientale che dettano una disciplina uniforme» (se non
per innalzare il livello di tutela), fra i quali andrebbe  annoverata
l'autorizzazione  paesaggistica.  Inoltre,  il  legislatore   statale
avrebbe il potere di vincolare la potesta' legislativa primaria delle
regioni speciali in materia di  paesaggio,  tramite  l'emanazione  di
norme  di  grande  riforma  economico-sociale.  Il  codice  dei  beni
culturali e del paesaggio sarebbe legge di grande riforma, in  quanto
«impatta  in  modo  diretto  sul  valore  primario  e  assoluto   del
paesaggio», e l'indennita' di cui all'art. 167, comma 5, dello stesso
codice  risulterebbe,  per  la  sua   funzione   riparatoria   e   di
dissuasione, «direttamente connessa al valore primario e assoluto che
il  d.lgs.  n.  42/2004  attribuisce  al  paesaggio».  Il   pagamento
dell'indennita' paesaggistica costituirebbe «un  tratto  fondamentale
dell'istituto  a  livello  di  disciplina  nazionale».   L'indennita'
connessa all'accertamento  postumo  di  compatibilita'  paesaggistica
sarebbe dovuta in ambito nazionale «anche se il vincolo paesaggistico
e'  sopravvenuto  rispetto  alla  realizzazione  dell'abuso  (e  cio'
indipendentemente   dalla   qualificazione   della   medesima    come
sanzionatoria o risarcitoria)», in ragione, da un lato, della  citata
sentenza dell'adunanza plenaria del Consiglio  di  Stato  n.  20  del
1999, dall'altro del citato art. 2, comma 46, della legge n. 662  del
1996   (cui   la   giurisprudenza    avrebbe    attribuito    portata
interpretativa). La norma censurata si discosterebbe,  dunque,  dalla
disciplina nazionale, con la conseguenza che nel territorio siciliano
sarebbe assicurato un livello di tutela del paesaggio meno elevato di
quello nazionale. In Sicilia, la conformita' attuale alla  disciplina
paesaggistica escluderebbe conseguenze negative del precedente abuso,
facendo venir meno il suo disvalore paesaggistico;  la  posizione  di
chi non ha commesso l'abuso sarebbe parificata a quella di chi lo  ha
commesso e ha ottenuto in seguito l'accertamento  di  conformita'  di
cui all'art. 167 del d.lgs. n. 42  del  2004.  A  livello  nazionale,
invece, l'accertamento di  compatibilita'  paesaggistica  avrebbe  il
contrappeso    del    pagamento    dell'indennita'    «in    funzione
general-preventiva a presidio del rispetto ex ante delle regole poste
a tutela del paesaggio [...] che' altrimenti viene  meno  la  cogenza
delle medesime». 
    La norma censurata, non consentendo l'imposizione dell'indennita'
in caso di  vincolo  paesaggistico  sopravvenuto,  eccederebbe  dalle
competenze statutarie della Regione Siciliana,  contrastando  con  le
norme di grande riforma  economico-sociale  contenute  nell'art.  167
cod. beni culturali, con conseguente violazione degli artt. 9 e  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    1.3.- Il CGARS censura  poi  la  disposizione  in  questione  per
violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto potrebbe incentivare a
«tenere  il  comportamento,  confidando  nella  possibilita'  di   un
adempimento successivo, in grado di superare l'illecito paesaggistico
commesso»,  e  potrebbe  cosi'  vanificare   l'efficacia   deterrente
dell'istituto   dell'indennita'   paesaggistica,   «con   conseguente
irragionevolezza intrinseca della disciplina e  connesso  pregiudizio
al  buon  andamento  della  pubblica   amministrazione».   L'«effetto
precipuo» della norma censurata sarebbe l'omissione della valutazione
del pregiudizio arrecato all'ambiente. 
    1.4.-  Infine,  il  rimettente  aggiunge   che,   se   anche   si
riconoscesse carattere  sanzionatorio  all'indennita'  in  questione,
essa non potrebbe  essere  considerata  una  sanzione  amministrativa
sostanzialmente penale, ai sensi dei cosiddetti criteri  «Engel»,  in
quanto la finalita' punitiva  sarebbe  recessiva  rispetto  a  quella
preventiva. 
    Inoltre,  l'eventuale  natura  di  sanzione  amministrativa   non
consentirebbe di superare i dubbi di  costituzionalita'  «in  ragione
dei   principi   della   conoscibilita'   del   precetto»   e   della
«prevedibilita'  delle  conseguenze   sanzionatorie».   L'ordinamento
imporrebbe, infatti, che l'autore di un illecito edilizio «si  assuma
la responsabilita' delle  conseguenze  negative  che  dalla  condotta
derivano nel corso del tempo, fino a che la  posizione  del  medesimo
non  risulta  nuovamente  conforme  all'ordinamento  giuridico»;   il
precetto da conoscere prima non sarebbe  «rappresentato  dal  singolo
vincolo paesaggistico ma dal fatto che la realizzazione del manufatto
deve avvenire nel rispetto delle  regole  di  settore,  pena,  quanto
meno, il pagamento di un'indennita'». La norma generale dell'art.  32
della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in  materia  di  controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero  e  sanatoria
delle opere abusive), renderebbe rilevanti i diversi vincoli  (fra  i
quali quelli paesaggistici) «che appongono limiti all'edificazione ai
fini dell'accertamento di conformita' in sanatoria». 
    Il CGARS precisa di non voler sollevare  ulteriori  questioni  in
relazione   all'eventuale   qualificazione   (da   esso    avversata)
dell'indennita' paesaggistica in termini di sanzione  amministrativa,
giacche', secondo la  giurisprudenza  costituzionale,  la  competenza
sanzionatoria accede alle materie sostanziali, per cui tale questione
sarebbe assorbita nelle censure gia' dedotte. 
    2.- C. P. si e' costituito in giudizio con atto  depositato  l'11
ottobre 2021. 
    La  parte  riferisce  di  aver  realizzato  nel  1973   un'unita'
immobiliare, senza concessione edilizia, nella zona della  Valle  dei
Templi, oggetto all'epoca di vincolo archeologico e  non  di  vincolo
paesaggistico. Successivamente,  il  29  ottobre  2014,  otteneva  la
concessione edilizia in sanatoria, previo parere della Soprintendenza
di Agrigento, che accertava la compatibilita' delle opere  realizzate
con il  vincolo  paesaggistico,  essendo  il  manufatto  a  «notevole
distanza» dalla Valle dei Templi. 
    2.1.-  La  parte  eccepisce  poi  l'irrilevanza  delle  questioni
sollevate, in  quanto  la  natura  sanzionatoria  dell'indennita'  in
questione renderebbe applicabili «i principi generali di cui all'art.
11 delle preleggi e all'art. 1 della l. n. 689/1981». L'indennita' di
cui all'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 non avrebbe piu' carattere
risarcitorio, com'era nella disciplina del  1939,  ma  esclusivamente
una connotazione sanzionatoria, non essendo conseguenza di  un  danno
ingiusto e avendo,  invece,  «esclusiva  finalita'  punitiva  per  la
trasgressione commessa». Cio' risulterebbe dal testo  dell'art.  167,
che  parla  di  «sanzione»,  e  dal  fatto  che   l'accertamento   di
compatibilita' paesaggistica rivelerebbe l'assenza di  un  danno.  La
parte cita alcune pronunce dello  stesso  CGARS  (emesse  negli  anni
2005-2010) che avrebbero qualificato l'indennita' in  questione  come
«misura punitiva». In base, quindi, al principio di  irretroattivita'
delle sanzioni enunciato all'art. 1 della legge n. 689 del  1981,  le
questioni sollevate sarebbero  irrilevanti,  non  essendo  necessario
applicare la norma regionale censurata. 
    Inoltre, l'art. 167 non avrebbe «disposto specificatamente alcuna
efficacia per il passato», per cui sarebbe palese  l'inapplicabilita'
della sanzione  per  l'opera  costruita  prima  dell'apposizione  del
vincolo paesaggistico, sicche' il CGARS avrebbe  potuto  decidere  la
causa anche applicando l'art. 11 delle preleggi, a prescindere  dalla
norma regionale censurata. 
    2.2.-  Nel  merito,  la   parte   si   sofferma   innanzi   tutto
sull'asserita violazione dell'art. 2, comma 46, della  legge  n.  662
del 1996. Secondo C. P., il legislatore nazionale avrebbe previsto il
pagamento dell'indennita' solo per le aree sottoposte a  vincolo  sia
ai sensi della legge n. 1497 del 1939 sia ai sensi del  d.l.  n.  312
del 1985, e non  avrebbe  disposto  nulla  «in  merito  alla  portata
retroattiva  della  norma  e  ai  limiti  temporali  di  applicazione
dell'indennita'». 
    La norma regionale censurata sarebbe coerente con  la  disciplina
statale. Essa  disciplinerebbe  una  fattispecie  diversa  da  quella
oggetto del citato art. 2, comma 46, cioe' il caso in cui il  vincolo
sia stato imposto «per la prima volta in un'area che in  passato  non
era stata gravata da altro vincolo». 
    La norma  censurata,  dunque,  sarebbe  in  armonia  sia  con  il
principio di irretroattivita' della legge sia con l'art. 2, comma 46,
della legge n. 662 del 1996, non potendosi ipotizzare  la  violazione
dell'art. 3 Cost. «per  difformita'  di  disciplina  tra  la  regione
Sicilia e il territorio nazionale». 
    Non vi sarebbe, poi, violazione degli  artt.  9  e  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., poiche'  l'art.  167  cod.  beni  culturali
presupporrebbe  un  vincolo  paesaggistico  esistente   prima   della
realizzazione   dell'opera   e,   dunque,   la   consapevolezza   del
proprietario di commettere un abuso. L'art. 167  non  specificherebbe
alcunche'  per  le  costruzioni  realizzate  prima  del  vincolo  ne'
stabilirebbe una propria portata retroattiva. Del resto,  l'eventuale
previsione di una sanzione in caso di opera precedente il vincolo  si
porrebbe in contrasto con il principio generale di  irretroattivita'.
Se la pubblica amministrazione applicasse l'art. 167 anche in caso di
vincolo  sopravvenuto,  opererebbe  un'interpretazione  arbitraria  e
sostanzialmente "creativa". In conclusione, la  norma  censurata  non
violerebbe l'art. 167 e sarebbe anzi «in totale  armonia»  con  esso,
avendo  precisato  i  limiti  di  applicazione   dell'indennita'   in
conformita' ai principi generali di cui all'art. 11 delle preleggi  e
all'art.  1  della  legge  n.  689  del  1981.  Essa,  inoltre,   ben
concilierebbe la tutela del diritto di proprieta'  e  della  certezza
del diritto con la tutela del paesaggio, «avendo pur sempre  previsto
la  necessita'  del  nulla  osta  per  la  concessione  edilizia   in
sanatoria». 
    3.- Il CGARS ha sollevato le medesime questioni  di  legittimita'
costituzionale, concernenti l'art.  5,  comma  3,  della  legge  reg.
Siciliana n. 17 del 1994, con sentenza non definitiva iscritta al  n.
163 reg. ord. del 2021. 
    Il CGARS riferisce che il giudizio a quo e' stato promosso  dalla
Regione Siciliana contro C. B., per la riforma della sentenza del TAR
Sicilia, sede di Palermo, 8 luglio 2019, n. 1809, che ha  accolto  il
ricorso proposto da  C.  B.  contro  il  decreto  del  dirigente  del
Dipartimento dei beni culturali e dell'identita' siciliana 31 gennaio
2018, n. 395, che - ai sensi dell'art. 167 del d.lgs. n. 42 del  2004
- le aveva ingiunto di pagare 9.912,16 euro a titolo  di  «indennita'
risarcitoria» per il danno causato al paesaggio con la  realizzazione
di un fabbricato sito nel Comune di Agrigento. 
    In punto di fatto, anche  il  fabbricato  all'origine  di  questa
vicenda e' stato realizzato, secondo quanto riferisce il  rimettente,
negli anni  1973-1976  in  una  zona  all'epoca  oggetto  di  vincolo
archeologico ai sensi di due decreti  ministeriali  del  1968  e  del
1971, e dunque  prima  dell'apposizione  del  vincolo  paesaggistico.
L'unica differenza, rispetto all'atto di promovimento iscritto al  n.
162 reg. ord. del 2021, consiste nel fatto che  C.  B.  ha  ereditato
l'immobile realizzato abusivamente e, dunque, ha invocato davanti  al
TAR anche l'intrasmissibilita' agli  eredi  della  sanzione  prevista
all'art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004, impugnando  poi  con  appello
incidentale il rigetto di tale motivo. Il CGARS ha respinto l'appello
incidentale con l'atto di promovimento. 
    Per il  resto,  la  motivazione  della  sentenza  non  definitiva
iscritta al n. 163 reg. ord. del 2021  ricalca  quella  dell'atto  di
promovimento iscritto al n. 162 reg. ord. del 2021, sopra illustrata. 
    4.- Con atto depositato fuori termine, il 26 novembre 2021, C. B.
si e' costituita in giudizio. 
    La   parte   rileva,    preliminarmente,    «l'omessa    notifica
dell'ordinanza di rimessione - atto  di  promovimento  ed  il  numero
della stessa, da parte della Segreteria del giudice a  quo».  Inoltre
C. B., allegando un  certificato  medico,  afferma  di  essere  stata
«nell'impossibilita' materiale di potere conferire mandato e  procura
speciale ai propri difensori nel periodo compreso tra il 12 ed il  23
novembre per ragioni di salute», e chiede, pertanto,  «la  rimessione
in  termini  o,  in  subordine,  di  ritenere  ammissibile   la   sua
costituzione in giudizio». 
    5.-  Il  29  gennaio  2022  C.  B.  ha  depositato  una   memoria
integrativa nel giudizio iscritto al n. 163 reg. ord. del 2021. 
    Il 31  gennaio  2022  anche  C.  P.  ha  depositato  una  memoria
integrativa nel giudizio iscritto al  n.  162  reg.  ord.  del  2021,
ribadendo ulteriormente le proprie argomentazioni e conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la  Regione
Siciliana (CGARS), con due sentenze non definitive iscritte al n. 162
e  al  n.  163  reg.  ord.  del  2021,  solleva,  in  riferimento  in
riferimento all'art. 14, comma  1,  lettera  n),  del  regio  decreto
legislativo 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello statuto  della
Regione Siciliana), convertito nella legge costituzionale 26 febbraio
1948, n. 2, e agli artt. 3, 9, 97 e 117, secondo comma,  lettera  s),
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 3, della legge della Regione Siciliana  31  maggio
1994,  n.  17  (Provvedimenti  per  la  prevenzione   dell'abusivismo
edilizio e per la destinazione  delle  costruzioni  edilizie  abusive
esistenti), in base al quale «[i]l nulla-osta dell'autorita' preposta
alla gestione del vincolo e' richiesto, ai fini della concessione  in
sanatoria, anche quando il vincolo sia stato apposto  successivamente
all'ultimazione dell'opera abusiva. Tuttavia,  nel  caso  di  vincolo
apposto  successivamente,  e'  esclusa  l'irrogazione   di   sanzioni
amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme  disciplinanti  lo
stesso, a carico dell'autore  dell'abuso  edilizio»:  questo  secondo
periodo e' la norma censurata. 
    Quest'ultima,  secondo  il   rimettente,   non   consentendo   di
richiedere il pagamento dell'indennita' paesaggistica di cui all'art.
167, comma 5, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42  (Codice
dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo  10  della
legge 6 luglio 2002,  n.  137),  in  caso  di  vincolo  paesaggistico
sopravvenuto, violerebbe  l'art.  14,  comma  1,  lettera  n),  dello
statuto speciale, che attribuisce alla Regione  Siciliana  competenza
legislativa  primaria  nella  materia  «tutela  del  paesaggio»,  per
contrasto con le norme di grande riforma economico-sociale  contenute
nel citato art. 167 del d.lgs. n. 42 del 2004 (d'ora in avanti, anche
cod. beni culturali), con conseguente violazione degli artt. 9 e 117,
secondo comma, lettera s), Cost. La disposizione regionale  censurata
violerebbe inoltre gli  artt.  3  e  97  Cost.,  in  quanto  potrebbe
vanificare  l'efficacia  deterrente   dell'istituto   dell'indennita'
paesaggistica, «con  conseguente  irragionevolezza  intrinseca  della
disciplina e connesso pregiudizio al buon  andamento  della  pubblica
amministrazione». 
    2.- I due atti di promovimento censurano la medesima  norma,  con
argomenti coincidenti. I giudizi possono dunque  essere  riuniti  per
essere decisi con un'unica pronuncia. 
    3.-  Preliminarmente,  occorre  rilevare   che,   con   ordinanza
dibattimentale letta all'udienza del 23 febbraio 2022 e allegata alla
presente sentenza, e' stata dichiarata inammissibile  per  tardivita'
la costituzione di C. B. nel giudizio iscritto al n.  163  reg.  ord.
del 2021. 
    4.- Sempre in via preliminare, deve ritenersi non  rilevante  che
le questioni siano state  promosse  con  la  forma  di  sentenza  non
definitiva anziche' di ordinanza. Infatti, il giudice a quo - dopo la
positiva valutazione concernente la  rilevanza  e  la  non  manifesta
infondatezza  delle  stesse  -  ha  disposto   la   sospensione   del
procedimento  principale  e  la  trasmissione  del   fascicolo   alla
cancelleria di questa Corte; sicche' a tali atti,  anche  se  assunti
con la forma di sentenza, deve  essere  riconosciuta  sostanzialmente
natura di ordinanza, in conformita' a quanto  previsto  dall'art.  23
della legge 11 marzo 1953, n. 87, recante «Norme sulla costituzione e
sul funzionamento della Corte costituzionale» (ex multis, sentenze n.
179 del 2019 e n. 126 del 2018). 
    5.- Prima di esaminare le questioni sollevate, e'  opportuna  una
breve  sintesi  del  quadro  normativo  in  cui   si   inserisce   la
disposizione censurata. 
    A seguito della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme  in  materia
di controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni,  recupero
e sanatoria delle opere abusive), cioe' della prima legge statale sul
condono edilizio, la Regione Siciliana ha disciplinato la materia con
la legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 (Nuove norme in  materia  di
controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e
sanatoria  delle  opere  abusive),  nell'esercizio   della   potesta'
legislativa primaria ad essa attribuita dall'art. 14,  lettere  f)  e
n), dello statuto speciale nelle  materie  dell'urbanistica  e  della
tutela del paesaggio. L'art. 23, comma 10, di tale legge dispone che,
«[p]er le costruzioni che ricadono in zone vincolate da leggi statali
o  regionali  per  la  tutela  di   interessi   storici,   artistici,
architettonici,  archeologici,  paesistici,   ambientali,   igienici,
idrogeologici, delle coste marine, lacuali o fluviali, le concessioni
in sanatoria sono subordinate al nulla-osta rilasciato dagli enti  di
tutela sempre che il vincolo, posto  antecedentemente  all'esecuzione
delle opere, non  comporti  inedificabilita'  e  le  costruzioni  non
costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima [...]». 
    Questa disposizione e' stata oggetto di interpretazione autentica
ad opera del censurato art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n.
17 del 1994, il quale articolo ha chiarito che, in  caso  di  vincolo
apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva,   per
ottenere la concessione edilizia in sanatoria e' comunque  necessario
il nulla-osta dell'autorita' preposta alla gestione del  vincolo,  ma
«e' esclusa  l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,
discendenti dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore
dell'abuso edilizio». La norma interpretativa era stata censurata  in
via incidentale con riferimento all'art. 101, secondo  comma,  Cost.,
ma questa Corte ha dichiarato la questione  manifestamente  infondata
con l'ordinanza n. 44 del 2001. 
    Lo stesso art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n.  17  del
1994 era stato successivamente sostituito  dall'art.  17,  comma  11,
della  legge  della  Regione  Siciliana  16   aprile   2003,   n.   4
(Disposizioni programmatiche e  finanziarie  per  l'anno  2003),  che
aveva fornito un'interpretazione diversa  della  citata  disposizione
regionale  del  1985,  stabilendo  che  «[i]l  parere  dell'autorita'
preposta alla gestione  del  vincolo  e'  richiesto,  ai  fini  della
concessione o autorizzazione edilizia in sanatoria, solo nel caso  in
cui il vincolo sia stato posto  antecedentemente  alla  realizzazione
dell'opera abusiva». 
    Questa seconda disposizione interpretativa  e'  stata  dichiarata
costituzionalmente illegittima con la sentenza n. 39 del 2006,  nella
quale  questa  Corte  ha  precisato  che  «e'  estraneo  a  qualunque
possibilita' di giustificazione sul  piano  della  ragionevolezza  un
rinnovato esercizio del potere di interpretazione  autentica  di  una
medesima disposizione legislativa, per  di  piu'  dando  ad  essa  un
significato addirittura opposto a quello che  in  precedenza  si  era
gia' determinato come autentico»; che «[l]'interpretazione  autentica
dell'art. 23, comma 10, della legge regionale n. 37 del 1985, fornita
dallo stesso legislatore regionale con l'art. 5, comma 3, della legge
n. 17 del 1994, ha contribuito al consolidarsi a livello regionale di
una interpretazione omogenea ed incontrastata di una disposizione che
altrimenti avrebbe potuto produrre  applicazioni  difformi»;  e  che,
«[d]'altra parte, a livello nazionale, si e'  venuta  affermando  una
soluzione  analoga  in  sede  di  interpretazione   giurisprudenziale
dell'art. 32  della  legge  statale  n.  47  del  1985,  specie  dopo
l'intervento dell'adunanza plenaria del Consiglio  di  Stato  con  la
sentenza del 22 luglio 1999, n. 20». 
    6.-  Cosi'  ricostruito  il  quadro   normativo,   e'   possibile
affrontare il tema della  rilevanza  con  particolare  riguardo  alla
vigenza della norma censurata. 
    Secondo il rimettente, la sentenza n. 39 del 2006  appena  citata
avrebbe determinato la reviviscenza dell'art. 5, comma 3, della legge
reg.  Siciliana  n.  17  del  1994,  con  la  conseguenza  che   tale
disposizione, pur essendo stata a suo tempo sostituita dall'art.  17,
comma 11, della legge reg. Siciliana n. 4 del 2003,  sarebbe  tuttora
vigente. 
    In linea generale, la motivazione sulla rilevanza e'  oggetto  di
un controllo  meramente  esterno  di  questa  Corte  (tra  le  tante,
sentenze n. 19 del 2022, n. 236, n. 207, n. 194 e n. 183 del 2021, n.
44 del 2020 e n. 128 del 2019), che deve limitarsi a  verificarne  la
sufficienza e la plausibilita'. In  particolare,  il  giudizio  sulla
vigenza delle norme giuridiche rientra nella competenza  dei  giudici
comuni (ex multis, sentenze n. 155 del 2021, n. 33 del 2015 e n.  272
del 2010), cosi' come e' affidata a questi ultimi  la  determinazione
del modo in cui l'ordinamento si "ricompone"  dopo  una  sentenza  di
accoglimento (sentenze n. 119 del 2021, n. 88 del 2018, n. 5 del 2014
e n. 294 del 2011). 
    Nel caso di specie,  l'accertamento  della  vigenza  della  norma
regionale censurata  e'  di  competenza  dei  giudici  amministrativi
siciliani, rientrando le controversie relative all'indennita' di  cui
all'art. 167, comma 5, del d.lgs. n. 42 del 2004 nella  giurisdizione
del giudice  amministrativo  (Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,
sentenze 10 marzo 2005, n. 5214 e 10 marzo 2004, n. 4857). 
    Il  rimettente  Consiglio  di  giustizia  amministrativa  per  la
Regione Siciliana, oltre ad argomentare autonomamente  sulla  vigenza
della norma censurata, richiama un orientamento della  giurisprudenza
amministrativa  siciliana  che  la  considera  operante  ed  efficace
(CGARS, sezioni unite, parere 12 maggio 2021, n. 149; CGARS,  sezioni
unite, parere 12 maggio  2021,  n.  147).  Il  rimettente  riferisce,
inoltre, che sono pendenti davanti  ad  esso  circa  ottanta  giudizi
simili a quelli da cui e' sorta la presente questione, nei  quali  il
giudice di primo grado ha ritenuto vigente la norma censurata. 
    Sulla base, dunque, dell'ampia argomentazione del rimettente  sul
punto,  e  in  presenza  di  un  orientamento  giurisprudenziale  che
conferma la vigenza della  norma  censurata  (si  veda  anche  CGARS,
sezioni unite, parere 1° luglio 2021, n. 210), questa  Corte  ritiene
non implausibile, sotto il profilo in  esame,  la  motivazione  sulla
rilevanza. 
    7.- La parte costituitasi nel giudizio iscritto al  n.  162  reg.
ord. del 2021 eccepisce l'irrilevanza della questione  sollevata,  in
quanto la natura  sanzionatoria  dell'indennita'  prevista  dall'art.
167, comma 5, del d.lgs. n. 42 del  2004  renderebbe  applicabile  il
generale principio di  irretroattivita'  di  cui  all'art.  11  delle
disposizioni  preliminari  al  codice  civile  e  il   principio   di
irretroattivita' delle sanzioni  amministrative  di  cui  all'art.  1
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale),
con la conseguenza che, per respingere l'appello proposto  contro  la
sentenza di primo grado che ha accolto il ricorso  del  privato,  non
sarebbe necessario applicare la norma regionale censurata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il rimettente dedica  ampio  spazio  per  argomentare  la  natura
riparatoria (e non sanzionatoria in  senso  stretto)  dell'indennita'
paesaggistica e la conseguente inapplicabilita' della  legge  n.  689
del 1981, analizzando la giurisprudenza amministrativa sul punto e la
funzione dell'indennita', e facendo riferimento alla distinzione  tra
sanzioni in senso  stretto  (punitive)  e  sanzioni  in  senso  ampio
(riparatorie). Il CGARS menziona tre pronunce del Consiglio di  Stato
(sezione sesta, sentenza 21 dicembre 2020, n. 8171; sezione  seconda,
sentenza 30 ottobre 2020, n. 6678; sezione quarta, sentenza 31 agosto
2017, n. 4109) e invoca a sostegno della propria tesi vari argomenti,
sottolineando in particolare: che l'obbligo  di  pagare  l'indennita'
paesaggistica grava su chi ha la disponibilita' del  bene,  anche  se
non e' l'autore dell'abuso; che l'indennita' va pagata a  prescindere
dalla presenza di dolo o colpa; che essa non e'  conseguenza  diretta
dell'abuso, ma e' il «contrappeso» del  provvedimento  favorevole  di
accertamento   della   compatibilita'   paesaggistica   delle   opere
realizzate abusivamente. 
    Anche  sotto  questo  profilo,  dunque,  la   motivazione   sulla
rilevanza offerta dal rimettente non e' implausibile. 
    8.-  Prima  di  affrontare  le  questioni  sollevate,  si   rende
necessaria una precisazione sulla definizione della prima di esse. 
    Sebbene  nel  dispositivo  della  pronuncia  di  rimessione   sia
richiamato solo l'art. 117, secondo comma, lettera s),  Cost.  (oltre
agli artt. 3, 9 e 97 Cost.), nella motivazione il rimettente menziona
la competenza statutaria primaria della Regione Siciliana in  materia
di «tutela del paesaggio» (art. 14, comma 1, lettera n, dello statuto
speciale). Osserva inoltre che, nell'esercizio di tale competenza, la
Regione  deve  rispettare  le  norme  statali   di   grande   riforma
economico-sociale.  Afferma,  infine,   il   carattere   fondamentale
dell'istituto dell'indennita' paesaggistica, concludendo che la norma
censurata, non consentendo l'irrogazione dell'indennita' in  caso  di
vincolo  paesaggistico  sopravvenuto,  eccederebbe  dalle  competenze
statutarie della Regione Siciliana,  contrastando  con  le  norme  di
grande riforma economico-sociale contenute nell'art.  167  cod.  beni
culturali, con conseguente violazione degli artt. 9  e  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. 
    In  base  ad  una  lettura  combinata  del  dispositivo  e  della
motivazione, si deve dunque ritenere che, con la prima questione,  il
CGARS abbia censurato  la  violazione  di  un  limite  proprio  della
competenza statutaria primaria della Regione Siciliana, ossia di  una
norma fondamentale di riforma economico-sociale emanata  dallo  Stato
nell'esercizio  della  sua  competenza  in  materia  di  tutela   del
paesaggio. 
    8.1.-  La  questione  e'  tuttavia  inammissibile,   perche'   il
rimettente non motiva in modo adeguato sulla pertinenza del parametro
interposto   invocato   (costituito   dalla    norma    di    riforma
economico-sociale contenuta nell'art. 167, comma 5, del d.lgs. n.  42
del 2004)  al  caso  di  specie,  cio'  che  rende  insufficiente  la
motivazione sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Nell'intera sentenza non definitiva, il CGARS  da'  per  scontato
che anche il caso del rilascio del  nulla-osta  paesaggistico  in  un
procedimento di condono relativo a un abuso edilizio  commesso  prima
dell'apposizione  del  vincolo  ricada  nell'ambito  di  applicazione
dell'art. 167, comma 5, terzo periodo, cod. beni culturali -  secondo
cui, «[q]ualora venga accertata la compatibilita'  paesaggistica,  il
trasgressore e' tenuto al  pagamento  di  una  somma  equivalente  al
maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto  conseguito
mediante la trasgressione» - e che anche in tale fattispecie, dunque,
sia dovuta l'indennita' pecuniaria ivi prevista. 
    Il rimettente fonda tale sua conclusione, per un verso, sull'art.
2, comma 46,  della  legge  23  dicembre  1996,  n.  662  (Misure  di
razionalizzazione della finanza pubblica), e, per altro verso,  sulla
sentenza del Consiglio di Stato, adunanza plenaria, 7 giugno 1999, n.
20. 
    In base al citato art. 2, comma 46, «[p]er le opere  eseguite  in
aree sottoposte al vincolo di cui alla L. 29 giugno 1939, n. 1497,  e
al D.L. 27 giugno 1985, n. 312, convertito, con modificazioni,  dalla
L. 8 agosto 1985, n. 431,  il  versamento  dell'oblazione  non  esime
dall'applicazione dell'indennita' risarcitoria prevista dall'articolo
15 della citata legge n. 1497 del 1939». La  disposizione,  tuttavia,
si limita a regolare il rapporto fra l'oblazione pagata  in  sede  di
condono e l'indennita' prevista (all'epoca) dall'art. 15 della  legge
29 giugno 1939, n. 1497 (Protezione delle bellezze naturali),  e  non
si occupa affatto del  caso  in  cui  il  vincolo  paesaggistico  sia
apposto dopo l'ultimazione dell'opera abusiva (sull'art. 2, comma 46,
si veda, ad esempio, la sentenza  del  Consiglio  di  Stato,  sezione
seconda, 2 ottobre 2019, n. 6605). 
    Quanto  alla  citata  sentenza  n.  20  del  1999   dell'Adunanza
plenaria, essa tratta specificamente  del  caso  in  cui  il  vincolo
paesaggistico sia stato  apposto  dopo  la  realizzazione  dell'opera
abusiva (dal punto di vista edilizio), ma, a sua volta, si  limita  a
chiarire che, nel procedimento di condono, «l'obbligo di pronuncia da
parte dell'autorita' preposta alla tutela  del  vincolo  sussiste  in
relazione alla [sua] esistenza [...] al momento in  cui  deve  essere
valutata  la  domanda  di   sanatoria,   a   prescindere   dall'epoca
d'introduzione»,  senza  nulla  affermare  circa  la  necessita'   di
applicare l'indennita' pecuniaria prevista (all'epoca)  dall'art.  15
della citata legge n. 1497 del 1939. Ne', d'altra parte, il giudice a
quo, pur citando varie sentenze del Consiglio di Stato e  del  CGARS,
ne menziona alcuna che affermi la  necessita',  in  base  alla  legge
statale, del pagamento  dell'indennita'  anche  in  caso  di  vincolo
sopravvenuto. 
    Una motivazione piu' articolata di quella offerta dal  rimettente
sarebbe stata tanto piu' necessaria  a  fronte  di  diversi  elementi
testuali che condurrebbero a ritenere invece applicabile  l'art.  167
del d.lgs. n. 42  del  2004  solo  al  caso  di  intervento  edilizio
eseguito in  violazione  dell'obbligo  di  chiedere  l'autorizzazione
paesaggistica,  cioe'  su  un'area  gia'  vincolata  al  momento   di
realizzazione  dell'abuso  edilizio.  Cosi',  l'art.  167,  comma  1,
menziona la «violazione degli obblighi e degli  ordini  previsti  dal
Titolo I della Parte terza»; il comma 4 fa  riferimento  ai  «lavori,
realizzati   in    assenza    o    difformita'    dall'autorizzazione
paesaggistica»; in piu' punti l'art. 167 menziona il  «trasgressore»:
tutte previsioni che non sembrano  potersi  riferire  all'ipotesi  in
cui, al momento di realizzazione delle opere, il  vincolo  non  fosse
stato ancora apposto. Sulla  base  di  questi  stessi  elementi,  del
resto,  anche  l'Ufficio  legislativo  del  Ministero  della  cultura
(all'epoca, Ministero dei beni e  delle  attivita'  culturali  e  del
turismo) e' pervenuto a ritenere inapplicabile l'art. 167 al caso del
vincolo sopravvenuto (pareri 20 aprile 2017, n. 12633; 5 maggio 2016,
n. 13373; 27 aprile 2016, n. 12385; 16 dicembre 2015, n. 30815). 
    Tutto cio' considerato, gli  atti  di  promovimento  non  offrono
sufficienti  elementi  a  sostegno  della  pertinenza  del  parametro
interposto invocato. Di qui l'inammissibilita' della prima questione. 
    9.- La seconda questione, sollevata in riferimento agli artt. 3 e
97 Cost., non e' fondata. 
    Secondo il rimettente,  la  norma  regionale  censurata  potrebbe
incentivare a «tenere il comportamento, confidando nella possibilita'
di  un  adempimento  successivo,  in  grado  di  superare  l'illecito
paesaggistico commesso»,  e  potrebbe  cosi'  vanificare  l'efficacia
deterrente   dell'istituto   dell'indennita'   paesaggistica,    «con
conseguente irragionevolezza intrinseca della disciplina  e  connesso
pregiudizio al buon andamento della pubblica amministrazione». Il suo
«effetto precipuo» sarebbe, inoltre,  l'omissione  della  valutazione
del pregiudizio arrecato all'ambiente. 
    In  realta',  poiche'  la  disposizione  censurata  riguarda  una
fattispecie in cui e' stato commesso un illecito edilizio, ma non  un
illecito paesaggistico - in quanto al momento dell'abuso edilizio  il
vincolo non esisteva e dunque l'opera realizzata non poteva  violarlo
- essa non puo' essere idonea  a  vanificare  l'efficacia  deterrente
dell'indennita' paesaggistica, giacche' tale effetto  ha  logicamente
ad oggetto la violazione dell'obbligo paesaggistico, che nel caso  di
specie non c'e'. 
    Se, d'altro canto, la deterrenza fosse riferita al  comportamento
abusivo edilizio - e al rischio, che ne deriverebbe, di incorrere  in
una  reazione  dell'ordinamento  anche  per  l'eventuale   successiva
sopravvenienza di un vincolo paesaggistico - si puo'  osservare  che,
comunque, un effetto deterrente indiretto di questo tipo  e'  offerto
dalla norma in esame. L'art. 5, comma 3, della legge  reg.  Siciliana
n. 17 del 1994 non rende infatti irrilevante  la  sopravvenienza  del
vincolo paesaggistico,  perche'  richiede  comunque,  ai  fini  della
concessione in sanatoria, il nulla-osta  dell'organo  di  tutela  del
vincolo, nulla-osta che viene rilasciato sempre che  «le  costruzioni
non costituiscano grave pregiudizio per la tutela medesima» (art. 23,
comma 10, della legge reg. Siciliana n. 37 del 1985). Non  e'  dunque
esatta nemmeno l'affermazione del rimettente  secondo  cui  l'effetto
della norma  censurata  sarebbe  l'omissione  della  valutazione  del
pregiudizio arrecato all'ambiente. 
    Richiedendo il nulla-osta, ai fini del condono, anche in caso  di
vincolo paesaggistico intervenuto dopo  l'abuso  edilizio,  la  norma
censurata si fa carico  di  assicurare  all'amministrazione  preposta
alla tutela del paesaggio la possibilita' di apprezzare  in  concreto
l'interesse affidato  alla  sua  cura,  consentendole  di  negare  la
sanatoria  nel  caso  in  cui  l'opera  abusivamente  realizzata  sia
incompatibile  con   il   bene   tutelato.   Sicche'   il   principio
costituzionale  di  buon  andamento  dell'amministrazione  non   puo'
ritenersi  violato,  ne'  si  puo'  ritenere  in  se'  manifestamente
irragionevole la scelta del legislatore regionale  di  non  prevedere
per  tale  ipotesi   il   pagamento   dell'indennita',   in   ragione
dell'assenza   dell'illecito   paesaggistico   al    momento    della
realizzazione dell'opera. 
    Si deve dunque concludere per la non fondatezza della questione. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  5,  comma  3,  della  legge  della  Regione
Siciliana 31 maggio 1994, n. 17  (Provvedimenti  per  la  prevenzione
dell'abusivismo edilizio e  per  la  destinazione  delle  costruzioni
edilizie abusive esistenti), sollevata, in riferimento  all'art.  14,
comma 1, lettera n), del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n.
455 (Approvazione dello statuto della Regione Siciliana),  convertito
nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2, e agli artt.  9  e
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione, dal Consiglio  di
giustizia amministrativa per la Regione Siciliana,  con  le  sentenze
non definitive indicate in epigrafe; 
    2)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 3, della legge reg. Siciliana n. 17
del 1994, sollevata, in riferimento agli artt.  3  e  97  Cost.,  dal
Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione  Siciliana,  con
le sentenze non definitive indicate in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Daria de PRETIS, Redattrice 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 marzo 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA 
 
 
                                                            Allegato: 
                     Ordinanza letta all'udienza del 23 febbraio 2022 
 
                              ORDINANZA 
 
    Visti   gli   atti   relativi   al   giudizio   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  5,  comma  3,  della  legge  della  Regione
Siciliana 31 maggio 1994, n. 17  (Provvedimenti  per  la  prevenzione
dell'abusivismo edilizio e  per  la  destinazione  delle  costruzioni
edilizie abusive esistenti), promosso con sentenza non definitiva del
Consiglio di  Giustizia  amministrativa  per  la  Regione  Siciliana,
iscritta al n. 163 reg. ord. del 2021  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale del 27 ottobre 2021. 
    Rilevato che nel giudizio  si  e'  costituita  C.  B.,  con  atto
depositato fuori termine, il 26 novembre 2021; 
    che  la  parte   lamenta   preliminarmente   «l'omessa   notifica
dell'ordinanza di rimessione - atto  di  promovimento  ed  il  numero
della stessa, da parte della Segreteria del giudice a quo»; 
    che C. B. afferma inoltre di  essere  stata  «nell'impossibilita'
materiale di potere conferire mandato e procura  speciale  ai  propri
difensori nel periodo compreso tra  il  12  ed  il  23  novembre  per
ragioni di salute», a sostegno  delle  quali  allega  un  certificato
medico; 
    che la parte chiede, dunque, «la  rimessione  in  termini  o,  in
subordine, di ritenere ammissibile la sua costituzione in giudizio». 
    Considerato che C. B. si e' costituita nel presente  giudizio  il
26 novembre 2021, dunque oltre il termine fissato dall'art.  3  delle
Norme integrative per i giudizi  davanti  alla  Corte  costituzionale
(termine che  scadeva  il  16  novembre  2021,  dato  che  l'atto  di
promovimento e' stato pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  del  27
ottobre 2021); 
    che, secondo la giurisprudenza costante  di  questa  Corte,  tale
termine ha  carattere  perentorio  con  conseguente  inammissibilita'
della costituzione tardiva (ex multis, sentenza n. 243 e ordinanza n.
236 del 2021); 
    che, quanto alle specifiche circostanze  dedotte  dalla  parte  a
sostegno dell'ammissibilita' della costituzione o della rimessione in
termini, in primo luogo, dall'esame del fascicolo del giudizio a  quo
risulta che l'avviso di deposito dell'atto di promovimento  e'  stato
regolarmente notificato alla parte; 
    che, in secondo luogo, quanto all'omessa comunicazione del numero
assegnato all'atto di promovimento nel registro ordinanze  di  questa
Corte (che avrebbe impedito la sua ricerca nell'indice della Gazzetta
ufficiale - Serie speciale "Corte costituzionale"), occorre rilevare,
da un lato, che la segreteria del giudice a  quo  non  ha  un  simile
onere e, dall'altro, che la mancata conoscenza di  tale  informazione
non impedisce una consultazione proficua della Gazzetta Ufficiale; 
    che il precedente di questa Corte citato dalla parte  a  sostegno
dell'istanza (sentenza n. 285 del 2016 e ordinanza allegata)  non  e'
conferente, perche' ha per oggetto  la  declaratoria  in  udienza  di
ammissibilita'  di  una  costituzione  tardiva,  «in  relazione  alla
dedotta irregolarita' della notifica»; 
    che,  infine,  il  certificato  medico  prodotto   dalla   parte,
attestando che C. B. e' stata «affetta da lombosciatalgia persistente
con deficit deambulatorio» dal 12 novembre 2021 al 23 novembre  2021,
non e' idoneo a dimostrare un'assoluta impossibilita' di conferire la
procura, perche', anche prescindendo dal  fatto  che  il  periodo  di
malattia indicato non copriva l'intero arco temporale a  disposizione
della parte per  la  costituzione,  un  «deficit  deambulatorio»  non
impediva di per se' il conferimento della procura; 
    che, pertanto, la costituzione in giudizio di C. B.  deve  essere
dichiarata inammissibile. 
 
                          Per Questi Motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara inammissibile la costituzione in giudizio di C. B. 
 
                  F.to: Giuliano Amato, Presidente