N. 46 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2022

Ordinanza del 25 marzo 2022 del  Tribunale  amministrativo  regionale
per la Lombardia sui ricorsi  riuniti proposti  da  LAC  -  Lega  per
l'Abolizione  della  Caccia  Onlus  c/Regione  Lombardia;   Consiglio
regionale della Lombardia; Provincia di Sondrio.. 
 
Ambiente - Caccia - Norme della Regione Lombardia - Divieto di caccia
  sui  valichi  montani  interessati  dalle   rotte   di   migrazione
  dell'avifauna per una  distanza  di  mille  metri  dagli  stessi  -
  Previsione che i valichi sono individuati dal  Consiglio  regionale
  su proposta della Regione o  della  Provincia  di  Sondrio  per  il
  relativo territorio, sentito  l'Istituto  nazionale  per  la  fauna
  selvatica (INFS), esclusivamente nel  comparto  di  maggior  tutela
  della zona faunistica delle Alpi. 
- Legge della Regione Lombardia 16 agosto 1993, n. 26 (Norme  per  la
  protezione della fauna selvatica e per  la  tutela  dell'equilibrio
  ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria), art.  43,  comma
  3, sostituito dall'art.  1,  comma  21,  lettera  f),  della  legge
  regionale 8 maggio 2002, n. 7 (Modifiche ed integrazioni alla legge
  regionale 16 agosto 1993, n. 26  «Norme  per  la  protezione  della
  fauna selvatica  e  per  la  tutela  dell'equilibrio  ambientale  e
  disciplina dell'attivita' venatoria») e successivamente  modificato
  dall'art.  2,  comma  1,  lettera  h),  della  legge  regionale  16
  settembre 2009, n. 21 ("Stagione  venatoria  2009-2010:  disciplina
  del regime di  deroga  previsto  dall'articolo  9  della  Direttiva
  79/409/CEE  del  Consiglio,  del  2  aprile  1979,  concernente  la
  conservazione degli uccelli selvatici, in attuazione  dell'articolo
  19-bis  della  legge  11  febbraio  1992,  n.  157  (Norme  per  la
  protezione della  fauna  selvatica  omeoterma  e  per  il  prelievo
  venatorio). Modifica di leggi regionali"), e dall'art. 3, comma  5,
  lettera p), della legge regionale 25 marzo 2016, n.  7  ("Modifiche
  alla legge regionale 5 dicembre 2008,  n.  31  (Testo  unico  delle
  leggi  regionali  in  materia  di  agricoltura,  foreste,  pesca  e
  sviluppo rurale) e alla legge  regionale  16  agosto  1993,  n.  26
  (Norme per la protezione della fauna  selvatica  e  per  la  tutela
  dell'equilibrio ambientale e disciplina  dell'attivita'  venatoria)
  conseguenti alle disposizioni della legge regionale 8 luglio  2015,
  n. 19 e della legge regionale 12 ottobre 2015, n. 32 e  contestuali
  modifiche agli articoli 2 e 5 della l.r. 19/2015 e  all'articolo  3
  della l.r. 32/2015"). 
Ambiente - Caccia - Protezione della  fauna  selvatica  -  Disciplina
  dello Stato e conforme disciplina della Regione Lombardia,  secondo
  cui a protezione della fauna selvatica e' destinato  il  territorio
  agro-silvo-pastorale per una quota dal 20 al 30  per  cento,  fatta
  eccezione per  il  territorio  delle  Alpi,  che  costituisce  zona
  faunistica  a  se'  stante  ed  e'  riservato  a  protezione  nella
  percentuale dal 10 al  20  per  cento  -  Ricomprensione  in  dette
  percentuali dei  territori  ove  e'  comunque  vietata  l'attivita'
  venatoria anche per effetto di altre leggi o disposizioni. 
- Legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna
  selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio), art. 10, comma 3,
  "e di conseguenza" dell'art. 13, comma 3, lettera a),  della  legge
  della Regione Lombardia  16  agosto  1993,  n.  26  (Norme  per  la
  protezione della fauna selvatica e per  la  tutela  dell'equilibrio
  ambientale e disciplina dell'attivita' venatoria). 
(GU n.19 del 11-5-2022 )
 
       IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA LOMBARDIA 
                           Sezione Quarta 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2093 del 2020 proposto dall'Associazione  L.A.C.  -
Lega per l'Abolizione  della  Caccia  Onlus  in  persona  del  legale
rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avv.  Claudio
Linzola ed elettivamente domiciliata presso lo studio dello stesso in
Milano, via Hoepli n. 3; 
    contro: 
      il  Consiglio  Regionale  della  Lombardia   in   persona   del
Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti  Riccardo
Caccia, Silvia Snider e Roberto Grazzi e domiciliato in  Milano,  via
Filzi n. 22, presso il Servizio legislativo e legale - Ufficio legale
del medesimo Consiglio Regionale; 
      la Regione Lombardia in persona del Presidente pro-tempore, non
costituita in giudizio; 
    sul ricorso numero di registro generale 1217  del  2021  proposto
dall'Associazione L.A.C. - Lega per l'Abolizione della  Caccia  Onlus
in persona del legale  rappresentante  pro-tempore,  rappresentata  e
difesa dall'avv. Claudio Linzola ed elettivamente domiciliata  presso
lo studio dello stesso in Milano, via Hoepli n. 3; 
    contro: 
      la Regione Lombardia in  persona  del  Presidente  pro-tempore,
rappresentata e  difesa  dagli  avv.ti  Piera  Pujatti  e  Alessandro
Gianelli e domiciliata in Milano, piazza Citta' di  Lombardia  n.  1,
presso la sede dell'Avvocatura regionale; 
      il  Consiglio  Regionale  della  Lombardia,  in   persona   del
Presidente pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti  Riccardo
Caccia, Silvia Snider e Roberto Grazzi e domiciliato in  Milano,  via
Filzi n. 22, presso il Servizio legislativo e legale - Ufficio legale
del medesimo Consiglio Regionale; 
      la Provincia di Sondrio in persona del Presidente  pro-tempore,
rappresentata e difesa dall'avv. Maurizio Carrara  e  domiciliata  ai
sensi dell'art. 25 cod. proc. amm.; 
    per l'annullamento quanto al ricorso n. 2093 del 2020: 
      della deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia  n.
1396 del 10 settembre 2020, avente a oggetto «Individuazione da parte
del Consiglio regionale di nuovi valichi  montani  interessati  dalle
rotte di migrazione dell'avifauna  nella  Provincia  di  Brescia,  ai
sensi dell'articolo 43, comma 3, della L.R. 16 agosto 1993, n. 26, in
ottemperanza alla sentenza  del  Consiglio  di  Stato  n.  6630/2019,
pubblicata sul B.U.R.L. - Serie ordinaria n. 44 del 6  ottobre  2020;
quanto al ricorso n. 1217 del 2021: 
      della deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia  n.
1883 del 18 maggio 2021, pubblicata sul B.U.R.L. - Serie ordinaria n.
22 del 3 giugno 2021, recante «Individuazione dei valichi montani  in
Regione Lombardia ai sensi dell'art.  43,  comma  3,  della  l.r.  16
agosto 1993, n. 26. Ottemperanza a sentenza del TAR Lombardia n. 2342
del 28 novembre 2020; 
      della deliberazione della Giunta regionale della  Lombardia  n.
4370 del 3  marzo  2021,  recante  «Approvazione  della  proposta  di
individuazione  dei  valichi   montani   in   Regione   Lombardia   e
trasmissione al  Consiglio  regionale  per  l'approvazione  ai  sensi
dell'art. 43, comma 3, della l.r. 16 agosto 1993, n. 26. Ottemperanza
alla sentenza del TAR Lombardia, Milano n. 2342 del 28 novembre  2020
(proposta di deliberazione)»; 
      del parere reso dall'Osservatorio  faunistico  venatorio  della
Regione Lombardia in data 3 febbraio 2021; 
      della deliberazione del Presidente della Provincia  di  Sondrio
n. 25 del 25 febbraio 2021. 
    Visti i ricorsi e i relativi allegati; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti  gli  atti  di  costituzione  in  giudizio  del   Consiglio
Regionale della Lombardia, con riguardo a entrambi i ricorsi, e della
Regione Lombardia e della  Provincia  di  Sondrio,  con  riguardo  al
ricorso R.G. n. 1217/2021; 
    Viste le istanze di riunione dei  ricorsi  indicati  in  epigrafe
formulate dall'Associazione ricorrente; 
    Designato relatore il consigliere Antonio De Vita; 
    Uditi, all'udienza pubblica del 16  febbraio  2022,  i  difensori
delle parti, come specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    1. Con  ricorso  R.G.  n.  2093/2020  l'Associazione  ricorrente,
riconosciuta ai sensi dell'art. 13 della legge n. 349  del  1986,  ha
impugnato la deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n.
1396 del 10 settembre 2020, avente a oggetto «Individuazione da parte
del Consiglio regionale di nuovi valichi  montani  interessati  dalle
rotte di migrazione dell'avifauna  nella  Provincia  di  Brescia,  ai
sensi dell'articolo 43, comma 3, della L.R. 16 agosto  1993,  n.  26,
inottemperanza alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6630/2019». 
    A conclusione del giudizio instaurato  avverso  la  deliberazione
del Consiglio Provinciale di Brescia n. 17 del 31 marzo 2009, recante
l'individuazione di ulteriori valichi montani di potenziale interesse
per i flussi di avifauna migratoria, e' stata emanata la sentenza del
Consiglio di Stato, II, n. 6630/2019 che, riformando la pronuncia del
T.A.R. Lombardia, Brescia n.  4672/2010,  ha  ordinato  al  Consiglio
Regionale della Lombardia - nel frattempo  individuato  quale  organo
competente in materia dall'art. 2, comma  1,  lett.  h,  della  legge
regionale n. 21 del 2009 - di rideterminarsi in ordine al  precedente
provvedimento adottato dal Consiglio Provinciale di Brescia che aveva
individuato, in maniera carente e non  corretta,  i  valichi  montani
interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna  nella  Provincia
di Brescia.  Stante  l'inerzia  del  Consiglio  regionale,  e'  stato
proposto un giudizio di ottemperanza, concluso con  la  sentenza  del
Consiglio  di  Stato,   II,   n.   7102/2020,   che   ha   dichiarato
l'improcedibilita' del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse,
poiche' con la deliberazione del Consiglio regionale della  Lombardia
del 10 settembre 2020, n. XI/1396 e' stata  effettuata  la  richiesta
rivalutazione  dei  siti  originariamente   esclusi   dal   Consiglio
provinciale  di  Brescia,  in  esecuzione  di  quanto  statuito   con
l'ottemperanda  sentenza  n.  6630/2019.  Attraverso   l'impugnazione
proposta nella presente sede, l'Associazione ricorrente  contesta  la
deliberazione del Consiglio  regionale  del  10  settembre  2020,  n.
XI/1396 nella quale si e' stabilito, in  applicazione  dell'art.  43,
comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993,  che  la  caccia  puo'
essere vietata solo nei  valichi  che  si  trovano  nel  comparto  di
maggior tutela della zona  faunistica  delle  Alpi»  e,  quindi,  che
«l'individuazione dei valichi interessati dalle rotte di  migrazione,
per espressa previsione legislativa puo' avvenire esclusivamente  nel
comparto di maggior  tutela»,  escludendo  percio'  due  valichi  che
comunque sarebbero interessati  dalle  rotte  migratorie  (denominati
«Sella di Mandro» e «Valico di Capovalle»), perche' collocati in zone
non ricomprese nei comparti di maggior tutela della  zona  faunistica
delle Alpi; inoltre e' stato rilevato che la protezione dei  predetti
valichi avrebbe determinato il superamento della percentuale  massima
del  20%  del  territorio  da  destinare  a  protezione  della  fauna
selvatica nella zona Alpi, in violazione del disposto di cui all'art.
