N. 44 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 marzo 2022

Ordinanza del 18 marzo 2022 del Consiglio di giustizia amministrativa
per  la  Regione  Siciliana  sul  ricorso  proposto  dall'Assessorato
regionale  dei  beni   culturali   e   dell'identita'   siciliana   -
Dipartimento regionale dei beni culturali e dell'identita'  siciliana
- Soprintendenza dei beni culturali e ambientali di Agrigento  contro
Arrigo Ettore Daniele Fortunato e Rizzo Annunziata. 
 
Paesaggio  -  Norme  della  Regione  Siciliana  -  Nulla  osta   alla
  concessione  in  sanatoria  -  Vincolo  paesaggistico  sopravvenuto
  rispetto  all'ultimazione  di   un'opera   abusiva   -   Esclusione
  dell'irrogazione di sanzioni amministrative  pecuniarie,  derivanti
  dal vincolo, a carico dell'autore dell'abuso edilizio -  Denunciata
  preclusione dell'irrogazione dell'indennita' paesaggistica. 
- Legge della Regione Siciliana 31 maggio 1994, n. 17  (Provvedimenti
  per la prevenzione dell'abusivismo edilizio e per  la  destinazione
  delle costruzioni edilizie abusive  esistenti),  art.  5,  comma  3
  [nella formulazione precedente alla sostituzione operata  dall'art.
  17,  comma  11,  della  legge  regionale  16  aprile  2003,  n.   4
  (Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2003)]. 
(GU n.18 del 4-5-2022 )
 
              IL CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA 
                      PER LA REGIONE SICILIANA 
 
 
                       Sezione giurisdizionale 
 
    Ha pronunciato la presente sentenza non  definitiva  sul  ricorso
numero di registro generale 1163 del 2021, proposto  dall'Assessorato
regionale  dei  beni   culturali   e   dell'identita'   siciliana   -
Dipartimento  regionale  beni  culturali   e   identita'   siciliana,
(Soprintendenza per i beni culturali e ambientali di  Agrigento),  in
persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi
dall'Avvocatura dello Stato presso  la  cui  sede  distrettuale  sono
domiciliati ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, n. 6; 
    Contro  Ettore  Daniele  Fortunato  Arrigo,   Annunziata   Rizzo,
rappresentati e difesi dagli avvocati  Gaetano  Caponnetto,  Vincenzo
Caponnetto, con  domicilio  digitale  come  da  PEC  da  registri  di
giustizia; 
    Per la riforma della sentenza breve del Tribunale  amministrativo
regionale per la Sicilia (Sezione prima) n. 01739/2021; 
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; 
    Visti gli atti di costituzione in  giudizio  dei  signori  Ettore
Daniele Fortunato Arrigo e di Annunziata Rizzo; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  24  febbraio  2022  il
cons. Maria Immordino; 
    Nessuno e' presente per le parti; 
    Visto l'art. 36, comma 2, cod. proc. amm.; 
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. 
 
                                Fatto 
 
    l. E' stata  appellata  dall'Assessorato  dei  beni  culturali  e
dell'identita' siciliana (Soprintendenza BB.CC.AA. di  Agrigento)  la
sentenza indicata in epigrafe. 
    2. E' opportuna, in via preliminare, una  breve  esposizione  dei
fatti sottesi alla controversia de qua. 
    3. Gli odierni  appellati  adivano  il  Tribunale  amministrativo
regionale   per   chiedere   l'annullamento,    previa    sospensione
dell'efficacia: 
        del d.d.s. n. 1533 del 22 maggio 2020,  e  relativa  nota  di
trasmissione, emesso ai sensi dell'art. 167 del  decreto  legislativo
42/2004, con cui veniva loro ingiunto il  pagamento  della  somma  di
euro 5.762,48, quale indennita' risarcitoria per il danno causato  al
paesaggio per la realizzazione di un appartamento posto alla  seconda
elevazione e facente parte di un maggiore edificio  composto  da  due
piani f.t., sito nel Comune di Agrigento nella via della Ruta n. 5  e
censito al N.C.E.U. al fg. n. 163 part. 1270, sub. 3; 
        della  nota  prot.  n.  1159  del  29  gennaio   2015   della
Soprintendenza ai BB.CC.AA. di Agrigento nella parte in  cui  prevede
la riscossione della sanzione paesaggistica ai  sensi  dell'art.  167
del decreto legislativo n. 42/2004; 
        della  nota  prot.  n.  168/6  dell'8  gennaio   2018   della
Soprintendenza  ai  BB.CC.AA.  di  Agrigento  nonche'   dell'allegata
perizia tecnica estimativa del danno al paesaggio. 
    4. Gli odierni appellati deducevano le seguenti censure: 
        a) intrasmissibilita' della sanzione; 
        b) sopravvenienza del vincolo paesaggistico. 
    5.  Con  la  sentenza  impugnata  il   Tribunale   amministrativo
regionale ha  respinto  la  censura  relativa  all'intrasmissibilita'
della sanzione,  ed  ha  accolto  il  ricorso  ritenendo  fondata  ed
assorbente,  la  censura  (di  cui  al  punto  a)  incentrata   sulla
sopravvenienza del vincolo paesaggistico  rispetto  alla  commissione
dell'abuso argomentando sulla base  del  canone  di  irretroattivita'
desumibile dall' art. 1, legge n. 689/1981 e dal comma 3 dell'art.  5
della legge regionale n. 17/1994. 
    6. Con ricorso n. 1163 del 2021 l'amministrazione regionale, gia'
resistente e rimasta soccombente  nel  giudizio  di  prime  cure,  ha
depositato l'atto di appello (tempestivamente passato  per  notifica)
proponendo  una  articolata  critica  alla  sentenza  in  epigrafe  e
chiedendone la riforma, in quanto avrebbe disatteso la  tesi  secondo
cui alla data di commissione dell'abuso edilizio  per  cui  e'  causa
l'area sarebbe stata (gia') interessata da un  vincolo  paesaggistico
(e non soltanto  archeologico)  che  avrebbe,  quindi  sin  dal  1971
preceduto il vincolo introdotto dalla legge 8 agosto 1985, n. 431,  e
chiedendo  che  questo  CGARS  sollevi  questione   di   legittimita'
costituzionale,  negli  stessi  termini  di  cui  alla  sentenza  non
definitiva parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale
n. 532  del  14  giugno  2021  (trattandosi  di  causa  che  presenta
identita'  di  situazione  fattuale  rispetto  a  quella  di  cui  al
procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020 ove  e'  stata  emessa  la
predetta sentenza parziale n. 532 del 14 giugno 2021). 
    7. Nel giudizio di appello si sono costituite le parti  appellate
con memoria di stile del 27 gennaio 2022. 
    8. All'udienza del 24 febbraio 2022 la causa e' stata  trattenuta
in decisione. 
 
                               Diritto 
 
    l. Il Collegio ritiene in via preliminare di illustrare  l'ordine
espositivo con il quale verranno affrontate le  questioni  sottoposte
al suo scrutinio nel  presente  giudizio,  anche  in  relazione  alla
decisione di rimettere alla  Corte  costituzionale  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  comma  3   della   legge
regionale siciliana n. 17/1994. 
    2. Si premette che: 
        il presente giudizio e' uno dei tanti ancora pendenti innanzi
a questo Consiglio di giustizia amministrativa ed aventi  ad  oggetto
immobili edificati abusivamente nell'area della Valle dei  Templi  in
Agrigento  nella  medesima  area  (con  riferimento  a  due  di  tali
fascicoli, come meglio si chiarira' nel prosieguo della  esposizione,
questo  CGARS  ha  disposto  con  sentenza  parziale   ed   ordinanza
collegiale la rimessione delle cause alla Corte  costituzionale:  per
numerosi altri,  finora,  e'  stata  disposta  la  c.d.  «sospensione
impropria»); 
        non puo' essere messa in discussione l'assoluta  peculiarita'
della  Valle  dei   Templi   di   Agrigento,   espressione   di   una
compenetrazione  fra  profili  archeologici,  artistici,  storici   e
dell'ambiente  circostante  che  attribuisce  al  sito  il  carattere
dell'unicita': nel dicembre del 1997, nel corso  della  21ª  riunione
annuale del Comitato del patrimonio mondiale dell'Unesco, tenutasi  a
Napoli (1-6  dicembre  1997),  e'  stata  iscritta  nella  Lista  del
patrimonio  mondiale  dell'umanita'  con   la   denominazione   «Area
archeologica di Agrigento» (il documento ICOMOS n.  831  descrive  il
sito e i principali monumenti in esso contenuti). 
    3. Si premette altresi' che nell'ambito del procedimento iscritto
al r.g.n. n. 99/2020 chiamato in decisione nella pubblica udienza del
5 maggio 2021: 
        a) questo CGARS, con ordinanza collegiale 23 ottobre 2020, n.
976, ha disposto una  verificazione  al  fine  di  chiarire  l'esatta
collocazione  dell'immobile  per   cui   era   lite   rispetto   alla
perimetrazione della «zona B»  di  cui  ai  decreti  ministeriali  12
giugno 1957, 16 maggio 1968 e 7 ottobre 1971 ed al successivo decreto
del Presidente della Regione Siciliana n. 91  del  1991,  nonche'  al
precedente decreto Presidenziale 6 agosto 1966, n. 807, e in data  15
novembre  2020  il  verificatore  ha  depositato  la   relazione   di
verificazione; 
        b)  l'immobile  per  cui  e'  causa  e'   ubicato   in   area
corrispondente a quella oggetto della relazione di verificazione resa
nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020; 
        c) nell'ambito del procedimento iscritto al r.g.n. n. 99/2020
il Collegio ha reso la sentenza non definitiva parziale  e  ordinanza
di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14 giugno  2021  (ed
in pari data, nell'ambito  di  procedimento  iscritto  al  r.g.n.  n.
250/2019 il Collegio ha reso la sentenza non  definitiva  parziale  e
ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 533 del 14  giugno
2021); 
        d) alle argomentazioni sviluppate nel provvedimento r.g.n. n.
99/2020 sopra citato si fara' ampio riferimento in seno  al  presente
provvedimento. 
    4. Cio' posto, si procede alla disamina delle  questioni  oggetto
di scrutinio nel seguente ordine: 
        a) in primis si rileva che le parti appellate, costituite nel
presente grado di giudizio, con una sintetica memoria con la quale si
contestano i motivi dell'appello, non hanno appellato incidentalmente
il  motivo  di  censura  di  primo  grado  respinto,  relativo   alla
intrasmissibilita' della sanzione,  sicche'  sulla  questione  si  e'
formato il giudicato interno; parimenti, nessun motivo  assorbito  e'
stato riproposto ex art. 101 c.p.a.; 
        b)  al  fine  di  perimetrare  gli  argomenti  effettivamente
rilevanti -  si  esamina  il  primo  (ed  infondato,  ad  avviso  del
Collegio) motivo dell'appello della difesa erariale; 
        c) successivamente si espone il convincimento  del  Collegio,
in punto di fatto, sul regime vincolistico dell'area in  cui  insiste
l'immobile per cui e' causa (con reiezione della  tesi  della  difesa
erariale secondo cui al tempo dell'abuso sarebbe stato gia'  presente
un vincolo paesaggistico o che,  comunque,  il  vincolo  archeologico
fosse «equipollente» a quello paesaggistico); 
        d)  immediatamente  di   seguito,   sono   rappresentate   le
conseguenze che cio'  comporta  con  riguardo  all'odierno  processo,
qualificando la natura  giuridica  della  fattispecie  ex  art.  167,
decreto legislativo n. 42/2004; 
        e)  sono  quindi  esposte  le  ragioni  per  cui  si  ritiene
inapplicabile alla fattispecie il disposto di cui all'art.  1,  legge
n. 689/1981; 
        f)  infine,  riassunte  le  ragioni  della  rilevanza   della
questione, viene esaminato il tema della non  manifesta  infondatezza
della  questione   concernente   la   compatibilita'   costituzionale
dell'art. 5, comma 3 della  legge  regionale  siciliana  n.  17/1994,
considerato anche l'inquadramento giuridico di cui al punto c). 
    5.  In  ossequio  alla  condivisibile  ricostruzione  di  cui   a
Cassazione civ., ss. uu. 11 dicembre  2007,  n.  25837  (secondo  cui
avrebbero sempre carattere decisorio, e devono essere  immediatamente
impugnati ovvero essere oggetto di riserva di  impugnazione,  i  capi
della ordinanza di rimessione che decidono nei sensi di cui  all'art.
279, comma 1, n. 4 c.p.c.) ed in linea con  le  prescrizioni  di  cui
all'art. 36, comma 2 c.p.a.,  a  miglior  garanzia  delle  parti  del
processo, si provvedera' a decidere le questioni di cui alle  lettere
b) e c)  del  superiore  elenco  con  sentenza  non  definitiva,  che
tuttavia, al fine di consentire  la  unicita'  di  esame  alla  Corte
costituzionale, non verra' resa  separatamente,  ma  unitamente  alla
ordinanza collegale di rimessione. 
    6. Come brevemente chiarito nella parte «in fatto» della presente
decisione, il primo giudice ha accolto  il  ricorso  di  primo  grado
(anche    richiamando    per     relationem     alcuni     precedenti
giurisprudenziali), sulla scorta di un triplice argomentare  fattuale
e giuridico: 
        a) l'insussistenza di alcun vincolo  paesaggistico  sull'area
ove venne edificato l'immobile,  al  momento  in  cui  l'abuso  venne
commesso (fino al sopravvenire della legge n.  431/1985,  c.d.  legge
Galasso); 
        b)  la  sussistenza,  sull'area  predetta,  di   un   vincolo
archeologico al momento in cui l'abuso venne commesso; 
        c)  la   non   assimilabilita'   del   vincolo   archeologico
sussistente sull'area ove venne edificato l'immobile  ad  un  vincolo
paesaggistico, ai fini dell'applicabilita' dell'art. 167 del  decreto
legislativo n. 42/2004. 
