N. 105 SENTENZA 9 marzo - 22 aprile 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati  e  pene  -  Modifiche  al   codice   penale   -   Utilizzo   o
  somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine di alterare
  le prestazioni agonistiche degli  atleti  -  Inserimento,  mediante
  decreto legislativo, del dolo specifico di alterare le  prestazioni
  agonistiche degli atleti - Violazione dei limiti posti dalla  legge
  delega - Illegittimita' costituzionale parziale. 
- Codice penale, art. 586-bis, comma settimo, introdotto dall'art. 2,
  comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21. 
- Costituzione, art. 76. 
(GU n.17 del 27-4-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,
  Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria
  SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 586-bis  del
codice penale, come introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera d),  del
decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21,  recante  «Disposizioni  di
attuazione del principio di delega  della  riserva  di  codice  nella
materia penale a norma dell'articolo 1, comma 85, lettera  q),  della
legge 23 giugno 2017, n. 103», promossi dal  Tribunale  ordinario  di
Busto Arsizio con ordinanza del 14 ottobre  2020  e  dalla  Corte  di
cassazione, sezione terza penale,  con  ordinanza  del  21  settembre
2020, iscritte  rispettivamente  ai  numeri  36  e  45  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 13 e 16, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Udito nella camera di consiglio  del  9  marzo  2022  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 marzo 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 settembre 2020 (r. o. n. 45 del 2021) la
Corte di cassazione, sezione terza penale, ha sollevato questione  di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.   76   della
Costituzione,  dell'art.  586-bis  del  codice  penale  (Utilizzo   o
somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine  di  alterare
le prestazioni agonistiche degli  atleti),  introdotto  dall'art.  2,
comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1° marzo  2018,  n.  21,
recante «Disposizioni di attuazione del  principio  di  delega  della
riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma
85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103», nella  parte  in
cui - sostituendo l'art. 9 della legge  14  dicembre,  2000,  n.  376
(Disciplina della tutela sanitaria delle attivita' sportive  e  della
lotta contro il doping), abrogato dall'art. 7, comma l,  lettera  n),
del medesimo d.lgs. n. 21 del 2018 - prevede, al  settimo  comma,  il
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    1.1.- La Corte  di  cassazione  premette  di  dover  decidere  il
ricorso proposto avverso la sentenza della Corte di appello di  Lecce
che ha confermato la decisione del Giudice per l'udienza  preliminare
del  Tribunale  ordinario  di  Brindisi   il   quale,   ritenuta   la
continuazione, aveva condannato G. B. alla pena di un  anno  e  dieci
mesi di reclusione e sei mila euro di multa, in ordine  ai  reati  di
cui agli artt. 81, 110, 476, 482 cod. pen., e all'art.  9,  comma  7,
della legge n. 376 del 2000, «per  avere  commercializzato,  mediante
consegna a numerosi soggetti praticanti  l'attivita'  del  culturismo
che frequentavano la palestra di cui era titolare  -  due  dei  quali
partecipanti  a  gare  pubbliche  di  body  building  -,  specialita'
medicinali ad azione anabolizzante attraverso canali non ufficiali  e
ottenute mediante la predisposizione di ricette mediche falsificate». 
    La Corte rimettente evidenzia che l'imputato, per il tramite  del
difensore, ha proposto quattro motivi di ricorso. 
    In primo luogo, e' stata dedotta  la  violazione  dell'art.  606,
comma 1, lettera b), del codice di  procedura  penale,  in  relazione
all'art. 546, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., perche' la  Corte
territoriale avrebbe erroneamente  rigettato  il  motivo  di  appello
concernente la carenza di un'autonoma motivazione degli  elementi  di
prova da parte del giudice di primo grado; con il secondo motivo,  e'
stata denunciata la violazione dell'art. 606, comma 1, lettere b)  ed
e), cod. proc. pen., avendo  il  giudice  dell'appello  ravvisato  il
reato di commercio di prodotti  anabolizzanti,  di  cui  all'art.  9,
comma 7, della legge n. 376 del 2000, mentre alla luce del  materiale
probatorio raccolto avrebbe dovuto ritenere sussistente, al piu',  la
meno grave fattispecie di cui al comma 1 del medesimo art. 9; con  il
terzo motivo e' stata eccepita la violazione dell'art. 606, comma  1,
lettere b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 476  e  82
cod. pen.; infine, con il quarto motivo, l'imputato  ha  allegato  la
violazione dell'art. 606, comma l, lettere b) ed e), cod. proc. pen.,
in riferimento agli artt. 62-bis e 133 cod. pen., perche' la Corte di
appello avrebbe erroneamente negato l'applicazione delle  circostanze
attenuanti generiche. 
    La Corte rimettente riferisce che il primo ed il terzo motivo  di
ricorso non sono fondati e, quanto allo scrutinio del secondo  e  del
quarto, afferma che e' pregiudiziale la soluzione della questione  di
legittimita' costituzionale. 
    In particolare, in relazione alla seconda censura,  la  Corte  di
cassazione premette che i reati di cui all'art. 9, commi 1 e 7, della
legge n. 376 del 2000, ferma restando  l'identita'  dell'oggetto  del
reato, ossia le sostanze dopanti, si differenziavano, prima che fosse
disposta la loro abrogazione, sia per la condotta - il  commercio  in
un caso, il procurare ad altri, somministrare,  assumere  o  favorire
nell'altro caso - sia per la presenza, nella sola ipotesi  del  comma
l,  del  dolo  specifico  del  «fine  di  alterare   le   prestazioni
agonistiche degli atleti». 
    Nell'ordinanza si rileva, infatti, che l'art. 9  della  legge  n.
376 del 2000 e' stato abrogato dall'art. 7, comma 1, lettera n),  del
d.lgs.  n.  21  del  2018  e,  parallelamente,  in  applicazione  del
principio della «riserva di codice», introdotto nell'art. 3-bis  cod.
pen., l'art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 21  del  2018,  ha
inserito le disposizioni gia' contenute nell'art. 9  della  legge  n.
376 del 2000 nel nuovo art. 586-bis cod. pen.,  ora  rubricato,  come
detto, «Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze al
fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    In particolare, la Corte rimettente osserva che il settimo  comma
dell'art. 586-bis cod. pen.,  pur  comminando  la  medesima  sanzione
della reclusione da due a sei anni e la multa da 5.164 a 77.468 euro,
incrimina la  condotta  di  «[c]hiunque  commercia  i  farmaci  e  le
sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi  nelle
classi indicate  dalla  legge,  che  siano  idonei  a  modificare  le
condizioni psicofisiche  o  biologiche  dell'organismo,  al  fine  di
alterare le prestazioni agonistiche  degli  atleti  ovvero  idonei  a
modificare i risultati dei  controlli  sull'uso  di  tali  farmaci  o
sostanze,  attraverso  canali  diversi  dalle  farmacie   aperte   al
pubblico,  dalle  farmacie  ospedaliere,  dai  dispensari  aperti  al
pubblico e dalle altre strutture che detengono  farmaci  direttamente
destinati alla utilizzazione sul paziente». 
    Quanto al primo comma dell'art. 586-bis cod. pen., il  rimettente
rileva che  la  disposizione  e'  rimasta  sostanzialmente  identica,
essendo  state  inserite  soltanto  le  parole  «dalla   legge»,   in
sostituzione di quelle «all'articolo 2, comma 1». 
    Invece, con riferimento alla condotta di  commercio  di  sostanze
dopanti, non vi sarebbe piena coincidenza tra la fattispecie  di  cui
all'abrogato art. 9, comma 7, della legge n. 376 del  2000  e  quella
oggetto di incriminazione di cui  all'art.  586-bis,  settimo  comma,
cod. pen., in quanto quest'ultima contempla  il  dolo  specifico  del
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»,  oltre  a
prevedere la condotta di commercio di sostanze idonee a modificare  i
risultati dei controlli antidoping, ipotesi che pero', ad avviso  del
rimettente, non assume rilevanza nel giudizio a quo. 
    La previsione del dolo  specifico  rappresenterebbe,  quindi,  un
filtro selettivo della rilevanza penale della condotta  di  commercio
di sostanze dopanti che, ora, e' punita solo ove l'agente abbia agito
con il fine  indicato,  non  essendo  richiesto  che  quel  fine  sia
effettivamente conseguito, come accade per i reati a dolo specifico. 
    Si sarebbe, pertanto, realizzata una parziale abolitio  criminis,
perche' la nuova disposizione  non  sanziona  piu'  il  commercio  di
sostanze dopanti qualora difetti il fine di alterare  le  prestazioni
agonistiche  degli  atleti;  ne'   puo'   trovare   applicazione   la
fattispecie del  comma  1,  la  quale  pur  esige  il  medesimo  dolo
specifico. 
    1.2.- In punto di  rilevanza,  la  Corte  rimettente,  dopo  aver
evidenziato che la Corte  territoriale,  con  motivazione  esente  da
illogicita' manifeste, aveva ravvisato una fattispecie  di  commercio
di sostanze dopanti, confermando la pronuncia impugnata, ha  altresi'
rilevato  che  il  giudice  di  appello  non  si  e'  avveduto  della
intervenuta modifica legislativa e,  dunque,  non  ha  verificato  la
sussistenza, o no, del dolo specifico, introdotto dall'art.  586-bis,
settimo comma, cod. pen.; disposizione questa  che,  restringendo  il
perimetro  della  punibilita',  avrebbe   dovuto   essere   applicata
retroattivamente perche' norma piu' favorevole. 
    A  tale  specifico  riguardo,  la  Corte  rimettente   evidenzia,
peraltro, che dalla sentenza impugnata e da  quella  di  primo  grado
emerge  il  difetto  di  tale  dolo  specifico  talche'  non  sarebbe
integrata la fattispecie penale in esame. 
    Consegue  da  cio'  che,  in  applicazione  della  nuova  e  piu'
favorevole fattispecie  incriminatrice,  l'imputato  dovrebbe  essere
assolto per difetto dell'elemento soggettivo. 
    1.3.- Cio'  precisato  in  punto  di  rilevanza,  ancora  in  via
preliminare, la Corte rimettente osserva che in  linea  di  principio
sono da ritenersi inammissibili le questioni di costituzionalita' che
riguardano disposizioni abrogative di una previgente incriminazione e
che mirano al ripristino nell'ordinamento della norma  incriminatrice
abrogata, ostandovi a cio' il principio di cui all'art.  25,  secondo
comma,  Cost.,  che  riserva  al  solo  legislatore  la   definizione
dell'area di cio' che e' penalmente rilevante. 
    Ma, osserva il rimettente, tale regola non  e'  assoluta  perche'
subisce alcune eccezioni e, tra queste, deve includersi l'ipotesi  in
cui sia censurato lo scorretto esercizio del  potere  legislativo  da
parte del Governo che abbia abrogato, mediante  decreto  legislativo,
una disposizione penale senza a cio' essere autorizzato  dalla  legge
delega (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 189  e  n.  37
del 2019). 
    1.4.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  Collegio
rimettente afferma, poi, che la parziale abrogatio criminis non trova
alcun riscontro nella delega conferita al Governo dall'art. 1,  comma
85, lettera q), della legge 23 giugno  2017,  n.  103  (Modifiche  al
codice penale,  al  codice  di  procedura  penale  e  all'ordinamento
penitenziario). 
    Ad avviso del giudice a quo, il  tenore  della  delega  aveva  il
chiaro senso di autorizzare il Governo a  trasferire,  in  attuazione
del principio della cosiddetta "riserva di codice",  all'interno  del
codice  penale  talune   figure   criminose   gia'   contemplate   da
disposizioni di legge, tra cui quelle aventi  ad  oggetto  la  tutela
della salute; cio' che e' infatti avvenuto inserendo  l'art.  586-bis
cod. pen., tra i delitti contro la vita e l'incolumita' individuale. 
    Una pluralita'  di  fattori  indicherebbe  che  l'intenzione  del
legislatore delegante fosse la mera traslazione della fattispecie  di
commercio di sostanze dopanti all'interno del codice penale. 
    Non solo verrebbe in rilievo l'identita' della pena comminata, ma
anche il disposto dell'art. 8 del d.lgs. n. 21  del  2018,  il  quale
stabilisce che «[d]alla  data  di  entrata  in  vigore  del  presente
decreto, i  richiami  alle  disposizioni  abrogate  dall'articolo  7,
ovunque  presenti,  si   intendono   riferiti   alle   corrispondenti
disposizioni del codice penale come indicato dalla tabella A allegata
al presente decreto». 
    La Corte rimettente evidenzia infatti che nella citata Tabella il
riferimento  all'art.  9  della  legge  n.  376   del   2000,   trova
corrispondenza nell'art. 586-bis  cod.  pen.,  con  cio'  confermando
l'assenza  di  un   intento   abrogativo   della   previgente   norma
incriminatrice. 
    Ma, rileva il rimettente, non vi e' piena corrispondenza  tra  le
due fattispecie di commercio illecito, in quanto  quella  contemplata
dall'art. 586-bis cod. pen., prevede il dolo specifico  del  fine  di
alterare le prestazioni agonistiche  degli  atleti,  senza  che  cio'
trovi legittimazione nella delega. 
    Tale  parziale  abolitio  criminis   risulterebbe,   dunque,   in
contrasto con la ratio della legge delega  perche'  il  bene  salute,
oggetto di tutela da parte dell'art. 586-bis cod pen.,  e'  messo  in
pericolo  dalla  mera  assunzione  di  sostanze  «dopanti»   e   cio'
indipendentemente dal fine di alterare  le  competizioni  agonistiche
degli atleti. 
    La disposizione censurata, a parere del rimettente,  finisce  con
rendere lecito  il  commercio  di  sostanze  dopanti  destinato  alla
cerchia degli sportivi che non gareggino in competizioni  agonistiche
e la cui salute verrebbe posta in pericolo, senza che tale scelta  di
politica criminale, gravida di conseguenze in relazione  alla  tutela
del bene che si vuole proteggere, quale e' la salute  delle  persone,
trovi la fonte di legittimazione nei  principi  e  criteri  direttivi
della norma di delega. 
    2.- Con ordinanza del 14 ottobre 2020 (r. o. n. 36 del 2021),  il
Tribunale ordinario di Busto Arsizio, in composizione monocratica, ha
parimenti sollevato, in riferimento all'art. 76 Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 586-bis,  settimo  comma,  cod.
pen., introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera d), del d.lgs.  n.  21
del 2018, nella parte in cui, sostituendo l'art. 9,  comma  7,  della
legge n. 376 del 2000, abrogato dall'art. 7, comma l, lettera n), del
medesimo d.lgs. n. 21 del 2018,  prevede  il  «fine  di  alterare  le
prestazioni agonistiche degli atleti». 
    2.1.- Il rimettente riferisce di procedere nei confronti  di  due
persone imputate dei reati  di  cui  agli  artt.  81,  110,  586-bis,
settimo comma,  cod.  pen.,  e  agli  artt.  55  e  147  del  decreto
legislativo  24  aprile  2006,  n.  219,  recante  «Attuazione  della
direttiva 2001/83/CE (e successive direttive di modifica) relativa ad
un codice comunitario concernente i medicinali  per  uso  umano»,  in
relazione  a  condotte  di  importazione  di   farmaci   e   sostanze
farmacologicamente o biologicamente  attive,  comprese  nelle  classi
indicate  dalla  legge  ed  idonee   a   modificare   le   condizioni
psico-fisiche o biologiche dell'organismo, preparati di cui  facevano
commercio, e analiticamente riportate nel capo di imputazione. 
    Il giudice a quo, dopo aver  dato  conto  dettagliatamente  degli
esiti dell'istruttoria dibattimentale, reputa che sia emersa la prova
degli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 586-bis, settimo
comma,  cod.  pen.,   come   configurati   secondo   la   consolidata
giurisprudenza di legittimita', ad eccezione del «fine di alterare le
prestazioni  agonistiche  degli  atleti»;  a  tal  riguardo  osserva,
peraltro, che l'elemento del dolo specifico e' stato introdotto nella
struttura della fattispecie in un momento successivo alla conclusione
delle indagini. 
    2.2.- In punto di rilevanza, il giudice a  quo  ritiene  che  nel
caso in cui la questione fosse  ritenuta  fondata,  venendo  meno  il
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti», il  reato
contestato dovrebbe ritenersi pienamente integrato, «con  conseguente
necessita' di condannare gli imputati»; nel caso  contrario,  invece,
«il reato non sarebbe  integrato,  con  conseguente  possibilita'  di
assolvere gli  stessi».  Da  cio'  l'impossibilita'  di  definire  il
processo  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale. 
    2.3.- In punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva che il reato di commercio di  sostanze  dopanti,  al  momento
della commissione del fatto, era previsto dall'art. 9, comma 7, della
legge n. 376 del 2000, il quale non prevedeva il dolo  specifico  del
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    Soltanto a seguito dell'abrogazione dell'art. 9  della  legge  n.
376 del 2000, da parte dell'art. 7, comma 1, lettera n),  del  d.lgs.
n. 21 del 2018, l'art. 586-bis cod.  pen.,  introdotto  dall'art.  2,
comma l, lettera d), del d.lgs. n.  21  del  2018,  ha  previsto,  al
settimo comma, il dolo specifico. 
    In particolare,  il  rimettente  rileva  che  in  attuazione  del
principio della «riserva di codice», enunciato dall'art. l, comma 85,
lettera q), della legge n. 103 del 2017 e  previsto  dall'art.  3-bis
cod. pen., al fine di soddisfare esigenze di maggior facilita'  nella
conoscenza della legge penale, il legislatore delegato ha  introdotto
nel codice penale l'art. 586-bis cod. pen. 
    Dal raffronto  delle  disposizioni,  ad  avviso  del  rimettente,
risulta che il legislatore delegato, oltre ad  aggiornare  il  rinvio
alle  classi  di  farmaci  e   di   sostanze   farmacologicamente   o
biologicamente attive previste dalla  legge  (e  non  piu'  a  quelle
previste dall'art. 2, comma 1) e convertire  la  pena  pecuniaria  in
euro,  modifiche  non  sostanziali  della  norma  incriminatrice,  ha
aggiunto ulteriori elementi costitutivi  nell'art.  586-bis,  settimo
comma, cod. pen., non previsti nel precedente art. 9 della  legge  n.