10, comma 3, della legge n. 157 del 1992. 
    Con il ricorso oggetto di scrutinio e'  stata,  in  primo  luogo,
eccepita l'illegittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 3, della
legge regionale n. 26 del 1993 per contrasto con l'art. 21, comma  3,
della legge n. 157 del 1992, quale norma interposta rispetto all'art.
117, secondo comma, lett. s, Costituzione, che attribuisce allo Stato
la potesta' legislativa esclusiva in materia di ambiente. 
    Con  una  seconda  censura  e'   stata   eccepita   l'illegittima
applicazione dell'art. 10, comma 3, della legge 157 del 1992, poiche'
i limiti percentuali di tutela della fauna selvatica (compreso tra il
10 e il 20% del territorio delle Alpi) non potrebbero applicarsi alle
zone di divieto assoluto di caccia. 
    Si  e'  costituito  in  giudizio  il  Consiglio  Regionale  della
Lombardia, che ha chiesto il rigetto del gravame. 
    2. Con ricorso R.G. n. 1217/2021,  l'Associazione  ricorrente  ha
altresi'   impugnato,   unitamente   agli   atti   presupposti,    la
deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1883 del  18
maggio 2021, pubblicata sul B.U.R.L. - Serie ordinaria n.  22  del  3
giugno 2021, recante «Individuazione dei valichi montani  in  Regione
Lombardia ai sensi dell'art. 43, comma 3, della l.r. 16 agosto  1993,
n. 26. Ottemperanza a sentenza del  TAR  Lombardia  n.  2342  del  28
novembre 2020». 
    In seguito alla sentenza di questo Tribunale n. 2342/2020 con cui
e' stato fatto obbligo al  Consiglio  regionale  della  Lombardia  di
individuare, entro un termine  prestabilito,  i  valichi  montani  da
assoggettare alle misure restrittive dell'attivita' venatoria, previa
proposta della Giunta regionale o della Provincia di Sondrio, per  il
relativo territorio, e' stata adottata  la  richiamata  deliberazione
attraverso la quale sono stati individuati  otto  (8)  nuovi  valichi
montani e ne sono stati confermati tredici  (13).  A  giudizio  della
ricorrente i predetti valichi sarebbero stati gia' tutti istituiti in
precedenza o comunque  individuati  da  parte  dei  Piani  faunistici
venatori provinciali, mentre non sarebbero stati  affatto  tenuti  in
considerazione gli ulteriori  e  preesistenti  valichi  gia'  noti  e
censiti che ammonterebbero a un totale di  oltre  quaranta  (40).  La
deliberazione  consiliare  si  sarebbe   semplicemente   limitata   a
confermare tredici (13) valichi, ignorando  tutti  gli  altri,  cosi'
incorrendo in un difetto di  istruttoria  e  conseguente  carenza  di
motivazione. 
    A sostegno del ricorso sono state dedotte censure  di  violazione
di  varie  disposizioni  di  legge  e  di  eccesso  di  potere  sotto
differenti profili. 
    Si sono costituiti  in  giudizio  il  Consiglio  Regionale  della
Lombardia, la Regione Lombardia e la Provincia di Sondrio  che  hanno
chiesto il rigetto del ricorso. 
    3. In prossimita' dell'udienza di trattazione  del  merito  delle
cause,  i  difensori  delle  parti   hanno   depositato   memorie   e
documentazione a sostegno delle rispettive posizioni. 
    Alla pubblica udienza del 16 febbraio 2022, su conforme richiesta
dei difensori  delle  parti,  i  ricorsi  sono  stati  trattenuti  in
decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1. In via preliminare, come richiesto dalla  difesa  della  parte
ricorrente, va disposta la riunione dei ricorsi indicati in epigrafe,
attesa  la  loro  connessione  oggettiva  e  soggettiva,  trattandosi
dell'impugnazione da parte della medesima Associazione  di  atti  con
cui sono stati individuati, dal Consiglio regionale della  Lombardia,
i valichi montani interessati dalle rotte di migrazione dell'avifauna
da sottoporre a tutela; la deliberazione  adottata  il  10  settembre
2020 e impugnata con il ricorso R.G. n. 2093/2020 e' stata  in  parte
recepita anche nella successiva deliberazione n. 1883 del  18  maggio
2021, impugnata con il ricorso R.G. n. 1217/2021, come reso  evidente
dall'espresso richiamo contenuto  in  quest'ultima  (in  particolare,
laddove si riferisce all'individuazione dei valichi in  provincia  di
Brescia).  Quindi  l'eventuale  accoglimento  del  ricorso  R.G.   n.
2093/2000  determinerebbe,  in  via  consequenziale,  l'accoglimento,
almeno in parte qua, anche del successivo ricorso R.G. n. 1217/2021. 
    2. Principiando dall'esame dalle questioni proposte attraverso il
ricorso  R.G.  n.  2093/2020  -  con  cui  e'  stata   impugnata   la
deliberazione del Consiglio regionale della Lombardia n. 1396 del  10
settembre 2020, avente a oggetto l'individuazione  di  nuovi  valichi
montani interessati dalle rotte  di  migrazione  dell'avifauna  nella
Provincia di Brescia - deve  evidenziarsi  che  l'atto  impugnato  e'
fondato  su  due  concorrenti  e  autonome  ragioni,  ossia  (i)  che
l'applicazione dell'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26 del
1993 (secondo cui la caccia puo' essere vietata solo nei valichi  che
si trovano nel «comparto di  maggior  tutela  della  zona  faunistica
delle Alpi») esclude la possibilita' cli ricomprendere nel divieto  i
valichi che,  pur  interessati  dalle  rotte  migratorie  («Sella  di
Mandro»  e  «Valico  di  Capovalle»),  sono  collocati  in  zone  non
ricomprese nei comparti di maggior tutela della zona faunistica delle
Alpi, e (ii)  altresi'  che,  in  ogni  caso,  un  assoggettamento  a
protezione dei predetti valichi avrebbe  determinato  il  superamento
della percentuale massima del  20%  del  territorio  da  destinare  a
protezione della fauna selvatica nella zona Alpi, in  violazione  del
disposto di cui all'art. 10, comma 3, della legge  n.  157  del  1992
(mutuato con identico contenuto nell'art. 13, comma 3, lett. a, della
legge regionale n. 26 del 1993). 
    Va specificato che si tratta di due  ragioni  autonome  che  sono
idonee, ciascuna singolarmente intesa, a sorreggere la  deliberazione
impugnata, con la conseguenza che  l'accertata  legittimita'  di  una
sola di esse determinerebbe il  rigetto  del  ricorso;  cio'  impatta
sulla verifica della rilevanza, con riguardo al  correlato  giudizio,
delle  questioni  di  costituzionalita'  di  cui  si  trattera'   nel
prosieguo. 
    Si deve  premettere  che  la  deliberazione  regionale  impugnata
risulta perfettamente conforme al dato normativo  primario  regionale
e/o statale che consente, da una parte,  di  imporre  il  divieto  di
caccia soltanto nel comparto di maggior tutela della zona  faunistica
delle Alpi e che, dall'altra, per  siffatto  territorio,  costituente
una zona faunistica a se'  stante,  rende  possibile  un  livello  di
protezione che non puo' superare il 20% della sua estensione. 
    Difatti, avuto riguardo alle richiamate  disposizioni  normative,
si deve concludere che, al di fuori  della  zona  di  maggior  tutela
delle Alpi e dei limiti percentuali massimi indicati (pari al 20% del
territorio), nessun margine residua in capo  al  Consiglio  regionale
nella fase di individuazione di (ulteriori) valichi da  sottoporre  a
protezione, vietandovi l'esercizio della caccia. 
    A cio' consegue la  rilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale nel citato giudizio - R.G.  n.  2093/2020  -  sia  con
riguardo all'art. 43, comma 3, della legge regionale n. 26  del  1993
nella versione attualmente in vigore,  sia  dell'art.  10,  comma  3,
della legge n. 157 del 1992. Se fossero  dichiarate  incostituzionali
le predette disposizioni, non vi sarebbe alcun impedimento  normativo
ad  ampliare  il  numero  dei  valichi  interessati  dalle  rotte  di
migrazione dell'avifauna da  sottoporre  a  tutela  e,  quindi,  cio'
imporrebbe al Consiglio regionale (previo  parere  dell'I.S.P.R.A.  -
Istituto Superiore per la Protezione  e  la  Ricerca  Ambientale)  di
individuare, ove  ne  sussistessero  i  presupposti  concreti,  nuovi
valichi senza limiti numerici e/o di superficie e senza l'obbligo  di
considerare  soltanto  quelli  collocati  nella   zona   alpina,   ma
ricomprendendovi anche quelli posti sugli Appennini (esistenti  nella
parte sud della Regione, in Provincia  di  Pavia:  cfr.  pag.  4  del
ricorso R.G. n. 1217/2021). Si ribadisce che  entrambe  le  questioni
devono essere sottoposte al vaglio del Giudice delle leggi, affinche'
non venga  meno  il  requisito  della  rilevanza,  e  che  le  stesse
questioni rilevano altresi' ai fini della decisione del ricorso  R.G.
n. 1217/2021, giacche' la deliberazione ivi impugnata (n. 1883 del 18
maggio 2021) e' stata adottata anche in  applicazione  dell'art.  43,
comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993, oltre che della  legge
n. 157 del 1992. 
    3. Quanto alla non manifesta  infondatezza  delle  questioni,  le
stesse devono essere trattate separatamente,  differenti  essendo  le
norme oggetto  di  scrutinio  e  risultando  pertanto  disomogenei  i
parametri, anche costituzionali, di riferimento. Difatti  l'art.  43,
comma 3, della legge regionale n. 26 del 1993 deve  essere  posto  in
raffronto con l'art. 21, comma 3, della legge n. 157  del  1992,  che
funge da norma interposta  nel  giudizio  di  costituzionalita',  sul
presupposto della violazione dell'art. 117, secondo comma,  lett.  s,
Costituzione, che attribuisce  allo  Stato  la  potesta'  legislativa
esclusiva in materia di ambiente. Diversamente l'art.  10,  comma  3,
della legge 157 del 1992, recepito in Lombardia con l'art. 13,  comma
3, lett. a, della  legge  regionale  n.  26  del  1993,  si  pone  in
contrasto con le norme della Costituzione relative alla  salvaguardia
del bene ambiente (artt. 3, 9 e 32 Costituzione) e con  la  normativa
dell'Unione europea che  funge  da  parametro  interposto,  ai  sensi
dell'art. 117, primo  comma,  Costituzione,  in  particolare  con  la
Direttiva n. 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del
30  novembre  2009,  concernente  la  conservazione   degli   uccelli
selvatici. 
    4. L'art. 43, comma 3, della  legge  regionale  n.  26  del  1993
stabilisce che «la caccia e' vietata sui valichi montani  interessati
dalle rotte di migrazione dell'avifauna per  una  distanza  di  mille
metri  dagli  stessi;  i  valichi  sono  individuati  dal   Consiglio
regionale su proposta della Regione o della provincia di Sondrio  per
il relativo territorio, sentito l'INFS, e esclusivamente nel comparto
di maggior tutela della zona faunistica delle Alpi  e  devono  essere
indicali nei piani di  cui  agli  artt.  12  e  14  e  nei  calendari
venatori». Invece l'art. 21, comma 3, della legge statale n. 157  del
1992 si limita a stabilire che «la  caccia  e'  vietata  su  tutti  i
valichi montani interessati dalle rotte di migrazione  dell'avifauna,
per una distanza di mille metri dagli stessi». 
    Come risulta evidente,  la  norma  regionale  contiene  ulteriori
specificazioni  rispetto  alla  norma   statale   che   ne   limitano
sensibilmente lo spettro  di  operativita',  riservando  una  ridotta
tutela alla salvaguardia e alla conservazione delle specie di uccelli
selvatici. Nello specifico la normativa statale vieta  la  caccia  su
tutti  i  valichi  montani  interessati  dalle  rotte  di  migrazione
dell'avifauna, per una distanza di mille metri dagli  stessi,  mentre
la legge regionale pone il divieto  esclusivamente  nel  comparto  di
maggior tutela della zona faunistica delle  Alpi,  escludendo  quindi
sia le zone montane alpine che non sono ricomprese  nel  comparto  di
maggior tutela, sia le zone montane che non si  trovano  nelle  Alpi,
come le fasce appenniniche. A tal proposito due dei valichi collocati
in Provincia di Brescia, denominati «Sella di Mandro»  e  «Valico  di
Capovalle» di cui al ricorso R.G. n. 2093/2020, e quelli posti  sugli
Appennini, esistenti nella parte sud della Regione  in  Provincia  di
Pavia (cfr. pag. 4 del ricorso R.G. n. 1217/2021), sono stati esclusi
dalla tutela proprio perche' non ricompresi nel comparto  di  maggior
tutela delle Alpi, pur  essendo  dei  valichi  montani  a  tutti  gli
effetti e quindi rientrando (o potendo astrattamente rientrare) nello
spettro di operativita' dell'art. 21, comma 3, della legge statale n.
157 del 1992. 
    Le disposizioni contenute in tale ultima legge (denominata «Norme
per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per  il  prelievo
venatorio») sono state considerate dalla  consolidata  giurisprudenza
costituzionale regole minime e uniformi,  espressive  della  potesta'
statale in tema di tutela dell'ambiente  e  dell'ecosistema,  con  la
conseguenza che, ove la normativa regionale fosse in contrasto con le
richiamate disposizioni statali, risulterebbe invasiva della sfera di
competenza   legislativa   dello   Stato    e,    percio',    sarebbe
costituzionalmente illegittima (cfr. Corte  costituzionale,  sentenza
n. 139 del 14 giugno 2017). 
    Difatti e' stato evidenziato in piu'  occasioni  che  «a  seguito
della riforma del Titolo V della Costituzione, la mancata indicazione
della materia "caccia" nel  novellato  art.  117  Costituzione  -  in
precedenza, invece, espressamente annoverata tra le  materie  rimesse
alla potesta'  legislativa  concorrente  -  determina  la  sua  certa
riconduzione alla competenza residuale regionale (...) anche in  tale
ambito "e' tuttavia necessario, in base all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Costituzione, che la legislazione regionale  rispetti  la
normativa  statale  adottata  in  tema  di  tutela  dell'ambiente   e
dell'ecosistema, ove essa esprima regole minime  uniformi"  (sentenza
n. 139 del 2017). Da cio' consegue che, se  da  un  lato  i  precipui
livelli  di  protezione  fissati  dalla  legge  n.  157  del  1992  a
salvaguardia dell'ambiente e dell'ecosistema "non sono derogabili  in
peius dalla legislazione regionale (da ultimo, sentenze n. 139  e  n.
74 del 2017)", dall'altro quest'ultima ben puo', invece,  intervenire
su tale disciplina "innalzando il livello della tutela" (sentenza  n.
174  del  2017)  nell'esercizio  delle  proprie  competenze»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 7 del 17 gennaio 2019;  altresi',  n.  40
del 6 marzo 2020; n. 291 del 27 dicembre 2019; n. 174 del  13  luglio
2017; n. 139 del 14 giugno 2017). 
    La riduzione della  tutela  e  della  protezione  garantite  agli
uccelli migratori discendente dall'art.  43,  comma  3,  della  legge
regionale della Lombardia n. 26 del 1993, rispetto allo standard piu'
elevato previsto dall'art. 21, comma 3, della legge  statale  n.  157
del  1992,  quale  parametro  interposto,  rende,   di   conseguenza,
costituzionalmente illegittima la normativa regionale  per  contrasto
con l'art. 117, secondo comma, lett. s, della Costituzione. 
    5. Passando all'esame dell'art. 10, comma 3, della legge 157  del
1992  -  recepito  in  Lombardia,  sostanzialmente   nella   identica
versione, attraverso  l'art.  13,  comma  3,  lett.  a,  della  legge
regionale n. 26 del 1993 - lo stesso si  pone  in  contrasto  con  le
previsioni  costituzionali  relative  alla  salvaguardia   del   bene
ambiente  (artt.  3,  9  e  32  Costituzione)  e  con  la   normativa
dell'Unione europea che  funge  da  parametro  interposto,  ai  sensi
dell'art. 117, primo  comma,  Costituzione,  in  particolare  con  la
Direttiva n. 2009/147/CE del Parlamento europeo e del Consiglio,  del
30  novembre  2009,  concernente  la  conservazione   degli   uccelli
selvatici (il cui recepimento ha imposto la  modifica  proprio  della
legge n. 157 del 1992, adottata originariamente al fine  di  recepire
la previgente Direttiva n. 79/409/CEE «Uccelli»). 
    5.1. Il predetto art. 10, comma 3, stabilisce che «il  territorio
agro-silvo-pastorale di ogni regione e' destinato per una  quota  dal
20 al  30  per  cento  a  protezione  della  fauna  selvatica,  fatta
eccezione per il territorio  delle  Alpi  di  ciascuna  regione,  che
costituisce una zona faunistica  a  se'  stante  ed  e'  destinato  a
protezione nella percentuale  dal  10  al  20  per  cento.  In  dette
percentuali sono  compresi  i  territori  ove  sia  comunque  vietata
l'attivita'  venatoria  anche  per   effetto   di   altri   leggi   o
disposizioni»; l'art. 13, comma 3, lett. a, della legge regionale  n.
26  del  1993  prevede,  sulla  falsariga  del  precedente,  che  «il
territorio agro-silvo-pastorale della regione, la cui  estensione  e'
determinata con deliberazione della Giunta regionale,  e'  destinato:
a) per una quota dal dieci al venti per cento in zona Alpi e per  una
quota dal venti al  trenta  per  cento  nel  restante  territorio,  a
protezione della fauna selvatica, in  dette  quote  sono  compresi  i
territori ove e' comunque vietata  l'attivita'  venatoria  anche  per
effetto di altre leggi o disposizioni comprese tutte le aree  in  cui
l'esercizio  venatorio  e'  vietato  dalla  presente  legge   e,   in
particolare, dalle disposizioni di cui agli articoli  17,  18,  37  e
43». 
    Il limite di territorio assoggettabile a tutela in  favore  della
fauna selvatica - che puo' raggiungere al massimo il 20% per la  zona
alpina e il 30% per il restante territorio - risulta in  (potenziale)
contrasto con gli  obiettivi  di  protezione  della  fauna  selvatica
(compresa  l'avifauna),  poiche'  si  fonda  su  un  dato   meramente
quantitativo  che  opera  a  prescindere   dalle   peculiarita'   del
territorio e dalle eventuali ulteriori  esigenze  di  tutela  per  le
citate specie selvatiche che dovessero  manifestarsi  nel  corso  del
tempo. 
    Trattandosi  di  normativa  finalizzata  a  garantire  la  tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema (cfr. Corte costituzionale,  sentenza
n. 139 del 14 giugno 2017), la stessa deve  perseguire  efficacemente
tale obiettivo, visto  che  la  tutela  dell'ambiente  e'  un  valore
costituzionale primario e assoluto che non  puo'  essere  compromesso
nel suo nucleo fondamentale (cfr. Corte costituzionale,  sentenza  n.
378 del 14 novembre 2007;  sentenza  n.  367  del  7  novembre  2007;
ordinanza n. 365 del 30 luglio 1993; sentenza n. 641 del 30  dicembre
1987; sentenza n. 210 del 28 maggio 1987). Tale  conclusione  risulta
rafforzata a seguito della riforma entrata in vigore in data 9  marzo
2022, che ha introdotto nella Costituzione uno specifico  riferimento
alla tutela dell'ambiente e degli animali  («[La  Repubblica]  tutela
l'ambiente, la biodiversita' e gli ecosistemi,  anche  nell'interesse
delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le
forme di tutela degli animali»: art. 9,  terzo  comma,  Costituzione,
come modificato con Legge costituzionale n. 1 del 2022).  La  novella
costituzionale, quale esplicitazione di principi gia' desumibili  dal
dettato costituzionale, come si puo'  ricavare  dalla  giurisprudenza
costituzionale in precedenza richiamata,  non  risulta  di  carattere
innovativo, ma appare ricognitiva del valore primario e  fondamentale
del bene ambiente, secondo una sua concezione  unitaria  «comprensiva
di  tutte  le  risorse  naturali  e  culturali.  Esso  comprende   la
conservazione,  la  razionale  gestione  ed  il  miglioramento  delle
condizioni naturali (aria, acque, suolo e territorio in tutte le  sue
componenti), la esistenza e la preservazione dei  patrimoni  genetici
terrestri e marini, di tutte le specie animali e vegetali che in esso
vivono allo stato naturale ed in definitiva la persona umana in tutte
le sue estrinsecazioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 210 del 28
maggio 1987). 
    Tale valore, tuttavia, non potendo avere una prevalenza  assoluta
sugli altri diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione  (libera
iniziativa economica,  attivita'  legate  al  libero  sviluppo  della
personalita', ecc.), deve rinvenire un punto di  equilibrio  con  gli
stessi che «deve essere valutalo - dal legislatore nella  statuizione
delle norme e dal giudice delle leggi in sede di controllo -  secondo
criteri  di  proporzionalita'  e  di  ragionevolezza,  tali  da   non
consentire  un  sacrificio  del  loro   nucleo   essenziale»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 85 del 9 maggio 2013). 
    Tra l'altro, proprio nella fase di individuazione  da  parte  del
Consiglio regionale della Lombardia dei valichi  montani  interessati
dalle rotte di migrazione  da  sottoporre  a  tutela,  non  e'  stato
possibile vietare la caccia in relazione a una parte  di  essi  -  in
particolare  quelli  denominati  «Sella  di  Mandro»  e  «Valico   di
Capovalle» situati  nella  Provincia  di  Brescia  (ricorso  R.G.  n.
2093/2020) -  in  ragione  dell'avvenuto  raggiungimento  del  limite
massimo di territorio tutelabile (non superiore  al  20%  nella  zona
delle Alpi), a nulla rilevando l'importanza dei siti individuati e la
tipologia di avifauna interessata. Se, in  linea  astratta,  si  puo'
giustificare una previsione normativa che stabilisse dei criteri  per
l'individuazione delle zone del territorio sottoponibili a tutela, in
modo da contemperare le finalita' di carattere ambientale  anche  con
le esigenze correlate alla caccia e alle altre  attivita'  meritevoli
di tutela, nondimeno siffatta disposizione non potrebbe essere avulsa
dagli obiettivi  che  si  intendono  perseguire,  oltre  che  da  una
intrinseca ragionevolezza e dall'effettivita' delle misure  adottate.
Procedendo a un bilanciamento dei diversi interessi  in  rilievo,  si
rileva come non possa ammettersi un sacrificio totale in danno  delle
specie di uccelli selvatici da proteggere in  ragione  dell'esistenza
di  un  limite  quantitativo  massimo   di   territorio   tutelabile,
altrimenti si affermerebbe la (totale) recessivita' del bene ambiente
rispetto agli altri valori con lo stesso confliggenti,  disattendendo
le chiare indicazioni della giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte
costituzionale, sentenza n. 85 del 9 maggio 2013). Anche la Corte  di
Giustizia dell'Unione europea ha confermato che, «quando  l'autorita'
competente e' chiamata a  verificare  l'assenza  di  altre  soluzioni
soddisfacenti, essa deve procedere a una comparazione  delle  diverse
soluzioni  che  soddisfano  le  condizioni  del  regime   derogatorio
istituito all'articolo 9, paragrafo 1, lettera  c),  della  direttiva
"Uccelli" per determinare  quella  che  risulta  piu'  soddisfacente»
(Corte di Giustizia U.E., I, 17 marzo 2021, causa C-900/19, par. 37).
La rigidita' del dato normativo  contenuto  nell'art.  10,  comma  3,
della  legge  n.  157  del  1992,  non  consente  di  operare   alcun
bilanciamento e cio' si pone in contrasto sia con  la  necessita'  di
tutelare  efficacemente   l'ambiente,   sia   con   i   principi   di
ragionevolezza   e   proporzionalita',   discendenti   dall'art.    3
Costituzione In tal senso, la Corte  costituzionale  ha  sottolineato
come «la scelta dello strumento amministrativo consente  di  motivare
in ordine alla  ricorrenza  delle  specifiche  condizioni  a  cui  il
legislatore statale subordina l'esercizio della deroga [al divieto di
catturare e uccidere uccelli selvatici], quale strumento di carattere
eccezionale e temporaneo, mentre  la  previsione  dell'autorizzazione
nella legge regionale impugnata determina l'assorbimento dell'obbligo
di motivazione e finisce con il trasformare la stessa  deroga  in  un
rimedio stabile e permanente» (Corte costituzionale, sentenza  n.  70
del 5 aprile 2018). 
    La previsione di un limite quantitativo  massimo  del  territorio
tutelabile, non  suscettibile  di  incremento  alcuno,  impedisce  di
fronteggiare sopravvenute esigenze legate alla necessita' di tutelare
nuove specie di uccelli migratori  o  di  modulare  la  tipologia  di
conservazione dei  loro  habitat,  diversamente  dovendosi  procedere
all'eliminazione o alla riduzione della tutela  per  altre  zone,  al
fine di poter  adottare  misure  di  protezione  per  siffatti  nuovi
contesti. Soltanto un consistente aumento di tale limite  massimo  o,
in alternativa, la previsione di meccanismi di natura qualitativa  in
grado cli contemperare i diversi  obiettivi  possono  assicurare  una
efficace  protezione  della  avifauna  selvatica  e   garantirne   la
conservazione, senza sacrificarla rispetto agli altri interessi,  pur
meritevoli di tutela. 
    5.2. La parte della disposizione, secondo cui il territorio delle
Alpi e' destinato a protezione in una misura ricompresa tra il  10  e
il 20 per cento - con la specificazione  che  «in  dette  percentuali
sono compresi  i  territori  ove  sia  comunque  vietata  l'attivita'
venatoria anche per effetto di altri leggi o disposizioni» -  risulta
peraltro anche  irragionevole  rispetto  al  resto  della  nonna  che
destina il territorio agro-silvo-pastorale di ogni  Regione  per  una
quota dal 20 al 30 per cento  a  protezione  della  fauna  selvatica,
tenuto conto che per comune esperienza la  fauna  selvatica  e'  piu'
numerosa nelle zone meno antropizzate dove si rinvengono  la  maggior
parte degli  habitat  incontaminati  e  non  compromessi,  stante  il
ridotto  impatto  negativo  delle  attivita'   umane   sul   contesto
circostante. Assicurare, percio', una tutela  quantitativa  inferiore
agli ambiti  territoriali  alpini  rispetto  al  restante  territorio
rischia  di  compromettere  in  maniera  irreversibile   l'equilibrio
complessivo dell'ambiente naturale. Tale compromissione e' tanto piu'
rilevante, in quanto nel limite massimo del venti  per  cento  devono
essere  ricompresi  anche  i  territori  ove  sia  comunque   vietata
l'attivita' venatoria per effetto di altre leggi o disposizioni: cio'
riguarda, ad esempio, le aree ricomprese nei Parchi o  nelle  riserve
(nazionali, regionali o naturali), che solitamente  sono  situate  in
zone montane, non eccessivamente popolate, rischiandosi in  tal  modo
di saturare soltanto con  tali  aree  la  soglia  massima  di  tutela
territoriale prevista dalla  legge  e  lasciandone  privi  tutti  gli
ambiti posti all'esterno delle predette riserve. 
    5.3. Anche per  l'ordinamento  sovranazionale  la  necessita'  di
garantire la conservazione di tutte  le  specie  di  uccelli  viventi
naturalmente allo stato selvatico nel territorio europeo a un livello
che corrisponde alle esigenze ecologiche,  scientifiche  e  culturali
(cfr. art.  2  della  Direttiva  n.  2009/147/CE),  non  puo'  essere
efficacemente perseguita prevedendo dei limiti quantitativi  massimi,
peraltro rigidi, con riguardo al territorio sottoponibile  a  tutela,
giacche' in tal modo si  subordina  la  protezione  delle  specie  di
uccelli selvatici al mancato raggiungimento di tali  limiti  massimi,
che, laddove superati, impediscono di garantire una  protezione  alle
richiamate specie animali, a prescindere dalla loro tipologia e dallo
stato di conservazione (cfr.  i  presupposti  richiesti  dall'art.  4
della Direttiva n. 2009/147/CE,  per  applicare  misure  speciali  di
conservazione alle  specie  di  uccelli;  richiama  il  principio  di
precauzione in materia ambientale, Corte di Giustizia U.E., 23 aprile
2020, causa C-217/19, par. 91).  Risulta  evidente  che  il  disposto
normativo oggetto di scrutinio  funzionalizza  e  pospone  la  tutela
delle specie di uccelli selvatici a esigenze extrambientali  (nemmeno
specificamente individuate) dei  contesti  territoriali  interessati,
invertendo l'ordine di priorita' fissato dalla normativa europea che,
invece,  individua  la  protezione  degli  uccelli  selvatici   quale
obiettivo  prioritario,  stante  la  diminuzione,   in   certi   casi
rapidissima,  della  loro  popolazione  che  «rappresenta  un   serio
pericolo per la conservazione dell'ambiente naturale, in  particolare
poiche' minaccia gli equilibri biologici» (terzo  considerando  della
Direttiva n. 2009/147/CE; cfr. Corte di Giustizia U.E., I,  17  marzo
2021, causa C- 900/19, par. 58), e tenuto conto che «la conservazione
delle specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico nel
territorio europeo degli Stati membri e' necessaria  per  raggiungere
gli obiettivi comunitari in materia di miglioramento delle condizioni
di  vita  e  di  sviluppo  sostenibile»  (quinto  considerando  della
Direttiva n. 2009/147/CE). La rilevanza  degli  interessi  ambientali
rispetto  alle  ulteriori  e  differenti  esigenze   correlate   allo
svolgimento delle attivita' antropiche (caccia, attivita' produttive,
attivita'  commerciali,  ecc.)  rende  inidoneo  un   meccanismo   di
protezione  che,  in  maniera   rigida,   prevede   una   consistente
limitazione del territorio da sottoporre a tutela, tale da  impedire,
anche solo potenzialmente, la salvaguardia delle  specie  di  uccelli
selvatici che sono a rischio di sparizione o si trovano in situazioni
di particolare difficolta'. Del resto, in ragione del  suo  carattere
eccezionale (Corte  di  Giustizia  U.E.,  I,  17  marzo  2021,  causa
C-900/19, par. 29; III,  21  giugno  2018,  C-557/15,  par.  47),  la
dispensa «al divieto generale  di  cacciare  le  specie  protette  e'
subordinata  alla  adozione  di  misure  di  deroga  dotate  di   una
motivazione  che  faccia  riferimento   esplicito   e   adeguatamente
circostanziato alla sussistenza di  tutte  le  condizioni  prescritte
dall'art. 9, paragrafi 1 e 2 [della Direttiva n. 2009/147/CE]» (Corte
costituzionale, sentenza n. 190 del  15  giugno  2011,  che  richiama
Corte di Giustizia C.E., 8 giugno  2006,  causa  G  118/94;  piu'  di
recente, Corte costituzionale, sentenza n. 158 del 20 luglio 2021). 
    Da quanto evidenziato risulta palese che l'individuazione  di  un
limite esclusivamente quantitativo di  tutela  territoriale,  neppure
molto elevato e altresi' nemmeno suscettibile di adattamento  alcuno,
al posto di un meccanismo di tipo qualitativo in grado  di  garantire
efficacemente  l'obiettivo  di  tutela  delle  specie  migratorie  di
uccelli selvatici si  pone  anche  in  contrasto  con  gli  obiettivi
contenuti nella Direttiva europea  n.  2009/147/CE,  quale  parametro
interposto ai sensi dell'art.  117,  primo  comma,  Costituzione  (la
deroga al regime di tutela di cui uno Stato membro intende  avvalersi
deve essere proporzionata alle necessita' che la giustificano:  Corte
di Giustizia U.E., 23 aprile 2020, causa C-217/19, par. 67). 
    6. Sulla scorta delle suesposte considerazioni, i giudizi oggetto
di scrutinio devono essere sospesi e gli atti  vanno  trasmessi  alla
Corte  Costituzionale   in   quanto   risultano   rilevanti   e   non
manifestamente  infondate  le  questioni  di  costituzionalita'   (i)
dell'art. 43, comma 3, della legge regionale della  Lombardia  n.  26
del 1993 (sostituito dall'art. 1, comma  21,  lett.  f,  della  legge
regionale n. 7 del 2002 e  successivamente  modificato  dall'art.  2,
comma 1, lett. h, della legge regionale n. 21 del 2009 e dall'art. 3,
comma 5,  lett.  p,  della  legge  regionale  n.  7  del  2016),  per
violazione dell'art. 21, comma 3, della legge n. 157 del 1992,  quale
norma interposta ai sensi dell'art.  117,  secondo  comma,  lett.  s,
della Costituzione, e (ii) dell'art. 10, comma 3, della legge 157 del
1992, e di conseguenza dell'art. 13, comma 3, lett.  a,  della  legge
regionale n. 26 del 1993, per violazione degli artt. 3, 9, 32 e  117,
primo  comma,  della  Costituzione,  secondo  quanto  specificato  in
precedenza. 
    7. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito  e  sulle  spese
resta riservata alla decisione definitiva. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale amministrativo regionale per la  Lombardia  (Sezione
quarta),  non  definitivamente  pronunciando,  previa  riunione   dei
ricorsi indicati in epigrafe: 
      a)  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 43, comma 3, della
legge regionale della Lombardia n. 26 del 1993 (sostituito  dall'art.
1, comma 21,  lett.  f,  della  legge  regionale  n.  7  del  2002  e
successivamente modificato dall'art. 2, comma 1, lett. h, della legge
regionale n. 21 del 2009 e dall'art. 3, comma 5, lett. p, della legge
regionale n. 7 del 2016), per violazione dell'art. 21, comma 3, della
legge n. 157 del 1992, quale norma interposta ai sensi dell'art. 117,
secondo comma, lett. s, della Costituzione; 
      b)  dichiara  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, comma 3, della
legge 157 del 1992, e di conseguenza dell'art. 13, comma 3, lett.  a,
della legge regionale n. 26 del 1993, per violazione degli  artt.  3,
9, 32 e 117, primo comma, della Costituzione; 
      c) dispone la sospensione dei giudizi oggetto di scrutinio; 
      d) ordina la  immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale; 
      e) ordina che,  a  cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al  Presidente
della Giunta Regionale della Lombardia e al Presidente del  Consiglio
Regionale  della  Lombardia  e  sia  comunicata  al  Presidente   del
Consiglio dei Ministri, al Presidente del Senato della  Repubblica  e
al Presidente della Camera dei Deputati; 
      f) riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione
in rito, in merito e in ordine alle spese. 
    Cosi' deciso in Milano nella Camera di  consiglio  del  giorno 16
febbraio 2022 con l'intervento dei magistrati: 
        Gabriele Nunziata, Presidente; 
        Silvia Cattaneo, consigliere; 
        Antonio De Vita, consigliere, estensore. 
 
                       Il Presidente: Nunziata 
 
 
                                                 L'estensore: De Vita