N. 34 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 25 maggio 2022
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 25 maggio 2022 (del Presidente del Consiglio dei ministri). Agricoltura e zootecnica - Indicazione geografica e denominazione di origine - Norme della Regione Siciliana - Previsione che promuove l'istituzione della denominazione comunale (De.Co.), quale strumento per la salvaguardia, la tutela e la diffusione delle produzioni agroalimentari ed enogastronomiche territoriali - Promozione della conoscenza dei Comuni e dei relativi prodotti a denominale comunale, mediante l'istituzione del Registro regionale telematico, presso l'assessorato regionale dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea - Denominazione comunale (De.Co.) quale attestazione di identita' territoriale, deliberata dal Consiglio comunale su proposta della Giunta comunale, che individua l'origine e il legame storico culturale di un determinato prodotto con il territorio comunale - Previsione che per prodotti a denominazione comunale si intendono i "prodotti tipici", realizzati in concomitanza di fattori riconducibili alla localizzazione geografica dell'area di produzione o alle relative tecniche di preparazione, secondo modalita' consolidate nei costumi e nelle consuetudini locali - Previsione che per prodotti a denominazione comunale si intendono, altresi', i "prodotti tradizionali locali", cioe' quelli caratterizzati da metodi di lavorazione e trasformazione praticati su un territorio e consolidati nel tempo, per un periodo non inferiore a venti anni - Iniziative per la diffusione e la promozione dei prodotti iscritti al Registro regionale De.Co. - Legge della Regione Siciliana 18 marzo 2022, n. 3 (Istituzione e disciplina del Registro regionale telematico dei Comuni e dei relativi prodotti a denominazione comunale De.Co. Modifiche alla legge regionale 28 marzo 1995, n. 22), artt. 1, commi 1 e 3; 2; 3 e 4.(GU n.25 del 22-6-2022 )
Ricorso del Presidente del Consiglio dei ministri (C.F. 80188230587), rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato (C.F. 80224030587) presso cui e' domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12 (ags.rm@mailcert.avvocaturastato.it - fax 06/96514000); Contro la Regione Siciliana in persona del Presidente pro tempore della giunta regionale (C.F. 80012000826; PEC segreteria.generale@certmail.regione.sicilia.it - presidente@certmail.regione.sicilia.it - ufficio.legislativo.legale@certmail.regione.sicilia.it) Per la dichiarazione, giusta delibera del Consiglio dei ministri del 17 maggio 2022, di illegittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 3, degli articoli 2, 3, e 4 della legge regionale siciliana 18 marzo 2022, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 13 del 25 marzo 2022 - Supplemento ordinario - n. 14. La legge regionale in epigrafe reca, per quanto interessa il presente ricorso, la «Istituzione e disciplina del registro regionale telematico dei comuni e dei relativi prodotti a denominazione comunale De.Co.». L'art. 1, comma 1, dispone che la De.Co. e' «strumento per la salvaguardia, la tutela e la diffusione delle produzioni agroalimentari ed enogastronomiche territoriali, dell'artigianato, della biodiversita' nonche' per la difesa della storia, delle tradizioni e dei saperi locali e la promozione delle specificita' storiche e culturali dei territori comunali.». La De.Co. va a comporre un registro telematico regionale, che costituisce la struttura fondamentale del sistema di tutela ideato dalla legge. Il comma 3 dell'art. 1 prevede, infatti, che «3. Nel rispetto della normativa europea e nazionale in materia di protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari, la presente legge promuove la conoscenza, mediante l'istituzione del Registro regionale telematico di cui al successivo art. 3, dei comuni e dei relativi prodotti a denominale comunale.». Il registro e' disciplinato dall'art. 3 della legge, che lo colloca «presso l'Assessorato regionale dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea», e prevede che in esso «vengono iscritti i comuni e i relativi prodotti che ottengono il riconoscimento di De.Co.» (comma 1). Spetta all'assessore, giusta l'art. 3, comma 2, disciplinare in dettaglio, con proprio decreto, la struttura del registro e le condizioni e procedure di inserimento in esso di un comune e di un prodotto. In particolare, qui si prevede che il decreto, tra l'altro, «definisce gli adempimenti che i comuni richiedono per il riconoscimento delle denominazioni comunali e indica i modelli dei disciplinari di produzione da adottare per ottenere il riconoscimento di prodotto a denominazione comunale» (lettera d), secondo periodo); che il decreto debba «indicare la forma grafica del logo del registro regionale De.Co. e stabilirne le regole per la sua concessione» (lettera g)); e «definire gli ambiti di possibile conflitto con le produzioni agroalimentari tradizionali (P.A.T.) nel caso di concomitanza di riconoscimento e le modalita' di superamento dello stesso conflitto» (lettera l)). Le previsioni delle restanti lettere dell'art. 3, comma 2, hanno carattere meramente organizzativo e strumentale rispetto alle previsioni fondamentali contenute nei riportati articoli 1, commi 1 e 3, e 3, commi 1 e 2 lettera d), g) l). Tali restanti lettere, infatti, si prescrivono al decreto dell'Assessore di individuare gli uffici dell'amministrazione incaricati della tenuta del registro (lettera a)); di stabilire le sezioni e campi del registro telematico (lettera b)); di definire le procedure per l'iscrizione e l'aggiornamento delle iscrizioni nel registro (lettera c)); di prevedere, comunque, sezioni apposite per le eventuali denominazioni comunali gia' concesse dai comuni e per le eventuali denominazioni «intercomunali», cioe' riguardanti piu' «comuni limitrofi» (lettera e) ed f)); di individuare le modalita' e strategie di diffusione informativa e promozione del registro, e di comunicazione promozionale dei prodotti ivi iscritti (lettera h) ed i)). In questo contesto, assume allora importanza centrale l'art. 2 della legge, che stabilisce che cosa debba intendersi per De.Co., e quali siano le caratteristiche dei prodotti che possono ottenerla. Sotto il primo aspetto, l'art. 2, comma 1, prevede che «La denominazione comunale De.Co. e' una attestazione di identita' territoriale, deliberata dal consiglio comunale su proposta della giunta comunale, che individua l'origine ed il legame storico culturale di un determinato prodotto con il territorio comunale.». Come si vede, la De.Co. nell'intento del legislatore regionale e' uno strumento informativo, esteriorizzato dal logo previsto dall'art. 3, comma 2, lettera g), che mira a rendere esplicito e percepibile il collegamento tra un prodotto e un determinato territorio comunale, a cui lo legano l'origine e una relazione storica e culturale. Insomma, la De.Co. vuole identificare, onde valorizzarli, quei prodotti che siano realizzati in un dato territorio comunale, e che lo siano non accidentalmente, bensi' per effetto di un legame storico e culturale (di cultura materiale, potrebbe dirsi) tra quei prodotti e quel territorio, sicche' i prodotti sono espressione non solo della tecnica produttiva che li sottende, ma innanzitutto dalla specifica identita' territoriale di quel Comune, dalla quale traggono, cosi', un valore peculiare. Sotto il secondo aspetto, l'art. 2, nel comma 2, distingue i «prodotti tipici» e i «prodotti tradizionali locali». Solo prodotti cosi' qualificabili possono ricevere la De.Co.. I «prodotti tipici», stando alla lettera a) dell'art. 2, comma 2, sono soltanto prodotti agroalimentari nei quali «si realizza la concomitanza di fattori riconducibili alla localizzazione geografica dell'area di produzione o alle relative tecniche di preparazione». Infatti, «Tale prodotto puo' derivare da attivita' agricola, zootecnica, di pesca artigianale o dalla lavorazione e trasformazione di prodotti derivanti dalle stesse attivita', ottenuto o realizzato sul territorio comunale, secondo modalita' consolidate nei costumi e nelle consuetudini locali, anche mediante tecniche innovative che ne costituiscono il naturale sviluppo e aggiornamento. Per prodotto tipico si puo' intendere una ricetta o un prodotto ad alto valore storico della tradizione locale». Come si vede, cio' che identifica il prodotto (agroalimentare) tipico e' la modalita' di produzione, che deve essere radicata (anche se in forma aggiornata) nelle consuetudini del luogo di produzione, e deve comunque dare origine ad un prodotto che possieda un alto valore identificante del luogo a cui e' legato. Insomma, con la De.Co. attribuita ai «prodotti tipici» viene tutelata la riconoscibilita' di quei prodotti (agroalimentari) che traggono la propria qualita' specifica dalla tradizione produttiva locale e che, reciprocamente, finiscono per richiamare in chi li acquisti appunto il luogo di produzione, secondo un processo di valorizzazione reciproca tra il prodotto e il luogo di origine. Per «prodotti tradizionali locali», stando alla lettera b) dell'art. 2, comma 2, si intendono, invece, i prodotti, in teoria anche non agroalimentari, «caratterizzati da metodi di lavorazione e trasformazione praticati su un territorio e consolidati nel tempo, per un periodo non inferiore ai venti anni.». Riguardo a questi prodotti, il carattere determinante per attribuire loro rilevanza si fini della De.Co. e', come si vede, la durata almeno ventennale del metodo di lavorazione praticato in modo immutato («consolidato») nel territorio comunale. Sembra che la differenza rispetto ai prodotti di cui alla lettera a) consista essenzialmente nel poter essere, questi di cui alla lettera b), anche prodotti non agroalimentari, e nel non rivestire un carattere necessariamente identitario del luogo di produzione (nel senso della valorizzazione reciproca tra prodotto e luogo di cui si e' detto poco sopra), essendo essi soltanto il risultato di una produzione radicata in tale luogo. Sembra, quindi, che i «prodotti tradizionali locali» possano anche non provenire necessariamente dal luogo in cui si e' formata la metodica di lavorazione ad essi sottesa. Conseguenziale al sistema descritto dagli articoli ora commentati e' quanto previsto, infine, dall'art. 4 della legge regionale, giusta il quale «La regione, nel perseguire le finalita' della presente legge, valorizza i prodotti De.Co. iscritti nel registro regionale di cui all'articolo 3, testimonianza del territorio siciliano.». Le disposizioni illustrate sono costituzionalmente illegittime per i seguenti Motivi 1. Violazione dell'art. 117, commi 1, 2 lettera a) e 3 della Costituzione, e 14 dello Statuto della Regione Siciliana (approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, e convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2). 1.1. La materia delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, nelle loro varie forme di «denominazioni di origine protette», «indicazioni geografiche tipiche», e simili, e' ormai totalmente armonizzata a livello di diritto dell'Unione europea, in particolare con i regolamenti (CE) 21/11/2012, n. 1151/2012 «sui regimi di qualita' dei prodotti agricoli e alimentari», (CE) 17 dicembre 2013, n. 1308/2013 «recante organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli», 17 aprile 2019, n. 2019/787/UE «relativo alla definizione, alla designazione, alla presentazione e all'etichettatura delle bevande spiritose, all'uso delle denominazioni di bevande spiritose nella presentazione e nell'etichettatura di altri prodotti alimentari, nonche' alla protezione delle indicazioni geografiche delle bevande spiritose». La materia e' inoltre disciplinata in ambito internazionale, con riferimento anche ai prodotti non agroalimentari, dall'Accordo di Lisbona sulla protezione delle denominazioni d'origine e sulla loro registrazione internazionale del 31 ottobre 1958, ratificato con legge 28 aprile 1976, n. 424. Quest'ultimo e' stato di recente modificato e integrato con il c.d. «Atto di Ginevra» a cui l'Unione europea ha aderito con la decisione (UE) 2019/1754 del Consiglio del 7 ottobre 2019. Tutte le fonti sovranazionali e internazionali ora richiamate convergono nel qualificare come «indicazione geografica» o «denominazione di origine» di un prodotto quella che rappresenti il particolare legame tra il prodotto e un dato territorio motivato dal fatto che tale legame contribuisce alla qualita' o alla fama del prodotto. Infatti, nel regolamento n. 1151/2012, relativo ai prodotti agroalimentari diversi dal vino e dagli spiriti, si prevede all'art. 5, paragrafi 1 e 2: «1. Ai fini del presente regolamento, una "denominazione di origine" e' un nome, compreso un nome utilizzato tradizionalmente, che identifica un prodotto: a) originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati; b) la cui qualita' o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi intrinseci fattori naturali e umani; e c) le cui fasi di produzione si svolgono nella zona geografica delimitata. 2. Ai fini del presente regolamento, un'"ndicazione geografica" e' un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che identifica un prodotto: a) originario di un luogo, di una regione o di un paese determinati; b) alla cui origine geografica sono essenzialmente attribuibili una data qualita'; la reputazione o altre caratteristiche; e c) la cui produzione si svolge per almeno una delle sue fasi nella zona geografica delimitata.». Il regolamento n. 1151/2012 ha introdotto anche la figura della «specialita' tradizionale garantita», o STG, di cui all'art. 18, secondo cui «1. Un nome e' ammesso a beneficiare della registrazione come specialita' tradizionale garantita se designa uno specifico prodotto o alimento: a) ottenuto con un metodo di produzione, trasformazione o una composizione che corrispondono a una pratica tradizionale per tale prodotto o alimento; o b) ottenuto da materie prime o ingredienti utilizzati tradizionalmente.». Nell'art. 93, par. 1, del regolamento n. 1308/2013, relativo al vino, si trova disposto: «1. Ai fini della presente sezione si intende per: a) "denominazione d'origine", un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che serve a designare un prodotto di cui all'articolo 92, paragrafo 1: i) la cui qualita' o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente a un particolare ambiente geografico e ai suoi fattori naturali e umani; ii) originario di un luogo, di una regione o, in casi eccezionali, di un paese determinati; iii) ottenuto da uve che provengono esclusivamente da tale zona geografica; iv) la cui produzione avviene in detta zona geografica; e v) ottenuto da varieta' di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis. b) "indicazione geografica", un nome, compreso un nome usato tradizionalmente, che identifica un prodotto: i) le cui qualita', notorieta' o altre caratteristiche specifiche sono attribuibili alla sua origine geografica; ii) originario di un determinato luogo, regione o, in casi eccezionali, paese; iii) ottenuto con uve che provengono per almeno l'85 per cento esclusivamente da tale zona geografica; iv) la cui produzione avviene in detta zona geografica; e v) ottenuto da varieta' di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera o da un incrocio tra la specie Vitis vinifera e altre specie del genere Vitis.». L'art. 3 n. 4) del regolamento 2019/787, in materia di spiriti e bevande spiritose, prevede: «Ai fini del presente regolamento si applicano le definizioni seguenti: ... 4) "indicazione geografica", un'indicazione che permette di identificare una bevanda spiritosa come originaria del territorio di un paese, o di una regione o localita' di detto territorio, quando una determinata qualita', la reputazione o altre caratteristiche della bevanda spiritosa siano essenzialmente attribuibili alla sua origine geografica». Infine, l'art. 2, paragrafo 1, alinea i) e ii) dell'Accordo di Lisbona come integrato dall'Atto di Ginevra, prevede: «Il presente atto si applica a: (i.) qualsiasi denominazione protetta nella parte contraente di origine costituita dal nome di una zona geografica o contenente questo nome, o un'altra denominazione notoriamente riferita a tale zona utilizzata per designare un prodotto che ne e' originario, nel caso in cui la qualita' o i caratteri del prodotto sono dovuti esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico, inteso come insieme di fattori naturali e umani, e che ha conferito al prodotto la sua reputazione; nonche' (ii.) qualsiasi indicazione protetta nella parte contraente di origine costituita dal nome di una zona geografica o contenente questo nome, o un'altra indicazione notoriamente riferita a tale zona, che identifica un prodotto come originario di quella zona geografica, nel caso in cui una data qualita', reputazione o altri caratteri specifici del prodotto sono essenzialmente attribuibili all'origine geografica.». Tutte le fonti sovranazionali e internazionali citate, oltre a riferire la denominazione o indicazione geografica protetta al particolare legame tra il prodotto e il territorio, tale che la qualita' o la reputazione del prodotto siano attribuibili essenzialmente alla sua origine geografica, prevedono un sistema di registrazione elettronica. Si vedano gli articoli 11 e 22 del regolamento n. 1151/2012, 104 del regolamento n. 1308/2013, 33 del regolamento n. 2019/787, 4 - 6 dell'Atto di Ginevra integrativo dell'Accordo di Lisbona. La registrazione dell'indicazione o denominazione geografica o garantita avviene in tutti i casi all'esito di una procedura che verifica la rispondenza del prodotto alle definizioni legali sopra riportate, e conferisce ai produttori di esso il diritto ad essere protetti contro tutti gli usi illegali della denominazione stessa. Si veda a titolo di esempio l'art. 13 del regolamento n. 1151/2012 (disposizioni analoghe si trovano nelle altre fonti), giusta il quale (paragrafo 1, lettera a), b), c)): «1. I nomi registrati sono protetti contro: a) qualsiasi impiego commerciale diretto o indiretto di un nome registrato per prodotti che non sono oggetto di registrazione, qualora questi ultimi siano comparabili ai prodotti registrati con tale nome o l'uso di tale nome consenta di sfruttare, indebolire o svigorire la notorieta' del nome protetto, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; b) qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera dei prodotti o servizi e' indicata o se il nome protetto e' una traduzione o e' accompagnato da espressioni quali «stile», «tipo», «metodo», «alla maniera», «imitazione» o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente; c) qualsiasi altra indicazione falsa o ingannevole relativa alla provenienza, all'origine, alla natura o alle qualita' essenziali del prodotto usata sulla confezione o sull'imballaggio, nel materiale pubblicitario o sui documenti relativi al prodotto considerato nonche' l'impiego, per il confezionamento, di recipienti che possano indurre in errore sulla sua origine; d) qualsiasi altra pratica che possa indurre in errore il consumatore sulla vera origine del prodotto.». La registrazione e la tutela dei prodotti in questione, alla stregua dei regolamenti e degli accordi internazionali menzionati, si basano, poi, sulla predisposizione di «disciplinari» di produzione, la conformita' ai quali e' condizione perche' un prodotto ottenga la registrazione. Si veda, sempre a titolo di esempio, l'art. 7 del regolamento n. 1151/2012, giusta il quale: «1. Una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta deve rispettare un disciplinare che comprende almeno i seguenti elementi: a) il nome da proteggere come denominazione di origine o indicazione geografica, quale utilizzata nel commercio o nel linguaggio comune, e solo nelle lingue attualmente o storicamente utilizzate per descrivere il prodotto specifico nella zona geografica delimitata; b) la descrizione del prodotto, comprese se del caso le materie prime, nonche' le principali caratteristiche fisiche, chimiche, microbiologiche od organolettiche del prodotto; c) la definizione della zona geografica delimitata riguardo al legame di cui alla lettera f), punto i) o punto ii), del presente paragrafo e, se del caso, gli elementi che indicano il rispetto delle condizioni di cui all'articolo 5, paragrafo 3; d) gli elementi che dimostrano che il prodotto e' originario della zona geografica delimitata di cui all'articolo 5, paragrafo l° 2; e) la descrizione del metodo di ottenimento del prodotto e, se del caso, dei metodi locali, leali e costanti nonche' informazioni relative al confezionamento, quando il gruppo richiedente stabilisce in tal senso e fornisce sufficienti motivazioni specifiche per prodotto percui il confezionamento deve aver luogo nella zona geografica delimitata per salvaguardare la qualita', garantire l'origine o assicurare il controllo, tenendo conto del diritto dell'Unione, in particolare della libera circolazione dei prodotti e della libera prestazione di servizi; f) gli elementi che stabiliscono: i) per quanto riguarda una denominazione d'origine protetta, il legame fra la qualita' o le caratteristiche del prodotto e l'ambiente geografico di cui all'articolo 5, paragrafo 1; dettagli riguardanti i fattori umani dell'ambiente geografico che possono, se del caso, limitarsi a una descrizione del suolo e della gestione del paesaggio, delle pratiche di coltivazione o di qualunque altro contributo umano volto al mantenimento dei fattori naturali dell'ambiente geografico di cui a tale paragrafo; ii) per quanto riguarda un'indicazione geografica protetta, il legame fra una data qualita', la reputazione o un'altra caratteristica del prodotto e l'origine geografica di cui all'articolo 5, paragrafo 2; g) il nome e l'indirizzo delle autorita' o, se disponibili, il nome e l'indirizzo degli organismi che verificano il rispetto delle disposizioni del disciplinare a norma dell'articolo 37, e i relativi compiti specifici; h) qualsiasi regola specifica per l'etichettatura del prodotto in questione. Il disciplinare puo' contenere una descrizione del contributo della denominazione d'origine o dell'indicazione geografica allo sviluppo sostenibile.». Analoghi sono l'art. 19 dello stesso regolamento a proposito delle STG, e l'art. 94, par. 2 del regolamento n. 1308/2013. Il regime posto dalle citate fonti europee e internazionali e', nell'ambito dell'ordinamento interno, esclusivo. Il regime europeo, in particolare, deriva, come si vede, da regolamenti, cioe' da fonti normative dotate di efficacia diretta e immediata nell'ordinamento interno (art. 288, par. 2, TFUE), che impedisce di «duplicare» la disciplina del regolamento UE con fonti interne aventi contenuto ed effetti in tutto o in parte sovrapponibili. E', invero, giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia quella secondo cui: «8 Quando, in forza dell'art. 40 del trattato, la Comunita' emana regolamenti che istituiscono un'organizzazione comune del mercato in un determinato settore, gli Stati membri sono tenuti ad astenersi da qualsiasi provvedimento che deroghi a tali regolamenti o ne pregiudichi l'efficacia. 9 La compatibilita' delle disposizioni citate dal giudice nazionale con i regolamenti comunitari va esaminata alla luce non solo di quanto espressamente disposto da detti regolamenti, ma anche dello scopo e degli obiettivi di questi.» (Corte di giustizia CEE, sentenza 2 febbraio 1977, causa C-50/76, Amsterdam Bulb, punti 8 e 9). Cio' deriva dalla premessa, enunciata nei punti da 4 a 7 della sentenza ora citata, secondo cui: «l'efficacia diretta dei regolamenti comunitari implica che la loro entrata in vigore e la loro applicazione nei confronti dei singoli non abbisognano di alcun atto di ricezione nel diritto interno. Gli Stati membri sono tenuti, in forza degli obblighi che derivano dal trattato, a non ostacolare l'efficacia diretta propria dei regolamenti e di altre norme comunitarie. L'osservanza scrupolosa di tale obbligo e' una condizione indispensabile per l'applicazione simultanea e uniforme dei regolamenti comunitari nell'intera Comunita'. Di conseguenza, gli Stati membri non possono emanare, ne' consentire agli enti nazionali muniti di potesta' normativa di emanare, atti che nascondano agli amministrati la natura comunitaria di una norma giuridica e gli effetti che ne derivano.». Posti questi principi, nel presente caso si tratta di stabilire se le disposizioni regionali sopra commentate siano sovrapponibili, o comunque siano suscettibili di recare ostacolo, alla piena applicazione nell'ordinamento interno delle fonti europee e internazionali richiamate. Come si e' visto commentandole in premessa, le norme regionali in esame istituiscono le denominazioni comunali De.Co. (art. 1, comma 1), e ne prevedono la registrazione (art. 1, comma 3; art. 3, comma 1). Regolano tali denominazioni e tale registrazione facendone l'oggetto di un procedimento di registrazione basato sulla verifica della rispondenza del prodotto ad un disciplinare (art. 3, comma 2, lettera c) e d), che ha come effetto il diritto del prodotto di fregiarsi dell'apposito logo regionale attestante la sua qualita' di prodotto «De.Co.» (art. 3, comma 2 lettera g)). Sotto tutti questi aspetti, e' evidente la sovrapposizione della normativa regionale rispetto alla normativa europea e internazionale che si e', del pari, illustrata. Quanto alle caratteristiche dei prodotti che possono ambire alla De.Co., come si diceva e' nodale l'art. 2 della legge impugnata. Rinviando all'interpretazione di tale disposizione gia' operata in premessa, sembra anche a questo proposito evidente che la De.Co. non solo dipenda dal legame «genetico» tra il prodotto e un dato territorio, ma che tale legame rilevi, altresi', quale connotato integrante la qualita' o la rinomanza del prodotto (che a sua volta, proprio per questo, contribuisce alla notorieta' e all'attrattivita' del comune di origine). Come si e' visto, infatti, deve trattarsi di prodotti che manifestino il loro legame storico culturale con il territorio (art. 2, comma 1) a causa dell'impiego di «modalita' consolidate nei costumi e nelle consuetudini locali» (comma 2 lettera a)), o «praticati sul territorio e consolidati nel tempo» (comma 2, lettera b)); cioe' risultanti da metodi produttivi non presenti in altri territori comunali, e quindi di per se' qualificanti i prodotti in questione, che sono tali, insomma, solo perche' realizzati mediante i metodi produttivi caratteristici di quei territori e non di altri. Non si tratta, quindi, di un semplice legame di provenienza del prodotto dal territorio, ma della influenza determinante del metodo di produzione caratteristico di quel territorio nella definizione delle qualita', e in definitiva dell'identita', del prodotto stesso. Siamo, come si vede, al di fuori dell'ambito delle mere «indicazioni geografiche semplici», cioe' delle indicazioni che si limitano a legare il prodotto al luogo di origine, senza che tale relazione con tale luogo determini, altresi', la qualita' o la fama del prodotto. Ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia (sentenza 7 novembre 2000, causa C-312/98, Warsteiner, punti 42-45): «42. Si deve rilevare in seguito che, conformemente ai suoi artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1 e 2, il regolamento n. 2081/92 disciplina la protezione comunitaria delle denominazioni d'origine e delle indicazioni geografiche di cui al detto regolamento. 43. Orbene, ai sensi del suo art. 2, n. 2, lettera b), il regolamento n. 2081/92 ha ad oggetto solo le indicazioni geografiche per le quali esiste un nesso diretto tra una particolare qualita', la reputazione o un'altra caratteristica del prodotto, da un lato, e la sua origine geografica specifica, dall'altro (v., in tal senso, la citata sentenza Pistre e a., punto 35). 44. E' pacifico che le indicazioni di origine geografica semplici che, secondo i termini usati dal giudice nazionale nella questione pregiudiziale, non implicano nessun rapporto fra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica, non rientrano in questa definizione e non possono pertanto trovare protezione in virtu' del regolamento n. 2081/92. 45. Tuttavia, non vi e' nulla nel regolamento n. 2081/92 che indichi che tali indicazioni di origine geografica non possano essere tutelate in forza di una disciplina nazionale di uno Stato membro». Se, al contrario, il legame tra prodotto e territorio e' anche e soprattutto «qualitativo» e non meramente geografico, come indiscutibilmente emerge dalle definizioni normative contenute nell'art. 2 della legge regionale impugnata, la sovrapposizione di quest'ultima alla competenza esclusiva esercitata dall'Unione con i regolamenti illustrati e' inevitabile. Evidente e', poi, in ogni caso, la coincidenza tra i «prodotti tradizionali locali» di cui all'art. 2, comma 2, lettera b) della legge impugnata, e le STG di cui al regolamento 1151/2012: gli uni e le altre sono infatti connotati dall'impiego di un metodo di produzione tradizionale, che e' cio' che conferisce loro la caratteristica che li rende meritevoli di protezione. Dal contesto descritto scaturisce quindi sul piano sostanziale la violazione dell'art. 117, comma 1, della Costituzione, per avere la regione legiferato in difformita' dai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario con l'istituire un sistema di identificazione, registrazione e protezione di prodotti qualificati dalla loro origine territoriale idoneo a sostituirsi a quello disciplinato dal diritto dell'Unione nelle fonti «interposte» che si sono illustrate. E comunque, per quanto riguarda i «prodotti tradizionali locali», fermo tutto cio', per avere, inoltre, introdotto una figura del tutto sovrapponibile a quella della STG di cui al regolamento n. 1151/2012. Invero, non e' illegittimo soltanto l'art. 2, che definisce i prodotti suscettibili di De.Co. in modo analogo alle definizioni dei prodotti suscettibili di denominazione di origine o di indicazione geografica di registrazione STG di cui alle fonti europee e internazionali esaminate; ma conseguentemente sono illegittimi anche gli articoli 1 e 3 nelle parti indicate, perche' queste disposizioni, istituendo e articolando in dettaglio, la denominazione e la registrazione dei prodotti definiti dall'art. 2, costituiscono il necessario sviluppo applicativo di questo, e quindi rendono concreta la violazione costituzionale che discende dal contenuto di esso. Unitamente all'art. 117, comma 1, della Costituzione, e' violato di conseguenza l'art. 14 dello Statuto regionale siciliano nella parte in cui prevede che l'Assemblea legifera, tra l'altro in materia di agricoltura e di commercio, «nell'ambito della regione e nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato». Ad escludere il vizio qui denunciato non potrebbero valere le previsioni dell'art. 1, commi 2 e 4 (non impugnati), giusta i quali: «2. La De.Co. non e' un marchio di qualita' o di certificazione. Le denominazioni comunali sono istituite e disciplinate nell'esercizio delle funzioni proprie dei comuni indicate all'articolo 118, secondo comma, della Costituzione e all'articolo 2 della legge regionale 23 dicembre 2000, n. 30, recante "Norme sull'ordinamento degli enti locali". ... 4. Non possono essere inclusi nel registro regionale telematico De.Co. i prodotti interessati da indicazioni geografiche (DOP-IGP-STG) nonche' i prodotti inseriti nell'elenco di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 30 aprile 1998, n. 173, recante "Disposizioni in materia di contenimento dei costi di produzione per il rafforzamento strutturale delle imprese agricole, a norma dell'articolo 55, commi 14 e 15, della legge 27 dicembre 1997, n. 449". Nel caso di riconoscimento europeo di un prodotto De.Co. nonche' in caso di iscrizione nell'elenco di cui al predetto articolo 8 del decreto legislativo 173/1998, la denominazione comunale decade automaticamente.». Queste previsioni, anzi, confermano la sussistenza del vizio perche' pongono un rapporto di identita'/incompatibilita' tra le De.Co. e le DOP, IGT, STG, che non avrebbe senso se lo stesso legislatore regionale non fosse consapevole di avere configurato delle fattispecie identiche o per lo meno analoghe a quelle regolate in via esclusiva dalle citate fonti sovranazionali. In realta', le previsioni regionali qui impugnate chiaramente «anticipano» a livello regionale, ma con evidente proiezione sull'intero mercato nazionale, dell'Unione e dei paesi terzi, le forme di tutela assicurate dai regolamenti e dagli accordi commentati. Con la conseguenza che la loro attuazione si porrebbe inevitabilmente come un ostacolo all'attuazione di queste fonti rispetto a prodotti per i quali l'ottenimento della De.Co. potrebbe far venire meno l'interesse dei produttori ad attuare le procedure di riconoscimento come DOP, IGT, STG. 1.2. In secondo luogo, le disposizioni regionali sopra analizzate violano sul piano della competenza l'art. 117, comma 3, della Costituzione, nella parte in cui riserva alla legislazione concorrente quella relativa ai rapporti internazionali e con l'Unione europea delle regioni; e l'art. 117, comma 2, lettera a) nella parte in cui riserva alla legislazione esclusiva dello Stato i rapporti internazionali dello Stato e quelli con l'Unione europea. Le disposizioni impugnate vanno infatti a sovrapporsi alle menzionate fonti europee e internazionali (Accordo di Lisbona; Atto di Ginevra, ora incorporato anche tra le fonti europee mediante la citata decisione (UE) 2019/1754 del Consiglio del 7 ottobre 2019 relativa all'adesione dell'Unione europea a tale atto). Senonche' nessuna di tali fonti regola una materia che attenga ai rapporti internazionali o «unionali» della regione; per cui, comunque, la regione non e' competente ad adottare disposizioni legislative che direttamente o indirettamente pongano in discussione l'adempimento da parte dello Stato di obblighi da esso contratti sul piano internazionale o dell'Unione, con l'affiancarvi o sovrapporvi norme e procedure oggettivamente concorrenti con tali obblighi. Non potrebbe osservarsi che la legge regionale e' espressione della competenza della Regione in materia di agricoltura e di commercio. La materia delle denominazioni protette, infatti, implica evidenti interessi di carattere unitario, perche' nella materia e' essenziale prevenire discriminazioni a danno dei produttori delle diverse parti del territorio nazionale, e possibili fonti di confusione per i consumatori, che sono i destinatari ultimi delle tutele in questione. Soltanto lo Stato puo', quindi, disciplinare i profili esterni della materia in questione, con lo stipulare i necessari accordi internazionali con i paesi terzi, o con il rinunciare ad intervenirvi a favore della legislazione armonizzata dell'Unione nei rapporti con gli Stati membri. 2. Violazione dell'art. 117, comma 2, lettera e), della Costituzione e dell'art. 14 dello Statuto della Regione Siciliana approvato con regio decreto legislativo 15 maggio 1946, n. 455, e convertito dalla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. Sotto altro aspetto, la disciplina delle denominazioni protette in tutte le loro forme attiene chiaramente alla tutela della concorrenza. Come chiariscono i regolamenti UE in materia (si vedano per tutti i considerando da 1 a 5 del regolamento n. 1151/2012, o l'art. 4 di questo, intitolato «Obiettivo», giusta il quale «E' istituito un regime di denominazioni di origine protette e di indicazioni geografiche protette alfine di aiutare i produttori di prodotti legati a una zona geografica nei modi seguenti: a) garantendo una giusta remunerazione per le qualita' dei loro prodotti; b) garantendo una protezione uniforme dei nomi in quanto diritto di proprieta' intellettuale sul territorio dell'Unione; c) fornendo ai consumatori informazioni chiare sulle proprieta' che conferiscono valore aggiunto ai prodotti.»), tale tutela protegge le imprese produttrici, che vedono riconosciuto il valore aggiunto delle produzioni tradizionali, che sono poste al riparo da contaminazioni o imitazioni che finirebbero per farlo svanire. E protegge i consumatori, ai quali assicura maggiore varieta' qualitativa e una informazione piu' sicura circa le scelte di acquisto. Siamo, quindi, pienamente nel campo della concorrenza in entrambe le sue accezioni di concorrenza «nel mercato» (disciplina di una competizione corretta), e di concorrenza «per il mercato» (promozione di un mercato maggiormente efficiente, nell'interesse generale dei consumatori). E' allora chiaro come la normativa regionale qui impugnata, persino a prescindere dalla questione, approfondita nel primo motivo, se essa si «sovrapponga» o meno alla disciplina sovranazionale e internazionale delle denominazioni protette, comunque esula dalla competenza del legislatore regionale alla stregua del combinato disposto degli articoli 117, comma 2, lettera e) («tutela della concorrenza») della Costituzione, e dell'art. 14 dello Statuto regionale siciliano, che vincola il legislatore regionale ad operare «nei limiti delle leggi costituzionali dello Stato». Quale che sia la portata interpretativa che si vuole assegnare alle definizioni contenute nell'art. 2 della legge, e, quindi, alla portata applicativa delle disposizioni sulle denominazioni comunali e sul registro regionale, di cui agli articoli 1 e 3 della legge impugnata, e' chiaro che la disciplina di tali denominazioni attiene direttamente alla concorrenza come sopra definita, e quindi compete in via esclusiva allo Stato, esulando dai titoli di competenza regionale di cui all'art. 14 dello Statuto citato (essenzialmente, agricoltura, industria e commercio). Cio' e' dimostrato, conclusivamente, dalla disciplina del decreto legislativo n. 173/1998 (richiamato anche dall'art. 1, comma 4, della legge impugnata), che anteriormente all'attrazione anche di questa materia alla competenza dell'Unione tramite il regolamento n. 1151/2012, introdusse una disciplina nazionale, affidata alle regioni a livello attuativo, per la tutela e registrazione dei «prodotti tradizionali», definiti all'art. 8 come quelli caratterizzati da «metodiche di lavorazione, conservazione e stagionatura il cui uso risulta consolidato dal tempo». Il corretto assetto della disciplina in materia appare appunto quello espresso dall'art. 8 del decreto legislativo n. 173/1998 e dal suo regolamento attuativo (decreto ministeriale n. 350/1999): spetta alla disciplina statale individuare l'oggetto, i presupposti e le procedure della tutela; spetta alle regioni, in conformita' al principio di sussidiarieta', applicare a livello amministrativo la materia, istituendo e gestendo i registri dei prodotti cosi' tutelati. E' palese come le norme della legge regionale impugnata si pongano tutte in contrasto con questo quadro, poiche' disciplinano direttamente, appunto, oggetto, presupposti e procedure di tutela, demandando ai comuni l'attuazione amministrativa. La qualita' intrinsecamente «concorrenziale» della disciplina esclude, pero', che essa possa essere dettata dalla regione. Le inevitabili difformita' tra le ipotetiche legislazioni regionali in argomento produrrebbero infatti discriminazioni tra i produttori e confusione tra i consumatori, in modo in definitiva pregiudizievole per gli stessi interessi, indubbiamente meritevoli, che la legge regionale intende perseguire. Donde, in ogni caso, il vizio di incompetenza qui denunciato. 3. Illegittimita' derivata. Infine, per immediata derivazione dai vizi denunciati nei motivi che precedono, e' costituzionalmente illegittimo anche l'art. 4 della legge impugnata, che affida alla regione il compito di valorizzare i prodotti oggetto di De.Co. La disposizione programmatica di politica economica contenuta nell'art. 4 e', infatti, costituzionalmente illegittima in quanto ha ad oggetto non genericamente la valorizzazione dei prodotti che siano testimonianza del territorio siciliano, bensi' specificamente la valorizzazione dei risultati di un sistema di tutela a sua volta costituzionalmente illegittimo nei sensi sopra chiariti.
P.Q.M. Cio' premesso, il Presidente del Consiglio dei ministri come sopra rappresentato e difeso ricorre a codesta Ecc.ma Corte costituzionale affinche' voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli 1, commi 1 e 3, degli articoli 2, 3, e 4, della legge regionale siciliana 18 marzo 2022, n. 3, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana n. 13 del 25 marzo 2022 - Supplemento ordinario - n. 14. Si producono la legge regionale impugnata e, in estratto conforme, la delibera del Consiglio dei ministri del 17 maggio 2022. Roma, 24 maggio 2022 L'Avvocato dello Stato: Gentili