376 del  2000  in  quanto  racchiusi  nell'espressione  «al  fine  di
alterare le prestazioni agonistiche  degli  atleti  ovvero  idonei  a
modificare i risultati dei  controlli  sull'uso  di  tali  farmaci  o
sostanze». 
    Il  giudice  a  quo  rileva  che  con  tale  sostituzione   -   e
tralasciando l'elemento dell'idoneita' «a modificare i risultati  dei
controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze», perche' non rilevante
nel giudizio  a  quo  -  avrebbe  effettuato  una  parziale  abolitio
criminis, in quanto la previsione del dolo specifico avrebbe reso non
punibili  le  condotte  di  commercio   di   sostanze   dopanti   non
finalisticamente dirette ad alterare le prestazioni agonistiche degli
atleti; condotte che, invece, erano punibili ai  sensi  dell'art.  9,
comma 7, della legge n. 376 del 2000,  che  sanzionava  il  commercio
tout court di  sostanze  dopanti,  anche  se  diretto  agli  sportivi
amatoriali. 
    Tale scelta, ad  avviso  del  rimettente,  non  rispetterebbe  il
criterio direttivo contenuto nella legge delega, con il quale si  era
affidato al Governo, in attuazione del principio  della  «riserva  di
codice», il compito di inserire  nel  codice  penale  le  fattispecie
criminose previste da disposizioni di legge in vigore, e  tra  queste
quelle che avessero a diretto oggetto di tutela il bene della salute,
e non anche il potere  di  modificare  le  previsioni  incriminatrici
(sotto tale profilo e' richiamata la sentenza di questa Corte n.  189
del 2019). 
    Pertanto,  in  considerazione  del  fatto  che  il  commercio  di
sostanze dopanti era sanzionato a prescindere che fosse destinato  ad
alterare le prestazioni agonistiche degli atleti, venendo in  rilievo
la tutela della salute e non soltanto  quella  del  fair  play  nelle
manifestazioni sportive, il Governo avrebbe dovuto limitarsi al  mero
trasferimento nel codice  penale  del  reato  di  commercio,  di  cui
all'art. 9 della legge n. 376 del 2000. 
    Qualora tale fattispecie di reato avesse avuto  come  unico  bene
giuridico  tutelato  quello  del  fair  play   nelle   manifestazioni
sportive,  il  legislatore  delegato,  infatti,  non  avrebbe  potuto
trasporlo nel codice penale, non essendo tale ultimo  bene  giuridico
menzionato nella legge delega. 
    Osserva a tal proposito il rimettente che la tutela della  salute
ha, infatti, orientato la scelta del legislatore delegato di inserire
il reato di commercio di sostanze dopanti nel Libro II,  Titolo  XII,
Capo I, del codice penale, dedicato alle norme incriminatrici poste a
tutela della vita e dell'incolumita' individuale. 
    Pertanto, l'inserimento del  dolo  specifico  nell'art.  586-bis,
settimo comma, cod. pen., sarebbe idoneo a  trasformare  il  primario
bene giuridico tutelato da quello della salute a quello del fair play
nelle  manifestazioni  sportive,  con  cio'  determinando  l'abolitio
criminis del reato con riferimento a condotte di  commercializzazione
di sostanze dopanti non dirette ad atleti  impegnati  in  prestazioni
agonistiche. 
    A tal riguardo il giudice a quo rileva che anche dalla  Relazione
illustrativa dello schema di decreto legislativo recante disposizioni
di attuazione del principio della riserva di codice,  emerge  che  la
nuova norma incriminatrice di cui  all'art.  586-bis  cod.  pen.,  e'
posta a  tutela  della  salute,  bene  che,  invece,  e'  sacrificato
attraverso la limitazione della portata applicativa  della  norma  ai
soli contesti agonistici. 
    Alla luce  di  tali  considerazioni,  a  parere  del  rimettente,
sussisterebbe la violazione dell'art. 76 Cost. 
    Infine, il giudice  a  quo  si  sofferma  sulla  possibilita'  di
sollevare una  questione  di  costituzionalita'  che  possa  produrre
effetti in malam partem nei confronti degli imputati, in  quanto  ove
accolta  si  (ri)espanderebbe  la  portata  applicativa  della  norma
incriminatrice di cui all'art.  586-bis,  settimo  comma,  cod.  pen.
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 5 del 2014 e  n.  189
del 2019). Al riguardo il rimettente osserva che  i  fatti  di  causa
sono stati commessi antecedentemente alla riforma attuata dal  d.lgs.
n. 21 del 2018, durante la vigenza dell'art. 9, comma 7, della  legge
n. 376 del 2000, di talche' «non si porrebbe nemmeno un  problema  di
successione di leggi penali nel tempo»; nel  caso  in  cui  la  Corte
costituzionale   accogliesse    la    questione    di    legittimita'
costituzionale, l'art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., nella parte
in cui prevede il dolo specifico,  «risulterebbe  come  mai  esistito
nell'ordinamento ex art. 30 co. 3 l. n. 87/1953, inidoneo a  produrre
effetti su fatti verificatisi prima della sua entrata in vigore», con
la conseguenza che potrebbe, pertanto,  invocarsi  l'art.  2,  quarto
comma, cod. pen. (e' richiamata la sentenza di questa  Corte  n.  394
del 2006). 
    Infine, il rimettente afferma che il tenore  letterale  dell'art.
586-bis, settimo comma, cod. pen.,  non  consente  un'interpretazione
costituzionalmente conforme che possa ricondurre la norma  nell'alveo
del criterio direttivo della delega. 
    3.- In nessuno dei due  giudizi  incidentali  e'  intervenuto  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 settembre 2020 (r. o. n. 45  del  2021),
la Corte di cassazione, sezione terza penale, ha sollevato  questione
di legittimita' costituzionale,  in  riferimento  all'art.  76  della
Costituzione,  dell'art.  586-bis  del  codice  penale  (Utilizzo   o
somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine  di  alterare
le prestazioni agonistiche degli  atleti),  introdotto  dall'art.  2,
comma 1, lettera d), del decreto legislativo 1° marzo  2018,  n.  21,
recante «Disposizioni di attuazione del  principio  di  delega  della
riserva di codice nella materia penale a norma dell'articolo 1, comma
85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103», nella  parte  in
cui - sostituendo l'art. 9 della  legge  14  dicembre  2000,  n.  376
(Disciplina della tutela sanitaria delle attivita' sportive  e  della
lotta contro il doping), abrogato dall'art. 7, comma l,  lettera  n),
del medesimo d.lgs. n. 21 del 2018 - prevede, al  settimo  comma,  il
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    2.- Con ordinanza del 14 ottobre 2020 (r. o. n. 36 del 2021),  il
Giudice monocratico del Tribunale  ordinario  di  Busto  Arsizio  ha,
parimenti, sollevato, in riferimento allo stesso parametro  (art.  76
Cost.), analoga questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
586-bis, settimo comma, cod. pen., introdotto dall'art. 2,  comma  1,
lettera  d),  del  d.lgs.  n.  21  del  2018,  nella  parte  in  cui,
sostituendo l'art. 9, comma 7, della legge n. 376 del  200,  abrogato
dall'art. 7, comma 1, lettera n), del medesimo d.lgs. n. 21 del 2018,
prevede  il  «fine  di  alterare  le  prestazioni  agonistiche  degli
atleti». 
    3.- In via preliminare, deve disporsi la  riunione  dei  predetti
giudizi, atteso che le ordinanze di rimessione  sollevano  la  stessa
questione e si fondano su argomentazioni sostanzialmente comuni. 
    Entrambe le ordinanze, infatti,  censurano  l'art.  586-bis  cod.
pen. nella parte in cui, al settimo comma,  prevedendo  il  «fine  di
alterare  le   prestazioni   agonistiche   degli   atleti»,   avrebbe
determinato  una  parziale  abolitio  criminis,  in  violazione   dei
principi e criteri direttivi dettati dall'art. 1, comma  85,  lettera
q), della  legge  n.  103  del  2017,  secondo  cui  il  Governo,  in
attuazione del principio della «riserva di codice»,  era  delegato  a
trasferire all'interno del codice penale talune figure criminose gia'
contemplate da disposizioni  di  legge,  tra  cui  quelle  aventi  ad
oggetto la  tutela  della  salute  e,  non  anche,  a  modificare  le
fattispecie incriminatrici. 
    Secondo i giudici  a  quibus,  tale  parziale  abolitio  criminis
sarebbe in contrasto con l'art. 76  Cost.,  in  ragione  del  mancato
rispetto del criterio di delega che  non  autorizzava  una  riduzione
della fattispecie di reato nella sua trasposizione nel codice penale. 
    4.- Prima di passare all'esame delle censure, si rende  opportuna
la ricostruzione del quadro normativo  e  giurisprudenziale  nel  cui
ambito si collocano i reati di doping e, in  particolare,  quello  di
commercio illecito di sostanze dopanti. 
    4.1.- La prima regolamentazione penale del  fenomeno  del  doping
risale alla legge 26 ottobre 1971, n. 1099  (Tutela  sanitaria  delle
attivita' sportive), i cui artt. 3 e 4,  punivano,  con  la  sanzione
dell'ammenda,   le   condotte   consistenti    nell'impiego,    nella
somministrazione e, comunque, nel possesso di  sostanze,  individuate
con decreto del Ministro per la sanita', che fossero  nocive  per  la
salute e che  avessero  il  fine  di  modificare  artificialmente  le
energie naturali degli atleti. 
    Tali condotte sono state, poi, depenalizzate dall'art.  32  della
legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), che  ha
sostituito la pena dell'ammenda con la sanzione amministrativa. 
    Soltanto a distanza di anni, a fronte del crescente sviluppo  del
fenomeno  del  doping  e  dei  preoccupanti  rischi  per  la   salute
individuale  e  collettiva  derivanti  dall'utilizzo  delle  sostanze
dopanti, il legislatore, in esecuzione  degli  impegni  convenzionali
assunti con la ratifica della Convenzione contro il doping,  fatta  a
Strasburgo il 16 novembre 1989,  ratificata  con  legge  29  novembre
1995, n. 522, ha adottato la legge n. 376 del 2000; legge che  consta
di varie disposizioni le quali, ad eccezione di quella  di  rilevanza
penale  di  cui  all'indicato  art.  9,  non   sono   state   oggetto
dell'abrogazione prevista dal d.lgs. n. 21 del 2018 e, pertanto, sono
tuttora vigenti. 
    La ratio complessiva sottesa alla legge  in  esame  e'  enunciata
dall'art. 1, comma 1, secondo cui «[l]'attivita' sportiva e'  diretta
alla promozione della salute individuale e collettiva e  deve  essere
informata al rispetto dei  principi  etici  e  dei  valori  educativi
richiamati dalla Convenzione contro il doping, con appendice, fatta a
Strasburgo il 16 novembre 1989, ratificata ai sensi  della  legge  29
novembre 1995, n. 522». 
    Il comma 2, che qui particolarmente rileva, reca  la  definizione
di doping, stabilendo che «[c]ostituiscono doping la somministrazione
o  l'assunzione  di  farmaci   o   di   sostanze   biologicamente   o
farmacologicamente attive e l'adozione o la sottoposizione a pratiche
mediche non  giustificate  da  condizioni  patologiche  ed  idonee  a
modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo  al
fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    E, ai sensi del comma 3, costituiscono doping, in quanto ad  esso
equiparate, anche «la  somministrazione  di  farmaci  o  di  sostanze
biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione  di  pratiche
mediche non giustificate da  condizioni  patologiche,  finalizzate  e
comunque idonee a modificare i risultati dei controlli  sull'uso  dei
farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2». 
    Questa duplice definizione dei commi 2 e 3 dell'art. 1 trova  poi
una  ulteriore  e  piu'  specifica  perimetrazione  e   articolazione
nell'art. 2, rubricato «Classi delle sostanze dopanti»,  che  riveste
un ruolo fondamentale nella disciplina del doping  perche'  chiarisce
che «[i] farmaci, le  sostanze  biologicamente  o  farmacologicamente
attive e le pratiche mediche, il cui impiego e' considerato doping  a
norma dell'articolo 1, sono ripartiti [...] in classi di farmaci,  di
sostanze o di pratiche mediche approvate  con  decreto  del  Ministro
della sanita', d'intesa con il Ministro per i  beni  e  le  attivita'
culturali, su proposta della  Commissione  per  la  vigilanza  ed  il
controllo sul doping e per la tutela  della  salute  nelle  attivita'
sportive di cui all'articolo 3». 
    Come risulta dai successivi commi dell'art. 2, la ripartizione in
classi delle sostanze dopanti e' fatta sulla  base  delle  rispettive
caratteristiche chimico-farmacologiche,  mentre  la  ripartizione  in
classi  delle  pratiche  mediche  e'  determinata  sulla   base   dei
rispettivi effetti fisiologici; si  tratta  di  classi  sottoposte  a
revisione periodica. 
    La legge in esame, ai sensi dell'art. 3, assegna il  compito  del
contrasto all'utilizzazione delle sostanze dopanti in ambito sportivo
alla «Commissione per la vigilanza ed il controllo sul doping  e  per
la  tutela  della  salute   nelle   attivita'   sportive»,   la   cui
composizione, insieme con le procedure di designazione dei componenti
e le attivita' ad essa assegnate, ne connotano il fondamentale  ruolo
in tale settore. 
    In tale ruolo  di  vigilanza,  la  Commissione  si  avvale  anche
dell'attivita' dei «Laboratori» che svolgono lo  specifico  controllo
sanitario sull'attivita' sportiva, secondo quanto stabilito dall'art.
4. 
    Tralasciando l'art. 5, che assegna alle Regioni la competenza  in
tema di programmazione delle attivita' di prevenzione e tutela  della
salute nelle attivita' sportive, particolare importanza riveste  pure
l'art. 6, il quale consente di stabilire  sanzioni  disciplinari  nei
confronti degli atleti tesserati,  anche  nel  caso  in  cui  abbiano
assunto o somministrato o effettuato pratiche  mediche  non  presenti
nella lista approvata con  decreto  ministeriale,  a  condizione  che
dette sostanze o  pratiche  «siano  considerate  dopanti  nell'ambito
dell'ordinamento internazionale vigente». 
    L'esigenza di assicurare  un'ampia  vigilanza  sul  fenomeno  del
doping in ambito  sportivo,  sotto  il  profilo  della  tutela  della
salute, e' garantita anche dall'art. 7, il  quale  prevede  l'obbligo
per i produttori, gli importatori e i distributori di farmaci vietati
dal Comitato internazionale olimpico o contenuti nelle  classi  delle
sostanze dopanti, di trasmettere al Ministero della  sanita'  i  dati
relativi alle quantita' prodotte, importate, distribuite  e  vendute;
e, nella medesima  direzione  della  salvaguardia  della  incolumita'
della persona, si muove anche la previsione dell'obbligo, per le case
farmaceutiche,  di  indicare  sul  prodotto  la  natura  dopante  del
farmaco. 
    Il Ministro  della  sanita',  ai  sensi  dell'art.  8,  deve  poi
riferire annualmente al Parlamento sullo stato  di  attuazione  della
legge e sull'attivita' svolta dalla Commissione. 
    4.2.- Passando ora  alle  disposizioni  di  natura  penale,  deve
rilevarsi che,  a  completamento  della  organica  disciplina  finora
descritta, l'art. 9, prima  dell'abrogazione  disposta  dall'art.  7,
comma 1, lettera n), del d.lgs. n. 21 del  2018,  prevedeva  distinte
fattispecie di reato, poi oggetto di trasposizione nel codice penale. 
    In particolare, l'art. 9, comma 1, puniva,  salvo  che  il  fatto
costituisse piu' grave reato, con la reclusione da  tre  mesi  a  tre
anni e con la multa da euro 2.582 a euro 51.645  «[c]hiunque  procura
ad altri, somministra, assume  o  favorisce  comunque  l'utilizzo  di
farmaci o di sostanze  biologicamente  o  farmacologicamente  attive,
ricompresi nelle classi previste all'articolo 2,  comma  1,  che  non
siano  giustificati  da  condizioni  patologiche  e  siano  idonei  a
modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al
fine di alterare le  prestazioni  agonistiche  degli  atleti,  ovvero
siano diretti a modificare i risultati dei controlli sull'uso di tali
farmaci o sostanze». 
    E,  ai  sensi  del  comma  2,  la  medesima  pena  si  applicava,
sempreche' il fatto non costituisse piu' grave reato, a «chi adotta o
si sottopone alle pratiche mediche ricomprese nelle  classi  previste
all'articolo 2, comma 1, non giustificate da  condizioni  patologiche
ed idonee  a  modificare  le  condizioni  psicofisiche  o  biologiche
dell'organismo, al fine di alterare le prestazioni agonistiche  degli
atleti ovvero dirette a modificare  i  risultati  dei  controlli  sul
ricorso a tali pratiche». 
    Nei primi due commi dell'art. 9 il  legislatore  aveva  previsto,
quindi, le meno gravi fattispecie di reato che, ricomprendendo  nella
descrizione dell'elemento oggettivo la definizione di doping indicata
dall'art. 1, commi 2 e 3, della legge n. 376 del  2000,  da  un  lato
incriminavano, «salvo che il fatto costituisca piu' grave reato»,  le
condotte di "etero doping" e di "doping autogeno", aventi ad  oggetto
le sostanze dopanti e le pratiche  mediche  idonee  a  modificare  le
condizioni psico-fisiche o  biologiche  dell'organismo,  al  fine  di
alterare le prestazioni  agonistiche  degli  atleti;  e,  dall'altro,
sanzionavano le medesime condotte aventi ad oggetto sostanze  dopanti
o pratiche mediche idonee a modificare i risultati dei controlli  sul
doping. 
    Vi era, poi, la piu' grave fattispecie delittuosa  del  commercio
di sostanze dopanti prevista dal  comma  7  -  e  che  qui  viene  in
rilievo, in quanto oggetto delle imputazioni contestate in entrambi i
giudizi  a  quibus  -  consistente  nella  condotta,  punita  con  la
reclusione da due a sei anni e con la multa  da  euro  5.164  a  euro
77.468,  di  «[c]hiunque  commercia   i   farmaci   e   le   sostanze
farmacologicamente o biologicamente attive ricompresi nelle classi di
cui all'articolo 2, comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie
aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti
al  pubblico  e  dalle  altre   strutture   che   detengono   farmaci
direttamente, destinati alla utilizzazione sul paziente». 
    Si  trattava,  dunque,  di  fattispecie  incriminatrici  che,  ad
eccezione dell'oggetto della illecita attivita',  costituito  appunto
dalle sostanze dopanti, si differenziavano, in modo significativo, in
relazione, sia al tipo di condotta incriminata,  sia  per  l'elemento
soggettivo. 
    Infatti, conformemente al dato letterale,  la  giurisprudenza  di
legittimita' aveva piu' volte affermato che la fattispecie di cui  al
comma 1 dell'art. 9 della legge n. 376 del 2000 si completava con  la
previsione del dolo specifico, costituito dal  fine  di  alterare  le
prestazioni  agonistiche  degli  atleti;  mentre,  per  il  reato  di
commercio di sostanze dopanti, la  medesima  giurisprudenza  riteneva
che il reato richiedesse il solo dolo generico (Corte di  cassazione,
sezione terza penale, sentenze 4 aprile-9 luglio 2018, n.  30889,  28
febbraio-21 aprile 2017, n. 19198,  1°  febbraio-20  marzo  2002,  n.
11277). 
    Il comma 7 dell'art. 9 - quanto alla  fattispecie  del  reato  di
commercio di sostanze dopanti - non ripeteva la dizione «al  fine  di
alterare le prestazioni agonistiche degli  atleti»  per  la  evidente
ragione che questa condotta illecita, che il  legislatore  ha  inteso
reprimere con la sanzione penale, persegue  normalmente  un  fine  di
lucro piuttosto che quello di  alterare  l'esito  delle  competizioni
sportive. 
    Quanto  all'elemento  oggettivo  di  tale  reato,  la  Corte   di
cassazione aveva ritenuto sufficiente che l'attivita' fosse svolta in
via   continuativa,   supportata   da   una   elementare    struttura
organizzativa (Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenza 23
ottobre-19 novembre 2013, 46246; sezione sesta  penale,  sentenza  20
febbraio-11 aprile 2003, n. 17322). 
    In  definitiva  il  consolidato  indirizzo  giurisprudenziale  di
legittimita', con riguardo al reato di commercio di sostanze dopanti,
ne aveva affermato, da un lato, l'autonomia rispetto alle fattispecie
di cui ai primi due commi dell'art. 9 della legge n. 376 del 2000,  e
dall'altro, la natura di reato di pericolo  che  non  necessitava  di
dolo specifico. 
    5.- La  disposizione  censurata  dalle  ordinanze  di  rimessione
interviene su tale consolidato assetto normativo e giurisprudenziale. 
    L'art. 1, comma 85, lettera q), della legge n. 103 del 2017 aveva
delegato  il  Governo  all'«attuazione,  sia  pure  tendenziale,  del
principio della riserva di codice nella materia penale,  al  fine  di
una migliore conoscenza  dei  precetti  e  delle  sanzioni  e  quindi
dell'effettivita' della funzione rieducativa della pena,  presupposto
indispensabile  perche'  l'intero   ordinamento   penitenziario   sia
pienamente   conforme   ai   principi   costituzionali,    attraverso
l'inserimento nel codice penale di  tutte  le  fattispecie  criminose
previste da disposizioni di legge in vigore  che  abbiano  a  diretto
oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare  i
valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza,
di non discriminazione  e  di  divieto  assoluto  di  ogni  forma  di
sfruttamento a fini di profitto della  persona  medesima,  e  i  beni
della salute, individuale e collettiva, della  sicurezza  pubblica  e
dell'ordine  pubblico,  della  salubrita'  e  integrita'  ambientale,
dell'integrita' del territorio, della correttezza e  trasparenza  del
sistema economico di mercato». 
    In attuazione di tale criterio di delega, l'art. 2, comma 1,  del
d.lgs. n. 21 del 2018, ha inserito nel codice penale l'art.  586-bis,
rubricato «Utilizzo o somministrazione di farmaci o di altre sostanze
al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    Tale  nuovo  articolo,  quanto  al   primo   e   secondo   comma,
testualmente prevede: «Salvo che  il  fatto  costituisca  piu'  grave
reato, e' punito con la reclusione da tre mesi a tre anni  e  con  la
multa da  euro  2.582  a  euro  51.645  chiunque  procura  ad  altri,
somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci  o  di
sostanze biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi nelle
classi previste dalla legge, che non siano giustificati da condizioni
patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche  o
biologiche  dell'organismo,  al  fine  di  alterare  le   prestazioni
agonistiche  degli  atleti,  ovvero  siano  diretti  a  modificare  i
risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze. 
    La pena di cui al primo comma si  applica,  salvo  che  il  fatto
costituisca piu' grave reato,  a  chi  adotta  o  si  sottopone  alle
pratiche mediche ricomprese nelle classi  previste  dalla  legge  non
giustificate da condizioni patologiche  ed  idonee  a  modificare  le
condizioni psicofisiche  o  biologiche  dell'organismo,  al  fine  di
alterare le prestazioni agonistiche degli  atleti  ovvero  dirette  a
modificare i risultati dei controlli sul ricorso a tali pratiche». 
    La disposizione e' censurata quanto al successivo settimo  comma,
che testualmente recita: «Chiunque commercia i farmaci e le  sostanze
farmacologicamente o biologicamente attive  ricompresi  nelle  classi
indicate dalla legge, che siano idonei  a  modificare  le  condizioni
psicofisiche o biologiche dell'organismo,  al  fine  di  alterare  le
prestazioni agonistiche degli atleti ovvero  idonei  a  modificare  i
risultati  dei  controlli  sull'uso  di  tali  farmaci  o   sostanze,
attraverso canali diversi dalle farmacie aperte  al  pubblico,  dalle
farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle altre
strutture  che  detengono   farmaci   direttamente   destinati   alla
utilizzazione sul paziente, e' punito con la reclusione da due a  sei
anni e con la multa da euro 5.164 a euro 77.468». 
    Parallelamente, l'art. 7, comma 1, lettera n), del d.lgs.  n.  21
del 2018, ha abrogato l'art. 9 della legge n. 376 del 2000. 
    Venendo in rilievo, nelle fattispecie considerate, la tutela  del
bene della salute individuale e collettiva, il legislatore  delegato,
in attuazione del principio della «riserva di codice», ha  scelto  di
eliminare  dalla  legge  n.  376  del  2000  le   sole   disposizioni
incriminatrici,  contenute   nell'art.   9,   per   trasferirle,   in
conformita' alla norma di delega, nel Libro II, Titolo XII,  Capo  I,
del codice penale, tra i  delitti  contro  la  vita  e  l'incolumita'
individuale. 
    L'inserimento della nuova disposizione nel codice  penale  doveva
tradursi - secondo il criterio di delega - in una operazione di  mera
trasposizione  nel  codice  penale  delle   figure   criminose   gia'
esistenti. 
    L'enucleazione delle condotte penalmente sanzionate  dalla  legge
n. 376 del 2000 e il conseguente loro inserimento nelle previsioni di
cui all'art. 586-bis cod. pen., e' avvenuta, in particolare,  con  la
trasposizione, nei suoi primi due commi, delle fattispecie  di  reato
previste dai corrispondenti primi due commi  dell'originario  art.  9
della legge n. 376 del 2000, che  risultano  riprodotti  testualmente
nella disposizione codicistica. 
    Invero, il riferimento ai farmaci e  alle  sostanze  appartenenti
alle classi previste all'art. 2, comma 1, della legge stessa e' stato
riformulato nell'indicazione dei farmaci e delle sostanze «ricompresi
nelle classi previste dalla legge». Ma la  diversa  dizione  testuale
non ne altera l'identita'  concettuale:  «le  classi  previste  dalla
legge»  rimangono  pur  sempre  quelle  contemplate  dalla  normativa
speciale sul doping e quindi, ancor oggi,  dalla  legge  n.  376  del
2000. 
    Inoltre va rilevato  che  sia  il  primo  che  il  secondo  comma
dell'art. 586-bis cod.  pen.  ripetono  la  previsione  «al  fine  di
alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    Cio'  mostra  chiaramente  che  il  legislatore   delegato,   nel
trasferire la disposizione nel codice penale, ha confermato -  e  non
poteva essere diversamente in ragione del vincolo  che  derivava  dal
richiamato criterio di delega - la  necessita'  del  dolo  specifico,
come ritenuto dalla giurisprudenza sopra richiamata. 
    Invece, la nuova disposizione codicistica al settimo comma -  che
pure individua i farmaci e le sostanze, oggetto di commercio, facendo
riferimento a quelli «ricompresi nelle classi previste dalla  legge»,
ossia nelle classi previste dalla stessa legge  n.  376  del  2000  -
aggiunge le parole,  non  presenti  nel  settimo  comma  dell'art.  9
citato:  «al  fine  di  alterare  le  prestazioni  agonistiche  degli
atleti». Si tratta della stessa dizione testuale  presente  non  solo
nel primo (e nel secondo) comma dell'art.  586-bis,  ma  anche  negli
stessi primi due commi  dell'art.  9,  e  interpretata  -  come  gia'
rilevato - dalla giurisprudenza come richiedente il dolo specifico al
fine dell'integrazione di quelle fattispecie penali. 
    Cio' ha indotto i giudici rimettenti a ritenere che tale elemento
aggiunto  nella  fattispecie  di  commercio  di  sostanze  e  farmaci
dopanti, derivante  dalla  introduzione  del  «fine  di  alterare  le
prestazioni agonistiche degli atleti», abbia determinato una parziale
abolitio criminis, restringendo l'area della rilevanza  penale  della
condotta illecita, punibile solo qualora sia  configurabile  il  dolo
specifico. 
    Di qui la questione di costituzionalita' dell'art.  586-bis  cod.
pen., per  violazione  dell'art.  76  Cost.,  sollevata  dai  giudici
rimettenti. 
    6.- Cio' premesso, deve rilevarsi, in  via  preliminare,  che  la
questione e' ammissibile. 
    6.1.- Sussiste, innanzitutto, la  rilevanza  della  questione  di
costituzionalita',   in   quanto   entrambi   i   rimettenti    hanno
plausibilmente  motivato  in   ordine   alla   necessita'   di   fare
applicazione delle censurate disposizioni nei giudizi  a  quibus  (ex
plurimis, sentenze n. 182 e n. 55 del 2021). 
    La Corte di cassazione, infatti, in relazione al  secondo  motivo
di ricorso, rileva che «in applicazione della nuova e piu' favorevole
fattispecie incriminatrice l'imputato  dovrebbe  essere  assolto  per
difetto  dell'elemento  soggettivo»,  con   cio'   dovendo   dirimere
l'alternativa tra considerare la  fattispecie  concreta  come  ancora
integrante il  reato,  o  piuttosto  come  oggetto  di  una  parziale
abolitio criminis, con evidenti ripercussioni sulla motivazione della
decisione. 
    Anche  il  Giudice  del  Tribunale  ordinario  di  Busto  Arsizio
chiarisce  che  l'istruttoria  dibattimentale  ha  fornito  la  prova
dell'attivita' di commercio illecito, ma non anche della  sussistenza
del dolo specifico,  con  la  conseguenza  che  l'accoglimento  della
questione necessariamente si rifletterebbe sull'esito  decisorio  del
giudizio penale. 
    6.2.- In entrambe le ordinanze di  rimessione  la  non  manifesta
infondatezza della sollevata questione e' puntualmente argomentata. 
    6.3.- Infine - anche se nessuna  eccezione  sul  punto  e'  stata
sollevata, non essendo  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
intervenuto in alcuno  dei  due  giudizi  incidentali  ne'  essendosi
costituite  le  parti  del  giudizio  principale  -  deve   ritenersi
l'ammissibilita'   della   questione   anche   sotto    il    profilo
dell'auspicato effetto estensivo della punibilita' -  e,  quindi,  in
malam  partem  -  conseguente  al  suo  eventuale  accoglimento,   in
riferimento al principio della riserva di  legge  in  materia  penale
sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost. 
    La pronuncia  di  illegittimita'  costituzionale,  richiesta  dai
giudici rimettenti, avrebbe, infatti, l'effetto  di  ampliare  l'area
della rilevanza  penale  della  condotta  di  commercio  di  sostanze
dopanti, per  la  cui  punibilita'  non  occorrerebbe  piu'  il  dolo
specifico del fine di alterare le prestazioni agonistiche. 
    E' vero che in linea di principio sono inammissibili le questioni
di legittimita' costituzionale che concernano disposizioni abrogative
di  una  previgente  incriminazione,  e  che  mirino  al   ripristino
nell'ordinamento  della  norma  incriminatrice  abrogata  (cosi',  ex
plurimis, sentenze n. 8 del 2022, n. 37 del 2019, n. 57 del 2009,  n.
330 del 1996 e n. 71 del 1983; ordinanze n. 413 del 2008, n. 175  del
2001 e n. 355 del 1997), dal momento che a tale ripristino  osta,  di
regola, il principio consacrato nell'art. 25, secondo  comma,  Cost.,
che riserva al solo legislatore la definizione dell'area di cio'  che
e' penalmente rilevante. Principio, quest'ultimo,  che  determina  in
via generale l'inammissibilita' di questioni  volte  a  creare  nuove
norme penali, a estenderne l'ambito applicativo a casi  non  previsti
(o non piu' previsti) dal legislatore (ex multis, sentenze n. 161 del
2004 e n. 49 del 2002; ordinanze n. 65 del 2008 e n. 164  del  2007),
ovvero ad aggravare le conseguenze  sanzionatorie  o  la  complessiva
disciplina del reato (ex multis, ordinanze n. 285 del 2012,  n.  204,
n. 66 e n. 5 del 2009). 
    Pero' - come ribadito anche di recente da questa Corte  (sentenze
n. 236 e n. 143 del 2018) - «tali principi non sono senza  eccezioni»
(sentenza n. 37 del 2019). 
    E tra tali eccezioni,  senz'altro  rientra  l'uso  scorretto  del
potere legislativo da parte del Governo  che  abbia  abrogato,  anche
parzialmente, mediante decreto legislativo una  disposizione  penale,
senza a cio' essere autorizzato dalla legge delega. 
    A tal riguardo, questa Corte ha affermato che deve escludersi che
il principio della riserva di legge in  materia  penale  precluda  il
sindacato di legittimita' costituzionale in  ordine  alla  denunciata
violazione dell'art. 76 Cost.  (sentenza  n.  5  del  2014).  E  piu'
recentemente ha ribadito che «e' proprio il principio di legalita' di
cui all'art. 25, secondo comma, Cost. a  rimettere  "al  legislatore,
nella figura appunto del soggetto-Parlamento, la scelta dei fatti  da
sottoporre a pena e delle sanzioni da  applicare",  di  talche'  tale
principio "e' violato qualora quella scelta sia invece effettuata dal
Governo  in  assenza  o  fuori  dai  limiti  di  una  valida   delega
legislativa. [...] L'abrogazione della fattispecie criminosa mediante
un decreto legislativo, adottato in carenza o in eccesso  di  delega,
si porrebbe [dunque] in  contrasto  con  l'art.  25,  secondo  comma,
Cost.,  che  demanda  in  via  esclusiva  al  Parlamento,  in  quanto
rappresentativo dell'intera collettivita' nazionale,  la  scelta  dei
fatti da  sottoporre  a  pena  e  delle  sanzioni  loro  applicabili,
precludendo al  Governo  scelte  di  politica  criminale  autonome  o
contrastanti con quelle del legislatore delegante. Se  si  escludesse
il sindacato  costituzionale  sugli  atti  legislativi  adottati  dal
Governo  anche  nel  caso  di  violazione  dell'art.  76  Cost.,   si
consentirebbe  allo  stesso   di   incidere,   modificandole,   sulle
valutazioni del Parlamento relative al trattamento penale  di  alcuni
fatti"» (sentenza n. 189 del 2019). 
    Tali principi vanno ora confermati  anche  con  riferimento  alla
questione di legittimita' costituzionale  in  esame,  atteso  che  le
ordinanze di rimessione censurano proprio lo scorretto uso del potere
legislativo da parte del Governo, che - in asserito contrasto con  la
norma di delega - ha trasposto  nel  codice  penale  la  disposizione
incriminatrice  in  esame  restringendo  la  rilevanza  penale  della
condotta da essa  originariamente  prevista  (commercio  di  sostanze
dopanti), mentre la fattispecie  di  reato  sarebbe  dovuta  rimanere
inalterata nella sua estensione. 
    Peraltro il Governo non e'  intervenuto  in  alcuno  dei  giudizi
incidentali di legittimita' costituzionale e  quindi  non  ha  svolto
alcuna difesa a sostegno dell'inammissibilita' - e neppure della  non
fondatezza - della questione. 
    7.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    8.- La norma di delega, di cui all'art. 1, comma 85, lettera  q),
della legge n. 103 del 2017 - come gia' rilevato (punto 5)  -  mirava
all'attuazione, sia pure tendenziale, del principio della «riserva di
codice nella materia penale, al fine di una migliore  conoscenza  dei
precetti e delle sanzioni e quindi dell'effettivita'  della  funzione
rieducativa della pena». 
    Nella Relazione illustrativa dello schema di decreto legislativo,
in particolare, si evidenziava  che  il  recepimento  del  «principio
della tendenziale riserva di codice» si sostanziava in un progetto di
«"riordino"  della  materia  penale   "ferme   restando   le   scelte
incriminatrici gia' operate dal Legislatore", cosi' da preservare  la
centralita' del codice penale secondo la gerarchia di  interessi  che
la  Costituzione  delinea»,  dovendosi  «escludere  che   l'attivita'
delegata possa consistere  in  modifiche  alle  fattispecie  vigenti,
contenute in contesti diversi dal codice penale». 
    L'intento del legislatore delegante tendeva a  «razionalizzare  e
rendere,  quindi,  maggiormente  conoscibile   e   comprensibile   la
normativa penale e di porre  un  freno  alla  caotica  e  non  sempre
facilmente intellegibile produzione legislativa di settore», per  cui
«non sarebbe consentita un'opera di  razionalizzazione  che  passasse
attraverso la revisione generale  della  parte  speciale  del  codice
penale e della legislazione complementare». 
    In  proposito,  questa  Corte,  con  riferimento   alla   diversa
fattispecie incriminatrice  di  cui  all'art.  570-bis  cod.  pen.  -
oggetto anch'essa di inserimento  nel  codice  penale  in  attuazione
della medesima norma di delega - ha gia' affermato che «[i]l  Governo
non avrebbe  d'altra  parte  potuto,  senza  violare  le  indicazioni
vincolanti della legge delega, procedere a  una  modifica,  in  senso
restrittivo o estensivo,  dell'area  applicativa  delle  disposizioni
trasferite all'interno del codice  penale;  ne'  avrebbe  potuto,  in
particolare, determinare - in esito all'intrapreso riordino normativo
- una parziale abolitio criminis con  riferimento  a  una  classe  di
fatti in precedenza qualificabili come reato, come  quella  lamentata
da tutte le odierne ordinanze di rimessione»  (sentenza  n.  189  del
2019). 
    Anche con riferimento alla fattispecie di  cui  all'art.  586-bis
cod.  pen.,  attualmente  oggetto  delle  censure  di  illegittimita'
costituzionale, deve essere ribadito che la delega di cui all'art. 1,
comma 85, lettera q), della legge n. 103 del 2017, nel  demandare  al
Governo «l'inserimento nel codice penale delle fattispecie  criminose
previste da disposizioni di  legge  in  vigore»,  assumeva  l'univoco
significato di precludere, al legislatore delegato, di modificare  in
senso, sia ampliativo,  sia  restrittivo,  le  fattispecie  criminose
vigenti nella legislazione speciale. 
    9.- Nel caso di specie, il  legislatore  delegato,  nel  compiere
l'operazione di "riassetto normativo"  nel  settore  del  doping,  ha
arricchito la descrizione della fattispecie del  reato  di  commercio
illecito di sostanze  dopanti,  idonee  a  modificare  le  condizioni
psicofisiche o  biologiche  dell'organismo,  con  l'introduzione  del
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti »; fine che
- come si e' gia'  sopra  rilevato  -  e'  presente,  con  la  stessa
formulazione testuale nei primi due  commi,  sia  del  medesimo  art.
586-bis cod. pen., sia dell'art. 9 della legge n. 376 del 2000, e che
dalla giurisprudenza e' stato qualificato come dolo specifico. 
    Sotto l'aspetto oggettivo, invece, la condotta di commercio ha lo
stesso  ambito  ed  estensione  di  quelle  del  primo  comma   della
disposizione  censurata:  tutte  riguardano   le   sostanze   dopanti
individuate con il riferimento alle «classi indicate dalla legge». Il
perimetro definitorio di tali sostanze e' lo stesso. 
    Infatti nell'art. 586-bis cod. pen., la condotta  incriminata  di
commercio  -  analogamente  a   quella   di   procurare   ad   altri,
somministrare, assumere  o  favorire  comunque  l'utilizzo  -  ha  ad
oggetto  farmaci  e  sostanze  farmacologicamente  o   biologicamente
attive, le quali per un verso sono ricomprese nelle  classi  indicate
dalla legge e, per l'altro, sono idonee a  modificare  le  condizioni
psicofisiche o biologiche dell'organismo. Il riferimento alle «classi
indicate dalla legge» e' fatto, in tutta  evidenza,  alla  legge  che
tali classi di farmaci e sostanze dopanti prevede, ossia, allo  stato
attuale della legislazione, proprio alla legge n. 376  del  2000;  la
quale - tuttora in vigore, essendo stata  abrogata  limitatamente  al
suo art. 9, in quanto le relative fattispecie  di  reato  sono  state
trasferite nel codice penale - prevede espressamente, all'art. 2,  le
classi di sostanze dopanti, la cui  elencazione  e'  demandata  a  un
decreto del Ministro della sanita', d'intesa con il  Ministro  per  i
beni e le attivita' culturali, su proposta della Commissione  per  la
vigilanza ed il controllo sul doping e per  la  tutela  della  salute
nelle attivita' sportive.  Tale  prescrizione,  poi,  si  salda  alla
previsione del precedente art. 1, espressamente richiamato, che offre
una  definizione  piu'  generale   di   doping.   Essa   continua   a
rappresentare la base legislativa per l'individuazione delle sostanze
che  costituiscono  l'oggetto  materiale   di   tutte   le   condotte
incriminate dall'art. 586-bis cod. pen. 
    10.- Il legislatore del 2000, pero', con una  precisa  scelta  di
politica  criminale,  aveva  operato  una  distinzione,   sul   piano
soggettivo, quanto al dolo. 
    Per le condotte del primo comma dell'art. 9 (id est: procurare ad
altri, somministrare, assumere o favorire comunque  l'utilizzo)  -  e
parimenti per quelle del secondo  comma  -  aveva  previsto  il  dolo
specifico, ossia il «fine  di  alterare  le  prestazioni  agonistiche
degli atleti».  Il  bene  giuridico  protetto  coniugava  la  salute,
individuale e collettiva,  degli  atleti  con  la  regolarita'  delle
competizioni agonistiche. 
    Per la condotta del settimo comma (id est: il commercio), invece,
non ha richiesto tale dolo specifico per la evidente ragione  che  il
commercio di sostanze dopanti persegue normalmente un fine di  lucro,
piuttosto che quello di alterare  le  prestazioni  agonistiche  degli
atleti. La scelta del legislatore e' stata quella di contrastare  con
effettivita' e maggior  rigore  il  commercio  illegale  di  sostanze
dopanti sol che sussista il dolo generico, senza richiedere  il  dolo
specifico, che peraltro sarebbe stato difficile  da  provare  per  il
pubblico ministero. Il bene  giuridico  protetto  -  in  disparte  la
regolarita' delle competizioni agonistiche che rimane sullo sfondo  -
e' costituito soprattutto dalla  salute,  individuale  e  collettiva,
delle persone, anche di quelle che,  in  ipotesi,  assumono  sostanze
dopanti procuratesi fuori dal circuito legale a un  fine  diverso  da
quello di «alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    Il legislatore delegato, invece, ha riprodotto nel settimo  comma
dell'art. 586-bis cod. pen. la previsione della stessa finalita' -  e
quindi del medesimo dolo specifico - presente nel primo comma  (oltre
che nel secondo). 
    In tal modo la  fattispecie  penale  del  commercio  di  sostanze
dopanti si e' sensibilmente ridotta alla sola ipotesi in cui  il  suo
autore persegua il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli
atleti», al pari di chi  procura  ad  altri,  somministra,  assume  o
favorisce comunque l'utilizzo di sostanze dopanti. 
    Ma questa limitazione, mentre e' conforme alla legge quanto  alle
condotte del primo (e del secondo) comma dell'art. 586-bis cod.  pen.
perche' gia' presente nei corrispondenti primi due commi dell'art.  9
della legge n. 376 del 2000, si  pone  invece  in  contrasto  con  il
criterio di delega quanto alla  condotta  di  commercio  di  sostanze
dopanti di  cui  al  settimo  comma  della  disposizione  codicistica
perche' non presente nel comma 7 dell'art. 9. 
    11.- Ne' puo' ipotizzarsi che il «fine di alterare le prestazioni
agonistiche degli atleti» abbia un  significato  diverso  all'interno
della medesima disposizione dell'art. 586-bis, da una parte nei primi
due commi, e, dall'altra,  nel  settimo  comma,  ipotizzando  che  in
quest'ultimo valga invece a specificare la sostanza dopante  nel  suo
contenuto oggettivo  e  non  gia'  a  connotare  la  condotta  quanto
all'elemento soggettivo del reato. 
    Se il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli  atleti»
costituisce dolo specifico nei primi  due  commi,  lo  e'  anche  nel
settimo comma (ex plurimis, con riferimento all'art. 9, commi 1 e  2,
Corte di cassazione, sezione terza penale, sentenze 4 aprile-9 luglio
2018, n. 30889, 28  febbraio-21  aprile  2017,  n.  19198  e  sezione
seconda penale, sentenza 10 novembre 2016-19 gennaio 2017, n. 2640). 
    La specificazione  della  sostanza  dopante,  nel  suo  contenuto
oggettivo, e' gia' tutta  nella  previsione,  contenuta  nel  settimo
comma, come nel primo comma, che richiede  che  essa  sia  ricompresa
nelle  «classi  indicate  dalla  legge».  E,  come  siffatto   rinvio
recettizio del  primo  comma  vale  a  individuare  compiutamente  il
perimetro  definitorio  della  fattispecie  quanto  al  suo  elemento
oggettivo, lo stesso vale anche nel settimo comma. Sicche'  il  «fine
di alterare le prestazioni agonistiche degli  atleti»  non  puo'  che
attenere all'elemento soggettivo in entrambi i  commi  e  costituisce
una tipica ipotesi di dolo specifico. 
    E' vero che, poi, il settimo comma dell'art.  586-bis  cod.  pen.
aggiunge anche, rispetto al comma 7 dell'art. 9 della  legge  n.  376
del 2000, che la  condotta  di  commercio  illecito  puo'  riguardare
farmaci e sostanze farmacologicamente o biologicamente attive «idonei
a modificare i risultati dei controlli sull'uso  di  tali  farmaci  o
sostanze»;  cio'  che  parimenti  non  era  previsto  nell'originaria
formulazione della norma. Ma, al di la' della apparente  circolarita'
della dizione testuale, il quid pluris in questa parte, che  pure  si
rinviene  nella  norma   codicistica   rispetto   alla   formulazione
originaria, e' in  realta'  meramente  confermativo  di  quanto  gia'
previsto dall'art. 1, comma 3, della  legge  n.  376  del  2000,  che
equipara al doping la  somministrazione  di  farmaci  o  di  sostanze
biologicamente o farmacologicamente attive e l'adozione  di  pratiche
mediche non giustificate da  condizioni  patologiche,  finalizzate  e
comunque idonee a modificare i risultati dei controlli  sull'uso  dei
farmaci, delle sostanze e delle pratiche indicati nel comma 2.  E  il
successivo art. 2 - nel definire le «classi delle  sostanze  dopanti»
(le stesse «classi indicate dalla legge» di cui all'art.  586-bis)  -
richiama cio' che «e' considerato doping a norma dell'articolo  1»  e
quindi anche cio' che dal  comma  3  dell'art.  1  e'  equiparato  al
doping. 
    Nel  settimo  comma   dell'art.   586-bis   cod.   pen.,   questa
equiparazione, pur gia' contenuta nel richiamo delle «classi indicate
dalla legge», e' esplicitata  e  ribadita  con  il  riferimento  alla
idoneita' a modificare i risultati dei controlli sull'uso di  farmaci
o sostanze dopanti. 
    In questa parte il perimetro  definitorio  della  fattispecie  di
commercio di sostanze dopanti non e', in realta', modificato. 
    Ma analoga considerazione non puo'  svolgersi  per  il  «fine  di
alterare le  prestazioni  agonistiche  degli  atleti»,  aggiunto  nel
settimo comma dell'art. 586-bis cod. pen., perche' - si ripete  -  la
simmetria con la stessa dicitura presente nel primo  comma  indirizza
univocamente  a  considerare,  come  richiesto   per   integrare   la
fattispecie penale,  il  dolo  specifico  per  la  punibilita'  delle
condotte previste nell'uno e nell'altro comma. 
    12.-    In    definitiva,    la    novella    censurata    altera
significativamente la struttura della fattispecie di reato  che,  per
effetto di tale innovazione, punisce la condotta di  commercio  delle
sostanze dopanti solo se posta in  essere  al  fine  di  alterare  le
prestazioni agonistiche degli atleti e quindi solo  se  sussiste,  in
questi termini, il dolo specifico. 
    Anche il baricentro del bene giuridico protetto  risulta  deviato
dalla  salute,  individuale  e   collettiva,   delle   persone   alla
correttezza delle competizioni agonistiche. 
    In tal modo il Governo ha operato una riduzione della fattispecie
penale, perche', richiedendo il dolo specifico, ha  ristretto  l'area
della punibilita' della condotta di commercio di sostanze dopanti. 
    Cio' si pone in contrasto con  le  indicazioni  vincolanti  della
legge  delega,  che  non  attribuiva  il  potere  di  modificare   le
fattispecie incriminatrici gia' vigenti, e  quindi  viola  l'art.  76
Cost. 
    Questa Corte ha, piu' volte,  affermato  che  la  delega  per  il
riordino o per il riassetto normativo concede al legislatore delegato
un  limitato  margine  di  discrezionalita'  per  l'introduzione   di
soluzioni innovative, le quali devono comunque attenersi strettamente
ai  principi  e  ai  criteri  direttivi  enunciati  dal   legislatore
delegante (ex multis, sentenze n. 61 del 2020, n. 94, n. 73  e  n.  5
del 2014, n. 80 del 2012, n. 293 e n. 230 del 2010). 
    Sicche' va delimitato in limiti rigorosi  l'esercizio,  da  parte
del legislatore  delegato,  di  poteri  innovativi  della  normazione
vigente, da intendersi in ogni caso  come  strettamente  orientati  e
funzionali alle finalita'  esplicitate  dalla  legge  di  delega  (ex
plurimis, sentenze n. 250 del 2016, n. 162 e n. 80 del 2012,  n.  293
del 2010). 
    L'innesto del «fine di alterare le prestazioni agonistiche  degli
atleti» - che nella fattispecie incriminatrice del commercio illecito
assurge, ora, a dolo specifico - non e' coerente con la ratio sottesa
ai  criteri  e  principii  della  delega,  che  non  autorizzava   un
abbassamento del livello  di  contrasto  delle  condotte  costituenti
reato secondo la legislazione speciale (sentenze n. 231 del 2021,  n.
142 del 2020, n. 170 del 2019 e n. 198 del 2018). 
    13.- In  conclusione,  la  scelta  del  legislatore  delegato  di
inserire l'elemento soggettivo del «fine di alterare  le  prestazioni
agonistiche  degli  atleti»,  nella  fattispecie  incriminatrice  del
commercio illecito delle sostanze dopanti, contrasta  con  l'art.  76
Cost. in quanto effettuata al di fuori della delega legislativa. 
    Deve essere pertanto dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 586-bis, settimo comma, cod. pen., introdotto dall'art.  2,
comma 1, lettera d), del d.lgs. n. 21 del  2018,  limitatamente  alle
parole «al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    14.- A questa Corte non sfugge che nell'art.  586-bis  cod.  pen.
non figura piu' il comma 7-bis, gia' introdotto dall'art.  13,  comma
1, della legge 11 gennaio 2018, n. 3 (Delega al Governo in materia di
sperimentazione clinica di medicinali  nonche'  disposizioni  per  il
riordino delle professioni sanitarie e per la dirigenza sanitaria del
Ministero della salute), poi abrogato dall'art. 7, comma  1,  lettera
n), del d.lgs. n. 21 del 2018, il quale comminava la  medesima  pena,
prevista  per  il  reato  di  commercio  di  sostanze  dopanti,   «al
farmacista che, in assenza di prescrizione medica, dispensi i farmaci
e le sostanze farmacologicamente o biologicamente  attive  ricompresi
nelle classi di cui all'art. 2, comma 1,  per  finalita'  diverse  da
quelle  proprie  ovvero  da   quelle   indicate   nell'autorizzazione
all'immissione in commercio». 
    Tuttavia  non  e'  possibile  estendere,  in  questa  parte,   la
pronuncia di illegittimita'  costituzionale  ai  sensi  dell'art.  27
della legge 11 marzo 1953, n. 87  (Norme  sulla  costituzione  e  sul
funzionamento  della  Corte  costituzionale),  in  mancanza   di   un
«rapporto di  chiara  consequenzialita'  con  la  decisione  assunta»
(sentenze n. 49 del 2018 e n. 266 del 2013) nel  considerare  le  due
fattispecie di reato (quelle  gia'  previste  dai  commi  7  e  7-bis
dell'art. 9 della legge n. 376 del 2000). 
    15.- Quanto agli effetti sui singoli imputati dei giudizi  penali
principali, le cui condotte sono  precedenti  all'entrata  in  vigore
della   disposizione   dichiarata   costituzionalmente   illegittima,
competera' ai giudici rimettenti valutare le conseguenze  applicative
che potranno derivare dalla pronuncia di accoglimento, tenendo  conto
della costante giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis,  sentenza
n. 394 del 2006). 
    Il principio di legalita' dell'art. 25, secondo comma, Cost.,  il
quale esclude che possa essere sanzionato penalmente un fatto che non
costituiva reato al momento in cui e' stato  commesso,  comporta  che
rimane la necessita', per l'integrazione della fattispecie penale  in
esame, del dolo specifico per le condotte di  commercio  di  sostanze
dopanti poste in essere tra il 6 aprile  2018  (data  di  entrata  in
vigore della disposizione censurata) e la data di pubblicazione sulla
Gazzetta Ufficiale della sentenza di questa Corte, dichiarativa della
sua illegittimita' costituzionale. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.   586-bis,
settimo comma, del codice penale, introdotto dall'art.  2,  comma  1,
lettera d), del decreto legislativo 1° marzo  2018,  n.  21,  recante
«Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva  di
codice nella materia  penale  a  norma  dell'articolo  1,  comma  85,
lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103»,  limitatamente  alle
parole «al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 marzo 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 22 aprile 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA