N. 145 SENTENZA 10 maggio - 13 giugno 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego pubblico - Personale dell'Amministrazione degli affari esteri
  in  servizio  all'estero  -  Trattamento  economico  complessivo  -
  Esclusione   retroattiva,   mediante   norma   di   interpretazione
  autentica, della corresponsione dell'indennita' di  amministrazione
  - Violazione del principio di ragionevolezza, del diritto ad  agire
  in giudizio, delle attribuzioni dell'autorita'  giudiziaria  e  del
  giusto  processo,   tutelato   anche   in   via   convenzionale   -
  Illegittimita'  costituzionale  per  le   fattispecie   antecedenti
  all'entrata in vigore della disposizione censurata. 
- Decreto-legge   13   agosto   2011,   n.   138,   convertito,   con
  modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 1-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 24, primo comma, 39, primo comma, 101,  102,
  104, 111 e 117, primo comma; Convenzione per  la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 6. 
(GU n.24 del 15-6-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  1-bis  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, promosso  dalla
Corte di cassazione, sezione lavoro, nel procedimento vertente tra M.
L.R. e altri e il Ministero degli affari esteri e della  cooperazione
internazionale, con ordinanza del 27 novembre 2020, iscritta al n. 43
del registro ordinanze 2021 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione di M. L.R. e G. M., nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  maggio  2022  il  Giudice
relatore Silvana Sciarra; 
    uditi l'avvocato Domenico Naso per M. L.R. e G. M.  e  l'avvocato
dello Stato Maurizio  Greco  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 novembre 2020, iscritta  al  n.  43  del
registro ordinanze 2021, la Corte di cassazione, sezione  lavoro,  ha
sollevato questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1-bis
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori  misure  urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per  lo  sviluppo),  convertito,
con  modificazioni,  nella  legge  14  settembre  2011,  n.  148,  in
riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, 39, primo comma, 101, 102,
104, 111 e 117, primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione all'art.  6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848. 
    L'art. 1-bis, aggiunto in sede di conversione, prevede che l'art.
170 del decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio 1967, n. 18
(Ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri) si  interpreta
nel senso che il trattamento economico complessivamente spettante  al
personale dell'Amministrazione degli affari  esteri  nel  periodo  di
servizio all'estero, anche con riferimento a «stipendio»  e  «assegni
di carattere  fisso  e  continuativo  previsti  per  l'interno»,  non
include  ne'  l'indennita'  di   amministrazione   ne'   l'indennita'
integrativa speciale,  e  che,  nel  medesimo  periodo,  al  suddetto
personale possono essere attribuite soltanto le  indennita'  previste
dal citato d.P.R. n. 18 del 1967. 
    2.-  Dinanzi  alla  Corte  rimettente   pende   il   procedimento
introdotto  da  M.  L.R.  e  altri  appartenenti  al  personale   non
diplomatico del Ministero degli affari esteri  e  della  cooperazione
internazionale (di seguito: MAECI), per la cassazione della  sentenza
della Corte d'appello di Roma che, in riforma della sentenza di primo
grado, ha rigettato la domanda di riconoscimento  dell'indennita'  di
amministrazione nei periodi di servizio all'estero. 
    2.1.- La sentenza impugnata,  riferisce  il  giudice  a  quo,  ha
definito la controversia facendo applicazione del  sopravvenuto  art.
1-bis del d.l. n. 138 del  2011,  come  convertito,  quale  norma  di
interpretazione autentica dell'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967 che
gia'  escludeva,  durante  i  periodi  di   lavoro   all'estero,   la
corresponsione di indennita' diverse da quelle previste nel  medesimo
d.P.R. n. 18 del 1967. 
    2.2.- La Corte di cassazione  espone  in  sintesi  i  motivi  del
ricorso proposto dai dipendenti del MAECI. 
    Con il primo motivo e' denunciata violazione o falsa applicazione
dell'art. 1-bis  del  d.l.  n.  138  del  2011,  come  convertito,  e
dell'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967,  sul  rilievo  della  natura
innovativa   della   disposizione   del   2011,    con    conseguente
inapplicabilita'  ratione  temporis  alla  fattispecie   oggetto   di
controversia. 
    Con i motivi dal secondo al quinto i ricorrenti  hanno  eccepito,
in subordine, l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1-bis  del
d.l. n. 138  del  2011,  come  convertito,  che  ritengono  norma  di
interpretazione autentica, per contrasto con gli artt. 6 CEDU e 1 del
primo Protocollo addizionale alla CEDU, firmato a Parigi il 20  marzo
1952, in relazione agli artt. 10, primo comma, e  117,  primo  comma,
Cost., nonche' agli artt. 3, 36, 101, 102 e 104 Cost. 
    Con i motivi sesto e settimo i  ricorrenti  hanno  denunciato  la
violazione delle norme del CCNL del comparto Ministeri (artt. 29 e 34
del CCNL 1994/1997; 28 e 33  del  CCNL  1998/2001;  CCNL  Integrativo
1998/2001 - biennio economico  2000/2001),  evidenziando  la  «natura
retributiva» dell'indennita' di amministrazione e la conseguente  sua
cumulabilita' con l'indennita' di servizio all'estero, che ha  natura
compensativa degli oneri economici sostenuti per il suo svolgimento. 
    2.3.- La Corte rimettente, quanto alla rilevanza delle  questioni
di legittimita' costituzionale, ritiene che la controversia non possa
essere decisa senza tenere conto dell'art. 1-bis del d.l. n. 138  del
201, come convertito, che, nell'autoqualificarsi  di  interpretazione
autentica dell'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, si salda al  testo
originario e ne indica un preciso  significato  (sono  richiamate  le
sentenze di questa Corte n. 174 del 2019 e n. 174 del 2016). 
    Il giudice a quo evidenzia inoltre che, ove le questioni  fossero
accolte, la norma censurata - che predetermina l'esito della  lite  -
non sarebbe piu' applicabile e il giudizio principale dovrebbe essere
definito con  l'applicazione  di  una  diversa  regola  di  giudizio,
ricavabile da  una  ricostruzione  sistematica  della  disciplina  di
riferimento. 
    2.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte rimettente
premette  che  analoga  eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011, come convertito,  formulata
in altro giudizio e con riguardo al divieto di cumulo dell'indennita'
di servizio all'estero  con  l'indennita'  integrativa  speciale,  e'
stata  ritenuta  manifestamente  infondata  (e'   citata   Corte   di
cassazione, sezione lavoro, ordinanza 17 dicembre  2019,  n.  33395).
Veniva  in  rilievo  in  quel  caso  un  emolumento  -   l'indennita'
integrativa speciale - istituito dalla legge 27 maggio 1959,  n.  324
(Miglioramenti economici al personale  statale  in  attivita'  ed  in
quiescenza), che  gia'  esisteva  all'epoca  dell'entrata  in  vigore
dell'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967. 
    Diversamente, con  riguardo  all'indennita'  di  amministrazione,
l'esame congiunto della normativa contenuta nel d.P.R. n. 18 del 1967
e di quella di fonte collettiva, succedutasi a partire dal primo CCNL
del  comparto   Ministeri   1994/1997,   fino   al   «blocco»   della
contrattazione collettiva disposto dal decreto-legge 31 maggio  2010,
n. 78 (Misure urgenti in materie di stabilizzazione finanziaria e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazione, nella legge
30 luglio 2010, n. 122 e dal  decreto-legge  6  luglio  2011,  n.  98
(Disposizioni   urgenti   per   la   stabilizzazione    finanziaria),
convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio  2011,  n.  111,
condurrebbe ad esito opposto. 
    2.5.- La ricorrente richiama inoltre  l'art.  45,  comma  5,  del
decreto  legislativo  30  marzo  2001,   n.   165   (Norme   generali
sull'ordinamento del lavoro  alle  dipendenze  delle  amministrazioni
pubbliche),  secondo  cui  le  funzioni  e  i  relativi   trattamenti
economici accessori del personale  non  diplomatico  del  MAECI  sono
disciplinati, per il periodo di servizio prestato  all'estero,  dalle
disposizioni del d.P.R. n. 18 del 1967 e  successive  integrazioni  e
modificazioni, nonche' dalle altre pertinenti norme  di  settore  del
medesimo Ministero. 
    Il d.P.R. n. 18 del 1967, istitutivo dell'indennita' di  servizio
all'estero,  all'art.  170,   rubricato   «Assegni   e   indennita'»,
prevedeva, al primo  comma,  che  il  personale  dell'Amministrazione
degli  affari  esteri,  durante  i  periodi  di  lavoro   all'estero,
percepisse «oltre allo stipendio e agli assegni di carattere fisso  e
continuativo previsti per l'interno, compresa l'eventuale  indennita'
o retribuzione  di  posizione  nella  misura  minima  prevista  dalle
disposizioni  applicabili,  tranne   che   per   tali   assegni   sia
diversamente  disposto»,   l'indennita'   di   servizio   all'estero,
stabilita in relazione al posto  di  organico  occupato,  nonche'  le
altre competenze eventualmente spettanti in  base  alle  disposizioni
del medesimo d.P.R. n. 18 del 1967. 
    Al  secondo   comma,   lo   stesso   art.   170   stabiliva   che
«[n]essun'altra indennita'  ordinaria  e  straordinaria  puo'  essere
concessa, a qualsiasi titolo, al personale suddetto in  relazione  al
servizio prestato all'estero in aggiunta al trattamento previsto  dal
presente decreto». 
    2.6.- La Corte rimettente precisa che l'interpretazione dell'art.
170 del d.P.R. n. 18 del 1967  aveva  dato  luogo  a  un  contenzioso
«seriale», di cui e' parte anche il giudizio principale. 
    Con riferimento  al  tema,  qui  rilevante,  della  cumulabilita'
dell'indennita'  di  amministrazione  con  l'indennita'  di  servizio
all'estero, era dubbia la  riconducibilita'  della  prima  al  novero
degli «assegni di carattere fisso e  continuativo»  -  che  il  primo
comma del citato art.  170  espressamente  considera  cumulabili  con
l'indennita' di servizio all'estero - oppure alle «altre indennita'»,
la cui corresponsione nei periodi di lavoro all'estero e' vietata dal
secondo comma dello stesso art. 170. 
    Fino   all'entrata   in   vigore   della   norma   censurata   la
giurisprudenza di merito si era orientata  prevalentemente  a  favore
della tesi della cumulabilita', in coerenza con la natura retributiva
e non compensativa dell'indennita' di amministrazione, che la rendeva
assimilabile agli «assegni a carattere fisso e continuativo». 
    2.7.-  La  Corte  rimettente  evidenzia   che   l'indennita'   di
amministrazione non esisteva al tempo dell'emanazione del  d.P.R.  n.
18 del 1967, essendo stata istituita con il primo CCNL  del  comparto
Ministeri firmato il 16  maggio  1995,  in  attuazione  della  delega
contenuta nell'art. 72, comma 3, del decreto legislativo  3  febbraio
1993,   n.   29    (Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia  di
pubblico impiego, a norma dell'articolo  2  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421). 
    Dopo   aver   previsto   l'abrogazione,   contestualmente    alla
sottoscrizione dei primi contratti collettivi, delle disposizioni che
fissavano trattamenti economici accessori comunque denominati, l'art.
72, comma 3 aveva  disposto  che  i  contratti  collettivi  facessero
«comunque salvi i trattamenti economici fondamentali ed accessori  in
godimento aventi  natura  retributiva  ordinaria  o  corrisposti  con
carattere di generalita' per ciascuna amministrazione o ente». 
    La Corte rimettente ricostruisce i  passaggi  fondamentali  della
contrattazione collettiva sul tema, a partire dal CCNL del 16  maggio
1995, che ha configurato la struttura della retribuzione (art. 29)  e
la   retribuzione   accessoria,    introducendo    l'indennita'    di
amministrazione (art. 34),  con  rinvio  alle  tabelle  allegate  per
l'individuazione delle  quote  di  retribuzione  accessoria  in  atto
presso  le  singole  amministrazioni,   negli   importi   corrisposti
nell'anno 1993. 
    Il CCNL del 16 febbraio 1999 ha poi definito la  struttura  della
retribuzione (art. 28) senza distinguere il trattamento  fondamentale
da quello  accessorio,  e  previsto  un  aumento  dell'indennita'  di
amministrazione (art. 33), allo scopo  di  favorire  il  processo  di
perequazione  delle  retribuzioni   complessivamente   spettanti   al
personale del comparto. 
    Il CCNL integrativo firmato  il  16  maggio  2001  ha  modificato
l'art. 33 del CCNL 16 febbraio 1999, con l'aggiunta del comma 3,  nel
quale  si  e'  previsto  che  l'indennita'  di  amministrazione   «e'
corrisposta per dodici mensilita', ha carattere di generalita' ed  ha
natura fissa e ricorrente». 
    Il CCNL per il triennio 2002/2005 ha incrementato l'indennita' di
amministrazione (art. 22), ancora a scopo perequativo, precisando che
gli incrementi valgono per dodici mensilita'. 
    Il CCNL firmato il 14 settembre 2007  e'  nuovamente  intervenuto
sull'indennita'  in  parola  (art.  31),  al  fine  di  eliminare  le
differenze all'interno di ciascuna amministrazione. 
    2.8.- La ricognizione delle disposizioni di fonte collettiva, che
si arresta  al  «blocco»  della  contrattazione  disposto  nel  2010,
renderebbe evidente, secondo la Corte rimettente, che l'indennita' di
amministrazione  ha  costituito  sin  dall'origine  una  voce   della
retribuzione accessoria, riconosciuta  da  tutte  le  amministrazioni
dell'ex comparto Ministeri, seppure con  importi  diversificati,  non
essendo stato concluso il processo di  perequazione.  Essa  e'  fissa
nell'ammontare in relazione a ciascuna posizione di inquadramento, e'
corrisposta continuativamente per dodici mensilita' e ha carattere di
generalita'. 
    In questo senso, del resto, si e' orientata la giurisprudenza  di
legittimita' formatasi a partire dalla sentenza delle  sezioni  unite
della Corte  di  cassazione  13  luglio  2005,  n.  14698  (in  senso
conforme, Corte di cassazione, sezione lavoro,  ordinanza  24  luglio
2017, n. 18196). 
    Analogamente consolidato e' l'orientamento  della  giurisprudenza
di legittimita' in ordine alla natura compensativa dell'indennita' di
servizio all'estero (ex plurimis,  e'  citata  Corte  di  cassazione,
sezione lavoro, sentenza 11 luglio 2016, n. 14112). 
    Come reso evidente dal disposto dell'art. 171 del  d.P.R.  n.  18
del 1967, si tratta di indennita' finalizzata a compensare i maggiori
oneri che gravano sul personale  non  diplomatico  in  ragione  della
permanenza all'estero, il cui ammontare varia  a  seconda  del  costo
della vita nel luogo  di  permanenza,  delle  eventuali  esigenze  di
rappresentanza connesse alle funzioni  esercitate,  del  costo  degli
alloggi, del personale domestico e dei servizi, e  del  cambio  della
moneta. 
    3.- Secondo la Corte rimettente, la ricostruzione fin qui  svolta
deporrebbe per la fondatezza dei motivi sesto e settimo  del  ricorso
per cassazione, che denunciano la violazione delle  disposizioni  dei
contratti collettivi. Tuttavia, tali motivi non sarebbero  dotati  di
autonoma  decisivita'  a   fronte   dell'introduzione   della   norma
censurata, che ha vietato, con effetto retroattivo, la corresponsione
dell'indennita' di amministrazione  durante  i  periodi  di  servizio
all'estero. 
    Ed e' proprio  sul  carattere  retroattivo  del  divieto  che  si
incentrano le  censure  della  Corte  rimettente,  che  sollecita  la
verifica della ragionevolezza  dell'intervento  legislativo  e  della
sussistenza  di  «motivi   di   interesse   generale»   che   possano
giustificare  il  sacrificio  di  altri   valori   costituzionalmente
tutelati (e' richiamata, ex plurimis, la sentenza di questa Corte  n.
170 del 2013). 
    3.1.- La prima censura e' prospettata con riferimento all'art. 3,
primo comma, Cost. 
    Osserva il giudice a quo  che  la  norma  censurata  pretende  di
interpretare autenticamente l'art. 170 del d.P.R.  n.  18  del  1967,
riferendosi ad un emolumento - l'indennita' di amministrazione -  che
non  esisteva  al  momento  dell'entrata  in   vigore   della   norma
interpretata. 
    Tale  dato  deporrebbe  nel  senso  della   diversita'   tra   la
disposizione originaria e quella oggetto di censura, che risulterebbe
in   realta'   innovativa.    L'erroneita'    dell'autoqualificazione
costituirebbe un indice, seppure non dirimente,  di  irragionevolezza
(sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 73 del 2017,  n.  103
del 2013 e n. 41 del 2011). 
    3.2.- E' anche prospettata la violazione degli artt. 101,  102  e
104 Cost., per mancato  rispetto  delle  funzioni  costituzionalmente
assegnate al potere giudiziario. 
    L'intervento legislativo, nel  fornire  l'esatta  interpretazione
dell'art. 170 d.P.R. n. 18 del 1967, avrebbe inteso porre  termine  a
un contenzioso «seriale» instaurato nei confronti del MAECI,  da  cui
sarebbero derivati ingenti oneri a carico della finanza pubblica. 
    3.3.- A parere della Corte rimettente, l'intervento  legislativo,
finalizzato ad  incidere  su  controversie  in  atto,  specificamente
individuate al punto da stimarne il peso economico,  si  porrebbe  in
contrasto anche con l'art. 24, primo comma, Cost., sotto  il  profilo
dell'effettivita' della tutela dei diritti dei soggetti beneficiari. 
    3.4.- Sarebbero violati, ancora, il principio della parita' delle
parti  in  giudizio  e  il  diritto  a  un  equo  processo,  di  cui,
rispettivamente,  agli  artt.  111  e  117,   primo   comma,   Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU. 
    La Corte di cassazione richiama sia  la  giurisprudenza  costante
della  Corte  EDU,  secondo  cui  e'  precluso  al   legislatore   di
interferire  sulle  controversie  in  atto,   salvo   che   ricorrano
impellenti  motivi  di  interesse  generale,  sia  la  giurisprudenza
costituzionale che, in armonia con la  giurisprudenza  convenzionale,
attribuisce rilievo, tra gli elementi sintomatici di un uso  distorto
della   funzione   legislativa,   al   metodo   e   alla   tempistica
dell'intervento del  legislatore  (sono  richiamate  le  sentenze  di
questa Corte n. 174 del 2019 e n. 12 del 2018). 
    3.4.1.- La Corte rimettente sottolinea che i «motivi finanziari»,
esplicitati nella relazione  tecnica  dei  lavori  preparatori  della
norma   censurata,   non   sarebbero   sufficienti   a   giustificare
l'intervento del legislatore sul contenzioso in atto, ne' vi  sarebbe
stata l'esigenza di porre rimedio a imperfezioni del testo  normativo
originario. 
    Escluso, infine, che la disciplina originaria presentasse profili
di illegittimita' costituzionale (e' richiamata la sentenza di questa
Corte n. 149 del 2017) o desse luogo a sperequazioni tali da  rendere
necessario l'intervento riparatore del legislatore (e' richiamata  la
sentenza di questa Corte n. 108 del 2019), il giudice a  quo  ritiene
che non sussisterebbero ragioni  idonee  a  giustificare  l'efficacia
retroattiva   del   divieto   di   corrispondere   l'indennita'    di
amministrazione durante i periodi di servizio all'estero. 
    3.5. - E' prospettata anche la  violazione  dell'art.  39,  primo
comma, Cost. 
    La norma censurata avrebbe inciso  retroattivamente  sull'assetto
del trattamento economico complessivo  del  personale  del  MAECI  in
servizio all'estero,  intervenendo  sulla  disciplina  fissata  dalla
contrattazione collettiva e non sull'art. 170 del d.P.R.  n.  18  del
1967. 
    Ne   seguirebbe   la   lesione   della   liberta'   sindacale   e
dell'autonomia delle parti in sede di contrattazione  collettiva  (e'
citata la sentenza di questa Corte n. 178 del 2015). 
    4.- Con memoria depositata il 30 aprile 2021, M. L.R. ed  G.  M.,
parti ricorrenti nel giudizio  principale,  si  sono  costituiti  nel
giudizio incidentale e hanno chiesto l'accoglimento delle questioni. 
    Dopo avere ripercorso  in  sintesi  la  vicenda  processuale,  la
difesa  delle  parti  illustra  le  censure  in  termini   largamente
sovrapponibili a quanto esposto nell'ordinanza di rimessione. 
    4.1.- La norma censurata,  di  contenuto  innovativo,  violerebbe
l'art. 3 Cost. sotto  il  profilo  della  ragionevolezza,  in  quanto
pretenderebbe di interpretare autenticamente la norma  del  1967  pur
riferendosi a una indennita',  quella  di  amministrazione,  che  non
esisteva alla data di entrata in  vigore  della  norma  asseritamente
interpretata. 
    Sono  richiamati  i  principi  enucleati   dalla   giurisprudenza
costituzionale in tema di norme dotate di efficacia retroattiva,  per
il cui  scrutinio  risulta  indifferente  l'autoqualificazione  (sono
citate le sentenze n. 308 del 2013, n. 41 del 2011, n. 233 del  1988,
n. 167 del 1986 e n.  36  del  1985),  essendo  decisivo,  piuttosto,
verificare se siano rispettati i limiti che il  legislatore  incontra
nel modificare situazioni  sostanziali  fondate  su  leggi  anteriori
(sono citate le sentenze n. 376 e n. 168 del 2004). 
    4.2.-  Nella  fattispecie  oggetto   del   giudizio   principale,
risulterebbe  evidente  l'interferenza  della  norma  censurata   sul
contenzioso in atto, relativo alla  riconducibilita'  dell'indennita'
di  amministrazione  alla  voce  «assegni   a   carattere   fisso   e
continuativo», prevista dall'art. 170 del d.P.R. n. 18  del  1967,  o
alle «altre indennita'», ivi pure indicate. 
    4.3.- La difesa delle parti evidenzia anche il contrasto  tra  la
norma censurata e le disposizioni sia di legge (art. 2 del d.lgs.  n.
165 del 2001) sia dei contratti collettivi che riservano  alle  parti
sociali la competenza a definire il trattamento  economico  spettante
ai dipendenti pubblici, in tutte le sue componenti (e' richiamata  la
sentenza di questa Corte n. 507 del 2000), assumendo anche la lesione
del principio sancito dall'art. 36 Cost., parametro quest'ultimo  non
evocato dalla Corte rimettente. 
    4.4.- La stessa difesa argomenta la violazione degli artt. 111  e
117, primo comma, Cost. quest'ultimo in relazione  all'art.  6  CEDU,
con il richiamo alla giurisprudenza costituzionale e a  quella  della
Corte EDU. 
    Quest'ultima avrebbe enucleato il principio che vieta l'ingerenza
del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, al  fine
di influenzare l'esito di  una  controversia,  salvo  che  sussistano
imperative ragioni di interesse generale. Avrebbe anche affermato che
il principio della parita' delle armi comporta l'obbligo di offrire a
ciascuna parte una ragionevole possibilita' di presentare la  propria
causa senza trovarsi in una situazione di netto  svantaggio  rispetto
alla controparte. 
    4.5.- La difesa delle parti sottolinea inoltre  che  l'intervento
legislativo e' avvenuto molti anni dopo  l'entrata  in  vigore  della
norma originaria e dopo che la sentenza di primo grado aveva  accolto
la  domanda  dei  ricorrenti.  I   motivi   finanziari,   alla   base
dell'intervento   legislativo,   non    sarebbero    sufficienti    a
giustificarne l'incidenza sui giudizi in corso. 
    Del  resto,  il  contenzioso  in  oggetto   non   trova   origine
nell'ambiguita' dell'art. 170 del d.P.R. n. 18  del  1967,  ma  nella
qualificazione  della  indennita'  di  amministrazione,  disciplinata
dalla contrattazione collettiva a partire dal 1994,  come  assegno  a
carattere fisso e continuativo. 
    4.6.- La norma censurata  si  porrebbe  in  contrasto  anche  con
l'art. 39, primo comma, Cost., in quanto avrebbe configurato ex  post
l'assetto del trattamento economico complessivo dei dipendenti  MAECI
in servizio all'estero, intervenendo sulla disciplina dell'indennita'
di amministrazione fissata  dai  contratti  collettivi  del  pubblico
impiego privatizzato. 
    5.-  Nel  giudizio  incidentale  e'  intervenuto,   con   memoria
depositata  il  4  maggio  2021,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano  dichiarate  inammissibili
o, comunque, non fondate. 
    5.1.- Ricostruito  il  quadro  normativo  e  il  contenuto  delle
censure,   la   difesa   statale   afferma   che   l'indennita'    di
amministrazione, come ritenuto anche dalla Corte  rimettente,  e'  un
trattamento accessorio che ha trovato regolazione nei CCNL.  Tuttavia
proprio la contrattazione collettiva ne avrebbe escluso espressamente
la corresponsione al personale in servizio all'estero. 
    L'art.  34,  comma  2,  lettera  a),  del  CCNL  1994/1997,   con
previsione replicata  nei  successivi  CCNL  dello  stesso  comparto,
definiva  l'indennita'  di  amministrazione   come   elemento   della
retribuzione accessoria mensile e rinviava alla Tabella 2, Allegato B
(recte: Tabella 1, Allegato B) per la definizione delle voci e  quote
di retribuzione accessoria riferite a ciascuna amministrazione. 
    La   Tabella   citata,   dopo   l'indicazione    degli    importi
dell'«indennita' mensile» riferiti al personale  del  MAECI  in  base
alle qualifiche, disponeva che tali importi,  dovuti  con  decorrenza
dal 1° dicembre 1995, «si riferiscono esclusivamente al personale  in
servizio sul territorio nazionale». 
    5.2.- Secondo la difesa statale, la Corte rimettente non  avrebbe
esaminato compiutamente le fonti collettive, non  avendo  considerato
la specifica indicazione contenuta nella  richiamata  Tabella,  dalla
quale discenderebbe de plano  che  l'indennita'  di  amministrazione,
quale ne sia la natura, non potrebbe in ogni caso essere  corrisposta
al personale in servizio all'estero, in conformita'  alla  previsione
contenuta nell'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, che  espressamente
vietava  il  cumulo  dell'indennita'  di  servizio   all'estero   con
qualsiasi altra indennita'. 
    Pertanto, la motivazione in punto di  rilevanza  delle  questioni
sarebbe insufficiente, poiche'  gli  argomenti  esposti  dal  giudice
rimettente a sostegno della  natura  retributiva  dell'indennita'  di
amministrazione sarebbero assorbiti dalla circostanza che la  pretesa
fatta valere dai ricorrenti nel giudizio a quo riguarda i periodi  di
servizio all'estero. 
    5.3.- Quanto al merito delle questioni, dopo avere  premesso  che
la norma censurata e' oggetto anche di un giudizio  pendente  dinanzi
alla Corte EDU,  introdotto  da  alcuni  dipendenti  del  MAECI,  per
violazione dei principi di cui all'art. 6 CEDU e del giusto processo,
la difesa statale espone le ragioni a sostegno della non fondatezza. 
    5.3.1.- E' richiamata la sentenza di  questa  Corte  n.  133  del
2020, in cui si ribadisce che una norma puo'  essere  qualificata  di
interpretazione autentica solo se esprime, anche nella  sostanza,  un
significato  appartenente  a  quelli  riconducibili  alla  previsione
interpretata, secondo gli ordinari criteri di  interpretazione  della
legge, e che il legislatore puo'  adottare  norme  che  precisino  il
significato di altre disposizioni, anche  in  mancanza  di  contrasti
giurisprudenziali,   purche'   la   scelta   imposta   dalla    legge
interpretativa rientri tra le possibili varianti di senso  del  testo
originario. 
    5.4.- Le questioni risulterebbero prive di fondamento anche nella
prospettiva, logicamente subordinata, che la norma censurata non  sia
qualificabile come interpretativa dell'art. 170 del d.P.R. n. 18  del
1967, e che abbia offerto una lettura innovativa della disciplina ivi
contenuta. 
    Come ribadito dalla gia' citata sentenza  n.  133  del  2020,  la
circostanza che la norma,  a  dispetto  dell'autoqualificazione,  non
abbia in realta' natura interpretativa, puo' essere sintomo  dell'uso
improprio della funzione legislativa ma non  comporta  che  essa  sia
illegittima, incidendo soltanto sulla maggiore ampiezza del sindacato
che questa Corte e' chiamata a effettuare, in ragione  proprio  della
sua retroattivita'. 
    La difesa statale richiama, inoltre, l'art. 34 del CCNL 1994/1997
che,  a  suo  dire,  avrebbe  escluso  espressamente   la   spettanza
dell'indennita'  di  amministrazione  ai  dipendenti  del  MAECI   in
servizio  all'estero.  Il  chiaro  dettato  della   fonte   negoziale
collettiva avrebbe impedito, a sua volta, il  sorgere  del  legittimo
affidamento. 
    Convergerebbe con la tesi  della  non  spettanza  dell'emolumento
durante i periodi di servizio all'estero la giurisprudenza  contabile
che, a fini pensionistici, ha costantemente ritenuto l'indennita'  di
amministrazione non assimilabile allo  stipendio  o,  comunque,  alla
retribuzione (e' citata, ex plurimis, Corte dei conti, sezione  prima
giurisdizionale centrale d'appello, sentenza 20 gennaio 2006, n. 54),
nonostante il carattere di fissita' e di continuita' dell'emolumento. 
    5.5.- La difesa statale segnala poi che,  negli  anni  precedenti
all'entrata in vigore della norma censurata, pur essendo prevalsa  in
giurisprudenza la tesi sostenuta dai dipendenti MAECI, erano comunque
emersi dubbi interpretativi. 
    L'esistenza   di   contrasti   giurisprudenziali   avrebbe   reso
necessario l'intervento chiarificatore del legislatore, funzionale  a
evitare il protrarsi dei contrasti e, al tempo stesso,  a  conformare
la normativa in materia ai principi di legittimita'  ed  economicita'
della spesa pubblica, tenuto conto del  rilevante  onere  finanziario
che derivava dal cumulo delle indennita' in oggetto. 
    5.6.-  Quanto  al   denunciato   contrasto   con   il   parametro
convenzionale, la difesa statale richiama la sentenza della Corte EDU
Ogis-Institut Stanilas e altri contro Francia, del  27  maggio  2004,
nella quale il contrasto di una norma dotata di efficacia retroattiva
con l'art. 6 CEDU e' stato escluso poiche'  l'intervento  legislativo
era  finalizzato  a  ristabilire  la  parita'  e  l'eguaglianza   tra
dipendenti pubblici,  finalita'  che  sarebbe  presente  anche  nella
vicenda in esame. 
    Risulterebbe irragionevole, infatti, consentire che il  personale
in servizio all'estero percepisca, oltre alla specifica indennita' di
servizio all'estero e all'assegno  di  sede,  anche  l'indennita'  di
amministrazione, cosi' da cumulare benefici preclusi al personale che
svolge il medesimo servizio nel territorio nazionale. 
    6.- In data 19 aprile 2022  le  parti  hanno  depositato  memoria
illustrativa in cui ribadiscono le argomentazioni  a  sostegno  della
illegittimita' costituzionale  della  norma  censurata,  gia'  svolte
nell'atto di costituzione in giudizio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (r.o. n. 43  del  2021),
la  Corte  di  cassazione,  sezione  lavoro,  solleva  questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art.  1-bis,  del  decreto-legge  13
agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la  stabilizzazione
finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni,  nella
legge 14 settembre 2011, n. 148, per contrasto con gli artt.  3,  24,
primo comma, 39, primo comma, 101, 102, 104, 111 e 117, primo  comma,
della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    La disposizione  censurata,  aggiunta  in  sede  di  conversione,
prevede che l'art. 170 del d.P.R. 5 gennaio 1967, n. 18  (Ordinamento
dell'Amministrazione degli affari esteri), «si interpreta  nel  senso
che:  a)  il  trattamento  economico  complessivamente  spettante  al
personale dell'Amministrazione degli affari  esteri  nel  periodo  di
servizio all'estero, anche con riferimento a "stipendio"  e  "assegni
di carattere  fisso  e  continuativo  previsti  per  l'interno",  non
include  ne'  l'indennita'  di   amministrazione   ne'   l'indennita'
integrativa speciale; b) durante il periodo di servizio all'estero al
suddetto personale possono essere attribuite soltanto  le  indennita'
previste dal decreto del Presidente della Repubblica 5 gennaio  1967,
n. 18». 
    1.1.- Dinanzi alla Corte rimettente pende il giudizio  introdotto
da alcuni dipendenti  del  Ministero  degli  affari  esteri  e  della
cooperazione internazionale (di seguito:  MAECI)  per  la  cassazione
della sentenza  di  merito  che,  facendo  applicazione  della  norma
censurata, ha rigettato la domanda di corresponsione  dell'indennita'
di amministrazione durante i periodi di servizio prestato all'estero. 
    1.2.- Il giudice a quo assume il contrasto della norma  censurata
- che si autoqualifica di interpretazione autentica - con i parametri
evocati in ragione dell'efficacia retroattiva di cui essa e'  dotata,
in assenza di motivi di interesse generale che possano  giustificarne
l'applicazione per il passato, e quindi sollecita uno scrutinio volto
a verificare il  rispetto  dei  limiti  generali  entro  i  quali  e'
consentita al legislatore l'adozione di norme  retroattive,  che  per
loro   natura   entrano   in   frizione   con    molteplici    valori
costituzionalmente tutelati (e' richiamata, ex plurimis, la  sentenza
di questa Corte n. 170 del 2013). 
    1.3.- La  Corte  rimettente  osserva,  quanto  al  profilo  della
ragionevolezza,  che  il  dichiarato  intento  di   porre   fine   al
contenzioso «seriale» in atto non costituirebbe  ragione  sufficiente
per intervenire con  efficacia  retroattiva  sulla  materia  de  qua,
offrendone  una  lettura  non  coerente  con  l'evoluzione  normativa
dell'indennita' di amministrazione, nonche'  lesiva  dell'affidamento
nella certezza e coerenza dell'ordinamento. 
    La stessa autoqualificazione dell'art. 1-bis del d.l. n. 138  del
2011, come  convertito,  quale  norma  di  interpretazione  autentica
sarebbe erronea, tenuto conto del  divario  temporale  rispetto  alla
risalente disposizione originaria e della circostanza  che  nel  1967
l'indennita'  di  amministrazione   non   esisteva,   essendo   stata
configurata come voce retributiva accessoria soltanto  con  il  primo
CCNL 1994/1998, firmato il 16 maggio 1995. 
    L'erroneita' dell'autoqualificazione, a sua volta,  costituirebbe
un indice seppure non dirimente di irragionevolezza della norma (sono
richiamate le sentenze di questa Corte n. 73 del  2017,  n.  103  del
2013 e n. 41 del 2011), mentre l'interferenza nelle  controversie  in
atto, specificamente individuate nei lavori preparatori  e  corredate
dalla stima del  relativo  onere  finanziario  per  l'Amministrazione
soccombente,  sarebbe  lesiva   dei   parametri   che   tutelano   le
attribuzioni  costituzionalmente  riservate  al  potere  giudiziario,
oltre che dell'art. 24, primo comma, Cost., sotto  il  profilo  della
compromissione dell'effettivita' della tutela giurisdizionale. 
    1.4.- Sarebbero violati, inoltre, gli  artt.  111  e  117,  primo
comma Cost., quest'ultimo in relazione  all'art.  6  CEDU.  La  norma
censurata,  nel  predeterminare  l'esito  dei   giudizi   in   favore
dell'amministrazione  statale,  si  porrebbe  in  contrasto  con   il
principio della parita'  delle  parti,  con  il  diritto  a  un  equo
processo e con la tutela dell'affidamento. 
    Il giudice a quo richiama in proposito  l'affermazione,  costante
nella giurisprudenza  della  Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo,
secondo cui e' precluso al legislatore interferire sulle controversie
in atto, salvo che ricorrano impellenti motivi di interesse  generale
(sono citate, ex plurimis, sentenza 14 febbraio 2014, Arras ed  altri
contro Italia; sentenza  31  maggio  2011,  Maggio  ed  altri  contro
Italia; sentenza 7 giugno 2011, Agrati ed altri contro Italia). 
    1.5.- Sarebbe violato, infine, l'art. 39, primo comma,  Cost.  in
quanto l'intervento legislativo retroattivo operato sull'assetto  del
trattamento economico complessivo dei dipendenti  del  MAECI  avrebbe
leso l'autonomia delle parti sociali nella sede negoziale collettiva. 
    La Corte di cassazione si sofferma, a tale  riguardo,  sull'esito
della negoziazione, a partire  dal  suo  esordio,  ovvero  dal  primo
contratto  collettivo  del   comparto   ministeri   (1994-1997),   in
attuazione dell'art. 72, comma 2, del decreto legislativo 3  febbraio
1993,   n.   29    (Razionalizzazione    dell'organizzazione    delle
amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina  del  pubblico
impiego, a norma dell'art. 2 della legge 23 ottobre 1992, n. 42).  Il
riferimento ai cicli di contrattazione successivi al primo,  fino  al
«blocco» della stessa, disposto con i decreti-legge 31  maggio  2010,
n. 78 (Misure urgenti in materie di stabilizzazione finanziaria e  di
competitivita' economica), convertito, con modificazioni, nella legge
30 luglio 2010, n. 122 e 6 luglio 2011, n. 98  (Disposizioni  urgenti
per la stabilizzazione finanziaria), convertito,  con  modificazioni,
nella legge 15 luglio 2011, n. 111, confermerebbe che l'indennita' di
amministrazione figurava tra le voci della  retribuzione  oggetto  di
negoziazione e che era elargita, con importi  diversi,  in  tutte  le
amministrazioni del comparto ministeri. 
    2.- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si sono  costituiti,  con
unica   difesa,   due   degli   originari    ricorrenti,    chiedendo
l'accoglimento  delle  questioni  sulla  base  di  argomenti,   anche
ribaditi nella memoria illustrativa, sostanzialmente coincidenti  con
quelli svolti dal giudice a quo. 
    3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  o,
comunque, non fondate. 
    3.1.-  Secondo  la  difesa   dello   Stato,   la   corresponsione
dell'indennita' di amministrazione al  personale  MAECI  in  servizio
all'estero sarebbe stata esclusa dalla contrattazione collettiva,  in
sede di configurazione dell'emolumento. 
    In  ogni  caso,  a   fronte   del   contrasto   giurisprudenziale
riguardante la cumulabilita' dell'indennita' di  amministrazione  con
l'indennita' di servizio all'estero, l'intervento del legislatore del
2011 avrebbe legittimamente chiarito la  portata  dell'art.  170  del
d.P.R. n. 18 del  1967,  per  evitare  ingiustificate  disparita'  di
trattamento in favore del personale in servizio all'estero. 
    4.-  Preliminarmente  deve  essere   esaminata   l'eccezione   di
inammissibilita' delle questioni, formulata dalla difesa statale, per
mancata ricostruzione del quadro normativo  di  riferimento,  che  si
rifletterebbe sulla stessa adeguatezza della motivazione in punto  di
rilevanza. 
    4.1.- L'eccezione muove dall'esame dei contratti  collettivi  del
comparto Ministeri da cui, secondo la difesa statale, si  ricaverebbe
che l'indennita'  di  amministrazione,  indipendentemente  dalla  sua
natura, non avrebbe potuto,  in  ogni  caso,  essere  corrisposta  al
personale in servizio all'estero. 
    L'art.  34  del  CCNL  del  comparto  Ministeri  1994/1998,   nel
configurare  l'indennita'  di  amministrazione  come  elemento  della
retribuzione accessoria mensile, rinviava alla Tabella 2, Allegato  B
(recte: Tabella 1, Allegato B) per la definizione delle voci e  quote
di retribuzione accessoria riferite a ciascuna  amministrazione.  Con
riferimento al personale del Ministero degli affari esteri, la citata
Tabella  precisava  che  gli  importi  ivi  indicati  si   riferivano
«esclusivamente al personale in servizio sul territorio nazionale». 
    La difesa statale eccepisce che l'ordinanza di rimessione,  senza
farsi carico di esaminare compiutamente la normativa richiamata,  non
ha tenuto conto della circostanza che la domanda dei  ricorrenti  nel
giudizio a quo riguardava i periodi di servizio  all'estero,  periodi
in cui comunque l'indennita' di amministrazione  non  avrebbe  dovuto
essere erogata, in base ai contratti collettivi. 
    5.- L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo    la     costante     giurisprudenza     costituzionale,
l'applicabilita' della disposizione censurata al giudizio  principale
e' sufficiente a radicare la rilevanza  delle  questioni  prospettate
(ex plurimis, sentenze n. 259 e n. 152 del 2021, n. 174 del 2019 e n.
213 del 2018). 
    Nella specie, dopo avere diffusamente ricostruito  la  disciplina
dell'indennita'  di  amministrazione,  la  Corte  di  cassazione   ha
motivato non implausibilmente circa le ragioni  per  cui  ritiene  di
dover fare applicazione dell'art. 1-bis del d.l.  n.  138  del  2011,
come convertito, che espressamente vieta - con effetto ex tunc  -  la
corresponsione della predetta  indennita'  nei  periodi  di  servizio
all'estero, innovando rispetto ai contratti collettivi. 
    Quanto al dedotto travisamento del quadro normativo,  l'eccezione
si  risolve  nell'addebito  di  un'erronea  valutazione  delle  fonti
legislative  e  contrattuali  rilevanti  ai  fini  della   disciplina
dell'indennita' di amministrazione, che attiene al merito. 
    6.- Le questioni che prospettano la violazione degli artt. 3, 24,
primo comma, 102, 111 e 117,  primo  comma,  Cost.,  quest'ultimo  in
relazione all'art. 6 CEDU, sono fondate. 
    6.1.- L'art. 1-bis del d.l. n. 138  del  2011,  come  convertito,
impone anche per il passato il divieto di corrispondere  l'indennita'
di amministrazione al personale non diplomatico del MAECI nei periodi
di servizio all'estero, ed e' sotto questo profilo che  la  norma  e'
oggetto di censura. 
    Il tema del  decidere  devoluto  a  questa  Corte  e'  dunque  da
intendersi  delimitato  alla   disposizione   censurata   in   quanto
applicabile  ai  fatti  antecedenti  al  17  settembre   2011,   data
dell'entrata in vigore della disposizione medesima. 
    La genesi della pretesa dei ricorrenti  risiede,  infatti,  nella
prestazione di lavoro da essi svolta all'estero, cui  avrebbe  dovuto
corrispondere,  fra  le  altre   voci   della   retribuzione,   anche
l'indennita' di amministrazione. 
    Rilevano, pertanto, ai fini  del  presente  scrutinio,  i  limiti
generali all'efficacia retroattiva delle leggi che, al di fuori della
materia penale,  questa  Corte  ha  individuato  nei  principi  della
ragionevolezza,  della  tutela  del  legittimo   affidamento,   della
coerenza  e  certezza   dell'ordinamento   e   del   rispetto   delle
attribuzioni costituzionalmente riservate alla  funzione  giudiziaria
(ex plurimis, sentenze n. 210 del 2021, n. 174 del 2019, n.  170  del
2013, n. 78 del 2012 e n. 209 del 2010). 
    7.- Prima di esaminare le censure, giova ricostruire  in  sintesi
il quadro normativo di riferimento in cui si  e'  inserita  la  norma
oggetto di scrutinio, e dare conto del contenzioso che si era formato
riguardo alla cumulabilita' dell'indennita' di amministrazione con il
trattamento complessivo,  specificamente  previsto  per  il  servizio
all'estero, dal d.P.R. n. 170 del 1967. 
    7.1.- A seguito della  cosiddetta  privatizzazione  del  pubblico
impiego (operata dal d.lgs. n. 29 del 1993), si e'  assistito  a  una
progressiva valorizzazione dei  contratti  collettivi,  a  fronte  di
disposizioni di legge preesistenti, salvo che non vi fossero espresse
disposizioni in senso contrario (sentenza n. 507  del  2000).  Questo
peculiare sistema di delegificazione, che ha subito nel tempo  alcune
modifiche rispetto all'impianto originario, ha sempre riservato  alla
contrattazione collettiva un ruolo  centrale  nella  definizione  dei
trattamenti retributivi. 
    Istituita con il primo CCNL  del  comparto  Ministeri  1994/1997,
firmato il 16 maggio 1995, in  attuazione  dell'art.  72  del  citato
d.lgs. n. 29 del 1993, l'indennita' di amministrazione e' sorta  come
trattamento accessorio della retribuzione, collegata alla presenza in
servizio e commisurata ai compensi mensili percepiti. 
    Il CCNL 1998/2001, firmato il 16 febbraio  1999,  come  integrato
dal  CCNL  del  16  maggio  2001,  ha   definitivamente   configurato
l'indennita' di amministrazione quale voce retributiva, corrisposta a
tutti  i  dipendenti  ministeriali  in  misura  fissa  e  per  dodici
mensilita', utile ai fini del calcolo dell'indennita' di  buonuscita,
del TFR e dell'indennita' di preavviso (art. 33). 
    Il CCNL 1998/2001 ha inoltre  disposto,  all'art.  39,  comma  1,
lettera e), la disapplicazione  delle  disposizioni  contenute  negli
articoli dal 29 al 37 del CCNL 1994/1997, facendo cosi' venir meno la
vigenza dell'art. 34 di quest'ultimo CCNL, e con esso del  richiamato
Allegato B, dove si precisava che gli importi mensili corrisposti  ai
dipendenti del MAECI si riferivano esclusivamente  al  personale  che
prestava servizio sul territorio nazionale. 
    Negli anni successivi, fino al «blocco»  menzionato  dalla  Corte
rimettente, disposto dal d.l. n. 78 del 2010 e dal  d.l.  n.  98  del
2011, la contrattazione collettiva del  comparto  di  riferimento  e'
intervenuta sull'indennita' di  amministrazione  per  aumentarne  gli
importi, anche a fini perequativi. 
    7.2.- Nel contesto normativo richiamato, in cui  l'indennita'  di
amministrazione   costituiva   una   componente   continuativa    del
trattamento economico erogato a tutti i dipendenti ministeriali  (tra
le tante, Corte di cassazione,  sezioni  unite,  sentenza  13  luglio
2005, n. 14698), era sorto il contenzioso fra l'Amministrazione degli
affari esteri e il personale che aveva prestato servizio  all'estero,
per  il  riconoscimento  dell'indennita'  di  amministrazione   anche
durante tale servizio. 
    La disposizione che disciplinava il trattamento del personale del
MAECI all'estero (art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967)  prevedeva,  al
primo comma, che fossero dovuti, «oltre allo stipendio e agli assegni
di  carattere  fisso  e   continuativo   previsti   per   l'interno»,
l'indennita'  di  servizio   all'estero   e   le   altre   competenze
eventualmente spettanti in base alle disposizioni dello stesso d.P.R.
Il medesimo art. 170, al secondo comma, stabiliva che «[n]essun'altra
indennita'  ordinaria  e  straordinaria  puo'  essere   concessa,   a
qualsiasi titolo, al personale  suddetto  in  relazione  al  servizio
prestato all'estero in aggiunta al trattamento previsto dal  presente
decreto». 
    7.3.- La giurisprudenza di merito largamente maggioritaria si era
orientata per l'assimilabilita'  dell'indennita'  di  amministrazione
«agli  assegni  di  carattere  fisso  e  continuativo  previsti   per
l'interno» (ex plurimis, Tribunale di Roma, sezione lavoro,  sentenza
7 luglio 2011, n. 12736), come emerge anche  dai  lavori  preparatori
dell'art. 1-bis del d.l. n. 138 del 2011. 
    Nella relazione  tecnica  all'emendamento  1.0.35  presentato  al
Senato  della  Repubblica  in  sede  di  conversione  in  legge,  con
modificazioni, del d.l.  n.  138  del  2011,  si  dava  atto  che  il
contenzioso riferito all'indennita' di  amministrazione  constava  di
trentadue ricorsi, per un numero complessivo di 1131 dipendenti,  dei
quali 454 avevano ottenuto sentenza favorevole; che  le  sentenze  di
primo grado gia' emesse erano otto, ed altrettante erano le  sentenze
che avevano deciso in senso  sfavorevole  per  l'Amministrazione.  Si
stimava inoltre il presumibile impatto economico di tale  contenzioso
nei successivi cinque anni. 
    La ratio della norma oggetto  di  emendamento  era  espressamente
individuata nell'esigenza di chiarire la portata  dell'art.  170  del
d.P.R. n. 18 del 1967, per «porre termine al  contenzioso  «seriale»,
riferito sia all'indennita' di  amministrazione,  sia  all'indennita'
integrativa speciale, [...] dal quale possono derivare ingenti  oneri
a carico della finanza pubblica». 
    8.- Lo  scrutinio  della  disposizione  censurata  non  puo'  che
muovere dalla verifica della sua ragionevolezza. Tale scrutinio si fa
ancor  piu'  rigoroso,  quando  si  incentra  sul  principio  di  non
retroattivita' della  legge,  inteso  quale  fondamentale  valore  di
civilta' giuridica, non solo nella materia penale (art. 25 Cost.), ma
anche in altri settori dell'ordinamento (sentenze n. 174 del 2019, n.
73 del 2017, n. 260 del 2015 e n. 170 del 2013). 
    A tal fine, va subito chiarito che il censurato art. 1-bis, nella
parte in cui fa riferimento all'indennita' di amministrazione, non e'
qualificabile come norma di interpretazione autentica  dell'art.  170
del d.P.R. n. 18 del 1967. Essa, lungi dall'enucleare  una  possibile
variante  di  senso  della  disposizione  originaria,  introduce  una
disciplina innovativa con effetti retroattivi. 
    8.1.- Decisivo risulta l'esame dei primi due commi dell'art.  170
del d.P.R. n. 18 del  1967,  da  cui  si  ricava  che  l'intento  del
legislatore era stato di  evitare,  durante  i  periodi  di  servizio
all'estero, il cumulo di trattamenti di carattere indennitario. 
    L'art. 170 distingue, infatti, gli emolumenti dovuti  durante  il
servizio  all'estero  -stipendio  e  «assegni  a  carattere  fisso  e
continuativo previsti per l'interno» -  dalle  «altr[e]  indennita'»,
non cumulabili con quelle previste dal  medesimo  d.P.R.  n.  18  del
1967. 
    L'indennita' di amministrazione - istituita molti anni dopo -  in
ragione della sua natura retributiva, con caratteristiche di fissita'
e continuativita', nonche' di generalita' nell'applicazione a tutti i
dipendenti ministeriali, si sottraeva al divieto di cumulo in  quanto
riconducibile agli emolumenti  «di  carattere  fisso  e  continuativo
previsti per l'interno». 
    La disposizione censurata, nella parte in cui dispone il  divieto
di cumulo dell'indennita'  di  amministrazione  con  l'indennita'  di
servizio all'estero, ha dettato una disciplina non  coerente  con  il
dato testuale e con la ratio della disposizione originaria  contenuta
nell'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967. Si deve pertanto  attribuire
all'art. 1-bis una portata innovativa. 
    8.2.- Depone in questo senso anche la distanza temporale  tra  le
due  disposizioni,  non  ridotta  dalle  modifiche,  apportate  medio
tempore al d.P.R. n. 18 del 1967, che  non  riguardano  i  primi  due
commi dell'art. 170. Ne' si puo' trascurare  la  circostanza  che  il
divieto di corrispondere al personale in servizio  all'estero  «altre
indennita'» oltre quelle previste dallo stesso d.P.R. n. 18 del  1967
non poteva riguardare l'indennita' di amministrazione, a  quel  tempo
non esistente. 
    9.-  Risulta  inoltre  condivisibile  il  rilievo   della   Corte
rimettente, secondo cui il contenzioso formatosi sulla  cumulabilita'
dell'indennita' di amministrazione con quella di servizio  all'estero
non e' sorto a causa  dell'ambiguita'  della  disposizione  contenuta
nell'art. 170 del  d.P.R.  n.  18  del  1967,  ma  ha  riguardato  la
qualificazione   dell'indennita'   di   amministrazione.   Una   tale
operazione ermeneutica  richiedeva,  come  chiarito  da  tempo  dalla
giurisprudenza  amministrativa  con  riferimento  ad  altri  casi  di
divieto di cumulo (ex plurimis, Consiglio di Stato,  sezione  quarta,
sentenza 11 aprile 2007, n. 1598), l'individuazione  della  specifica
natura  dell'emolumento,  indipendentemente  dal  nomen  iuris  dello
stesso. 
    9.1.- In applicazione  del  criterio  che  vieta  il  cumulo,  la
giurisprudenza di legittimita' ha risolto un altro contenzioso, sorto
in riferimento all'indennita' integrativa speciale, anch'essa oggetto
del divieto sancito dal legislatore del 2011 con la norma  censurata.
Anche se tale indennita' esula dai confini del presente giudizio,  un
riferimento alla stessa serve a chiarirne  la  diversa  funzione,  di
natura solo compensativa. 
    Muovendo dal rilievo  che  l'indennita'  integrativa  speciale  e
l'indennita'   di   servizio   all'estero   hanno   entrambe   natura
compensativa, diversamente  dall'indennita'  di  amministrazione,  la
Corte di cassazione ha ritenuto che l'art. 1-bis del d.l. n. 138  del
2011, come convertito, nella parte in cui  ne  vieta  il  cumulo,  e'
norma di genuina interpretazione autentica dell'art. 170  del  d.P.R.
n.  18  del  1967.  La  corresponsione  dell'indennita'   integrativa
speciale durante i periodi di servizio all'estero avrebbe dato  luogo
ad  una  duplicazione  di  emolumenti  aventi  natura  per  l'appunto
compensativa (Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza 5 maggio
2021, n. 11759). 
    10.-   Con   riguardo    all'indennita'    di    amministrazione,
l'autoqualificazione della  disposizione  censurata  quale  norma  di
interpretazione autentica si rivela erronea  e  cio'  costituisce  un
sintomo  inequivocabile  di   un   uso   improprio   della   funzione
legislativa, da cui deriva un intrinseco  difetto  di  ragionevolezza
quanto alla retroattivita' del novum da essa introdotto (ex plurimis,
sentenze n. 133 del 2020, n. 108 del 2019 e n. 73 del 2017). 
    In uno scrutinio stretto di costituzionalita', che si  impone  in
questo caso, poiche' serve riscontrare non «la mera assenza di scelte
normative manifestamente irragionevoli, ma l'effettiva sussistenza di
giustificazioni   ragionevoli   dell'intervento   legislativo»    (ex
plurimis, sentenze n. 108 del  2019  e  n.  173  del  2016),  occorre
verificare se le giustificazioni,  poste  alla  base  dell'intervento
legislativo a carattere retroattivo, prevalgano rispetto  ai  valori,
costituzionalmente tutelati, potenzialmente lesi da tale efficacia  a
ritroso. Tali valori sono individuati nel legittimo  affidamento  dei
destinatari della regolazione originaria, nel principio di certezza e
stabilita' dei  rapporti  giuridici,  nel  giusto  processo  e  nelle
attribuzioni costituzionalmente riservate al potere  giudiziario  (ex
plurimis, sentenze n. 104 e n. 61 del 2022, n. 210 del 2021,  n.  133
del 2020 e n. 73 del 2017). 
    10.1.- Secondo  il  costante  orientamento  della  giurisprudenza
costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 46 del 2021, n. 156 del 2014
e n. 78 del 2012), l'efficacia retroattiva della legge  deve  trovare
adeguata giustificazione nell'esigenza di tutelare principi,  diritti
e beni  di  rilievo  costituzionale,  che  costituiscono  altrettanti
«motivi imperativi di interesse generale», cosi' come chiarito  dalla
Corte EDU in plurime occasioni. 
    I soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a
reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a
giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi  sui
giudizi in corso (sentenze n. 174 e n. 108 del 2019,  e  n.  170  del
2013). L'efficacia retroattiva della legge, finalizzata a  preservare
l'interesse economico dello Stato che sia parte di giudizi in  corso,
si pone in evidente e aperta frizione con  il  principio  di  parita'
delle armi nel processo  e  con  le  attribuzioni  costituzionalmente
riservate all'autorita' giudiziaria (ex plurimis, sentenze n. 12  del
2018 e n. 209 del 2010). 
    11.-  Quanto  al  sindacato  di  costituzionalita'  sulle   leggi
retroattive, questa Corte ha costruito nel tempo una solida  sinergia
fra principi costituzionali interni e principi contenuti  nella  CEDU
(ex plurimis, sentenze n. 12 del 2018 e n. 191 del 2014).  Anche  nel
caso in esame, i parametri interni evocati si prestano a essere letti
in  stretto  coordinamento  con  quelli  convenzionali,  al  fine  di
massimizzarne l'espansione in un «rapporto di integrazione reciproca»
(da ultimo, sentenza n. 46 del 2021). 
    In particolare l'art. 24, primo comma, Cost.,  nel  garantire  il
diritto inviolabile di agire in giudizio a tutela dei propri  diritti
e interessi legittimi, deve essere letto congiuntamente non solo  con
l'art.  102  Cost.,  che  tutela   le   attribuzioni   dell'autorita'
giudiziaria, ma anche con l'art. 111  Cost.,  posto  a  presidio  del
giusto processo. 
    L'insieme dei parametri indicati converge nella tutela  garantita
dall'art. 6 CEDU. 
    A tale proposito, la giurisprudenza della Corte EDU  e'  costante
nell'affermare che, seppure in linea di principio non e' precluso  al
legislatore  disciplinare,  con  nuove  disposizioni  dalla   portata
retroattiva, diritti risultanti da leggi  in  vigore,  tuttavia,  «il
principio della preminenza del diritto e il concetto di processo equo
sanciti dall'art. 6 ostano,  salvo  che  per  imperative  ragioni  di
interesse   generale,   all'ingerenza    del    potere    legislativo
nell'amministrazione della giustizia al fine di  influenzare  l'esito
giudiziario di una controversia» (ex  plurimis,  sentenze  24  giugno
2014, Azienda  agricola  Silverfunghi  sas  e  altri  contro  Italia,
paragrafo  76;  25  marzo  2014,  Biasucci  e  altri  contro  Italia,
paragrafo 47; 14  gennaio  2014,  Montalto  e  altri  contro  Italia,
paragrafo 47; 7 giugno 2011, Agrati e altri contro Italia,  paragrafo
58). 
    Le  leggi  retroattive  o  di   interpretazione   autentica   che
intervengono in pendenza di giudizi di cui lo Stato e' parte, in modo
tale da influenzarne l'esito, comportano un'ingerenza nella  garanzia
del diritto a un processo equo e violano un principio dello stato  di
diritto garantito dall'art. 6 CEDU. 
    11.1.- La Corte EDU afferma, inoltre, che  le  considerazioni  di
natura finanziaria  non  possono,  da  sole,  autorizzare  il  potere
legislativo  a  sostituirsi  al  giudice  nella   definizione   delle
controversie (ex plurimis, sentenze 29 marzo  2006,  Scordino  contro
Italia,  paragrafo  132;  31  maggio  2011,  Maggio  contro   Italia,
paragrafo 47; 15 aprile  2014,  Stefanetti  e  altri  contro  Italia,
paragrafo 39). 
    12.- Con riguardo alla norma censurata, lo  scopo  dichiarato  di
porre   fine   al   contenzioso   «seriale»,    che    aveva    visto
l'Amministrazione  soccombente,  non  consente  di  invocare   motivi
imperativi  di  interesse  generale,  non  esplicitati   nei   lavori
preparatori e neppure ricavabili dall'esame del quadro normativo. 
    12.1.- Non ricorrono le condizioni che,  in  taluni  casi,  hanno
indotto la Corte EDU  a  ritenere  legittimi  interventi  legislativi
retroattivi. 
    Si e' trattato di situazioni in cui i soggetti ricorrenti avevano
tentato  di  approfittare  dei  difetti  tecnici  della  legislazione
(sentenza 23 ottobre 1997, National & Provincial Building  Society  e
Yorkshire Building Society contro  Regno  Unito,  paragrafo  112),  o
avevano cercato di ottenere vantaggi da una lacuna della legislazione
medesima, cui l'ingerenza del  legislatore  mirava  a  porre  rimedio
(sentenza del 27 maggio 2004, OGIS-Institut Stanislas, OGEC Saint-Pie
X, Blanche de Castille e altri contro Francia, paragrafo 69). 
    Nessuna di queste evenienze e' riscontrabile nella fattispecie in
esame. 
    Il  testo  della  legge  su  cui   interviene   la   disposizione
fittiziamente  interpretativa,  seppure  risalente,  non   presentava
imperfezioni tecniche macroscopiche, ne' dava luogo  a  significative
sperequazioni,  che  avrebbero  potuto  giustificare  un   intervento
retroattivo del legislatore, come questa Corte  ha  altrove  rilevato
(sentenza n. 46 del 2021). 
    12.2.- In conclusione, la disposizione censurata, nella parte  in
cui  vieta  la  corresponsione  dell'indennita'  di   amministrazione
durante il servizio all'estero, ha modificato la  disciplina  dettata
dall'art. 170 del d.P.R. n. 18 del 1967, che si limitava a vietare il
cumulo di emolumenti di natura compensativa, ulteriori rispetto  alle
indennita' specificamente previste nel  medesimo  d.P.R.  n.  18  del
1967. Le pretese delle  parti  coinvolte  nel  contenzioso  risultano
incardinate nelle fattispecie  sorte  prima  dell'entrata  in  vigore
della disposizione con efficacia retroattiva, proprio perche' volte a
preservare la corrispettivita' fra prestazioni  svolte  all'estero  e
trattamento retributivo complessivo. Soltanto su tali fattispecie  si
e' concentrato l'odierno scrutinio di legittimita' costituzionale. 
    13.- Si deve pertanto dichiarare l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 1-bis del d.l. n. 138  del  2011,  come  convertito,  nella
parte in cui dispone,  per  le  fattispecie  sorte  prima  della  sua
entrata in vigore,  che  il  trattamento  economico  complessivamente
spettante  al  personale  dell'Amministrazione  affari  esteri,   nel
periodo di servizio all'estero, anche con riferimento allo  stipendio
e agli  assegni  di  carattere  fisso  e  continuativo  previsti  per
l'interno, non include l'indennita' di amministrazione. 
    Resta  ferma  l'applicabilita'   della   disposizione   a   fatti
successivi a tale data. 
    Restano infine assorbite le  ulteriori  censure  formulate  dalla
Corte rimettente. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1-bis  del
decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la
stabilizzazione finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con
modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, nella parte  in
cui dispone, per le fattispecie sorte  prima  della  sua  entrata  in
vigore, che il trattamento economico  complessivamente  spettante  al
personale dell'Amministrazione affari esteri, nel periodo di servizio
all'estero, anche con riferimento allo stipendio e  agli  assegni  di
carattere fisso e continuativo previsti per  l'interno,  non  include
l'indennita' di amministrazione. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Silvana SCIARRA, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 13 giugno 2022. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE