N. 111 SENTENZA 5 aprile - 9 maggio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo  penale  -  Impugnazioni  -   Giudizio   di   cassazione   -
  Possibilita', in caso di giudizio di appello definito con  sentenza
  di non doversi procedere per  intervenuta  prescrizione  del  reato
  illegittimamente   emessa   in   fase    predibattimentale    senza
  contraddittorio, di  annullamento  della  sentenza  impugnata,  con
  trasmissione degli atti alla  Corte  di  appello  per  il  relativo
  giudizio   in   contraddittorio   -   Omessa   previsione,   stante
  l'interpretazione del diritto vivente che consente  alla  Corte  di
  cassazione di dichiarare l'inammissibilita' del ricorso per carenza
  di interesse  -  Violazione  dei  principi  di  inviolabilita'  del
  diritto  di  difesa  e  del  giusto   processo   -   Illegittimita'
  costituzionale della norma censurata, come interpretata dal diritto
  vivente. 
- Codice di procedura penale, art. 568, comma 4. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111. 
(GU n.19 del 11-5-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   del   combinato
disposto degli artt. 129, 568, comma 4, 591,  comma  1,  lettera  a),
601, 605 e 620 del codice di procedura penale, promosso  dalla  Corte
di cassazione, sezione prima penale, nel procedimento penale a carico
di A. B. e A. L.S., con ordinanza del 18 giugno 2021, iscritta al  n.
131 del registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti l'atto di  costituzione  di  A.  L.S.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 aprile 2022 il Giudice relatore
Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato Vittorio Di Pietro  per  A.  L.S.  e  l'avvocato
dello Stato Salvatore Faraci per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 18 giugno 2021 (r.o. n. 131 del  2021),  la
Corte di cassazione, sezione prima penale, ha sollevato questioni  di
legittimita' costituzionale del combinato disposto degli  artt.  129,
568, comma 4, 591, comma 1, lettera a), 601, 605 e 620 del codice  di
procedura penale, per contrasto con gli  artt.  3,  24  e  111  della
Costituzione, nella parte in cui, in  caso  di  giudizio  di  appello
definito con  sentenza  di  non  doversi  procedere  per  intervenuta
prescrizione   del   reato,   illegittimamente   emessa    in    fase
predibattimentale senza citazione delle parti e comunque senza alcuna
forma  di  contraddittorio,  consente  alla  Corte   di   cassazione,
investita   da   rituale   ricorso   dell'imputato,   di   dichiarare
l'inammissibilita'  dello  stesso  per  carenza  d'interesse  e   non
prevede, invece,  la  declaratoria  di  annullamento  della  sentenza
impugnata, con trasmissione degli atti alla Corte di appello  per  il
giudizio nel contraddittorio delle parti. 
    2.- L'ordinanza di rimessione espone che la  Corte  d'appello  di
Milano, in  accoglimento  della  richiesta  scritta  del  Procuratore
generale, ha dichiarato, con sentenza predibattimentale  e  senza  la
partecipazione delle parti, non doversi procedere nei confronti degli
imputati in ordine al delitto di «associazione per delinquere, con il
ruolo di promotori e organizzatori, finalizzata alla  commissione  di
piu' delitti di illegale esportazione di  materiali  di  armamento  e
comunque  di  illegale  contrattazione  finalizzata   alla   suddetta
esportazione, nonche' di esportazione non autorizzata di materiale  a
duplice uso, civile e militare»,  perche'  estinto  per  prescrizione
maturata nelle more della celebrazione del giudizio di gravame. 
    Avverte la  Corte  rimettente  che  gia'  all'esito  dell'udienza
preliminare era stata pronunciata sentenza di non luogo a  procedere,
nei confronti dei due imputati, per insussistenza dei fatti in ordine
a ulteriori capi di imputazione sempre per analoghe condotte,  mentre
il Tribunale ordinario di Como, in sede di giudizio di  primo  grado,
aveva assolto gli imputati per non aver commesso il fatto inerente ad
altra contestazione e dichiarato estinto per prescrizione il  delitto
contemplato da autonomo capo. 
    La sentenza della Corte d'appello e' stata  oggetto  di  distinti
ricorsi per cassazione proposti dai difensori degli imputati, che  ne
hanno dedotto la nullita' assoluta e insanabile perche', all'esito di
una  camera  di  consiglio  svoltasi  senza  avviso  alle  parti,  ha
dichiarato l'estinzione del reato per prescrizione, nonostante  dagli
atti  risultasse,  a  loro  avviso,  evidente  l'insussistenza  della
condotta associativa. 
    3.- Il giudice  a  quo  ricorda  che,  all'esito  della  pubblica
udienza del 30 ottobre 2020, aveva rimesso la decisione  del  ricorso
per cassazione alle Sezioni unite, ritenendo di  non  condividere  il
principio di diritto  enunciato,  con  riguardo  ad  analoga  vicenda
processuale, dalle stesse Sezioni unite penali  con  la  sentenza  27
aprile-9 giugno 2017,  n.  28954,  secondo  cui,  «[n]ell'ipotesi  di
sentenza predibattimentale d'appello, pronunciata in  violazione  del
contraddittorio, con la quale, in riforma della sentenza di  condanna
di primo grado,  e'  stata  dichiarata  l'estinzione  del  reato  per
prescrizione, la causa estintiva del  reato  prevale  sulla  nullita'
assoluta  ed  insanabile  della  sentenza,  sempreche'  non   risulti
evidente la prova dell'innocenza dell'imputato, dovendo la  Corte  di
cassazione adottare in tal caso la formula di merito di cui  all'art.
129, comma 2, cod. proc. pen.». 
    Secondo tale regola giurisprudenziale, la Corte di cassazione non
puo'  dunque  annullare   con   rinvio   la   sentenza   dichiarativa
dell'estinzione  del  reato  per  prescrizione  emessa  dalla   Corte
d'appello senza fissazione di  udienza  con  avviso  alle  parti,  in
specie all'imputato appellante avverso la pronuncia  di  condanna  in
primo grado, perche' il giudice del rinvio non  potrebbe  fare  altro
che reiterare la declaratoria di estinzione del reato. 
    Il Collegio rimettente riferisce che, nel  rimettere  il  ricorso
alle Sezioni unite, aveva sostenuto che una siffatta  sentenza,  piu'
che affetta da  nullita'  assoluta  e  insanabile,  sarebbe  abnorme,
perche' pronunciata in difetto di potere in concreto, atteso  che  la
legge processuale non consente che il giudizio d'appello sia definito
con una sentenza predibattimentale; con la conseguenza che,  riguardo
ad essa, non  potrebbe  operare,  per  tale  ragione,  la  regola  di
elaborazione giurisprudenziale della prevalenza della causa estintiva
su eventuali cause di invalidita' occorse nei gradi di merito. 
    Ricorda, ancora, che in quella occasione aveva anche  evidenziato
che l'utilizzo della regola della prevalenza  della  causa  estintiva
con riguardo ad una sentenza predibattimentale di appello adottata de
plano, in  assenza  di  giudizio,  pone  il  sistema  processuale  in
tensione con il principio costituzionale del  contraddittorio  e  del
giusto processo. 
    3.1.- Il Collegio rimettente espone che, con provvedimento del 10
dicembre 2020,  adottato  a  norma  dell'art.  172  dell'Allegato  al
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di  attuazione,  di
coordinamento e transitorie  del  codice  di  procedura  penale),  il
Presidente aggiunto della Corte di  cassazione  aveva  restituito  il
ricorso alla  sezione  per  una  nuova  valutazione  sulla  effettiva
sussistenza dell'interesse all'impugnazione, osservando  che  nessuno
dei due ricorrenti aveva manifestato la volonta' di  rinunciare  alla
prescrizione maturata e dichiarata dalla Corte d'appello. 
    4.- La Corte rimettente ritiene che  la  regola  di  elaborazione
giurisprudenziale, condensata  nel  principio  di  diritto  enunciato
dalla sentenza delle Sezioni unite penali n. 28954 del 2017, si ponga
in contrasto con i  principi  costituzionali  di  ragionevolezza,  di
inviolabilita' del diritto di difesa e di giusto processo. 
    4.1.-  Quanto  alla  rilevanza  delle  questioni,   il   Collegio
rimettente sostiene che il richiamato principio costituirebbe diritto
vivente. Ad esso si sono, infatti, allineate le sentenze della  Corte
di cassazione, sezione seconda penale, 26 settembre-15 ottobre  2018,
n. 46776, nonche' sezione terza penale, 30 gennaio-25 maggio 2020, n.
15758. Ne' potrebbe sostenersi che costituiscano  espressione  di  un
orientamento   dissenziente,   considerata   la   diversita'    delle
fattispecie in esame, le sentenze della Corte di cassazione,  sezione
seconda penale, 15 gennaio-1° aprile 2020, n.  11042;  sezione  terza
penale, 19 dicembre 2019-20  marzo  2020,  n.  10376  e  20  giugno-3
ottobre 2019,  n.  40522.  In  tali  sentenze,  infatti,  il  diritto
dell'imputato allo svolgimento dell'udienza dibattimentale di appello
e'  stato  riconosciuto,  rispettivamente,  a  fronte   di   sentenze
predibattimentali  pronunciate  in  assenza  di  contraddittorio  che
avevano  dichiarato  l'estinzione   del   reato   per   prescrizione,
confermando la confisca disposta in primo grado oppure  ordinando  la
restituzione  delle  cose  sequestrate,  con  revoca  della  confisca
disposta in primo grado. 
    A sua volta connotata da specialita'  e'  la  soluzione  indicata
dalla piu' recente giurisprudenza di legittimita'  in  rapporto  alla
nullita' insanabile della sentenza predibattimentale con la quale  il
giudice di appello dichiari l'estinzione del reato per  prescrizione,
qualora in primo grado la parte civile abbia  proposto  richiesta  di
condanna dell'imputato al  risarcimento  dei  danni,  imponendosi  il
dibattimento nel  contraddittorio  delle  parti  per  procedere  alla
delibazione di  merito  relativamente  ai  capi  della  sentenza  che
concernono gli interessi civili (Corte di cassazione, sezione seconda
penale, sentenza 25 settembre-18 novembre 2020, n. 32477). 
    4.2.-  Con  riferimento  alle  ragioni  in  base  alle  quali  il
Presidente aggiunto della Corte di cassazione  aveva  restituito  gli
atti, l'ordinanza di rimessione rileva che la soluzione che  propende
per  l'annullabilita'   senza   rinvio   della   sentenza   d'appello
dichiarativa della prescrizione del reato pronunciata  de  plano,  in
violazione del contradditorio  tra  le  parti,  allorche'  l'imputato
rinunci alla prescrizione, allegando, cosi', un interesse concreto ed
attuale alla celebrazione del giudizio di  appello  da  lui  promosso
(viene al riguardo menzionata  ancora  la  sentenza  della  Corte  di
cassazione n. 15758  del  2020),  sarebbe  incoerente  con  l'assetto
giurisprudenziale elaborato in proposito dalle stesse  Sezioni  unite
penali. 
    Questa ricostruzione, infatti, non terrebbe conto che la medesima
giurisprudenza di legittimita' ammette l'imputato a  rinunciare  alla
prescrizione soltanto una volta che essa sia maturata ma  non  ancora
dichiarata, sicche' la peculiarita' della vicenda, venuta in  rilievo
nella specie, e' che  il  medesimo  imputato,  prima  della  sentenza
predibattimentale d'appello, non avrebbe  avuto  modo  di  rinunciare
alla prescrizione, in quanto ancora non maturata, e, dopo, si sarebbe
invece trovato con  una  estinzione  gia'  dichiarata  e  quindi  non
rinunciabile. Il che avrebbe dato luogo (come nella sentenza n. 15758
del 2020,  prima  richiamata)  ad  un  adattamento  dell'orientamento
affermato dalle Sezioni unite penali della  Corte  di  cassazione  in
ordine all'interesse dell'imputato al ricorso, ma per motivi  diversi
dalla nullita' assoluta della  sentenza  predibattimentale  d'appello
per violazione del contraddittorio. 
    4.2.1.-  La  Sezione  prima  penale  della  Corte  di  cassazione
ritiene, quindi, di dover fare applicazione nel giudizio a quo  della
regola di prevalenza della causa estintiva  sulla  nullita'  assoluta
della sentenza,  cristallizzata  nel  diritto  vivente,  non  potendo
sperimentare diverse soluzioni interpretative, dopo aver  tentato  la
rimessione alle Sezioni unite a norma  dell'art.  618,  comma  1-bis,
cod. proc. pen. 
    In particolare, l'ordinanza di rimessione sottolinea come proprio
l'assenza di una  rinuncia  degli  imputati  alla  prescrizione  gia'
dichiarata  (ove  pur  ritenuta  efficace)  imporrebbe  di   valutare
l'ammissibilita' dei  ricorsi  in  esame  secondo  la  non  condivisa
interpretazione giurisprudenziale. Il Collegio rimettente si dice non
persuaso dell'affermazione secondo cui l'annullamento della  sentenza
emessa de plano, e quindi in assenza di giudizio, sarebbe  del  tutto
inutile  perche'  funzionale  soltanto  alla  possibilita'  per   gli
imputati ricorrenti di rinunciare alla prescrizione nel corso di  una
udienza partecipata dinnanzi al giudice del  rinvio,  quando  costoro
hanno chiaramente dimostrato la volonta' di  volersi  avvalere  della
causa estintiva. 
    In proposito, osserva anzi  che,  ove  la  rinuncia  fosse  stata
fatta, la situazione sarebbe  significativamente  mutata  e  verrebbe
sottratta all'ambito operativo della regola  giurisprudenziale  della
prevalenza della causa  estintiva  sulla  eventuale  nullita',  anche
assoluta. Una valida rinuncia, infatti, sgombrerebbe il  campo  dalla
causa di estinzione del reato e inibirebbe  il  ricorso  al  criterio
della  prevalenza,  premessa  dell'apprezzamento  della  carenza   di
interesse al ricorso. E invece, e' proprio l'assenza di rinuncia alla
prescrizione  ad  accordare  rilevanza  alla  regola  plasmata  dalle
Sezioni  unite  e  a  dare  centralita'   alla   loro   ricostruzione
interpretativa. 
    L'annullamento  della  sentenza  impugnata,  piuttosto,   sarebbe
naturalmente finalizzato allo svolgimento del  giudizio  di  appello,
nel quale, seppure non siano state avanzate richieste di rinnovazione
istruttoria, potrebbe procedersi con la dovuta ampiezza, ben maggiore
di quanto consentito nel processo di legittimita', a  quel  controllo
in ordine alla prevalenza di una eventuale causa  di  proscioglimento
nel merito sulla causa di estinzione del  reato,  a  cui  rimanda  in
termini di doverosita' legata all'evidenza della prova  di  innocenza
l'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. 
    4.3.- L'ordinanza di rimessione  evidenzia  ancora,  quanto  alla
rilevanza delle sollevate questioni, che  il  difensore  di  uno  dei
ricorrenti  ha  prospettato  nell'udienza  dinanzi  alla   Corte   di
cassazione l'ulteriore interesse allo  svolgimento  del  giudizio  di
merito sull'impugnazione correlato  all'art.  1,  comma  1015,  della
legge 30 dicembre 2020, n. 178 (Bilancio di  previsione  dello  Stato
per l'anno finanziario 2021 e bilancio pluriennale  per  il  triennio
2021-2023), il quale condiziona il diritto al  rimborso  delle  spese
legali all'eventualita'  che  l'imputato  sia  assolto  nel  processo
penale perche' il fatto non sussiste,  perche'  non  ha  commesso  il
fatto o perche' il fatto non costituisce  reato  o  non  e'  previsto
dalla legge come reato. 
    5.- Quanto alla non manifesta infondatezza  delle  questioni,  il
Collegio   rimettente   ripercorre   l'elaborazione   della    regola
giurisprudenziale di prevalenza della causa estintiva sulla eventuale
nullita', anche assoluta, incorsa nel giudizio di merito, menzionando
le sentenze delle Sezioni unite penali, 28 maggio-15 settembre  2009,
n. 35490; 28 novembre 2001-11 gennaio 2002, n.  1021;  3  febbraio-14
luglio 1995, n. 7902; 31 gennaio-24 febbraio  1987,  n.  2407,  e  27
novembre 1982-1° marzo 1983, n. 1785. 
    Uno speciale rilievo viene attribuito,  tuttavia,  alla  sentenza
delle Sezioni unite penali  27  febbraio-8  maggio  2002,  n.  17179,
relativa a una ipotesi di nullita' assoluta della  notificazione  del
decreto di citazione a giudizio dell'imputato, equiparata  all'omessa
citazione dell'imputato medesimo. Le Sezioni unite penali  in  quella
occasione precisarono che il principio della  priorita'  della  causa
estintiva  del  reato  rispetto  anche  alle  questioni  di  nullita'
assoluta, fatto salvo il caso dell'evidente innocenza  dell'imputato,
ritraibile dall'art. 129, comma 2,  cod.  proc.  pen.,  incontra  due
limiti: il primo,  allorche'  l'esame  della  questione  di  nullita'
processuale assoluta  e  insanabile  assuma  carattere  pregiudiziale
rispetto alla causa estintiva, ponendosi  come  «antecedente  logico,
legato in modo strumentalmente necessario,  alla  declaratoria  della
causa estintiva, nel senso che l'accertamento di questa presuppone il
regolare svolgimento del giudizio di merito,  per  l'acquisizione  di
dati fattuali funzionali all'applicabilita' della  prescrizione»;  il
secondo,  nel  senso  che  l'immediata  applicabilita'  della   causa
estintiva non si ponga «in contrasto  con  le  linee  essenziali  del
sistema», giacche' «comunque sul punto  specifico  e'  assicurato  il
contraddittorio tra le parti». 
    Il giudice a quo sottolinea  che  questa  sentenza  regolava  una
nullita'  che,  pur  se  assoluta,  non  aveva  pero'  compresso   il
contraddittorio preliminare alla  pronuncia  sulla  causa  estintiva.
Viceversa, nel diritto vivente  creatosi  a  seguito  della  sentenza
delle Sezioni unite penali n. 28954 del  2017,  sarebbe  «proprio  il
contraddittorio a venir  meno,  in  modo  radicale  e  assoluto,  con
preclusione  quindi  anche  al  suo  strutturarsi  in   ordine   alla
ricorrenza o meno della causa estintiva». 
    Nel caso della sentenza predibattimentale di appello adottata  de
plano viene a mancare del tutto il giudizio. Il  diritto  vivente  si
porrebbe percio'  in  contrasto  con  i  principi  costituzionali  di
ragionevolezza,  di  inviolabilita'  del  diritto  di  difesa  e   di
indefettibilita'   del    giusto    processo,    rappresentando    il
contraddittorio tra le  parti  il  postulato  ineliminabile  di  ogni
pronuncia terminativa del processo che abbia forma di  sentenza.  Una
sentenza sul merito dell'azione penale pronunziata senza alcuna forma
di interlocuzione con la difesa dell'imputato appare  come  decisione
emessa «al di fuori  di  un  giudizio»,  dando  cosi'  luogo  ad  una
nullita' per assenza del processo, sicche' con riguardo ad  essa  non
puo' operare la regola della prevalenza della formula terminativa del
procedimento per una delle ipotesi previste dall'art. 129,  comma  1,
cod. proc. pen. 
    6.- La parte A. L.S. ha depositato atto  di  costituzione  ed  ha
chiesto di dichiarare fondate le sollevate questioni di  legittimita'
costituzionale,  richiamando  le  difese  svolte  nel   ricorso   per
cassazione per sostenere la  nullita'  assoluta  e  insanabile  della
sentenza d'appello, emessa all'esito di camera di consiglio  tenutasi
senza  dare  avviso  alle  parti  ed  a  fronte  delle  ragioni   che
evidenziavano la insussistenza del fatto. 
    7.- Ha depositato atto di intervento il Presidente del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o
comunque non fondate. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri deduce che  sussiste  in
materia un conflitto risalente nel tempo e tuttora perdurante tra  le
Sezioni semplici e le Sezioni unite penali della Corte di cassazione,
tale da denotare  una  "mobilita'  interpretativa"  confermata  anche
dalle  sentenze  richiamate  nell'ordinanza  di  rimessione   e   dal
provvedimento di restituzione  degli  atti  adottato  dal  Presidente
aggiunto. Il Collegio rimettente non  si  sarebbe  fatto  carico,  in
particolare, di valutare gli effetti  della  mancata  rinuncia  degli
imputati alla maturata prescrizione. 
    L'atto di intervento richiama le pronunce della giurisprudenza di
legittimita' che, proprio alla stregua dei principi  enunciati  nella
sentenza della Corte di cassazione, Sezioni unite  penali,  n.  28954
del 2017, hanno poi individuato  ulteriori  deroghe  alla  regola  di
prevalenza della causa estintiva sulla nullita'. 
    La  difesa  statale  eccepisce,  poi,  l'inammissibilita'   della
questione sollevata con riferimento all'art. 3 Cost., per difetto  di
motivazione sul punto. 
    Nel merito, l'interveniente sostiene  che  le  censure  mosse  in
riferimento agli artt. 24 e 111 Cost. sarebbero comunque non fondate,
non avendo la Corte  rimettente  effettuato  il  bilanciamento  degli
interessi in gioco, ne' valutato le ricadute sul principio di  durata
ragionevole del processo. L'Avvocatura evidenzia che l'art. 129  cod.
proc. pen. e' norma di sistema, di tal che la soluzione offerta dalle
Sezioni unite penali nella sentenza n. 28954  del  2017  risulterebbe
opportunamente orientata ad evitare che, in nome solo dell'ortodossia
della forma, si pervenga, dando prevalenza  alla  causa  di  nullita'
sulla  causa  estintiva,   all'inutile   dilatazione   dell'attivita'
processuale, il cui epilogo realisticamente non potrebbe che  portare
al medesimo esito. 
    8.- Il difensore  della  parte  A.  L.S.  ha  depositato  memoria
illustrativa in data 14 marzo  2022,  richiamando  le  difese  svolte
nella propria memoria di costituzione e replicando alle  eccezioni  e
deduzioni svolte nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio
dei ministri. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Corte di cassazione, sezione prima penale,  con  ordinanza
del  18  giugno  2021,  ha  sollevato   questioni   di   legittimita'
costituzionale del combinato disposto degli artt. 129, 568, comma  4,
591, comma 1, lettera a), 601, 605 e  620  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui, in caso di giudizio di  appello  definito
con sentenza di non doversi procedere per  intervenuta  prescrizione,
illegittimamente emessa in  fase  predibattimentale  senza  citazione
delle  parti  e  comunque  senza  alcuna  forma  di  contraddittorio,
consente alla Corte  di  cassazione,  investita  da  rituale  ricorso
dell'imputato, di  dichiarare  l'inammissibilita'  dello  stesso  per
carenza  d'interesse  e  non  prevede,  invece,  la  declaratoria  di
annullamento della sentenza impugnata, con  trasmissione  degli  atti
alla Corte di appello  per  il  giudizio  nel  contraddittorio  delle
parti. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  le  disposizioni  censurate,  cosi'
interpretate, si porrebbero in contrasto con gli artt. 3,  24  e  111
della Costituzione, in particolare con i principi  costituzionali  di
ragionevolezza, di inviolabilita' del diritto di difesa e  di  giusto
processo. 
    1.1.- L'ordinanza di rimessione espone che la Corte d'appello  di
Milano, in  accoglimento  della  richiesta  scritta  del  Procuratore
generale, ha dichiarato, con sentenza predibattimentale  e  senza  la
partecipazione delle parti, non doversi procedere nei confronti degli
imputati in ordine al delitto di associazione  per  delinquere  (art.
416 del codice penale), perche'  estinto  per  prescrizione  maturata
nelle more della celebrazione del giudizio di  gravame.  La  sentenza
della Corte d'appello  e'  stata  oggetto  di  distinti  ricorsi  per
cassazione proposti  dai  difensori  degli  imputati,  che  ne  hanno
dedotto la nullita' assoluta e insanabile perche', all'esito  di  una
camera di  consiglio  svoltasi  senza  dare  avviso  alle  parti,  ha
dichiarato l'estinzione del reato nonostante dagli atti risultasse, a
loro avviso, evidente l'insussistenza della condotta associativa. 
    1.2.- Il Collegio rimettente riferisce che aveva dapprima rimesso
la decisione del ricorso  per  cassazione  alle  Sezioni  unite,  non
condividendo il principio  di  diritto  enunciato,  con  riguardo  ad
analoga vicenda processuale,  dalla  sentenza  delle  stesse  Sezioni
unite penali 27 aprile -  9  giugno  2017,  n.  28954,  secondo  cui,
«[n]ell'ipotesi di sentenza predibattimentale d'appello,  pronunciata
in violazione del contraddittorio, con la  quale,  in  riforma  della
sentenza di condanna di primo grado, e' stata dichiarata l'estinzione
del reato per prescrizione, la  causa  estintiva  del  reato  prevale
sulla nullita' assoluta ed insanabile della sentenza, sempreche'  non
risulti evidente la prova dell'innocenza  dell'imputato,  dovendo  la
Corte di cassazione adottare in tal caso la formula di merito di  cui
all'art. 129, comma 2, cod. proc. pen.». 
    Secondo tale regola giurisprudenziale, la  sentenza  dichiarativa
dell'estinzione  del  reato  per  prescrizione  emessa  dalla   Corte
d'appello senza fissazione di  udienza  con  avviso  alle  parti,  in
specie all'imputato appellante avverso la pronuncia  di  condanna  in
primo grado, non sarebbe da annullare, perche' il giudice del  rinvio
non potrebbe fare altro che reiterare la declaratoria  di  estinzione
del reato. 
    1.3.-  Con  provvedimento  adottato   a   norma   dell'art.   172
dell'Allegato al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271 (Norme di
attuazione, di coordinamento e transitorie del  codice  di  procedura
penale), il ricorso era stato tuttavia restituito alla Sezione  prima
penale  per  una  nuova  valutazione  circa  l'effettiva  sussistenza
dell'interesse all'impugnazione, sul  rilievo  che  nessuno  dei  due
ricorrenti  aveva  manifestato  la  volonta'   di   rinunciare   alla
prescrizione maturata e  dichiarata  dalla  Corte  d'appello  e  che,
quindi,  doveva  procedersi   a   nuovo   esame   della   sussistenza
dell'interesse a ricorrere. 
    2.- La Corte rimettente ritiene che  la  regola  di  elaborazione
giurisprudenziale, condensata  nel  principio  di  diritto  enunciato
dalla  sentenza  delle  Sezioni  unite  penali  n.  28954  del  2017,
costituisca  diritto  vivente,  essendo  stata  seguita  da  numerose
decisioni delle sezioni semplici, nel mentre  non  integrerebbero  un
orientamento dissenziente altre pronunce, che vengono richiamate  per
evidenziare la specialita' delle fattispecie esaminate. 
    2.1.- Quanto alla rilevanza, la Sezione prima penale della  Corte
di cassazione afferma di dover fare applicazione nel giudizio  a  quo
della regola di  prevalenza  della  causa  estintiva  sulla  nullita'
assoluta della sentenza,  cristallizzata  nel  diritto  vivente,  non
potendo sperimentare  diverse  soluzioni  interpretative,  dopo  aver
tentato la rimessione alle Sezioni unite a norma dell'art. 618, comma
1-bis, cod. proc. pen. Peraltro, proprio l'assenza  di  una  rinuncia
degli imputati alla prescrizione gia' dichiarata,  ove  pur  ritenuta
configurabile, imporrebbe di valutare l'ammissibilita' dei ricorsi in
esame secondo la censurata interpretazione giurisprudenziale. 
    In particolare, il giudice a quo contesta l'asserita superfluita'
dell'annullamento della sentenza emessa de  plano,  ove  inteso  come
funzionale soltanto alla possibilita' per gli imputati di  rinunciare
alla prescrizione nel corso di una udienza partecipata, esponendo che
il  rinvio  sarebbe,   piuttosto,   naturalmente   finalizzato   allo
svolgimento  del  giudizio  di  appello,  nel  quale  procedere,  con
ampiezza  ben  maggiore  di  quella  consentita   dal   processo   di
legittimita', al doveroso controllo in ordine all'eventuale  evidenza
della prova di innocenza ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. 
    2.2.-  Circa  la  non  manifesta  infondatezza,  l'ordinanza   di
rimessione ripercorre l'elaborazione della  regola  giurisprudenziale
di prevalenza della causa estintiva sulla eventuale  nullita',  anche
assoluta,  incorsa  nel  giudizio  di  merito,  menzionando   diverse
pronunce delle Sezioni unite  penali  della  Corte  di  cassazione  e
soffermandosi in particolare  sulla  sentenza  27  febbraio-8  maggio
2002, n. 17179. Le Sezioni unite penali  in  tale  occasione  avevano
precisato che il principio della priorita' della causa estintiva  del
reato rispetto anche alle questioni di nullita' assoluta, fatto salvo
il caso dell'evidente innocenza dell'imputato,  desumibile  dall'art.
129, comma 2,  cod.  proc.  pen.,  incontra  due  limiti:  il  primo,
allorche' l'esame della questione di nullita' processuale assoluta  e
insanabile  assuma  carattere  pregiudiziale  rispetto   alla   causa
estintiva; il secondo, nel senso che l'immediata applicabilita' della
causa estintiva non debba porsi «in contrasto con le linee essenziali
del sistema», giacche' «comunque sul punto specifico e' assicurato il
contraddittorio tra le parti». 
    La Sezione rimettente osserva, quindi, che questa sentenza  aveva
regolato una ipotesi di nullita' della notificazione del  decreto  di
citazione a giudizio dell'imputato, che non aveva tuttavia  compresso
il contraddittorio preliminare alla pronuncia sulla causa  estintiva.
Viceversa, nel diritto vivente  creatosi  a  seguito  della  sentenza
delle Sezioni unite penali n. 28954 del  2017,  sarebbe  venuto  meno
proprio il contraddittorio, in modo radicale  e  assoluto,  cosi'  da
precludere in radice il giudizio in ordine  alla  ricorrenza  o  meno
della causa estintiva. 
    Il censurato diritto vivente si porrebbe percio' in contrasto con
i principi costituzionali di ragionevolezza,  di  inviolabilita'  del
diritto  di  difesa  e  di  indefettibilita'  del  giusto   processo,
rappresentando  il  contraddittorio  tra  le   parti   il   postulato
ineliminabile di ogni pronuncia terminativa del  giudizio  che  abbia
forma  di  sentenza.  Una  sentenza  sul  merito  dell'azione  penale
pronunziata senza  alcuna  forma  di  interlocuzione  con  la  difesa
dell'imputato  sarebbe,  ad  avviso  della  Sezione  rimettente,  una
decisione emessa «al di fuori di un giudizio», nulla per assenza  del
processo, rispetto alla quale non potrebbe operare  la  regola  della
prevalenza della formula terminativa del procedimento per  una  delle
ipotesi previste dall'art. 129, comma 1, cod. proc. pen. 
    3.- Va, in primo luogo, respinta l'eccezione di  inammissibilita'
formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto  nel
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, secondo  cui
il Collegio rimettente non si sarebbe fatto  carico,  alla  luce  del
conflitto tuttora perdurante tra le Sezioni  semplici  e  le  Sezioni
unite penali della Corte di cassazione, di valutare gli effetti della
mancata rinuncia degli imputati alla maturata prescrizione. 
    La Corte rimettente si dimostra consapevole della possibilita' di
privilegiare una diversa lettura del  dato  normativo  contenuto  nel
censurato combinato disposto, rispettosa  dei  precetti  della  Carta
fondamentale, ma riferisce che,  non  condividendo  il  principio  di
diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni unite penali n.  28954
del 2017, ha esperito anche la strada  dell'art.  618,  comma  1-bis,
cod. proc. pen., ma che il ricorso e' stato restituito  alla  sezione
semplice  per  una  nuova  valutazione  sulla  effettiva  sussistenza
dell'interesse all'impugnazione. 
    In  tal  senso,  l'ordinanza  di  rimessione  motiva  la  propria
esigenza di doversi uniformare  all'interpretazione  oramai  radicata
nella giurisprudenza di  legittimita',  qualificabile  come  «diritto
vivente», e ne richiede, proprio su tale presupposto, la verifica  di
conformita' ai parametri costituzionali (sentenze n. 29 del 2019 e n.
39 del 2018). 
    La Sezione prima  penale  della  Corte  di  cassazione  chiarisce
dunque, che  lo  scrutinio  di  legittimita'  costituzionale  non  e'
invocato allo scopo di ottenere un avallo all'interpretazione da essa
prescelta, giacche' attiene, piuttosto,  al  significato  in  cui  le
disposizioni censurate «vivono» secondo l'indirizzo giurisprudenziale
consacrato nella indicata decisione  delle  Sezioni  unite  penali  e
ampiamente  condiviso,  e  denuncia  percio'  il  contrasto  di  tale
orientamento, cui non  intenderebbe  uniformarsi,  con  i  richiamati
parametri costituzionali (tra le altre, sentenze n. 122 del 2017,  n.
200 del 2016, n. 126 del 2015 e n. 242 del 2014). 
    L'ordinanza    di    rimessione    spiega    altresi'     perche'
l'interpretazione enunciata dalle Sezioni unite nell'esercizio  della
propria funzione nomofilattica non possa dirsi contraddetta da alcune
successive pronunce delle sezioni semplici, le quali hanno deciso  su
fattispecie che presentano connotati peculiari. 
    Questa Corte, peraltro, ha avuto gia' occasione di  affermare,  a
proposito dell'art. 374, terzo comma, del codice di procedura civile,
il quale costituisce l'omologo, nel processo civile,  dell'art.  618,
comma 1-bis, cod. proc. pen., che l'onere, per la  Sezione  semplice,
di  nuova  rimessione  alle  Sezioni  unite  allorche'  non   intenda
condividere il principio di diritto dalle medesime enunciato, non  e'
affatto preclusivo della facolta', per la medesima Sezione  semplice,
di promuovere direttamente questione di  legittimita'  costituzionale
in ordine alle disposizioni come interpretate appunto  dalle  Sezioni
unite (sentenze n. 13 del 2022 e n. 33 del 2021). 
    4.- Occorre ancora precisare che, alla  stregua  delle  doglianze
formulate nella stessa  ordinanza  di  rimessione,  il  sindacato  di
costituzionalita' e' da restringere al contenuto precettivo dell'art.
568, comma 4, cod. proc.  pen.,  in  tema  di  interesse  a  proporre
l'impugnazione,  poiche'  le  ulteriori  disposizioni  indicate   non
concorrono in  via  immediata  ad  esprimere  il  censurato  «diritto
vivente». 
    Va poi ulteriormente chiarito che, poiche' la citata disposizione
si limita a prevedere che «[P]er proporre impugnazione e'  necessario
avervi  interesse»,  cio'  che  viene  in  discussione  nel  presente
giudizio non e' la disposizione in quanto tale, ma  l'interpretazione
che di essa ha dato il diritto vivente nella specifica situazione  in
cui si sia in presenza di una sentenza predibattimentale di  appello,
adottata in assenza di contraddittorio e  senza  avviso  alle  parti,
dichiarativa dell'estinzione del reato per prescrizione  sopravvenuta
nelle more della celebrazione del giudizio di appello. 
    4.1.- Non esclude, infine, la rilevanza delle questioni il fatto,
riferito nell'ordinanza di rimessione e valorizzato dalla difesa  del
Presidente del Consiglio dei ministri nel corso della discussione  in
pubblica udienza, che una delle parti private  abbia  individuato  un
possibile  interesse  idoneo  a  giustificare  il  superamento  della
regola, consacrata nel principio di diritto  del  quale  il  Collegio
rimettente deve  fare  applicazione,  della  prevalenza  della  causa
estintiva del reato per prescrizione sulla declaratoria  di  nullita'
della sentenza predibattimentale impugnata. 
    Invero, cio' che viene in  rilievo  nel  giudizio  principale  e'
proprio  l'applicazione  della  contestata  regola  con   riferimento
all'ipotesi - ricorrente nel caso di specie e da apprezzare nella sua
oggettivita'  -  in  cui  l'imputato  non   abbia   rinunciato   alla
prescrizione.  L'eventuale  esistenza  di   un   possibile,   diverso
interesse  idoneo  a  corroborare  il  superamento  della  regola  di
elaborazione giurisprudenziale  -  esistenza  in  ordine  alla  quale
nell'ordinanza di rimessione non viene svolta  alcuna  valutazione  -
non  esclude  la  rilevanza  delle  questioni,  dal  momento  che  il
rimettente correttamente ritiene di dovere  applicare  quella  regola
sulla base del motivato e dirimente  rilievo  che  gli  imputati  non
hanno inteso rinunciare alla prescrizione. Da qui la rilevanza  delle
questioni,  assumendo  carattere  pregiudiziale  rispetto  ad   altre
soluzioni il superamento della regola che  imporrebbe  la  prevalenza
della causa  estintiva  del  reato  rispetto  all'accertamento  della
nullita' della sentenza impugnata. 
    5.-  Le  questioni  sollevate  dalla  Corte  di  cassazione  sono
fondate, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111,  secondo
comma, Cost. 
    6.- L'interpretazione giurisprudenziale dall'art. 568,  comma  4,
cod.  proc.  pen.,  sul  profilo   dell'interesse   richiesto   quale
condizione di ammissibilita' di qualsiasi  impugnazione,  consolidata
come  diritto  vivente  ed  oggetto  della   invocata   verifica   di
compatibilita' con i  precetti  costituzionali,  va  rinvenuta  nella
motivazione della richiamata sentenza delle Sezioni unite  penali  n.
28954 del 2017. 
    Questa  decisione  ha  ribadito  in   premessa   il   consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimita', emergente anche da
precedenti arresti delle medesime Sezioni unite penali,  secondo  cui
nel giudizio di appello non e' consentita la  pronuncia  di  sentenza
predibattimentale di proscioglimento  ai  sensi  dell'art.  469  cod.
proc.  pen.,  ovvero  del  precedente  art.  129.  Cio'  perche'   la
disciplina del proscioglimento prima del dibattimento di cui all'art.
469 cod. proc. pen. e' dettata soltanto  per  il  giudizio  di  primo
grado e perche' l'obbligo di immediata declaratoria  delle  cause  di
non punibilita', di cui all'art. 129, comma 1, cod. proc.  pen.,  non
ammette pronunce de plano, atteso che il richiamo di  tale  norma  ad
«ogni stato e grado  del  processo»  presuppone  un  esercizio  della
giurisdizione con effettiva pienezza del contraddittorio, e dunque un
giudizio in senso tecnico, ossia il dibattimento di primo  grado,  il
processo di appello o il processo di cassazione. Solo in tali  ambiti
si realizza, infatti, la piena dialettica processuale fra le parti  e
il giudice dispone di tutti gli elementi per la scelta della  formula
assolutoria piu' favorevole per l'imputato. 
    La prima conclusione raggiunta dalle Sezioni unite penali e'  che
la  sentenza  predibattimentale   di   appello   di   proscioglimento
dell'imputato per intervenuta prescrizione, emessa de plano, senza la
preventiva interlocuzione delle  parti  processuali,  e'  viziata  da
nullita' assoluta e insanabile, ai  sensi  dell'art.  178,  comma  1,
lettere b) e c), e 179, comma 1, cod. proc. pen., in quanto  concreta
la   «massima   violazione   del   contraddittorio»,   rappresentando
quest'ultimo  garanzia  di   valore   costituzionale   e   «postulato
indefettibile di ogni pronuncia terminativa del processo». 
    La sentenza delle Sezioni unite  penali  n.  28954  del  2017  ha
affrontato poi il problema della pregiudizialita' della  declaratoria
di estinzione del reato rispetto ad una siffatta causa  di  nullita',
ribadendo che il principio di immediata declaratoria  di  determinate
cause di non punibilita', sancito dall'art. 129, comma 1, cod.  proc.
pen.,  impone  nel  giudizio   di   cassazione,   qualora   ricorrano
contestualmente  una  causa  estintiva  del  reato  e  una   nullita'
processuale assoluta e insanabile, di  dare  prevalenza  alla  prima,
salvo  che  l'operativita'  della  causa  estintiva  non  presupponga
specifici accertamenti e valutazioni riservate al giudice di  merito,
nel qual caso assume rilievo pregiudiziale  la  nullita',  in  quanto
funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio. 
    Le questioni  concernenti  le  nullita'  processuali  assolute  e
insanabili, ad avviso delle Sezioni unite  penali,  possono,  dunque,
assumere carattere pregiudiziale rispetto alla causa  estintiva  solo
allorche' questa non emerga ictu oculi dalla mera  ricognizione  allo
stato degli atti, ma presupponga un accertamento di fatto. 
    Le finalita' perseguite dall'istituto previsto dall'art. 129 cod.
proc. pen., che opera con carattere  di  pregiudizialita'  nel  corso
dell'intero iter processuale, impedendo qualsiasi ulteriore superflua
attivita', sarebbero, peraltro, bilanciate con l'eventuale  interesse
dell'imputato a proseguire il giudizio,  in  vista  di  un  auspicato
proscioglimento con formula liberatoria di merito, ove questi rinunci
alla prescrizione, acquisendo  altresi'  pari  rilievo  la  sollecita
definizione del processo, che trova fondamento  nella  previsione  di
cui all'art. 111, secondo comma, Cost. 
    La sentenza n. 28954 del 2017  ha  cosi'  ribadito  che  solo  un
interesse concreto dell'imputato alla rinnovazione  del  giudizio  di
merito,   viziato   da   nullita'   assoluta   per   violazione   del
contraddittorio, puo' giustificare  la  declaratoria  di  nullita'  e
l'annullamento del provvedimento impugnato. Non di meno, la Corte  di
cassazione puo' pronunciare, anche d'ufficio, la formula di merito di
cui al comma 2 dell'art. 129 cod. proc. pen., rispetto  a  quella  di
estinzione del reato applicata dal giudice  di  primo  o  di  secondo
grado, secondo lo schema decisorio dell'annullamento senza rinvio  ex
art. 620, comma 1, lettera l), cod. proc. pen., sempre che l'evidenza
della prova risulti dalla  motivazione  della  sentenza  impugnata  e
dagli atti  del  processo,  specificamente  indicati  nei  motivi  di
gravame, di modo che la  valutazione  richiesta  alla  Cassazione  si
limiti ad una "constatazione", piuttosto che  ad  un  "apprezzamento"
(secondo  un  principio  affermato  dalla  sentenza  della  Corte  di
cassazione, sezioni unite penali, 28  maggio-15  settembre  2009,  n.
35490). 
    7.- Il bilanciamento tra l'interesse dell'imputato  ad  impugnare
per la mancata valutazione di cause di proscioglimento nel merito, ai
sensi  dell'art.  129,  comma  2,  cod.  proc.  pen.,   la   sentenza
predibattimentale d'appello, che abbia  dichiarato  l'estinzione  del
reato per prescrizione senza alcun contraddittorio, e il principio di
ragionevole durata del processo, come operato  dalla  interpretazione
radicata nella  giurisprudenza  di  legittimita'  non  condivisa  dal
rimettente, non appare rispettoso  dell'art.  24,  secondo  comma,  e
dell'art.  111,  secondo  comma,   Cost.,   stando   all'elaborazione
costituzionale  del  diritto  di  difesa   e   della   garanzia   del
contraddittorio. 
    7.1.- Questa Corte ha piu' volte affermato, anche di recente, che
la nozione di  "ragionevole"  durata  del  processo  (in  particolare
penale) e' sempre il  frutto  di  un  bilanciamento  delicato  tra  i
molteplici - e tra loro confliggenti - interessi pubblici  e  privati
coinvolti dal processo medesimo, in maniera da coniugare  l'obiettivo
di raggiungere il suo scopo naturale dell'accertamento  del  fatto  e
dell'eventuale ascrizione delle relative responsabilita',  nel  pieno
rispetto delle garanzie della difesa, con l'esigenza  pur  essenziale
di raggiungere tale obiettivo in un lasso  di  tempo  non  eccessivo.
Sicche' una violazione del principio  della  ragionevole  durata  del
processo di cui  all'art.  111,  secondo  comma,  Cost.  puo'  essere
ravvisata soltanto  allorche'  l'effetto  di  dilatazione  dei  tempi
processuali determinato da una specifica disciplina non sia  sorretto
da alcuna logica esigenza e  si  riveli  quindi  privo  di  qualsiasi
legittima ratio giustificativa (ex  plurimis,  sentenze  n.  260  del
2020, n. 124 del 2019, n. 12 del 2016 e n. 159 del 2014). 
    E' ben vero che, in una recentissima pronuncia, questa  Corte  ha
avuto  modo  di  affermare,  con  riferimento  ad   una   particolare
disciplina  del  giudizio  di  sorveglianza,  relativa  a  un  modulo
procedimentale a contraddittorio  differito,  che  istituti  i  quali
assicurano una sollecita definizione  del  contenzioso  costituiscono
attuazione  di  un  preciso  vincolo  costituzionale,  poiche'  «[l]a
ragionevole durata e' un connotato identitario  della  giustizia  del
processo» (sentenza n. 74 del 2022). 
    Tuttavia, non puo' non rilevarsi che una cosa e' la disciplina di
un procedimento nel quale, sia pure in forma differita, e' pur sempre
assicurato il contraddittorio; altra  cosa  e'  l'assunzione  di  una
decisione con una forma non prevista  per  il  giudizio  di  appello,
senza alcuna possibilita' di recuperare il contraddittorio e  avverso
la quale l'unico rimedio esperibile e' il ricorso per cassazione. Del
resto, nella medesima pronuncia si e' ribadito  che  il  legislatore,
nel perseguire il doveroso obiettivo di accelerare la definizione dei
procedimenti,  deve  compiere  «un  bilanciamento  costituzionalmente
sostenibile - tutto interno alla logica degli artt. 24 e 111 Cost.  -
tra tale obiettivo e  la  salvaguardia  delle  altre  componenti  del
giusto processo e dello stesso diritto di difesa». 
    Giova allora ricordare che la sentenza n. 317 del  2009  ha  gia'
precisato che il diritto di difesa ed  il  principio  di  ragionevole
durata del processo non possono entrare in comparazione, ai fini  del
bilanciamento, indipendentemente dalla completezza del sistema  delle
garanzie, in quanto cio' che rileva e' esclusivamente la  durata  del
«giusto» processo, quale delineato proprio  dall'art.  111  Cost.  In
tale sentenza si e', quindi, affermato che «[u]na  diversa  soluzione
introdurrebbe una contraddizione logica e giuridica all'interno dello
stesso art. 111 Cost., che da una parte imporrebbe una  piena  tutela
del principio del contraddittorio e dall'altra  autorizzerebbe  tutte
le deroghe ritenute utili allo scopo  di  abbreviare  la  durata  dei
procedimenti. Un processo non  "giusto",  perche'  carente  sotto  il
profilo delle garanzie, non e' conforme  al  modello  costituzionale,
quale che sia la sua durata. In realta', non  si  tratterebbe  di  un
vero bilanciamento, ma di un sacrificio  puro  e  semplice,  sia  del
diritto al contraddittorio sancito dal suddetto art. 111  Cost.,  sia
del diritto di difesa,  riconosciuto  dall'art.  24,  secondo  comma,
Cost.:  diritti  garantiti  da  norme  costituzionali  che   entrambe
risentono  dell'effetto  espansivo   dell'art.   6   CEDU   e   della
corrispondente giurisprudenza della Corte di Strasburgo». 
    I principi dettati sia dall'art. 111, secondo comma,  Cost.,  sia
dall'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata a Roma  il  4
novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4  agosto  1955,
n. 848, delineano, cosi', la ragionevole durata come canone oggettivo
di efficienza dell'amministrazione della  giustizia  e  come  diritto
delle parti, comunque correlati ad  un  processo  che  si  svolge  in
contraddittorio davanti ad un giudice imparziale. 
    7.2.- L'interesse ad impugnare per conseguire la declaratoria  di
nullita' di una sentenza di appello di proscioglimento  dell'imputato
per  intervenuta  prescrizione  emessa   de   plano,   senza   alcuna
attivazione del contraddittorio tra le parti, e dunque al di fuori di
un  «giusto  processo»  ex  art.  111  Cost.,   non   e',   pertanto,
bilanciabile  con  le  esigenze   di   ragionevole   durata   sottese
all'operativita' della disciplina della immediata declaratoria  delle
cause di non punibilita' di cui all'art. 129 cod.  proc.  pen.  Tanto
meno il conclamato sacrificio del contraddittorio e  del  diritto  di
difesa puo' giustificarsi, nella prospettiva  dell'utilita'  concreta
dell'impugnazione, in  base  ad  una  prognosi  di  superfluita'  del
dispiegamento di ulteriori attivita' processuali in sede  di  rinvio,
volte a pervenire al proscioglimento con formula di  merito.  Invero,
questa Corte  ha  gia'  da  tempo  sottolineato  l'essenzialita'  che
riveste il contraddittorio, anche  ai  fini  dell'accertamento  della
causa estintiva del reato (sentenza  n.  91  del  1992),  nonche'  la
rilevanza dell'interesse dell'imputato prosciolto per estinzione  del
reato  a  sottoporre  la  mancata  applicazione  delle  formule  piu'
ampiamente  liberatorie  alla  verifica  di  un  giudice  di  merito,
piuttosto che alla Corte di cassazione (sentenza  n.  249  del  1989,
relativa alla disciplina del previgente codice di procedura penale). 
    7.3.- Coerente con tali principi, del resto, e' l'art.  469  cod.
proc. pen.,  che,  nel  consentire  al  giudice  di  primo  grado  la
possibilita' di definire il giudizio con sentenza adottata in  camera
di consiglio, ai sensi dell'art. 129, comma  1,  cod.  proc.  pen.  e
salva l'applicabilita' del comma 2  di  tale  articolo,  prevede  che
detta  sentenza  sia  adottata  «sentiti  il  pubblico  ministero   e
l'imputato e se questi non si  oppongono»,  sicche'  l'istituto,  pur
perseguendo  la  finalita'  deflattiva  di  evitare  i   dibattimenti
superflui, comunque non priva le parti del diritto all'ascolto  delle
loro ragioni. 
    Occorre inoltre sottolineare che la sostanziale  soppressione  di
un grado di giudizio, conseguente alla forma predibattimentale  della
sentenza di appello, non soltanto non trova fondamento nel codice  di
rito, ma, essendo adottata  in  assenza  di  contraddittorio,  limita
l'emersione di eventuali ragioni di proscioglimento nel merito e,  di
fatto, comprime la stessa facolta' dell'imputato di  rinunciare  alla
prescrizione, in  maniera  non  piu'  recuperabile  nel  giudizio  di
legittimita', la cui cognizione  e'  fisiologicamente  piu'  limitata
rispetto a quella del giudice di merito. 
    8.- Deve essere quindi dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., per violazione  degli  artt.
24,  secondo  comma,  e  111,  secondo  comma,   Cost.,   in   quanto
interpretato nel senso che e' inammissibile, per carenza di interesse
ad impugnare, il ricorso per cassazione proposto avverso sentenza  di
appello che, in  fase  predibattimentale  e  senza  alcuna  forma  di
contraddittorio,  abbia  dichiarato   non   doversi   procedere   per
intervenuta prescrizione del reato. 
    8.1.-  Resta   assorbita   l'ulteriore   censura   sollevata   in
riferimento all'art. 3 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 568, comma  4,
del codice di procedura penale, in quanto interpretato nel senso  che
e' inammissibile, per carenza di interesse ad impugnare,  il  ricorso
per cassazione proposto avverso sentenza  di  appello  che,  in  fase
predibattimentale e senza  alcuna  forma  di  contraddittorio,  abbia
dichiarato non doversi procedere  per  intervenuta  prescrizione  del
reato. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA