N. 77 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 maggio 2022

Ordinanza  del  31  maggio  2022  del  Tribunale   di   Brescia   nel
procedimento civile promosso da C. E. ed altri contro A.S.S.T.  degli
S. C. di B.. 
 
Salute (Tutela della) - Profilassi internazionale - Vaccinazioni anti
  SARS-CoV-2 - Previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti  le
  professioni sanitarie e gli operatori di interesse  sanitario  (nel
  caso di specie: dipendenti di azienda socio sanitaria  in  qualita'
  di infermiere professionali o  di  operatrice  socio  sanitaria)  -
  Adibizione a  mansioni  anche  diverse,  senza  decurtazione  della
  retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di  diffusione  del
  contagio da SARS-CoV-2 - Previsione applicabile  ai  soli  soggetti
  per i quali ricorrono le ipotesi in cui la vaccinazione puo' essere
  omessa o differita - Omessa estensione al personale sanitario  che,
  per  una  libera  scelta  individuale,  si   sia   astenuto   dalla
  vaccinazione. 
- Decreto-legge  1°  aprile  2021,  n.  44  (Misure  urgenti  per  il
  contenimento dell'epidemia da COVID-19, in materia di  vaccinazioni
  anti SARS-CoV-2, di giustizia e di concorsi pubblici),  convertito,
  con modificazioni, nella legge 28 maggio 2021, n. 76, art. 4, comma
  7,  come  modificato  dall'art.  1,  comma  1,  lettera   b),   del
  decreto-legge 26 novembre 2021,  n.  172  (Misure  urgenti  per  il
  contenimento dell'epidemia da COVID-19  e  per  lo  svolgimento  in
  sicurezza delle attivita' economiche e  sociali),  convertito,  con
  modificazioni, nella legge 21 gennaio 2022, n. 3. 
(GU n.27 del 6-7-2022 )
 
                   TRIBUNALE ORDINARIO DI BRESCIA 
                           Sezione Lavoro 
 
    Il  Tribunale  in  composizione  collegiale  nelle  persone   dei
seguenti magistrati: 
        dott. Mariarosa Pipponzi, Presidente rel.; 
        dott. Maurizio Giuseppe Ciocca, giudice; 
        dott. Natalia Pala, giudice; 
    all'esito  dell'udienza  del  23  febbraio  2022  svolta  con  la
modalita' della trattazione scritta ai sensi dell'art. 221, comma 2 e
comma 4, decreto-legge n. 34/2020, ha emesso la seguente ordinanza di
rimessione alla Corte costituzionale  nel  procedimento  per  reclamo
iscritto al n. r.g. 48/2022 R.G. promossa da: 
        E. A. ( ), E. C. (C.F.), S. V. (C.F. ) e G. Z. (C. F.)  tutte
rappresentate, assistite e difese,  anche  disgiuntamente,  dall'avv.
Francesco  Onofri,  dall'avv.  Giovanni  Onofri  e  dall'avv.  Andrea
Giliberto, con domicilio eletto presso lo studio di  quest'ultimo  in
Chiari (BS) - vicolo Pace n. 14 - in forza  di  procure  allegate  al
ricorso introduttivo depositato in data 24 novembre 2021, Reci; 
        contro: A.S.S.T. S. C. DI B. (C.F.)  in  persona  del  legale
rappresentante pro tempore con il patrocinio  dell'avv.  Nebel  Paola
con elezione di domicilio in Brescia - piazzale Spedali Civili n. l -
presso l'avv. Nebel Paola - reclamata; 
 
                            Premesso che 
 
    E. A., E. C., S. V. e G. Z., hanno radicato in data  23  novembre
2021  un  giudizio  di  merito  diretto  ad  ottenere,  da  un  lato,
l'accertamento della illegittimita' della sospensione dal lavoro  per
non aver ottemperato all'obbligo vaccinale  e,  dall'altro  lato,  la
conseguente reintegrazione nel  posto  di  lavoro  anche  in  diverse
mansioni che  fossero  compatibili  con  l'inosservanza  dell'obbligo
predetto nonche' il pagamento della retribuzione ed  il  risarcimento
dei danni anche non patrimoniali che allegavano di aver subito; 
    le predette ricorrenti hanno  contestualmente  formulato  domanda
cautelare per ottenere in via  di  urgenza  la  immediata  temporanea
reintegrazione nel posto di lavoro, anche in mansioni diverse, ed  il
pagamento degli emolumenti dovuti; 
    deducevano  le  ricorrenti:  a)  l'obbligo  vaccinale,   non   e'
costituzionalmente compatibile rispetto  ai  parametri  dell'art.  32
della Costituzione (trattamento sanitario  obbligatorio  privo  della
necessaria giustificazione e riserva di legge limitata  dal  rispetto
della dignita' umana), dell'art. 4  della  Costituzione  (lesione  al
diritto al lavoro  priva  della  necessaria  giustificazione),  degli
articoli  3  e  97  della  Costituzione  (previsione  irrazionale   e
contraria  al  principio  di  buona  amministrazione)  nonche'  degli
articoli  3,  4   e   36   della   Costituzione   (per   l'onerosita'
dell'alternativa  del  tampone,  ove  ammessa);  b)   la   violazione
dell'obbligo di repêchage perche',  quand'anche  l'obbligo  vaccinale
possa essere ritenuto costituzionalmente compatibile,  il  datare  di
lavoro  avrebbe  dovuto  ricollocarle  in  mansioni  compatibili  con
l'inosservanza dell'obbligo predetto e non  sospenderle,  consentendo
loro di mantenere la possibilita'  di  lavorare  e  di  percepire  la
retribuzione (unica loro fonte di reddito); 
    la  A.S.S.T.  DEGLI  S.  C.  DI  B.  si  costituiva  in  giudizio
affermando la legittimita' della sospensione disposta, sia in  quanto
le questioni di costituzionalita' sollevate dalla parte ricorrente in
ordine all'obbligo vaccinale dovevano  ritenersi  infondate,  sia  in
quanto non vi erano mansioni diverse in cui le  medesime  lavoratrici
potessero essere adibite; 
    autorizzata dal giudice assegnatario la integrazione  dei  motivi
del  ricorso  alla  luce  della  modifica  normativa  nel   frattempo
intervenuta, le odierne reclamanti hanno, in  particolare,  sostenuto
la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4   decreto-legge   n.
44/2021, convertito dalla legge 28 maggio 2021,  n.  76,  cosi'  come
modificato  dall'art.  1,  comma  1,  lettera  b),  decreto-legge  26
novembre 2021,  n.  172,  nella  parte  in  cui  non  prevede  alcuna
possibilita' di reimpiego in assenza di vaccinazione  salvo  che  per
coloro che siano esentati o la cui vaccinazione sia stata differita; 
    con provvedimento emesso in data  29  dicembre  2021  il  giudice
assegnatario aveva respinto la domanda cautelare  affermando,  da  un
lato, la legittimita' dell'obbligo  vaccinale  e,  dall'altro,  dando
atto che essendo intervenuta «la nuova formulazione dell'art. 4  come
riscritto dal decreto-legge 26 novembre 2021 neppure piu' e' previsto
l'obbligo datoriale di ricollocazione del lavoratore»; 
 
                            Rilevato che 
 
    Le reclamanti sono tutte dipendenti a tempo  indeterminato  della
A.S.S.T. S. C. DI B.: V. S., Z. G. ed A. E. svolgono  la  professione
di infermiere professionale mentre C. E. quella di  operatrice  socio
sanitaria; 
    l'A.S.S.T. S. C. DI B., ricevuta la comunicazione di ATS  Brescia
di avvenuto accertamento nei confronti delle  odierne  reclamanti  di
inosservanza  dell'obbligo  vaccinale  (docc.  3/a,  3/b,  3/c,  3/d,
fascicolo  parte  ricorrente),  ha  comunicato  la  sospensione   dal
servizio, senza corresponsione di retribuzione  o  altro  compenso  o
emolumento ai  sensi  dell'art.  4,  comma  8  del  decreto-legge  n.
44/2021, fino all'assolvimento dell'obbligo vaccinale e comunque  non
oltre il 31 dicembre 2021, con decorrenza per C. E. dall'..., per  V.
S. dal ..., per Z. G. dal... e per A. E. dal (docc.4/a,  4/b,  4/c-d,
4/e, fascicolo parte ricorrente); 
    l'Ordine delle professioni infermieristiche di Brescia comunicava
a mezzo PEC, in data... alle sigg. re V.  e  Z.  e  in  data...  alla
sig.ra A. ... in  quanto  iscritte  al  relativo  albo,  il  predetto
accertamento dell'ATS, dando atto delle relative  conseguenze  (docc.
nn. 5/a, 5/b e 5/c fascicolo parte ricorrente;  cfr.  altresi'  docc.
nn. 6/a e 6/b fascicolo parte ricorrente); 
    l'Ordine delle professioni infermieristiche di Brescia provvedeva
poi a comunicare alle predette ricorrenti le delibere di  sospensione
dall'albo (docc. 13a), 13b) e 13c) fascicolo parte ricorrente); 
    nelle  more  del  giudizio  cautelare  sono   intervenute   delle
modifiche  alla  normativa  vigente   al   momento   della   disposta
sospensione,  dapprima  quelle  introdotte   con   decreto-legge   n.
172/2021, convertito con modificazioni dalla legge 21  gennaio  2022,
n. 3 (nella Gazzetta Ufficiale 25 gennaio 2022, n. 19), che  ha,  fra
l'altro, prorogato la sospensione  sino  al  15  giugno  2022  ed  ha
abolito l'obbligo di repêchage, mentre successivamente e' intervenuto
il decreto-legge 24 marzo 2022, n. 24 (nella  Gazzetta  Ufficiale  24
marzo 2022, n. 70) con il quale la sospensione  dal  lavoro  e  dalla
retribuzione, per gli esercenti le professioni sanitarie  e  per  gli
operatori di interesse sanitario di cui all'art. l,  comma  2,  della
legge 1° febbraio 2006, n. 43 che  non  hanno  adempiuto  all'obbligo
vaccinale, e' stata estesa sino al 31 dicembre 2022; 
    in relazione  alla  sopravvenuta  modifica  legislativa  ed  alle
motivazioni esposte nel provvedimento cautelare hanno evidenziato: a)
che la soppressione dell'obbligo di repêchage non  troverebbe  alcuna
giustificazione nella finalita' che la stessa norma indica  (e  cioe'
quella  «di  tutelare  la  salute  pubblica  e   mantenere   adeguate
condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di  cura  e
assistenza, in attuazione del piano di cui  all'art.  1,  comma  457,
della legge 30 dicembre 2020, n.  178»)  e  sarebbe  comunque  lesiva
delle disposizioni di cui all'art.  32  della  Costituzione,  nonche'
degli articoli 2, 11 e 117 della Costituzione  (rispetto  all'art.  3
della Carta di Nizza e  rispetto  all'art.  5  della  Convenzione  di
Oviedo) essendo evidente «il superamento del  limite  della  dignita'
umana, ovvero del rispetto della persona umana, cosi  come  declinato
dalla pertinente giurisprudenza costituzionale, nonche' la violazione
del diritto di autodeterminazione» che  erano  vieppiu'  rilevanti  e
intollerabili stante la maggiore durata  della  vigenza  dell'obbligo
nonche'  l'assenza  di  alternative  in  termini  di  «ricollocazione
sicura» in mansioni prive di contatto con l'utenza;  in  particolare,
le reclamanti hanno denunciato, da un lato, la  violazione  del  loro
diritto al lavoro e del diritto ad una esistenza libera  e  dignitosa
conseguente all'impossibilita'  di  lavorare  e  di  percepire  alcun
reddito per il proprio sostentamento  nonche',  dall'altro  lato,  la
ingiustificata natura discriminatoria della norma che impedisce  loro
di accedere al luogo di lavoro,  in  quanto  non  vaccinate,  seppure
disponibili  a  sottoporsi  a  tampone  ogni  quarantotto   ore;   le
dipendenti hanno pertanto chiesto di essere reintegrate nel posto  di
lavoro  e  nella  retribuzione  in  quanto   la   sospensione   dalla
possibilita' di lavorare inciderebbe sulla loro  professionalita'  ed
in quanto la  impossibilita'  di  ottenere  la  retribuzione  (ovvero
qualsiasi altro emolumento) inciderebbe  sulla  possibilita'  di  far
fronte alle loro esigenze  alimentari  facendo  venir  meno  la  loro
«unica fonte di reddito»; b) che la questione era rilevante in quanto
la  datrice  di  lavoro  non  aveva  provato,  nella  vigenza   della
precedente normativa, di aver effettuato la  preliminare  valutazione
circa la possibilita' di adibire le dipendenti ad altre mansioni;  c)
l'onere di dimostrare l'impossibilita' di repêchage, diversamente  da
quanto affermato nel provvedimento cautelare impugnato, gravava sulla
parte datoriale; 
    l'A.S.S.T. S. C. DI B. si e' costituita in giudizio chiedendo  il
rigetto  del  reclamo  sottolineando,   per   un   verso,   che   nel
bilanciamento operato dal legislatore tra  i  due  valori  in  esame,
quello dell'autodeterminazione  individuale  e  quello  della  salute
pubblica, quest'ultimo sarebbe stato prevalente e, per  altro  verso,
che la previsione  dell'obbligo  vaccinale  del  personale  sanitario
avrebbe rappresentato l'unica soluzione possibile in questa  fase  di
emergenza contro il virus SARS-COV-2 stante «la  dimostrata  maggiore
efficacia dei vaccini rispetto ai tamponi» che rendeva manifestamente
infondate le questioni di illegittimita' costituzionale sollevate  in
relazione all'art. 32 della Costituzione. In  merito  all'obbligo  di
repêchage, il datore di  lavoro  contestava  poi  la  fondatezza  dei
rilievi  delle  odierne  reclamanti  e  chiedeva  la   conferma   del
provvedimento impugnato; 
 
                               Osserva 
 
    Quanto all'ammissibilita' delle  questioni  di  costituzionalita'
sollevate in sede cautelare: 
        la Corte costituzionale si e' ripetutamente espressa in senso
a cio' favorevole  nella  misura  in  cui  non  risulti  esaurita  la
potestas  judicandi  del  giudice  remittente,  circostanza  che  non
ricorre nel caso di  specie,  venendo  adottata  con  separato  atto,
contestualmente al presente provvedimento, solo una misura  cautelare
interinale, la quale e' provvisoria e  rimarra'  efficace  fino  alla
Camera di consiglio successiva alla restituzione degli atti da  parte
della Corte costituzionale ed e' quindi  da  intendersi  condizionata
agli esiti dello scrutinio di  costituzionalita'  richiesto  (in  tal
senso Corte costituzionale sentenza 9  maggio  2013  n.  83  e  Corte
costituzionale sentenza 30 gennaio 2018 n. 10). 
    Questo collegio ritiene che l'art. 4, comma  7  decreto-legge  n.
44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76,  con  le  modifiche
successivamente introdotte dal decreto-legge n. 172/2021,  conv.  con
modificazioni dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3, nella parte  in  cui
prevede che l'adibizione a mansioni diverse senza decurtazione  della
retribuzione, in  modo  da  evitare  il  rischio  di  diffusione  del
contagio da SARS-COV-2, e' ammessa solo per  il  periodo  in  cui  la
vaccinazione di cui al comma 1 e' esentata o differita, pone dubbi di
compatibilita' con gli articoli 3 e 4  della  Costituzione  sotto  il
profilo della disparita' di  trattamento,  della  irragionevolezza  e
sproporzionalita' nonche' sotto il profilo della lesione del  diritto
al  lavoro,  di  talche'  tale  questione  va  rimessa   alla   Corte
costituzionale. 
  Quanto alla rilevanza: 
    Le reclamanti sono rispettivamente infermiere ed operatrice socio
sanitaria alle dipendenze di A.S.S.T. S.  C.  DI  B.  e  quindi  sono
soggetti tenuti ad adempiere all'obbligo vaccinale in controversia; 
    tutte le reclamanti  non  hanno  ritenuto  di  adempiere  a  tale
obbligo vaccinale e non  hanno  allegato  di  versare  in  una  delle
ipotesi in cui la vaccinazione puo' essere omessa o differita; 
    G.  Z.  ed  E.  A.  sono  state   sospese   rispettivamente   con
provvedimenti in data e in data e la loro sospensione dal servizio e'
prevista ora, con la proroga introdotta dal  decreto-legge  24  marzo
2022, n. 24 (nella Gazzetta Ufficiale 24 marzo  2022,  n.  70),  sino
al...; E. C. e  S.  V.  sono  state  invece  reintegrate  dopo  avere
contratto il virus  SARS-COV-2  ed  esserne  guarite  (ved.  note  di
replica della parte reclamante depositate il 16 febbraio 2022 e  note
di replica della parte reclamata depositate il 18 febbraio 2022 ma la
sospensione riprendera' effetto  automaticamente  decorsi  i  novanta
giorni  indicati  nella  circolare  del  Ministero  della  salute   -
Direzione generale della prevenzione sanitaria prot. n.  8284  del  3
marzo 2021 (come ribadito  dall'Ufficio  di  Gabinetto  del  predetto
Ministero), secondo quanto previsto dall'art. 4, comma 5  del  citato
decreto, secondo cui «in  caso  di  intervenuta  guarigione  l'Ordine
professionale     territorialmente     competente,     su     istanza
dell'interessato, dispone la cessazione temporanea della sospensione,
sino alla scadenza del termine in cui la vaccinazione e' differita in
base alle indicazioni contenute nelle circolari del  Ministero  della
salute. La sospensione  riprende  efficacia  automaticamente  qualora
l'interessato  ometta  di   inviare   all'Ordine   professionale   il
certificato di vaccinazione  entro  e  non  oltre  tre  giorni  dalla
scadenza  del  predetto  termine  di  differimento»  e,  dunque,  con
riferimento al caso di specie, in  epoca  antecedente  rispetto  alla
cessazione dell'obbligo vaccinale; 
    tutte le reclamanti hanno  contestato  la  sospensione  ed  hanno
offerto di rendere la  prestazione  anche  mediante  l'adibizione  ad
altre mansioni e previo test molecolare o antigenico. 
    Cio'  premesso,  ritiene  questo  collegio   che   la   locuzione
utilizzata dall'art. 4, comma  7,  decreto-legge  n.  44/2021,  conv.
dalla legge 28  maggio  2021,  n.  76,  nella  formulazione  attuale,
secondo cui «per il periodo in cui la vaccinazione di cui al  comma 1
e' omessa o differita, il datore di lavoro adibisce i soggetti di cui
al comma  2  a  mansioni  anche  diverse,  senza  decurtazione  della
retribuzione, in  modo  da  evitare  il  rischio  di  diffusione  del
contagio da SARS-CoV-2», non consente  di  riconoscere  alle  odierne
reclamanti, quali dipendenti volontariamente  non  vaccinate,  alcuna
forma di tutela del loro diritto al  lavoro  e,  in  particolare,  la
reintegrazione  nelle  loro  o  in  altre   mansioni,   di   talche',
trattandosi di una disposizione speciale, non pare  percorribile  ne'
la strada  dell'interpretazione  costituzionalmente  orientata  sulla
base degli articoli 3  e  4  della  Costituzione,  ne'  quella  della
disapplicazione per contrasto con la Carta dei  diritti  fondamentali
della UE. 
    Infatti, l'obbligo imposto al  giudice  remittente  di  vagliare,
prima di sollevare la questione di  legittimita'  costituzionale,  la
percorribilita'  di  tutte  le  ipotesi  ermeneutiche   astrattamente
possibili per attribuire alla norma un significato non  incompatibile
con  i  principi  costituzionali  incontra  il  limite   invalicabile
costituito   dalla   formulazione   letterale   della   disposizione.
Modificando la precedente formulazione dell'art. 4, decreto-legge  n.
44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, il quale  prevedeva
che, «ricevuta la comunicazione di cui  al  comma  6,  il  datore  di
lavoro adibisce il  lavoratore,  ove  possibile,  a  mansioni,  anche
inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il  trattamento
corrispondente  alle  mansioni  esercitate,  e  che,  comunque,   non
implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l'assegnazione  a
mansioni diverse non e' possibile, per il periodo di  sospensione  di
cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione ne' altro  compenso  o
emolumento,  comunque  denominato»  (c.   8),   il   legislatore   ha
esplicitato la chiara  volonta'  di  porre  la  nuova  disciplina  in
rapporto di discontinuita' con quella precedente  e  di  estromettere
percio'  tutti  i  lavoratori  inadempienti   all'obbligo   vaccinale
dall'esercizio di tutte le attivita' nell'ambito delle strutture  del
compatto  sanita'.  Sicche'  la  sopravvenuta   modificazione   della
disciplina legislativa preclude a questo giudicante in assoluto  ogni
possibilita' di una interpretazione in contrasto con la  formulazione
letterale. 
    Per quanto riguarda, invece, la possibilita'  di  disapplicazione
per contrasto con la Carta dei  diritti  fondamentale  della  UE,  e'
sufficiente evidenziare che la materia degli obblighi  vaccinali  non
costituisce in se' oggetto di una disciplina dell'Unione  e  rispetto
ad essa ogni Stato mantiene nell'ordinamento interno ampio margine di
autonomia, come si ricava dalla adozione di misure differenziate  tra
gli  stati  membri  in  merito  alla   previsione   di   vaccinazioni
obbligatorie. Secondo la costante giurisprudenza della CGUE i diritti
fondamentali  garantiti  nell'ordinamento  giuridico  dell'Unione  si
applicano  in  tutte   le   situazioni   disciplinate   dal   diritto
dell'Unione, ma non al di fuor di esse. La  Corte  costituzionale  ha
ripetutamente affermato (da ultimo con sentenza n. 194 del 2018)  che
le disposizioni della Carta sono applicabili agli stati  membri  solo
quando  questi  agiscono  nell'ambito  di  applicazione  del  diritto
dell'Unione (Corte costituzionale, sentenza nn. 63 del 2016 e n.  111
del  2017).  Cio'  in  quanto  l'art.  51  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'UE e' rigoroso nel prevederne l'applicabilita' alle
istituzioni,  organi   e   organismi   dell'Unione   e   agli   Stati
«esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'Unione» (par. 1),  e
questi soggetti promuovono l'applicazione dei corrispondenti  diritti
e principi «secondo le rispettive competenze  e  nel  rispetto  delle
competenze conferite all'Unione nei Trattati»  (par.  1);  viene  poi
ribadito il contenuto dell'art 6 TUE laddove si afferma che la  Carta
«non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione  al  di
la' delle competenze dell'Unione, ne' introduce  competenze  nuove  o
compiti nuovi per l'Unione, ne' modifica le competenze  e  i  compiti
definiti nei Trattati» (par. 2). In tal senso, la forza espansiva dei
diritti  fondamentali  trova  dunque  un  limite  nel  principio   di
attribuzione  delle  competenze   che   caratterizza   la   struttura
istituzionale   o   costituzionale   dell'Unione,   con   conseguente
impossibilita', nel caso di specie, di ravvisare gli estremi per  una
diretta applicazione della normativa  euro-unitaria  ovvero  per  una
corrispondente disapplicazione della normativa interna. 
