N. 96 SENTENZA 23 marzo - 14 aprile 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Notificazioni e comunicazioni  delle  parti  o  dei
  difensori  -  Possibilita'  di  provvedere  alle  notificazioni  al
  pubblico ministero anche  mediante  posta  elettronica  certificata
  (PEC) - Omessa previsione - Denunciata violazione dei  principi  di
  eguaglianza  e  della  ragionevole  durata  del  processo,  nonche'
  lesione del diritto di difesa - Inammissibilita' delle questioni  -
  Pressante auspicio perche'  il  legislatore  delegato  confermi  la
  facolta' per il difensore, introdotta fino al 31 dicembre 2022  per
  provvedere all'emergenza epidemiologica da COVID-19, di giovarsi di
  modalita'  telematiche  per  l'effettuazione  di  notificazioni   e
  depositi presso l'autorita' giudiziaria. 
- Codice di procedura penale, art. 153. 
- Costituzione, artt. 3, 24, secondo comma, e 111. 
(GU n.16 del 20-4-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,  Francesco  VIGANO',
  Luca  ANTONINI,   Stefano   PETITTI,   Angelo   BUSCEMA,   Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  153  del
codice  di  procedura  penale,  promosso  dal  Giudice   dell'udienza
preliminare del  Tribunale  ordinario  di  Messina  nel  procedimento
penale a carico di A. G. e altri, con ordinanza del 28 novembre 2018,
iscritta al n. 145 del registro ordinanze  2021  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  40,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 marzo 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 novembre 2018, iscritta al  n.  145  del
r.o.  2021,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare   del   Tribunale
ordinario di Messina ha censurato - d'ufficio e in  riferimento  agli
artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione - l'art. 153 del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  non  consente  alle
parti o  ai  difensori  di  eseguire  le  notificazioni  al  pubblico
ministero mediante posta elettronica certificata (PEC). 
    1.1.- Il rimettente deve delibare un'eccezione di nullita'  della
richiesta di rinvio a giudizio di M.M. T., sollevata dalla difesa  di
quest'ultimo in ragione dell'omesso espletamento  dell'interrogatorio
dell'indagato, ai sensi dell'art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen. 
    Il giudice a quo riferisce che il difensore  dell'indagato  aveva
trasmesso  via  PEC  la  richiesta  di  interrogatorio  al   pubblico
ministero,  dopo  che  quest'ultimo  aveva  notificato  l'avviso   di
conclusione delle indagini tramite PEC, come consentito  dagli  artt.
157, comma 8-bis, e 148,  comma  2-bis,  cod.  proc.  pen.  Il  thema
decidendum atterrebbe dunque alla verifica  della  regolarita'  della
notifica via PEC della  richiesta  di  interrogatorio  da  parte  del
difensore al pubblico ministero. 
    1.2.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  il
rimettente osserva che l'esigenza di rimodulazione di «alcune forme e
procedure» del codice di rito, onde  conseguirne  l'adattamento  alle
«piu' moderne possibilita' fornite dalla tecnologia», in coerenza con
il principio costituzionale della ragionevole  durata  del  processo,
«non [potrebbe] non involgere la fase procedimentale». 
    Questa  Corte,  pronunciandosi   in   tema   di   notifiche   nel
procedimento  fallimentare,  avrebbe  poi   posto   l'accento   sulla
necessita' di «rigida attuazione, anche nella  fase  delle  modalita'
tecniche, del diritto di difesa e della stessa parita' delle parti». 
    Nel caso di specie,  a  fronte  della  possibilita',  offerta  al
pubblico ministero  dagli  artt.  157  e  148  cod.  proc.  pen.,  di
notificare i propri atti via PEC all'indagato, non vi sarebbe  alcuna
ragione che giustifichi  l'esclusione  dalla  medesima  possibilita',
«specie a fronte di termini cogenti», al difensore dell'indagato,  il
quale  dispone  di  PEC  e  avrebbe  la  possibilita'  di  «avere  un
destinatario certo della notifica». 
    E invero, «a fronte di due atti collegati, avviso di  conclusione
indagini e richiesta di  interrogatorio,  e  [di]  due  notifiche  di
identica  tipologia»,  «vanificare  il   diritto   all'interrogatorio
dell'indagato per omesso deposito in cancelleria della richiesta,  ed
invio della richiesta  con  PEC»,  sarebbe  lesivo  dell'«uguaglianza
processuale  delle  parti»  e  del  diritto  di  difesa,  oltre   che
contrastante «con l'intero impianto di informatizzazione  determinato
dal principio costituzionale della giusta durata del processo». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  o,
in subordine, non fondate. 
    2.1.- Il giudice a quo non avrebbe  verificato  la  tempestivita'
della   richiesta   di   interrogatorio   avanzata   dal    difensore
dell'indagato via PEC, il che impedirebbe di  vagliare  la  rilevanza
delle questioni sollevate. Ai fini  dell'accertamento  della  dedotta
nullita' della richiesta di rinvio a giudizio,  risulterebbe  infatti
preliminare valutare se la  richiesta  di  interrogatorio  sia  stata
formulata entro il termine di cui all'art.  415-bis,  comma  3,  cod.
proc. pen. Di qui l'inammissibilita' delle questioni. 
    2.2.- Le questioni sarebbero altresi'  inammissibili  per  omesso
esperimento  del  tentativo   di   interpretazione   conforme   della
disposizione censurata. 
    L'ordinanza di rimessione non si confronterebbe con il  principio
- enunciato dalla  giurisprudenza  di  legittimita'  in  relazione  a
istanze e memorie presentate con  modalita'  non  conformi  a  quelle
prescritte dall'art. 127 cod. proc. pen. - secondo cui,  pur  essendo
precluso alle parti private l'uso dei mezzi tecnici di  cui  all'art.
418-ter (recte: 148,  comma  2-bis)  cod.  proc.  pen.,  l'irregolare
notificazione  di  un  atto  via  PEC  non  ne  determina  l'assoluta
irricevibilita', ne' l'inesistenza, ma  pone  soltanto  a  carico  di
colui che ha adoperato il mezzo tecnico  non  consentito  l'onere  di
appurare che l'atto sia  pervenuto  nella  sfera  di  conoscenza  del
destinatario  (sono  citate  Corte  di  cassazione,  sezione  seconda
penale, sentenza 16 maggio 2017,  n.  31314;  sezione  prima  penale,
sentenza 16 novembre 2017-17 gennaio 2018, n. 1904). 
    Tale principio sarebbe estensibile, per identita' di ratio,  alle
notificazioni di atti  diretti  al  pubblico  ministero;  sicche'  il
rimettente avrebbe dovuto verificare la possibilita' di  interpretare
la disposizione censurata nel senso dell'efficacia della richiesta di
interrogatorio dell'indagato, pur irregolarmente trasmessa  via  PEC,
che fosse stata tempestivamente portata  a  conoscenza  del  pubblico
ministero. 
    2.3.- Le questioni sarebbero comunque infondate. 
    2.3.1.- Non sarebbe  ravvisabile  alcun  irragionevole  esercizio
della discrezionalita'  del  legislatore,  in  quanto  il  differente
regime di notificazione degli atti del difensore dell'indagato e  del
pubblico ministero sarebbe giustificato dal ruolo di «parte pubblica»
di  quest'ultimo,   che   peraltro,   alla   data   di   promovimento
dell'incidente  di  costituzionalita',  non  sarebbe  stato   nemmeno
titolare di un domicilio digitale. 
    Del  resto,  anche  gli  atti  e  i  provvedimenti  del   giudice
dovrebbero essere comunicati al pubblico ministero mediante  consegna
di copia in segreteria, ex  art.  153,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,
potendosi utilizzare «mezzi tecnici idonei»  solo  ove  ricorrano  le
specifiche  condizioni  indicate  dall'art.   64   delle   Norme   di
attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice  di  procedura
penale; il che ulteriormente dimostrerebbe la  non  fondatezza  della
censura relativa alla violazione dell'art. 3 Cost. 
    2.3.2.- Sarebbe poi  da  escludere  la  prospettata  lesione  del
principio della parita' processuale delle parti, poiche' quest'ultimo
postula esclusivamente la necessita' di garantire  «l'eguale  diritto
alla prova e la formazione della stes[s]a nel  contraddittorio  delle
parti» e non il riconoscimento alle parti stesse di identici poteri e
strumenti di azione (e' citata l'ordinanza n. 286 del 2003 di  questa
Corte). 
    2.3.3.-  Ne'  tantomeno  si  profilerebbe  un  conflitto  con  il
principio della ragionevole durata del processo, rispetto al quale le
modalita' di notificazione degli atti previste dall'ordinamento  sono
prive di rilevanza,  essendo  la  durata  del  processo  condizionata
unicamente dai termini stabiliti per il compimento degli atti. 
    2.3.4.-  Sarebbe  infine  insussistente  la  dedotta   violazione
dell'art. 24, secondo comma, Cost., atteso che  l'inefficacia  di  un
atto dipendente dalla difformita' della sua notificazione dal modello
prefigurato  dalla  legge  deriverebbe  dalla  natura  essenzialmente
formale della disciplina delle notificazioni,  cui  si  ricollega  la
funzione di assicurare «la legalita' del procedimento». 
    3.- In prossimita' della camera di consiglio, il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  ha  depositato  una  memoria  illustrativa,
ribadendo le argomentazioni gia' svolte  nell'atto  di  intervento  e
insistendo per la declaratoria di inammissibilita' o,  in  subordine,
di non fondatezza delle questioni sollevate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 28 novembre 2018, iscritta al  n.  145  del
r.o.  2021,  il  Giudice  dell'udienza  preliminare   del   Tribunale
ordinario di Messina ha censurato - d'ufficio e in  riferimento  agli
artt. 3, 24, secondo comma, e 111 della Costituzione - l'art. 153 del
codice di procedura penale, nella parte  in  cui  non  consente  alle
parti o  ai  difensori  di  eseguire  le  notificazioni  al  pubblico
ministero mediante posta elettronica certificata (PEC). 
    Il  rimettente  muove  dal  presupposto  ermeneutico   che   alla
trasmissione della richiesta di interrogatorio ex art. 415-bis, comma
3,  cod.  proc.  pen.  si  applichi  l'art.  153  cod.  proc.   pen.,
disposizione che detta la  disciplina  generale  delle  notificazioni
dirette al pubblico ministero, consentendo alle parti e ai  difensori
di avvalersi della forma semplificata costituita  dalla  consegna  di
copia dell'atto in segreteria. 
    Ad avviso  del  giudice  a  quo,  la  mancata  previsione,  nella
disposizione censurata, della possibilita' di utilizzare quale  mezzo
di notificazione la PEC, di cui invece  il  pubblico  ministero  puo'
avvalersi per le notifiche al difensore ai  sensi  degli  artt.  148,
comma 2-bis, e 157, comma 8-bis, cod. proc. pen., sarebbe lesiva: 
    - dell'art. 3 Cost., perche' non vi sarebbe  alcuna  ragione  che
giustifichi  l'esclusione  per  il  difensore   dell'indagato   della
medesima facolta' riconosciuta al pubblico ministero, nonche' 
    - degli artt. 24, secondo comma, e 111 Cost., dal momento che  la
disciplina censurata comprometterebbe, assieme, il diritto di difesa,
l'uguaglianza processuale delle parti  e  il  canone  di  ragionevole
durata del processo. 
    2.- Preliminare all'esame dell'ammissibilita' e del merito  delle
questioni e' la ricostruzione  del  quadro  normativo  relativo  alle
notificazioni via PEC nel processo penale. 
    2.1.-  La  scelta  della   PEC   quale   mezzo   per   effettuare
comunicazioni e notificazioni telematiche nel processo penale  risale
all'art. 4, comma 2, del  decreto-legge  29  dicembre  2009,  n.  193
(Interventi  urgenti  in  materia  di   funzionalita'   del   sistema
giudiziario), convertito, con modificazioni, nella legge 22  febbraio
2010, n. 24, il quale ha previsto in via generale che  «nel  processo
civile e nel processo penale, tutte le comunicazioni e  notificazioni
per  via  telematica  si  effettuano,  mediante   posta   elettronica
certificata, ai sensi del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82,  e
successive modificazioni, del decreto del Presidente della Repubblica
11 febbraio 2005, n. 68,  e  delle  regole  tecniche».  Le  modalita'
attuative sono state poi stabilite, ai sensi del comma 1 del medesimo
art. 4, dal decreto del Ministro della giustizia 21 febbraio 2011, n.
44 (Regolamento concernente le regole  tecniche  per  l'adozione  nel
processo   civile   e   nel   processo   penale,   delle   tecnologie
dell'informazione e della comunicazione, in attuazione  dei  principi
previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n.  82,  e  successive
modificazioni,  ai  sensi  dell'articolo  4,  commi  1   e   2,   del
decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193,  convertito  nella  legge  22
febbraio 2010 n. 24). 
    2.2.- L'art. 16, commi 4 e 9, lettera c-bis),  del  decreto-legge
18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del
Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 novembre  2012,
n. 221, e poi subito modificato dall'art.  1,  comma  19,  punto  1),
lettera a), numero 1), della legge 28 dicembre 2012, n. 228,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (Legge di stabilita' 2013)», ha introdotto  -  a  partire
dal 15 dicembre 2014 - l'uso delle notifiche telematiche negli uffici
giudiziari penali di primo e secondo grado, limitatamente pero'  alle
«notificazioni a persona diversa dall'imputato a norma degli articoli
148, comma 2-bis, 149, 150 e 151, comma 2, del  codice  di  procedura
penale». 
    Si e' cosi' previsto l'uso della PEC solo da parte dell'autorita'
giudiziaria (come si evince  dall'ultimo  periodo  del  sopra  citato
comma 4, secondo cui «[l]a relazione di notificazione e'  redatta  in
forma  automatica  dai  sistemi   informatici   in   dotazione   alla
cancelleria»), per eseguire: 
    a) le notificazioni ai difensori (art.  148,  comma  2-bis,  cod.
proc. pen.); 
    b) le notificazioni urgenti  nei  confronti  di  persone  diverse
dall'imputato (art. 149 cod. proc. pen.); 
    c) le notificazioni  in  circostanze  particolari,  indicate  dal
giudice in apposito decreto motivato, a persone diverse dall'imputato
(art. 150 cod. proc. pen.); 
    d)  le  notificazioni  richieste  dal  pubblico   ministero   nei
confronti delle persone interessate (art. 151, comma  2,  cod.  proc.
pen.). 
    2.3.- A fronte del tenore letterale dell'art. 16, commi  4  e  9,
lettera c-bis), del d.l.  n.  179  del  2012,  la  giurisprudenza  di
legittimita' ha  in  linea  generale  ritenuto  preclusa  alle  parti
private la trasmissione via PEC agli uffici  giudiziari  di  istanze,
atti  e  documenti,  in  particolare  negando  la   possibilita'   di
utilizzare tale mezzo tecnico: 
    -  per  l'impugnazione  di  provvedimenti  giudiziari  (Corte  di
cassazione, sezione quarta penale, sentenza 19 dicembre 2019-27 marzo
2020, n. 10682; sezione quarta penale, sentenza 27 novembre 2019,  n.
52092; sezione terza penale,  sentenza  13  aprile  2018,  n.  38411;
sezione quarta penale, sentenza 23 gennaio 2018,  n.  21056;  sezione
sesta penale, sentenza 5  dicembre  2017,  n.  55444;  sezione  terza
penale, sentenza 11 luglio 2017, n.  50932;  sezione  quarta  penale,
sentenza 30 marzo 2016, n. 18823); 
    - per il deposito di memorie nel giudizio di cassazione (Corte di
cassazione, sezione seconda  penale,  sentenza  16  maggio  2017,  n.
31336; sezione terza penale, sentenza 20 settembre 2016, n. 48584); 
    - per il deposito delle liste testimoniali (Corte di  cassazione,
sezione terza penale, sentenza 26 ottobre 2016 - 14 febbraio 2017, n.
6883); 
    - per il deposito della nomina del difensore di fiducia (Corte di
cassazione, sezione prima  penale,  sentenza  18  febbraio  2019,  n.
38665; sezione quinta penale, sentenza 25 ottobre 2018, n. 53217). 
    L'uso della PEC per la trasmissione di atti e istanze delle parti
private  all'autorita'  giudiziaria  e'  stato  invece   ammesso   in
relazione alla trasmissione delle istanze di rinvio dell'udienza  per
legittimo  impedimento  dell'imputato  o  del   difensore,   con   la
precisazione che  l'uso  di  tale  irrituale  forma  di  trasmissione
comporta per la parte che se ne avvalga  l'onere  di  accertarsi  che
l'istanza sia giunta a effettiva conoscenza del  destinatario  (Corte
di cassazione, sezione seconda penale, sentenza 14  luglio  2021,  n.
35542; sezione prima  penale,  sentenza  4  giugno  2021,  n.  25366;
sezione seconda penale, sentenza 1 dicembre 2020-27 gennaio 2021,  n.
3436; sezione prima  penale,  sentenza  17  luglio  2020,  n.  21981;
sezione prima penale, sentenza 22 marzo 2019,  n.  17879).  E'  stata
inoltre riconosciuta  la  possibilita'  di  trasmettere  via  PEC  le
istanze di  rinvio  della  trattazione  per  adesione  del  difensore
all'astensione degli avvocati dalle  udienze  (Corte  di  cassazione,
sezione seconda penale, sentenza 8 gennaio  2020,  n.  4655;  sezione
quarta penale, sentenza 6 giugno 2018, n. 35683). 
    2.4.- Il quadro normativo poc'anzi ricostruito, vigente all'epoca
in cui e' stata pronunciata l'ordinanza di rimessione oggi  all'esame
della Corte, e' radicalmente mutato in forza della normativa  emanata
per fronteggiare l'emergenza pandemica da COVID-19,  che  ha  per  la
prima  volta  espressamente  consentito   alle   parti   private   di
trasmettere  via  PEC  agli  uffici  giudiziari  memorie,  documenti,
richieste e istanze. 
    2.4.1.- In particolare, l'art.  83  del  decreto-legge  17  marzo
2020, n. 18 (Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale
e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e  imprese  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n.  27,  ha  previsto,  al
comma 12-quater.1 (inserito dall'art. 3,  comma  1,  lettera  f,  del
decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, recante «Misure urgenti  per  la
funzionalita' dei  sistemi  di  intercettazioni  di  conversazioni  e
comunicazioni, ulteriori misure urgenti  in  materia  di  ordinamento
penitenziario, nonche' disposizioni integrative e di coordinamento in
materia di giustizia civile,  amministrativa  e  contabile  e  misure
urgenti  per  l'introduzione  del  sistema  di   allerta   COVID-19»,
convertito, con modificazioni, nella legge 25  giugno  2020,  n.  70)
che, sino al 31 luglio 2020, con uno  o  piu'  decreti  del  Ministro
della giustizia di natura non regolamentare, presso  ciascun  ufficio
del pubblico ministero che ne facesse richiesta, fosse autorizzato il
deposito con modalita' telematica di memorie, documenti, richieste  e
istanze indicate dall'art. 415-bis, comma 3, cod. proc. pen., secondo
le disposizioni stabilite con provvedimento  del  Direttore  generale
dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia
(DGSIA) - da adottarsi previo accertamento  della  funzionalita'  dei
servizi di comunicazione dei documenti informatici - anche in  deroga
alle previsioni del d.m. n. 44 del 2011, con la precisazione  che  il
deposito degli atti si sarebbe inteso come eseguito  al  momento  del
rilascio  della  ricevuta  di  accettazione  da  parte  dei   sistemi
ministeriali,  secondo  le  modalita'  stabilite  dal   provvedimento
direttoriale. 
    2.4.2.- Successivamente, l'art. 221 del decreto-legge  19  maggio
2020, n. 34 (Misure urgenti in materia di salute, sostegno al  lavoro
e all'economia, nonche' di politiche sociali  connesse  all'emergenza
epidemiologica da COVID-19),  convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 17 luglio 2020, n. 77, ha previsto al  comma  11  (inserito  in
sede  di  conversione)  che,  al  fine  di  consentire  il   deposito
telematico degli atti nella  fase  delle  indagini  preliminari,  con
decreto non regolamentare del Ministro  della  giustizia  -  adottato
previo accertamento della funzionalita' dei servizi di  comunicazione
dei  documenti  informatici  -  fosse  autorizzato  il  deposito  con
modalita' telematica, presso gli uffici del  pubblico  ministero,  di
memorie, documenti, richieste e  istanze  di  cui  all'art.  415-bis,
comma 3, cod. proc.  pen.,  secondo  le  disposizioni  stabilite  con
provvedimento del DGSIA, anche in deroga alle previsioni del d.m.  n.
44 del 2011. 
    2.4.3.- L'art. 24 del  decreto-legge  28  ottobre  2020,  n.  137
(Ulteriori misure urgenti in materia di tutela della salute, sostegno
ai  lavoratori  e  alle  imprese,  giustizia  e  sicurezza,  connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n. 176, ha  poi  dettato
un'articolata disciplina della trasmissione in via  telematica  degli
atti  delle  parti  all'autorita'  giudiziaria;  disciplina  la   cui
vigenza, originariamente prevista «fino alla scadenza del termine  di
cui  all'articolo  1  del  decreto-legge  25  marzo  2020,   n.   19,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35», e'
stata poi successivamente prorogata: 
    - al 31 luglio  2021  dall'art.  6,  comma  1,  lettera  d),  del
decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44  (Misure  urgenti   per   il
contenimento dell'epidemia da COVID-19, in  materia  di  vaccinazioni
anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici), convertito con
modificazioni nella legge 28 maggio 2021, n. 76; 
    - al 31 dicembre 2021 dall'art. 7  del  decreto-legge  23  luglio
2021,  n.  105   (Misure   urgenti   per   fronteggiare   l'emergenza
epidemiologica  da  COVID-19  e  per  l'esercizio  in  sicurezza   di
attivita' sociali  ed  economiche),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 16 settembre 2021, n. 126; 
    - e infine al  31  dicembre  2022  dall'art.  16,  comma  1,  del
decreto-legge 30 dicembre  2021,  n.  228  (Disposizioni  urgenti  in
materia di termini legislativi), convertito, con modificazioni, nella
legge 25 febbraio 2022, n. 15. 
    Il citato art. 24  prevede,  al  comma  1,  che  il  deposito  di
memorie, documenti, richieste e istanze indicate  dall'art.  415-bis,
comma 3, cod. proc.  pen.  presso  gli  uffici  delle  Procure  della
Repubblica avvenga esclusivamente tramite il  «portale  del  processo
penale telematico» (PPPT), individuato con  provvedimento  del  DGSIA
(poi emanato il 5 febbraio 2021) e con le modalita' ivi stabilite. Il
deposito degli atti si intende eseguito al momento del rilascio della
ricevuta di accettazione da parte dei sistemi  ministeriali,  secondo
le  modalita'  stabilite  dal  provvedimento.   Ulteriori   atti   da
depositare tramite il PPPT sono stati  individuati  con  decreto  del
Ministro della giustizia, emanato il 13 gennaio  2021  ai  sensi  del
comma 2 dell'art. 24. 
    Dall'entrata in vigore del  sistema  di  deposito  nel  PPPT,  in
relazione agli atti di cui ai commi  1  e  2  dell'art.  24,  l'invio
tramite PEC «non e' consentito e non produce alcun effetto di  legge»
(art. 24, comma 6). 
    Ai sensi dell'art. 24, comma 4, per tutti gli atti,  documenti  e
istanze, comunque denominati, diversi da quelli indicati nei commi  1
e 2 dell'art.  24,  e'  consentito  il  deposito  con  valore  legale
mediante  invio  agli   indirizzi   PEC   degli   uffici   giudiziari
destinatari, indicati in apposito provvedimento del DGSIA (emanato il
9 novembre  2020),  nel  quale  sono  state  indicate  le  specifiche
tecniche  relative  ai  formati  degli  atti  e  alla  sottoscrizione
digitale e le ulteriori modalita' di invio. Il comma 5  dell'art.  24
detta  la  disciplina  relativa  all'attestazione,  da  parte   delle
segreterie e cancellerie degli uffici giudiziari, del deposito  degli
atti dei difensori inviati tramite PEC. 
    I successivi commi da 6-bis a  6-novies  contengono  inoltre  una
dettagliata disciplina che consente la trasmissione via PEC  di  atti
di impugnazione (da  redigersi  in  forma  di  documento  informatico
sottoscritto digitalmente), motivi nuovi e memorie  e  stabilisce  le
relative ipotesi di inammissibilita'. 
    2.5.- Infine, nel quadro  della  generale  riforma  del  processo
penale, l'art. 1, comma 5, della legge  27  settembre  2021,  n.  134
(Delega al Governo per l'efficienza del processo  penale  nonche'  in
materia  di  giustizia  riparativa  e  disposizioni  per  la   celere
definizione dei procedimenti giudiziari) ha  delegato  il  Governo  a
emanare uno  o  piu'  decreti  legislativi  recanti  disposizioni  in
materia di processo penale telematico, da adottarsi nel rispetto, tra
l'altro, dei seguenti principi e criteri direttivi: 
    «a) prevedere che atti e  documenti  processuali  possano  essere
formati e conservati in  formato  digitale,  in  modo  che  ne  siano
garantite   l'autenticita',   l'integrita',   la   leggibilita',   la
reperibilita' e, ove previsto dalla legge, la  segretezza;  prevedere
che nei procedimenti penali in ogni stato e grado il deposito di atti
e documenti, le comunicazioni e le notificazioni siano effettuati con
modalita' telematiche; prevedere che le trasmissioni e  le  ricezioni
in via telematica assicurino al mittente e al destinatario  certezza,
anche temporale,  dell'avvenuta  trasmissione  e  ricezione,  nonche'
circa l'identita' del mittente e del destinatario; prevedere che  per
gli atti che  le  parti  compiono  personalmente  il  deposito  possa
avvenire anche con modalita' non telematica; 
    b) prevedere  che,  con  regolamento  adottato  con  decreto  del
Ministro della giustizia ai sensi dell'articolo 17,  comma  3,  della
legge 23 agosto 1988, n.  400,  siano  definite  le  regole  tecniche
riguardanti  i  depositi,  le  comunicazioni   e   le   notificazioni
telematiche di cui alla lettera a) del presente comma, assicurando la
conformita' al principio di idoneita' del  mezzo  e  a  quello  della
certezza del compimento dell'atto e modificando, ove  necessario,  il
regolamento di  cui  al  decreto  del  Ministro  della  giustizia  21
febbraio 2011, n. 44; prevedere che ulteriori regole e  provvedimenti
tecnici di attuazione possano essere adottati con atto dirigenziale». 
    A tali principi e criteri  direttivi  si  aggiungono  poi  quelli
relativi alla previsione di una disciplina  transitoria  relativa  al
passaggio al nuovo regime telematico  di  deposito,  comunicazione  e
notificazione, che tra l'altro coordini il  «processo  di  attuazione
della delega  con  quelli  di  formazione  del  personale  coinvolto»
(lettera c); alla individuazione di uffici giudiziari e tipologie  di
atti per cui possano essere adottate anche modalita' non  telematiche
di  deposito,  comunicazione  o  notificazione  (lettera   d);   alla
predisposizione  di  un'apposita   regolamentazione   dei   casi   di
malfunzionamento dei sistemi informatici  dei  domini  del  Ministero
della  giustizia  (lettera  e);   alla   previsione   di   «soluzioni
tecnologiche  che  assicurino  la  generazione  di  un  messaggio  di
avvenuto perfezionamento del deposito» (lettera f). 
    La legge delega detta, inoltre,  articolati  principi  e  criteri
direttivi in materia di modifica della disciplina del codice di  rito
relativa  alle  notificazioni,  anche  con  riguardo  alle  notifiche
telematiche all'imputato (art. 1, comma 6, della  legge  n.  134  del
2021). 
    3.-  Tanto  premesso  in  relazione   al   quadro   normativo   e
giurisprudenziale che fa da sfondo alle questioni sollevate  dal  GUP
del Tribunale di Messina, va subito precisato che  non  e'  rilevante
per lo scrutinio delle questioni stesse lo ius  superveniens  (supra,
punto 2.4.) che ha  oggi  reso  possibili  i  depositi  telematici  e
l'invio di atti, documenti e istanze via PEC da parte  dei  difensori
durante la pandemia da COVID-19. L'ordinanza di rimessione  e'  stata
infatti depositata il 28 novembre 2018,  e  il  giudice  a  quo  deve
valutare  la  ritualita'  della  notifica  via  PEC  effettuata   dal
difensore dell'imputato  con  riferimento  alla  normativa  all'epoca
vigente, secondo il principio tempus regit actum che opera in materia
processuale. 
    4.- Devono ora essere esaminate le eccezioni di  inammissibilita'
sollevate dall'Avvocatura generale dello Stato. 
    4.1.- La difesa erariale ha eccepito il  difetto  di  motivazione
sulla rilevanza  delle  questioni,  dal  momento  che  il  rimettente
avrebbe omesso di verificare  la  tempestivita'  della  richiesta  di
interrogatorio ex art. 415-bis, comma 3, cod. proc.  pen.,  trasmessa
via PEC dal difensore; verifica che sarebbe preliminare rispetto alla
valutazione  di  nullita'  del   rinvio   a   giudizio   per   omesso
interrogatorio dell'indagato. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    E' ben vero che, secondo il disposto dell'art. 416, comma 1, cod.
proc. pen., la declaratoria di nullita' della richiesta di  rinvio  a
giudizio  per  omissione  dell'invito  a  presentarsi   per   rendere
l'interrogatorio presuppone  che  quest'ultimo  sia  stato  richiesto
«entro il termine di cui all'articolo 415-bis, comma 3» (venti giorni
dalla  notificazione  dell'avviso  di  conclusione   delle   indagini
preliminari). Ma  e'  evidente  che  l'affermazione  del  rimettente,
secondo cui la decisione sulla ritualita' della trasmissione via  PEC
della  richiesta  di  interrogatorio  e'  preliminare  rispetto  alla
delibazione  dell'eccezione  di  nullita'  del  rinvio  a   giudizio,
sottende una implicita positiva valutazione  circa  la  tempestivita'
della richiesta stessa. 
    4.2.- L'Avvocatura generale  dello  Stato  ha  altresi'  eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni  per  omesso   esperimento   del
tentativo di interpretazione conforme della  disposizione  censurata.
Il rimettente avrebbe potuto applicare anche al  caso  di  specie  il
principio affermato da alcune pronunce di legittimita', secondo  cui,
pur essendo precluso alle parti private l'uso dei  mezzi  tecnici  di
cui all'art. 418-ter (recte:  148,  comma  2-bis)  cod.  proc.  pen.,
l'irregolare notificazione di  un  atto  via  PEC  non  ne  determina
l'assoluta irricevibilita' ne'  l'inesistenza,  ma  pone  soltanto  a
carico di colui che ha adoperato  il  mezzo  tecnico  non  consentito
l'onere  di  appurare  che  l'atto  sia  pervenuto  nella  sfera   di
conoscenza del destinatario (sono citate Corte di cassazione, sezione
prima penale, sentenza 16 novembre 2017-17  gennaio  2018,  n.  1904;
sezione seconda penale, sentenza 16 maggio 2017, n. 31314). 
    Nemmeno questa eccezione e' fondata. 
    Le  sentenze  richiamate  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato
riguardano  rispettivamente  la  trasmissione  via  PEC  alla   corte
d'appello di una  richiesta  di  rinvio  dell'udienza  per  legittimo
impedimento  dell'imputato  (sentenza  n.  31314  del  2017)   e   la
trasmissione  via  telefax,  sempre  alla  corte  d'appello,  di  una
richiesta  di  rinvio  dell'udienza  per  legittimo  impedimento  del
difensore (sentenza n. 1904 del  2018).  Tali  fattispecie  non  sono
pero'   assimilabili   alla   trasmissione   della    richiesta    di
interrogatorio ex art. 415-bis, comma 3,  cod.  proc.  pen.,  se  non
altro in quanto, per espressa previsione dell'art. 420-ter, commi  1,
2 e 5, cod. proc.  pen.,  il  giudice  in  udienza  e'  tenuto  anche
d'ufficio a prendere atto dell'esistenza di un legittimo  impedimento
a comparire dell'imputato o del  difensore,  allorche'  in  qualsiasi
modo «risulta» (commi 1 e 5) o anche solo «appare  probabile»  (comma
2) che l'assenza sia dovuta ad assoluta impossibilita'  di  comparire
per caso fortuito, forza maggiore o altro  legittimo  impedimento,  e
dunque anche  in  assenza  di  formale  comunicazione  da  parte  del
difensore dell'impedimento. 
    La stessa sentenza n.  31314  del  2017,  invocata  dalla  difesa
statale, ribadisce d'altra parte il principio generale -  applicabile
prima dell'entrata in vigore della normativa emergenziale legata alla
pandemia da COVID-19 - secondo cui, nel processo penale,  alle  parti
private non era consentito effettuare comunicazioni, notificazioni ed
istanze  mediante  l'utilizzo  della  PEC;  principio   costantemente
applicato dalla giurisprudenza di legittimita',  che  aveva  altresi'
escluso, con riferimento alla finitima  materia  delle  comunicazioni
del  giudice  al  pubblico  ministero  (art.  153,   comma   2),   la
possibilita' di utilizzare la PEC, proprio  in  ragione  del  mancato
richiamo dell'art. 153 da parte dell'art. 16, commi 4  e  9,  lettera
c-bis), del d.l. n. 179 del 2012 (Corte di cassazione, sezione quinta
penale, sentenza 14 novembre 2018-23 gennaio 2019, n. 3181). 
    Va soggiunto che non sembrano consentire  un'interpretazione  nel
senso dell'ammissibilita' dell'uso della PEC, nel caso sottoposto  al
rimettente, nemmeno  le  pronunce  di  legittimita'  secondo  cui  la
richiesta di interrogatorio formulata  ai  sensi  dell'art.  415-bis,
comma 3, cod. proc. pen. puo' essere trasmessa al pubblico  ministero
anche  mediante  telegramma  o  lettera  raccomandata,   purche'   la
sottoscrizione sia autenticata dal  difensore  o  da  altro  pubblico
ufficiale abilitato  (Corte  di  cassazione,  sezione  sesta  penale,
sentenza 18 settembre 2018, n. 50087; sezione terza penale,  sentenza
2 dicembre 2008-20 gennaio 2009, n. 2109), atteso che dette  sentenze
hanno  in  sostanza  fatto  applicazione  della  disciplina  prevista
dall'art. 583 cod. proc. pen. per la spedizione  delle  impugnazioni;
spedizione che la stessa giurisprudenza  di  legittimita'  ha  sempre
escluso potesse avvenire via PEC (supra, punto 2.3.). 
    A  fronte  di  questo  quadro  normativo   e   giurisprudenziale,
correttamente  il  rimettente  si  e'  attenuto   al   «principio   -
ripetutamente affermato da questa Corte - secondo il quale l'onere di
interpretazione conforme viene meno, lasciando il passo all'incidente
di   costituzionalita',   allorche'   il   tenore   letterale   della
disposizione non consenta tale interpretazione» (sentenza n. 221  del
2019, nonche', da ultimo, sentenze n. 34 e n. 19 del 2022). 
    5.- Le questioni sono  tuttavia  inammissibili  per  una  diversa
ragione. 
    5.1.- E' innegabile che  dal  quadro  normativo  precedente  alla
legislazione emergenziale del 2020, poc'anzi ricostruito, trasparisse
una evidente disparita' di trattamento  tra  le  parti  del  processo
penale. 
    Al pubblico ministero era  infatti  consentito  in  via  generale
l'uso della PEC per le notificazioni  al  difensore  dell'imputato  o
indagato, laddove analoga possibilita' era preclusa al difensore  per
le notificazioni al pubblico ministero. 
    E cio' ancorche' il difensore fosse gia' tenuto a dotarsi di  PEC
e a comunicare il proprio indirizzo all'Ordine di appartenenza  (art.
16, comma 7, del decreto-legge 29  novembre  2008,  n.  185,  recante
«Misure urgenti per il sostegno a  famiglie,  lavoro,  occupazione  e
impresa e per ridisegnare in funzione anti-crisi il quadro strategico
nazionale», convertito, con modificazioni,  nella  legge  28  gennaio
2009, n. 2), nonche' ad adempiere ai doveri di corretta  manutenzione
della propria casella di  posta  elettronica  certificata,  delineati
dall'art. 20 del d.m. n. 44 del 2011 (Corte  di  cassazione,  sezione
terza penale, sentenza 18 giugno 2018, n. 51464), onde poter ricevere
le notificazioni dell'autorita' giudiziaria. Al punto che, in difetto
di istituzione o comunicazione dell'indirizzo di PEC, ovvero in  caso
di mancata consegna del messaggio di PEC  proveniente  dall'autorita'
giudiziaria per cause imputabili al destinatario, le notificazioni al
difensore  erano  eseguite  «esclusivamente  mediante   deposito   in
cancelleria» (art. 16, comma 6, del d.l. n. 179 del 2012). 
    5.2.- Una tale disparita'  di  trattamento  non  poteva,  d'altra
parte, ritenersi sorretta da ragionevoli giustificazioni. 
    Vero e' che, secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,
«nel processo penale, il principio di parita' tra accusa e difesa non
comporta necessariamente l'identita' tra  i  poteri  processuali  del
pubblico ministero e quelli dell'imputato: potendo una disparita'  di
trattamento "risultare giustificata, nei limiti della ragionevolezza,
sia dalla peculiare posizione istituzionale del  pubblico  ministero,
sia dalla funzione allo stesso affidata,  sia  da  esigenze  connesse
alla corretta amministrazione della giustizia"» (sentenza n.  34  del
2020, e ivi numerosi precedenti citati). 
    E  vero  e',  altresi',  che  tra  queste  esigenze,   idonee   a
giustificare una transitoria differenza di trattamento  tra  pubblico
ministero e  difensore,  ben  potevano  annoverarsi  -  allorche'  il
legislatore introdusse, con il d.l. n. 179  del  2012,  le  notifiche
telematiche al difensore - le difficolta' tecniche,  per  gli  uffici
del pubblico ministero, legate alla gestione di  un  gran  numero  di
comunicazioni via  PEC,  con  conseguente  necessita'  di  monitorare
continuamente le caselle di posta  elettronica  e  -  in  assenza  di
fascicoli digitalizzati - di  stampare,  registrare  e  inserire  nei
fascicoli cartacei i documenti inviati dai difensori. 
    Cionondimeno, tali indubbie difficolta' avrebbero potuto e dovuto
essere affrontate - nell'arco dei ben sei anni trascorsi tra il  d.l.
n. 179 del 2012 e l'ordinanza di  rimessione  -  attraverso  appositi
accorgimenti tecnici e organizzativi, come quelli posti in essere con
immediatezza non appena scoppiata la  pandemia  da  COVID-19  (supra,
punto 2.4.). Il che avrebbe evitato  il  verificarsi,  nel  2018,  di
situazioni singolari come quella, realizzatasi nel giudizio a quo, di
un difensore che riceve legittimamente dal pubblico ministero via PEC
la notifica dell'avviso di conclusione delle indagini  preliminari  a
carico del proprio assistito, ai sensi dell'art. 415-bis  cod.  proc.
pen., e che si trova pero' nell'impossibilita' di rispondere  con  la
medesima modalita' al pubblico ministero, per  esercitare  una  delle
piu'  importanti  facolta'   -   la   richiesta   di   interrogatorio
dell'indagato - previste dallo stesso art. 415-bis. 
    Questo   ritardo   nell'adeguamento   della    normativa    sulle
notificazioni e comunicazioni al  pubblico  ministero  all'evoluzione
tecnologica  si  e'  tradotto,  d'altra  parte,  in  un   pregiudizio
significativo a carico del difensore  e  dello  stesso  imputato.  In
effetti, la facolta' di utilizzare lo  strumento  telematico  per  le
proprie notificazioni e comunicazioni e' funzionale  a  una  maggiore
effettivita' del diritto di difesa, che l'ordinamento ha il dovere di
garantire e di promuovere in forza dell'art. 24, secondo comma, Cost.
Notificare un atto via PEC dal proprio studio professionale  comporta
evidentemente un significativo risparmio di tempi e di costi non solo
rispetto all'ordinario procedimento tramite ufficiale giudiziario, ma
anche rispetto alla pur semplificata modalita' prevista dall'art. 153
cod. proc. pen., rappresentata dal deposito di copia dell'atto  nella
segreteria del pubblico ministero, dal  momento  che  tale  attivita'
presuppone pur sempre l'accesso a un ufficio  che  potrebbe  trovarsi
anche a grande distanza dallo studio del difensore,  con  conseguente
necessita' per quest'ultimo di munirsi di un procuratore in  loco,  e
per l'imputato di accollarsi i costi relativi (sull'effettivita'  del
diritto di difesa ex art. 24 Cost., sentenza n. 18  del  2022,  punto
4.4. del Considerato in diritto, in fine; sentenza n.  10  del  2022,
punto 9.2. del Considerato in diritto,  e  ulteriori  precedenti  ivi
citati). 
    5.3.-   Tuttavia,   l'auspicata   pronuncia   di   illegittimita'
costituzionale   della   disposizione   censurata   rischierebbe   di
determinare essa stessa nuove disarmonie e incongruenze. 
    Anzitutto, va considerato che l'introduzione della facolta',  per
le parti e i  difensori,  di  effettuare  notificazioni  al  pubblico
ministero  tramite  PEC  presuppone  una   complessa   attivita'   di
normazione primaria  e  secondaria,  volta  a  creare  le  condizioni
pratiche perche' tale facolta' possa essere utilmente esercitata.  E'
necessario, tra l'altro, assicurare  il  corretto  funzionamento  dei
servizi di ricezione delle notificazioni telematiche da  parte  degli
uffici giudiziari; stabilire le caratteristiche tecniche  degli  atti
da notificare; disciplinare le modalita' di attestazione  della  loro
spedizione e  ricevimento;  gestire  la  fase  di  transizione  dalle
notifiche  tradizionali  a  quelle  telematiche   e   la   necessaria
formazione del personale degli uffici giudiziari. Il tutto  nel  piu'
ampio contesto della realizzazione di un processo penale  telematico,
nel quale il legislatore e' altresi' chiamato a scegliere, in radice,
se la modalita' di trasmissione  degli  atti  di  parte  al  pubblico
ministero durante le indagini preliminari  debba  essere  individuata
nella PEC, o in altro strumento telematico - come  avvenuto,  durante
l'emergenza pandemica, in relazione all'uso del «portale del processo
penale telematico» (PPPT) di cui all'art. 24, commi 1 e 2,  del  d.l.
n. 137 del 2020 (supra, punto 2.4.3.). 
    Tutti cio' esorbita, ovviamente, dai poteri di questa Corte,  che
potrebbe unicamente limitarsi a introdurre, con la propria pronuncia,
una nuova modalita'  a  disposizione  dei  difensori  per  effettuare
notificazioni o comunicazioni  al  pubblico  ministero,  senza  poter
pero' assicurare il corretto funzionamento dei  flussi  comunicativi:
obiettivo,  quest'ultimo,  per  realizzare  il  quale   sono   invece
necessari   interventi   legislativi   e   regolamentari   ad    hoc,
caratterizzati   peraltro   da    ampia    discrezionalita'    quanto
all'individuazione di «modi, condizioni e termini» (sentenza  n.  146
del 2021). 
    D'altra parte,  questa  Corte  non  puo'  non  tenere  conto  del
mutamento del quadro  normativo  intervenuto  nel  lunghissimo  lasso
temporale  che  separa  l'ordinanza  di  rimessione  dalla   presente
decisione, causato - per  ironia  della  sorte  -  dalle  difficolta'
incontrate dalla cancelleria  del  giudice  a  quo  nell'eseguire  le
prescritte notificazioni e comunicazioni al Presidente del  Consiglio
dei ministri e ai Presidenti delle due Camere. Le modifiche normative
fanno si' che la richiesta del giudice a quo di introdurre  nell'art.
153 cod. proc. pen.  la  facolta'  per  il  difensore  di  effettuare
notifiche e comunicazioni al pubblico ministero via PEC sia ormai  in
conflitto con la diversa scelta compiuta dal legislatore del 2020  di
prevedere - quanto meno sino al  31  dicembre  2022  -  che  memorie,
documenti, richieste e istanze del difensore  al  pubblico  ministero
(compresa quella di interrogatorio dell'indagato ai  sensi  dell'art.
415-bis, comma 3, cod. proc. pen.) siano  depositati  sul  menzionato
portale del processo penale telematico (PPPT), anziche' -  appunto  -
inviati mediante PEC. 
    Infine, l'intervento richiesto ora a questa Corte inevitabilmente
si sovrapporrebbe in maniera disorganica all'esercizio  della  delega
di cui all'art. 1, commi  5  e  6,  della  legge  n.  134  del  2021,
finalizzata a  introdurre  una  compiuta  e  stabile  disciplina  del
processo penale telematico. 
    5.4.-  Di  qui  l'inammissibilita'  delle  questioni  prospettate
(sulla inammissibilita' della questione, laddove il rimedio al vulnus
riscontrato richieda  interventi  normativi  di  sistema,  implicanti
scelte di  fondo  tra  opzioni  alternative  rientranti  tutte  nella
discrezionalita' del legislatore, sentenze n. 259, n. 240, n. 146, n.
103, n. 33 e n. 32 del 2021, n. 250 del 2018 e n. 252 del 2012). 
    Al contempo, questa Corte non puo', pero', esimersi dal formulare
il pressante auspicio che il Governo  dia  puntuale  attuazione  alla
delega conferitagli dall'art. 1, commi 5 e 6, della legge n. 134  del
2021, confermando cosi' anche  per  il  futuro  la  facolta'  per  il
difensore di giovarsi di modalita' telematiche per l'effettuazione di
notificazioni e depositi  presso  l'autorita'  giudiziaria.  Cio'  in
coerenza  con  il   dovere   costituzionale   di   assicurare   piena
effettivita'  al  diritto  di   difesa,   e   assieme   di   superare
definitivamente l'irragionevole disparita' di trattamento  tra  parte
pubblica e privata ravvisata, a ragione, dal giudice rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale  dell'art.  153  del  codice  di   procedura   penale,
sollevate, in riferimento agli artt. 3,  24,  secondo  comma,  e  111
della  Costituzione,  dal  Giudice   dell'udienza   preliminare   del
Tribunale ordinario di Messina con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA