N. 33 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 gennaio 2022

Ordinanza del 17 gennaio 2022 della Corte  di  cassazione  -  Sezione
Lavoro nel procedimento civile promosso dal  Ministero  della  Salute
contro C. F. e C. C.A., nella qualita' di genitori  della  minore  C.
F.. 
 
Salute (Tutela della) -  Profilassi  internazionale  -  Indennizzo  a
  favore  dei   soggetti   danneggiati   da   complicanze   di   tipo
  irreversibile  a  causa  di  vaccinazioni  obbligatorie  -  Mancata
  previsione   che   l'effetto   di   decadenza   conseguente    alla
  presentazione della  domanda  oltre  il  triennio,  decorrente  dal
  momento in cui l'avente diritto risulti aver avuto  conoscenza  del
  danno, sia limitato ai ratei relativi  al  periodo  antecedente  al
  suddetto periodo triennale  con  i  conseguenti  effetti  riduttivi
  anche sulla misura una tantum prevista. 
- Legge 25 febbraio 1992, n. 210 (Indennizzo a  favore  dei  soggetti
  danneggiati  da  complicanze  di  tipo  irreversibile  a  causa  di
  vaccinazioni  obbligatorie,  trasfusioni  e   somministrazioni   di
  emoderivati), art. 3, comma 1. 
(GU n.15 del 13-4-2022 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                           Sezione lavoro 
 
    Composta dagli Ill.mi signori Magistrati: 
      dott. Umberto Berrino - Presidente; 
      dott. Rossana Mancino - consigliere; 
      dott. Gabriella Marchese - consigliere; 
      dott. Daniela Calafiore - rel. Consigliere; 
      dott. Luigi Cavallaro - consigliere; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
88-2016 proposto da: 
      Ministero della Salute, in persona del  Ministro  pro  tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello  Stato,
presso i cui uffici domicilia in Roma, alla  via  dei  Portoghesi  n.
12 - ricorrente; 
      contro  C.  F.,  C.  C.A.,  nella  loro  qualita'  di  genitori
esercenti la patria potesta' sulla  figlia  minore...,  elettivamente
domiciliati  in  Roma,  via  F.  Denza  n.  15,  presso   lo   studio
dell'avvocato Aniello Izzo, che li rappresenta e  difende  unitamente
all'avvocato Armanda Lessini - controricorrenti; 
    avverso la sentenza n. 432/2015 della Corte d'Appello di  Milano,
depositata il 9 ottobre 2015 - R.G.N. 444/2013; 
    udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
14 dicembre 2021 dal Consigliere dott. Daniela Calafiore; 
    il P.M., in persona  del  Sostituto  Procuratore  Generale  dott.
Roberto Mucci visto l'art.  23,  comma  8-bis  del  decreto-legge  28
ottobre 2020 n. 137, convertito  con  modificazioni  nella  legge  18
dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte. 
 
                       Rilevato in fatto che: 
 
      con sentenza n. 432 del 2015, la Corte d'appello di  Milano  ha
rigettato l'impugnazione proposta  dal  Ministero  della  Salute  nei
confronti di F. C.  e...  (genitori  e  legali  rappresentanti  della
minore F. C.) avverso la sentenza di primo grado che aveva condannato
il medesimo Ministero, in relazione alla somministrazione del vaccino
trivalente (anti morbillo, parotite e  rosolia)  alla  corresponsione
dell'indennizzo previsto dalla legge per  le  patologie  della  prima
categoria della tabella A allegata al decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 834 del 1981 a decorrere  dal  primo  giorno  del  mese
successivo a  quello  di  presentazione  della  domanda,  nonche'  ad
erogare l'ulteriore indennizzo previsto dalla legge n. 229  del  2005
(consistente in un assegno vitalizio di  importo  pari  a  sei  volte
l'importo percepito dal danneggiato ai sensi della legge n.  210  del
1992 e dell'importo aggiuntive una tantum corrispondente al  30%  per
ogni anno, dell'indennizzo dovuto ai sensi della  legge  n.  210  del
1992, per il periodo compreso il manifestarsi dell'evento  dannoso  e
l'ottenimento del beneficio); 
      la Corte  territoriale,  rigettando  il  motivo  d'impugnazione
relativo alla decadenza definitiva del diritto alle  prestazioni,  ha
confermato la sentenza del Tribunale la quale aveva dato atto che  in
data 15 giugno 2012 il Ministero aveva riconosciuto il nesso  causale
tra il vaccino inoculato e la patologia indicata in ricorso e che  la
natura  assistenziale  dei  diritto  in  questione   ne   determinava
l'imprescrittibilita' e la operativita' della decadenza limitatamente
al   triennio   antecedente   alla   presentazione   della   domanda;
conseguentemente, aveva riconosciuto il diritto a decorrere dal primo
giorno del mese successivo alla presentazione della domanda  e  cioe'
dal 1° luglio 2010; 
      avverso tale sentenza ricorre per cassazione il Ministero della
Salute sulla base di un motivo; 
      resistono, con contro-ricorso,  F.  C.  e  C.  n.q,  che  hanno
depositato memoria ai sensi dell'art. 378  del  codice  di  procedura
civile; 
      il Procuratore generale ha depositato  conclusioni  scritte  ai
sensi dell'art. 23-bis, decreto-legge n. 137 del 2020  convertito  in
legge n. 176 del 2020; 
 
                     Considerato in diritto che: 
 
      con l'unico  motivo  di  ricorso,  il  Ministero  della  Salute
lamenta la violazione e la falsa applicazione dell'art. 3,  comma  1,
della legge n. 210 del 1992 in quanto la sentenza impugnata non aveva
tenuto conto del  fatto  che  la  domanda  di  indennizzo  era  stata
presentata tardivamente rispetto al termine perentorio  di  tre  anni
previsto dalla citata disposizione, decorrente dal momento in cui gli
interessati  acquisiscono  conoscenza  del  danno  e  del  nesso   di
causalita' intercorrente tra la vaccinazione ed il danno; 
      in particolare, deduce il ricorrente, la  somministrazione  del
vaccino era avvenuta il... ed a distanza di undici giorni, la bambina
aveva mostrato  disturbi  della  deambulazione  con  disequilibrio  e
perdita  delle  forze  dell'arto  inferiore  e  superiore   sinistro,
accompagnata da sonnolenza, irritabilita', ridotto interesse  per  il
contesto e regressione del linguaggio. Da tali sintomi, a seguito  di
ricovero e ripetuti esami, era derivata la diagnosi di  encefalopatia
post vaccina, come attestato dalla scheda di dimissioni del 5  luglio
2002 versata in atti; 
      nel giugno del 2003, la Commissione  per  l'accertamento  degli
stati di invalidita' civile aveva accertato la totale invalidita' con
la medesima  diagnosi;  da  cio'  il  determinarsi  della  definitiva
decadenza,  in  piena  coerenza  con  quanto  affermato  dalla  Corte
costituzionale con la sentenza n. 342 del 2006 e dalla giurisprudenza
di legittimita' (Cass. n. 7240 del 2014); 
      va osservato, in via preliminare, che il  Procuratore  Generale
ha rilevato l'inammissibilita' del motivo  in  quanto:  1)  esso  non
riporta  i  termini  della  censura  svolta  dall'amministrazione  in
appello; 2) non si confronta con a motivazione  addotta  dalla  Corte
d'appello in punto di prescrittibilita' dei singoli ratei e  non  del
diritto in se' considerato, ne' in punto di  avvenuto  riconoscimento
del nesso causale nelle more del giudizio;  3)  il  medesimo  motivo,
sotto il velo della violazione di legge, introdurrebbe una  questione
di fatto non deducibile nel giudizio di legittimita' dal momento  che
si basa, in via apodittica, sulla diagnosi del 5 luglio  2002  quanto
al momento di effettiva consapevolezza del danno subito e  della  sua
derivazione causale da vaccino; 
      tali obiezioni non colgono interamente nel segno,  giacche'  se
e' vero che il  motivo  non  si  confronta  pienamente  con  sentenza
impugnata, la quale non ha disconosciuto  l'operativita'  del  regime
della decadenza previsto dall'art. 3, legge n. 210 del 1992 ma lo  ha
ritenuto  riferibile  al  solo   triennio   precedente   la   domanda
amministrativa, non vi e' dubbio che il ricorso miri alla  cassazione
della sentenza sulla base dei medesimi dati di  fatto  accertati  nel
giudizio di merito ed in quanto si affermi la  decadenza  tout  court
del diritto all'indennizzo; 
      si tratta cioe' di un effetto di integrale  decadenza,  fondato
sulla incontestata situazione emersa in fatto relativa cita  certezza
sin dal 5 luglio 2002 della diagnosi sulla  origine  vaccinale  della
encefalite, che contiene e supera l'ipotesi minore, la cd.  decadenza
«mobile», ritenuta dalla sentenza impugnata; 
      quest'ultima forma di operativita' del meccanismo  decadenziale
e' stata applicata dai giudici  del  merito  in  ragione  della  sola
natura  assistenziale,  sottesa  a  scopi  di  solidarieta'  sociale,
attribuibile all'indennizzo di  cui  alla  legge  n.  210  del  1992;
semplicemente, cioe', facendo  applicazione  dei  principi  elaborati
dalla Corte di cassazione a SS.UU. n. 10955 del 2002, resa in tema di
prescrizione del diritto agli  interessi  sui  ratei  di  prestazioni
assistenziali e previdenziali corrisposti in ritardo,  nel  punto  in
cui si e' precisato che «[...] ferma  restando  l'imprescrittibilita'
del diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale  garantita
dall'art. 38 della Costituzione in quanto connesso ad uno status  del
cittadino, si prescrivono (oppure da essi si puo' decadere),  invece,
i  diritti  esclusivamente  patrimoniali,  cioe'  i  singoli  crediti
periodicamente risorgenti (che  maturano  per  ciascun  mese  o  alla
scadenza di un periodo piu' lungo), in quanto  sono  espressione  del
diritto alla prestazione e vengono denominati "ratei"». 
      Il ricorso supera dunque, il  vaglio  di  ammissibilita'  e  va
deciso nel merito. 
 
           Rilevanza della questione di costituzionalita' 
 
    Ritiene questa Corte di cassazione che  in  punto  di  fatto  sia
ormai incontrovertibile, perche' pacifico tra le  parti  ed  appurato
dalla sentenza impugnata,  che  la  piena  consapevolezza  del  danno
subito dalla minore e della sua derivazione causare dal vaccino tosse
presente sin dal 5 luglio  2005,  mentre  la  comanda  amministrativa
presentata il..., quando i tre anni previsti dall'art.  3,  comma  1,
legge n. 210 del 1992 erano certamente decorsi. 
    Cio' premesso, va rilevato  che  la  via  interpretativa  seguita
dalla Corte d'appello non puo'  essere  condivisa  innanzi  tutto  in
ragione del tenore testuale della disposizione contenuta nel comma 1,
dell'art. 3, legge n. 210 del 1992, nel testo vigente ed  applicabile
alla  fattispecie  concreta,  secondo  il  quale   «1.   I   soggetti
interessati ad ottenere l'indennizzo di  cui  all'art.  1,  comma  1,
presentano alla USL competente le relative  domande,  indirizzate  ai
Ministro della sanita', entro il termine perentorio di tre  anni  nel
caso di vaccinazioni o di epatiti post-trasfusionali o di dieci  anni
nei casi di infezioni da HIV. I termini decorrono dal momento in cui,
sulla base delle documentazioni di  cui  a  commi  2  e  3,  l'avente
diritto risulti aver avuto conoscenza del  danno.  La  USL  provvede,
entro novanta giorni  dalla  data  di  presentazione  delle  domande,
all'istruttoria delle domande stesse e all'acquisizione del  giudizio
di cui all'art. 4,  sulla  base  di  direttive  del  Ministero  della
sanita', che garantiscono il diritto alla riservatezza anche mediante
opportune modalita' organizzative». 
    La disposizione non fa cenno alcuno ad  un  effetto  decadenziale
limitato a singole parti  della  prestazione  economica  oggetto  del
diritto e, dunque, come precisato da Corte costituzionale n. 118  del
2020, «l'univoco  tenore  della  disposizione  segna  il  confine  in
presenza del quale tentativo di interpretazione conforme deve  cedere
il passo al  sindacato  di  legittimita'  costituzionale  (cosi',  in
particolare, sentenza n. 232 del 2013 e, piu' di recente, sentenze n.
221 del 2019, n. 83 e n. 82 del 2017)», restando  quindi  inibito  al
giudice l'intervento interpretativo costituzionalmente orientato. 
    Neppure e' possibile operare in via analogica,  essendo  evidente
la differenza quanto a presupposti costitutivi, funzione e  specifica
disciplina della decadenza (art. 47,  decreto  del  Presidente  della
Repubblica  n.  639  del   1970)   esistente   tra   le   prestazioni
pensionistiche e l'indennizzo previsto dall'art. 1, legge n. 210  del
1992 e la decadenza di cui al citato art. 3 della stessa legge. 
    Pertanto,  applicando  alla  fattispecie  concreta  il   disposto
dell'art. 3, legge n. 210 del 1992, questa Corte dovrebbe ritenere la
parte istante decaduta dal diritto ad ottenere l'indennizzo nella sua
interezza, senza possibilita' di limitare la suddetta decadenza  alle
mensilita' maturate prima del triennio decorrente dalla presentazione
della domanda. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    Cio' premesso, va tuttavia riconosciuto che il confronto  tra  la
disciplina della decadenza (disciplinata dall'art.  47,  decreto  del
Presidente della Repubblica n. 639 del 1970 e successive modifiche  e
integrazioni) che il diritto vivente ha tracciato per  i  trattamenti
pensionistici e l'effetto decadenziale connesso all'art. 3, comma  1,
della legge n.  210  del  1992,  doveroso  in  ragione  del  profondo
radicamento  costituzionale  di  entrambe  le  misure  di  protezione
sociale, fa emergere dubbi sulla conformita' a Costituzione  di  tale
ultima disposizione; 
    va infatti rimarcato che e' vero che la giurisprudenza di  questa
Corte  di  legittimita'  ha  riconosciuto  l'operativita'  della  cd.
decadenza mobile (vd. da ultimo,  rispetto  alla  gia'  citata  Cass.
SS.UU. n. 10955 del 2002, la recente Cass. n. 17430 dei  2021)  nella
specifica ipotesi della decadenza dalle azioni giudiziarie  volte  ad
ottenere  la  riliquidazione   di   una   prestazione   pensionistica
parzialmente riconosciuta; 
    in tale contesto si e'  ritenuto  che,  in  considerazione  della
natura della  prestazione,  la  decadenza  possa  cadere  solo  sulle
differenze dei ratei  maturati  precedentemente  al  triennio  e  non
riguardo  ad  ogni  differenza  comunque  dovuta  per  il  titolo  in
relazione  al  quale  e'  richiesto  l'adeguamento  o  il   ricalcolo
(decadenza cd. tombale); 
    si e' considerato che pur dovendosi tener  conto  che  l'istituto
della decadenza persegua evidenti finalita' di certezza  sulla  sorte
di  diritti  che  comportano  aggravio  di  spesa   pubblica,   anche
nell'interesse della stabilita' dei  conti  pubblici,  il  fondamento
costituzionale della prestazione pensionistica, che le conferisce  il
carattere della non prescrittibilita',  impone  di  salvaguardare  la
medesima prestazione nel suo nucleo essenziale; 
    la base normativa espressa e'  stata  individuata  nell'art.  47,
comma 6, decreto del Presidente della Repubblica n. 639 del 1970  che
prevede  che  il  decorso  dei  termini  previsti  dal  decreto   del
Presidente della Repubblica n. 639 del 1970, art. 47, commi  2  e  3,
posti  a  pena  di  decadenza  per  l'esercizio  del   diritto   alla
prestazione previdenziale, «determina  l'estinzione  del  diritto  ai
ratei pregressi delle prestazioni previdenziali e  l'inammissibilita'
della relativa domanda giudiziale», precisando poi  che  in  caso  di
mancata proposizione del ricorso amministrativo i  termini  decorrono
dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei; 
    dal punto di vista applicativo, la giurisprudenza di legittimita'
ha ritenuto di riferire il termine decadenziale ai singoli ratei (tra
le tante, Cass. Sez. L, sentenza n. 13104 dell'8 settembre 2003; Sez.
L, sentenza n. 152 del 9 gennaio 1999; Sez. L, sentenza n. 2364 del 7
febbraio 2004), in ragione della loro autonoma  cadenza  temporale  e
tale interpretazione si e' adottata anche a seguito  dell'entrata  in
vigore del decreto-legge n. 98 del 2011, art. 38, che  ha  modificato
la disciplina del 1970,  sia  aggiungendo  all'art.  47  un  comma  6
secondo cui le decadenza si applica alle  azioni  giudiziarie  avente
oggetto l'adempimento di prestazioni riconosciute solo in parte o  il
pagamento di accessori del credito, sia aggiungendo dopo l'art. 47 un
art. 47-bis, a norma del quale «si prescrivono in cinque anni i ratei
arretrati, ancorche' non liquidati e dovuti a  seguito  di  pronuncia
giudiziale  dichiarativa  del  relativo  diritto,   dei   trattamenti
pensionistici, nonche' delle prestazioni della gestione di  cui  alla
legge 9 marzo 1988, n. 88,  art.  24,  o  delle  relative  differenze
dovute a seguito di riliquidazioni»; 
    l'interpretazione che limita ai ratei l'applicazione dei  termini
di prescrizione e decadenza anche nel caso di  riliquidazioni  e'  in
linea con i principi affermati in materia dalla Corte costituzionale,
che  ha  sempre  ritenuto  il  diritto  a   pensione   come   diritto
fondamentale, irrinunciabile, imprescrittibile  non  sottoponibile  a
decadenza, in conformita' di principio  costituzionalmente  garantito
che non puo' comportare deroghe  legislative  (tra  le  altre,  Corte
costituzionale 26 febbraio 2010, n. 71; 22 luglio 1999,  n.  345;  15
luglio 1985, n. 203); 
    questa Corte di cassazione ha espressamente riconosciuto che  una
diversa  interpretazione  (che  applicasse  la  decadenza  all'intera
pretesa di rideterminazione travolgendo i ratei futuri ed interni  al
triennio  precedente  alla  domanda  giudiziale)  sarebbe  del  resto
incompatibile con la Costituzione tutte le volte  in  cui  la  misura
della prestazione riconosciuta o pagata  non  salvaguardi  il  nucleo
essenziale della prestazione, come nei caso che solo una parte esigua
della prestazione sia riconosciuta e pagata dall'ente  previdenziale.
Per tali casi, ritenere il  diritto  alle  differenze  pensionistiche
perduto per decadenza comporterebbe di  fatto  la  vanificazione  del
diritto alla  pensione,  in  netto  contrasto  con  l'art.  38  della
Costituzione; 
    in definitiva, puo' certamente affermarsi  che  l'art.  38  della
Costituzione impedisce alla legge ordinaria, mediante  il  meccanismo
della decadenza, di attaccare il nucleo essenziale della  prestazione
pensionistica; 
    per intangibilita'  del  diritto  a  pensione  si  sono  peraltro
pronunciate anche Corte costituzionale 26 febbraio 2010, n. 71, Corte
costituzionale  22  luglio  1999,  n.  345,  che   lo   ha   definito
«fondamentale,   irrinunciabile   e   imprescrittibile»,   e    Corte
costituzionale 15 luglio 1985, n. 203, secondo cui si' tratta di  una
«situazione finale (...) attinente alla sopravvivenza della persona»; 
    le citate sentenze n. 203 del 1985 e n.  345  del  1999,  avevano
posto anche un limite a tali affermazioni, ammettendo che il  diritto
a pensione, pur coperto  da  garanzia  costituzionale,  possa  essere
dalla legge regolato e cosi' sottoposto a limite, sempre  che  questo
sia compatibile con la funzione del diritto di cui si tratta e non si
traduca  comunque  nella   esclusione   dell'effettiva   possibilita'
dell'esercizio  in  parola»,  legittimando  le  previsioni  normative
scrutinate,  che  ponevano  dei  termini  e  delle  condizioni   alla
presentazione della domanda; 
    la sentenza n. 71 del 2010, inoltre, ha dichiarato non fondata la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  comma  504,
della legge 24 dicembre  2007,  n.  244,  osservando  che  «la  norma
censurata  non  contrasta,  poi,  con  gli  articoli  3  e  37  della
Costituzione, in quanto non incide sull'an del diritto alla pensione,
ma solo marginalmente sul quantum; laddove  il  mancato  aumento  del
trattamento previdenziale goduto da chi,  alla  data  di  entrata  in
vigore del decreto legislativo n. 151 del 2001, gia' era in pensione,
non vale a far considerare  tale  emolumento  insufficiente  ai  fini
della tutela imposta dalle norme costituzionali indicate»; 
    il complesso  normativa  relativo  all'indennizzo  oggetto  della
presente  controversia,  compresa  la  specifica   previsione   della
decadenza di cui all'art. 3, legge n. 210 del  1992,  e'  certamente,
per struttura e  per  funzione,  profondamente  diverso  dal  sistema
pensionistico e cio' non consente  che  si  possa  procedere  ad  una
estensione   analogica   dei   principi   espressi   dagli    arresti
giurisprudenziali appena descritti; tuttavia, e' innegabile  che  sia
il diritto alle prestazioni pensionistiche previdenziali  che  quello
all'indennizzo per cui  e'  causa  siano  prestazioni  fondate  sugli
obblighi di solidarieta' sociale fissati dalla Costituzione; 
    in particolare, quanto alla legge n. 210 del 1992, e'  innegabile
che la stessa si caratterizza per il suo  fondamento  costituzionale.
Secondo certa  dottrina,  tale  fondamento  non  discenderebbe  dalla
natura assistenziale (ai sensi dell'art. 38 della Costituzione) posto
che, ricorrendone i  presupposti,  all'indennizzo  si  puo'  accedere
indipendentemente dalle condizioni economiche ed ammesso il cumulo di
esso con ogni altro  emolumento  a  qualsiasi  titolo  percepito;  il
fondamento  costituzionale  dell'istituto  andrebbe  ravvisato  negli
articoli 2 e 32 della Costituzione; 
    cio', in sostanza, ha affermato anche la Corte Costituzionale con
la sentenza n. 27 del 26 febbraio 1998,  chiarendo  che  l'indennizzo
«assume il significato di  misura  di  solidarieta'  sociale  fondata
negli articoli 2 e 32 della Costituzione, cui non necessariamente  si
accompagna una funzione assistenziale a  norma  dell'art.  38,  primo
comma, della  Costituzione,  essendo  esso  dovuto  indipendentemente
dalle condizioni economiche dell'avente diritto e non mirando di  per
se' agli scopi per i quali l'art. 38 stesso e' stato dettato...»; 
    la sentenza della Corte Costituzionale n. 342 del 2006  ha  pero'
successivamente precisato che  ‹[...]  La  menomazione  della  salute
conseguente  a  trattamenti  sanitari  puo'  determinare,  oltre   al
risarcimento del danno  secondo  la  previsione  dell'art.  2043  del
codice civile, il diritto ad un equo indennizzo in forza dell'art. 32
in collegamento con l'art. 2 della Costituzione, ove  il  danno,  non
derivante da fatto illecito, sia conseguenza dell'adempimento  di  un
obbligo  legale;  nonche'  il  diritto,  qualora  ne   sussistano   i
presupposti a norma degli articoli  38  e  2  della  Costituzione,  a
misure di sostegno assistenziale disposte dal legislatore nell'ambito
della propria discrezionalita' (sentenze n. 226 del 2000 e n. 118 del
1996); 
    invero, oltre all'analogo fondamento  costituzionale,  una  certa
assimilazione tra indennizzo previsto dalla legge n. 210 del 1992  ed
il   trattamento   pensionistico   puo'   ravvisarsi   anche    nella
significativa  estensione  temporale   periodica   che   caratterizza
entrambe, le misure di protezione sociale; 
    in particolare, va ricordato che l'art. 2 della legge  210  cit.,
dispone che «1. L'indennizzo di cui all'art. 1, comma 1, consiste  in
un assegno, reversibile per quindici anni, determinato  nella  misura
di cui alla tabella B allegata alla legge 29  aprile  1976,  n.  177,
come modificata dall'art. 8  della  legge  2  maggio  1984,  n.  111.
L'indennizzo e' cumulabile con  ogni  altro  emolumento  a  qualsiasi
titolo percepito ed e' rivalutato annualmente sulla base del tasso di
inflazione  programmato.  2.  L'indennizzo  di  cui  al  comma  1  e'
integrato da una  somma  corrispondente  all'importo  dell'indennita'
integrativa speciale di cui alla legge 27  maggio  1959,  n.  324,  e
successive modificazioni, prevista per la prima qualifica  funzionale
degli impiegati civili dello Stato, ed ha decorrenza dal primo giorno
del mese successivo a quello della  presentazione  della  domanda  ai
sensi dell'art. 3. La predetta somma integrativa  e'  cumulabile  con
l'indennita'  integrativa  speciale  o   altra   analoga   indennita'
collegata alla variazione del costo della vita. [...]»; 
    si tratta, evidentemente, di una misura che tende  ad  attenuare,
con sostegni distesi temporalmente e periodici, soprattutto nel  caso
di vaccini inoculati a bambini in  tenera  eta',  le  difficolta'  di
gestione dello stato patologico mediante la corresponsione di importi
mensili nell'arco temporale di un quindicennio,  con  la  conseguenza
che l'operativita' di un effetto decadenziale unitario  e  definitivo
che non prevede (come oggi impone il  testo  dell'art.  3,  comma  1,
legge n. 210 del 1992)  la  limitazione  dell'effetto  estintivo  del
diritto ai soli importi mensili maturati precedentemente al  triennio
dalla domanda (con i consequenziali  effetti  riduttivi  sull'importo
una tantum), realizza in concreto la piena frustrazione  dello  scopo
dell'indennizzo e crea una vistosa  ed  irragionevole  disparita'  di
trattamento tra i soggetti destinatari di tale misura ed i pensionati
che, invece,  possono  contare  sulla  garanzia  della  misura  della
prestazione riconosciuta o pagata almeno  per  il  nucleo  essenziale
della prestazione; 
    la  giurisprudenza  della  Corte  costituzionale   (sentenza   n.
232/2018), del resto ha pure precisato che il diritto del disabile  a
«ricevere  assistenza  nell'ambito  della  sua  comunita'  di  vita»,
inscindibilmente  connesso  con  il  diritto  alla  salute  e  a  una
integrazione effettiva, rappresenta il fulcro delle tutele apprestate
dal legislatore e finalizzate a rimuovere gli  ostacoli  suscettibili
di impedire il pieno sviluppo della persona umana.  Nella  disciplina
di  sostegno  alle  famiglie  che  si  prendono  cura  del   disabile
convergono non soltanto i valori  della  solidarieta'  familiare,  ma
anche «un complesso di valori che attingono  ai  fondamentali  motivi
ispiratori del disegno costituzionale» e impongono l'interrelazione e
l'integrazione «tra i precetti in cui quei valori trovano espressione
e tutela», sicche', nell'apprestare le misure  necessarie  a  rendere
effettivo il godimento di tali diritti e  a  contemperare  tutti  gli
interessi   costituzionali   rilevanti,   la   discrezionalita'   del
legislatore incontra un  limite  invalicabile  nel  «rispetto  di  un
nucleo indefettibile di garanzie per gli interessati»; 
    ancora,  a   proposito   dell'indennizzo   per   menomazioni   da
vaccinazione raccomandata,  Corte  costituzionale  n.  268/2017,  nel
dichiarare l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  1,
legge 25 febbraio 1992, n. 210, nella parte in  cui  non  prevede  il
diritto all'indennizzo, istituito e regolato  dalla  medesima  legge,
anche nei confronti di coloro che si siano sottoposti a  vaccinazione
antinfluenzale, ha affermato che la ragione determinante del  diritto
all'indennizzo «risiede nelle esigenze di solidarieta' sociale che si
impongono alla collettivita', laddove il singolo subisca  conseguenze
negative per la  propria  integrita'  psico-fisica  derivanti  da  un
trattamento sanitario (obbligatorio o raccomandato) effettuato  anche
nell'interesse  della  collettivita'»,   rendendo   «piu'   serio   e
affidabile  ogni  programma  sanitarie  volto  alla  diffusione   dei
trattamenti vaccinali»; 
    anche le sentenze della Corte costituzionale  piu'  recenti  (vd.
Corte costituzionale nn. 5 del 2018 e 118 del 2020) hanno ribadito il
fondamento costituzionale dell'indennizzo de quo negli articoli 2,  3
e 32 della Costituzione con il correlato obbligo dello Stato di farsi
carico dell'obbligo indennitario; 
    pare, dunque, non manifestamente infondato il dubbio sul rispetto
dell'art. 3 della Costituzione da parte dell'art. 3, comma  1,  legge
n. 210 del 1992, posto che  secondo  la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale (vedi, tra le altre, sentenze n. 89 del 1996, n. 5 del
2000 e n. 441 del 2000), al fine di stabilire se una disposizione sia
tale da determinare una irragionevole differenziazione di  situazioni
meritevoli di eguale tutela, il relativo giudizio va  incentrato  sul
«perche'»  la  legge  operi,  all'interno  dell'ordinamento,   quella
specifica distinzione (ovvero, a seconda dei casi,  quella  specifica
equiparazione), si' da trarne le dovute conclusioni circa il corretto
uso del potere normativo; 
    nel caso di specie, tale  vaglio  non  pare  conduca  a  risposte
ragionevoli, giacche' non  si  comprende  perche'  la  categoria  dei
percettori di pensione puo', per  effetto  della  decadenza  prevista
dalla legge, al piu' vedere estinto il diritto a  talune  prestazioni
periodiche relative al diritto a pensione, in  se'  imprescrittibile,
mentre i destinatari dell'indennizzo di cui all'art. 1, legge n.  210
del 1992, certamente protetti dalla Costituzione in ragione del grave
ed irreparabile vulnus  subito  a  causa  delle  vaccinazioni  e  dei
trattamenti previsti dalla medesima legge, debbano vedersi estinto il
diritto a tutte e prestazioni periodiche  nonostante  la  distensione
temporale delle medesime prestazioni periodiche superi di gran  lunga
il termine triennale di decadenza previsto dalla legge. 
 
                          Thema decidendum 
 
    Ritiene, in definitiva, il Collegio, che la questione prospettata
importi innanzi tutto la necessita'  di  verificare  la  legittimita'
costituzionale dell'art...,  nella  parte  in  cui  non  prevede  che
l'effetto di decadenza conseguente alla presentazione  della  domanda
oltre il triennio, decorrente dal momento  in  cui  l'avente  diritto
risulti aver avuto  conoscenza  del  danno,  sia  limitato  ai  ratei
relativi al periodo antecedente al suddetto periodo triennale  con  i
consequenziali  effetti  riduttivi  anche  sulla  misura  una  tantum
prevista dall'art. 2 della legge n. 210 del 1992. 
    A norma dall'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87,  va  dichiarata
la sospensione del presente procedimento con l'immediata trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale. La cancelleria provvedera' alla
notifica di copia della presente ordinanza alle parti e al Presidente
del Consiglio dei ministri  e  alla  comunicazione  della  stessa  ai
Presidenti della Camera dei deputati e dei Senato della Repubblica. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte di cassazione,  visti  l'art.  134  della  Costituzione,
l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1.  e  l'art.
23 della legge 11 marzo 1953 n. 87, 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  la  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, legge n. 210 del
1992 per violazione degli articoli 2, 32  e  38  della  Costituzione,
nella parte in cui non prevede che l'effetto di decadenza conseguente
alla presentazione della domanda oltre il  triennio,  decorrente  dal
momento in cui l'avente diritto risulti  aver  avuto  conoscenza  del
danno, sia limitato ai  ratei  relativi  al  periodo  antecedente  al
suddetto periodo triennale con  i  consequenziali  effetti  riduttivi
anche sulla misura una tantum prevista dall'art. 2 della legge n. 210
del 1992; 
    sospende il presente procedimento; 
    manda la cancelleria per gli adempimenti previsti  dall'art.  23,
ultimo comma, legge 11  marzo  1953,  n.  87  e  dispone  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
      Cosi' deciso in Roma, nella Camera di consiglio del 14 dicembre
2021. 
 
                       Il Presidente: Berrino