N. 152 SENTENZA 27 aprile - 17 giugno 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Lavoro - Rapporto di lavoro - Lavoratori impiegati negli Organismi di
  controllo  in  materia  di  produzione  agricola  e  agroalimentare
  biologica  -  Requisiti  richiesti  -  Assenza  della  qualita'  di
  indagato per delitti non colposi per i quali la  legge  commina  la
  pena di reclusione non inferiore  nel  minimo  a  due  anni  o  nel
  massimo a cinque anni, ovvero per i delitti di cui agli artt.  513,
  515, 516, 517, 517-bis, 640 e 640-bis cod. pen. -  Equiparazione  a
  coloro di cui e' stata accertata  la  responsabilita'  penale,  sia
  pure  in  via  non  definitiva  -  Violazione  del   principio   di
  ragionevolezza - Illegittimita' costituzionale parziale. 
- Decreto legislativo 23 febbraio 2018, n. 20, Allegato 2,  punto  C,
  numero 3, lettera a). 
- Costituzione, artt. 3, 27,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, art.  6,  paragrafo  2;  Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea, art. 48. 
(GU n.25 del 22-6-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'Allegato  2,
punto C, numero 3), lettera a), del decreto legislativo  23  febbraio
2018,   n.   20,   recante   «Disposizioni   di   armonizzazione    e
razionalizzazione  della  normativa  sui  controlli  in  materia   di
produzione agricola e agroalimentare biologica, predisposto ai  sensi
dell'articolo 5, comma 2, lett. g), della legge 28  luglio  2016,  n.
154, e ai sensi dell'articolo 2 della legge 12 agosto 2016, n.  170»,
promosso dal Tribunale ordinario di Roma, in funzione di giudice  del
lavoro, nel procedimento vertente tra G.  B.  e  S.  e  S.  srl,  con
ordinanza del 10 novembre  2020,  iscritta  al  n.  88  del  registro
ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 25, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 27  aprile  2022  il  Giudice
relatore Giovanni Amoroso; 
    deliberato nella camera di consiglio del 27 aprile 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 novembre  2020  (reg.  ord.  n.  88  del
2021), il Tribunale ordinario di Roma, in  funzione  di  giudice  del
lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27, secondo comma,
e 117, primo comma, della  Costituzione,  quest'ultimo  in  relazione
agli artt. 6, paragrafo 2, della Convenzione per la salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848,  e  48  della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000  e
adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'Allegato 2, punto C, numero 3), lettera  a),  del
decreto legislativo 23 febbraio 2018, n. 20, recante «Disposizioni di
armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui  controlli  in
materia  di   produzione   agricola   e   agroalimentare   biologica,
predisposto ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lett. g), della  legge
28 luglio 2016, n. 154, e ai sensi dell'articolo  2  della  legge  12
agosto 2016, n. 170», nella parte in cui prevede che il requisito  di
idoneita' morale, di indipendenza,  di  imparzialita'  e  assenza  di
conflitto di interesse di cui all'art. 4, comma 6, lettera a),  dello
stesso decreto legislativo, e' assicurato dall'organismo di controllo
e certificazione per l'agroalimentare e  l'ambiente,  avvalendosi  di
collaboratori o  dipendenti  addetti  all'attivita'  di  controllo  e
certificazione  che  «non  devono   [...]   essere   interessati   da
procedimenti penali in corso per delitti non colposi per i  quali  la
legge commina la pena di reclusione non inferiore nel  minimo  a  due
anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti  di  cui  agli
articoli 513, 515, 516, 517, 517-bis, 640 e 640-bis del codice penale
[...]». 
    L'Allegato 2 in parola e' richiamato, come  detto,  dall'art.  4,
comma 6, lettera a), del  d.lgs.  n.  20  del  2018,  contenente,  in
conformita' alla normativa dell'Unione europea -  ed  in  particolare
del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio, del 28  giugno  2007,
relativo alla produzione biologica e all'etichettatura  dei  prodotti
biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91 - i principi e
le  disposizioni  per  la   razionalizzazione,   la   regolazione   e
l'armonizzazione del sistema dei controlli e di certificazione  delle
attivita'   di   produzione,   trasformazione,   commercializzazione,
importazione di prodotti ottenuti secondo il  metodo  di  agricoltura
biologica e la relativa disciplina sanzionatoria. 
    Il regolamento europeo incaricava gli Stati membri  di  designare
le autorita' responsabili dei controlli  in  materia  di  agricoltura
biologica, stabilendo che l'autorita' designata  potesse  delegare  i
propri compiti ad uno o  piu'  organismi  di  controllo,  debitamente
autorizzati e posti sotto la sua vigilanza (art. 27, comma 4). 
    Il d.lgs. n. 20 del 2018,  previa  individuazione  dell'autorita'
competente nel Ministero per le politiche agricole e forestali  (art.
4, comma 1), ha previsto che i compiti di controllo e  certificazione
possano essere da esso delegati ad uno  o  piu'  organismi,  i  quali
devono rivolgere al  Ministero  apposita  istanza  di  autorizzazione
(art.   4,   comma    2).    L'ottenimento    e    il    mantenimento
dell'autorizzazione sono subordinati, tra  l'altro,  al  possesso  di
specifici requisiti di «idoneita' morale, imparzialita',  ed  assenza
di  conflitto  di  interesse   dei   propri   rappresentanti,   degli
amministratori, del personale addetto all'attivita'  di  controllo  e
certificazione, secondo quanto specificato dall'allegato 2» (art.  4,
comma 6, lettera a). 
    Il richiamato Allegato 2 precisa che, al  fine  di  assicurare  i
predetti   requisiti,   nonche'   quello    di    imparzialita',    i
rappresentanti, gli amministratori degli  organismi  di  controllo  e
certificazione e  il  personale  addetto  allo  svolgimento  di  tale
attivita' «non devono aver riportato condanne definitive  (o  decreto
penale di condanna divenuto irrevocabile o sentenza  di  applicazione
della pena  su  richiesta  ai  sensi  dell'art.  444  del  codice  di
procedura penale) o essere  interessati  da  procedimenti  penali  in
corso per delitti non colposi per i quali la legge commina la pena di
reclusione non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque
anni, ovvero per i delitti di cui agli articoli 513, 515,  516,  517,
517-bis, 640  e  640-bis  del  codice  penale,  ovvero  condanne  che
importano l'interdizione dai pubblici uffici per durata  superiore  a
tre anni». 
    Secondo il rimettente, tale ultima disposizione, nella  parte  in
cui  esige,  in  funzione   dell'ottenimento   e   del   mantenimento
dell'autorizzazione  da   parte   dell'organismo   di   controllo   e
certificazione, che i collaboratori e i dipendenti, di  cui  esso  si
avvale per lo svolgimento di tale attivita', non  siano  «interessati
da procedimenti penali in corso per delitti non colposi per  i  quali
la legge commina la pena di reclusione non inferiore nel minimo a due
anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti  di  cui  agli
articoli 513, 515, 516,  517,  517-bis,  640  e  640-bis  del  codice
penale», lederebbe, per un  verso,  il  principio  di  ragionevolezza
(ponendosi in contrasto con l'art. 3 Cost.) e, per  altro  verso,  la
presunzione di innocenza (ponendosi in contrasto con  gli  artt.  27,
secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo  in  relazione
all'art. 6, paragrafo 2, CEDU e all'art. 48 CDFUE). 
    L'ordinanza di rimessione  e'  stata  emessa  nell'ambito  di  un
giudizio  introdotto  da  un  lavoratore  parasubordinato,  svolgente
mansioni  di  tecnico  ispettore  addetto   al   controllo   e   alla
certificazione dei prodotti da agricoltura biologica, il quale,  dopo
avere ricevuto, dalla competente procura della Repubblica, avviso  di
conclusione delle indagini preliminari per i reati di cui agli  artt.
81, 640-bis, 48 e 479, in relazione all'art. 476, del codice  penale,
si era visto  risolvere,  da  parte  dell'organismo  di  controllo  e
certificazione nel cui interesse aveva svolto la predetta  attivita',
il   contratto   di   collaborazione   coordinata   e    continuativa
precedentemente stipulato. 
    Il giudice a quo riferisce che il ricorrente, G.  B.  -  premesso
che aveva ricevuto dalla societa' S. e S. srl, organismo di controllo
e certificazione per  l'agroalimentare  e  l'ambiente,  una  nota  di
interruzione del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa
precedentemente instaurato, fondata sul sopravvenuto  venir  meno  di
uno    dei    presupposti    necessari    per    la     conservazione
dell'autorizzazione  ministeriale  allo  svolgimento  delle  predette
attivita' - aveva  domandato  l'accertamento  dell'illegittimita'  di
tale atto di recesso, nonche' la condanna della societa' recedente al
risarcimento del  danno,  adducendo  l'illegittimita'  costituzionale
delle norme di legge poste a fondamento dell'atto datoriale. 
    Il rimettente espone che analoga eccezione  era  stata  sollevata
dalla societa' convenuta, costituitasi in  giudizio,  la  quale,  nel
rimarcare la legittimita' del proprio operato, ne  aveva  evidenziato
il carattere necessitato, avuto riguardo all'esigenza di  ottemperare
a norme di legge a suo avviso costituzionalmente illegittime. 
    1.1.-  Il  giudice   a   quo,   nell'aderire   ai   sospetti   di
illegittimita'   costituzionale    delle    disposizioni    contenute
nell'Allegato 2, punto C, numero 3), lettera a), al d.lgs. n. 20  del
2018, in ordine alle modalita'  di  assicurazione  del  requisito  di
idoneita' morale dell'organismo di controllo  e  certificazione  (con
riferimento alla necessita' che gli  addetti  a  tale  attivita'  non
siano  interessati  da  procedimenti  penali  relativi  a  specifiche
tipologie di reati),  ritiene,  anzitutto,  che  le  questioni  siano
rilevanti nel giudizio principale. 
    Evidenzia,  al  riguardo,  che,  essendo  stato  basato   (l'atto
recessivo)  unicamente   sulla   necessita'   di   ottemperare   alle
disposizioni  tacciate  di  illegittimita'  costituzionale,  ove   le
questioni  fossero  fondate,  il  recesso  operato   dalla   societa'
convenuta dovrebbe reputarsi illegittimo (e le domande  proposte  dal
ricorrente dovrebbero essere accolte), atteso che la  disciplina  del
contratto di collaborazione coordinata e continuativa non  attribuiva
al committente, nel caso di specie, la facolta' di recedere ad nutum,
e che, pertanto, l'esercizio di  tale  potere  era  subordinato  alla
sussistenza di una giusta causa, nella specie mancante. 
    Al contrario, ove le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
fossero ritenute non fondate, si  confermerebbe  la  validita'  della
base normativa giustificativa dell'atto datoriale volto a porre  fine
al rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, cosicche' le
domande formulate dal ricorrente dovrebbero essere rigettate. 
    1.2.- Le questioni, poi, sarebbero  altresi'  non  manifestamente
infondate. 
    Dall'esame sistematico delle disposizioni del codice di procedura
penale in materia di «procedimento» e «processo» (ed  in  particolare
dall'art. 60 cod. proc. pen.) emergerebbe con evidenza che la nozione
di  «procedimento  penale»   ricomprende   necessariamente   l'intera
sequenza di atti posti in essere  dall'iscrizione  della  notizia  di
reato (art. 335 cod. proc. pen.)  al  passaggio  in  giudicato  della
sentenza di non luogo a procedere, di proscioglimento o di  condanna,
mentre la nozione di processo, piu'  ristretta,  ricomprenderebbe  la
sequenza di atti compiuti a  seguito  della  richiesta  di  rinvio  a
giudizio (ossia le fasi successive all'esercizio dell'azione penale),
allorche' la persona sottoposta alle indagini  (indagato)  assuma  il
diverso status di imputato. 
    Cio' posto, l'espressione  «essere  interessati  da  procedimenti
penali»,  contenuta  nella   norma   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale, concernerebbe il «procedimento  penale»  propriamente
detto, cioe' l'intera fase ricompresa tra l'iscrizione  nel  registro
degli indagati e il provvedimento penale definitivo. 
    Dunque, ai sensi dell'Allegato 2, punto C, numero 3), lettera a),
al d.lgs. n. 20 del 2018, l'impossibilita' di svolgere le mansioni di
addetto al controllo e alla certificazione in materia di  agricoltura
biologica si porrebbe, in funzione della necessita' di assicurare  il
prescritto requisito di idoneita' morale, non soltanto per le persone
condannate in sede penale o per quelle rispetto alle quali  e'  stato
chiesto dal pubblico ministero il rinvio a giudizio, ma anche per  le
persone semplicemente  indagate,  rispetto  alle  quali,  in  seguito
all'acquisizione di una notizia  di  reato,  il  pubblico  ministero,
prima ancora che sia stato acquisito alcun elemento atto a confermare
o smentire la notizia medesima, abbia doverosamente disposto  l'avvio
delle  indagini   preliminari   mediante   iscrizione   nell'apposito
registro. 
    Il  carattere  necessitato  di  tale   risultato   interpretativo
(rispetto   al   quale   non   vi   sarebbe   la   possibilita'    di
un'interpretazione   alternativa,    costituzionalmente    orientata)
proietterebbe  la  disposizione  censurata  in  una   situazione   di
illegittimita' costituzionale. 
    In primo luogo, la norma violerebbe l'art. 3 Cost., ponendosi  in
contrasto con il principio di ragionevolezza,  giacche',  equiparando
la posizione di chi e' sottoposto ad indagini preliminari a quella di
coloro che abbiano visto accertata la  loro  responsabilita'  penale,
sia pure  in  via  non  definitiva,  configurerebbe  una  conseguenza
eccessivamente grave e sproporzionata rispetto agli  obiettivi  avuti
di mira dal legislatore  europeo  con  l'introduzione  del  requisito
dell'idoneita' morale previsto dal regolamento n. 834 del 2007. 
    Nel  bilanciamento  tra  l'interesse  dello  Stato  a   che   sia
assicurato il predetto requisito  e  l'interesse  del  lavoratore  ad
essere considerato innocente sino al  provvedimento  irrevocabile  di
condanna,  sarebbe  ingiustificatamente  penalizzato  questo  secondo
interesse. 
    Inoltre,   la   disposizione   sospettata    di    illegittimita'
costituzionale introdurrebbe un  elemento  di  forte  incoerenza  nel
sistema normativo, in quanto si porrebbe in contrasto  con  l'univoca
linea tendenziale  dell'ordinamento  volta  ad  attribuire  rilevanza
esclusivamente alle sentenze di condanna, sia  pure  non  definitive.
Tale  linea  emergerebbe,   in   particolare,   in   funzione   della
individuazione di situazioni  ostative  all'assunzione  di  incarichi
pubblici o in enti privati a controllo pubblico (decreto  legislativo
8  aprile  2013,  n.  39,  recante  «Disposizioni   in   materia   di
inconferibilita' e incompatibilita' di incarichi presso le  pubbliche
amministrazioni e presso gli enti privati in  controllo  pubblico,  a
norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.
190»), alla possibilita' di ricoprire cariche elettive e  di  governo
(artt. 1, 6, 7 e 10 del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235,
recante   «Testo   unico   delle   disposizioni   in    materia    di
incandidabilita' e di divieto di  ricoprire  cariche  elettive  e  di
Governo conseguenti a sentenze definitive di condanna per delitti non
colposi, a norma dell'articolo 1, comma 63, della  legge  6  novembre
2012, n. 190»), al diritto di partecipare a procedure  di  appalto  o
concessione (art. 80 del decreto legislativo 18 aprile 2016,  n.  50,
recante «Codice  dei  contratti  pubblici»)  e  allo  svolgimento  di
funzioni amministrative nell'ambito degli enti locali (gia'  art.  15
della legge 19 marzo 1990, n. 55, recante «Nuove disposizioni per  la
prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi  forme
di manifestazione  di  pericolosita'  sociale»,  poi  rifluito  nelle
disposizioni di cui al decreto legislativo 18 agosto  2000,  n.  267,
recante  «Testo  unico  delle  leggi  sull'ordinamento   degli   enti
locali»). 
    In secondo luogo,  la  disposizione  contenuta  nell'Allegato  2,
punto C, numero 3), lettera a), al d.lgs. n. 20 del 2018,  violerebbe
gli artt. 27, secondo comma, e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo
in relazione all'art. 6, paragrafo  2,  CEDU  e  all'art.  48  CDFUE,
ponendosi  in  contrasto  con  il  principio  della  presunzione   di
innocenza. 
    2.- Nel giudizio incidentale e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    La difesa  statale  ha,  anzitutto,  eccepito  l'inammissibilita'
delle questioni per difetto di motivazione sulla  rilevanza  e  sulla
non manifesta infondatezza, censurando,  per  un  verso,  la  mancata
indagine, da  parte  del  rimettente,  in  ordine  alla  possibilita'
dell'adozione di una misura conservativa del rapporto  di  lavoro  da
parte dell'ente committente, ed evidenziando, per altro verso, che il
dubbio di ragionevolezza avrebbe dovuto essere enunciato  comparando,
non gia' la situazione dell'indagato a quella del condannato,  ma  la
situazione di quest'ultimo all'indagato per delitti non colposi per i
quali la legge commina la pena della  reclusione  non  inferiore  nel
minimo a due anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per  i  delitti
di cui agli artt. 513, 515, 516, 517, 517-bis,  640  e  640-bis  cod.
pen. 
    Con  specifico  riguardo  alla  censura   di   violazione   della
presunzione  di  innocenza,  la  difesa  statale   ne   ha   eccepito
l'inammissibilita', in quanto il giudice a  quo,  in  modo  meramente
assertivo, si sarebbe limitato ad indicare i parametri evocati  e  le
norme  interposte,  senza  illustrare  le  ragioni  del  sospetto  di
illegittimita' costituzionale. 
    Nel merito, l'interveniente ha chiesto dichiararsi non fondate le
questioni di legittimita' costituzionale in esame. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 novembre  2020  (reg.  ord.  n.  88  del
2021), il Tribunale ordinario di Roma, in  funzione  di  giudice  del
lavoro,  ha  sollevato  questioni  di   legittimita'   costituzionale
dell'Allegato  2,  punto  C,  numero  3),  lettera  a),  del  decreto
legislativo  23  febbraio  2018,  n.  20,  recante  «Disposizioni  di
armonizzazione e razionalizzazione della normativa sui  controlli  in
materia  di   produzione   agricola   e   agroalimentare   biologica,
predisposto ai sensi dell'articolo 5, comma 2, lett. g), della  legge
28 luglio 2016, n. 154, e ai sensi dell'articolo  2  della  legge  12
agosto 2016, n. 170», nella parte in cui prevede che il requisito  di
idoneita' morale, di indipendenza,  di  imparzialita'  e  assenza  di
conflitto di interesse di cui all'art. 4, comma 6, lettera a),  dello
stesso decreto legislativo, e' assicurato dall'organismo di controllo
e certificazione per l'agroalimentare e  l'ambiente,  avvalendosi  di
collaboratori o  dipendenti  addetti  all'attivita'  di  controllo  e
certificazione che, tra l'altro, non debbono «essere  interessati  da
procedimenti penali in corso per delitti non colposi per i  quali  la
legge commina la pena di reclusione non inferiore nel  minimo  a  due
anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti  di  cui  agli
articoli 513, 515, 516,  517,  517-bis,  640  e  640-bis  del  codice
penale». 
    La disposizione censurata violerebbe, anzitutto, l'art.  3  della
Costituzione, per lesione del principio di  ragionevolezza,  perche',
equiparando la posizione di chi e' sottoposto ad indagini preliminari
a quella di coloro di  cui  e'  stata  accertata  la  responsabilita'
penale, sia pure in via non definitiva, per un  verso  configurerebbe
una conseguenza eccessivamente grave e sproporzionata  rispetto  agli
obiettivi perseguiti con l'introduzione del requisito  dell'idoneita'
morale  del  personale   addetto   all'attivita'   di   controllo   e
certificazione dei prodotti di agricoltura biologica, atteso che  nel
bilanciamento tra l'interesse dello Stato a  che  sia  assicurato  il
predetto requisito e l'interesse del lavoratore ad essere considerato
innocente sino al provvedimento  irrevocabile  di  condanna,  sarebbe
ingiustificatamente penalizzato questo secondo interesse;  per  altro
verso, introdurrebbe un elemento  di  forte  incoerenza  nel  sistema
normativo,  ponendosi  in  contrasto  con  la   linea   di   tendenza
ordinamentale volta ad  attribuire  rilevanza  -  in  funzione  della
individuazione di situazioni  ostative  all'assunzione  di  incarichi
pubblici o in enti privati a controllo pubblico, alla possibilita' di
ricoprire cariche elettive e di governo, e al diritto di  partecipare
a procedure di appalto o concessione e allo svolgimento  di  funzioni
amministrative nell'ambito degli enti locali  -  esclusivamente  alle
sentenze di condanna, sia pure non definitive. 
    In  secondo  luogo,  la  norma   sospettata   di   illegittimita'
costituzionale violerebbe gli artt. 27, secondo comma, e  117,  primo
comma, Cost., quest'ultimo in  relazione  all'art.  6,  paragrafo  2,
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,  e
all'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione  europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il  12  dicembre  2007,  ponendosi  in  contrasto  con  il
principio della presunzione di innocenza. 
    2.- Preliminarmente, va osservato che sussiste la rilevanza delle
questioni nel giudizio a quo. 
    Secondo la difesa statale - che ha censurato che sia stata omessa
l'indagine, nell'ordinanza di rimessione, in ordine alla possibilita'
dell'adozione di una misura conservativa del rapporto  di  lavoro  da
parte dell'ente committente - la mancanza del requisito di  idoneita'
morale, di indipendenza, di imparzialita' e assenza di  conflitto  di
interesse  nel  personale  addetto  all'attivita'  di   controllo   e
certificazione non pregiudicherebbe  la  prosecuzione  di  un  valido
rapporto di lavoro tra questo personale e l'organismo di controllo  e
certificazione,  ma  solo  la  possibilita',  per  quest'ultimo,   di
ottenere e mantenere l'autorizzazione a svolgere i predetti  compiti.
Per evitare il diniego dell'autorizzazione (o  la  revoca  di  quella
gia' ottenuta), l'organismo non  sarebbe  costretto  a  risolvere  il
contratto di lavoro, essendo sufficiente, appunto, l'adozione di  una
misura  conservativa,  mediante  l'emissione  di   un   provvedimento
cautelare di  sospensione  sino  alla  conclusione  del  procedimento
penale. La decisione sulle  domande  formulate  nel  giudizio  a  quo
(aventi ad oggetto l'accertamento dell'illegittimita' del  recesso  e
la condanna del datore di  lavoro  al  risarcimento  del  danno)  non
sarebbe,   dunque,   subordinata   al   giudizio   di    legittimita'
costituzionale sulla norma indubbiata. 
    In contrario puo', tuttavia, osservarsi che, nella fattispecie in
esame, il rapporto intercorrente tra le parti del giudizio principale
non ha la natura di lavoro subordinato, ma trova la sua fonte  in  un
contratto di collaborazione  coordinata  e  continuativa,  avente  ad
oggetto, secondo quanto riferito dal giudice a  quo,  lo  svolgimento
delle funzioni di controllo e certificazione dei prodotti  biologici,
vale a dire proprio (e specificamente) le funzioni che presuppongono,
nel personale addetto, i requisiti di idoneita' morale previsti dalla
norma tacciata di illegittimita' costituzionale. 
    Ne deriva che, da un lato, non trovano applicazione gli  istituti
tipici che caratterizzano le prerogative del datore di  lavoro  nella
fase esecutiva del  rapporto  di  lavoro  subordinato  (come  lo  ius
variandi e la sospensione cautelare del dipendente); dall'altro lato,
il venir meno, nella persona  del  collaboratore,  dei  requisiti  di
idoneita' morale cui la norma censurata subordina la possibilita'  di
svolgimento dell'attivita' dedotta nel  contratto  di  collaborazione
coordinata  e  continuativa,  e'  circostanza  idonea  a  determinare
l'impossibilita'  sopravvenuta  della  prestazione,  sub  specie   di
impossibilita' giuridica, cui consegue la  risoluzione  del  rapporto
contrattuale (art. 1463 del codice civile). 
    Poiche' il rimettente ha evidenziato che il recesso datoriale  si
fonda unicamente sulla sopravvenuta mancanza dei  predetti  requisiti
di idoneita' morale (quale giusta causa  di  risoluzione  in  assenza
della previsione della facolta' di recesso ad  nutum),  le  sollevate
questioni di legittimita' costituzionale sono rilevanti, in quanto il
giudizio sulla legittimita' o meno  del  recesso  dipende  da  quello
sulla legittimita' costituzionale  della  norma  posta  a  fondamento
dello stesso. 
    3.- Prima di procedere ad esaminare il  merito  delle  questioni,
giova premettere una sintetica ricostruzione del quadro normativo  di
riferimento, quanto alla disciplina del sistema dei controlli e della
certificazione dei prodotti da agricoltura biologica, con particolare
riguardo ai requisiti soggettivi richiesti per lo  svolgimento  delle
funzioni di  controllo  e  certificazione,  nell'ambito  del  sistema
generale  di  regole   ed   istituti   che,   nei   diversi   settori
dell'ordinamento, riconnettono all'accertamento di determinati  reati
la produzione di effetti giuridici  extrapenali,  incidenti  in  modo
limitativo o  addirittura  privativo  sui  diritti  soggettivi  delle
persone interessate dall'accertamento medesimo. 
    A livello eurounitario, la  disciplina  di  massima  relativa  al
sistema  dei  controlli  e  di  certificazione  delle  attivita'   di
produzione,  trasformazione,  commercializzazione,  importazione   di
prodotti  ottenuti  secondo  il  metodo  agricolo  e   agroalimentare
biologico,  e'  contenuta  nel  regolamento  (CE)  n.  834/2007   del
Consiglio, del 28 giugno 2007, relativo alla produzione  biologica  e
all'etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il  regolamento
(CEE)  n.  2092/91,  il  quale  pone,  come  principio  di  carattere
generale, quello per cui il sistema di controllo deve  permettere  la
tracciabilita' di ogni prodotto in tutte le  fasi  della  produzione,
preparazione e distribuzione, al fine di  garantire  che  i  beni  di
consumo derivanti da agricoltura biologica siano stati  prodotti  nel
rispetto dei requisiti stabiliti nel regolamento medesimo. 
    A  tal  uopo,  il  regolamento  suddetto  -  applicabile  ratione
temporis e successivamente sostituito dal regolamento 2018/848/UE del
Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, relativo alla
produzione biologica e all'etichettatura  dei  prodotti  biologici  -
stabilisce, in particolare, che  gli  Stati  membri  istituiscono  un
sistema di controllo e designano  una  o  piu'  autorita'  competenti
(art. 27, comma 1). 
    L'autorita'  designata  puo'  conferire  le  sue  competenze   di
controllo ad una o piu'  autorita'  di  controllo,  le  quali  devono
offrire adeguate garanzie di oggettivita' e imparzialita' e  disporre
di  personale  qualificato  nonche'  delle  risorse  necessarie   per
svolgere le  loro  funzioni;  l'autorita'  designata  puo',  inoltre,
delegare i propri compiti ad uno o piu' organismi di  controllo,  nel
qual caso  gli  Stati  membri  designano  le  autorita'  responsabili
dell'autorizzazione e della vigilanza su detti  organismi  (art.  27,
comma 4, lettere a e b). 
    Sia le autorita' di controllo  che  gli  organismi  di  controllo
consentono alle autorita' competenti di accedere ai  loro  uffici  ed
impianti e forniscono qualsiasi informazione  e  assistenza  ritenuta
necessaria per l'adempimento degli obblighi ad essi incombenti  (art.
27, comma 11). 
    Gli  organismi  di  controllo,  debitamente  accreditati,  devono
possedere  l'esperienza,  le   attrezzature   e   le   infrastrutture
necessarie per  l'espletamento  dei  compiti  loro  delegati;  devono
disporre  di  personale  qualificato  ed   esperto;   devono   essere
imparziali e liberi da qualsiasi conflitto  di  interessi  (art.  27,
comma 5). 
    In caso di carenze  nell'espletamento  dei  compiti,  l'autorita'
competente puo' ritirare la delega. Questa e' ritirata senza  indugio
se l'organismo di  controllo  non  adotta  correttivi  appropriati  e
tempestivi (art. 27, comma 8). 
    Il d.lgs. n. 20 del 2018 prevede  che,  al  fine  di  svolgere  i
compiti di organismo di controllo,  gli  enti  accreditati  ai  sensi
della normativa europea e nazionale  vigente  presentano  istanza  di
autorizzazione al Ministero per le  politiche  agricole  e  forestali
(art. 4, comma 1). 
    Ai fini dell'autorizzazione, il Ministero accerta la  sussistenza
di specifici requisiti, che devono  essere  assicurati  per  l'intera
durata dell'autorizzazione medesima (art. 4, comma 6). 
    Tra  questi  requisiti,  oltre  quelli  di  carattere  oggettivo,
concernenti l'adeguatezza delle strutture e delle risorse strumentali
e umane rispetto ai compiti delegati (art. 4, comma 6,  lettere  b  e
c), vi sono quelli, di carattere soggettivo, concernenti  l'idoneita'
morale, l'imparzialita' e l'assenza di  conflitto  di  interesse  dei
propri rappresentanti, degli amministratori e del  personale  addetto
all'attivita' di controllo e certificazione, i quali sono specificati
nell'Allegato 2 al decreto legislativo (art. 4, comma 6, lettera a). 
    Il  citato  Allegato  2,  espressamente  dedicato  ai  «Requisiti
dell'organismo di controllo»,  prevede,  al  punto  C,  le  modalita'
attraverso le  quali  viene  assicurato  il  requisito  di  idoneita'
morale, di indipendenza, di imparzialita' e assenza di  conflitto  di
interessi. 
    A tal uopo, si dispone che siano fissati e resi pubblici  criteri
per stabilire congrue tariffe da applicare agli operatori e si  vieta
all'organismo di controllo di svolgere attivita' di  consulenza,  nel
settore  dell'agricoltura  biologica,  a   favore   degli   operatori
assoggettati (Allegato 2, punto C, numeri 1 e 2). 
    Si prevede, inoltre, che  i  rappresentanti,  gli  amministratori
degli organismi di controllo e certificazione e il personale  addetto
allo  svolgimento  di  tale  attivita'  «non  devono  aver  riportato
condanne  definitive  (o  decreto   penale   di   condanna   divenuto
irrevocabile o sentenza di applicazione della pena  su  richiesta  ai
sensi dell'articolo 444 del codice  di  procedura  penale)  o  essere
interessati da procedimenti penali in corso per delitti  non  colposi
per i quali la legge commina la pena di reclusione non inferiore  nel
minimo a due anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per  i  delitti
di cui agli articoli 513 515, 516, 517, 517-bis, 640  e  640-bis  del
codice penale,  ovvero  condanne  che  importano  l'interdizione  dai
pubblici uffici per durata superiore a tre anni» (Allegato  2,  punto
C, numero 3, lettera a). 
    Nel prevedere, direttamente  e  in  negativo,  una  modalita'  di
assicurazione del requisito di idoneita' morale  che  l'organismo  di
controllo deve possedere per ottenere la  prescritta  autorizzazione,
la norma in parola stabilisce,  indirettamente  e  in  positivo,  una
misura  extrapenale,  limitativa  di  un  diritto  soggettivo   della
persona, quale effetto dell'accertamento della responsabilita' penale
(o della sottoposizione ad un procedimento  penale)  per  determinati
reati: chi abbia riportato una sentenza definitiva di condanna  o  di
patteggiamento o  un  decreto  penale  irrevocabile  di  condanna  o,
semplicemente, sia interessato da un procedimento penale in corso per
uno dei delitti specificamente previsti dalla norma  o  comunque  per
delitti non colposi per i quali e' prevista la pena della  reclusione
non inferiore nel minimo a due anni o nel massimo a cinque anni,  non
puo' assumere l'ufficio di  amministratore  o  rappresentante  di  un
organismo  di  controllo  e  certificazione  ne'  puo'  obbligarsi  a
svolgere,  in  qualsiasi  forma   (subordinata,   parasubordinata   o
autonoma), l'attivita' di controllo  e  certificazione  dei  prodotti
biologici  nell'interesse   dell'organismo   medesimo;   ad   analoga
preclusione va incontro chi abbia riportato  condanne  che  importano
l'interdizione dai pubblici uffici per una  durata  superiore  a  tre
anni. 
    Infine va considerato che la recente delega  al  Governo  per  la
revisione, l'armonizzazione e la  razionalizzazione  della  normativa
sui controlli per la produzione agricola e  agroalimentare  biologica
(art. 19 della legge 9 marzo 2022, n. 23, recante  «Disposizioni  per
la tutela, lo sviluppo e la competitivita' della produzione agricola,
agroalimentare  e  dell'acquacoltura  con  metodo  biologico»),   pur
prevedendo la  revisione,  l'aggiornamento  e  il  rafforzamento  del
sistema  dei  controlli  in  materia   di   produzione   agricola   e
agroalimentare biologica, di cui al richiamato d.lgs. n. 20 del  2018
- mediante principi  e  criteri  direttivi,  tra  cui  figura  quello
relativo alla «revisione, aggiornamento e rafforzamento  del  sistema
dei controlli in materia  di  produzione  agricola  e  agroalimentare
biologica, di cui al decreto legislativo 23  febbraio  2018,  n.  20»
(art. 19, comma 1,  lettera  a)  -,  non  incide  sui  termini  delle
sollevate questioni di legittimita' costituzionale. 
    4.-  Tenendo  conto  del  contenuto  della  norma  sospettata  di
illegittimita' costituzionale,  deve  considerarsi  che  anche  altre
disposizioni,  in  diversi  settori  dell'ordinamento,  svolgono   la
medesima funzione di comprimere la sfera  giuridica  dei  soggetti  a
carico dei quali sia stato svolto un accertamento penale,  prevedendo
limitazioni all'esercizio di determinati diritti soggettivi. 
    Con riguardo al  diritto  di  liberta'  di  iniziativa  economica
privata e di liberta' negoziale (art. 41 Cost.), misure siffatte sono
stabilite, ad esempio, nel decreto legislativo 18 aprile 2016, n.  50
(Codice dei contratti pubblici), il quale prevede che la condanna con
sentenza  definitiva  o   decreto   penale   di   condanna   divenuto
irrevocabile o sentenza di applicazione della pena su richiesta delle
parti,  per  specifici  delitti,  costituisce  motivo  di  esclusione
dell'operatore  economico  dalla  partecipazione  a   una   procedura
d'appalto o di concessione (art. 80, comma 1). 
    Con riguardo al diritto di elettorato passivo e di assunzione  di
incarichi di governo, il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235
(Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilita'  e  di
divieto di ricoprire cariche elettive  e  di  Governo  conseguenti  a
sentenze definitive di condanna per  delitti  non  colposi,  a  norma
dell'articolo 1, comma 63, della legge 6 novembre  2012,  n.  190)  -
cosiddetta  "legge  Severino"  -  prevede  che  non  possono   essere
candidati e non possono comunque ricoprire la carica  di  deputato  e
senatore ne' cariche elettive regionali o presso gli enti locali, ne'
incarichi di governo coloro che hanno riportato  condanne  definitive
per specifici delitti non colposi (artt. 1, 6, comma 1, 7, comma 1, e
10, comma 1). Il medesimo decreto legislativo  prevede,  inoltre,  la
sospensione dalle cariche di amministratore degli  enti  regionali  e
locali (presidente della Provincia, sindaco, assessore e  consigliere
provinciale e comunale, eccetera) in capo a coloro  i  quali  abbiano
riportato una condanna  non  definitiva  per  specifici  delitti,  in
particolare contro la pubblica amministrazione (art. 11, comma 1). 
    In  ordine  all'assunzione  di  incarichi  presso  le   pubbliche
amministrazioni e presso gli enti privati in controllo  pubblico,  il
decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Disposizioni in materia  di
inconferibilita' e incompatibilita' di incarichi presso le  pubbliche
amministrazioni e presso gli enti privati in  controllo  pubblico,  a
norma dell'articolo 1, commi 49 e 50, della legge 6 novembre 2012, n.
190) prevede che a  coloro  che  sono  stati  condannati,  anche  con
sentenza non passata in  giudicato,  per  reati  contro  la  PA,  non
possono essere conferiti incarichi amministrativi  di  vertice  o  di
amministratore negli enti pubblici statali, regionali e  locali,  ne'
incarichi  dirigenziali  nelle   pubbliche   amministrazioni   o   di
amministratore in enti di diritto privato in controllo pubblico,  ivi
compresi  quelli  di  direttore  generale,  direttore   sanitario   e
direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali del  servizio
sanitario nazionale (art. 3). L'impossibilita' di assumere  incarichi
dirigenziali nelle pubbliche amministrazioni e' una misura limitativa
extrapenale dipendente dall'accertamento del reato che  afferisce  al
medesimo diritto soggettivo  limitato  dalla  misura  prevista  dalla
norma oggetto  delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale  in
esame, poiche' incide sull'attitudine a essere parte di  un  rapporto
di  lavoro  subordinato  o  parasubordinato,  sia  pure   di   natura
pubblicistica. 
    Misure extrapenali limitative di situazioni giuridiche soggettive
in connessione con l'accertamento della responsabilita' penale,  sono
previste, ancora, nel decreto legislativo  18  agosto  2000,  n.  267
(Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti  locali).  Nella
formulazione precedente alle modifiche apportate dall'art.  7,  comma
1, lettera a), del decreto-legge 29 marzo 2004, n.  80  (Disposizioni
urgenti in materia di enti locali),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 28 maggio 2004, n. 140,  l'art.  58  del  citato  decreto
legislativo stabiliva che  coloro  che  avessero  riportato  condanne
definitive per specifici delitti contro la PA, nonche' per il delitto
di associazione di tipo mafioso, per determinati delitti  concernenti
sostanze stupefacenti o psicotrope  e  per  altri  gravi  reati,  non
potessero essere  candidati  alle  elezioni  regionali,  provinciali,
comunali e circoscrizionali e non potessero, tra  l'altro,  ricoprire
le cariche  di  presidente  della  Provincia,  sindaco,  assessore  e
consigliere provinciale e comunale, nonche' quelle  di  presidente  e
componente  del  consiglio   circoscrizionale,   del   consiglio   di
amministrazione dei consorzi,  dei  consigli  e  delle  giunte  delle
unioni di Comuni e degli organi delle Comunita' montane. 
    Questa disposizione, abrogata dall'art. 17 del d.lgs. n. 235  del
2012, e' oggi confluita nell'art. 10, comma 1, del Testo unico  delle
disposizioni in materia di incandidabilita' e di divieto di ricoprire
cariche elettive e di Governo conseguenti a  sentenze  definitive  di
condanna per delitti non colposi, emanato  con  il  medesimo  decreto
legislativo. 
    5.-  Puo',  quindi,  dirsi  che  e'  ricorrente  l'evenienza  che
l'ordinamento  riconnetta,  all'accertamento  di  specifici  delitti,
identificati in base al bene giuridico tutelato dalle relative  norme
incriminatrici o in base all'entita' della pena da queste  comminata,
la produzione di  effetti  giuridici  extrapenali,  con  implicazioni
limitative  delle  facolta'  inerenti  ai  diritti  soggettivi  delle
persone interessate dall'accertamento medesimo. 
    Queste misure extrapenali - al di fuori del settore  delle  leggi
antimafia nel quale  le  esigenze  di  prevenzione  trovano  la  loro
massima espressione - scattano in genere quando l'accertamento penale
ha raggiunto un certo stadio di affidabilita', corrispondente, se non
al grado di  certezza  derivante  dalla  emissione  di  una  sentenza
definitiva di condanna o di applicazione  della  pena  oppure  di  un
decreto penale irrevocabile, quanto meno a quello  derivante  da  una
condanna non definitiva. 
    La linea  tendenziale  dell'ordinamento  e',  dunque,  quella  di
riconoscere uno specifico presupposto di applicabilita' della  misura
extrapenale alla circostanza che l'accertamento della responsabilita'
penale sia stato oggetto  di  un  primo  vaglio  giudiziario.  Questo
presupposto trova fondamento nell'esigenza di operare un  ragionevole
bilanciamento tra l'interesse della persona  a  esercitare  i  propri
diritti soggettivi e l'interesse  dello  Stato  ad  evitare  che  gli
autori (o, in casi limite, i  gravemente  indiziati)  di  determinati
reati pongano in essere condotte idonee a ledere o porre in  pericolo
interessi  contigui  al   bene   giuridico   tutelato   dalla   norma
incriminatrice violata, nonche', quando si tratti di diritti connessi
all'esercizio  di  cariche  pubbliche  o  di  pubblici  uffici,   gli
interessi tutelati dagli artt. 54 e 97 Cost. 
    6.- Da questa linea tendenziale il legislatore si  e'  discostato
notevolmente con l'emanazione della norma contenuta nell'Allegato  2,
punto C, numero 3), lettera a), al d.lgs. n.  20  del  2018  (oggetto
delle questioni di legittimita' costituzionale in esame), giacche' in
questo caso la misura extrapenale limitativa di un diritto soggettivo
(il diritto al lavoro) della persona sottoposta a procedimento penale
consegue  all'accertamento  del  reato,  sia  pure  con  sentenza  di
condanna non definitiva (purche', pero',  comportante  l'interdizione
dai pubblici uffici per una durata superiore a  tre  anni),  soltanto
quando  si  tratti  di  reati  diversi   da   quelli   specificamente
contemplati dalla norma stessa. 
    Allorche', invece, si tratti dei delitti previsti dagli artt. 513
(Turbata  liberta'  dell'industria  o  del  commercio),  515   (Frode
nell'esercizio del commercio), 516 (Vendita  di  sostanze  alimentari
non genuine come genuine), 517 (Vendita di prodotti  industriali  con
segni mendaci), eventualmente aggravati ai sensi  dell'art.  517-bis,
oppure dei delitti  previsti  dagli  artt.  640  (Truffa)  e  640-bis
(Truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni  pubbliche)  del
codice penale o, comunque, di delitti non  colposi  per  i  quali  e'
comminata la pena della reclusione non inferiore  nel  minimo  a  due
anni o nel massimo a cinque anni, l'accertamento del reato, sia  pure
non  definitivo,  non  e'  necessario,  essendo  sufficiente  che  il
soggetto sia semplicemente "interessato"  dal  relativo  procedimento
penale in corso. 
    L'accento  della  norma,  che  utilizza  l'espressione   atecnica
dell'interessamento,  anziche'  quella,  piu'  propriamente  tecnica,
della sottoposizione a  procedimento  penale,  cade  sulla  locuzione
«procedimento». 
    La norma  sospettata  di  illegittimita'  costituzionale  prevede
dunque che la misura extrapenale limitativa di un diritto  soggettivo
scatti, in correlazione con taluni delitti, sin dal momento in cui la
persona e' interessata dal (ossia sottoposta al) procedimento penale,
e cioe' sin dalla fase iniziale dell'accertamento  penale,  allorche'
il PM, ricevuta la notizia di reato, proceda all'iscrizione, che  non
postula alcun riscontro della notizia medesima, ma, in quanto atto  a
tutela dell'indagato, costituisce  essa  stessa  il  presupposto  per
procedere alla verifica della sua fondatezza. 
    7.- In questo  contesto  normativo,  la  questione  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost. e' fondata, con assorbimento  di  quelle
riferite agli ulteriori parametri (artt. 27, secondo  comma,  e  117,
primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art.  6,  paragrafo
2, CEDU) evocati dal giudice rimettente. 
    8.- Ponendosi in contrasto con  la  descritta  linea  tendenziale
dell'ordinamento  (di  cui  sopra,  al  punto  4),  che   radica   il
presupposto di operativita' delle misure limitative extrapenali nella
circostanza  che  l'accertamento  della  responsabilita'  penale  del
sottoposto abbia raggiunto un livello di certezza o, in casi  limite,
di rilevante probabilita', la norma contenuta nell'Allegato 2,  punto
C, numero 3), lettera a), al d.lgs. n. 20  del  2018,  non  solo  non
richiede che  l'accertamento  penale  sia  stato  consacrato  in  una
sentenza di condanna, anche non definitiva, ma prevede che esso possa
mancare del tutto, rendendo applicabile la misura anche  in  caso  di
mera iscrizione nel registro delle notizie di reato  (art.  335  cod.
proc. pen.) a seguito di denunce che potrebbero rivelarsi  del  tutto
infondate e persino calunniose. L'iscrizione del nome  della  persona
alla quale il reato stesso e' attribuito comporta gia' che la  stessa
possa dirsi «essere interessat[a] da procedimenti  penali  in  corso»
per  uno  dei  reati  rientranti   nel   catalogo   contenuto   nella
disposizione censurata. 
    Il carattere irragionevole  di  siffatte  scelte  legislative  e'
stato gia' ritenuto da questa Corte in plurime occasioni. 
    Ad esempio e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale di
quelle norme (gli artt. 33, comma 7, lettera c, della legge 30 luglio
2002,  n.  189,  recante  «Modifica  alla  normativa  in  materia  di
immigrazione e di asilo» e 1, comma 8, lettera c, del decreto-legge 9
settembre 2002, n. 195, recante «Disposizioni urgenti in  materia  di
legalizzazione del lavoro irregolare di extracomunitari», convertito,
con modificazioni, nella legge 9 ottobre 2002, n. 222)  che  facevano
derivare dalla semplice presentazione di una  denuncia  per  uno  dei
reati per i quali fosse previsto l'arresto obbligatorio o facoltativo
in  flagranza,  il  rigetto  dell'istanza  di  regolarizzazione   del
lavoratore  extracomunitario  (sentenza  n.  78  del  2005).  A  quel
proposito questa Corte ha affermato che  nel  nostro  ordinamento  la
denuncia e' «atto che nulla prova riguardo alla colpevolezza  o  alla
pericolosita' del soggetto indicato come autore  degli  atti  che  il
denunciante riferisce. Essa obbliga soltanto gli organi competenti  a
verificare se e quali dei fatti  esposti  in  denuncia  corrispondano
alla realta' e se essi rientrino in  ipotesi  penalmente  sanzionate,
ossia ad accertare se sussistano le condizioni  per  l'inizio  di  un
procedimento penale». 
    Considerazioni analoghe sono  alla  base  della  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 47-ter, ultimo  comma,  della
legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario  e
sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'),
nella parte in cui faceva  derivare  automaticamente  la  sospensione
della detenzione domiciliare dalla presentazione di una denuncia  per
il reato previsto dal comma ottavo dello stesso articolo (sentenza n.
173 del 1997). Questa Corte ha osservato, al riguardo, che la  norma,
non lasciando spazio per un  accertamento,  sia  pure  incidentale  e
limitato alla verifica  del  fumus  sulla  esistenza  del  reato  (di
evasione),   urtava   indubbiamente   contro    il    principio    di
ragionevolezza. 
    Parimenti questa Corte (sentenza n. 239 del 1996)  ha  dichiarato
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 110 del d.P.R.  28  gennaio
1988, n. 43 (Istituzione del Servizio di riscossione dei tributi e di
altre entrate  dello  Stato  e  di  altri  enti  pubblici,  ai  sensi
dell'articolo 1, comma 1, della legge 4 ottobre 1986,  n.  657),  che
prevedeva la sospensione dell'ufficiale di  riscossione  dei  tributi
dall'impiego  e  dall'abilitazione  per  il  solo  fatto  di   essere
sottoposto a procedimento penale  per  falsita'  nelle  relazioni  di
notifica, in attesa della definizione del procedimento stesso. 
    Analogo difetto di coerenza e ragionevolezza intrinseca  presenta
ora la disposizione censurata nella misura in cui collega conseguenze
pregiudizievoli per la persona, privandola del requisito di idoneita'
morale per lo svolgimento dell'attivita' di controllo in  materia  di
produzione agricola e agroalimentare biologica,  in  modo  automatico
per il solo fatto di «essere interessat[a] da procedimenti penali  in
corso», anche a prescindere da una formale imputazione e dal relativo
vaglio  del  giudice;  cio'  che   certamente   e'   all'inizio   del
procedimento penale con l'iscrizione della persona nel registro delle
notizie di reato (art. 335 cod.  proc.  pen.),  ma  lo  e'  anche  in
seguito con la notifica dell'avviso  all'indagato  della  conclusione
delle indagini preliminari (art. 415-bis cod. proc. pen.). 
    9.- Vi  e'  altresi'  che  la  questione  sollevata  dal  giudice
rimettente - ancora in riferimento  all'art.  3  Cost.  -  chiama  in
causa, oltre alle istanze  di  coerenza  dell'ordinamento  giuridico,
anche la ragionevolezza della scelta discrezionale del legislatore in
ordine al bilanciamento  degli  interessi  costituzionali  in  gioco;
ragionevolezza che questa Corte ha ritenuto sussistere in ipotesi ben
circoscritte. 
    L'adeguatezza  di  tale  bilanciamento  e'  stata  affermata  nel
dichiarare non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 11, comma 1,  lettera  a),  del  d.lgs.  n.  235  del  2012
(cosiddetta "legge Severino"), che prevede la sospensione di  diritto
dalla carica di amministratore locale di coloro i quali  siano  stati
condannati in via non definitiva  per  determinati  reati  contro  la
pubblica amministrazione. Si e' posto in rilievo che, di fronte a una
grave situazione di illegalita' nella PA, una condanna non definitiva
puo' far sorgere l'esigenza cautelare di  sospendere  temporaneamente
il  condannato  dalla   carica,   per   evitare   un   «inquinamento»
dell'amministrazione e per garantirne  la  «credibilita'»  presso  il
pubblico,  cioe'  il  rapporto  di  fiducia   dei   cittadini   verso
l'istituzione,   talche'   la   scelta   operata   dal    legislatore
nell'esercizio della sua discrezionalita' si colloca all'interno  dei
confini   di   un   ragionevole   bilanciamento   dei   vari   valori
costituzionali che vengono in considerazione  (sentenza  n.  236  del
2015). 
    Inoltre, proprio nella prospettiva di un tale  bilanciamento  tra
il  menzionato  interesse  pubblico  e  gli  altri  interessi,  anche
privati, in gioco, la  sospensione  dalla  carica  di  amministratore
locale costituisce misura diretta a evitare che coloro che sono stati
condannati anche in via non definitiva per determinati reati gravi  o
comunque  offensivi  della  PA  rivestano   cariche   amministrative,
mettendo cosi' in pericolo  il  buon  andamento  dell'amministrazione
stessa e la sua onorabilita' (sentenza n. 36 del 2019). 
    10.- Invece, nella fattispecie in esame,  siffatto  bilanciamento
e' stato operato dal legislatore  in  maniera  non  equilibrata,  con
sacrificio  non  proporzionato  di  chi,  essendo  in  possesso   dei
requisiti di moralita' per esercitare l'attivita'  di  controllo,  si
trova ad essere «interessat[o] da procedimenti penali in  corso»  per
determinati reati. 
    Oltre   all'incoerenza   rispetto    alla    linea    tendenziale
dell'ordinamento di radicare il  presupposto  di  operativita'  delle
misure  limitative  extrapenali  nell'avvenuto   accertamento   della
responsabilita' penale del sottoposto  mediante  l'emissione  di  una
pronuncia di condanna (sia pure non definitiva), rileva, altresi', la
circostanza che la capacita' di una persona sottoposta a procedimento
penale  per  determinati  reati  -  e  come  tale  «interessat[a]  da
procedimenti penali in corso» - viene oltre misura  limitata  per  il
fatto di essere inibita radicalmente fin dalla  sola  iscrizione  nel
registro degli indagati senza che sia emerso alcun  fumus  del  reato
medesimo. 
    La valutazione  dell'interesse  ad  evitare  che  l'attivita'  di
controllo e certificazione dei prodotti da agricoltura biologica  sia
esercitata da soggetti che abbiano commesso reati contro l'industria,
il commercio o il patrimonio (o reati comunque  puniti  con  la  pena
della reclusione non inferiore nel minimo a due anni e nel massimo  a
cinque anni) e' anticipata a tal punto da impedire lo svolgimento  di
un'attivita'  lavorativa,  quale  conseguenza  gia'  dell'essere   la
persona "interessata" da un procedimento penale. 
    Il principio di ragionevolezza viene posto in sofferenza  proprio
dall'estensione, coniugata all'automatismo della  misura,  la  quale,
pur se non esige che vi sia stato un  accertamento  irrevocabile  del
reato, richiede comunque un nesso affidabile  -  quale  riflesso  del
diritto  dell'indagato  a  non  essere  considerato  colpevole,   nel
procedimento  penale,  sino  all'emanazione   di   un   provvedimento
irrevocabile di condanna - tra la possibile responsabilita' penale  e
l'idoneita' a svolgere determinate attivita' richiedenti  particolari
requisiti di moralita'. 
    In proposito, giova ricordare che l'esigenza secondo cui «la mera
iscrizione del nome della persona nel registro  di  cui  all'articolo
335  del  codice  di   procedura   penale   non   determini   effetti
pregiudizievoli sul piano civile e amministrativo»  e'  stata  tenuta
presente dal legislatore nella recente delega  legislativa  conferita
al Governo per le modifiche al codice di procedura penale in  materia
di indagini preliminari e di udienza preliminare e alle  disposizioni
dell'ordinamento giudiziario in  materia  di  progetti  organizzativi
delle procure della Repubblica, tanto da essere elevata  a  specifico
principio e criterio direttivo per il legislatore delegato  (art.  1,
comma 9, lettera s, della legge 27 settembre 2021,  n.  134,  recante
«Delega al Governo per l'efficienza del processo  penale  nonche'  in
materia  di  giustizia  riparativa  e  disposizioni  per  la   celere
definizione dei procedimenti giudiziari»). 
    Invece, nella disposizione  sottoposta  all'odierna  verifica  di
legittimita'  costituzionale,  il  legislatore,   nel   definire   il
requisito di idoneita' morale all'attivita' di controllo,  ha  omesso
di  operare  un  bilanciamento  tra  l'interesse  della   persona   a
conservare tale requisito, rilevante tanto piu' quando condiziona  il
diritto al lavoro (autonomo o subordinato), e l'interesse dello Stato
a  garantire  i  requisiti  di  idoneita'  morale  richiesti  per  lo
svolgimento  dell'attivita'  di  controllo  e  di  certificazione  di
prodotti  agroalimentari  biologici.  Vi  e'  al   contrario,   nella
fattispecie,  un  totale  sacrificio  del  primo  interesse   -   non
richiedendosi neppure il mero fumus della responsabilita' penale - in
misura, quindi, non proporzionata alla tutela del secondo. 
    11.- In conclusione, la norma contenuta nell'Allegato 2, punto C,
numero 3), lettera a), del d.lgs. n. 20 del 2018 - nella parte in cui
prevede che, in funzione di  assicurare  il  requisito  di  idoneita'
morale, di indipendenza, di imparzialita' e di assenza  di  conflitto
di interesse di cui all'art. 4, comma 6,  lettera  a),  dello  stesso
decreto  legislativo,  gli  addetti  all'attivita'  di  controllo   e
certificazione, presso gli organismi di  controllo  e  certificazione
per l'agroalimentare e l'ambiente, non devono «essere interessati  da
procedimenti penali in corso per delitti non colposi per i  quali  la
legge commina la pena di reclusione non inferiore nel  minimo  a  due
anni o nel massimo a cinque anni, ovvero per i delitti  di  cui  agli
articoli 513, 515, 516,  517,  517-bis,  640  e  640-bis  del  codice
penale» - deve essere dichiarata costituzionalmente  illegittima  per
contrasto con l'art. 3 Cost., con assorbimento delle censure relative
agli altri parametri evocati nell'ordinanza di rimessione. 
    La  reductio  ad  legitimitatem  puo'  essere  operata   mediante
l'espunzione della espressione «o essere interessati da  procedimenti
penali in corso», non essendo  possibile,  per  la  pluralita'  delle
soluzioni ipotizzabili, anche la sostituzione con il  riferimento  ad
una fase avanzata del procedimento stesso o del processo. 
    Piu' in particolare - come gia' rilevato  -  la  disposizione  in
esame prevede due ordini  di  presupposti  applicativi  della  misura
extrapenale  a  carico  del  lavoratore  addetto   all'attivita'   di
controllo  e  certificazione:  il   primo   ordine   di   presupposti
(provvedimenti  di  condanna   definitivi   o   "interessamento   da"
procedimenti penali in corso) riguarda i delitti di  cui  agli  artt.
513, 515, 516, 517, 517-bis, 640  e  640-bis  cod.  pen.,  nonche'  i
delitti non colposi comunque puniti con la pena della reclusione  non
inferiore nel minimo a due anni e  nel  massimo  a  cinque  anni;  il
secondo presupposto (condanne comportanti l'interdizione dai pubblici
uffici per durata superiore a tre  anni)  riguarda  tutti  gli  altri
reati. La reductio ad legitimitatem della norma postula,  unicamente,
l'eliminazione dell'"interessamento da procedimenti penali in corso",
quale circostanza integrante il primo  presupposto,  il  quale  viene
cosi'  ad  essere  costituito  solo  dai  provvedimenti  di  condanna
irrevocabili. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'Allegato  2,  punto
C, numero 3), lettera a), del decreto legislativo 23  febbraio  2018,
n. 20, recante «Disposizioni di  armonizzazione  e  razionalizzazione
della normativa sui controlli in materia  di  produzione  agricola  e
agroalimentare biologica, predisposto ai sensi dell'articolo 5, comma
2, lett. g),  della  legge  28  luglio  2016,  n.  154,  e  ai  sensi
dell'articolo 2 della legge 12 agosto 2016,  n.  170»,  limitatamente
alle parole «o essere interessati da procedimenti penali in corso». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 27 aprile 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                     Giovanni AMOROSO, Redattore 
                    Filomena PERRONE, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 17 giugno 2022. 
 
                           Il Cancelliere 
                       F.to: Filomena PERRONE