N. 109 SENTENZA 24 marzo - 5 maggio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Patrocinio a spese dello Stato - Spese del processo di  esecuzione  -
  Liquidazione dei compensi  del  difensore  della  parte  creditrice
  ammessa al patrocinio - Possibilita' di chiedere il  pagamento  del
  compenso   per   intero,   anziche'   nei   limiti   del   ricavato
  dell'espropriazione    -    Omessa    previsione    -    Denunciata
  irragionevolezza, violazione dei  principi  di  eguaglianza  e  del
  giusto processo, nonche' dei diritti a  un  compenso  proporzionato
  alla quantita' e  qualita'  del  lavoro  prestato  e  di  difesa  -
  Inammissibilita' delle questioni. 
- Codice di procedura civile, art. 95. 
- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 24, terzo comma,  36  e  111,
  primo comma. 
(GU n.19 del 11-5-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO,  Francesco  VIGANO',
  Luca  ANTONINI,   Stefano   PETITTI,   Angelo   BUSCEMA,   Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  95  del
codice di procedura  civile,  promosso  dal  Giudice  dell'esecuzione
presso il Tribunale ordinario di Pavia, nel procedimento vertente tra
L. T. e P.F. P. e altro, con ordinanza del 17 novembre 2020, iscritta
al n. 95 del  registro  ordinanze  2021,  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 27,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  23  marzo  2022  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 24 marzo 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 novembre 2020, iscritta  al  n.  95  del
registro  ordinanze  2021,  il  Giudice  dell'esecuzione  presso   il
Tribunale ordinario di Pavia ha sollevato questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 95 del codice di  procedura  civile,  «nella
parte in cui non prevede che la sua applicazione sia esclusa in  caso
di liquidazione delle spese a carico dell'Erario ai sensi del  D.P.R.
30/05/2002 n. 115», denunziandone  il  contrasto  con  gli  artt.  3,
secondo comma,  24,  terzo  comma,  36  e  111,  primo  comma,  della
Costituzione. 
    1.1.- Il rimettente riferisce che nel corso  di  un  procedimento
per espropriazione presso terzi - nel quale, a fronte di  un  credito
precisato come da precetto nell'importo  di  euro  31.242,70,  «oltre
interessi  legali  sul  capitale  dal  dovuto  al  saldo»,  il  terzo
pignorato ha reso la dichiarazione di esistenza  di  un  credito  per
euro 153,60 - il difensore della creditrice  procedente,  ammessa  al
patrocinio a spese dello Stato,  ha  domandato  la  liquidazione  dei
compensi per la somma, gia' ridotta del cinquanta per cento  rispetto
ai valori tariffari medi, di euro 1.057,50, oltre alle spese generali
al quindici per cento, al contributo per la cassa di previdenza degli
avvocati e all'imposta per il valore aggiunto (IVA). 
    Si legge nell'ordinanza di rimessione che l'istante ha  richiesto
al giudice dell'esecuzione di non  limitare  l'onorario  alla  esigua
somma realizzata con l'esecuzione,  sul  presupposto  che  la  regola
dettata  dall'art.  95  cod.  proc.  civ.,  secondo   la   quale   la
soddisfazione del credito per le  spese  del  processo  esecutivo  e'
condizionata  all'utile  collocazione  sul  ricavato,  non   riguardi
l'ipotesi in cui il creditore pignorante sia ammesso al patrocinio  a
spese dello Stato. 
    Cio' in quanto, ad avviso del difensore istante, l'antinomia  tra
la suddetta disposizione, recante la disciplina generale  in  materia
di spese nel processo esecutivo, e la norma, dettata dall'art. 82 del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia  (Testo  A)»,  per  la  liquidazione
delle spese in favore della  parte  ammessa  al  beneficio,  dovrebbe
essere risolta,  in  base  al  criterio  di  specialita',  accordando
preferenza a quest'ultima. 
    Lo stesso difensore, aggiunge il giudice a quo, per  il  caso  in
cui si ritenesse di applicare l'art. 95 cod. proc. civ.,  ha  chiesto
sollevarsi  questione  di   legittimita'   costituzionale   di   tale
disposizione, nella parte in cui non prevede che la sua  operativita'
sia esclusa in caso di liquidazione delle spese a carico dell'erario,
per contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 24,  36  e  111,  primo
comma, Cost. 
    1.2.- In punto di rilevanza,  il  giudice  rimettente  assume  di
dover provvedere sulla richiesta di liquidazione delle  spese  e  dei
compensi per il difensore e di non poter «decidere la presente causa,
senza la soluzione della  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata ed invocata». 
    Argomenta, al riguardo, il giudice a quo che la  decisione  sulle
spese  e'  imprescindibile  anche  nel  processo  esecutivo,  essendo
funzionale alla compiuta realizzazione della  tutela  giurisdizionale
costituzionalmente garantita (art. 24 Cost.), soprattutto  nei  casi,
come  quello  di  specie,  in  cui  l'azione  esecutiva  e'  volta  a
conseguire la soddisfazione  di  un  credito  relativo  ad  oneri  di
mantenimento in favore di un soggetto minore. 
    Ancora, il  rimettente  evidenzia  che  perdurano  le  condizioni
reddituali  considerate  nel  provvedimento  di  ammissione,  in  via
anticipata e provvisoria, della parte al beneficio, e che,  pertanto,
non risultano circostanze che ne giustifichino  la  revoca  ai  sensi
dell'art. 136 del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    1.3.- Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il Giudice
dell'esecuzione del  Tribunale  di  Pavia,  riproducendo  le  censure
formulate  dalla  difesa   della   creditrice   procedente,   dubita,
anzitutto, della compatibilita' dell'art. 95 cod.  proc.  civ.,  come
interpretato dalla giurisprudenza di legittimita', con  il  principio
di uguaglianza sostanziale espresso dall'art. 3, secondo comma, Cost. 
    Nei procedimenti esecutivi in cui  il  creditore  procedente  sia
stato ammesso al patrocinio per i non abbienti, l'applicazione  della
regola per la quale il credito  per  le  spese  dell'esecuzione  puo'
essere soddisfatto nei soli limiti del  ricavato  comporterebbe  «una
irragionevole ed ingiustificata parita' di trattamento di  situazioni
geneticamente e concretamente differenti». 
    Argomenta, al  riguardo,  il  rimettente  che  il  difensore  del
creditore non ammesso al patrocinio a spese dello Stato, nel caso  in
cui  le  spese  della  procedura  esecutiva   non   ottengano   utile
collocazione per incapienza totale  o  parziale  del  ricavato,  puo'
comunque richiedere il pagamento del compenso alla  parte  assistita,
sulla base  dei  parametri  indicati  nell'art.  4  del  decreto  del
Ministro della giustizia 10 marzo 2014, n. 55 (Regolamento recante la
determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per  la
professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma 6, della  legge
31 dicembre 2012, n. 247). 
    Al contrario, ove il creditore sia ammesso al patrocinio a  spese
dello Stato, il difensore, in base al divieto stabilito dall'art.  85
del d.P.R. n. 115 del 2002, non puo' chiedere e percepire compensi  o
rimborsi, a  qualunque  titolo,  dal  proprio  assistito,  incorrendo
altrimenti in un grave illecito disciplinare. 
    Ne conseguirebbe  che,  proprio  in  una  situazione  in  cui  il
soggetto che richiede la tutela giudiziaria, essendo  sprovvisto  dei
mezzi economici necessari  per  accedervi,  versa  in  condizioni  di
particolare debolezza, sarebbe offerta una protezione inferiore,  dal
momento che gli avvocati potrebbero  mostrarsi  restii  ad  accettare
l'incarico difensivo senza la certezza  di  vedersi  riconosciuto  un
compenso, ancorche' dimezzato, per essere lo stesso subordinato  alla
capienza dell'esecuzione. 
    Nella prospettiva della persona ammessa  al  patrocinio  a  spese
dello  Stato  l'incertezza  sulla  liquidazione  dei   compensi   «si
trasformerebbe in una maggiore difficolta' o nel caso limite  in  una
impossibilita' di ottenere la soddisfazione dei diritti  riconosciuti
dall'ordinamento e da una decisione giurisdizionale». 
    1.3.1.-  Richiamando,  ancora,  le  allegazioni   del   difensore
istante, il giudice a quo deduce il contrasto della  norma  censurata
con l'art. 24, terzo comma, Cost. 
    La  prospettiva  di  non  vedere  riconosciuto  il  diritto  alla
rifusione delle spese processuali costituirebbe, per la parte ammessa
al beneficio, una remora ad agire in giudizio. 
    Ne', secondo il rimettente, tale  violazione  potrebbe  ritenersi
giustificata dalla finalita'  generale  di  limitazione  delle  spese
giudiziali, poiche' «nel caso di specie non siamo di fronte a ipotesi
di illecito o spregiudicato utilizzo dello strumento processuale,  ma
di tentativo di ottenere il soddisfacimento di un diritto di  credito
in favore di una minore». 
    1.3.2.- Ritiene, ancora, il giudice a quo che la norma  censurata
rechi vulnus all'art. 36 Cost., in quanto, in caso di  infruttuosita'
del pignoramento, al difensore della parte ammessa  al  patrocinio  a
spese dello Stato non sarebbe assicurato un compenso  ragionevolmente
proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto e,  in
ogni caso, sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa. 
    1.3.3.- Infine, riprendendo, ancora una volta, le  argomentazioni
del difensore della parte creditrice, il rimettente sospetta  che  la
norma denunciata si ponga in contrasto con l'art. 111,  primo  comma,
Cost. 
    Non sarebbe «giusto» il processo nel quale un soggetto che  abbia
un diritto riconosciuto da un provvedimento giurisdizionale  divenuto
definitivo, che sia indigente e che, al fine di recuperare il proprio
credito, debba necessariamente avvalersi di un  difensore,  non  solo
non consegua il soddisfacimento delle proprie pretese, ma non ottenga
neanche una  pronuncia  satisfattiva  sulle  spese  del  procedimento
esecutivo «solo perche' il debitore ha occultato i suoi beni». 
    Secondo il giudice a  quo,  tale  condizione  sarebbe,  peraltro,
oltremodo punitiva e ingiusta, considerato che, per un verso, a mente
dell'art. 133 del d.P.R. n. 115 del 2002, il provvedimento che pone a
carico della parte soccombente non ammessa al patrocinio la rifusione
delle spese processuali a favore della parte ammessa dispone  che  il
pagamento sia eseguito a favore dello Stato; e che, per  l'altro,  ai
sensi dell'art. 135, comma 2, del d.P.R. n. 115 del  2002,  le  spese
relative  ai  processi  esecutivi,  mobiliari  e  immobiliari,  hanno
diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755 e  2770  del  codice
civile,  sul   prezzo   ricavato   dalla   vendita   o   sul   prezzo
dell'assegnazione  o  sulle  rendite   riscosse   dall'amministratore
giudiziario. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per la  dichiarazione  di  inammissibilita'  o  di
manifesta infondatezza delle questioni. 
    2.1.- La difesa statale eccepisce, anzitutto,  l'inammissibilita'
delle questioni per carente motivazione sulla rilevanza e  sulla  non
manifesta infondatezza. 
    Il giudice rimettente,  con  singolare  tecnica  redazionale,  si
sarebbe limitato a riferire le prospettazioni formulate dal difensore
della  creditrice  procedente  nell'istanza   di   liquidazione   del
compenso, omettendo di effettuare una propria  ragionata  valutazione
al riguardo. 
    Sostiene,  ancora,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che  il
giudice a quo avrebbe ricostruito in  modo  incompleto  la  normativa
applicabile nel caso di specie, non avendo considerato  la  specifica
disciplina prevista nel testo unico  sulle  spese  di  giustizia  per
l'ipotesi di  ammissione  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  nel
processo esecutivo e, in particolare, l'art. 135, comma 2, del d.P.R.
n. 115 del 2002, secondo cui le spese relative ai processi esecutivi,
mobiliari e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi  degli
artt. 2755 e 2770 cod. civ., sul prezzo ricavato dalla vendita o  sul
prezzo dell'assegnazione o sulle rendite riscosse dall'amministratore
giudiziario. 
    Il rimettente avrebbe, inoltre,  erroneamente  ritenuto  che,  in
caso di incapienza delle somme ricavate dalla procedura esecutiva, il
difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello  Stato  non
possa ottenere integralmente l'importo liquidato dal giudice. Invece,
secondo la  difesa  erariale,  nel  processo  esecutivo  avviato  dal
soggetto ammesso al beneficio la liquidazione del  compenso  e  delle
spese spettanti al difensore andrebbe effettuata ai  sensi  dell'art.
82 del d.P.R. n. 115 del 2002, per un importo non superiore ai valori
medi delle tariffe professionali vigenti. 
    All'incompleta   ricostruzione   della   normativa    applicabile
conseguirebbe quindi l'inammissibilita' delle censure. 
    2.2.- In via gradata,  l'Avvocatura  conclude  per  la  manifesta
infondatezza delle questioni sollevate,  poiche'  le  violazioni  dei
parametri indicati si baserebbero  sull'erroneo  presupposto  per  il
quale, in caso di incapienza del  pignoramento,  il  difensore  della
parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato  non  possa  ottenere
integralmente l'importo liquidato dal giudice. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Giudice dell'esecuzione presso il Tribunale  ordinario  di
Pavia ha sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art.
95 del codice di procedura civile «nella parte in cui non prevede che
la sua applicazione sia esclusa in caso di liquidazione delle spese a
carico  dell'Erario  ai  sensi  del  D.P.R.   30/05/2002   n.   115»,
denunziandone il contrasto con gli artt. 3, secondo comma, 24,  terzo
comma, 36 e 111, primo comma, della Costituzione. 
    1.1.- Il giudice a quo premette che, all'esito di un procedimento
per  espropriazione  presso  terzi,   nel   quale   e'   stata   resa
dichiarazione  di   esistenza   di   un   credito   per   una   somma
significativamente inferiore all'ammontare  di  quello  azionato,  e'
chiamato a provvedere sulla richiesta di  liquidazione  dei  compensi
avanzata  dal  difensore  della  creditrice  procedente  ammessa   al
patrocinio a spese dello Stato. 
    1.2.- Il rimettente ritiene di non poter decidere su tale istanza
senza «la soluzione della questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata ed invocata» - e dunque senza fare  applicazione  dell'art.
95 cod. proc. civ. che ne e' oggetto -, dal  momento  che  anche  nel
processo esecutivo la statuizione  sulle  spese  e'  imprescindibile,
perche'  funzionale  alla   compiuta   realizzazione   della   tutela
giurisdizionale garantita dall'art. 24 Cost. 
    1.3.- Riguardo alla non manifesta infondatezza, il giudice a  quo
sospetta  che  la  disposizione  censurata  realizzi,  anzitutto,  un
trattamento omogeneo  di  situazioni  differenti,  in  contrasto  con
l'art. 3, secondo comma, Cost., posto che il difensore del  creditore
non  ammesso  al  patrocinio  per  i  non  abbienti,   in   caso   di
infruttuosita' dell'esecuzione, puo' comunque pretendere il pagamento
del  compenso  dalla  parte  patrocinata,  mentre  al  difensore  del
creditore ammesso al beneficio e' vietato, in forza dell'art. 85  del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia  (Testo  A)»,  richiedere  somme,  a
qualunque titolo, al proprio assistito. 
    Verrebbe cosi' riservato  un  trattamento  deteriore  proprio  ai
soggetti che, essendo sprovvisti dei  mezzi  economici  per  accedere
alla  tutela  giurisdizionale,  versano  in  condizioni  di  maggiore
debolezza, dal momento che gli avvocati potrebbero  mostrarsi  restii
ad accettare incarichi difensivi non avendo la certezza di  percepire
un compenso, ancorche' dimezzato, per essere  lo  stesso  subordinato
alla fruttuosita' dell'esecuzione. 
    1.3.1.- La norma censurata contrasterebbe, altresi',  con  l'art.
24, terzo comma, Cost.,  in  quanto  la  prospettiva  di  vedere  non
riconosciuto  il  diritto  alla  rifusione  delle  spese  processuali
costituirebbe, per la parte ammessa al beneficio, una remora ad agire
in giudizio. 
    1.3.2.- Sarebbe anche violato l'art. 36 Cost., in quanto, in caso
di incapienza del pignoramento, al difensore della parte  ammessa  al
patrocinio  non  sarebbe  assicurato  un   compenso   ragionevolmente
proporzionato alla quantita' e alla qualita' del lavoro svolto  e  in
ogni caso sufficiente a garantire un'esistenza libera e dignitosa. 
    1.3.3.- Infine, la norma denunciata  recherebbe  vulnus  all'art.
111, primo comma, Cost., dal momento  che  non  sarebbe  «giusto»  il
processo nel  quale  un  soggetto  che  abbia  un  diritto  accertato
mediante un provvedimento giurisdizionale  divenuto  definitivo,  che
versi in condizioni di indigenza e che,  al  fine  di  recuperare  il
proprio credito, debba necessariamente avvalersi di un difensore, non
solo non consegua il soddisfacimento delle proprie  pretese,  ma  non
ottenga neanche una pronuncia satisfattiva sulle spese  del  processo
esecutivo «solo perche' il debitore ha occultato i suoi beni». 
    2.- Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello  Stato,  ha
eccepito anzitutto l'inammissibilita' delle questioni  sollevate  per
difetto di motivazione sulla rilevanza e sulle  ragioni  fondanti  le
censure, osservando che il  giudice  a  quo  si  sarebbe  limitato  a
riprodurre le allegazioni del difensore istante, senza formulare  una
propria valutazione. 
    2.1.-  Inoltre,  il  rimettente  avrebbe  ricostruito   in   modo
incompleto  la  normativa  applicabile  nel  caso  di  specie.  Egli,
infatti, da un lato,  avrebbe  omesso  di  considerare  la  specifica
disciplina prevista dall'art. 135, comma 2, del  d.P.R.  n.  115  del
2002, secondo cui le spese relative ai processi esecutivi,  mobiliari
e immobiliari, hanno diritto di prelazione, ai sensi degli artt. 2755
e 2770 del codice civile, sul prezzo ricavato  dalla  vendita  o  sul
prezzo dell'assegnazione o sulle rendite riscosse dall'amministratore
giudiziario; dall'altro, avrebbe erroneamente ritenuto che,  in  caso
di incapienza delle somme  ricavate  dalla  procedura  esecutiva,  il
difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello  Stato  non
possa ottenere integralmente l'importo liquidato dal giudice. 
    2.2.- In via gradata,  la  difesa  statale  ha  concluso  per  la
manifesta  infondatezza  delle  questioni  sollevate,  per   la   non
condivisibilita' dell'assunto secondo il  quale  il  difensore  della
parte  ammessa  al  patrocinio  a  spese  dello  Stato  non  potrebbe
conseguire il  compenso  allo  stesso  spettante  secondo  i  criteri
indicati dall'art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    3.- L'eccezione di inammissibilita' con la  quale  il  Presidente
del Consiglio dei ministri contesta  che  il  rimettente  si  sarebbe
limitato  a  riportare  le  allegazioni  del  difensore  istante  nel
giudizio principale, omettendo ogni valutazione al riguardo,  non  e'
fondata. 
    La tecnica redazionale impiegata  nell'ordinanza  di  rimessione,
consistente   nella   riproduzione   analitica   delle   censure   di
legittimita' costituzionale  formulate  dal  difensore  nel  giudizio
principale, denota, infatti, la consapevole intenzione del giudice  a
quo di mutuarne l'apparato argomentativo. 
    Risulta dunque adempiuto  l'obbligo  del  rimettente  di  rendere
esplicite, facendole proprie, le argomentazioni di  parte  sulla  non
manifesta infondatezza (sentenze n. 10 del 2015 e n. 350 del 2007). 
    4.- E',  invece,  fondata  l'eccezione  di  inammissibilita'  per
incompleta ricostruzione del quadro normativo. 
    4.1.-  Il  rimettente  ha  dato  atto  che  il  difensore   della
creditrice procedente nel giudizio a quo aveva  chiesto  determinarsi
il compenso a carico dell'erario  senza  limitarne  l'ammontare  alla
esigua somma dichiarata dal terzo pignorato.  Cio',  sul  presupposto
che, ai fini della liquidazione dell'onorario per il difensore  della
parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, l'antinomia  tra  la
regola generale di cui all'art. 95 cod. proc. civ. -  che  condiziona
la realizzazione del credito per le spese del processo esecutivo alla
fruttuosita' dell'espropriazione - e la disciplina dettata  dall'art.
82 del d.P.R. n. 115 del 2002 - il quale prevede che l'onorario e  le
spese  spettanti   al   difensore   sono   liquidati   dall'autorita'
giudiziaria  con  decreto  di   pagamento   osservando   la   tariffa
professionale  -  debba  essere  risolta  accordando   prevalenza   a
quest'ultima regola, in ossequio al criterio di specialita'. 
    In subordine, per il  caso  in  cui  il  giudice  dell'esecuzione
avesse ritenuto di liquidare le spettanze nei limiti  della  capienza
del credito  assegnato,  il  difensore  aveva  sollecitato  l'odierno
incidente di legittimita' costituzionale. 
    4.1.1.- Cio' posto, alla stregua  del  costante  orientamento  di
questa Corte - secondo il quale la motivazione sulla rilevanza e'  da
intendersi correttamente formulata quando  illustra  le  ragioni  che
giustificano l'applicazione della norma censurata  e  determinano  la
pregiudizialita' della questione sollevata rispetto alla  definizione
del processo principale (ex plurimis, sentenze n. 52 del  2022  e  n.
105 del 2018) - il giudice a quo era tenuto ad esplicitare  i  motivi
della ritenuta applicabilita', nella specie, dell'art. 95 cod.  proc.
civ. Avrebbe dovuto, cioe', argomentare in ordine alle ragioni  della
ritenuta operativita' della regola dettata da tale disposizione, che,
secondo  la  lettura  fornita  dal   diritto   vivente,   limita   la
liquidazione dei compensi a favore del difensore  alla  capienza  del
ricavato della espropriazione forzata anche nella ipotesi in  cui  al
pagamento di tali compensi  sia  tenuto  a  provvedere  l'erario.  Il
rimettente si e', al contrario, limitato, nonostante il difensore nel
giudizio principale gli avesse esplicitamente chiesto di liquidare  i
compensi in misura superiore alla somma oggetto di distribuzione  nel
processo esecutivo, ad asserire in  modo  tautologico  di  non  poter
«decidere la presente causa, senza la soluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata ed invocata». 
    4.2.-   Un'attenta   ricostruzione   del   quadro   normativo   e
giurisprudenziale avrebbe,  invece,  evidenziato  ragioni  di  ordine
testuale e sistematico  idonee  ad  escludere  l'operativita',  nella
specie, della norma censurata. 
    4.2.1.- Nella  liquidazione  delle  spettanze  dell'avvocato  del
creditore ammesso al  patrocinio  a  spese  dello  Stato,  la  regola
espressa dall'art. 95 cod. proc. civ., secondo la  quale  il  credito
per le spese della procedura esecutiva  puo'  ottenere  soddisfazione
nei soli limiti della capienza del ricavato, non puo' invero  trovare
applicazione. Cio' in quanto la disciplina del patrocinio per  i  non
abbienti e le norme sul governo delle spese del processo si rivolgono
a rapporti distinti e autonomi (Corte di cassazione, sezione  seconda
civile, sentenza 9 settembre 2019, n. 22448;  ordinanza  2  settembre
2020, n. 18223). 
    Il rapporto  che  origina  dal  provvedimento  di  ammissione  al
beneficio si instaura direttamente tra il difensore e lo Stato, e  ad
esso le parti del giudizio rimangono totalmente  estranee  (Corte  di
cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 18 giugno 2020, n. 11769;
27 gennaio 2015, n. 1539); quello che  scaturisce  dalla  statuizione
sulle spese di  lite  intercorre,  invece,  tra  dette  parti  ed  e'
disciplinato,  nel  processo  di  cognizione,  dal  principio   della
soccombenza e, nel processo esecutivo, dalla regola della  soggezione
del debitore  all'esecuzione  (Corte  di  cassazione,  sezione  terza
civile, sentenza 5 ottobre 2018, n. 24571). 
    4.2.2.- L'autonomia dei due rapporti trae significativa  conferma
dal disposto dell'art. 83, comma 2, del d.P.R. n. 115 del 2002, nella
parte in cui statuisce che «[p]er il  giudizio  di  cassazione,  alla
liquidazione procede il giudice  di  rinvio,  ovvero  quello  che  ha
pronunciato la sentenza  passata  in  giudicato».  Tale  norma,  «pur
tenuto conto della peculiarita' del giudizio di  cassazione  e  della
chiara volonta' del  legislatore  di  escludere  che  il  giudice  di
legittimita'   possa   essere   chiamato   anche   all'attivita'   di
liquidazione,  che  involge  chiaramente  valutazioni  di  merito   e
fattuali, denota come in alcuni casi la liquidazione  non  possa  che
avvenire quando la  causa  principale  sia  stata  gia'  decisa,  non
potendosi quindi ricollegare indefettibilmente alla  decisione  della
causa anche il venir meno della potestas iudicandi sulla  istanza  di
liquidazione.  In  tal  senso  depone  anche  la  previsione   sempre
contenuta nel secondo comma dell'art. 83 che prevede che  il  giudice
competente possa provvedere  anche  alla  liquidazione  dei  compensi
dovuti  per  le  fasi  o  i  gradi  anteriori  del  processo,  se  il
provvedimento di ammissione [al patrocinio] e' avvenuto dopo la  loro
definizione» (Cass., n. 22448 del 2019). 
    4.2.2.1.- Ne', in senso contrario,  puo'  valorizzarsi  il  comma
3-bis dell'art. 83 del d.P.R. n. 115 del 2002,  introdotto  dall'art.
1,  comma  783,  della  legge  28  dicembre  2015,  n.  208,  recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge di stabilita' 2016)»,  a  mente  del  quale  «[i]l
decreto di pagamento  e'  emesso  dal  giudice  contestualmente  alla
pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui  si  riferisce  la
relativa richiesta». 
    Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimita', il  referente
temporale  introdotto  dalla  disposizione  anzidetta  e',   infatti,
meramente indicativo del termine  preferibile  per  provvedere  sulla
liquidazione,  senza,  tuttavia,  che  al  giudice  sia  precluso  di
pronunciarsi su di essa dopo aver deciso definitivamente sul  merito,
avendo tale norma la finalita' acceleratoria di raccomandare  che  la
pronuncia  del  decreto  di  pagamento  avvenga  contestualmente   al
provvedimento che definisce il giudizio (ancora Cass., n.  22448  del
2019). 
    4.3.-  Nell'ambito  del  processo  esecutivo,   l'autonomia   del
provvedimento di liquidazione dei compensi a carico dell'erario trova
ulteriore  riscontro  nella  disciplina  del  recupero  delle   spese
anticipate dallo Stato dettata dall'art. 135, comma 2, del d.P.R.  n.
115 del 2002, secondo il  quale  «[l]e  spese  relative  ai  processi
esecutivi, mobiliari e immobiliari, hanno diritto di  prelazione,  ai
sensi degli articoli 2755  e  2770  del  codice  civile,  sul  prezzo
ricavato dalla vendita o sul prezzo dell'assegnazione o sulle rendite
riscosse dall'amministratore giudiziario». 
    Tale previsione implica che,  una  volta  che  il  difensore  del
creditore  ammesso  al   beneficio   abbia   ottenuto   dal   giudice
dell'esecuzione la liquidazione delle  proprie  spettanze  secondo  i
criteri indicati dall'art. 82 del d.P.R. n. 115 del 2002 -  e  dunque
in base ai valori medi dei parametri di cui all'art.  4  del  decreto
del Ministro della  Giustizia  10  marzo  2014,  n.  55  (Regolamento
recante la determinazione  dei  parametri  per  la  liquidazione  dei
compensi per la professione forense, ai sensi dell'articolo 13, comma
6, della legge 31 dicembre  2012,  n.  247)  e  con  il  dimezzamento
imposto dall'art. 130 del citato testo unico - e' lo Stato  che,  per
rivalersi delle somme anticipate,  partecipa,  in  via  privilegiata,
alla distribuzione della somma ricavata o assegnata. 
    5.- La rilevata lacuna della ordinanza  di  rimessione  determina
l'inammissibilita' delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 95 cod. proc. civ. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale  dell'art.  95  del  codice   di   procedura   civile,
sollevate, in riferimento agli artt.  3,  secondo  comma,  24,  terzo
comma, 36  e  111,  primo  comma,  della  Costituzione,  dal  Giudice
dell'esecuzione  presso  il  Tribunale   ordinario   di   Pavia   con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 24 marzo 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 maggio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA