N. 149 SENTENZA 10 maggio - 16 giugno 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo penale - Ne bis in idem -  Applicabilita'  della  disciplina
  del divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato  per
  il delitto di riproduzione abusiva e vendita  di  opere  letterarie
  abusivamente riprodotte che, in relazione al  medesimo  fatto,  sia
  gia' stato sanzionato in via definitiva con sanzione amministrativa
  - Omessa previsione - Violazione del diritto al  ne  bis  in  idem,
  riconosciuto in via convenzionale -  Illegittimita'  costituzionale
  in  parte  qua  -  Invito   al   legislatore   per   un'auspicabile
  rimeditazione complessiva dei vigenti  sistemi  di  doppio  binario
  sanzionatorio. 
- Codice di procedura penale, art. 649. 
- Costituzione,  art.  117,  primo  comma;  Protocollo  n.   7   alla
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art. 4. 
(GU n.25 del 22-6-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  649  del
codice di procedura  penale,  promosso  dal  Tribunale  ordinario  di
Verona, sezione penale, nel procedimento penale a carico di P. O. con
ordinanza del 17  giugno  2021,  iscritta  al  n.  152  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 41, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visti  l'atto  di  costituzione  di  P.  O.,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  maggio  2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi gli avvocati Vittorio Manes e Claudio Avesani per P.  O.  e
l'avvocato  dello  Stato  Salvatore  Faraci  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 10 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 17 giugno 2021, il Tribunale  ordinario  di
Verona,  sezione  penale,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  649  del  codice  di   procedura   penale,
censurandolo «nella parte in cui non prevede  l'applicabilita'  della
disciplina  del  divieto  di  un  secondo  giudizio   nei   confronti
dell'imputato, al quale, con riguardo agli  stessi  fatti,  sia  gia'
stata irrogata in via  definitiva,  nell'ambito  di  un  procedimento
amministrativo non legato a quello penale da un  legame  materiale  e
temporale sufficientemente stretto,  una  sanzione  avente  carattere
sostanzialmente penale ai sensi della Convenzione europea dei diritti
dell'uomo e dei relativi protocolli», in  riferimento  all'art.  117,
primo  comma,  della  Costituzione,  in  relazione  all'art.  4   del
Protocollo n.  7  alla  Convenzione  europea  dei  diritti  dell'uomo
(CEDU). 
    1.1.- Il rimettente,  investito  dell'opposizione  a  un  decreto
penale di condanna alla pena della multa  pari  a  8.100  euro,  deve
giudicare della responsabilita' di P. O., imputato del reato previsto
dall'art. 171-ter, primo comma, lettera b),  della  legge  22  aprile
1941, n. 633 (Protezione del diritto  d'autore  e  di  altri  diritti
connessi al suo esercizio), per avere, a fini di lucro, detenuto  per
la vendita e riprodotto abusivamente, presso la copisteria di cui  e'
titolare, opere letterarie fotocopiate oltre il limite consentito, in
numero pari a quarantanove testi. 
    Per la medesima condotta, l'imputato, in solido con  la  societa'
gestrice della copisteria, e' gia' stato colpito, ai sensi  dell'art.
174-bis della legge n. 633 del 1941, da sanzione amministrativa ormai
definitiva, per  l'importo  di  5.974  euro,  pari  al  doppio  della
sanzione minima (103 euro)  moltiplicato  per  venticinque  libri  di
testo, dei quarantanove totali, dal prezzo non determinabile, oltre a
«un terzo dell'importo massimo previsto per le opere il cui prezzo di
vendita era conosciuto». 
    1.2.- Quanto alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione
sollevata, il rimettente rileva che,  in  base  alle  sentenze  della
Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, del  15  novembre
2016, A e B contro Norvegia, e della Corte di  giustizia  dell'Unione
europea, grande sezione, del 20 marzo 2018, in causa C-524/15, Menci,
la sottoposizione di un imputato a un processo penale per il medesimo
fatto per cui sia gia' stato definitivamente  sottoposto  a  sanzione
amministrativa  di  carattere  punitivo  secondo  i  "criteri  Engel"
integra una violazione del ne bis in idem,  a  meno  che  tra  i  due
procedimenti che sanzionano il  medesimo  fatto  sussista  un  legame
materiale e temporale sufficientemente stretto. 
    Tale legame dovrebbe essere  ravvisato  quando  le  due  sanzioni
perseguano scopi diversi e complementari, connessi ad aspetti diversi
della medesima condotta; quando la duplicazione dei procedimenti  sia
prevedibile  per  l'interessato;  quando  esista  una  coordinazione,
specie sul piano probatorio, tra i  due  procedimenti;  e  quando  il
risultato sanzionatorio  complessivo,  risultante  dal  cumulo  della
sanzione amministrativa e  della  pena,  non  risulti  eccessivamente
afflittivo   per   l'interessato,   in   rapporto    alla    gravita'
dell'illecito. Al contempo, si dovra' valutare «se le  sanzioni,  pur
convenzionalmente penali, appartengano o  no  al  nocciolo  duro  del
diritto penale, perche' in caso affermativo  si  dovra'  essere  piu'
severi nello scrutinare la sussistenza del legame e piu' riluttanti a
riconoscerlo in concreto». 
    1.3.- Nel caso in esame, sarebbe  indubbia  la  natura  punitiva,
secondo i "criteri Engel", della sanzione amministrativa  contemplata
dall'art. 174-bis della legge n. 633 del 1941, il cui  importo  viene
determinato quale multiplo (comunque non inferiore a  103  euro)  del
prezzo di mercato di ciascuna opera indebitamente riprodotta, oppure,
in caso di non determinabilita' del prezzo dell'opera, in  una  somma
da 103 a 1.032 euro per ciascuna violazione. 
    Tale  meccanismo  moltiplicatore   determinerebbe   significative
ricadute  nella  sfera  patrimoniale  del  trasgressore,   anche   in
relazione a fatti  di  modesta  gravita'  -  come  quello  in  specie
contestato a P. O. - e svelerebbe  il  «carattere  afflittivo  e  non
meramente restitutorio nonche' la finalita' repressiva e  deterrente»
della sanzione in  parola.  Finalita'  che  trasparirebbe  anche  dai
lavori preparatori della legge 18 agosto 2000, n. 248 (Nuove norme di
tutela del diritto di autore), la quale ha  inserito  l'art.  174-bis
nel corpo della legge n. 633 del 1941, nell'intento di  «incrementare
il grado di dissuasivita' delle misure di contrasto, introducendo, in
aggiunta  alle  sanzioni  penali  gia'  previste  dalla  legislazione
esistente, alcune sanzioni  e  misure  amministrative  che  appaiono,
riprendendo la terminologia usata dal legislatore "dotate di autonoma
deterrenza in quanto rapidamente applicabili"». 
    La funzione «prevalentemente (se non esclusivamente)  deterrente»
e «pubblicistica» della sanzione di cui all'art. 174-bis della  legge
n. 633 del 1941 sarebbe confermata  dalla  destinazione  del  50  per
cento degli introiti derivanti dalla riscossione alla costituzione di
un fondo destinato al potenziamento delle strutture e degli strumenti
impiegati nell'accertamento dei reati contro il diritto  d'autore,  e
della restante misura alla promozione delle campagne informative  «di
cui al successivo articolo 10» [recte:  di  cui  all'art.  26,  comma
3-bis, della legge 23 agosto 1988, n. 400 (Disciplina  dell'attivita'
di  Governo  e  ordinamento  della  Presidenza  del   Consiglio   dei
Ministri)]. 
    In definitiva, la sanzione di cui  all'art.  174-bis,  di  sicuro
carattere punitivo, si differenzierebbe da quelle penali «solo per la
rapidita'   del   procedimento   applicativo»,   risultando    dunque
«manifestamente carente quella complementarita' di funzioni che  sola
giustifica il c.d. doppio binario sanzionatorio». 
    1.4.- Identico sarebbe poi il fatto storico  alla  base  dei  due
procedimenti, amministrativo e penale, atteso che, da un lato, l'art.
174-bis si applica espressamente alla «violazione delle  disposizioni
previste nella presente sezione», ossia della Sezione  II  (Difese  e
sanzioni penali) del Capo III (Difesa  e  sanzioni  giudiziarie)  del
Titolo III (Disposizioni comuni) della legge n. 633 del 1941; Sezione
nella quale e' descritta la condotta punita dall'art. 171-ter,  primo
comma, lettera b). Dall'altro lato,  il  raffronto  tra  il  capo  di
imputazione  elevato  nei  confronti  di  P.  O.  e  il  verbale   di
accertamento notificatogli confermerebbe  che  l'illecito  contestato
all'interessato costituisce insieme violazione di  natura  penale  ed
amministrativa. 
    La stessa giurisprudenza di  legittimita'  (e'  citata  Corte  di
cassazione, sezione seconda civile, sentenza  18  dicembre  2017,  n.
30319) escluderebbe l'operativita', in questa materia, della clausola
di connessione di cui all'art. 24 della legge 24  novembre  1981,  n.
689  (Modifiche  al  sistema   penale),   proprio   sul   presupposto
dell'identita' del fatto cui si applicano la sanzione  amministrativa
ex art. 174-bis e le sanzioni penali di cui  all'art.  171-ter  della
legge n. 633 del 1941. 
    1.5.- Nel caso di specie, non sarebbero inoltre  previsti  rimedi
per scongiurare il rischio di duplicazione di procedimenti e sanzioni
in relazione allo stesso fatto. 
    La clausola di salvaguardia contenuta nell'art. 174-bis («[f]erme
le sanzioni penali applicabili»)  comproverebbe  anzi  la  necessaria
applicazione cumulativa, per la medesima violazione,  delle  sanzioni
penali e amministrative, cosi' come confermato  dalla  giurisprudenza
di legittimita' (e' citata ancora Cass., sentenza n. 30319 del 2017);
e cio' coerentemente con «il dichiarato intento  del  legislatore  di
garantire - mediante l'introduzione delle sanzioni  amministrative  -
semplicemente una risposta punitiva piu' celere». 
    La medesima condotta sarebbe dunque punita sia con  una  sanzione
amministrativa punitiva, sia con una sanzione penale  -  quest'ultima
«inevitabilmente a distanza di tempo, attesa la diversa struttura del
processo penale» -. La sanzione penale, d'altra  parte,  non  sarebbe
limitata ai fatti che presentino  una  particolare  gravita',  o  che
superino una determinata soglia di rilevanza  -  cosi'  come  avviene
invece in ambito tributario - e consisterebbe nella reclusione da sei
mesi a tre anni, che si applica congiuntamente alla multa da 2.582  a
15.493  euro,  comportando  cosi'  una  duplicazione  della  sanzione
pecuniaria. 
    Il giudice penale  potrebbe  tenere  conto  della  gia'  avvenuta
irrogazione  della  sanzione   amministrativa   solo   in   sede   di
commisurazione della pena, ai sensi dell'art. 133 del codice  penale,
senza pero' poter escludere l'applicazione della multa, ne'  -  salva
la  ricorrenza  di  eventuali  circostanze   attenuanti   -   poterla
quantificare  al  di  sotto  del  limite  edittale  di  2.582   euro.
L'apparato sanzionatorio complessivo risulterebbe dunque  «del  tutto
sproporzionato e ingiustificato». 
    Non sarebbero inoltre previsti meccanismi di raccordo - sul piano
temporale o probatorio - tra i procedimenti amministrativo e penale e
sarebbe altresi'  da  escludere,  in  specie,  la  sussistenza  della
connessione  obiettiva  per  pregiudizialita',  che  vale,  ai  sensi
dell'art. 24 della legge n. 689 del 1981, a  radicare  la  competenza
del  giudice  penale  per  l'accertamento  della  responsabilita'  in
relazione  all'illecito  amministrativo;  con  la   conseguenza   che
l'interessato  dovrebbe  sopportare  l'onere  della  duplicazione  di
procedimenti. 
    1.6.- Nel caso di  specie,  difetterebbe  infine  la  connessione
temporale tra il procedimento amministrativo e quello penale,  atteso
che il primo, iniziato nel 2014, si e' concluso il  7  gennaio  2016,
laddove l'azione penale e'  stata  esercitata  con  la  richiesta  di
emissione di decreto penale di condanna del 12  dicembre  2014  e,  a
seguito di opposizione, ha condotto all'emissione del decreto che  ha
disposto il giudizio del 3 maggio  2019  e  alla  celebrazione  della
prima udienza di merito il 10 febbraio 2021, a distanza,  quindi,  di
oltre cinque anni dalla sopravvenuta irrevocabilita'  della  sanzione
amministrativa. 
    1.7.- A fronte di tale quadro,  l'unica  norma  astrattamente  in
grado di «neutralizzare» la duplicazione dei giudizi  sarebbe  l'art.
649 cod. proc. pen., che  preclude  la  possibilita'  di  iniziare  o
proseguire un nuovo procedimento penale nei  confronti  dell'imputato
prosciolto o condannato, in relazione al medesimo fatto, con sentenza
o decreto penale di condanna divenuti irrevocabili. 
    Il  tenore  letterale  della   disposizione,   inequivocabilmente
riferita all'autorita' giudiziaria penale, ne  escluderebbe  tuttavia
un'interpretazione  «convenzionalmente   orientata»,   impedendo   di
allargarne lo spettro  applicativo  ai  procedimenti  amministrativi,
come del resto ritenuto sia dalla giurisprudenza di legittimita'  (e'
citata Corte di  cassazione,  sezione  quinta  penale,  ordinanza  10
novembre  2014-15  gennaio  2015,  n.  1782),  sia  da  questa  Corte
(sentenza n. 43 del 2018). 
    L'unica  modalita'  per  scongiurare  la  lesione   del   diritto
fondamentale dell'imputato a non essere giudicato due  volte  per  un
identico   fatto   sarebbe   il   promovimento   dell'incidente    di
costituzionalita'. 
    1.8.- La questione sarebbe infine rilevante, atteso che  solo  il
suo   accoglimento   «rimuoverebbe   gli   effetti    pregiudizievoli
conseguenti  alla  violazione  del  bis  in  idem»,  precludendo   la
celebrazione del processo penale a carico di P. O., gia' destinatario
di una sanzione amministrativa punitiva  e  definitiva  in  relazione
agli stessi fatti. In altre parole, una sentenza additiva  di  questa
Corte costituirebbe l'«unico rimedio per evitare che il  sistema  del
"doppio binario" in  materia  di  diritto  d'autore,  in  assenza  di
meccanismi correttivi e di un coordinamento tra  i  due  procedimenti
determini una incompatibilita' con il  divieto  di  bis  in  idem  di
matrice convenzionale, nella misura  in  cui  non  scongiura  che  un
soggetto [...] sia sottoposto ad un procedimento  penale  pur  avendo
gia' riportato in via definitiva, per il medesimo fatto, una sanzione
solo formalmente amministrativa di cui il giudice  penale  non  puo',
nelle proprie determinazioni, tener adeguatamente conto». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dell'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata  manifestamente
inammissibile o infondata. 
    2.1.- Premessa l'illustrazione delle previsioni sanzionatorie  di
cui agli artt. 171-ter e 174-bis della  legge  n.  633  del  1941  ed
evidenziato il «regime  di  doppia  punibilita'»  della  condotta  di
abusiva riproduzione e illecita duplicazione di  opere  (sono  citate
Cass., sentenza n. 30319 del 2017, e sezione seconda civile, sentenza
22 dicembre 2011, n. 28381),  l'interveniente  eccepisce  l'omessa  o
insufficiente motivazione sulla rilevanza della questione. 
    2.1.1.- Il giudice a quo nulla avrebbe argomentato ne' in  ordine
alla sussistenza della responsabilita'  dell'imputato  per  il  reato
ascrittogli,  ne'  in   relazione   all'asserita   sproporzione   del
complessivo  trattamento  sanzionatorio  da  irrogargli  (non  avendo
neppure indicato quale sarebbe la  pena  da  applicare  nel  processo
penale). 
    2.1.2.- Il rimettente avrebbe inoltre  disatteso  le  indicazioni
della  giurisprudenza  di  legittimita'   (sono   citate   Corte   di
cassazione, sezione quinta penale, sentenza 21 giugno-16 luglio 2018,
n. 45829, e sezione prima civile, sentenza 26 febbraio 2019, n.  5679
[recte: sezione quinta penale, sentenza 9  novembre  2018-5  febbraio
2019, n. 5679]), secondo cui il giudice penale dovrebbe  valutare  la
proporzionalita' del cumulo sanzionatorio  e  potrebbe  «[n]el  "caso
limite" in cui la  sanzione  amministrativa,  attestata  sui  massimi
edittali in  rapporto  a  un  fatto  di  gravita'  penale  contenuta,
risponda  da   sola   al   canone   della   proporzionalita'»,   fare
«applicazione diretta [del] principio garantito  dall'art.  50  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, disapplicando  le
norme che definiscono il trattamento sanzionatorio  penale»;  oppure,
al di fuori di tale ipotesi limite, rideterminare la sanzione  penale
derogandone in mitius il minimo edittale  al  fine  di  garantire  la
proporzionalita' del trattamento sanzionatorio complessivo. 
    2.1.3.-  Il  giudice  a  quo  non  avrebbe  infine  speso  nessun
argomento  sulla  riconducibilita'  o  meno  delle  sanzioni   penali
previste in materia di tutela del diritto d'autore al "nocciolo duro"
del diritto penale, rispetto al quale - secondo la  sentenza  A  e  B
contro  Norvegia  -  piu'  rigoroso  dovrebbe  essere  il  vaglio  di
compatibilita' del "doppio binario"  sanzionatorio  con  la  garanzia
convenzionale del ne bis in idem. 
    2.1.4.-  La  questione  sarebbe  altresi'  inammissibile  perche'
tendente  a  conseguire  una  pronuncia  manipolativa,  «con  effetti
generali di sistema ed esorbitanti il caso in esame», a fronte  della
sussistenza,   nell'ordinamento,   di   «una   soluzione    normativa
costituzionalmente compatibile rispetto a  quella  costituzionalmente
illegittima»,  consistente  nell'«irrogazione   di   un   complessivo
trattamento sanzionatorio non  sproporzionato»,  anche  eventualmente
mediante denuncia dell'art. 174-bis della  legge  n.  633  del  1941,
nella parte in cui dispone «[f]erme le sanzioni penali applicabili». 
    2.1.5.- In definitiva, la questione sollevata incorrerebbe  nelle
medesime ragioni di inammissibilita' che affliggevano le ordinanze di
rimessione  esaminate  con  la  sentenza  n.  222  del  2019  e   con
l'ordinanza n. 114 del 2020 di questa Corte. 
    2.2.- La questione sarebbe in ogni caso manifestamente infondata. 
    2.2.1.- Sussisterebbe in specie un  evidente  nesso  materiale  e
cronologico tra procedimento  amministrativo  e  penale,  atteso  che
l'illecito, commesso il 22 ottobre 2014, e' stato contestato  con  un
verbale di  accertamento  del  24  novembre  2014  e  sanzionato  con
ordinanza prefettizia del 27 aprile 2015  e  con  decreto  penale  di
condanna del 12 dicembre 2014. I due  procedimenti  sarebbero  dunque
stati attivati nel medesimo lasso temporale, tra novembre e  dicembre
2014. 
    2.2.2.-  La  prevedibilita'  del  doppio  binario   sanzionatorio
sarebbe poi stata certa, in forza della clausola di riserva contenuta
nell'art. 174-bis della legge n. 633 del 1941. 
    2.2.3.- Il rimettente avrebbe altresi' omesso  di  «esaminare  la
complessiva disciplina della tutela del diritto d'autore,  e  la  sua
rilevanza anche  unionale,  per  valutare  la  compatibilita'  con  i
principi scaturenti dalla giurisprudenza delle  Corti  sovranazionali
sul cosiddetto "nocciolo duro"». 
    2.2.4.- Infine il trattamento sanzionatorio complessivo - pari  a
14.974 euro, risultante dalla somma tra la sanzione amministrativa di
5.974 euro e la multa di 8.100 euro irrogata con il decreto penale di
condanna  -  lungi  dall'essere  sproporzionato,  sarebbe  del  tutto
adeguato alla gravita' del fatto contestato  e  al  numero  di  opere
illecitamente duplicate per fini di lucro da P. O. 
    3.- Si e' costituita  in  giudizio  la  parte  P.  O.,  chiedendo
l'accoglimento della questione sollevata dal rimettente e  riservando
alla memoria illustrativa l'esposizione delle proprie  argomentazioni
a sostegno della fondatezza. 
    4.- In prossimita' dell'udienza pubblica,  P.  O.  ha  depositato
memoria illustrativa. 
    4.1.- In  essa  la  parte  ripercorre  anzitutto  gli  snodi  del
procedimento amministrativo e di  quello  penale  a  proprio  carico,
deducendo che il primo  e'  iniziato  il  20  novembre  2014  con  la
notificazione di un verbale di accertamento e si  e'  concluso  il  7
gennaio 2016 con la pronuncia della sentenza del Giudice di  pace  di
Verona sull'opposizione  introdotta  da  P.  O.  avverso  l'ordinanza
prefettizia del 27 aprile 2015 di irrogazione della sanzione;  e  che
il  secondo  e'  iniziato  il  3  maggio  2019   con   la   citazione
dell'imputato innanzi al Tribunale di Verona. 
    4.2.- Richiamate, quanto alla fisionomia della  garanzia  del  ne
bis in idem, la sentenza A e B contro Norvegia della  Corte  EDU,  le
sentenze della Corte di giustizia del 20 marzo 2018  Menci,  Garlsson
Real Estate SA e altri (in causa C-537/16) e  Di  Puma  e  altri  (in
cause C-596/16 e C-597/16), nonche' le sentenze n. 43 del 2018 e  145
del 2020 di questa Corte, la parte replica anzitutto  alle  eccezioni
dell'Avvocatura generale dello Stato. 
    Ai fini della rilevanza, il rimettente non sarebbe stato tenuto a
motivare   espressamente   in   ordine   alla    sussistenza    della
responsabilita' penale di P. O., atteso che «il principio del ne  bis
in idem convenzionale preclude non gia' la condanna, ma  diversamente
l'avvio di un processo penale, allorquando,  riconosciuta  la  natura
penale,  in  base  all'art.   7   della   CEDU,   di   una   sanzione
amministrativa, irrogata all'esito del  procedimento  amministrativo,
si instauri un secondo giudizio in merito agli  stessi  fatti»  (sono
citate le sentenze n. 200 del 2016, n. 43 del 2018, n. 222 del 2019 e
l'ordinanza n. 114 del 2020 di questa Corte). 
    Il giudice a quo avrebbe poi diffusamente argomentato  in  ordine
alla sproporzione del complessivo trattamento sanzionatorio cui P. O.
sarebbe soggetto in caso di prosecuzione del  processo  penale,  alla
luce della duplicazione tra la sanzione amministrativa gia'  irrogata
e la  multa  irroganda,  prevista  dall'art.  171-ter,  primo  comma,
lettera b), della legge n. 633 del 1941  in  via  congiunta  rispetto
alla pena detentiva. Parimenti esaustiva sarebbe la motivazione circa
l'applicabilita', in specie, della garanzia del ne bis in idem  e  la
necessita' di  estendere  al  caso  di  specie  l'ambito  applicativo
dell'art. 649 cod. proc. pen. 
    4.3.- Quanto alla fondatezza della questione, la parte  evidenzia
anzitutto l'identita' storico-naturalistica - nel senso fatto proprio
dalla giurisprudenza sia costituzionale (e' citata la sentenza n. 200
del 2016), sia di legittimita' (e' richiamata  Corte  di  cassazione,
sezioni unite penali, sentenza 28 giugno 2005, n. 34655) - del  fatto
punito  rispettivamente  ai  sensi  dell'art.  174-bis  e   dell'art.
171-ter, primo comma, lettera b), della legge n. 633 del 1941. 
    4.3.1.- Indubbia sarebbe la natura punitiva della sanzione di cui
all'art. 174-bis, secondo i cosiddetti criteri Engel elaborati  dalla
Corte EDU, alla luce dell'«effetto moltiplicatore della sanzione», il
cui importo e' parametrato al numero di copie abusivamente riprodotte
e comunque non inferiore a 103 euro per copia. 
    4.3.2.- La sanzione  amministrativa  e  quella  penale  sarebbero
entrambe applicabili, senza possibilita' di  radicare  la  competenza
del giudice  penale  per  l'accertamento  della  responsabilita'  per
l'illecito amministrativo (sono citate le sentenze n. 30319 del  2017
e n. 28381 del 2011 della Corte di  cassazione),  che,  infatti,  nel
caso di specie, sarebbe  stato  accertato  dal  prefetto  e  poi  dal
giudice di pace. Conseguirebbe la possibilita' che i due procedimenti
si  dispieghino  non  contemporaneamente  ma  consecutivamente,  come
avvenuto nel caso di specie, in cui il procedimento amministrativo si
sarebbe concluso a gennaio 2016, laddove il processo  penale  sarebbe
iniziato a maggio 2019. Non sussisterebbe  pertanto  una  sufficiente
connessione temporale tra procedimenti,  con  conseguente  violazione
della garanzia del ne bis in idem  (sono  citate  le  sentenze  della
Corte EDU 18 maggio 2017, Johannesson  e  altri  contro  Islanda,  16
aprile 2019, Bjarni Armannsson contro Islanda, e 6 giugno 2019, Nodet
contro Francia). 
    4.3.3.-  Ne'  sussisterebbe  una  connessione  materiale  tra   i
procedimenti, in assenza di criteri che  consentano  di  tener  conto
della pregressa irrogazione di  sanzioni  amministrative  pecuniarie,
«alle quali fanno invece seguito sanzioni penali detentive e,  ancora
una volta, pecuniarie». 
    4.3.4.-  La  risposta  sanzionatoria  complessiva   sarebbe   poi
scarsamente prevedibile, stante l'elevato tasso  di  discrezionalita'
che   presiede   all'irrogazione   della   sanzione   amministrativa,
«parametrata sull'indeterminabilita' del prezzo delle opere». 
    4.3.5.-   La   sanzione   amministrativa    e    quella    penale
perseguirebbero  un'identica  finalita'  di   deterrenza,   come   si
evincerebbe sia dalla destinazione dei proventi, ex  art.  174-quater
della  legge  n.  633  del  1941,  a  finalita'  di   prevenzione   e
accertamento  dei  reati  in  materia  di  diritto  d'autore  e  alla
promozione di campagne informative sull'illiceita'  dell'acquisto  di
prodotti  delle  opere  dell'ingegno  abusivi  o  contraffatti;   sia
dall'esame dei lavori preparatori della legge n. 248 del 2000, che ha
inserito l'art. 174-bis nella legge n. 633 del 1941. 
    Sarebbe dunque «palese la frizione  che  il  sistema  del  doppio
binario genera tra l'ordinamento nazionale e la Cedu» (e'  richiamata
la  sentenza  n.  102  del  2016  di  questa   Corte),   atteso   che
l'eccezionale previsione di un doppio binario sanzionatorio  potrebbe
giustificarsi solo a  fronte  di  esigenze  di  complementarita'  del
trattamento punitivo complessivo (sono citate le sentenze  di  questa
Corte n. 145 del 2020 e n. 43 del 2018), in specie assenti. 
    4.3.6.- Il complessivo trattamento sanzionatorio da infliggere  a
P. O.  sarebbe  sproporzionato,  per  il  combinarsi  della  sanzione
amministrativa - da irrogare in misura  pari  al  doppio  del  prezzo
dell'opera oggetto della violazione e comunque non  inferiore  a  103
euro, e in specie determinata nella misura di 5.974  euro  -  con  la
sanzione penale,  che,  ai  sensi  dell'art.  171-ter,  primo  comma,
lettera b), consta di una pena detentiva non inferiore a sei mesi, da
irrogare congiuntamente alla multa da 2.582 a 15.493 euro. 
    Un simile trattamento sanzionatorio sarebbe eccessivo e contrario
al principio di proporzionalita' delle sanzioni per le violazioni  in
materia di diritto d'autore, contenuto nell'art.  8  della  direttiva
2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio  2001
sull'armonizzazione di taluni aspetti  del  diritto  d'autore  e  dei
diritti  connessi   nella   societa'   dell'informazione   (trasposta
nell'ordinamento italiano dal decreto legislativo 9 aprile  2003,  n.
68,    recante     «Attuazione     della     direttiva     2001/29/CE
sull'armonizzazione di taluni aspetti  del  diritto  d'autore  e  dei
diritti connessi nella societa' dell'informazione», che ha modificato
la legge n. 633 del 1941); principio di  proporzionalita'  risultante
anche dalla giurisprudenza della  Corte  di  giustizia,  secondo  cui
«qualora sia possibile una scelta fra  piu'  misure  appropriate,  si
deve ricorrere alla  meno  restrittiva,  e  [...]  gli  inconvenienti
causati  non  devono  essere  sproporzionati  rispetto   agli   scopi
perseguiti» (sono citate le  sentenze  25  febbraio  2010,  in  causa
C-562/08, Müller Fleisch GmbH, paragrafo 43; 9 marzo 2010,  in  causa
C-379/08 e C-380/08,  Raffinerie  Mediterranee  (ERG)  spa  e  altri,
paragrafo 86; 19 ottobre 2016, in  causa  C-501/14,  EL-EM-2001  Ltd,
paragrafi 37 e 39). 
    Tale principio di proporzionalita' - come si  evince  dai  lavori
preparatori - sarebbe alla base della scelta operata dalla  legge  n.
248 del 2000 di non inasprire le sanzioni penali  per  le  violazioni
del diritto d'autore previste dalla legge n. 633 del 1941; ma sarebbe
invece stato tradito dallo stesso legislatore, a fini di  deterrenza,
nell'introdurre, con la medesima legge  n.  248  del  2000,  sanzioni
amministrative aggiuntive rispetto a quelle penali. 
    4.4.-   Dalla   lettura   del   petitum   e   delle   motivazioni
dell'ordinanza di rimessione - da effettuarsi congiuntamente, secondo
le sentenze n. 238 del 2014, n. 258 del 2012 e n.  181  del  2011  di
questa Corte -  si  evincerebbe  che  il  giudice  a  quo  ha  inteso
censurare l'art. 649 cod. proc. pen. con specifico  riferimento  agli
artt. 171-ter, primo comma, lettera b), e 174-bis della legge n.  633
del 1941,  cosi'  sollecitando  una  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale dell'art. 649 cod. proc. pen., «nella parte in cui non
prevede l'applicabilita' della disciplina del divieto di  un  secondo
giudizio nei confronti dell'imputato per reato di  cui  all'art.  171
ter comma 1 lettera b) della legge 633/1941, al quale,  con  riguardo
agli stessi fatti, sia gia'  stata  irrogata  in  via  definitiva  la
sanzione di cui all'art. 174 bis della legge 633/1941». 
    4.5.- In via subordinata  «e  considerando  un'interpretazione  a
"rime possibili" della disposizione applicabile nel giudizio de quo»,
la parte chiede  a  questa  Corte  di  dichiarare  costituzionalmente
illegittimo l'art. 171-ter, primo comma, lettera b), della  legge  n.
633 del 1941, «nella parte  in  cui  non  prevede  un  meccanismo  di
compensazione che consenta di tener conto,  in  sede  di  irrogazione
della  sanzione  penale,  consistente  nella  pena  congiunta   della
reclusione e della multa, degli effetti  della  sanzione  formalmente
amministrativa (ma sostanzialmente penale) di cui  all'art.  174  bis
della legge 633/1941, gia'  irrogata  in  via  definitiva,  cosi'  da
evitare che la sanzione complessivamente inflitta risulti  del  tutto
sproporzionata». 
    Tale richiesta - precisa la parte - e' formulata  alla  luce  dei
principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimita'  relativa  al
doppio binario sanzionatorio in materia tributaria (e'  citata  Corte
di cassazione, sezione terza  penale,  sentenza  15  ottobre  2021-20
gennaio 2022, n. 2245), secondo cui, per evitare  la  violazione  del
divieto di bis in  idem,  deve  essere  garantito  un  meccanismo  di
compensazione che consenta di tener conto,  in  sede  di  irrogazione
della seconda sanzione, degli effetti della prima, cosi'  da  evitare
che il trattamento sanzionatorio complessivo sia sproporzionato. 
    5.- All'udienza pubblica, la parte - dopo avere  insistito  sulla
propria domanda principale di accoglimento della questione proposta -
ha invece chiesto in via subordinata a questa  Corte  di  pronunciare
una sentenza interpretativa di rigetto, che dichiari non  fondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  sul  presupposto   della
possibilita', per il giudice penale, di  disapplicare  in  mitius  le
pene previste dall'art. 171-ter, primo comma, lettera b), della legge
n. 633  del  1941,  ogniqualvolta  il  trattamento  sanzionatorio  da
infliggere all'autore della violazione risulti sproporzionato,  avuto
riguardo alla gia' avvenuta irrogazione della sanzione amministrativa
di cui all'art. 174-bis della medesima legge. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale  ordinario
di Verona, sezione penale, ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 649 del codice di procedura  penale,  «nella
parte in  cui  non  prevede  l'applicabilita'  della  disciplina  del
divieto di un secondo giudizio nei confronti dell'imputato, al quale,
con riguardo agli stessi  fatti,  sia  gia'  stata  irrogata  in  via
definitiva, nell'ambito di un procedimento amministrativo non  legato
a quello penale da un legame materiale e  temporale  sufficientemente
stretto, una sanzione  avente  carattere  sostanzialmente  penale  ai
sensi della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e dei  relativi
protocolli»,  in  riferimento  all'art.  117,  primo   comma,   della
Costituzione, in relazione  all'art.  4  del  Protocollo  n.  7  alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). 
    Nel  giudizio  a  quo,  il   Tribunale   deve   giudicare   della
responsabilita' penale di un imputato per il delitto di  riproduzione
abusiva e vendita di opere letterarie abusivamente riprodotte di  cui
all'art. 171-ter, primo comma, lettera  b),  della  legge  22  aprile
1941, n. 633 (Protezione del diritto  d'autore  e  di  altri  diritti
connessi al suo esercizio). Per i medesimi fatti l'imputato  e'  gia'
stato sanzionato in via definitiva  con  la  sanzione  amministrativa
prevista dall'art. 174-bis della medesima legge n. 633 del 1941. 
    2.- Le eccezioni di  inammissibilita'  formulate  dall'Avvocatura
generale dello Stato non sono fondate. 
    2.1.- Non e' fondata,  anzitutto,  l'eccezione  di  insufficiente
motivazione  sulla  rilevanza  della   questione,   che   deriverebbe
dall'avere il giudice rimettente omesso di motivare sulla sussistenza
della responsabilita' dell'imputato per il reato ascrittogli, nonche'
sulla  sproporzione  del  trattamento  sanzionatorio   che   dovrebbe
essergli applicato in caso di condanna. 
    Il diritto al ne bis in idem riconosciuto dall'art. 4 Prot. n.  7
CEDU mira infatti, in primo luogo, a tutelare la  persona  contro  le
sofferenze e i costi di un nuovo procedimento per  i  medesimi  fatti
gia'  oggetto  di  altro   procedimento   definitivamente   concluso.
Pertanto, nella prospettiva del rimettente, la mera circostanza della
pendenza di un secondo procedimento per i medesimi  fatti  una  volta
divenuta  definitiva  la  sanzione  irrogata  in   esito   al   primo
procedimento e'  sufficiente  a  rendere  operante  la  garanzia,  in
assenza di una stretta connessione sostanziale e temporale tra i  due
procedimenti. A prescindere - dunque - dall'esito del secondo. 
    2.2.- Con la propria  seconda  eccezione,  l'Avvocatura  generale
dello Stato osserva in sostanza  che  lo  stesso  giudice  rimettente
avrebbe  potuto  fare  applicazione  dei  principi  elaborati   dalla
giurisprudenza di  legittimita'  in  materia  di  abusi  di  mercato,
disapplicando totalmente o parzialmente le norme che  definiscono  il
trattamento sanzionatorio per il delitto che viene in  considerazione
nel giudizio  a  quo,  ove  cio'  sia  necessario  per  ricondurre  a
proporzionalita' il complessivo trattamento sanzionatorio  irrogabile
all'imputato. E cio' in forza di una diretta  applicazione  dell'art.
50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE). 
    A tale possibilita' ha peraltro fatto riferimento anche la difesa
dell'imputato nel  giudizio  principale,  nella  propria  discussione
orale, allorche' ha chiesto - in via subordinata - che  la  questione
sia dichiarata non fondata sul presupposto, appunto, che il giudice a
quo gia' disponga della possibilita' di evitare la lesione al diritto
convenzionale evocato, applicando  direttamente  l'art.  50  CDFUE  e
disapplicando in mitius - in tutto  o  in  parte  -  le  disposizioni
penali previste dalla legge n. 633 del 1941. 
    L'eccezione non puo', tuttavia, essere accolta. 
    2.2.1.- Non v'e' dubbio, invero, che la materia della tutela  del
diritto d'autore sia disciplinata dal  diritto  derivato  dell'Unione
europea, e in particolare dalla direttiva 2001/29/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 22  maggio  2001  sull'armonizzazione  di
taluni aspetti del diritto d'autore  e  dei  diritti  connessi  nella
societa' dell'informazione, che all'art. 8 impone  segnatamente  agli
Stati membri l'obbligo di prevedere «sanzioni efficaci, proporzionate
e dissuasive» contro le  violazioni  dei  diritti  e  degli  obblighi
previsti dalla direttiva stessa. 
    Cio'  implica   che   la   disciplina   sanzionatoria   prevista,
nell'ordinamento italiano, tanto dall'art. 171-ter  quanto  dall'art.
174-bis della legge n. 633 del 1941 ricade nell'ambito di  attuazione
del diritto dell'Unione europea ai  sensi  dell'art.  51  CDFUE,  con
conseguente   obbligo,   da   parte   delle   competenti    autorita'
amministrative  e  giudiziarie  italiane,  di  rispettare  i  diritti
riconosciuti dalla Carta, compreso l'art. 50  CDFUE  che  sancisce  a
livello unionale il diritto al ne bis in idem. Diritto, quest'ultimo,
che la giurisprudenza della Corte di giustizia ha  gia'  riconosciuto
essere provvisto di  effetto  diretto  nell'ordinamento  degli  Stati
membri (grande sezione, sentenza 20 marzo 2018,  in  causa  C-537/16,
Garlsson Real Estate SA e altri, causa C-537/16, paragrafo 66). 
    In  applicazione  di  tale  principio,   la   giurisprudenza   di
legittimita' ha piu'  volte  riconosciuto,  come  giustamente  rileva
l'Avvocatura generale dello Stato,  l'effetto  diretto  dell'art.  50
CDFUE in procedimenti di  opposizione  alle  sanzioni  amministrative
irrogate dalla Commissione nazionale  per  la  societa'  e  la  borsa
(CONSOB)  per  fatti  gia'  giudicati   in   via   definitiva   dalla
giurisdizione penale (Corte di cassazione,  sezione  seconda  civile,
sentenza 17 dicembre 2019, n. 33426; sezione seconda civile, sentenza
6 dicembre 2018, n. 31632; sezione quinta civile, sentenza 30 ottobre
2018, n. 27564), nonche' in procedimenti penali relativi a fatti gia'
oggetto di sanzioni irrogate in via definitiva  dalla  stessa  CONSOB
(Corte di cassazione, sezione quinta penale, sentenze 15 aprile 2019,
n. 39999; 9 novembre 2018-5 febbraio  2019,  n.  5679;  21  settembre
2018, n. 49869). 
    2.2.2.- Cionondimeno,  la  diretta  applicabilita'  dell'art.  50
CDFUE non puo' essere di ostacolo  all'intervento  di  questa  Corte,
puntualmente sollecitato dal giudice a quo. 
    Secondo   un'ormai   copiosa    giurisprudenza    costituzionale,
l'eventuale effetto diretto negli ordinamenti degli Stati membri  dei
diritti riconosciuti dalla Carta (e delle norme di  diritto  derivato
attuative di tali diritti) non rende inammissibili  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  che  denuncino  il  contrasto  tra  una
disposizione di legge nazionale e  quei  medesimi  diritti,  i  quali
intersecano in larga misura i principi e i  diritti  garantiti  dalla
stessa  Costituzione  italiana.   Questioni   siffatte,   una   volta
sollevate, debbono invece essere  scrutinate  nel  merito  da  questa
Corte, cui unicamente spetta il compito di  dichiarare,  con  effetti
erga omnes, l'illegittimita' costituzionale  delle  disposizioni  che
risultassero contrarie alla Carta, in forza degli  artt.  11  e  117,
primo comma, Cost. (sentenze n. 54 del 2022, n. 182 del 2021,  n.  49
del 2021, n. 11 del 2020, n. 63 del 2019, n. 20 del 2019 e n. 269 del
2017; ordinanze n. 182 del 2020 e n. 117 del 2019). Tale rimedio  non
si  sostituisce,  ma  si  aggiunge  a  quello   rappresentato   dalla
disapplicazione nel singolo  caso  concreto,  da  parte  del  giudice
comune, della disposizione contraria a una norma della  Carta  avente
effetto diretto (sentenza n. 67 del 2022: «il sindacato accentrato di
costituzionalita',  configurato   dall'art.   134   Cost.,   non   e'
alternativo  a  un  meccanismo  diffuso  di  attuazione  del  diritto
europeo»). E cio' in un'ottica di arricchimento  degli  strumenti  di
tutela dei diritti fondamentali che, «per definizione,  esclude  ogni
preclusione» (ancora, sentenza n. 20 del 2019), e che vede  tanto  il
giudice comune quanto questa Corte impegnati  a  dare  attuazione  al
diritto dell'Unione europea nell'ordinamento italiano, ciascuno con i
propri strumenti e ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze. 
    Nel presente procedimento, peraltro,  il  giudice  rimettente  ha
chiesto a questa Corte di dichiarare l'illegittimita'  costituzionale
della disciplina censurata in ragione del suo asserito contrasto  non
gia' con l'art. 50 CDFUE, bensi' - unicamente - con l'art. 4 Prot. n.
7 CEDU, per il tramite dell'art. 117, primo comma,  Cost.  A  maggior
ragione, dunque, questa Corte non puo' sottrarsi al  proprio  compito
di scrutinare nel merito la  questione,  e  se  del  caso  dichiarare
l'illegittimita' costituzionale della disposizione censurata, secondo
i principi costantemente osservati a partire dalle sentenze n. 348  e
n. 349 del 2007. 
    Rispetto  alla  disapplicazione,   totale   o   parziale,   delle
disposizioni sanzionatorie da parte del singolo giudice,  in  ragione
del  loro  contrasto  con  l'art.  50  CDFUE,  la  dichiarazione   di
illegittimita'  costituzionale  cui  aspira  il  giudice   rimettente
assicurerebbe del resto al diritto al ne bis in idem  -  riconosciuto
assieme dalla Costituzione  italiana  (sentenza  n.  200  del  2016),
dall'art. 4 Prot. n. 7 CEDU e dall'art. 50 CDFUE - una tutela certa e
uniforme nell'intero ordinamento. Il che e' tanto piu' essenziale  in
una materia, come quella penale, dominata dal  principio  di  stretta
legalita' (sentenze n. 98 del 2021, n. 115 del 2018, n. 109 del  2017
e ordinanza n. 24 del 2017). 
    2.3.- Le ulteriori eccezioni formulate  dall'Avvocatura  generale
dello Stato sono, infine, poco piu' che  accennate,  e  non  meritano
comunque accoglimento. 
    Non coglie nel  segno  l'interveniente  allorche'  rimprovera  al
rimettente di non avere adeguatamente motivato circa l'inesistenza di
una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta  tra
i due procedimenti sanzionatori, e di non essersi confrontato con  il
dato dell'estraneita' della tutela del diritto  d'autore  al  "nucleo
duro" del  diritto  penale.  A  differenza  di  quanto  era  accaduto
nell'ordinanza che ha a suo tempo sollevato le questioni  decise  con
la sentenza n. 222 del 2019, l'odierno rimettente si e', in  effetti,
confrontato funditus con  tutti  i  criteri  enumerati  dalla  grande
camera della Corte EDU, nel  paragrafo  132  della  sentenza  del  15
novembre  2016,  A  e  B  contro  Norvegia  quali  indicatori   della
sussistenza o meno di una «close connection in substance  and  time»,
concludendo nel senso del radicale difetto di una  tale  connessione.
Cio' sarebbe sufficiente per dar luogo a una violazione  del  diritto
al ne bis in idem anche in una materia estranea al "nucleo duro"  del
diritto penale,  tale  criterio  essendo  evidentemente  evocato  dal
paragrafo  133  della  sentenza  in   parola   soltanto   in   chiave
sussidiaria, per l'ipotesi in cui gli altri indicatori non consentano
di pervenire a una conclusione univoca  circa  la  sussistenza  della
violazione del diritto convenzionale in parola. 
    Ne' coglie nel segno l'Avvocatura  generale  dello  Stato  quando
eccepisce che al risultato auspicato dal rimettente si potrebbe e  si
dovrebbe   giungere   denunciando   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 174-bis della legge n. 633 del 1941,  nella  parte  in  cui
dispone «[f]erme le sanzioni penali applicabili». Il  giudice  a  quo
non e', infatti, chiamato a fare applicazione dell'art. 174-bis,  che
disciplina  le  sanzioni  amministrative  gia'   applicate   in   via
definitiva all'imputato, e non sarebbe stato legittimato, pertanto, a
sollevare questione su tale  disposizione.  D'altra  parte,  la  mera
ablazione  dell'inciso  in  parola  in  esito  a  una  questione   di
legittimita' costituzionale sollevata, in ipotesi, da  altro  giudice
su  tale  disposizione  condurrebbe  a  una  situazione  di  radicale
incertezza sulla disposizione in concreto applicabile tra  quella  di
cui all'art. 171-ter e quella di cui all'art. 174-bis della legge  n.
633 del 1941, posto che entrambe hanno quali presupposti  i  medesimi
fatti, di talche' nessuna puo' dirsi speciale rispetto  all'altra  ai
sensi dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche  al
sistema penale). 