    Di conseguenza, il Tribunale amministrativo regionale ha  accolto
la censura incentrata sulla sopravvenienza del vincolo  paesaggistico
rispetto alla commissione dell'abuso, qualificando  l'indennita'  qui
controversa come  sanzione  amministrativa,  ed  argomentando  quindi
sulla base del canone  di  irretroattivita'  desumibile  dall'art.  1
della legge n. 689/1981  e  dal  comma  3  dell'art.  5  della  legge
regionale n. 17/1994. 
    7. Quanto ai primi tre profili  dell'iter  motivazionale  seguito
dal Tribunale amministrativo regionale (precedenti punti b  e  c)  il
Collegio ne condivide l'approdo e ritiene, di converso, che le difese
articolate  dalla  difesa  erariale  in  primo  grado  non   meritino
condivisione. 
    7.1. Come emerge dalla verificazione effettuata  nell'ambito  del
procedimento r.g. n. 99/2020, cui si e' prima  fatto  riferimento,  e
come peraltro si dara' conto brevemente alla  luce  dell'analisi  dei
testi normativi susseguitesi, ritiene il Collegio che  -  per  quanto
paradossale  ci  possa  sembrare   tenuto   conto   delle   peculiari
caratteristiche e dell'evidente pregio dell'area geografica in  esame
- sino al 1985 sull'area dove venne perpetrato l'abuso non  insisteva
alcun vincolo paesaggistico, e che  non  possa  neppure  seguirsi  la
difesa erariale (primo motivo dell'appello principale) laddove questa
sostiene   che   il   vincolo   archeologico   sussistente    potesse
«parificarsi» ad un vincolo paesaggistico (o,  per  dirla  altrimenti
ricomprendesse profili paesaggistici). 
    7.2. Cio' rilevato, il Collegio ritiene a questo punto di doversi
addentrare, ai fini della trattazione del primo  motivo  dell'appello
principale   e   della   rimessione   alla   Corte    costituzionale,
nell'inquadramento giuridico dei van aspetti  che  contraddistinguono
l'applicazione dell'istituto di cui all'art. 167, comma 5 del decreto
legislativo n. 42/2004 e dell'art. 5, comma  3,  legge  regionale  n.
17/1994 al caso di specie. 
    7.3. Detta  conclusione  si  spiega  in  ragione  dell'evoluzione
normativa intervenuta in materia e delle  circostanze  di  fatto  che
sono di seguito illustrate. 
    7.4. Quanto alle  circostanze  di  fatto,  va  premesso  che  gli
appellati  hanno  dichiarato  che  il  fabbricato  -   dallo   stesso
acquistato nel 1982 - e' stato realizzato ed  ultimato  entro  l'anno
1975  dal  proprio  dante  causa  (e  tale  affermazione  e'  rimasta
incontestata) e che esso ricade all'interno  della  zona  perimetrata
quale «Zona B» (anche tale affermazione e' rimasta incontestata dalla
difesa erariale); ne discende pertanto che le  emergenze  fattuali  e
giuridiche di  cui  alla  verificazione  effettuata  nell'ambito  del
processo r.g.n. 99/2020 sono perfettamente traslabili  alla  presente
fattispecie. 
    7.5.  Cio'  posto,  l'evoluzione  normativa  puo'  essere   cosi'
riassunta: 
        a seguito delle attivita' della Commissione  provinciale  per
la tutela delle bellezze naturali della Provincia  di  Agrigento,  il
Ministro della  pubblica  istruzione,  con  decreto  12  giugno  1957
«Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona della  Valle
dei Templi e dei punti di vista della citta' sulla Valle stessa, siti
nell'ambito del Comune di Agrigento», sottopose a  tutela  paesistica
un'ampia zona del territorio comunale; 
        a seguito della  «frana  di  Agrigento»  venne  approvato  il
decreto-legge  30  luglio  1966,  n.  590,  «Dichiarazione  di   zona
archeologica  di  interesse  nazionale  della  Valle  dei  Templi  di
Agrigento», convertito in legge 28 settembre 1966, n. 749; 
        a distanza di sola una settimana il Presidente della  Regione
Siciliana   intervenne   nella   questione   emanando   il    decreto
presidenziale 6 agosto  1966,  n.  807,  «Dichiarazione  di  notevole
interesse pubblico della zona della Valle dei Templi e dei  punti  di
vista del belvedere del Comune di Agrigento», che sottopose una  piu'
ampia zona del territorio comunale a vincolo paesistico; 
        in esecuzione legge 28 settembre 1966, n. 749, di conversione
del decreto-legge 30 luglio 1966, n. 590, venne emanato dal Ministero
della pubblica istruzione di concerto con il Ministero per  i  lavori
pubblici, il decreto 16 maggio 1968,  «Determinazione  del  perimetro
della Valle dei Templi di Agrigento, delle prescrizioni d'uso  e  dei
vincoli di in edificabilita'» (c.d. Gui-Mancini) - poi modificato dal
decreto 7 ottobre 1971 «Modifiche del decreto ministeriale 16  maggio
1968, concernente la determinazione del  perimetro  della  Valle  dei
Templi  di  Agrigento,   prescrizioni   d'uso   e   vincoli   di   in
edificabilita'» (c.d. Misasi-Lauricella) -, che vincolo' delimito' la
Valle dei Templi, definendo e suddividendo l'area vincolata in cinque
zone, dalla A alla E, aventi ciascuna specifica  prescrizione,  oltre
ad avere  introdotto  (la  Misasi-Lauricella)  il  nulla  osta  della
Soprintendenza ai BB.CC.AA. per la  realizzazione  di  infrastrutture
urbanistiche; 
        in data 17 agosto 1985 venne  pubblicata  nella  G.U.R.S.  la
legge 10 agosto 1985, n. 37, «Nuove norme  in  materia  di  controllo
dell'attivita' urbanistico-edilizia, riordino urbanistico e sanatoria
delle  opere  abusive»,  il  cui  art.  25,  «Parco  archeologico  di
Agrigento», prevedeva al comma 1, che «Entro il 31 ottobre  1985,  il
Presidente della regione, di concerto con gli assessori regionali per
i beni culturali e per il territorio e l' ambiente, sentiti i  pareri
del Sovrintendente ai beni culturali di  Agrigento  e  del  Consiglio
regionale per i beni culturali ed ambientali, provvede ad emanare  il
decreto di delimitazione dei confini  del  Parco  archeologico  della
Valle dei Templi di Agrigento ed all'individuazione dei confini delle
zone da assoggettare a differenziati  vincoli,  previo  parere  della
competente   Commissione   legislativa    dell'Assemblea    regionale
siciliana»: la delimitazione dei confini del Parco archeologico venne
stabilita con il decreto del Presidente della  Regione  Siciliana  13
giugno 1991, n. 91, «Delimitazione dei confini del Parco Archeologico
della Valle dei  Templi  di  Agrigento»  (c.d.  Nicolosi),  che  fece
coincidere il confine del Parco  archeologico  di  Agrigento  con  il
confine  della  zona  A  -  delimitata  con  l'art.  2  del   decreto
ministeriale 16 maggio 1968 (c.d. Gui-Mancini) e poi  modificato  con
decreto ministeriale 7 ottobre 1971 (c.d. Misasi-Lauricella) - e  che
amplio' anche la zona  «B»,  includendo  Cozzo  S.  Biagio,  Contrada
Chimento ed una zona a nord della Contrada Mose'. 
    7.6. Quindi, in disparte il vincolo  paesaggistico  di  cui  alla
legge Galasso ed al successivo decreto  legislativo  n.  42/2004,  in
base alla normativa vigente al tempo della costruzione (1973/76),  il
manufatto  oggetto  di  controversia   era   sottoposto   a   vincolo
archeologico in base al decreto 16 maggio 1968 e al decreto 7 ottobre
1971, cosi' come per  il  successivo  decreto  del  Presidente  della
Regione Siciliana 13 giugno 1991, n. 91. 
    Di converso  deve  considerarsi  accertato  che  l'area  non  era
soggetta a vincolo  paesaggistico  all'epoca  della  costruzione,  in
quanto ne' il decreto del 1968 ne'  il  decreto  7  ottobre  1971  lo
imponevano. 
    12.6. Il vincolo paesaggistico e'  quindi  sopravvenuto  rispetto
alla realizzazione del manufatto per cui e' lite. Cosi' disattesa  la
tesi originaria di primo grado  della  difesa  erariale  secondo  cui
nell'area  insisteva  un  vincolo  paesaggistico   al   tempo   della
commissione dell'abuso, il Collegio deve farsi carico  dell'ulteriore
prospettazione critica originaria secondo cui il vincolo archeologico
imposto sull'area  avesse  una  portata  effettuale  identica  ad  un
vincolo  paesaggistico,   e/o   ricomprendesse   quest'ultimo.   Come
avvertito  nella  premessa,  anche  tale  profilo  critico   non   e'
persuasivo. Osta, all'accoglimento di tale prospettazione: 
        a) la diversa natura dei due vincoli presi in considerazione; 
        b) il dato letterale: decreto ministeriale 16 maggio 1968; 
        c) in termini assorbenti, il chiaro  dettato  della  sentenza
della Corte costituzionale 11 aprile 169, n. 74. 
    Nel  periodo  storico  che  ha  preceduto   e   accompagnato   la
realizzazione dell'immobile abusivo (fra il 1968,  anno  dell'entrata
in vigore del decreto ministeriale 16 maggio 1968, e l'anno 1973,  di
completamento  dell'immobile   abusivo)   l'efficacia   del   vincolo
paesaggistico su bellezze di insieme, nei confronti dei  proprietari,
possessori o detentori, ha  inizio  dal  momento  in  cui,  ai  sensi
dell'art. 2, ultimo comma, della legge n. 1497/1939,  l'elenco  delle
localita', predisposto dalla Commissione ivi prevista e nel quale  e'
compresa la bellezza  di  insieme,  viene  pubblicato  nell'albo  dei
comuni interessati (Corte costituzionale, 23 luglio 1997, n. 262). 
    Il vincolo e' apposto attraverso un procedimento tipico,  che  si
conclude con un provvedimento finale costitutivo di obblighi (art. 7,
legge n. 1497/1939) a carico dei soggetti «proprietari, possessori  o
detentori, a qualsiasi  titolo,  dell'immobile  il  quale  sia  stato
compreso nei pubblicati elenchi delle localita'» ed  e'  destinato  a
venire meno quando l'autorita' preposta alla approvazione  definitiva
rifiuti l'approvazione  (anche  parzialmente  eliminando  l'efficacia
rispetto a taluni immobili) ovvero intervenga una successiva modifica
dell'elenco suddetto. La Consulta ha sottolineato (per differenza con
il sistema introdotto dalla legge  n.  431/1985,  ora  contenuto  nel
decreto legislativo n. 42/2004) che la legge n. 1497/1939 prevede una
tutela diretta alla preservazione di cose e localita' di  particolare
pregio estetico isolatamente considerate. 
    L'art.  2-bis  del  decreto-legge  30  luglio   1966,   n.   590,
convertito, con modificazioni, nella legge 28 settembre 1966, n. 749,
che ha dichiarato la Valle dei Templi di Agrigento zona  archeologica
di interesse nazionale,  e  il  successivo  decreto  ministeriale  16
maggio  1968  non  solo  fanno  esplicito  riferimento   al   vincolo
archeologico  ma  non  incanalano  detta  qualificazione   nell'alveo
indicato dalla legge n. 1497/1939, cosi' apponendo un vincolo  avente
una natura corrispondente a quella dichiarata,  appunto  archeologica
(e non paesaggistica). 
    Del resto la Corte costituzionale ha affermato che «l'art.  2-bis
ha  disposto  un  vincolo  su  la   zona   dei   Templi   (rimettendo
all'autorita' amministrativa la determinazione del perimetro di essa)
in conseguenza di un fatto di eccezionale gravita', qual era stato il
movimento franoso del  1966,  ed  in  considerazione  del  preminente
carattere  archeologico  della  zona  e  dell'interesse  generale   a
impedire  ulteriori   effetti   dannosi   di   quell'evento»   (Corte
costituzionale, 11 aprile 1979, n. 64). 
    Il decreto  ministeriale  7  ottobre  1971,  successivo  a  Corte
costituzionale n. 74/1969, recante la nuova perimetrazione del  sito,
non solo non scalfisce la tesi della  natura  non  paesaggistica  del
vincolo originariamente apposto alla Valle dei Templi, ma  ne  avalla
l'impostazione,  laddove,  nelle  premesse,  ravvisa   la   finalita'
dell'intervento normativo nella volonta' di consentire  «le  ricerche
archeologiche e le opere di restauro, sistemazione  e  valorizzazione
della zona archeologica  e  dei  suoi  monumenti,  nonche'  le  opere
necessarie alla custodia dei reperti antichi». 
    7.8. Deve quindi concludersi che il vincolo archeologico  imposto
sull'area non avesse  una  portata  effettuale  identica  al  vincolo
paesaggistico e/o  non  ricomprendesse  quest'ultimo,  non  ricadendo
l'immobile nel perimetro del vincolo paesistico. 
    8. La superiore ricostruzione, quindi, e' conforme a  quella  del
Tar, in punto di determinazione dell'assetto vincolistico dell'area o
ve e' stato perpetrato l'abuso e al tempo  dello  stesso  (sul  punto
anche Cassazione penale, III, 4 settembre 2014, n. 36853). 
    8.1. Il Tribunale  amministrativo  regionale  ha  da  cio'  fatto
discendere  le  conseguenze  demolitorie   censurate   dalla   difesa
erariale, ritenendo che la sanzione ex art. 167, decreto  legislativo
n. 42/2004 vada ascritta nel novero delle sanzioni  amministrative  e
che il canone della irretroattivita' desumibile dall'art. 1, legge n.
689/1981 e dal comma 3 dell'art. 5 della legge regionale  n.  17/1994
impedisca di ritenere legittimo il provvedimento impugnato. 
    8.2. Tale  questione  richiede  una  attenta,  seppur  sintetica,
analisi, per la  quale  e'  necessario  inquadrare  il  provvedimento
impugnato e  l'indennita'  che  ne  costituisce  l'oggetto  (analisi,
questa, gia' svolta n  eli'  ambito  della  sentenza  non  definitiva
parziale e ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del
14 giugno 2021 e della sentenza non definitiva parziale  e  ordinanza
di rimessione in Corte costituzionale n. 533 del 14 giugno 2021,  con
le considerazioni che di seguito si ritrascrivono ).  Come  e'  noto,
per lungo tempo [a giurisprudenza ha qualificato l'indennita' di  cui
all'art. 15, legge n. 1497/1939 (trasfusa poi nell'art. 164,  decreto
legislativo n. 490/1999, ed oggi nell'art. 167 d.  lgs.  n.  42/2004)
come sanzione amministrativa (Cons. St.: V, 24 aprile 1980,  n.  441;
24 novembre 1981, numeri 700 e 702; VI, 29 marzo 1983, n. 162; VI,  4
ottobre 1983, n. 701; VI, 5 agosto 1985, n. 431; VI, 16 maggio  1990,
n. 242, VI, 31 maggio 1990, n. 551; VI, 15 aprile 1993, n. 290; VI, 2
giugno 2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000 n.  5386;  IV,  12  novembre
2000, n. 6279; IV, 2 marzo 2011, n. 1359; V, 26  settembre  2013,  n.
4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130; II, 25 luglio 2020, n. 4755;  CARO:
sez. cons. 16 novembre 1993, n. 452; sez. giur.  13  marzo  2014,  n.
123; 17 febbraio 2017, n. 58; 23 marzo 2018, n. 168; 17 maggio  2018,
n. 293; 22 agosto 2018, n. 484; 29 novembre 2018, n.  958;  25  marzo
2019, n. 251, 20 marzo 2020, n. 198; 1° luglio 2020, n. 505; 3 luglio
2020, n. 527; Cassazione: sez. un. 18 maggio 1995, n. 5473; 10 agosto
1996, n. 7403; 4 aprile 2000, n. 94; 10 marzo 2004, n. 4857; 10 marzo
2005, n. 5214), specificando in alcune  occasioni  che  l'assenza  di
danno sostanziale al paesaggio non esonera dalla sanzione,  essendovi
comunque sempre un danno formale per aver edificato  senza  nullaosta
paesaggistico (Con s. St., V, 1° ottobre 1999, n. 1225; VI, 2  giugno
2000, n. 3184; VI, 9 ottobre 2000, n. 5386; 31 ottobre 2000, n. 5828;
IV, 27 ottobre 2003 n. 6632; IV,  12  marzo  2011,  n.  1359;  V,  26
settembre 2013, n. 4783; VI, 8 gennaio 2020, n. 130;  II,  27  maggio
2020, n. 4755). 
    Nondimeno,   nell'ambito   degli   arresti    richiamati,    alla
qualificazione   dell'indennita'   in   discorso    quale    sanzione
amministrativa pecuniaria non  e'  seguita  l'integrale  applicazione
della disciplina sistematica di cui alla legge  n.  689/1981  (seppur
nei «limiti di compatibilita'» scolpiti  sub  art.  12)  rinvenendosi
almeno tre punti di frizione:  l'irretroattivita',  il  regime  della
prescrizione e l'intrasmissibilita' agli eredi ed  aventi  causa.  La
sentenza oggi appellata, come gia' rilevato nella parte  «in  fatto»,
si sofferma sulla questione della asserita  intrasmissibilita'  della
sanzione e su quella della sopravvenienza del vincolo (come del  pari
quella impugnata nell'ambito del ricorso  r.g.n.  99/2020,  parimenti
definito con la sentenza non  definitiva  parziale  ed  ordinanza  di
rimessione in Corte costituzionale n. 532 del  14  giugno  2021).  Il
Collegio, deve segnalare quella che e' - a suo avviso - un'incoerenza
sistematica notevole nella giurisprudenza «tradizionale», che ritiene
che la fattispecie ex art. 167, decreto legislativo n.  42/2004  vada
ascritta al novero delle sanzioni amministrative e che alla stessa si
applichi l'impianto di cui alla legge 689/1981. Giova  precisare,  in
proposito, che assai sovente la giurisprudenza ha: 
        a) sostenuto tout court l'applicabilita'  legge  n.  689/1981
(in quanto si qualifica il  provvedimento  impugnato  quale  sanzione
amministrativa) al disposto di cui all' art. 167, decreto legislativo
n. 42/2004; 
        b)  applicato  le  disposizioni  della  predetta   legge   n.
689/1981, in punto di irretroattivita' (art. 1) e  quanto  al  regime
della prescrizione (art. 28); 
        c) ritenuto inapplicabile il regime della citata legge n. 689
in punto di intrasmissibilita' agli eredi (art.  7),  nella  evidente
difficolta' di  contrastare  approdi  pacifici  della  giurisprudenza
amministrativa e penale formatasi sull'ambulatori eta' dell'ordine di
demolizione (Cons. St., IV, 12 aprile 2011, n. 2266; IV, 24  dicembre
2008, n. 6554; nonche' Cassazione, III, 15  luglio  2020,  n.  26334;
III, 22 ottobre 2009, n.  48925)  e,  -  si  puo'  ipotizzare  -  nel
convincimento che l'affermazione di un simile principio renderebbe il
precetto primario facilmente eludibile. 
    8.3. In punto di inquadramento generale il Collegio ritiene,  non
solo per la segnalata incoerenza intrinseca (che, semmai, e' soltanto
la «spia» di una ricostruzione  complessivamente  non  appagante:  si
veda peraltro  la  uniforme  giurisprudenza  che  esclude,  sempre  e
comunque,  l'applicazione  dell'art.  14,  legge  n.  689/1981   alla
fattispecie in esame: ex aliis CGARS, sez. giurisdizionale, 23 maggio
2018,  n.  300)  e  sulla  scorta  di  un  piu'  recente  e  meditato
orientamento giurisprudenziale (Cons. St., IV,  31  agosto  2017,  n.
4109; Id., II, 30 ottobre 2020, n. 6678),  che  l'indennita'  di  cui
all'art. 167, comma 5,  decreto  legislativo  n.  42/2004  abbia  una
funzione riparatoria, essendo  funzionale  alla  cura  dell'interesse
paesaggistico, e quindi che alla medesima non si applichi la legge n.
689/1981. 
    8.4. L'art. 167, decreto legislativo n.  42/2004  stabilisce,  al
comma 1, la regola generale per cui la  violazione  della  disciplina
paesaggistica contenuta nel titolo I della parte terza del codice dei
beni  culturali  e  del  paesaggio  determina  per  il   trasgressore
l'obbligo di rimessione in pristino  a  proprie  spese.  Alla  regola
generale  si   sottrae   ]a   fattispecie   di   accertamento   della
compatibilita' paesaggistica disciplinata al successivo comma  4,  ai
sensi del quale  l'autorita'  amministrativa  competente  accerta  la
compatibilita' paesaggistica nei seguenti casi: 
        a)  per  i  lavori,  realizzati  in  assenza  o   difformita'
dall'autorizzazione  paesaggistica,  che  non   abbiano   determinato
creazione di superfici  utili  o  volumi  ovvero  aumento  di  quelli
legittimamente realizzati; 
        b)   per    l'impiego    di    materiali    in    difformita'
dall'autorizzazione paesaggistica; 
        c) per i lavori comunque configurabili  quali  interventi  di
manutenzione ordinaria o  straordinaria  ai  sensi  dell'art.  3  del
decreto del Presidente della Repubblica, n. 380 del 2001. 
    A tal fine, in base al successivo comma 5: 
        il proprietario, possessore o detentore  a  qualsiasi  titolo
dell'immobile  o  dell'area  interessati  dai   suddetti   interventi
presenta apposita domanda all'autorita' preposta  alla  gestione  del
vincolo ai fini dell'accertamento della compatibilita'  paesaggistica
degli interventi medesimi; 
        l'autorita' competente si pronuncia sulla  domanda  entro  il
termine perentorio di centottanta giorni,  previo  parere  vincolante
della soprintendenza da  rendersi  entro  il  termine  perentorio  di
novanta giorni; 
        qualora venga accertata la compatibilita'  paesaggistica,  il
trasgressore e' tenuto al  pagamento  di  una  somma  equivalente  al
maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto  conseguito
mediante la trasgressione (l'importo  della  sanzione  pecuniaria  e'
determinato previa perizia di stima) mentre in caso di rigetto  della
domanda si applica la sanzione demolitoria. 
    Il detto comma 5 dell'art. 167 dispone altresi' che  «la  domanda
di accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica  presentata  ai
sensi dell'art. 181, comma 1-quater si intende  presentata  anche  ai
sensi e per gli effetti di cui al presente  comma»,  che  disciplina,
fra l'altro, il pagamento della somma  dovuta  dal  trasgressore.  Ai
sensi dell'art. 181, comma 1-quater, decreto legislativo  n.  42/2004
il  proprietario,  possessore  o   detentore   a   qualsiasi   titolo
dell'immobile o dell'area interessati  dagli  interventi  di  cui  al
comma 1-ter (che coincidono con i sopra riferiti  interventi  di  cui
all'art.  167  comma  4),  presenta  apposita  domanda  all'autorita'
preposta alla gestione del vincolo ai  fini  dell'accertamento  della
compatibilita' paesaggistica degli interventi medesimi e  l'autorita'
competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio  di
centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza  da
rendersi  entro  il  termine  perentorio  di  novanta   giorni   (con
disposizione analoga a quella contenuta nell'art. 167, comma 5). 
    8.5. Da quanto sopra discende che: 
        l'istanza presentata dal proprietario, possessore o detentore
a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'area interessati dai suddetti
interventi, avvia un  procedimento  avente  due  finalita'  connesse,
essendo volto  all'accertamento  della  compatibilita'  paesaggistica
degli  interventi  medesimi  e,  nel  contempo,   se   il   risultato
dell'attivita'  di  verifica  e'  positivo,  alla  comminatoria   del
pagamento della somma di cui al comma 5 del predetto art. 167; 
        la soddisfazione dell'interesse  pretensivo  del  privato  (a
vedere  riconosciuta  la  conformita'  paesaggistica  del   manufatto
abusivo) porta con  se',  quindi,  necessariamente,  in  funzione  di
contrappeso, la debenza della somma; 
        l'obbligo di corrispondere  la  somma  sorge  con  l'adozione
dell'atto favorevole ma  non  e'  esigibile  fino  alla  liquidazione
dell'ammontare      (l'intervallo      procedimentale      successivo
all'accertamento della conformita' ambientane e' funzionale  proprio,
e solo, come si vedra' infra, alla quantificazione del dovuto); 
        nella prospettiva pubblicistica l'interesse paesaggistico  e'
perseguito superando, innanzitutto, l'alternativa fra,  da  un  lato,
incompatibilita' paesaggistica e  riduzione  in  pristino  (comma  1,
dell'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004)  e,  dall'altro  lato,
compatibilita' paesaggistica dell'intervento ai  sensi  del  comma  4
dell'art. 167 e debenza della somma di denaro; 
        al  rigetto  della  domanda   consegue   quindi   la   misura
ripristinatoria per eccellenza, riposante  nella  demolizione  (Cons.
St., VI, 21 dicembre 2020, n. 8171 e 15 aprile 1993, n. 290); 
        diversamente,     l'accertamento     della     compatibilita'
paesaggistica determina,  in  ragione  del  principio  di  efficienza
dell'intero  sistema  (l'attuale  conformita'   paesaggistica   rende
recessiva la precedente irregolarita'), il superamento della  pretesa
di assicurare il ripristino dello status quo ante; 
        la   cura   del   relativo    interesse    impone    comunque
all'amministrazione di  tenere  in  considerazione  l'abuso  commesso
facendone sopportare il costo (per la collettivita', nei termini  che
si diranno infra) al privato istante attraverso il pagamento  di  una
somma di denaro,  quantificata,  nei  termini  di  cui  al  comma  5,
dell'art. 167, decreto legislativo  n.  42/2004,  previa  perizia  di
stima, e avente anche una finalita' general-preventiva; 
        i  provvedimenti   di   accertamento   della   compatibilita'
paesaggistica e di condanna  al  pagamento  della  somma  di  denaro,
nonche' di quantificazione del dovuto, concorrono tutti alla cura del
paesaggio e si pongono, fra loro, in una relazione di  necessarieta',
nel senso che detto interesse pubblico e' adeguatamente  amministrato
solo in quanto siano adottati tutti; 
        il   collegamento   pubblicistico   fra   le   determinazioni
dell'amministrazione  (compatibilita'  paesaggistica,   condanna   al
pagamento di una somma di denaro e quantificazione  dell'importo)  e'
reso evidente dalla disposizione che prevede che l'istanza presentata
dal  privato  sia  funzionale   non   solo   all'accertamento   della
compatibilita'  paesaggistica  ma  anche  alla  quantificazione   del
pagamento della somma di denaro; 
        l'obbligo di pagare la somma di denaro deriva dalla  legge  e
diviene  attuale  con  l'accertamento  positivo   della   conformita'
paesaggistica dell'intervento (che invece, all'accertamento negativo,
segue la riduzione in pristino); 
        segnatamente l'an della debenza  e'  reso  certo  al  momento
della verifica (positiva) di conformita' paesaggistica del manufatto;
nondimeno, posto che esso non e' ancora  liquido,  non  e'  esigibile
fino all'avvenuta determinazione del quantum; 
        la quantificazione della somma dovuta e' connotata dalla cura
dell'interesse paesaggistico essendo effettuata infatti in base a una
stima, nel «maggiore importo tra il  danno  arrecato  e  il  profitto
conseguito»; 
        a quest'ultima ericonducibile una duplice ratio; 
        innanzitutto essa e' funzionale alla cura  dell'ambiente;  in
tal senso il parametro di quantificazione  prescelto  non  e'  avulso
dalla necessita' di superare la prospetti va ripristinatoria, di  per
se' rinvenibile nella sola riduzione in pristino, ed e' riconducibile
alla necessita' di calmierare l'esternalita' negativa derivante dalla
trasgressione  paesaggistica,  connessa  ad  un  interesse  in  parte
adespota, anche m  relazione  alla  sua  connessione  con  il  valore
dell'ambiente  e  delle  esigenze  di  preservarlo  alle  generazioni
future; 
        cio' reso evidente dall'utilizzo  delle  somme  ricavate  per
«l'esecuzione delle rimessioni  in  pristino»  e  per  «finalita'  di
salvaguardia  nonche'  per  interventi   di   recupero   dei   valori
paesaggistici e di  riqualificazione  degli  immobili  e  delle  aree
degradati o interessati  dalle  rimessioni  in  pristino»  (comma  6,
dell'art.   167,   decreto   legislativo   n.   42/2004)   e    dalla
quantificazione della stessa in modo non avulso  dalla  trasgressione
commessa, dal momento che uno dei parametri e' costituito  dal  danno
arrecato; 
        la precedente  normativa  infatti,  contenuta  nell'art.  15,
legge n. 1497/1939, nel decreto ministeriale 26 settembre  1997,  poi
trasfuso nell'art. 164, decreto legislativo n. 490/1999,  qualificava
l'indennita' come risarcitoria, cosi' evidenziandone la  funzione  di
compensazione della collettivita'  dell'utilita'  perduta  nel  tempo
dell'abuso,  valorizzando  in  modo  astratto  l'oggetto  di  tutela,
l'interesse paesaggistico, cioe' considerandolo  nel  suo  valore  di
scambio; 
        in tal senso si puo' interpretare la  recente  giurisprudenza
del Consiglio di Stato che delinea la condanna  pecuniaria  in  esame
come «sanzione riparatoria alternativa» al  ripristino  dello  status
quo ante, cosi' non applicando la disciplina contenuta nella legge n.
689/1981 e, in particolare,  la  norma  sulla  trasmissibilita'  agli
eredi (Cons. St., VI, 21 dicembre 2020, n. 8171; Id., II, 30  ottobre
2020, n. 6678); 
        il   ripristino   non   deve,   infatti,   intendersi   quale
riaffermazione della situazione precedente all'abuso (che  l'istituto
in esame e' volto proprio a superare) ma sta a indicare la  finalita'
di risolvere, pro futuro, l'intervenuta turbativa degli interessi, al
fine di presidiare questi ultimi (attraverso la debenza di una  somma
di denaro commisurata alla maggior somma fra il danno prodotto  e  le
connesse conseguenze profittevoli); 
        nondimeno la corresponsione  della  somma  di  denaro  svolge
altresi'  una   funzione   di   deterrenza   derivante   dall'effetto
afflittivo, del  quale  e'  indice  la  terminologia  utilizzata  dal
legislatore,  che  fa  riferimento  alla  «sanzione»,   il   criterio
normativa di quantificazione, basato sul «maggiore  importo»  tra  il
danno arrecato e il profitto conseguito,  potenzialmente  foriero  di
una  condanna  per  un  importo  superiore  rispetto  al  pregiudizio
economico prodotto, e la stessa dinamica sottesa all'istituto di  cui
all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004. La tenuta  del  sistema
non puo'  infatti  essere  messa  in  pericolo  da  una  sopravvenuta
compatibilita' ambientale, idonea, in  tesi,  a  far  venir  meno  la
precedente   trasgressione,   pena   l'indebolimento   del    vincolo
paesaggistico, la cui violazione potrebbe essere percepita  come  non
decisiva, nella speranza che in futuro venga meno,  cosi'  eliminando
anche le conseguenze della situazione antigiuridica antecedente; 
        la portata afflittiva  e'  comunque  secondaria,  considerata
l'irrilevanza,  ai  fini   dell'integrazione   dei   presupposti   di
applicazione della condanna pecuniaria, dell'elemento soggettivo  del
dolo  o  della  colpa  (elemento  determinante  per  qualificare  una
fattispecie come sanzionatoria secondo l'ad. plen. 11 settembre 2020,
n. 18) e dal fatto che la condanna  pecuniaria  non  costituisce  una
conseguenza diretta dell'illecito commesso; 
        essa e' infatti principalmente il portato di un provvedimento
favorevole (l'accertamento della compatibilita'  ambientale)  di  cui
costituisce il corollario e il contrappeso; 
        la funzione della condanna pecuniaria di  cui  all'art.  167,
comma 5 e', quindi, solo  parzialmente  riconducibile  all'afflizione
che connota sia il danno punitivo (SS. UU. 5 luglio 2017, n. 16601  e
6 maggio 2015, n. 9100), sia la sanzione amministrativa  (fattispecie
che  richiedono  entrambe  una  previsione   di   legge,   ai   sensi
rispettivamente dell'art. 25, comma 2 della Costituzione e  dell'art.
23 della Costituzione, nel caso di specie da rinvenirsi  nella  norma
di legge appena citata); 
        nel complesso l'imposizione  del  pagamento  della  somma  di
denaro ha quindi una finalita' compensativa del danno prodotto e solo
in parte afflittiva; 
        il  relativo  procedimento  costituisce  una   manifestazione
tipica di potesta' amministrativa, nell'ambito dei quale il cittadino
versa in una posizione di interesse legittimo e cianche  considerando
la sua componente afflittiva (secondaria e servente), e  diversamente
rispetto  all'esercizio   del   solo   potere   punitivo   da   parte
dell'amministrazione, nel quale non vi e' ponderazione  di  interessi
(Cass., I, 23 giugno 1987, n. 5489), essendo ricollegato al vincolato
accertamento, secondo la procedura di cui alla legge n. 689/1981, del
verificarsi concreto della fattispecie  legale,  cui  corrisponde  il
diritto  soggettivo  dell'intimato  a  non  subire  l'imposizione  di
prestazioni fuori dei casi espressamente previsti  dalla  legge,  con
conseguente devoluzione delle relative controversie,  in  assenza  di
ipotesi di giurisdizione esclusiva, al giudice ordinario (Cons.  St.,
V, 24 gennaio 2019, n. 587); 
        dal punto di vista strutturale il procedimento in esame  vede
una prima fase deputata a verificare la compatibilita'  paesaggistica
(e la connessa, e  dovuta,  condanna  al  pagamento  della  somma  di
denaro) mentre il  successivo  intervallo  temporale,  finalizzato  a
quantificare l'importo, e' meramente servente, essendo necessario per
rendere liquido ed esigibile l'importo e quindi effettivo il  rimedio
(rispetto al precedente abuso) dell'ordine di pagamento; 
        al  procedimento  si  applicano  i  principi   dell'attivita'
amministrativa,   pur   considerandone   il   (parziale)    carattere
afflittivo: la legge n. 241 del 1990  offre  la  regolamentazione  di
base  di  qualsiasi   procedimento   amministrativo   che   non   sia
accompagnato da una normativa specifica; la  legge  n.  689/1981  non
puo' essere applicata  al  di  la'  della  categoria  delle  sanzioni
amministrative pecuniarie (Cons. St., II, 4 giugno  2020,  n.  3548),
«non puo' che tornare a trovare applicazione quello generale  di  cui
alla legge n. 241/1990» (Cons. St., II, 4 giugno 2020,  n.  3548)  e,
infatti,  alle  sanzioni  pecuniarie  sostitutive   di   una   misura
ripristinatoria di  carattere  reale  non  si  applica  la  legge  n.
689/1981 (CGARS, 9 febbraio 2021, n. 95 e Consiglio di Stato, VI,  20
ottobre 2016 n. 4400); 
        la     ragione     dell'impostazione      e'      rinvenibile
nell'interrelazione reciproca della doppia finalita',  che  non  puo'
andare a nocumento dell'interesse pubblico che il provvedimento  mira
a tutelare dal momento che - come gia' detto - prevalgono le  istanze
di  cura  di  detto  interesse  (mentre  la  potesta'  afflittiva  e'
recessiva) e che in ogni caso entrambe le funzioni  assolte  di  cura
del bene paesaggistico leso e di deterrenza, sono comunque  destinate
da ultimo a tutelare l' interesse della collettivita', alla quale, in
ultima istanza, e' comunque preordinata anche  la  potesta'  punitiva
dello Stato: «La sanzione in "senso stretto" e' irrogata  tramite  un
procedimento diverso da quello previsto dalla legge 7 agosto 1990, n.
241, che fa capo alla legge n. 689/1981, e' garantita dai principi di
legalita', personalita' e  colpevolezza  (per  quanto  mutuati  dalla
legislazione ordinaria e non dalla Costituzione), e' suscettibile  di
integrale riesame giudiziale (senza, cioe', alcun limite di  "merito"
amministrativo),  laddove  alle  sanzioni  "altre"  si  applicano   i
principi dell'attivita' amministrativa  tradizionale  (dettate  dalla
legge generale sul procedimento amministrativo)» (Cons.  St.,  V,  24
gennaio 2019, n. 587). 
    9. Cio' posto, (con riferimento ai tre «punti di frizione»  prima
delineati) si osserva che: 
        a) la questione della prescrizione non viene in  rilievo  nel
presente processo, in quanto non  sollevata  dalla  parte  originaria
ricorrente, (e comunque, sul punto, a soli  fini  di  comprova  della
coerenza della ricostruzione complessiva patrocinata dal Collegio, si
rinvia alla sentenza di questo CGARS n. 95  del  2021,  che  perviene
comunque alla  conclusione  della  prescrizione  quinquennale,  senza
tuttavia fondarla sull'art. 28, legge n. 689/1981); 
        b) parimenti la problematica della  intrasmissibilita'  della
sanzione ad eredi ed aventi causa non viene in rilievo  nel  presente
processo di appello, in quanto non e' stato incidentalmente impugnato
dalle parti appellate il capo di sentenza reiettivo della censura  di
primo grado, e su di esso e' calato il c.d. «giudicato interno»  (sul
punto, a soli fini di comprova  della  coerenza  della  ricostruzione
complessiva patrocinata dal Collegio, si fa integrale riferimento  ai
capi da 18.1 a 18.  3  della  sentenza  non  definitiva  parziale  ed
ordinanza di rimessione in Corte costituzionale n. 532 del 14  giugno
2021  resa  nell'ambito  del  procedimento  iscritto  al  r.g.n.   n.
99/2020); 
        c)  assume  invece  rilevanza  la  tematica   concernente   l
'irretroattivita' del vincolo  paesaggistico  imposto  sull'area  (in
ordine  alla  quale  si  e'  prima  chiarito,  in  punto  di   fatto,
orientamento del Collegio). Il Collegio ritiene, come gia' illustrato
sopra, che fino alla legge n. 431/1985 l'area o ve  insiste  immobile
de quo non fosse gravata da alcun vincolo paesaggistico. 
    10.  Il  caso  in  esame  e'  quindi  connotato  da  un   vincolo
paesaggistico sopravvenuto rispetto alla realizzazione del  manufatto
abusivo (ultimata nel 1973/1976, come  si  evince  dalla  domanda  di
sanatoria). 
    11. Viene quindi in  rilievo  il  tema,  comune,  come  detto,  a
numerose   altre   controversie    pendenti    presso    il    CGARS,
dell'applicazione dell'art. 1 della legge n. 689/1981 e dell'art.  5,
comma 3, legge regionale n. 17/1994. 
    11.1. Come gia' motivato, il Collegio ritiene che l'indennita' di
cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004  abbia  una
funzione riparatoria, essendo  funzionale  alla  cura  dell'interesse
paesaggistico, e quindi che alla medesima non si applichi la legge n.
689/1981. 
    Detta qualificazione dell'indennita' in parola  impone  piuttosto
di considerare  la  normativa  vigente  al  momento  della  pronuncia
dell'amministrazione, in base alla regola generale  (non  applicabile
all'attivita' sanzionatoria in senso stretto)  per  cui  la  pubblica
amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 della  Costituzione
incombe l'obbligo di osservare la legge, deve  necessariamente  tener
conto, nel momento in cui  provvede~  della  norma  vigente  e  delle
qualificazioni giuridiche che essa impone (ad. plen. n. 20/1999). 
    11.2. Declinando la suddetta norma di azione dell'amministrazione
nel settore di interesse l'adunanza plenaria  ha  affermato  che,  in
base alla disciplina nazionale (art. 32 della legge n.  47/1985,  che
fa riferimento ai  vincoli  paesaggistici,  e  successivi  interventi
normativi, di cui all'art. 4 del decreto-legge n. 146/1985,  all'art.
12  del  decreto-legge  n.  2/1988,   dichiarato   costituzionalmente
illegittimo da Corte costituzionale 10 marzo 1988, n.  302,  all'art.
2, comma 43, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e all'art. 1 legge
n.  449/1997)  e  al  diritto  vivente  formatosi  su  di  essa,   la
disposizione di portata generale di cui  all'art.  32,  primo  comma,
relativa ai vincoli che appongono limiti all'edificazione,  non  reca
alcuna deroga a questi principi, cosicche'  essa  deve  interpretarsi
«nel  senso  che  l'obbligo  di  pronuncia  da  parte  dell'autorita'
preposta alla tutela del vincolo sussiste in relazione alla esistenza
del vincolo al momento in cui deve  essere  valutata  la  domanda  di
sanatoria, a prescindere dall'epoca  d'introduzione  del  vincolo.  E
appare  altresi'  evidente  che  tale  valutazione  corrisponde  alla
esigenza di vagliare l'attuale compatibilita', con  il  vincolo,  dei
manufatti  realizzati  abusivamente»  (ad.  plen.  n.  20/1999).   La
giurisprudenza  amministrativa  successiva  ha  seguito  la  suddetta
impostazione (Cons. St., VI, 25 marzo 2019, n. 1960; 25 gennaio 2019,
n. 627 e 22 febbraio 2018, n. 1121; IV, 14 novembre 2017, n. 5230). E
cio' anche  in  relazione  all'indennita'  connessa  all'accertamento
postumo  di  compatibilita'  paesaggistica  del  manufatto   abusivo,
comunque  dovuta  a  livello   nazionale,   indipendentemente   dalla
qualificazione della medesima come sanzionatoria o  risarcitoria.  In
tale ambito, pertanto, non si e' ritenuto applicabile l'art. 1, legge
n. 689/1981, anche  (seppur  con  le  contraddittorieta'  evidenziate
sopra) nei casi in cui l'indennita' di cui  all'art.  167,  comma  5,
decreto  legislativo   n.   42/2004   e'   stata   qualificata   come
sanzionatoria  (con  conseguente  conferma  dell'opzione  ermeneutica
illustrata  sopra  che  supera  le  contraddittorieta'   della   piu'
risalente impostazione). 
    Il consolidarsi di tale orientamento - che il Collegio  condivide
- si spiega anche in ragione del portato dell'art. 2, comma 46, legge
n. 662 del 1996, che esplicita come, in caso di condono, resti dovuta
l'indennita' per danno al paesaggio (di cui infra quanto ai  rapporti
con la normativa regionale) e  la  giurisprudenza  si  e'  conformata
(Cons. St., VI, 22 luglio 2018, n. 4617; Id., II, 2 ottobre 2019,  n.
6605). 
    «Di tale  disposizione,  entrata  in  vigore  successivamente  al
provvedimento impugnato in primo grado, la Sezione, conformemente  ad
un orientamento consolidato di questo Consiglio, ha gia'  avuto  modo
di rilevare "la natura  chiaramente  interpretativa",  in  quanto  la
sanzione paesaggistica va fatta risalire alla disciplina di cui  alla
legge del 1939 e la sua applicazione retroattiva anche  alle  domande
di condono presentate, ai sensi della legge n. 47/1985 in  quanto  la
formula utilizzata ("qualsiasi intervento  realizzato  abusivamente")
lascia chiaramente intendere che il perimetro applicativo della norma
prescinde dall'epoca alla quale risale la presentazione della domanda
di condono, venendo invero  in  considerazione  il  danno  ambientale
perpetrato invece che l'assetto procedimentale per  il  conseguimento
della sanatoria urbanistica (...). 
    La natura interpretativa della norma,  quale  espressione  di  un
principio  di  autonomia  tra  sanatoria  edilizia  e  paesaggistica,
comporta l'applicazione anche alla  sanatoria  presentata,  ai  sensi
dell'art. 13 della  legge  n.  47/1985,  nel  1990,  trattandosi  del
medesimo rapporto  di  autonomia  tra  procedimento  paesaggistico  e
procedimento edilizio» (Cons. St., II, 30 ottobre 2020, n. 6678). 
    11.3.  In  considerazione  della  disciplina  vigente  in  ambito
nazionale, quindi, ad avviso del Collegio: 
        a) non troverebbe applicazione, per le gia' esposte  ragioni,
l'art. 1 della legge n. 689/1981; 
        b) la controversia andrebbe decisa  sulla  base  della  legge
vigente al  momento  della  pronuncia  dell'amministrazione,  con  la
conseguenza che, in presenza di un vincolo attuale (nel senso  appena
detto), l'indennita' sarebbe dovuta (e l'appello andrebbe accolto sul
punto, con conseguente riforma dell'impugnata decisione ed  integrale
reiezione del ricorso di primo grado). 
    11.4. Senonche', pur essendosi esclusa l'applicabilita' dell'art.
1, legge n. 689/1981, ai fini della compiuta disamina della  tematica
della irretroattivita' occorre adesso confrontarsi  con  un'ulteriore
disposizione normativa di matrice regionale. Nella Regione  Siciliana
viene, infatti, in evidenza l'art. 5, comma  3,  legge  regionale  n.
17/1994, recante (norma di interpretazione  autentica  dell'art.  23,
comma 10, della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37, che nel  testo
«sopravvissuto» alla sentenza della Corte costituzionale  8  febbraio
2006, n. 39 (che dichiaro' costituzionalmente illegittimo l'art.  17,
comma 11, legge regionale 16 aprile 2003, n. 4) dispone che «il nulla
osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e'  richiesto,
ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il  vincolo  sia
stato apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva.
Tuttavia, nel caso di vincolo  apposto  successivamente,  e'  esclusa
['irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio». 
    Viene in  particolare  in  evidenza  l'ultimo  periodo  di  detta
disposizione, che inibisce l'irrogazione di  sanzioni  amministrative
pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto. 
    11.5.  Il  Collegio,  prima   di   affrontare   il   tema   della
costituzionalita' di detta disposizione, ritiene utile premettere  di
ritenere vigente la medesima (sulla scia di CGARS,  sezioni  riunite,
12 maggio 2021, n. 149; Id., sezioni riunite, 12 maggio 2021, n. 147;
Id., e sezioni riunite  10  maggio  2021,  n.  354)  in  una  duplice
prospettiva. 
    11.6. Quanto al primo  profilo,  si  rileva  che  -  secondo  gli
insegnamenti del giudice delle leggi - il fenomeno della reviviscenza
di norme abrogate non opera in via generale ed automatica  in  quanto
esso produce come effetto il ritorno in  vigore  di  disposizioni  da
tempo  soppresse,  con  conseguenze  imprevedibili  per   lo   stesso
legislatore e per le autorita' chiamate a  interpretare  e  applicare
tali nonne, con ricadute negative in termini di certezza del diritto,
che esprime un principio essenziale per il sistema delle fonti (Corte
costituzionale, 24 gennaio 2012, n. 13) ed alla  tenuta  del  sistema
giuridico,  in  quanto   espressione   delle   esigenze   di   sicura
conoscibilita' delle norme che compongono l'ordinamento. 
    Esso puo' pertanto essere ammesso  in  ipotesi  tipiche  e  molto
limitate. La Corte costituzionale ha ritenuto  di  poter  parlare  di
reviviscenza nell'ipotesi  di  annullamento  di  norma  espressamente
abrogatrice  da  parte  del   giudice   costituzionale,   che   viene
individuata come caso a se' (Corte costituzionale 24 gennaio 2012, n.
13). 
    Nel caso di specie l'art. 17, comma 11, legge regionale n. 4  del
2003 («Il parere dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e'
richiesto, ai fini della concessione  o  autorizzazione  edilizia  in
sanatoria,  solo  nel  caso  in  cui  il  vincolo  sia  stato   posto
antecedentemente   alla   realizzazione   dell'opera   abusiva»)   ha
sostituito l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994  («il  nulla
osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e'  richiesto,
ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il  vincolo  sia
stato apposto successivamente all'ultimazione  dell'opera  abusiva»),
offrendo,  dell'art.  23,   legge   regionale   n.   35   del   1987,
un'interpretazione   opposta.   Sicche'   di   fatto   ha    abrogato
l'interpretazione contenuta nell'art. 5, comma 3, legge regionale  n.
17/1994 nella sua originaria formulazione. 
    L'inoperativita' della reviviscenza renderebbe priva  di  effetti
la pronuncia  di  incostituzionalita'.  Fra  le  due  interpretazioni
possibili (il vincolo sopravvenuto comporta comunque la necessita' di
chiedere il nulla osta paesaggistico in  caso  di  abuso,  oppure  il
vincolo paesaggistico sopravvenuto inibisce il potere  dell'autorita'
paesaggistica), avrebbe continuato  ad  essere  applicata  la  regola
dettata dalla  disposizione  costituzionalmente  illegittima:  e'  la
stessa Corte costituzionale a rendere conto, nella sentenza n. 39 del
2006, della concezione opposta  e  inconciliabile  recata  dalla  due
disposizioni di legge  che  si  sono  succedute  (in  particolare  la
seconda, quella dichiarata costituzionalmente illegittima, avrebbe un
«significato addirittura opposto a quello che in  precedenza  si  era
gia' determinato come autentico»). 
    Non potendosi ammettere tale evenienza (cioe' che la disposizione
costituzionalmente illegittima continui a produrre effetti) non  puo'
che  ritenersi  che,  dichiarata  costituzionalmente  illegittima  la
sostituzione, riviva la norma che e' stata sostituita, posto  che  il
meccanismo sostitutivo evidenzia come non sia venuta meno  l'esigenza
di normare la specifica materia. 
    Ne' depone in senso contrario, nel caso di specie, la circostanza
che la norma sostituita e quella che  la  sostituisce  costituiscono,
entrambe,  disposizioni  di  interpretazione  autentica   (cosi'   la
richiamata sentenza della  Corte  costituzionale  n.  39  del  2006),
sicche'  la  regola  ermeneutica  successiva  (e   costituzionalmente
illegittima) ha prescelto il parametro legislativo opposto rispetto a
quello  precedente,  ma  non   ha   fatto   venir   meno   l'esigenza
interpretativa. 
    Il Collegio ritiene pertanto che sia tuttora in vigore  la  norma
contenuta nell'art. 5, comma 3,  legge  regionale  n.  17/1994  nella
formulazione precedente alla sostituzione operata dall'art. 17, comma
3, legge regionale n. 4 del 2003, anche in considerazione  del  fatto
che l'eventuale non conformita' a Costituzione di detta  disposizione
non si riverbera  sul  meccanismo  della  reviviscenza,  determinando
piuttosto l'illegittimita' costituzionale di esso  (se  riportato  in
vita dalla precedente declaratoria di illegittimita' costituzionale). 
    Si aggiunge che nell'occasione di cui alla sentenza  della  Corte
costituzionale n. 30 del 2006 non e' stato valutato l'ultimo  periodo
dell'art. 5, comma 3,  legge  regionale  n.  17/1994  («nel  caso  di
vincolo apposto successivamente, e' esclusa l'irrogazione di sanzioni
amministrative pecuniarie, discendenti dalle norme  disciplinanti  lo
stesso, a carico dell'autore dell'abuso edilizio») nella formulazione
precedente alla sostituzione operata dall'art. 17,  comma  11,  legge
regionale  n.  4/2003,  neppure  laddove  si  afferma  (comunque   in
riferimento  a  un  orientamento  giurisprudenziale  risalente)   che
l'interpretazione  autentica  dell'art.  23,  comma  10  della  legge
regionale n. 37/1985, fornita dallo stesso legislatore regionale  con
l'art. 5, comma 3, legge regionale  n.  17/1994,  ha  contribuito  al
consolidarsi a livello regionale di  una  interpretazione  analoga  a
quella in uso a livello nazionale rispetto all'art.  32  della  legge
statale n. 47/1985, specie dopo l'intervento  dell'adunanza  plenaria
del Consiglio di Stato con la sentenza 22 luglio 1999, n. 20. 
    Sicche' si ritiene di disporre il rinvio pregiudiziale alla Corte
costituzionale proprio in relazione a quella proposizione,  anche  in
ragione di quel principio  di  certezza  del  diritto  (funzionale  a
rendere conoscibile la norma a tutti gli operatori del diritto, anche
ali, autorita'  amministrativa  e  al  privato)  cui  e'  preordinato
l'orientamento della Corte sulla reviviscenza. 
    11.7. In secondo luogo, il Collegio ritiene che l'art.  2,  comma
46, legge n. 662/1996 (cui la giurisprudenza ha  peraltro  attribuito
portata interpretativa: cosi' il gia' richiamato  arresto,  Consiglio
di Stato, II, 30 ottobre 2020, n. 6678), che esplicita che in caso di
condono edilizio resta dovuta l'indennita'  per  danno  al  paesaggio
(«Per le opere eseguite in aree sottoposte al  vincolo  di  cui  alla
legge 29 giugno 1939, n. 1497, e al decreto-legge 27 giugno 1985,  n.
312, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985, n. 431
,  il   versamento   dell'ablazione   non   esime   dall'applicazione
dell'indennita' risarcitoria prevista dall'art. 15 della citata legge
n. 1497/1939»), non abbia  abrogato  la  disposizione  regionale  del
1994. Cio' in quanto, in ambito di competenza  legislativa  esclusiva
devoluta ad una regione a statuto speciale (come e' nella specie)  ed
in  presenza  di  legge  regionale,  la  successiva   legge   statale
(incompatibile)  non  supporta,  fatta  salva  l'ipotesi  del  rinvio
dinamico, il sistema della successione  delle  leggi  nel  tempo  nel
senso di ritenere implicitamente abrogata la legge precedente il  cui
contenuto sia incompatibile con  il  disposto  della  fonte  primaria
successiva: osta la competenza legislativa  esclusiva  della  Regione
Sicilia  (di  cui  infra)   che   impone   di   valutare   non   solo
l'incompatibilita' ma anche la portata della successiva norma statale
in termini di norma  nazionale  di  grande  riforma,  richiedendo  la
pronuncia sul punto della Corte costituzionale. 
    Mentre l'ordinamento italiano devolve il primo profilo  (relativo
all'incompatibilita') al giudizio diffuso degli operatori del diritto
che si trovino ad applicarla, non avviene cosi' rispetto  al  secondo
profilo di valutazione (appartenenza o meno della norma statale  alla
categoria delle norme di grande riforma), devoluto, anche in  ragione
della complessita' che lo connota, alla Corte  costituzionale,  anche
nella prospettiva della  certezza  del  diritto.  Del  resto  «i  due
istituti   giuridici   dell'abrogazione   e   della    illegittimita'
costituzionale delle leggi non sono identici fra loro, si muovono  su
piani diversi, con effetti diversi e con competenze diverse. Il campo
dell'abrogazione inoltre e' piu' ristretto, in  confronto  di  quello
della illegittimita' costituzionale, e i requisiti richiesti  perche'
si abbia abrogazione per incompatibilita' secondo i principi generali
sono  assai  piu'  limitati  di  quelli  che  possano  consentire  la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una  legge»  (Corte
costituzionale 14 giugno 1956, n. 1). 
    Il rapporto fra l'art. 5, comma 3, legge regionale n.  17/1994  e
l'art. 2, comma 46, legge n. 662 del  1996,  non  trovando  soluzione
nelle regole che governano la successione delle leggi nel  tempo,  e'
quindi ricompreso nella questione di legittimita' costituzionale  che
si pone alla Corte costituzionale. 
    12. Ritenuto quanto sopra, il Collegio intende porre la questione
di legittimita' costituzionale  sull'art.  5,  comma  3  della  legge
regionale n. 17/1994, con specifico riferimento all'ultimo periodo di
detta  disposizione,   che   inibisce   l'irrogazione   di   sanzioni
amministrative pecuniarie in caso di vincolo sopravvenuto («il  nulla
osta dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo e'  richiesto,
ai fini della concessione in sanatoria, anche quando il  vincolo  sia
stato apposto  successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva.
Tuttavia, nel caso di vincolo  apposto  successivamente,  e'  esclusa
l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio»). 
    12.1. La questione e' rilevante  in  ragione  di  quanto  a  piu'
riprese considerato ed in quanto, in costanza della  norma  regionale
suddetta  (e  pur  essendo  il  Collegio  persuaso  che   non   trovi
applicazione il disposto di cui all'art. 1, legge  n.  689/1981)  nel
caso di specie dovrebbe confermarsi la pronuncia di primo  grado  che
ha annullato l'ingiunzione di pagamento dell'indennita',  atteso  che
il vincolo paesaggistico e' stato apposto dopo la realizzazione della
costruzione abusiva. Laddove, invece, la norma venga meno in  seguito
a pronuncia  di  incostituzionalita'  (ovvero  anche,  semplicemente,
laddove si ritenesse, difformemente da quanto  ipotizzato  da  questo
giudice, che la predetta disposizione  non  sia  piu'  in  vigore  in
quanto implicitamente abrogata) il Collegio dovrebbe determinarsi  in
senso opposto, riformando la sentenza di primo grado. 
    Non puo' poi sottacersi la particolare rilevanza  che  assume  la
questione per questo CGARS (oltre che per l'amministrazione siciliana
e i cittadini che afferiscono al relativo territorio), atteso che  il
presente giudizio e'  uno  dei  circa  ottanta  attualmente  pendenti
innanzi a questo Consiglio di giustizia amministrativa ed  aventi  ad
oggetto immobili edificati abusivamente  nell'area  della  Valle  dei
Templi in Agrigento nella medesima area. 
    13. Sembra evidente che l'art. 5, comma  3,  legge  regionale  n.
17/1994 (nello stabilire che l'art. 23, comma 10, legge regionale  n.
37/1985, debba  essere  interpretato  nel  senso  che  «il  nullaosta
dell'autorita' preposta alla gestione del vincolo  e'  richiesto,  ai
fini della concessione in sanatoria,  anche  quando  il  vincolo  sia
stato apposto successivamente  all'ultimazione  dell'opera  abusiva»,
dispone che «nel caso di vincolo apposto successivamente, e'  esclusa
l'irrogazione  di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,  discendenti
dalle norme disciplinanti lo stesso, a carico dell'autore  dell'abuso
edilizio») sia volto  a  impedire  che  dall'abuso  derivino  effetti
negativi  sul  proprietario  dell'immobile  allorquando  il   vincolo
paesaggistico e' successivo alla realizzazione dell'abuso  (e  sembra
altresi' evidente che, in questa chiave di  lettura,  tale  esenzione
ricomprenderebbe anche eredi ed aventi causa, che  altrimenti  ci  si
troverebbe al cospetto di una illogicita'  incomprensibile:  l'autore
dell'abuso  verrebbe  «privilegiato»  rispetto  all'avente  causa  di
questi). 
    La voluntas  legis  regionale  non  pare,  in  tale  prospettiva,
attribuire  un  ruolo  decisivo  all'uso  del   termine   «sanzione»,
ritenendosi piuttosto che essa voglia impedire l'esborso  di  denaro,
indipendentemente dalla qualificazione di quest'ultimo. 
    Il  termine  sanzione  delinea  la   conseguenza   di   carattere
patrimoniale derivante dall'aver realizzato un'opera  abusiva  ed  e'
coerente con la qualificazione attribuita all'epoca all'indennita' in
discorso. 
    In  tal  senso  si  ritiene  che  la  possibilita'  di   esperire
un'interpretazione costituzionalmente  orientata,  che,  valorizzando
l'utilizzo  del   termine   «sanzione»,   ritenga   non   applicabile
all'indennita' di cui all'art. 167, comma 5 del  decreto  legislativo
n. 42/2004 la norma regionale contenuta nell'art. 5,  comma  3  della
legge regionale n. 17/1994, non sia percorribile: osta  il  principio
della certezza del diritto. Il profilo  emerge  con  evidenza  se  si
considera  la  gia'  richiamata  circostanza   relativa   all'attuale
pendenza di ottanta giudizi di contenuto analogo presso questo CGARS,
cosi' risaltando la rilevanza che assume il connotato della  certezza
del diritto non solo per l'organo  giurisdizionale  ma  altresi'  per
l'amministrazione siciliana e gli abitanti del relativo territorio. 
    Invero, a tacere del fatto che, se si interpretasse in tal  senso
la disposizione regionale,  si  determinerebbe  un'ipotesi  di  norma
inutiliter data, si aggiunge che l'art. 5 l.r.,  per  come  e'  stato
costantemente  applicato,  intende  riferirsi,  laddove  utilizza  il
termine «sanzione», proprio all'indennita' per danno al paesaggio. 
    Si ritiene pertanto  che  la  disposizione  regionale  della  cui
legittimita' costituzionale si dubita sia riferita all'indennita'  di
cui  all'art.  167  comma   5,   decreto   legislativo   n.   42/2004
(indipendentemente dalla qualificazione  di  detta  indennita'  sulla
quale ci si e' prima soffermati, laddove si ritiene di avere chiarito
le ragioni per le quali il Collegio non la ricompresa nella categoria
delle sanzioni  amministrative  pecuniarie  normate  dalla  legge  n.
689/1981). 
    Nondimeno il Collegio, pur ritenendo che detta qualificazione non
abbia un rilievo cosi' determinante in punto di valutazione della non
manifesta    infondatezza    della    questione    di    legittimita'
costituzionale,  ancorata  alla  diversita'  di  disciplina  con   la
normativa statale  in  punto  di  abuso  paesaggistico  (nei  termini
illustrati infra), come si dira', non ignora  che  la  qualificazione
dell'indennita' in  parola  in  termini  di  sanzione  amministrativa
pecuniaria non e' indifferente per il giudice ad quem, come si  avra'
modo di illustrare nel paragrafo 21. 
    13.1.  Premesso  cio',  la  valutazione   della   non   manifesta
infondatezza si articola innanzitutto nel senso che l'art.  5,  comma
3, legge regionale n. 17/1994, nella formulazione  ritenuta  vigente,
viola la competenza legislativa esclusiva dello Stato in  materia  di
tutela dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi degli articoli  9
e 117 comma 2, lettera s) della Costituzione, in quanto determina una
lesione diretta dei beni culturali e paesaggistici tutelati,  con  la
conseguente  grave  diminuzione  del  livello  di  tutela   garantito
nell'intero territorio nazionale. 
    La  predetta  norma  regionale  interseca  la  disciplina   sulla
protezione  del  paesaggio  (in  quanto  provvede  a   delineare   le
conseguenze dell'abuso anche paesaggistico),  normativa  che,  a  sua
volta, rispecchia la natura unitaria del valore primario  e  assoluto
dell'ambiente, di esclusiva spettanza statale ai sensi dell'art  117,
comma 2, lettera s) della Costituzione. 
    Cio' in quanto: 
        ai sensi dell'art. 9, comma 2, Cost. la Repubblica tutela  il
paesaggio e il patrimonio storico della Nazione; 
        l'art. 117, comma 2, lettera s), Cost. attribuisce alla Stato
la  competenza  legislativa  esclusiva  nella  materia  della  tutela
dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali; 
        l'art. 14, comma 1, lettera n), dello Statuto speciale  della
Regione Sicilia, approvato con  r.d.l.  15  maggio  1946,  n.  455  e
successive modificazioni  ed  integrazioni,  riconosce  una  potesta'
legislativa esclusiva  in  materia  di  tutela  del  paesaggio  e  di
conservazione delle antichita' e delle opere artistiche. 
    In merito alla materia del paesaggio si rileva che: 
        l'art.  9  della  Costituzione  (la  Repubblica  «tutela   il
paesaggio e il patrimonio storico  e  artistico  della  Nazione»)  ha
costituito, in combinato disposto con  gli  articoli  2  e  32  della
Costituzione, l'asse  portante  per  il  riconoscimento  del  diritto
primario a godere di un ambientale  salubre,  e  cio'  attraverso  la
lettura effettuata dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 210 e
n. 641 del 1987, poi consacrato nel 2001, con la riforma del titolo V
della Costituzione, attraverso  i  rinvii  espressi  ad  ambiente  ed
ecosistema introdotti dall'art. 117, secondo comma, lettera s); 
        la nozione di paesaggio di cui all'art. 9 della  Costituzione
ha cosi' assunto una connotazione che partecipa sia dell'esigenza  di
cura di  singoli  beni,  quindi  dei  valori  storici,  culturali  ed
estetici del territorio, sia quella di non pretermettere  l'interesse
alla  tutela  dell'ambiente,  sia   quell'attenzione   alla   materia
dell'urbanistica (Corte costituzionale 21 aprile 2021,  n.  74  e  17
aprile 2015, n. 64); 
        specularmente l'ampia nozione  di  ambiente,  cosi'  come  e'
stata ricostruita specie dopo il 2001, ha una  morfologia  complessa,
capace  di  ricomprendere   non   solo   la   tutela   di   interessi
fisico-naturalistici, ma anche  i  beni  culturali  e  del  paesaggio
idonei  a  contraddistinguere  in   modo   originale,   peculiare   e
irripetibile  un  certo  ambito  geografico  e  territoriale   (Corte
costituzionale 30 marzo 2018, n. 66, punto 2.2.  del  Considerato  in
diritto). 
    Detto cio' in punto di norme costituzionali  di  interesse  nella
presente controversia si rileva conseguentemente, in  relazione  alle
soggettivita' coinvolte dalle suddette attribuzioni, che: 
        la tutela del paesaggio non si identifica con una  materia  m
senso  stretto,  dovendosi  piuttosto  intendere   come   un   valore
costituzionalmente  protetto,  integrante  una  materia   trasversale
(Corte costituzionale 17 aprile 2017, n. 77), sulla  quale  lo  Stato
esercita, in ragione della portata ascensionale della sussidiarieta',
istanze  unitarie   che   trascendono   l'ambito   regionale   (Corte
costituzionale 1° ottobre 2003, n. 303); 
        in molteplici occasioni, codesta Corte ha  affermato  che  la
conservazione ambientale e paesaggistica  spetta,  in  base  all'art.
117, comma 2, lettera s)  della  Costituzione,  alla  cura  esclusiva
dello Stato (Corte costituzionale 23 luglio 2018, n. 172); 
        l'attribuzione allo Stato della competenza esclusiva di  tale
materia-obiettivo non implica una preclusione assoluta all'intervento
regionale, purche' questo sia volto  all'implementazione  del  valore
ambientale e all'innalzamento dei suoi livelli di tutela (sentenza 23
luglio 2019, n. 172, punto 6.2. del Considerato in diritto e sentenza
n. 178/18, punto 2.1. del Considerato in diritto; nello stesso  senso
sentenza Corte costituzionale 17 aprile 2017, n. 77, 16 luglio  2014,
24 ottobre 2013, n. 246, 20 giugno 2013, n. 145, 26 febbraio 2010, n.
67, 18 aprile 2008, n. 104 e 14 novembre 2007, n. 378); 
        alle regioni non e' consentito  modificare  gli  istituti  di
protezione ambientale che dettano una disciplina  uniforme,  valevole
su tutto il territorio nazionale, «senza che ci sia  giustificato  da
piu' stringenti ragioni di tutela» (Corte  costituzionale  21  aprile
2021, n. 74); 
        fra gli istituti di protezione  ambientale  che  dettano  una
disciplina uniforme, valevole su tutto il territorio  nazionale,  che
alle regioni non e' consentito  modificare,  deve  essere  annoverata
l'autorizzazione paesaggistica (Corte costituzionale 21 aprile  2021,
n. 74). 
    Con  specifico  riferimento  alle  competenze  legislative  delle
regioni a  statuto  speciale,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha
sottolineato che il legislatore statale, tramite  l'emanazione  delle
norme di grande riforma  economico-sociale,  «conserva  il  potere  -
anche  relativamente  al  titolo  competenziale  legislativo   "nella
materia 'tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali',
di cui all'art. 117, secondo comma, lettera s),  della  Costituzione,
[...] di vincolare la potesta' legislativa primaria delle  regioni  a
statuto speciale» (sentenza n. 238/2013, punto 2.2.  del  Considerato
in diritto). 
    Specularmente la Regione  Siciliana,  con  specifico  riferimento
alla competenza  legislativa  esclusiva  attribuitale  dallo  Statuto
speciale in materia di paesaggio e di urbanistica,  deve  rispettare,
oltre che, in generale, i precetti costituzionali, anche le «norme di
grande riforma economico-sociale» poste  dallo  Stato  nell'esercizio
delle proprie competenze legislative (Corte costituzionale 8 novembre
2017, n. 232, con riferimento alla  disciplina  dell'accertamento  di
conformita'). 
    A cio' si aggiunge che la definizione dell'ambiente quale materia
trasversale porta con se'  consente  l'attivazione,  da  parte  dello
Stato, istanze  unitarie  che  trascendono  l  'ambito  regionale  in
ragione della portata  ascensionale  della  sussidiari  eta',  (Corte
costituzionale 1° ottobre 2003, n. 303). 
    In ragione di quanto sopra si rileva che: 
        la legge n. 431 del 1995 e' stata qualificata in  termini  di
legge di grande riforma (Corte  costituzionale  27  giugno  1986,  n.
151),  cosi'  come  il  decreto   legislativo   n.   42/2004   (Corte
costituzionale 29 ottobre 2009, n. 272): 
        il  codice  dei   beni   culturali   «detta   le   coordinate
fondamentali    della    pianificazione    paesaggistica     affidata
congiuntamente allo Stato e alle regioni» (sentenza n.  66/18,  punto
2.4.  del  Considerato  in  diritto),  in  coerenza  con  i  principi
delineati supra in tema di  protezione  del  paesaggio  e  di  tutela
dell'ambiente e della valenza  della  disciplina  statale  diretta  a
proteggere l'ambiente e il paesaggio  quale  limite  alla  competenza
legislativa in materia anche delle regioni a statuto speciale; 
        tale qualificazione discende dal fatto che il codice dei beni
culturali e del paesaggio di cui al decreto  legislativo  n.  42/2004
impatta in modo diretto sul valore primario e assoluto del  paesaggio
(«il paesaggio va, cioe', rispettato come valore primario, attraverso
un indirizzo unitario che superi la pluralita' degli interventi delle
amministrazioni locali» (cosi' la sentenza 5 maggio  2006,  n.  182),
cosi' come richiamato dall'art. 9 della Costituzione e dall'art. 117,
comma 2, lettera  s)  della  Costituzione,  e  ne  delinea  un  nuovo
assetto,  improntato  a  integrita'  e  globalita',  implicante   una
riconsiderazione  del  territorio  nella   prospettiva   estetica   e
culturale, intesa in senso dinamico; 
        l'indennita'  di  cui  all'art.  167,  comma  5  del  decreto
legislativo n. 42/2004, sulla quale e' intervenuto  l'art.  2,  comma
46, legge n. 662 del 1996 nei termini sopra delineati, risulta, -  in
ragione della funzione riparatoria rispetto all'esternalita' negativa
prodotta con l'abuso e in funzione general-preventiva, di dissuasione
-, direttamente connessa al valore primario e assoluto che il decreto
legislativo n. 42/2004 attribuisce al paesaggio. 
    14. A fronte di cio': 
        la  disciplina  sul   condono   edilizio   e'   organicamente
regolamentata  in  ambito  nazionale  prevedendo  che  l'accertamento
postumo (nei termini evidenziati sopra, nei paragrafi 15.3., 15.4.  e
15.5.)  della  compatibilita'  paesaggistica  sia  accompagnato   dal
pagamento dell'indennita' di  cui  all'art.  167,  comma  5,  decreto
legislativo n. 42/2004; 
        e' stato gia' illustrato, come il pagamento  della  somma  di
denaro connessa all'accertamento della  compatibilita'  paesaggistica
costituisca  un  tratto  fondamentale  dell'istituto  a  livello   di
disciplina nazionale; 
        come   si   e'   rilevato   sopra,   l'indennita'    connessa
all'accertamento  postumo   di   compatibilita'   paesaggistica   del
manufatto abusivo e' dovuta in ambito nazionale, anche se il  vincolo
paesaggistico e' sopravvenuto rispetto alla realizzazione  dell'abuso
(e cio' indipendentemente dalla qualificazione  della  medesima  come
sanzionatoria o risarcitoria); 
        cio' in  ragione,  da  un  lato,  della  richiamata  adunanza
plenaria n. 20 del 1999 e, dall'altro lato,  dell'art  2,  comma  46,
legge n. 662 del 1996 (cui la giurisprudenza, come  gia'  illustrato,
ha peraltro attribuito una  portata  interpretativa),  che  esplicita
come, in caso di condono, resti  dovuta  l'indennita'  per  danno  al
paesaggio; 
        l'art. 5, comma 3, legge regionale n. 17/1994, nel  prevedere
che la sanzione amministrativa pecuniaria non sia irrogabile nel caso
di sopravvenienza del vincolo paesaggistico rispetto alla commissione
dell'abuso, si discosta dalla disciplina nazionale  sopra  illustrata
lasciando «scoperto» il periodo precedente nel quale l'abuso e' stato
commesso ma l'accertamento di compatibilita' non e' ancora avvenuto; 
        in tal senso viene assicurata sul  territorio  siciliano  una
tutela meno elevata del valore ambiente e paesaggio rispetto a quella
garantita sul rimanente territorio nazionale; 
        in ambito siciliano, infatti,  la  conformita'  attuale  alla
disciplina paesaggistica consente di  superare  il  precedente  abuso
senza ulteriori conseguenze negative, sicche' viene meno il disvalore
ambientale e paesaggistico connesso a  quest'ultimo,  parificando  la
posizione di chi non ha commesso abuso alla posizione di  chi  lo  ha
commesso ma ha ottenuto l'accertamento positivo di conformita' di cui
all'art.  167,  decreto  legislativo  n.  42/2004  solo  dopo  averlo
realizzato; 
        cosi' non avviene, come  si  e'  gia'  visto,  sul  rimanente
territorio nazionale, dove la tutela del paesaggio  e'  presidiata  a
livello  generai-preventivo  anche   attraverso   il   pagamento   di
un'indennita'   a   copertura   delle   conseguenze   pregiudizievoli
dell'abuso commesso; 
        tale  ultimo  aspetto  assume   una   particolare   rilevanza
nell'ambito dell'istituto di cui all'art. 167, decreto legislativo n.
42/2004 (come sopra  gia'  illustrato),  delineando  un  procedimento
avente due prospettive, quella del superamento di una  situazione  di
non conformita' formale  alla  disciplina  paesaggistica  in  seguito
all'accertamento  della  compatibilita'  sostanziale  del   manufatto
(questo a presidio di un principio di efficienza e di scarsita' delle
risorse che accomuna l'intero ordinamento giuridico  e  non  solo  la
prospettiva  pubblicistica)  e  il  contrappeso  del   pagamento   di
un'indennita' in funzione generai-preventiva a presidio del  rispetto
ex ante delle regole poste  a  tutela  del  paesaggio  attraverso  il
pagamento dell'indennita' (che'  altrimenti  viene  meno  la  cogenza
delle medesime, con conseguente intaccamento del valore  fondamentale
dell'ambiente e del paesaggio); 
        si e' illustrato sopra come il procedimento  e  la  posizione
dell'amministrazione sul punto si giustifichi e trovi le ragioni  del
proprio canone di azione solo nel bilanciamento  fra  i  due  aspetti
sopra delineati e come non possa esservi l'uno, senza l'altro. 
    L'art. 5, comma 3, ultimo periodo  legge  regionale  n.  17/1994,
nella formulazione che si ritiene  attualmente  vigente  (come  sopra
illustrato), laddove non consente  l'irrogazione  dell'indennita'  di
cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004 in caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico, contrasta, eccedendo  dalle
competenze attribuite alla Regione Siciliana dall'art. 14, lettera n)
dello Statuto in materia di tutela del paesaggio e  di  conservazione
delle antichita' e delle opere artistiche, con  le  norme  di  grande
riforma  economico-sociale  contenute  nell'art.  167   del   decreto
legislativo n. 42/2004, con conseguente violazione degli articoli 9 e
117, secondo comma, lettera s), Cost. Cio'  in  quanto  comporta  una
significativa alterazione del meccanismo  delineato  dal  legislatore
statale per la tutela dei beni culturali e paesaggistici, cosi'  come
interpretato, da un lato, dalla richiamata adunanza  plenaria  n.  20
del 1999 e, dall'altro lato, dall'art. 2, comma 46, legge n. 662  del
1996 (cui  la  giurisprudenza,  come  gia'  illustrato,  ha  peraltro
attribuito una portata interpretativa), che esplicita come,  in  caso
di condono, resti dovuta l'indennita' per danno al paesaggio anche in
caso  di  vincolo  sopravvenuto:  non  e'  consentito  alla   Regione
Siciliana adottare una disciplina difforme da quella contenuta  dalla
normativa  nazionale  di  riferimento  che  assicura   il   pagamento
dell'indennita' di cui all'art. 167, decreto legislativo n. 42/2004. 
    14.1. Il Collegio  solleva  altresi'  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 3, ultimo periodo, legge  regionale
n. 17/1994, nella ridetta formulazione  che  si  ritiene  attualmente
vigente, laddove non consente l'irrogazione  dell'indennita'  di  cui
all' art. 167, comma 5, decreto legislativo n.  42/2004  in  caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico, in relazione  ai  parametri
di cui agli articoli 3 e 97 della Costituzione. Cio',  in  quanto  la
norma  censurata  consente   di   eliminare   qualsiasi   conseguenza
pecuniaria  negativa  in   caso   di   accertamento   postumo   della
compatibilita' paesaggistica.  Altrettanto  non  avviene  invece  sul
restante territorio nazionale, pur a fronte della medesima situazione
di fatto e di un livello di tutela del paesaggio che non puo'  essere
difforme (almeno verso il basso, essendo, come gia' visto, consentito
alle regioni unicamente di innalzare  lo  standard  di  tutela).  Nel
meccanismo   disegnato    dalla    norma    regionale    della    cui
costituzionalita' il Collegio dubita, la regolarizzazione  del  fatto
lesivo per il paesaggio  (certamente  sussistente  al  momento  della
delibazione dell'amministrazione sulla domanda  di  condono)  avviene
senza alcuna conseguenza pregiudizi evo le per il suo autore. Dal che
la considerazione che la disciplina qui  censurata  possa  indebolire
l'efficacia  deterrente  del  sistema  delineato  dall'art.  167  del
decreto legislativo n. 42/2004, cosi' come interpretato dall'adunanza
plenaria n. 20 del 1999 e dall'art. 2, comma 46 della  legge  n.  662
del 1996, con conseguente incentivazione a tenere  il  comportamento,
confidando nella possibilita' di un adempimento successivo, in  grado
di superare  l'illecito  paesaggistico  commesso:  cosi'  vanificando
l'efficacia     deterrente     dell'istituto,     con     conseguente
irragionevolezza intrinseca della disciplina e  connesso  pregiudizio
al buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Ne'  giustifica  la  diversita'  di  trattamento  del  danno   al
paesaggio sul territorio siciliano la prospettiva di un rapporto  tra
pubblica  amministrazione  e  consociati  imperniato  su  uno  schema
dialogico-collaborativo  anziche'  oppositivo,  che  si   tradurrebbe
nell'imposizione di un obbligo di «avvertire»  il  privato  circa  la
necessita' di conformarsi  al  precetto,  che  imporrebbe  la  previa
imposizione del vincolo  paesaggistico  sull'area  oggetto  di  abuso
rispetto alla realizzazione di questo. 
    L'argomentazione  infatti  non   spiega   la   diversita'   della
disciplina siciliana, in quanto  un'argomentazione  analoga  potrebbe
articolarsi anche in relazione al rimanente territorio  nazionale.  A
cio' si aggiunge, in senso  inverso,  che  il  valore  del  paesaggio
giustifica piuttosto, per  i  motivi  sopra  esposti,  l'impostazione
opposta. Non sfugge, tra l'altro, che in riferimento  all'ambito  del
diritto  penale  la  possibilita'  di  riservare  maggiore  spazio  a
meccanismi di riduzione o addirittura di  esclusione  della  pena,  a
fronte di condotte riparatorie delle conseguenze del reato  da  parte
del suo autore, e' stata esplorata recentemente anche dal legislatore
statale con l'introduzione del nuovo art. 162-ter del  codice  penale
ad opera legge 23 giugno 2017, n. 103 (Modifiche al codice penale, al
codice di procedura  penale  e  all'ordinamento  penitenziario),  che
prevede per l'appunto l'estinzione dei delitti procedibili a  querela
soggetta  a  remissione  -  senza  alcuna  residua  sanzione  per  il
trasgressore - quando, anche in assenza di remissione  della  querela
da parte della persona offesa, questi abbia riparato  interamente  il
danno cagionato dal reato ed eliminato, ove possibile, le conseguenze
dannose o pericolose di esso entro  l'apertura  del  dibattimento  di
primo grado. 
    Nondimeno  nel  caso  di  specie  il  meccanismo  introdotto  dal
legislatore regionale con l'art. 5, comma 3 della legge regionale  n.
171/1994  non  assicura  la  riparazione  del  danno  in  quanto   la
regolarizzazione  della  posizione  del  soggetto  istante  ai  sensi
dell'art. 167, comma 5 del decreto  legislativo  n.  42/2004  avviene
prescindendo dalla  valutazione  del  pregiudizio  arrecato  al  bene
ambiente, che, anzi, tale omissione  costituisce  l'effetto  precipuo
della norma regionale sospettata di illegittimita' costituzionale. 
    E cio' e' ancora piu' rilevante in quanto l'interesse pubblico al
paesaggio presenta le caratteristiche dell'interesse almeno  m  parte
adespota, potenzialmente incidente sulle generazioni future, e le cui
violazioni   determinano    esternalita'    negative    difficilmente
apprezzabili  (di  talche'  anche   la   particolare   modalita'   di
quantificazione dell'indennita' di cui all'art. 167, comma 5). 
    Non puo' quindi ritenersi, in uno con  la  Corte  costituzionale,
che ha ritenuto che l'introduzione del nuovo art. 162-ter del  codice
penale corrisponda a legittime opzioni di  politica  criminale  o  di
politica sanzionatoria (18 gennaio 2021, n. 5), che la scelta operata
dal legislatore regionale con l'art. 5, comma 3, legge  regionale  n.
17/1994 non  trasmodi  nella  manifesta  irragionevolezza  o  non  si
traduca in un evidente pregiudizio al principio  del  buon  andamento
dell'amministrazione 
    L'art. 5, comma 3 della legge  regionale  n.  17/1994,  eccedendo
dalle competenze statutarie della Regione autonoma della  Sicilia  di
cui all'art. 14, comma 1,  lettera  n)  e  quindi  essendo  privo  di
giustificazione, viola  quindi  anche  gli  articoli  3  e  97  della
Costituzione. 
    15. Da ultimo, per completezza espositiva, sara'  consentita  una
considerazione. Si e' gia' chiarito che l'indennita' di cui  all'art.
167, comma 5, decreto legislativo n.  42/2004  non  riveste,  per  il
Collegio, i connotati della sanzione amministrativa in ragione  delle
considerazioni sopra illustrate. 
    Nondimeno,  se   anche   si   ritenesse   di   attribuire   detta
qualificazione all'indennita' in parola, questo CGARS ritiene che  la
norma censurata non si presti a una interpretazione adeguatrice,  che
ne determini la  sussumibilita'  nell'ambito  della  categoria  delle
sanzioni amministrative sostanzialmente penali. 
    Detta indennita' infatti si situa nell'ambito di una  fattispecie
(quella di cui all'art. 167, comma 5, decreto legislativo n. 42/2004)
favorevole per il privato istante in quanto consente  il  superamento
di un precedente illecito. Sicche' l'analisi concreta delle finalita'
perseguite (gia' sopra illustrata ai paragrafi 15.3., 15.4. e  15.5.)
rende  recessiva,  sulla  base  dei  parametri  Engel,  la  finalita'
punitiva rispetto a quella preventiva,  nel  senso  che  l'indennita'
costituisce una misura  a  tutela  del  paesaggio,  che  consente  di
superare l'illecito  commesso,  alla  quale  risultano  estranei  gli
aspetti meramente afflittivi della pena (potendosi al piu'  rinvenire
delle secondarie finalita' di deterrenza). 
    La tecnica di quantificazione, peraltro, basata sul binomio danno
arrecato-profitto conseguito, osta a ritenere particolarmente elevato
il grado di afflittivita' in quanto la misura del  dovuto  non  trova
giustificazione nella necessita' di assicurare l'effetto punitivo  ma
nel tentativo di rimediare a un danno arrecato. Nella  determinazione
dell'indennita' non si ha infatti  riguardo  all'elemento  soggettivo
del fatto, ne' all'opera  svolta  dall'agente  per  l'eliminazione  o
attenuazione  delle  conseguenze  della  violazione  e  neppure  alla
personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche, parametri
che il legislatore ha individuato al fine di assicurare la  finalita'
punitiva (art. 11 della legge n. 689/1981). 
    Detto  cio'  in  punto  di  non  annoverabilita'  dell'indennita'
controversa nell'ambito delle sanzioni amministrative sostanzialmente
penali, questo CGARS ritiene che  la  riconducibilita'  della  stessa
nella  categoria  delle   sanzioni   amministrative   (sussumibilita'
comunque avversata  da  questo  CGARS,  come  sopra  illustrato)  non
consentirebbe comunque  di  superare  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale in  ragione  dei  principi  della  conoscibilita'  del
precetto e la prevedibilita' delle conseguenze  sanzionatorie  (Corte
costituzionale 29 maggio 2019, n. 134). 
    In altre parole,  questo  CGARS  ritiene  che  non  possa  essere
utilizzato, in  funzione  paralizzante  rispetto  alla  questione  di
legittimita' costituzionale della norma  censurata,  il  rilievo  che
essa (laddove non consente di irrogare  la  «sanzione»  nel  caso  di
sopravvenienza del vincolo paesaggistico) sarebbe giustificata  dalla
necessita' di  allineare  la  fattispecie  alla  regola  generale  di
conoscibilita'  del  precetto  la   cui   violazione   determina   la
conseguenza sanzionatoria. 
    Piuttosto,  l'ordinamento  suppone  (e  impone)  che  colui   che
realizza un illecito edilizio  si  assuma  la  responsabilita'  delle
conseguenze negative che dalla condotta derivano nel corso del tempo,
fino a che la posizione del medesimo non risulta nuovamente  conforme
all'ordinamento giuridico  (secondo  il  canone  del  versari  in  re
illicita):  il  precetto  da   conoscere   anticipatamente   non   e'
rappresentato dal singolo vincolo paesaggistico ma dal fatto  che  la
realizzazione del manufatto deve avvenire nel rispetto  delle  regole
di settore, pena, quanto meno,  il  pagamento  di  un'indennita'.  Il
settore non risulta esposto ne' al rischio che, in contrasto  con  il
principio della divisione dei poteri, l'autorita' amministrativa o il
giudice assuma[ no] un ruolo creativo,  individuando,  in  luogo  del
legislatore, i confini tra il lecito e l 'illecito, ne' al rischio di
violare la libera autodeterminazione  individuale,  dal  momento  che
consente al destinatario della norma  di  apprezzare  le  conseguenze
giuridiche  della  propria  condotta  (cosi'  non  realizzandosi   le
situazioni  che   rappresentano   la   ratio   dei   principi   della
conoscibilita' del precetto e della prevedibilita' delle  conseguenze
sanzionatorie, cosi' (Corte costituzionale, 29 maggio 2019, n. 134). 
    La disposizione di portata generale di cui all'art. 32, legge  n.
47/1985 rende infatti  rilevanti  i  vincoli  di  tutela  ambientale,
paesaggistico-territoriale,  di   tutela   del   patrimonio   storico
artistico  e  di   tutela   della   salute   che   appongono   limiti
all'edificazione  ai  fini  dell'accertamento   di   conformita'   in
sanatoria: e' la legge che impone quindi una  corrispondenza  stretta
fra il vincolo edilizio e i suddetti  vincoli,  ritenendoli  connessi
quanto  agli  interessi  pubblici   coinvolti   e   inestricabilmente
compromessi dalla concreta realizzazione illecita del manufatto. 
    L'adunanza plenaria ha ritenuto che detta disposizione non  rechi
alcuna deroga al principio di legalita' in quanto «e'  la  legge  che
attribuisce la funzione e ne definisce  le  modalita'  di  esercizio,
anche attraverso la definizione dei  limiti  entro  i  quali  possono
ricevere attenzione gli altri interessi, pubblici e  privati,  con  i
quali l'esercizio della funzione interferisce»  e  che  «la  pubblica
amministrazione, sulla quale a norma dell'art. 97 della  Costituzione
incombe  piu'  pressante  l'obbligo  di  osservare  la  legge,   deve
necessariamente tener conto, nel momento in cui provvede, della norma
vigente e delle qualificazioni giuridiche che essa impone» (n. 20 del
1999). 
    Sicche', una volta che la cura dell'interesse  paesaggistico,  in
uno con la cura degli altri interessi coinvolti nell'operazione,  sia
cosi' realizzata dall'amministrazione preposta, questa  e'  tenuta  a
valutare anche i vincoli sopravvenuti rispetto alla costruzione, fino
al momento della propria decisione.  Senonche'  tale  incombenza  (di
considerare anche i vincoli sopravvenuti) non trova  ragion  d'essere
in  un  comportamento  della  parte   pubblica,   essendo   piuttosto
ascrivibile al fatto che in precedenza  il  privato  abbia  agito  in
assenza di titolo,  non  consentendo  cosi'  la  verifica  di  quanto
edificato. Pertanto, se sanzione vi e', essa svolge  la  funzione  di
punire il trasgressore non, in via  diretta,  per  avere  violato  il
vincolo paesaggistico,  ma  per  non  essersi  premunito  del  titolo
edificatorio, esponendolo alle conseguenze negative che nel corso del
tempo quella condotta produce, fino al momento in cui il privato  non
ritiene di porre fine alle conseguenze antigiuridiche  della  stessa,
presentando la domanda di cui all'art. 167,  decreto  legislativo  n.
42/2004 e l'amministrazione si pronunci sulla stessa. 
    Non si pone  quindi  un  tema  di  conoscibilita'  del  precetto,
potendosi  al  piu'  porre  una  questione  di  prevedibilita'  delle
conseguenze sanzionatorie, che questo  CGARS  ritiene  superabile  in
ragione del  fatto  che  gli  interessi  coinvolti,  oltre  a  quello
strettamente edificatorio, sono indicati nell'art. 32  e  cosi'  sono
prevedibili le conseguenze che derivano  dalla  violazione  di  detti
interessi: l'unico elemento di aleatorieta' attiene alla mancanza  di
sicurezza in ordine al fatto che l'area interessata dall'illecito sia
nel  corso  del  tempo  sottoposta  (o   meno)   a   vincolo.   Detta
aleatorieta', peraltro, e' contenuta  dalla  predeterminazione  della
tipologia di vincoli e di conseguenze che ne derivano, da un lato, e,
dall'altro lato, dal fatto che dipende proprio dal  soggetto  punito»
la possibilita' di  ridurre,  se  non  azzerare,  detta  aleatorieta'
presentando l'istanza di compatibilita'  (paesaggistica,  per  quanto
interessa nella presente controversia). 
    16. Detto  cio'  in  funzione  delle  questioni  di  legittimita'
sollevate, proprio per quanto si e' in ultimo esposto nel  precedente
paragrafo questo CGARS non ritiene di porre  ulteriori  questioni  in
relazione specificamente all'eventuale qualificazione (avversata  dal
Collegio, come sopra illustrato) dell'indennita' di cui all'art. 167,
comma 5, decreto  legislativo  n.  42/2004  in  termini  di  sanzione
amministrativa  dal  momento  che  la  giurisprudenza  costituzionale
ritiene che «la competenza sanzionatoria  amministrativa  non  e'  in
grado di autonomizzarsi come materia a se', ma  accede  alle  materie
sostanziali» (Corte costituzionale 7  giugno  2018,  n.  121),  cosi'
assorbendosi  nelle  questioni  di  costituzionalita'   gia'   poste,
dovendosi rilevare  che  le  denunciate  problematiche  in  punto  di
depotenziamento della tutela del paesaggio  manterrebbero  in  simile
ipotesi  inalterata  consistenza  (cfr.  Corte   costituzionale,   17
novembre 2020, n. 240, seppur con riferimento  a  regione  a  Statuto
ordinario). 
    17. Tanto premesso, richiamando quanto sopra osservato  in  punto
di rilevanza della medesima e riassunto al paragrafo 18 (in  costanza
della  norma  regionale  suddetta  nel  caso   di   specie   dovrebbe
confermarsi  la  pronuncia  di   primo   grado   che   ha   annullato
l'ingiunzione di pagamento dell'indennita',  atteso  che  il  vincolo
paesaggistico  e'  stato  apposto   dopo   la   realizzazione   della
costruzione abusiva, mentre, laddove, invece, la norma venga meno  in
seguito a  pronuncia  di  incostituzionalita'  il  Collegio  dovrebbe
determinarsi in  senso  opposto,  riformando  la  sentenza  di  primo
grado), in punto di non manifesta in  fondatezza  (in  ragione  della
nozione di norma di grande riforma economico sociale, che la  Regione
Siciliana  e'  tenuta  a  rispettare  pur  essendo  titolare  di  una
competenza legislativa esclusiva in materia  di  paesaggio,  e  della
irragionevole  disparita'   di   trattamento),   ed   in   punto   di
impossibilita' di interpretazione adeguatrice della norma,  il  CGARS
solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.  5,  comma
3, legge regionale n. 17/1994, per contrasto con  gli  articoli  9  e
117, comma 2,  lettera  s),  3  e  97  della  Costituzione  ai  sensi
dell'art. 23, comma 21, 11 marzo 1953, n. 87, ritenendola rilevante. 
    Il processo deve, pertanto, essere sospeso ai  sensi  e  per  gli
effetti di cui agli articoli  79  e  80  c.p.a.  e  295  c.p.c.,  con
trasmissione immediata degli atti  alla  Corte  costituzionale.  Ogni
ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine  alle  spese  e'
riservata alla decisione definitiva. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Consiglio  di  giustizia  amministrativa  parzialmente  e  non
definitivamente pronunciando: 
        Respinge l'articolazione sottesa al primo motivo dell'appello
principale volta a sostenere  che  al  tempo  dell'abuso  sussistesse
nell'area  un  vincolo   paesaggistico,   ovvero   che   il   vincolo
archeologico  ivi  sussistente  fosse  equiparabile  ad  un   vincolo
paesaggistico; 
        Visto l'art.  23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita'
costituzionale dell'art. 5, comma 3, legge regionale  n.  17/1994  in
relazione agli articoli 3, 9, 97 e 117, comma  2,  lettera  s)  della
Costituzione, nei sensi di cui in motivazione; 
        Sospende il presente giudizio ai sensi dell'art. 79, comma 1,
c.p.a.; 
        Dispone,   a   cura   della    segreteria    del    Tribunale
amministrativo,  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla   Corte
costituzionale; 
        Rinvia ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle
spese di lite all'esito del  giudizio  incidentale  promosso  con  la
presente ordinanza; 
        Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della
Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa, e
che  sia  comunicata   al   Presidente   della   Regione   Siciliana,
all'Assemblea regionale siciliana, al Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, al Presidente del Senato della Repubblica ed al  Presidente
della Camera dei deputati; 
        Ordina che la presente sentenza sia  eseguita  dall'autorita'
amministrativa. 
          Cosi' deciso in  Palermo  nella  Camera  di  consiglio  del
giorno 24 febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati: 
Fabio Taormina, Presidente; 
Roberto Caponigro, consigliere; 
Sara Raffaella Molinaro, consigliere; 
Salvatore Zappala', consigliere; 
Maria Immordino, consigliere, estensore. 
 
                       Il Presidente: Taormina 
 
 
                                               L'estensore: Immordino