N. 32 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 marzo 2022

Ordinanza del 17 marzo  2022  del  Consiglio  di  Stato  sul  ricorso
proposto  da  Fallimento  Lombarda  Petroli  S.r.l.  c/  Comune   di 
Villasanta. 
 
Edilizia  e  urbanistica  -  Interventi  in  deroga  agli   strumenti
  urbanistici  -  Previsione  che  accorda  a  leggi  e   regolamenti
  regionali la possibilita' di derogare alle prescrizioni del decreto
  del Ministro dei lavori pubblici n. 1444 del 1968, con  particolare
  riguardo  a  quelle  in  materia  di  spazi   da   destinare   agli
  insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli  riservati
  alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi. 
- Decreto del Presidente della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380
  (Testo unico delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
  materia edilizia), art. 2-bis, comma 1, come introdotto  dal[l'art.
  30, comma 1, lettera 0a), del] decreto-legge 21 giugno 2013, n.  69
  (Disposizioni urgenti per il rilancio  dell'economia),  convertito,
  con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, n. 98. 
In via conseguenziale: 
Edilizia  e  urbanistica  -  Interventi  in  deroga  agli   strumenti
  urbanistici - Norme della Regione Lombardia - Previsione che, salvo
  per  i  limiti  inderogabili  sulle  distanze,   ha   disposto   la
  disapplicazione delle norme del decreto  del  Ministro  dei  lavori
  pubblici n. 1444 del 1968, per i Piani di  Governo  del  Territorio
  (PGT) adeguati alle disposizioni ivi previste. 
- Legge della Regione Lombardia 11 marzo 2005, n. 12  (Legge  per  il
  governo del territorio), art. 103, comma 1-bis, come introdotto  da
  [art. 1, comma 1, lettera xxx), della]  legge  regionale  14  marzo
  2008,  n.  4  ("Ulteriori  modifiche  e  integrazioni  alla   legge
  regionale  11  marzo  2005,  n.  12  (Legge  per  il  governo   del
  territorio)"), e successivamente modificato da [art.  4,  comma  1,
  lettera k), della] legge regionale 26 novembre 2019, n. 18 ("Misure
  di semplificazione e incentivazione per la rigenerazione  urbana  e
  territoriale, nonche'  per  il  recupero  del  patrimonio  edilizio
  esistente. Modifiche e integrazioni alla legge regionale  11  marzo
  2005, n. 12 (Legge per il governo del territorio) e ad altre  leggi
  regionali"). 
(GU n.15 del 13-4-2022 )
 
                        IL CONSIGLIO DI STATO 
                       in sede giurisdizionale 
                           Sezione quarta 
 
    Ha pronunciato  la  presente  Ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 3732 del 2020,  proposto  dal  Fallimento  Lombarda
Petroli in liquidazione S.r.l., in persona del legale  rappresentante
pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Umberto  Grella  e
Guido Francesco Romanelli, con domicilio digitale come da registri di
giustizia e domicilio eletto presso  lo  studio  dell'avvocato  Guido
Romanelli in Roma, via Cosseria n. 5, contro il Comune di Villasanta,
in  persona  del  sindaco  pro  tempore,   rappresentato   e   difeso
dall'avvocato  Alberto  Fossati,  con  domicilio  digitale  come   da
registri di giustizia e domicilio eletto  presso  il  suo  studio  in
Milano, corso di Porta Vittoria, n. 28, per la riforma della sentenza
del TAR per la Lombardia, sede di Milano, sezione seconda, n. 654 del
20 aprile 2020. 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del  Comune  di
Villasanta e della Provincia di Monza e della Brianza; 
    Vista la sentenza non definitiva di questa Sezione n. 2912 del 20
maggio 2021; 
    Lette le memorie delle parti ai  sensi  dell'art.  73,  comma  3,
c.p.a.; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatrice, nell'udienza pubblica del giorno 28 ottobre  2021,  il
consigliere Emanuela Loria e viste le conclusioni delle parti come da
verbale; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: 
La fase pregressa del giudizio. 
    1. La presente controversia concerne la disciplina urbanistica  -
prevista dal Piano di Governo del territorio  (d'ora  in  poi  «PGT»)
approvato dal Comune di Villasanta nel 2019 -  di  un'ampia  area  di
proprieta' del Fallimento Lombarda Petroli  S.r.l.,  in  liquidazione
(d'ora in poi «Fallimento»), facente parte  della  porzione  sud  del
territorio comunale, occupata da insediamenti produttivi  dismessi  o
sottoutilizzati, tra i quali la raffineria di petrolio, per  i  quali
il  piano  prevede  la  reindustrializzazione  moderna,  ampliata   a
funzioni  «mixite'»,  cioe'  a  esercizi  commerciali  di   vicinato,
esercizi pubblici, artigianato e terziario. 
    1.1. Il Fallimento ha proposto appello, per le parti che lo hanno
visto soccombente, avverso la sentenza del TAR per  la  Lombardia  n.
654 del 20 aprile 2020, la quale: 
        a) ha dichiarato inammissibile per carenza  di  interesse  il
ricorso proposto dal Fallimento stesso avverso la ridetta  disciplina
urbanistica,   nella   parte    relativa    all'impugnazione    della
determinazione provinciale n. 145 del 30 gennaio 2019, contenente  il
parere della Provincia di Monza e Brianza; 
        b) ha accolto parzialmente lo  stesso  ricorso,  nella  parte
relativa all'impugnazione del PGT del Comune di  Villasanta  rispetto
alle aree standards. 
    1.2. Il  Comune  si  e'  costituito  in  giudizio  per  resistere
all'appello ed ha proposto  appello  incidentale,  con  il  quale  ha
criticato  la  statuizione  del  primo  giudice   che   ha   ritenuto
illegittima,  per  difetto  di  motivazione,  la  previsione  di  uno
standard pari al 55% della  superficie  del  compendio,  notevolmente
superiore al limite minimo del 10%, individuato per le aree destinate
ad insediamenti industriali o  assimilati  dall'art.  5  del  decreto
ministeriale n. 1444 del 2 aprile 1968. 
    In particolare, e per quanto qui d'interesse, la tesi del  Comune
puo' cosi' riassumersi: 
        a) l'art. 103,  comma  1-bis,  della  legge  regionale  della
Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, salvo che per i  limiti  inderogabili
sulle distanze,  ha  disposto  la  disapplicazione  delle  norme  del
decreto ministeriale n.  1444  del  1968  per  i  PGT  adeguati  alle
disposizioni dell'art. 26, commi 2 e 3, della stessa legge regionale; 
        b)  la  disposizione  e'  conforme  al   principio   previsto
dall'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica 6  giugno
2001, n. 380, il quale accorda a leggi  e  regolamenti  regionali  la
possibilita' di  derogare  alle  prescrizioni  del  suddetto  decreto
ministeriale n. 1444/1968, «con  particolare  riguardo  a  quelle  in
materia di spazi  da  destinare  agli  insediamenti  residenziali,  a
quelli produttivi, a quelli riservati alle attivita'  collettive,  al
verde e ai parcheggi», e dunque agli standard; 
        c) il principio statale ha trovato applicazione nell'art.  9,
comma 3, della stessa legge regionale, il quale ha fissato il  limite
minimo della dotazione standard per la zona destinata a «residenza» a
18  mq  per  abitante,  rinviando  alla  pianificazione   locale   la
determinazione per le altre destinazioni funzionali; 
        d) nell'art. 9, la riserva di atto amministrativo e' ancorata
a  tre  elementi  essenziali,   costituiti   dalla   qualita'   delle
attrezzature insediate  e  da  insediare,  alla  loro  fruibilita'  e
accessibilita'; 
        e) il PGT, pertanto - fatta salva la misura minima  stabilita
per la destinazione a residenza -  e'  autonomo  nello  stabilire  il
fabbisogno della dotazione di standard senza dover partire dai minimi
previsti nel decreto ministeriale n. 1444/1968. 
    1.3. Il Fallimento ha criticato la tesi  suesposta,  mettendo  in
rilievo fra l'altro: 
        a) che  la  «disapplicazione»  del  decreto  ministeriale  n.
1444/1968 per  effetto  dell'art.  103  della  legge  regionale  cit.
comporterebbe la conseguenza di affidare a ciascun  singolo  PGT  dei
comuni adeguatisi alle disposizioni dell'art. 26 della  stessa  legge
regionale la definizione della quantita' di standard applicabile  per
le zone diverse da quella residenziale, senza nemmeno un parametro di
riferimento stabilito a livello regionale; 
        b) che tale interpretazione contrasterebbe con  l'art.  2-bis
del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001,  poiche'
l'attribuzione alle regioni del potere di  regolamentare  la  materia
degli standards in modo difforme dal decreto  ministeriale  cit.  non
puo' essere interpretata come totale liberalizzazione (in  eccesso  e
in riduzione) delle regole  affidate  all'arbitrio  di  ogni  singola
amministrazione comunale,  perche'  contrasterebbe  con  il  rispetto
degli articoli 7, 10, 13 e  dell'art.  41-quinquies  della  legge  17
agosto 1942, n. 1150, introdotto dall'art. 17 della  legge  6  agosto
1967, n. 765, in tema  di  piani  urbanistici  generali  e  di  piani
particolareggiati,  che  rendono  obbligatoria   la   fissazione   di
standards, di limiti  e  parametri  inderogabili  per  l'edificazione
applicabili in sede di pianificazione urbanistica,  disposizione  che
ha legittimato l'emanazione del decreto ministeriale in argomento; 
        b1) che, invece, l'art. 2-bis  perseguirebbe  l'obiettivo  di
consentire alle regioni di fissare limiti diversi rispetto  a  quelli
del decreto  ministeriale  per  orientare  le  scelte  pianificatorie
comunali,  con  la  conseguenza  di  rendere  possibile  la  limitata
modifica dei parametri generali  previsti  dal  decreto  ministeriale
medesimo. 
    Infine, per l'ipotesi che fosse ritenuta  corretta  la  tesi  del
comune e non percorribile una interpretazione adeguatrice delle norme
vigenti, il Fallimento  ha  chiesto  al  Collegio  di  scrutinare  la
rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della  questione   di
legittimita' costituzionale degli articoli 26  e  103,  comma  1-bis,
della citata legge regionale n. 12 del 2005  per  contrasto  con  gli
articoli 3, 24,  41,  42,  97,  113  e  117  della  Costituzione,  in
relazione ai principi fondamentali dettati dagli articoli 7, 10, 13 e
41-quinquies  della legge  n.   1150   del   1942,   in   quanto   si
determinerebbe: 
        il differente trattamento  di  cittadini  che  realizzino  lo
stesso  intervento  edilizio  in  comuni  differenti  (art.  3  della
Costituzione); 
        la limitazione  al  diritto  di  difesa,  in  assenza  di  un
parametro legislativo e regolamentare su cui pre-definire il  livello
di ragionevolezza della scelta  pianificatoria  assunta  in  tema  di
standards (articoli 24 e 113 della Costituzione); 
        la lesione  del  diritto  di  proprieta'  e  del  diritto  di
impresa, potendo il  Comune  prevedere  uno  standard  del  99%,  non
incontrando limiti nel massimo,  cosi'  determinando  una  situazione
para-espropriativa (articoli 41 e 42 della Costituzione); 
        la violazione del precetto di buon andamento  della  pubblica
amministrazione, non essendo  previsti  limiti  nel  minimo,  con  la
conseguenza che il comune potrebbe ridurre gli standards dovuti al 1%
dell'estensione territoriale e consentire l'edificazione su tutto  il
resto,  con  enorme  carico  urbanistico   non   accompagnato   dalle
necessarie  dotazioni  di  servizi,  nonostante  vi  sia  obbligo  di
rispettare l'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942 (art.  97
della Costituzione); 
        la violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione,
in relazione ai principi generali dettati  dalla legge  n.  1150  del
1942 e dalla legge n. 765 del 1967, dei quali il decreto ministeriale
n. 1444/1968 costituisce mera attuazione, tanto  che  viene  definito
come  regolamento  legislativo,  oltreche'  degli  articoli  9  e  10
della legge n. 62 del 1953, nella parte in cui obbligano  a  definire
limiti inderogabili di edificazioni e  di  standards  che  le  citate
norme regionali hanno impropriamente abrogato, tenendo anche presente
che la «disapplicazione» da parte regionale  di  norme  statali  puo'
avvenire solo per le c.d. «norme cedevoli» regolamentari (il  decreto
ministeriale n. 1444/1968 e', per consolidata  giurisprudenza,  norma
solo formalmente regolamentare  con  valenza  legislativa  in  quanto
attua in modo necessitato ed ineludibile norme di legge inderogabili)
in quanto l'urbanistica e' materia concorrente, ma non puo'  avvenire
in riguardo a norme di legge  statale,  specie  se  fissino  principi
fondamentali delle materia,  anche  riferibili  a  norme  statali  di
principio  gia'  previgenti,   soprattutto   con   riferimento   alle
disposizioni del decreto ministeriale n.  1444/1968,  le  quali  sono
considerate munite di efficacia  precettiva  inderogabile,  anche  in
relazione agli obiettivi  citati  dall'art.  2-bis  del  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 380  del  2001,  essendo  evidente  la
violazione dell'art. 117, secondo comma, della Costituzione anche  in
relazione alla  c.d.  determinazione  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni in cui la dotazione di standards urbanistici rientra e  -
piu' in generale - con riferimento alla competenza esclusiva  statale
in tema di proprieta' privata. 
    2. Con sentenza non definitiva n. 3912 del 20 maggio 2021, questa
Sezione: 
        a) ha respinto l'appello principale; 
        b) ha disposto l'estromissione della  Provincia  di  Monza  e
della Brianza dal giudizio; 
        c) ha compensato integralmente tra  le  parti  le  spese  del
doppio grado di giudizio nei confronti della Provincia; 
        d) ha riservato al  definitivo  ogni  decisione  sull'appello
incidentale e sulle spese; 
        e) ha disposto la prosecuzione del giudizio per la  decisione
dell'appello incidentale e ha demandato al Presidente  della  Sezione
la fissazione dell'udienza di trattazione in esito al deposito  delle
memorie delle parti. 
    2.1. In particolare, la sentenza sopra indicata ha  riservato  la
decisione sui possibili  profili  di  incostituzionalita',  che  sono
stati analiticamente enucleati ai punti 15 e  16  e  che  sono  stati
sinteticamente   individuati   al   punto   17,    all'esito    delle
interlocuzioni con le parti. 
    Giova  citare  testualmente  i   sopraindicati   passaggi   della
sentenza: 
        «15.  La  questione  di  costituzionalita'  prospettata   dal
Fallimento puo' cosi' sintetizzarsi: 
          se sia o meno non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 103, comma 1-bis, in  combinato
disposto con gli articoli 9  (implicitamente  dedotto)  e  26,  della
legge regionale n. 12 del 2005, in riferimento  all'art.  117,  terzo
comma della Costituzione,  stante  la  competenza  concorrente  dello
Stato in materia di «governo del territorio», all'art.  117,  secondo
comma,  lettera  m),  della  Costituzione,  stante  la   legislazione
esclusiva statale nella «determinazione dei livelli essenziali  delle
prestazioni concernenti i  diritti  civili  e  sociali»,  nonche'  in
riferimento ad altri valori tutelati  dalla  Costituzione,  quali  il
differente  trattamento  di  cittadini  che  realizzino   lo   stesso
intervento edilizio in comuni differenti (art. 3 della Costituzione),
il diritto di  proprieta'  (art.  24  della  Costituzione),  il  buon
andamento della pubblica amministrazione (art. 97 della Costituzione)
e il diritto di difesa (art. 24  della Costituzione);  posto  che  la
legge regionale (art. 103, comma 1-bis)  -  in  sede  di  adeguamento
degli strumenti urbanistici (art. 26) - prevede che non si  applicano
tutte le disposizioni del decreto ministeriale del  1968  diverse  da
quelle  attinenti  alle  distanze  tra  fabbricati,  le  quali   sono
derogabili  a  determinate  condizioni,  e  demanda  al  «Piano   dei
servizi», adottato dal Comune in collegamento con  il  «Documento  di
piano» (articoli 8 e 9), l'individuazione, previa determinazione  del
numero  degli  utenti  sulla  base  di  criteri  predefiniti,   della
dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche e  di  interesse
pubblico generale, la dotazione di verde, i corridoi ecologici  e  il
sistema di verde di connessione tra territorio rurale  ed  edificato,
la viabilita', stabilisce solamente una  dotazione  minima  (art.  9,
comma 3), pari a diciotto metri quadrati per abitante,  di  aree  per
attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale per le zone
residenziali; in tal modo  violando  i  principi  fondamentali  della
legislazione statale, che impongono in tutti i comuni l'osservanza di
«rapporti   massimi   tra   spazi   destinati    agli    insediamenti
(residenziali)  e  produttivi  e  spazi  pubblici  o  riservati  alle
attivita'  collettive,  a  verde  pubblico  o  a   parcheggi»   (art.
41-quinques, commi 8 e 9, legge n. 1150 del 1942),  come  specificati
dalle disposizioni del decreto  ministeriale  del  1968,  piu'  volte
ritenuto dotato di efficacia  precettiva  e  inderogabile  in  quanto
attuativo del suddetto art. 41-quinquies  (art.  117,  terzo  comma);
violando altresi', la competenza  esclusiva  statale  in  materia  di
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali (117, secondo comma)  e  il  buon  andamento
dell'amministrazione  (art.  97),  rimettendo  alla  regolamentazione
comunale anche l'individuazione dei rapporti minimi di aree  standard
in zone diverse da quelle residenziali; nonche' il diritto di impresa
e  diritto  di  proprieta'  (artt.  41   e   42),   rimettendo   alla
regolamentazione comunale anche l'individuazione dei rapporti massimi
di aree standard; nonche' finanche il diritto di  difesa  dinanzi  al
giudice (art. 24 e 113) in assenza di  un  parametro  legislativo  di
riferimento per sindacato di ragionevolezza della scelta del  singolo
comune. 
    15.1. Puo' aggiungersi che il presupposto interpretativo  assunto
dal Fallimento posto alla base della richiesta principale di  rigetto
dell'appello incidentale, e' che l'art. 2-bis cit. consenta solo alla
legislazione regionale, e non anche alla regolamentazione urbanistica
comunale, deroghe ai principi stabiliti dalla legislazione statale, e
che, in mancanza delle deroghe previste dalla legge regionale -  come
nella fattispecie dove la legislazione regionale disciplina  solo  il
minimo degli standards nelle zone residenziali (peraltro  in  maniera
parziale e individuando la dotazione minima nella stessa  percentuale
prevista dall'art. 3 del decreto ministeriale del 1968) - per le aree
non  disciplinate  dalla   legislazione   regionale   continuano   ad
applicarsi i principi statali dell'art. 41-quinquies, legge  n.  1150
del 1942, come specificati dal decreto  ministeriale  del  1968,  con
conseguente possibilita' di sindacato  sulla  motivazione  dei  piani
comunali quando si discostano notevolmente dalla  percentuale  minima
statale. 
    16. Il  profilo  dell'interpretazione  del  suddetto  art.  2-bis
all'interno del sistema dei principi vincolanti per  la  legislazione
regionale individuati, dall'art. 41-quinquies della legge n. 1150 del
1942, come specificati dal decreto ministeriale del 1968. 
    L'art. 2-bis del decreto del Presidente della Repubblica  n.  380
del  2001  consente  solo  alle  regioni  di  prevedere  disposizioni
derogatorie al decreto ministeriale del 1968 in materia di  standard,
«nell'ambito della definizione o revisione di  strumenti  urbanistici
comunque  funzionali  a  un  assetto  complessivo  e  unitario  o  di
specifiche aree territoriali».  Trattandosi  di  deroghe  a  principi
della legislazione statale vincolanti  sul  territorio  nazionale  ai
sensi dell'art. 117, terzo comma, in  mancanza,  totale  o  parziale,
dell'esercizio di tale  potere  di  deroga  da  parte  delle  regioni
potrebbe inferirsi  che  si  riespande  l'applicazione  dei  principi
statali dell'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, legge n. 1150 del  1942,
come specificati dal decreto ministeriale n. 1444 del  1968,  secondo
lo stesso presupposto interpretativo assunto dal Fallimento. 
    16.1.   Tuttavia,   la   possibile   sostenibilita'    di    tale
interpretazione costituzionalmente orientata, secondo il Collegio non
consente, nella fattispecie, di sottrarsi alla valutazione della  non
manifesta infondatezza  della  possibile  questione  di  legittimita'
costituzionale delle norme regionali, eccepita dal Fallimento. 
    16.1.1. La ragione  si  rinviene  nella  peculiare  «costruzione»
dell'art. 103, comma 1-bis,  in  uno  con  un  esercizio  del  potere
regionale  di  emanare  norme  derogatorie  che   potremmo   definire
«estremo» per difetto. 
    Infatti, da un lato l'art. 103, comma 1-bis, dispone la  generale
non applicabilita' del decreto ministeriale del 1968 (con l'eccezione
disciplinata della materia delle distanze, che nella causa non  viene
in rilievo); dall'altro, la regione esercita il potere di  legiferare
riconosciutole dall'art. 2-bis al minimo,  e  cioe'  prevedendo  solo
(art. 9, comma 3) la  dotazione  minima  di  standards  per  le  aree
residenziali;  per  di  piu',  riproducendo  la  misura  minima  gia'
individuata dall'art. 3, primo comma, del  decreto  ministeriale  del
1968 e, quindi, intendendo non  applicabili,  secondo  la  previsione
generale dell'art. 103, anche  le  altre  disposizioni  nella  stessa
materia, previste dai successivi sommi dell'art.  3  e  dall'art.  4,
primo e secondo comma. 
    16.1.2. In definitiva, si potrebbe dire che  le  norme  regionali
che derivano il loro fondamento nell'art. 2-bis integrino una  «forma
apparente» di esercizio del potere conferito alla  regione  dall'art.
2-bis. 
    16.3.  D'altro  canto,  proprio   la   possibile   questione   di
legittimita' costituzionale ipotizzabile a  parere  del  Collegio  in
riferimento allo stesso art. 2-bis, conduce pure nella  direzione  di
escludere  la  soluzione  della  interpretazione   costituzionalmente
orientata dello stesso articolo, sostenuta dal Fallimento. 
    17. Il profilo della compatibilita' costituzionale  del  suddetto
art. 2-bis, rispetto alla competenza  concorrente  delle  regioni  in
materia   di   «governo   del   territorio»   in   riferimento   alla
regolamentazione delle aree standards. 
    Ritiene il Collegio che sia percorribile la tesi secondo  cui  la
nuova disposizione  statale  introdotta  nel  2013,  intervenendo  in
materia di  competenza  concorrente  senza  porre  alcun  confine  di
principio al potere di deroga attribuito a tutte le regioni  rispetto
alle  preesistenti  norme  statali,  senza  assolvere  alla  funzione
propria attribuita dalla Costituzione allo  Stato  di  individuare  i
principi, cosi' rendendo certamente possibili legislazioni  regionali
molto diverse tra di  loro,  contrasterebbe  con  l'art.  117,  terzo
comma, della Costituzione. 
    17.1.  Inoltre,  andrebbe  esplorato  anche  un  altro  possibile
profilo  di  legittimita'  costituzionale,  rispetto  all'art.   117,
secondo comma della Costituzione attinente alle materie di competenza
esclusiva dello Stato. 
    Si tratta di valori costituzionali che,  come  evidenziato  anche
dal   Fallimento   nella   prospettazione    della    questione    di
costituzionalita', sono oramai strettamente  correlati  alla  materia
del  «governo  del  territorio»,  quali  la  materia  attinente  alla
«determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni  concernenti
i diritti civili e sociali» [117, secondo comma, lettera m)],  quella
della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei  beni  culturali»
[art. 117, secondo comma, lettera s)], nonche' il diritto di  impresa
e il diritto di proprieta' (articoli 41  e  42  della  Costituzione).
Correlazione tanto piu' evidente  negli  anni  Duemila,  come  si  e'
sviluppata nel corso  del  tempo  nella  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale ed eurounitaria, rispetto  ad  epoche  ormai  lontane,
quali gli anni Quaranta e Sessanta del secolo scorso ai quali  risale
la legislazione nazionale di principio di nostro interesse». 
    2.2.  Inoltre,  a  delimitare  la   questione   di   legittimita'
costituzionale ai fini della  disamina  della  sua  rilevanza  e  non
manifesta infondatezza, si richiama un altro paragrafo della sentenza
non definitiva  nel  quale  si  e'  rilevato  che:  «13.  L'esistenza
nell'ordinamento statale dell'art. 2-bis cit.,  oltre  che  dell'art.
41-quinquies, legge n. 1150 del 1942 e del decreto  ministeriale  del
1968,  pone  all'attenzione  del  Collegio  il  preliminare   profilo
dell'interpretazione del suddetto art. 2-bis all'interno del  sistema
dei principi vincolanti per la  legislazione  regionale,  individuati
dall'art. 41-quinquies, commi 8 e 9, della legge n.  1150  del  1942,
come specificati dal decreto  ministeriale  del  1968,  e  della  sua
compatibilita' costituzionale rispetto  alla  competenza  concorrente
delle regioni in materia di «governo del territorio»,  posto  che  se
fosse ipotizzabile la non manifesta infondatezza della  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis per violazione  dell'art.
117, terzo e secondo comma, la stessa sarebbe logicamente preliminare
alla illegittimita' prospettata dal Fallimento  rispetto  alle  norme
regionali, venendo meno - nel caso di  ipotetico  accoglimento  -  la
base normativa statale che consente di emanare disposizioni regionali
derogatorie ai principi gia' presenti nella legislazione statale. 
    13.1. Preliminarmente, deve precisarsi che dalla  fattispecie  in
esame derivano i confini della rilevanza della possibile questione di
costituzionalita', dovendosi escludere ogni  profilo  attinente  alle
deroghe in materia di limiti di distanze tra fabbricati, sui quali la
Corte costituzionale e' piu' volte intervenuta. 
    La fattispecie in esame e' incentrata, infatti, unicamente  sulle
possibili deroghe, da parte della legislazione regionale, al  decreto
ministeriale del  1968  in  materia  di  «spazi  da  destinare   agli
insediamenti residenziali, a quelli produttivi,  a  quelli  riservati
alle attivita' collettive, al verde e ai parcheggi»,  e  dunque  agli
standards, «nell'ambito della definizione o  revisione  di  strumenti
urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o
di specifiche aree territoriali». Materia che,  a  prescindere  dalla
mancata ricomprensione nel  titolo  dell'articolo,  e'  indubbiamente
disciplinata dall'art. 2-bis». 
    3. A seguito della sentenza non definitiva e della  richiesta  di
interlocuzione    sui    possibili    profili    di    compatibilita'
costituzionale, le parti hanno depositato memorie, rispettivamente il
Fallimento in data 16 luglio 2021 e il Comune di Villasanta  in  data
19 luglio 2021. 
    3.1. Entrambe le  parti  hanno,  quindi,  depositato  istanze  di
passaggio in decisione senza discussione della causa. 
    4. Alla pubblica udienza del 28 ottobre 2021 la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    5. Delimitato dunque il thema decidendum ai profili di  rilevanza
e di non  manifesta  infondatezza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art.  2-bis  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001 e dell'art. 103 della legge  regionale  n.
12 del 2005 della Regione Lombardia  sopra  individuate,  la  Sezione
ritiene di dover sottoporre alla Corte costituzionale la questione di
legittimita' costituzionale della precitata norma statale, e  in  via
consequenziale della norma regionale. 
    Sulla rilevanza  della  questione  relativa  all'art.  2-bis  del
decreto del Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001  e,  in
particolare, al suo comma 1, con i quali e' consentita  la  deroga  a
livello regionale dei parametri di cui  al  decreto  ministeriale  n.
1444/1968. 
    6.  La  questione  di   legittimita'   costituzionale   sollevata
dall'appellante riposa sul presupposto per cui l'art. 2-bis,  decreto
del Presidente della Repubblica cit.  autorizzerebbe  le  regioni  ad
emanare una legislazione derogatoria rispetto al decreto ministeriale
n. 1444 del 1968 in materia di dotazione delle aree a standard fino a
poter arrivare ad annullarne la previsione, in  violazione  dell'art.
117,  secondo   comma,   lettera   m),   della   Costituzione   sulla
determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i
diritti civili e sociali che devono  essere  garantiti  su  tutto  il
territorio nazionale. 
    6.1. Ad avviso della Sezione la questione,  nel  caso  in  esame,
presenta   il   requisito   della    rilevanza    come    argomentato
dall'appellante principale. 
    Infatti, diversamente da quanto in contrario eccepito dal  Comune
di Villasanta, le disposizioni regionali applicate al caso  in  esame
hanno consentito, proprio in applicazione dell'art. 2-bis del decreto
del Presidente della Repubblica n.  380  del  2001,  di  adottare  la
disciplina urbanistica applicabile  al  contesto  di  proprieta'  del
Fallimento  con  un  sovradimensionamento  degli  standards  per   la
destinazione produttiva attribuita al comparto al di sopra di  quanto
previsto dall'art. 5 dello stesso decreto ministeriale 
    Il citato decreto ministeriale e' parzialmente disapplicato nella
Regione Lombardia sulla base dell'art. 103, comma 1-bis, lettera  a),
della legge regionale n. 12  del  2005,  per  cui  la  materia  degli
standards e' interamente disciplinata, in ambito regionale, dall'art.
9 che prevede limiti minimi  e  non  massimi  soltanto  per  le  zone
residenziali e lascia alla programmazione urbanistica  di  competenza
comunale la scelta della previsione di limiti minimi  e  massimi  per
tutte le altre destinazioni. Pertanto -  cio'  che  rileva  sotto  il
profilo  della  rilevanza   -   in   caso   di   declaratoria   della
incostituzionalita' dell'art. 2-bis del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001 verrebbe  a  mancare  il  presupposto  sul
quale poggia la disposizione regionale (a sua volta  incostituzionale
in  via  derivata)  e  sarebbe  di  nuovo  applicabile   il   decreto
ministeriale n. 1444 del 1968 con  i  limiti  ivi  indicati  per  gli
standards. 
    La questione di costituzionalita' dell'art. 2-bis appare, quindi,
rilevante per la definizione del giudizio  poiche'  in  caso  di  suo
annullamento verrebbe meno  il  presupposto  sul  quale  poggiano  le
disposizioni del PGT comunale oggetto del contenzioso. 
    Non puo', d'altro canto, trovare spazio l'argomento  del  comune,
secondo cui la questione  di  costituzionalita'  sarebbe  irrilevante
poiche' il decreto ministeriale n. 1444 del  1968  non  fissa  limiti
massimi per la dotazione di standards ma solo limiti minimi, per cui,
nel caso in esame, venendosi in tema  di  sovradimensionamento  degli
standards,  non  vi  sarebbe  una  violazione   bensi'   una   deroga
generalizzata autorizzata ai sensi dell'art. 2-bis. 
    La tesi teste' esposta conduce, infatti, alla impossibilita'  per
il giudice di sindacare, in base ai  parametri  di  legittimita',  di
ragionevolezza  e   di   proporzionalita',   le   scelte   effettuate
dall'Amministrazione nell'ambito  della  pianificazione  urbanistica,
essendo venuto meno, per il tramite del meccanismo di deroga  di  cui
all'art.  2-bis,  anche  il  limite  minimo  nella  fissazione  degli
standard. 
    Nel caso in esame la questione di costituzionalita'  e'  pertanto
rilevante poiche' l'appellante e' stato sottoposto ad una cessione di
aree a standard sulla base delle norme del PGT che  trovano  la  loro
fonte legittimante nella legge regionale, a sua volta «autorizzata» a
stabilire deroghe dall'art. 2-bis del decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 380 del 2001. Sulla non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-bis del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001. 
    7. Tanto premesso, va innanzi tutto esaminata la possibilita'  di
una lettura costituzionalmente orientata della norma statale, tale da
far venir meno il dovere di rimessione  della  questione  alla  Corte
costituzionale. 
    Una  prima  possibile  interpretazione  del   genere   e'   stata
adombrata, in termini dubitativi  e  da  definirsi  a  seguito  della
interlocuzione delle parti, nella stessa precedente sentenza parziale
(§§ 16 e 16.1), laddove si sottolinea come, in ogni caso,  le  regole
cogenti del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 si riespanderebbero
in caso di mancato esercizio da parte delle regioni della facolta' di
deroga riconosciuta dall'art. 2-bis; una seconda  e'  ipotizzata  dal
comune, il quale prospetta la possibilita' di interpretare  la  norma
nel senso di far salvi in ogni caso i limiti  inderogabili  stabiliti
dal decreto ministeriale (pag. 5 della memoria del 12 luglio 2021). 
    Tuttavia, di queste due letture la prima  non  e'  idonea  a  far
venir  meno  la   possibile   illegittimita'   costituzionale   della
disposizione: il fatto che  la  «cedevolezza»  delle  previsioni  del
decreto ministeriale sia solo  potenziale,  dipendendo  dal  concreto
esercizio da parte delle regioni della facolta'  di  deroga,  non  fa
venir meno il vulnus a quella che dovrebbe essere, in thesi, la  loro
inderogabilita' da parte del legislatore regionale. 
    Quanto alla seconda ipotesi, questa si risolve -  in  sostanza  -
nel  far  dire  alla  norma  regionale   qualcosa   che   la   stessa
espressamente  non   afferma,   sulla   base   di   un'argomentazione
ermeneutica «additiva» che non trova aggancio nel dato testuale. 
    Peraltro, malgrado un dubbio interpretativo  possa  forse  essere
ingenerato  dal  successivo  comma  1-bis  dell'articolo  in   esame,
introdotto dal piu' recente decreto-legge  18  aprile  2019,  n.  32,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14  giugno  2019,  n.  55,
secondo cui le disposizioni del comma l «sono finalizzate a orientare
i comuni nella definizione di limiti di densita' edilizia, altezza  e
distanza dei fabbricati negli ambiti urbani consolidati  del  proprio
territorio», il tenore testuale del comma  1  rimane  inequivoco  nel
ricollegare il potere di deroga al decreto ministeriale n.  1444/1968
alla possibilita' riconosciuta alle regioni e alle province  autonome
di «dettare disposizioni sugli spazi da destinare  agli  insediamenti
residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle  attivita'
collettive, al verde e ai parcheggi, nell'ambito della definizione  o
revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a  un  assetto
complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali». 
    Pertanto, nonostante il quanto mai infelice e poco perspicuo dato
testuale, non sembra dubitabile che la finalita' della previsione sia
quella di autorizzare una  deroga  a  tutti  i  parametri  e  criteri
contenuti nel decreto ministeriale n. 1444/1968, e non solo a  taluni
di essi (cio' che  peraltro  e'  confermato  dai  plurimi  interventi
legislativi, come quello qui all'attenzione, con cui  le  regioni  si
sono avvalse di tale facolta'). 
    8.  Ritenuta   impraticabile   la   via   della   interpretazione
costituzionalmente orientata, la Sezione  osserva  che  la  questione
assume rilevanza in relazione alla possibile violazione dei parametri
costituzionali di cui  agli  articoli  3  e  117,  terzo  comma,  con
riferimento alla lesione  della  competenza  statale  concorrente  in
materia di «governo del  territorio»,  nonche'  rispetto  al  secondo
comma del  medesimo  art.  117,  lettere  m)  ed  s)  (lesione  della
competenza  esclusiva  statale  in  materia  di  «determinazione  dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti  civili  e
sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale»
e di «tutela dell'ambiente»). 
    Sul possibile contrasto con gli articoli 3 e  117,  terzo  comma,
della Costituzione. 
    9. Con  riguardo  al  primo  profilo  oggetto  di  scrutinio,  va
preliminarmente rilevato che - come gia' precisato nella sentenza non
definitiva emessa da questa stessa sezione (§ 13.1.: «Preliminarmente
deve precisarsi che dalla fattispecie in  esame  derivano  i  confini
della  rilevanza  della  possibile  questione  di  costituzionalita',
dovendosi escludere ogni profilo attinente alle deroghe in materia di
limiti di distanze tra fabbricati, sui quali la Corte e'  piu'  volte
intervenuta.  la  fattispecie  in  esame  e'   incentrata,   infatti,
unicamente sulle  possibili  deroghe,  da  parte  della  legislazione
regionale, al decreto ministeriale del 1968 in materia di  «spazi  da
destinare agli insediamenti  residenziali,  a  quelli riservati  alle
attivita'  collettive  ai  parcheggi»  e   dunque   agli   standards,
«nell'ambito delle definizione  revisione  di  strumenti  urbanistici
comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario di specifiche
aree territoriali») - non vi e' alcuna analogia  della  questione  in
esame rispetto a quelle esaminate dalla  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale (in particolare sent.  n.  13  del  7  febbraio  2020)
relative alle norme del medesimo decreto ministeriale n. 1444/1968 in
materia di distanze (articoli 9 e 10). 
    Tali ultime norme sono state  ritenute  dalla  Corte  in  via  di
principio inderogabili da  parte  della  legislazione  regionale,  in
quanto afferenti alla  materia  dell'ordinamento  civile  (art.  117,
secondo comma, lettera l), della Costituzione), mentre lo stesso  non
si puo' dire per le altre norme  contenute  nel  citato  decreto,  le
quali prima facie attengono  unicamente  alla  materia  «governo  del
territorio», oggetto di competenza concorrente  ai  sensi  del  terzo
comma del medesimo  art.  117  della  Costituzione:  cio'  impone  di
individuare le norme  di  principio  della  legislazione  statale  in
subiecta  materia,  le  quali  segnano  il  limite  della  competenza
legislativa regionale. 
    9.1. Per quanto qui interessa,  puo'  ipotizzarsi  che  la  norma
statale  di  principio  sia  da  rivenirsi  nel  gia'   citato   art.
41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, introdotto dalla legge  n.
765 del 1967, il quale - come e'  noto  -  costituisce  la  fonte  di
derivazione del decreto ministeriale n. 1444 del 1968, imponendo agli
strumenti urbanistici generali il  rispetto  di  parametri  e  limiti
definiti espressamente «inderogabili». 
    9.2. Orbene, ad avviso della sezione e  contrariamente  a  quanto
sostenuto in giudizio dal Comune di Villasanta, non puo' ritenersi  -
neanche a seguito della  riforma  del  titolo  V  della  Costituzione
attuata  con  la  legge  costituzionale  n.  3/2001  -  che  ad  oggi
inderogabile da  parte  della  legislazione  regionale  sia  soltanto
l'ottavo comma del  predetto  art.  (il  quale,  appunto,  stabilisce
l'obbligo che gli strumenti urbanistici generali stabiliscano «limiti
inderogabili di densita' edilizia, di  altezza,  di  distanza  tra  i
fabbricati,  nonche'  rapporti  massimi  tra  spazi  destinati   agli
insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici  o  riservati
alle attivita' collettive, a verde pubblico o  a  parcheggi»)  e  non
anche il successivo nono comma, che demanda  a  un  apposito  decreto
ministeriale la fissazione dei predetti limiti e rapporti; cio', alla
luce della giurisprudenza costituzionale dianzi richiamata,  dovrebbe
portare alla bizzarra conclusione che il comma da ultimo citato sia -
in realta' - derogabile da parte delle regioni non sempre e comunque,
ma solo per la parte relativa ai  «rapporti»,  dal  momento  che  per
quella relativa ai «limiti» (di densita', altezza, distanza) e'  gia'
pacifico che non lo e', attesa la  acclarata  riconducibilita'  delle
norme del decreto ministeriale n. 1444 del 1968 in tema di  distanze,
altezze  etc.  alla  materia  «ordinamento   civile»   di   esclusiva
competenza statale (cfr.  Corte  costituzionale,  sent.  n.  13/2020,
cit.). 
    9.3. Puo' dunque ritenersi, posto che nella materia  del  governo
del territorio le leggi regionali  debbano  rispettare  le  norme  di
principio della legislazione statale, che  il  nono  comma  dell'art.
41-quinquies della legge  n.  1150/1942  esprima  l'esigenza  che  le
dotazioni di spazi pubblici, infrastrutture, servizi etc.  rispondano
a criteri di definizione omogenei su tutto il  territorio  nazionale,
non  essendo  costituzionalmente  ammissibile  che  possano   esservi
discrasie anche vistose tra regione e regione, in virtu' dei  diversi
rapporti  e  parametri  liberamente   individuabili   dalle   diverse
legislazioni regionali. 
    Tale pero' sembra essere il risultato dell'applicazione dell'art.
2-bis del decreto del Presidente della Repubblica n.  380/2001,  come
inserito dal decreto-legge 21 giugno 2013,  n.  69,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  9  agosto  2013,  n.  98,   il   quale,
autorizzando le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano
a  «prevedere,  con  proprie  leggi   e   regolamenti,   disposizioni
derogatorie al decreto del Ministro  dei  lavori  pubblici  2  aprile
1968, n. 1444», produce l'effetto  di  «neutralizzare»  il  carattere
cogente delle anzi dette disposizioni  dell'art.  41-quinquies  della
legge  n.  1150/1942  e  delle  disposizioni  regolamentari  che   ne
discendono. 
    9.4. Tuttavia, anche a voler ritenere che con la novella del 2013
al t.u. dell'edilizia il legislatore statale abbia inteso  perseguire
una deliberata ratio di abrogazione implicita dei commi ottavo e nono
dell'art. 41-quinquies della  legge  n.  1150/1942,  tale  operazione
appare di dubbia compatibilita' con il  quadro  costituzionale  sopra
delineato, in quanto si risolve in una sostanziale abdicazione  dalla
fissazione di parametri e criteri generali, cui pure  il  legislatore
statale sarebbe chiamato in materia  di  competenza  concorrente,  in
modo da consentire a ciascuna regione di dettare  regole  autonome  e
disomogenee in materia di dimensionamento delle aree  a  destinazione
residenziale, degli spazi pubblici, delle infrastrutture,  del  verde
pubblico etc. 
    Cio' peraltro comporta effetti discriminatori, rilevanti sotto il
profilo della violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella misura
in cui, obliterando l'esigenza di fissazione di  criteri  omogenei  e
uniformi a suo tempo espressa  dai  commi  ottavo  e  nono  dell'art.
41-quinquies della legge  n.  1150/1942,  finisce  per  incidere  sul
regime proprietario dei suoli, che - come  puntualmente  dedotto  dal
Fallimento   nel   presente   giudizio   -   risulta   potenzialmente
assoggettato  a  regole  differenti  nelle  diverse  regioni  pur  in
relazione ad aree  avente  identica  destinazione  urbanistica  e  ad
interventi edilizi rientranti nella medesima tipologia. Sul possibile
contrasto con l'art. 117, comma secondo,  lettere  m)  ed  s),  della
Costituzione. 
    10. Sotto diverso profilo, la disposizione di cui al comma 1  del
ricordato art. 2-bis, decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001 interseca le competenze statali esclusive  di  cui  all'art.
117,  comma  secondo,  lettere  m)   («determinazione   dei   livelli
essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili  e  sociali
che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionali») ed  s)
(«tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali»)  della
Costituzione. 
    10.1.   Quanto   al    primo    aspetto,    anche    prescindendo
dall'orientamento giurisprudenziale che, anteriormente  alla  entrata
in vigore dell'art. 2-bis, sosteneva che le disposizioni del  decreto
ministeriale n. 1444 del 1968 fossero sempre e comunque  cogenti  nei
confronti dei pianificatori comunali, il piu' volte citato nono comma
dell'art. 41-quinquies, legge n.  1150/1942  rileva  anche  sotto  il
profilo  della  necessita'  di  assicurare  una   quota   minima   di
infrastrutture  e  aree  per  servizi  pubblici  che  sia  la  stessa
sull'intero territorio nazionale. 
    In definitiva, pur in  un  quadro  costituzionale  e  legislativo
caratterizzato  dai  principi  di  sussidiarieta'  verticale   e   di
prossimita'  territoriale,  in  ragione  dei  quali  la   regolazione
dell'assetto del territorio  e'  rimessa  quanto  piu'  possibile  ai
livelli di governo piu' vicini alle comunita'  di  riferimento,  deve
ritenersi che  la  determinazione  delle  dotazioni  infrastrutturali
pubbliche o di interesse  generale  resti  riservata  al  legislatore
statale, in quanto  ragionevolmente  riconducibile  all'ambito  delle
prestazioni  concernenti  diritti   civili   e   sociali;   in   tale
prospettiva, al legislatore statale spetta non soltanto individuare i
principi fondamentali della materia, sibbene fissare i livelli minimi
delle predette prestazioni, rispetto ai quali le normative  regionali
potrebbero intervenire esclusivamente in senso «rafforzativo». 
    Cio'  peraltro  non  comporta  la  totale   obliterazione   delle
competenze  legislative   regionali,   atteso   che   altro   e'   la
determinazione   di   livelli   essenziali   (minimi),    altro    la
regolamentazione, tanto  in  termini  quantitativi  che  qualitativi,
delle dotazioni di standard, rispetto alla quale ultima -  una  volta
garantito il rispetto della normativa statale vigente - la competenza
regionale  (che  dovrebbe  comunque  ritenersi,   ratione   materiae,
comunque di tipo concorrente) potrebbe tornare in gioco. 
    10.2. Sotto il secondo dei profili dianzi indicati, gia' da tempo
la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha evidenziato come il
potere di pianificazione, specie alla luce delle  scelte  legislative
piu' recenti,  non  possa  dirsi  limitato  all'individuazione  delle
destinazioni delle zone del territorio comunale,  e  in  specie  alle
potenzialita' edificatorie delle stesse e ai  limiti  che  incontrano
tali potenzialita', dovendo invece essere inteso in relazione  ad  un
concetto di urbanistica che non sia  limitato  solo  alla  disciplina
coordinata della edificazione dei suoli (e, al massimo,  ai  tipi  di
edilizia, distinti per finalita'), ma che, per mezzo della disciplina
dell'utilizzo delle aree, realizzi anche finalita'  economico-sociali
della comunita' locale,  non  in  contrasto  ma,  anzi,  in  armonico
rapporto con analoghi  interessi  di  altre  comunita'  territoriali,
regionali e dello Stato, in funzione di uno sviluppo  del  territorio
che si svolga nel quadro del rispetto  e  dell'attuazione  di  valori
costituzionalmente tutelati (cfr. ex plurimis Cons. Stato,  sez.  II,
14 novembre 2019, n. 7839; id., sez. IV, 21 dicembre 2012, n. 6656). 
    Tale impostazione e' stata nella sostanza condivisa  anche  dalla
giurisprudenza costituzionale, la quale, dopo la riforma del titolo V
della Costituzione, ha  rilevato  che  la  nozione  di  «governo  del
territorio» ha un contenuto piu' ampio di  quella  di  «urbanistica»,
individuando in linea di principio tutto cio' che attiene all'uso del
territorio ed alla localizzazione di impianti o attivita' (cfr. Corte
costituzionale, sent.  7  ottobre  2003,  n.  307),  ed  ha  altresi'
precisato  che  la  relativa   disciplina,   pur   toccando   profili
tradizionalmente appartenenti all'urbanistica e all'edilizia, non  si
esaurisce in esse, riferendosi piuttosto all'insieme delle norme  che
consentono di identificare e graduare gli interessi in base ai  quali
possono essere regolati gli  usi  ammissibili  del  territorio  (cfr.
Corte costituzionale, sentt. 14 ottobre 2005, n.  383,  e  28  giugno
2004,  n.  196).  Ne  discende,  in  relazione  al  rapporto  tra  le
competenze concorrenti in subiecta materia e  la  competenza  statale
esclusiva in materia di tutela dell'ambiente  ex  art.  117,  secondo
comma, lettera s), della  Costituzione,  che  quest'ultima  segna  un
limite negativo alle discipline che le regioni possono introdurre  in
altre materie di propria competenza,  salva  la  facolta'  di  queste
ultime di adottare livelli di tutela ambientale  piu'  elevati  (cfr.
Corte  costituzionale,  sent.  n.  22  luglio  2021,  n.  164,  e  in
precedenza sentt. 23 luglio 2009, n. 235, 18 aprile 2008, n. 104, e 7
novembre 2007, n. 367). 
    Alla stregua dei consolidati orientamenti che si sono richiamati,
anche laddove si  sia  in  presenza  di  una  legislazione  regionale
esclusivamente indirizzata a introdurre una disciplina in materia  di
pianificazione  urbanistica,  e  che  tuttavia   intercetti   aspetti
«sensibili» sotto il profilo della vivibilita' del  territorio  quali
sono quelli afferenti alla dotazione di infrastrutture e servizi  per
la collettivita', non  puo'  non  venire  in  rilievo  la  competenza
esclusiva statale de qua  con  la  correlativa  possibilita'  per  le
regioni di intervenire in deroga solo in senso «migliorativo». 
Sulla consequenziale  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  103,
comma 1-bis, della legge regionale della Lombardia n. 12/2005. 
    11. La prospettata illegittimita' costituzionale dell'art. 2-bis,
comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001, per
le ragioni teste' evidenziate, comporterebbe il venir meno della base
normativa delle disposizioni regionali  con  cui,  in  attuazione  di
quanto stabilito  nella  norma  statale,  sia  stata  introdotta  una
disciplina degli standard urbanistici potenzialmente derogatoria  dei
limiti «inderogabili» di cui al  decreto  ministeriale  n.  1444  del
1968, e' fra queste, per quanto qui interessa, dell'art.  103,  comma
1-bis, della legge regionale della Lombardia n. 12 del 2005. 
    Sotto quest'ultimo profilo non ha pregio l'argomento,  articolato
dal  comune  nella  memoria  del  12  luglio  2021,  secondo  cui  la
disposizione in questione non opererebbe a regime,  riguardando  solo
l'adeguamento  degli  strumenti  urbanistici   vigenti   alle   nuove
disposizioni introdotte dalla stessa legge regionale n. 12 del  2005:
infatti, ai fini che qui interessano, rileva soltanto  il  fatto  che
per  effetto  di  essa  possano  trovare  ingresso   nell'ordinamento
prescrizioni  urbanistiche,  comunque  destinate  a  valere  a  tempo
indefinito, elaborate nella  totale  disapplicazione  dei  criteri  e
parametri di cui al ricordato decreto ministeriale n. 1444 del 1968. 
    Pertanto,  la  disposizione  andrebbe  a  sua  volta   dichiarata
incostituzionale in via consequenziale in applicazione  dell'art.  27
della  legge  11  marzo  1953,  n.   87,   secondo   cui   la   Corte
costituzionale, allorche' dichiara illegittime  le  disposizioni  che
formano direttamente  oggetto  dell'incidente  di  costituzionalita',
«dichiara altresi', quali sono le altre disposizioni legislative,  la
cui illegittimita' deriva come conseguenza dalla decisione adottata». 
Conclusioni 
    12. Alla stregua dei rilievi fin qui svolti, devono quindi essere
dichiarate rilevanti e  non  manifestamente  infondate  le  descritte
questioni di legittimita' costituzionale: 
        i) dell'art. 2-bis, comma 1, del decreto del Presidente della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
20 ottobre 2001, n. 245, Supplemento ordinario), come introdotto  dal
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
20 agosto 2013, n. 194, Supplemento ordinario), per violazione  degli
articoli 3 e 117, secondo comma, della Costituzione; 
        ii) dell'art. 2-bis, comma  1,  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 6 giugno 2001, n.  380  (pubblicato  nella  Gazzetta
Ufficiale 20 ottobre  2001,  n.  245,  Supplemento  ordinario),  come
introdotto dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013,  n.  98  (pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale 20 agosto 2013, n.  194,  Supplemento  ordinario),
per violazione dell'art. 117, terzo comma, lettere m)  ed  s),  della
Costituzione; 
        iii) in via consequenziale, dell'art. 103, comma 1-bis, della
legge  regionale  della  Regione  Lombardia  11  marzo  2005,  n.  12
(pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia 16 marzo
2005), come introdotto dalla legge regionale  14  marzo  2008,  n.  4
(pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia 17 marzo
2008, n. 12), e successivamente modificato dalla legge  regionale  26
novembre 2019, n.  18  (pubblicata  nel  Bollettino  Ufficiale  della
Regione Lombardia 29 novembre 2019, n. 48), per violazione  dell'art.
117,  secondo  comma,  lettere  m)  ed  s),  e  terzo  comma,   della
Costituzione. 
    Il presente giudizio va quindi  sospeso  con  trasmissione  degli
atti alla Corte costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale  (Sezione  quarta),
visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara  rilevanti
e  non  manifestamente  infondate  le   questioni   di   legittimita'
costituzionale relative: 
        all'art. 2-bis, comma 1, del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
20 ottobre 2001, n. 245, Supplemento ordinario), come introdotto  dal
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
20 agosto 2013, n. 194, Supplemento ordinario), per violazione  degli
articoli 3 e 117, terzo comma, della Costituzione; 
        all'art. 2-bis, comma 1, del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
20 ottobre 2001, n. 245, Supplemento ordinario), come introdotto  dal
decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
20 agosto  2013,  n.  194,  Supplemento  ordinario),  per  violazione
dell'art. 117, terzo comma, lettere m) ed s), della Costituzione; 
        in via consequenziale, all'art. 103, comma 1-bis, della legge
regionale della Regione Lombardia 11 marzo 2005,  n.  12  (pubblicata
nel Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia 16 marzo 2005), come
introdotto dalla legge regionale 14 marzo 2008, n. 4 (pubblicata  nel
Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia 17 marzo 2008, n. 12), e
successivamente modificato dalla legge regionale 26 novembre 2019, n.
18 (pubblicata nel Bollettino Ufficiale della  Regione  Lombardia  29
novembre 2019, n. 48), per violazione dell'art. 117,  secondo  comma,
lettere m) ed s), e terzo comma, della Costituzione. 
    Sospende il giudizio e dispone la trasmissione  degli  atti  alla
Corte  costituzionale.  Dispone  che  la   presente   ordinanza   sia
notificata alle parti e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica e al Presidente del  Consiglio
regionale della Regione Lombardia. 
    Manda alla Segreteria per gli adempimenti di competenza. 
    Cosi' deciso, in Roma, nella Camera di consiglio  del  giorno  28
ottobre 2021 con l'intervento dei magistrati: 
        Raffaele Greco, Presidente 
        Luca Lamberti, Consigliere 
        Francesco Gambato Spisani, Consigliere; 
        Alessandro Verrico, Consigliere; 
        Emanuela Loria, Consigliere, estensore. 
 
                        Il Presidente: Greco 
 
 
                         L'estensore: Loria