    Individuando, invece, nell'art. 649 cod. proc. pen. il  bersaglio
dei  propri  dubbi  di  legittimita'   costituzionale,   il   giudice
rimettente non ha posto in discussione la coesistenza delle due norme
sanzionatorie ne' la loro concreta applicabilita', ma  si  e'  -  del
tutto plausibilmente -  limitato  a  invocare  un  rimedio  idoneo  a
evitare lo svolgimento (o la  prosecuzione)  di  un  giudizio  penale
allorche' l'imputato sia gia' stato sanzionato in via definitiva  per
il medesimo fatto ai sensi dell'art. 174-bis della legge n.  633  del
1941, in violazione del suo allegato  diritto  al  ne  bis  in  idem:
rimedio individuato nella pronuncia di proscioglimento o non luogo  a
procedere, gia' prevista in via generale  dall'art.  649  cod.  proc.
pen.  per  il  caso  in  cui  l'imputato  sia  gia'  stato  giudicato
penalmente, in via definitiva, per il medesimo fatto. 
    3.-  Non  puo'  parimenti  essere  presa  in  considerazione   la
richiesta, formulata dalla parte nei propri scritti difensivi ma  non
riproposta in udienza, di una pronuncia  di  parziale  illegittimita'
costituzionale dell'art. 171-ter,  primo  comma,  lettera  b),  della
legge n. 633 del 1941. Tale disposizione non e' infatti stata oggetto
di censure da parte dell'ordinanza di rimessione, la  quale  soltanto
definisce l'oggetto del giudizio innanzi a questa Corte  (ex  multis,
sentenze n. 203 e n. 49 del 2021). 
    4.- Sempre in via preliminare, e' necessario precisare i  confini
del petitum formulato dal giudice a quo. 
    Per quanto il dispositivo dell'ordinanza  di  rimessione  formuli
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  649  cod.  proc.
pen. con riferimento a tutti i casi  in  cui,  con  riguardo  ad  uno
stesso fatto, «sia stata gia' irrogata in via definitiva, nell'ambito
di un procedimento amministrativo non legato a quello  penale  da  un
legame materiale e temporale sufficientemente stretto,  una  sanzione
avente carattere sostanzialmente penale ai sensi della [CEDU]  e  dei
relativi protocolli», l'intero  sviluppo  argomentativo  della  parte
motiva dell'ordinanza  evidenzia,  come  giustamente  rilevato  dalla
difesa dell'imputato, che il rimettente ha  inteso  censurare  l'art.
649 cod. proc. pen. con specifico riferimento al  regime  di  "doppio
binario" sanzionatorio previsto in  materia  di  tutela  del  diritto
d'autore. Tutti gli argomenti del giudice a quo miranti a  dimostrare
l'insussistenza  di   una   connessione   sostanziale   e   temporale
sufficientemente  stretta  tra  i  due  procedimenti  sono,  infatti,
calibrati  su  questa  peculiare  disciplina,  e  non  si   estendono
necessariamente a tutte le variegate altre ipotesi in cui, nel nostro
ordinamento,   sono   disciplinati   regimi   di   "doppio   binario"
sanzionatorio per i medesimi illeciti. 
    Dal momento che, secondo la  costante  giurisprudenza  di  questa
Corte, l'oggetto del giudizio costituzionale deve essere  individuato
interpretando il dispositivo dell'ordinanza di rimessione  alla  luce
della sua motivazione (ex  multis,  sentenza  n.  33  del  2019),  la
questione  deve  dunque  essere  intesa  come  mirante  unicamente  a
estendere  la  disciplina  di  cui  all'art.  649  cod.  proc.   pen.
all'ipotesi in cui l'imputato di uno dei delitti  previsti  dall'art.
171-ter della legge n. 633 del 1941 sia gia' stato sottoposto in  via
definitiva a sanzione amministrativa per il medesimo fatto  ai  sensi
dell'art. 174-bis della medesima legge. 
    5.- In questi termini, la questione e' fondata. 
    5.1.- Il diritto al ne bis  in  idem,  gia'  considerato  da  una
risalente giurisprudenza di questa Corte come immanente alle garanzie
di cui agli artt. 24 e 111 Cost. (sentenza n. 200 del 2016 e numerosi
precedenti ivi citati), trova  esplicito  riconoscimento,  a  livello
internazionale, nell'art. 4, paragrafo 1, Prot. n.  7  CEDU,  ove  si
prevede che «[n]essuno puo' essere perseguito o condannato penalmente
dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il  quale  e'
gia' stato assolto o condannato a seguito di una sentenza  definitiva
conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato». 
    5.1.1.- Come risulta evidente gia' in base al dato  letterale  di
tale disposizione, la garanzia convenzionale in parola mira -  lo  si
e' gia' poc'anzi osservato - a tutelare l'imputato non solo contro la
prospettiva dell'inflizione di  una  seconda  pena,  ma  ancor  prima
contro la prospettiva di subire un secondo processo per  il  medesimo
fatto: e cio'  a  prescindere  dall'esito  del  primo  processo,  che
potrebbe anche essersi concluso con un'assoluzione. La ratio primaria
della garanzia - declinata qui non quale principio "ordinamentale"  a
valenza oggettiva, funzionale alla certezza dei  rapporti  giuridici,
ma quale diritto fondamentale della persona -  e'  dunque  quella  di
evitare l'ulteriore sofferenza, e i costi economici,  determinati  da
un nuovo processo in relazione a fatti per i quali quella persona sia
gia' stata giudicata. 
    Il ne bis in idem non si oppone, invece,  alla  possibilita'  che
l'imputato sia sottoposto, in esito a un medesimo procedimento, a due
o piu' sanzioni distinte per il medesimo fatto (ad  esempio,  a  pene
detentive, pecuniarie e  interdittive),  ferma  la  diversa  garanzia
rappresentata   dalla   proporzionalita'   della   pena:    garanzia,
quest'ultima, fondata su basi giuridiche distinte da quelle su cui si
fonda il diritto al ne bis in idem (in particolare, sugli artt.  3  e
27 Cost. a livello interno, e sull'art.  49,  paragrafo  3,  CDFUE  a
livello unionale). 
    5.1.2.- Come e' noto, essenziali presupposti  per  l'operativita'
del ne bis in idem convenzionale sono: 
    -  la  sussistenza  di  un  idem  factum:  presupposto   che   la
giurisprudenza ormai costante della Corte EDU, a partire almeno dalla
sentenza della grande  camera  del  10  febbraio  2009,  Zolotoukhine
contro  Russia  (paragrafi  79-84),  identifica  nei  medesimi  fatti
materiali   sui   quali   si   fondano   le   due   accuse    penali,
indipendentemente  dalla  loro   eventuale   diversa   qualificazione
giuridica; 
    - la sussistenza di una  previa  decisione,  non  importa  se  di
condanna  o  di   assoluzione,   che   concerna   il   merito   della
responsabilita' penale dell'imputato e sia divenuta irrevocabile, non
essendo piu' soggetta agli ordinari rimedi  impugnatori  (Corte  EDU,
sentenza Zolotoukhine, paragrafo 107); 
    - la sussistenza di un bis, ossia di un  secondo  procedimento  o
processo di carattere penale per quei medesimi fatti. 
    5.1.3.- Per quanto poi la lettera dell'art. 4  Prot.  n.  7  CEDU
enunci un  divieto  di  «perseguire»  o  «punire»  nuovamente  taluno
dell'ambito di «procedimenti penali»  per  un  «reato»,  la  costante
giurisprudenza della Corte di Strasburgo afferma  che  tali  concetti
devono essere interpretati alla luce dei noti criteri Engel, da tempo
utilizzati dalla Corte EDU per fissare il perimetro applicativo della
"materia penale"  ai  fini  degli  artt.  6  e  7  della  Convenzione
(sentenze  Zolotoukhine,  paragrafo  52;  A  e  B  contro   Norvegia,
paragrafi 105-107). Decisiva non e', dunque, la qualificazione  della
procedura e della sanzione come "penale"  da  parte  dell'ordinamento
nazionale,  ma  la   sua   natura   sostanzialmente   "punitiva"   da
apprezzarsi, appunto, sulla base dei criteri Engel. 
    D'altra parte, come gia' in varie occasioni  rilevato  da  questa
Corte (sentenze n. 145 del 2020, n. 222 del 2019, n. 43 del 2018),  a
partire almeno dalla citata pronuncia A e B contro Norvegia, la Corte
EDU afferma che non necessariamente l'inizio o la prosecuzione di  un
secondo  procedimento  di  carattere  sostanzialmente   punitivo   in
relazione a un  fatto  per  il  quale  una  persona  sia  gia'  stata
giudicata in via definitiva nell'ambito di un  diverso  procedimento,
pure  di  carattere  sostanzialmente  punitivo,  da'  luogo   a   una
violazione del ne bis in idem. Una  tale  violazione  deve,  infatti,
essere  esclusa  allorche'  tra  i  due  procedimenti  vi   sia   una
«connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta», cosi'
che  essi  rappresentino  una  risposta  coerente  e  sostanzialmente
unitaria al medesimo illecito (Corte EDU, sentenza A e  B,  paragrafo
130). 
    Al fine di verificare se una tale connessione sussista, la Corte,
nella sentenza ora indicata, ha enunciato in  particolare  i  criteri
seguenti (paragrafo 132): 
    - se i diversi  procedimenti  perseguano  scopi  complementari  e
pertanto concernano diversi aspetti  del  comportamento  illecito  in
questione; 
    - se la duplicita' di procedimenti in  conseguenza  della  stessa
condotta sia prevedibile, in astratto e in concreto; 
    - se i due procedimenti siano condotti in modo da evitare,  nella
misura del  possibile,  ogni  duplicazione  nella  raccolta  e  nella
valutazione delle prove; 
    - se  siano  previsti  meccanismi  che  consentano,  nel  secondo
procedimento, di tenere in considerazione la  sanzione  eventualmente
gia'  inflitta  nel  primo  procedimento,  in  modo  da  evitare  che
l'interessato  sia  sottoposto   a   un   trattamento   sanzionatorio
complessivo eccessivamente gravoso. 
    La sentenza A e B ha altresi' precisato,  da  un  lato,  che  una
violazione del ne bis in idem sara' tanto meno probabile quanto  meno
i   procedimenti   concorrenti   comportino    la    stigmatizzazione
caratteristica del "nucleo duro" del diritto penale, e  sara'  invece
tanto piu' probabile quanto piu' lo stesso  procedimento  formalmente
"amministrativo" presenti connotati stigmatizzanti  simili  a  quelli
propri del processo penale  in  senso  stretto  (paragrafo  133);  e,
dall'altro, che anche allorche' tra i due  procedimenti  sussista  un
nesso  sostanziale  sufficientemente  stretto,  una  violazione   del
diritto  convenzionale  in  parola  potrebbe  ugualmente  verificarsi
allorche'  difetti,  in   concreto,   una   sufficiente   connessione
cronologica tra gli stessi:  requisito,  quest'ultimo,  funzionale  a
tutelare  la  persona  contro   una   ingiustificatamente   protratta
situazione di incertezza circa la propria sorte (paragrafo 134). 
    Sulla base di questi criteri, la giurisprudenza della  Corte  EDU
successiva alla sentenza A e B ha  in  numerose  occasioni  ravvisato
violazioni dell'art. 4 Prot. n. 7 CEDU determinate dalla pendenza  di
un procedimento penale (in senso stretto) per fatti gia'  oggetto  di
provvedimenti  sanzionatori  formalmente  amministrativi,  ma   dalla
ritenuta natura sostanzialmente punitiva, valorizzando  di  volta  in
volta l'assenza di una connessione temporale sufficientemente stretta
tra i due procedimenti (sentenze 18 maggio 2017, Johannesson e  altri
contro Islanda; 16 aprile 2019, Bjarni Armannsson contro  Islanda;  6
giugno 2019, Nodet contro Francia), e/o l'assenza di una  sufficiente
connessione sostanziale tra i procedimenti, perseguendo gli stessi le
medesime finalita' e in considerazione dell'assenza di meccanismi che
consentissero di evitare duplicazione delle prove nonche'  di  tenere
conto,  nel  secondo  procedimento,  delle  sanzioni  gia'   irrogate
(sentenze Nodet contro Francia, cit.; 21 luglio 2020,  Velkov  contro
Bulgaria; 6 aprile 2021, Tsonyo Tsonev contro  Bulgaria  (n.  4);  31
agosto 2021, Milošević contro Croazia). La violazione e' stata invece
esclusa in altre occasioni, ove la Corte  EDU  ha  negato  la  natura
punitiva  delle  sanzioni  gia'  irrogate  in  sede  di  procedimento
disciplinare nei confronti di un medico (decisione 29 settembre 2020,
Faller e Steinmetz contro Francia), ovvero  ha  ritenuto  che  i  due
procedimenti avessero finalita' distinta, l'uno sanzionando l'eccesso
di velocita' e l'altro la causazione colposa della morte di un pedone
(sentenza 8 ottobre 2020, Bajčić contro Croazia). 
    Conviene qui incidentalmente notare che ad approdi  assai  simili
negli esiti a  quelli,  appena  riassunti,  della  giurisprudenza  di
Strasburgo e' pervenuta la Corte  di  giustizia  dell'Unione  europea
sulla corrispondente garanzia apprestata dall'art. 50  CDFUE  (grande
sezione, sentenze 20 marzo 2018, Garlsson Real  Estate  SA  e  altri,
cit.; in causa C-524/15, Menci; in cause C-596/16 e C-597/16, Di Puma
e altri). 
    5.2.- E' dunque sulla base di questi criteri che  deve  vagliarsi
la censura del rimettente, che investe - come  si  e'  detto  (supra,
punto 4) - lo specifico sistema  di  "doppio  binario"  sanzionatorio
previsto dalla legislazione italiana in  materia  di  protezione  del
diritto d'autore. 
    Al riguardo, non e' inutile precisare in limine che tali  criteri
debbono essere qui declinati in relazione alla logica  peculiare  del
giudizio innanzi a questa Corte, il cui  compito  non  e'  quello  di
verificare la sussistenza di violazioni del diritto  fondamentale  in
esame nel singolo caso concreto, bensi' quello  di  stabilire  se  il
meccanismo  normativo  disegnato  dal   legislatore   sia   tale   da
determinare violazioni di tale  diritto  fondamentale  in  un  numero
indeterminato di casi. 
    5.2.1.- La disciplina della legge n. 633 del 1941, nella versione
oggi  vigente,  in  materia  di  tutela  del  diritto   d'autore   e'
interamente costruita  attorno  a  un  sistema  di  "doppio  binario"
sanzionatorio, in cui le medesime condotte  illecite  in  molti  casi
costituiscono, al tempo stesso, delitti e illeciti amministrativi. 
    In particolare, l'art.  171-ter  della  legge  n.  633  del  1941
prevede  oggi  ai  commi  1  e  2  una  vasta  gamma  di  fattispecie
delittuose, punite con la pena della reclusione (da sei  mesi  a  tre
anni per le ipotesi del primo comma, e da  uno  a  quattro  anni  per
quelle del secondo comma) congiunta con la multa da euro 2.582 a euro
15.493. 
    Il parallelo art. 174-bis della medesima legge n. 633  del  1941,
introdotto dall'art. 8, comma 1, della legge 18 agosto 2000,  n.  248
(Nuove norme di tutela del diritto di autore), dispone che,  «[f]erme
le sanzioni penali  applicabili,  la  violazione  delle  disposizioni
previste nella presente sezione» - incluse, dunque, quelle di cui  al
precedente art. 171-ter - «e' punita con la  sanzione  amministrativa
pecuniaria pari al doppio del prezzo  di  mercato  dell'opera  o  del
supporto oggetto della violazione, in misura comunque non inferiore a
euro 103,00.  Se  il  prezzo  non  e'  facilmente  determinabile,  la
violazione e' punita con la sanzione amministrativa da euro 103,00  a
euro 1032,00. La sanzione  amministrativa  si  applica  nella  misura
stabilita per ogni  violazione  e  per  ogni  esemplare  abusivamente
duplicato o riprodotto». 
    Le due disposizioni - l'art. 171-ter e l'art. 174-bis della legge
n. 633 del 1941 - sanzionano dunque esattamente le medesime  condotte
materiali; e l'art. 174-bis stabilisce  espressamente,  a  scanso  di
ogni equivoco interpretativo, che le sanzioni amministrative da  esso
previste si applichino «[f]erme le sanzioni penali», indicando  cosi'
l'inequivoca volonta' del legislatore di cumulare in capo al medesimo
trasgressore le due tipologie  di  sanzioni  (cosi'  anche  Corte  di
cassazione, sezione seconda civile, sentenza  18  dicembre  2017,  n.
30319). 
    5.2.2.- La disciplina all'esame di questa Corte,  pertanto,  crea
strutturalmente le  condizioni  perche'  uno  stesso  soggetto  possa
essere sanzionato, in sede penale e amministrativa, per  la  medesima
condotta. 
    In effetti, il mero richiamo  compiuto  dall'art.  174-bis  della
legge n. 633  del  1941  alle  «violazioni  previste  nella  presente
sezione», e dunque anche a quelle contemplate come delitto  dall'art.
171-ter, rende gli ambiti dei due illeciti - quello amministrativo  e
quello penale - in larga misura  sovrapponibili.  Vero  e'  che,  sul
piano   dell'elemento   psicologico,   il   delitto    deve    essere
necessariamente  qualificato  dal  dolo  dell'agente,  che   non   e'
viceversa necessario ai  fini  dell'integrazione  del  corrispondente
illecito amministrativo. Tuttavia, rispetto all'area  in  cui  i  due
illeciti si sovrappongono  -  rappresentata  dall'insieme  dei  fatti
materiali descritti dall'art. 171-ter in concreto commessi con dolo -
le due disposizioni fanno si' che il loro autore sia sanzionato  piu'
volte per un idem  factum:  concetto,  quest'ultimo,  da  apprezzarsi
secondo il criterio riferito al medesimo accadimento  storico  e  non
alla sua qualificazione legale, che e' costantemente  adottato  dalla
giurisprudenza della Corte EDU a partire  dalla  poc'anzi  menzionata
sentenza Zolotoukhine, e che e' del resto stato  accolto  in  termini
inequivoci anche dalla giurisprudenza di questa  Corte  (sentenza  n.
200 del 2016). 
    La previsione di due distinte classi di sanzioni  (l'una  penale,
l'altra  amministrativa)  per  le  medesime  condotte  comporta  poi,
altrettanto fisiologicamente, la  prospettiva  di  piu'  procedimenti
sanzionatori che si sviluppano parallelamente o consecutivamente  nei
confronti del loro autore: l'uno  condotto  dal  pubblico  ministero,
l'altro dal prefetto. Sicche', non appena uno  di  tali  procedimenti
giunga  a  conclusione  attraverso  l'adozione   di   una   decisione
definitiva   sulla   responsabilita'   (penale   o    amministrativa)
dell'interessato, e'  altrettanto  fisiologico  che  il  procedimento
ancora aperto - o ancora da iniziarsi - divenga un  bis  rispetto  al
procedimento gia' concluso ai fini della garanzia all'esame. 
    Ne' appare dubbia, a giudizio di questa Corte, la natura punitiva
delle sanzioni amministrative previste dall'art. 174-bis della  legge
n.  633  del  1941  alla  luce  dei  criteri  Engel  e  della  stessa
giurisprudenza  costituzionale,  che  tali  criteri  ha  adottato   e
autonomamente sviluppato, a partire almeno dalla sentenza n. 196  del
2010 (da ultimo, sentenze n. 185 e  n.  68  del  2021).  La  sanzione
amministrativa pecuniaria prevista dall'art. 174-bis della  legge  n.
633 del 1941 e' determinata di regola assumendo come base del calcolo
il doppio del prezzo di mercato dell'opera  o  del  supporto  oggetto
della  violazione,  moltiplicato   per   il   numero   di   esemplari
abusivamente  duplicati  o  replicati,  in  modo  da  infliggere   al
trasgressore un sacrificio economico superiore al  profitto  ricavato
dall'illecito.  Cio'  rende  evidente  la  funzione   accentuatamente
dissuasiva della sanzione, come si evince dalla relazione al  disegno
di legge A.S. 1496, poi sfociato nella legge n.  248  del  2000  alla
quale si dovette l'introduzione dell'art. 174-bis. In tale  relazione
si sottolinea come l'obiettivo perseguito dalla novella fosse  quello
di «incrementare il grado di dissuasivita' delle misure di contrasto»
alle   violazioni   del   diritto   d'autore,   attraverso   sanzioni
amministrative «che appaiono dotate di autonoma deterrenza in  quanto
rapidamente applicabili», «a prescindere [...] dai "benefici" che  si
possono ottenere in sede penale». Una finalita', dunque, in  tutto  e
per tutto  sovrapponibile  a  quella  caratteristica  delle  sanzioni
penali. 
    5.2.3.- Cio' posto, resta dunque  soltanto  da  verificare,  alla
luce dei criteri enunciati dalla Corte  EDU  nella  sentenza  A  e  B
contro  Norvegia  (supra,  punto  5.1.3.),  se  i  due   procedimenti
finalizzati all'irrogazione delle sanzioni - penali e amministrative,
ma entrambe di natura punitiva - previste rispettivamente dagli artt.
171-ter e 174-bis della legge  n.  633  del  1941  possano  ritenersi
avvinti da una connessione sostanziale e  temporale  sufficientemente
stretta, cosi' che tali procedimenti appaiano come parti di un  unico
sistema  integrato   di   tutela   dei   medesimi   beni   giuridici,
insuscettibile  di  produrre  effetti  sproporzionati   sui   diritti
fondamentali dell'interessato. Ove cosi' fosse, il sistema di "doppio
binario" disegnato  dal  legislatore  non  risulterebbe  di  per  se'
incompatibile con l'art. 4 Prot. n. 7 CEDU e,  conseguentemente,  con
l'art. 117, primo comma, Cost. 
    Al riguardo, non c'e' dubbio che il sistema normativo  congegnato
dalla legge n.  633  del  1941  consenta  al  destinatario  dei  suoi
precetti di prevedere  la  possibilita'  di  essere  soggetto  a  due
procedimenti distinti, e conseguentemente a due  distinte  classi  di
sanzioni. 
    Tuttavia, non puo' ritenersi che i  due  procedimenti  perseguano
scopi complementari, o concernano diversi aspetti  del  comportamento
illecito. Quanto allo scopo perseguito dal  legislatore  mediante  la
sanzione  amministrativa,  si  e'  gia'  osservato  come   i   lavori
preparatori della legge  n.  248  del  2000,  che  introdusse  l'art.
174-bis nella legge n.  633  del  1941,  dichiarino  l'intenzione  di
potenziare l'efficacia generalpreventiva dei divieti  gia'  contenuti
nella legge, compresi quelli per i quali erano gia' previste sanzioni
penali:  queste  ultime  anch'esse  finalizzate,  strutturalmente,  a
dissuadere potenziali autori dal commettere gli illeciti  in  parola.
Quanto poi alla condotta sanzionata,  si  e'  parimenti  sottolineato
come i fatti puniti dagli artt. 171-ter e 174-bis della legge n.  633
del 1941 siano esattamente  i  medesimi,  salvo  che  nell'ipotesi  -
verosimilmente di rilievo poco piu' che teorico, data la tipologia di
illecito in questione -  di  condotte  meramente  colpose,  rilevanti
soltanto  ai  sensi  della  seconda  disposizione.  Nemmeno  poi   e'
previsto, come  tipicamente  avviene  nella  materia  tributaria,  un
sistema di soglie in grado di selezionare le sole condotte che per la
loro gravita' appaiano meritevoli anche della sanzione penale. 
    Il sistema normativo non prevede, d'altra parte, alcun meccanismo
atto a evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione  delle
prove, e ad assicurare una ragionevole  coordinazione  temporale  dei
procedimenti. La giurisprudenza di legittimita' ha anzi  escluso,  in
mancanza di  rapporto  di  pregiudizialita'  tra  illecito  penale  e
illecito amministrativo, l'operativita' della clausola di connessione
di cui all'art. 24 della legge n. 689 del 1981, che - ove applicabile
- conferirebbe invece al giudice  penale  la  competenza  a  irrogare
anche la sanzione amministrativa (Cass., sentenza n. 30319 del 2017). 
    Ne' e' previsto, infine, alcun meccanismo che consenta al giudice
penale (ovvero all'autorita' amministrativa  in  caso  di  formazione
anticipata del giudicato penale) di tenere conto della sanzione  gia'
irrogata ai fini della commisurazione della pena, in modo da  evitare
che una medesima condotta  sia  punita  in  modo  sproporzionato.  La
(severa) multa che il giudice penale e' tenuto oggi a irrogare viene,
infatti, semplicemente  a  sovrapporsi  alla  gia'  gravosa  sanzione
pecuniaria  amministrativa,  senza  che  si  possa   discernere   una
qualsiasi autonomia di ratio, ne' alcun coordinamento funzionale, tra
di esse. 
    Da tutto cio' discende che il  sistema  di  "doppio  binario"  in
esame non e' normativamente congegnato in modo da  assicurare  che  i
due  procedimenti  sanzionatori  previsti  apprestino  una   risposta
coerente e sostanzialmente  unitaria  agli  illeciti  in  materia  di
violazioni del diritto d'autore, gia' penalmente sanzionati dall'art.
171-ter della legge n. 633 del 1941.  I  due  procedimenti  originano
dalla medesima condotta, ma seguono poi percorsi autonomi, che non si
intersecano ne' si coordinano reciprocamente in alcun  modo,  creando
cosi' inevitabilmente le condizioni per il verificarsi di  violazioni
sistemiche del diritto al ne bis in idem. 
    6.- A tali violazioni  e'  possibile  porre  almeno  parzialmente
rimedio  attraverso  l'intervento  sull'art.  649  cod.  proc.   pen.
auspicato dal rimettente. 
    Piu' in particolare, tale  disposizione  deve  essere  dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che  il
giudice pronunci  sentenza  di  proscioglimento  o  di  non  luogo  a
procedere nei confronti di un imputato per uno dei  delitti  previsti
dall'art. 171-ter della legge n. 633 del 1941 che,  in  relazione  al
medesimo  fatto,  sia   gia'   stato   sottoposto   a   procedimento,
definitivamente conclusosi,  per  l'illecito  amministrativo  di  cui
all'art. 174-bis della medesima legge. 
    7.- Questa Corte e', peraltro, consapevole che tale  rimedio  non
e' idoneo a evitare tutte le possibili violazioni del diritto  al  ne
bis in idem fisiologicamente create dalla legge n. 633 del  1941,  in
particolare nell'ipotesi inversa in cui l'autore della violazione sia
stato gia' definitivamente giudicato  per  uno  dei  delitti  di  cui
all'art. 171-ter della legge,  e  sia  successivamente  sottoposto  a
procedimento amministrativo ai sensi dell'art. 174-bis. 
    Ne' il rimedio ora apprestato  -  pur  necessario  a  evitare  il
prodursi di violazioni del diritto fondamentale nell'eventualita'  in
cui il processo penale segua quello amministrativo - e' idoneo di per
se' a conferire razionalita' complessiva  al  sistema,  che  consente
comunque  l'apertura  di  due  procedimenti  e  il  loro  svolgimento
parallelo, con conseguente duplicazione in capo  all'interessato  dei
costi personali ed economici di cui si e' detto. 
    Spetta dunque al legislatore rimodulare la disciplina in esame in
modo da assicurare un adeguato coordinamento tra  le  sue  previsioni
procedimentali  e  sanzionatorie,  nel   quadro   di   un'auspicabile
rimeditazione complessiva  dei  vigenti  sistemi  di  doppio  binario
sanzionatorio alla luce dei principi enunciati dalla Corte EDU, dalla
Corte di giustizia e da questa stessa Corte. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 649 del codice
di procedura penale, nella parte in cui non prevede  che  il  giudice
pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a  procedere  nei
confronti di un imputato  per  uno  dei  delitti  previsti  dall'art.
171-ter della legge 22 aprile 1941, n. 633  (Protezione  del  diritto
d'autore e di altri diritti  connessi  al  suo  esercizio),  che,  in
relazione  al  medesimo  fatto,   sia   gia'   stato   sottoposto   a
procedimento,    definitivamente    conclusosi,    per     l'illecito
amministrativo di cui all'art. 174-bis della medesima legge. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 10 maggio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                   Igor DI BERNARDINI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 giugno 2022. 
 
                           Il Cancelliere 
                      F.to: Igor DI BERNARDINI