N. 33 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 gennaio 2022
Ordinanza del 17 gennaio 2022 della Corte di cassazione - Sezione Lavoro nel procedimento civile promosso dal Ministero della Salute contro C. F. e C. C.A., nella qualita' di genitori della minore C. F.. Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie - Mancata previsione che l'effetto di decadenza conseguente alla presentazione della domanda oltre il triennio, decorrente dal momento in cui l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno, sia limitato ai ratei relativi al periodo antecedente al suddetto periodo triennale con i conseguenti effetti riduttivi anche sulla misura una tantum prevista. - Legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati), art. 3, comma 1.(GU n.15 del 13-4-2022 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Sezione lavoro Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: dott. Umberto Berrino - Presidente; dott. Rossana Mancino - consigliere; dott. Gabriella Marchese - consigliere; dott. Daniela Calafiore - rel. Consigliere; dott. Luigi Cavallaro - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 88-2016 proposto da: Ministero della Salute, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12 - ricorrente; contro C. F., C. C.A., nella loro qualita' di genitori esercenti la patria potesta' sulla figlia minore..., elettivamente domiciliati in Roma, via F. Denza n. 15, presso lo studio dell'avvocato Aniello Izzo, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato Armanda Lessini - controricorrenti; avverso la sentenza n. 432/2015 della Corte d'Appello di Milano, depositata il 9 ottobre 2015 - R.G.N. 444/2013; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14 dicembre 2021 dal Consigliere dott. Daniela Calafiore; il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Roberto Mucci visto l'art. 23, comma 8-bis del decreto-legge 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte. Rilevato in fatto che: con sentenza n. 432 del 2015, la Corte d'appello di Milano ha rigettato l'impugnazione proposta dal Ministero della Salute nei confronti di F. C. e... (genitori e legali rappresentanti della minore F. C.) avverso la sentenza di primo grado che aveva condannato il medesimo Ministero, in relazione alla somministrazione del vaccino trivalente (anti morbillo, parotite e rosolia) alla corresponsione dell'indennizzo previsto dalla legge per le patologie della prima categoria della tabella A allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 834 del 1981 a decorrere dal primo giorno del mese successivo a quello di presentazione della domanda, nonche' ad erogare l'ulteriore indennizzo previsto dalla legge n. 229 del 2005 (consistente in un assegno vitalizio di importo pari a sei volte l'importo percepito dal danneggiato ai sensi della legge n. 210 del 1992 e dell'importo aggiuntive una tantum corrispondente al 30% per ogni anno, dell'indennizzo dovuto ai sensi della legge n. 210 del 1992, per il periodo compreso il manifestarsi dell'evento dannoso e l'ottenimento del beneficio); la Corte territoriale, rigettando il motivo d'impugnazione relativo alla decadenza definitiva del diritto alle prestazioni, ha confermato la sentenza del Tribunale la quale aveva dato atto che in data 15 giugno 2012 il Ministero aveva riconosciuto il nesso causale tra il vaccino inoculato e la patologia indicata in ricorso e che la natura assistenziale dei diritto in questione ne determinava l'imprescrittibilita' e la operativita' della decadenza limitatamente al triennio antecedente alla presentazione della domanda; conseguentemente, aveva riconosciuto il diritto a decorrere dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda e cioe' dal 1° luglio 2010; avverso tale sentenza ricorre per cassazione il Ministero della Salute sulla base di un motivo; resistono, con contro-ricorso, F. C. e C. n.q, che hanno depositato memoria ai sensi dell'art. 378 del codice di procedura civile; il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte ai sensi dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 137 del 2020 convertito in legge n. 176 del 2020; Considerato in diritto che: con l'unico motivo di ricorso, il Ministero della Salute lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992 in quanto la sentenza impugnata non aveva tenuto conto del fatto che la domanda di indennizzo era stata presentata tardivamente rispetto al termine perentorio di tre anni previsto dalla citata disposizione, decorrente dal momento in cui gli interessati acquisiscono conoscenza del danno e del nesso di causalita' intercorrente tra la vaccinazione ed il danno; in particolare, deduce il ricorrente, la somministrazione del vaccino era avvenuta il... ed a distanza di undici giorni, la bambina aveva mostrato disturbi della deambulazione con disequilibrio e perdita delle forze dell'arto inferiore e superiore sinistro, accompagnata da sonnolenza, irritabilita', ridotto interesse per il contesto e regressione del linguaggio. Da tali sintomi, a seguito di ricovero e ripetuti esami, era derivata la diagnosi di encefalopatia post vaccina, come attestato dalla scheda di dimissioni del 5 luglio 2002 versata in atti; nel giugno del 2003, la Commissione per l'accertamento degli stati di invalidita' civile aveva accertato la totale invalidita' con la medesima diagnosi; da cio' il determinarsi della definitiva decadenza, in piena coerenza con quanto affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 342 del 2006 e dalla giurisprudenza di legittimita' (Cass. n. 7240 del 2014); va osservato, in via preliminare, che il Procuratore Generale ha rilevato l'inammissibilita' del motivo in quanto: 1) esso non riporta i termini della censura svolta dall'amministrazione in appello; 2) non si confronta con a motivazione addotta dalla Corte d'appello in punto di prescrittibilita' dei singoli ratei e non del diritto in se' considerato, ne' in punto di avvenuto riconoscimento del nesso causale nelle more del giudizio; 3) il medesimo motivo, sotto il velo della violazione di legge, introdurrebbe una questione di fatto non deducibile nel giudizio di legittimita' dal momento che si basa, in via apodittica, sulla diagnosi del 5 luglio 2002 quanto al momento di effettiva consapevolezza del danno subito e della sua derivazione causale da vaccino; tali obiezioni non colgono interamente nel segno, giacche' se e' vero che il motivo non si confronta pienamente con sentenza impugnata, la quale non ha disconosciuto l'operativita' del regime della decadenza previsto dall'art. 3, legge n. 210 del 1992 ma lo ha ritenuto riferibile al solo triennio precedente la domanda amministrativa, non vi e' dubbio che il ricorso miri alla cassazione della sentenza sulla base dei medesimi dati di fatto accertati nel giudizio di merito ed in quanto si affermi la decadenza tout court del diritto all'indennizzo; si tratta cioe' di un effetto di integrale decadenza, fondato sulla incontestata situazione emersa in fatto relativa cita certezza sin dal 5 luglio 2002 della diagnosi sulla origine vaccinale della encefalite, che contiene e supera l'ipotesi minore, la cd. decadenza «mobile», ritenuta dalla sentenza impugnata; quest'ultima forma di operativita' del meccanismo decadenziale e' stata applicata dai giudici del merito in ragione della sola natura assistenziale, sottesa a scopi di solidarieta' sociale, attribuibile all'indennizzo di cui alla legge n. 210 del 1992; semplicemente, cioe', facendo applicazione dei principi elaborati dalla Corte di cassazione a SS.UU. n. 10955 del 2002, resa in tema di prescrizione del diritto agli interessi sui ratei di prestazioni assistenziali e previdenziali corrisposti in ritardo, nel punto in cui si e' precisato che «[...] ferma restando l'imprescrittibilita' del diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale garantita dall'art. 38 della Costituzione in quanto connesso ad uno status del cittadino, si prescrivono (oppure da essi si puo' decadere), invece, i diritti esclusivamente patrimoniali, cioe' i singoli crediti periodicamente risorgenti (che maturano per ciascun mese o alla scadenza di un periodo piu' lungo), in quanto sono espressione del diritto alla prestazione e vengono denominati "ratei"». Il ricorso supera dunque, il vaglio di ammissibilita' e va deciso nel merito. Rilevanza della questione di costituzionalita' Ritiene questa Corte di cassazione che in punto di fatto sia ormai incontrovertibile, perche' pacifico tra le parti ed appurato dalla sentenza impugnata, che la piena consapevolezza del danno subito dalla minore e della sua derivazione causare dal vaccino tosse presente sin dal 5 luglio 2005, mentre la comanda amministrativa presentata il..., quando i tre anni previsti dall'art. 3, comma 1, legge n. 210 del 1992 erano certamente decorsi. Cio' premesso, va rilevato che la via interpretativa seguita dalla Corte d'appello non puo' essere condivisa innanzi tutto in ragione del tenore testuale della disposizione contenuta nel comma 1, dell'art. 3, legge n. 210 del 1992, nel testo vigente ed applicabile alla fattispecie concreta, secondo il quale «1. I soggetti interessati ad ottenere l'indennizzo di cui all'art. 1, comma 1, presentano alla USL competente le relative domande, indirizzate ai Ministro della sanita', entro il termine perentorio di tre anni nel caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali o di dieci anni nei casi di infezioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui, sulla base delle documentazioni di cui a commi 2 e 3, l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno. La USL provvede, entro novanta giorni dalla data di presentazione delle domande, all'istruttoria delle domande stesse e all'acquisizione del giudizio di cui all'art. 4, sulla base di direttive del Ministero della sanita', che garantiscono il diritto alla riservatezza anche mediante opportune modalita' organizzative». La disposizione non fa cenno alcuno ad un effetto decadenziale limitato a singole parti della prestazione economica oggetto del diritto e, dunque, come precisato da Corte costituzionale n. 118 del 2020, «l'univoco tenore della disposizione segna il confine in presenza del quale tentativo di interpretazione conforme deve cedere il passo al sindacato di legittimita' costituzionale (cosi', in particolare, sentenza n. 232 del 2013 e, piu' di recente, sentenze n. 221 del 2019, n. 83 e n. 82 del 2017)», restando quindi inibito al giudice l'intervento interpretativo costituzionalmente orientato. Neppure e' possibile operare in via analogica, essendo evidente la differenza quanto a presupposti costitutivi, funzione e specifica disciplina della decadenza (art. 47, decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970) esistente tra le prestazioni pensionistiche e l'indennizzo previsto dall'art. 1, legge n. 210 del 1992 e la decadenza di cui al citato art. 3 della stessa legge. Pertanto, applicando alla fattispecie concreta il disposto dell'art. 3, legge n. 210 del 1992, questa Corte dovrebbe ritenere la parte istante decaduta dal diritto ad ottenere l'indennizzo nella sua interezza, senza possibilita' di limitare la suddetta decadenza alle mensilita' maturate prima del triennio decorrente dalla presentazione della domanda. Non manifesta infondatezza Cio' premesso, va tuttavia riconosciuto che il confronto tra la disciplina della decadenza (disciplinata dall'art. 47, decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970 e successive modifiche e integrazioni) che il diritto vivente ha tracciato per i trattamenti pensionistici e l'effetto decadenziale connesso all'art. 3, comma 1, della legge n. 210 del 1992, doveroso in ragione del profondo radicamento costituzionale di entrambe le misure di protezione sociale, fa emergere dubbi sulla conformita' a Costituzione di tale ultima disposizione; va infatti rimarcato che e' vero che la giurisprudenza di questa Corte di legittimita' ha riconosciuto l'operativita' della cd. decadenza mobile (vd. da ultimo, rispetto alla gia' citata Cass. SS.UU. n. 10955 del 2002, la recente Cass. n. 17430 dei 2021) nella specifica ipotesi della decadenza dalle azioni giudiziarie volte ad ottenere la riliquidazione di una prestazione pensionistica parzialmente riconosciuta; in tale contesto si e' ritenuto che, in considerazione della natura della prestazione, la decadenza possa cadere solo sulle differenze dei ratei maturati precedentemente al triennio e non riguardo ad ogni differenza comunque dovuta per il titolo in relazione al quale e' richiesto l'adeguamento o il ricalcolo (decadenza cd. tombale); si e' considerato che pur dovendosi tener conto che l'istituto della decadenza persegua evidenti finalita' di certezza sulla sorte di diritti che comportano aggravio di spesa pubblica, anche nell'interesse della stabilita' dei conti pubblici, il fondamento costituzionale della prestazione pensionistica, che le conferisce il carattere della non prescrittibilita', impone di salvaguardare la medesima prestazione nel suo nucleo essenziale; la base normativa espressa e' stata individuata nell'art. 47, comma 6, decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970 che prevede che il decorso dei termini previsti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970, art. 47, commi 2 e 3, posti a pena di decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale, «determina l'estinzione del diritto ai ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale», precisando poi che in caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo i termini decorrono dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei; dal punto di vista applicativo, la giurisprudenza di legittimita' ha ritenuto di riferire il termine decadenziale ai singoli ratei (tra le tante, Cass. Sez. L, sentenza n. 13104 dell'8 settembre 2003; Sez. L, sentenza n. 152 del 9 gennaio 1999; Sez. L, sentenza n. 2364 del 7 febbraio 2004), in ragione della loro autonoma cadenza temporale e tale interpretazione si e' adottata anche a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 98 del 2011, art. 38, che ha modificato la disciplina del 1970, sia aggiungendo all'art. 47 un comma 6 secondo cui le decadenza si applica alle azioni giudiziarie avente oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito, sia aggiungendo dopo l'art. 47 un art. 47-bis, a norma del quale «si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorche' non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonche' delle prestazioni della gestione di cui alla legge 9 marzo 1988, n. 88, art. 24, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni»; l'interpretazione che limita ai ratei l'applicazione dei termini di prescrizione e decadenza anche nel caso di riliquidazioni e' in linea con i principi affermati in materia dalla Corte costituzionale, che ha sempre ritenuto il diritto a pensione come diritto fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile non sottoponibile a decadenza, in conformita' di principio costituzionalmente garantito che non puo' comportare deroghe legislative (tra le altre, Corte costituzionale 26 febbraio 2010, n. 71; 22 luglio 1999, n. 345; 15 luglio 1985, n. 203); questa Corte di cassazione ha espressamente riconosciuto che una diversa interpretazione (che applicasse la decadenza all'intera pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed interni al triennio precedente alla domanda giudiziale) sarebbe del resto incompatibile con la Costituzione tutte le volte in cui la misura della prestazione riconosciuta o pagata non salvaguardi il nucleo essenziale della prestazione, come nei caso che solo una parte esigua della prestazione sia riconosciuta e pagata dall'ente previdenziale. Per tali casi, ritenere il diritto alle differenze pensionistiche perduto per decadenza comporterebbe di fatto la vanificazione del diritto alla pensione, in netto contrasto con l'art. 38 della Costituzione; in definitiva, puo' certamente affermarsi che l'art. 38 della Costituzione impedisce alla legge ordinaria, mediante il meccanismo della decadenza, di attaccare il nucleo essenziale della prestazione pensionistica; per intangibilita' del diritto a pensione si sono peraltro pronunciate anche Corte costituzionale 26 febbraio 2010, n. 71, Corte costituzionale 22 luglio 1999, n. 345, che lo ha definito «fondamentale, irrinunciabile e imprescrittibile», e Corte costituzionale 15 luglio 1985, n. 203, secondo cui si' tratta di una «situazione finale (...) attinente alla sopravvivenza della persona»; le citate sentenze n. 203 del 1985 e n. 345 del 1999, avevano posto anche un limite a tali affermazioni, ammettendo che il diritto a pensione, pur coperto da garanzia costituzionale, possa essere dalla legge regolato e cosi' sottoposto a limite, sempre che questo sia compatibile con la funzione del diritto di cui si tratta e non si traduca comunque nella esclusione dell'effettiva possibilita' dell'esercizio in parola», legittimando le previsioni normative scrutinate, che ponevano dei termini e delle condizioni alla presentazione della domanda; la sentenza n. 71 del 2010, inoltre, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 504, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, osservando che «la norma censurata non contrasta, poi, con gli articoli 3 e 37 della Costituzione, in quanto non incide sull'an del diritto alla pensione, ma solo marginalmente sul quantum; laddove il mancato aumento del trattamento previdenziale goduto da chi, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 151 del 2001, gia' era in pensione, non vale a far considerare tale emolumento insufficiente ai fini della tutela imposta dalle norme costituzionali indicate»; il complesso normativa relativo all'indennizzo oggetto della presente controversia, compresa la specifica previsione della decadenza di cui all'art. 3, legge n. 210 del 1992, e' certamente, per struttura e per funzione, profondamente diverso dal sistema pensionistico e cio' non consente che si possa procedere ad una estensione analogica dei principi espressi dagli arresti giurisprudenziali appena descritti; tuttavia, e' innegabile che sia il diritto alle prestazioni pensionistiche previdenziali che quello all'indennizzo per cui e' causa siano prestazioni fondate sugli obblighi di solidarieta' sociale fissati dalla Costituzione; in particolare, quanto alla legge n. 210 del 1992, e' innegabile che la stessa si caratterizza per il suo fondamento costituzionale. Secondo certa dottrina, tale fondamento non discenderebbe dalla natura assistenziale (ai sensi dell'art. 38 della Costituzione) posto che, ricorrendone i presupposti, all'indennizzo si puo' accedere indipendentemente dalle condizioni economiche ed ammesso il cumulo di esso con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito; il fondamento costituzionale dell'istituto andrebbe ravvisato negli articoli 2 e 32 della Costituzione; cio', in sostanza, ha affermato anche la Corte Costituzionale con la sentenza n. 27 del 26 febbraio 1998, chiarendo che l'indennizzo «assume il significato di misura di solidarieta' sociale fondata negli articoli 2 e 32 della Costituzione, cui non necessariamente si accompagna una funzione assistenziale a norma dell'art. 38, primo comma, della Costituzione, essendo esso dovuto indipendentemente dalle condizioni economiche dell'avente diritto e non mirando di per se' agli scopi per i quali l'art. 38 stesso e' stato dettato...»; la sentenza della Corte Costituzionale n. 342 del 2006 ha pero' successivamente precisato che ‹[...] La menomazione della salute conseguente a trattamenti sanitari puo' determinare, oltre al risarcimento del danno secondo la previsione dell'art. 2043 del codice civile, il diritto ad un equo indennizzo in forza dell'art. 32 in collegamento con l'art. 2 della Costituzione, ove il danno, non derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell'adempimento di un obbligo legale; nonche' il diritto, qualora ne sussistano i presupposti a norma degli articoli 38 e 2 della Costituzione, a misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell'ambito della propria discrezionalita' (sentenze n. 226 del 2000 e n. 118 del 1996); invero, oltre all'analogo fondamento costituzionale, una certa assimilazione tra indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992 ed il trattamento pensionistico puo' ravvisarsi anche nella significativa estensione temporale periodica che caratterizza entrambe, le misure di protezione sociale; in particolare, va ricordato che l'art. 2 della legge 210 cit., dispone che «1. L'indennizzo di cui all'art. 1, comma 1, consiste in un assegno, reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall'art. 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L'indennizzo e' cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed e' rivalutato annualmente sulla base del tasso di inflazione programmato. 2. L'indennizzo di cui al comma 1 e' integrato da una somma corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato, ed ha decorrenza dal primo giorno del mese successivo a quello della presentazione della domanda ai sensi dell'art. 3. La predetta somma integrativa e' cumulabile con l'indennita' integrativa speciale o altra analoga indennita' collegata alla variazione del costo della vita. [...]»; si tratta, evidentemente, di una misura che tende ad attenuare, con sostegni distesi temporalmente e periodici, soprattutto nel caso di vaccini inoculati a bambini in tenera eta', le difficolta' di gestione dello stato patologico mediante la corresponsione di importi mensili nell'arco temporale di un quindicennio, con la conseguenza che l'operativita' di un effetto decadenziale unitario e definitivo che non prevede (come oggi impone il testo dell'art. 3, comma 1, legge n. 210 del 1992) la limitazione dell'effetto estintivo del diritto ai soli importi mensili maturati precedentemente al triennio dalla domanda (con i consequenziali effetti riduttivi sull'importo una tantum), realizza in concreto la piena frustrazione dello scopo dell'indennizzo e crea una vistosa ed irragionevole disparita' di trattamento tra i soggetti destinatari di tale misura ed i pensionati che, invece, possono contare sulla garanzia della misura della prestazione riconosciuta o pagata almeno per il nucleo essenziale della prestazione; la giurisprudenza della Corte costituzionale (sentenza n. 232/2018), del resto ha pure precisato che il diritto del disabile a «ricevere assistenza nell'ambito della sua comunita' di vita», inscindibilmente connesso con il diritto alla salute e a una integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli ostacoli suscettibili di impedire il pieno sviluppo della persona umana. Nella disciplina di sostegno alle famiglie che si prendono cura del disabile convergono non soltanto i valori della solidarieta' familiare, ma anche «un complesso di valori che attingono ai fondamentali motivi ispiratori del disegno costituzionale» e impongono l'interrelazione e l'integrazione «tra i precetti in cui quei valori trovano espressione e tutela», sicche', nell'apprestare le misure necessarie a rendere effettivo il godimento di tali diritti e a contemperare tutti gli interessi costituzionali rilevanti, la discrezionalita' del legislatore incontra un limite invalicabile nel «rispetto di un nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati»; ancora, a proposito dell'indennizzo per menomazioni da vaccinazione raccomandata, Corte costituzionale n. 268/2017, nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1, legge 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in cui non prevede il diritto all'indennizzo, istituito e regolato dalla medesima legge, anche nei confronti di coloro che si siano sottoposti a vaccinazione antinfluenzale, ha affermato che la ragione determinante del diritto all'indennizzo «risiede nelle esigenze di solidarieta' sociale che si impongono alla collettivita', laddove il singolo subisca conseguenze negative per la propria integrita' psico-fisica derivanti da un trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato) effettuato anche nell'interesse della collettivita'», rendendo «piu' serio e affidabile ogni programma sanitarie volto alla diffusione dei trattamenti vaccinali»; anche le sentenze della Corte costituzionale piu' recenti (vd. Corte costituzionale nn. 5 del 2018 e 118 del 2020) hanno ribadito il fondamento costituzionale dell'indennizzo de quo negli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione con il correlato obbligo dello Stato di farsi carico dell'obbligo indennitario; pare, dunque, non manifestamente infondato il dubbio sul rispetto dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 3, comma 1, legge n. 210 del 1992, posto che secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale (vedi, tra le altre, sentenze n. 89 del 1996, n. 5 del 2000 e n. 441 del 2000), al fine di stabilire se una disposizione sia tale da determinare una irragionevole differenziazione di situazioni meritevoli di eguale tutela, il relativo giudizio va incentrato sul «perche'» la legge operi, all'interno dell'ordinamento, quella specifica distinzione (ovvero, a seconda dei casi, quella specifica equiparazione), si' da trarne le dovute conclusioni circa il corretto uso del potere normativo; nel caso di specie, tale vaglio non pare conduca a risposte ragionevoli, giacche' non si comprende perche' la categoria dei percettori di pensione puo', per effetto della decadenza prevista dalla legge, al piu' vedere estinto il diritto a talune prestazioni periodiche relative al diritto a pensione, in se' imprescrittibile, mentre i destinatari dell'indennizzo di cui all'art. 1, legge n. 210 del 1992, certamente protetti dalla Costituzione in ragione del grave ed irreparabile vulnus subito a causa delle vaccinazioni e dei trattamenti previsti dalla medesima legge, debbano vedersi estinto il diritto a tutte e prestazioni periodiche nonostante la distensione temporale delle medesime prestazioni periodiche superi di gran lunga il termine triennale di decadenza previsto dalla legge. Thema decidendum Ritiene, in definitiva, il Collegio, che la questione prospettata importi innanzi tutto la necessita' di verificare la legittimita' costituzionale dell'art..., nella parte in cui non prevede che l'effetto di decadenza conseguente alla presentazione della domanda oltre il triennio, decorrente dal momento in cui l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno, sia limitato ai ratei relativi al periodo antecedente al suddetto periodo triennale con i consequenziali effetti riduttivi anche sulla misura una tantum prevista dall'art. 2 della legge n. 210 del 1992. A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, va dichiarata la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvedera' alla notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri e alla comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e dei Senato della Repubblica.
P. Q. M. La Corte di cassazione, visti l'art. 134 della Costituzione, l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1. e l'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, legge n. 210 del 1992 per violazione degli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione, nella parte in cui non prevede che l'effetto di decadenza conseguente alla presentazione della domanda oltre il triennio, decorrente dal momento in cui l'avente diritto risulti aver avuto conoscenza del danno, sia limitato ai ratei relativi al periodo antecedente al suddetto periodo triennale con i consequenziali effetti riduttivi anche sulla misura una tantum prevista dall'art. 2 della legge n. 210 del 1992; sospende il presente procedimento; manda la cancelleria per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87 e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 dicembre 2021. Il Presidente: Berrino