    Al contempo, occorre osservare che l'esito del presente  giudizio
cautelare risulta dipendere dalla conformita'  o  meno  dell'art.  4,
comma 7, decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio  2021,
n. 76, alle norme della Carta  fondamentale,  in  quanto  il  reclamo
promosso da E. A. ,  E. C., S. V. e G. Z. dovrebbe essere  accolto  -
solo - ove tale disposizione venisse ritenuta  in  contrasto  con  la
Costituzione nella  parte  in  cui  il  legislatore  ha  limitato  la
possibilita' di essere  adibiti  a  «mansioni  anche  diverse,  senza
decurtazione della retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di
diffusione del contagio da  SARS-CoV-2,  esclusivamente  ai  soggetti
esentati dall'obbligo vaccinale ovvero a coloro che hanno ottenuto il
differimento per il periodo di durata dello  stesso,  mentre  non  e'
stata  prevista  nei  confronti   dei   dipendenti   che   si   siano
deliberatamente astenuti dalla vaccinazione. 
    D'altro canto, la  domanda  di  reintegrazione  articolata  dalle
reclamanti  in  relazione  al  profilo  dell'obbligo   di   repêchage
troverebbe nel resto accoglimento,  in  sede  cautelare,  in  ragione
della sussistenza dei presupposti di fumus noni iuris e di  periculum
in mora. 
    Da un lato, infatti, il datore di lavoro non ha assolto all'onere
di dimostrare l'impossibilita' di adibire le  dipendenti  a  mansioni
differenti e atte ad evitare il rischio di diffusione del contagio  -
pur essendo consolidati i principi di diritto secondo cui «in materia
di repêchage non sussiste alcun onere di collaborazione da parte  del
lavoratore, questo gravando esclusivamente sul datore  di  lavoro»  e
secondo cui «l'impossibilita' di reimpiego del lavoratore in mansioni
diverse,  elemento  che,  inespresso  a  livello   normativo,   trova
giustificazione sia nella tutela costituzionale del  lavoro  che  nel
carattere necessariamente effettivo e non  pretestuoso  della  scelta
datoriale, che non puo' essere condizionata  da  finalita'  espulsive
legate alla persona del lavoratore. L'onere probatorio in ordine alla
sussistenza di questi presupposti e' a carico del datore  di  lavoro,
che puo' assolverlo anche mediante ricorso  a  presunzioni,  restando
escluso che sul lavoratore incomba un onere di allegazione dei  posti
assegnabili» (Cass., sez. lav., sentenza 4 marzo 2021, n. 6084;  ved.
altresi', ex multis, Cassazione, sez. VI, ordinanza 18 gennaio  2022,
n. 1386). 
    Dall'altro lato, poi, e' rimasta del tutto incontroversa,  sempre
ai sensi e per  gli  effetti  di  cui  all'art.  115  del  codice  di
procedura civile, la circostanza secondo cui la retribuzione  erogata
da A.S.S.T. degli S. C. DI... costituirebbe l'unica fonte di  reddito
per le reclamanti, cosi' che, nel caso di specie, appare  sussistente
anche un pregiudizio grave, imminente ed  irreparabile  in  relazione
alla perdita della possibilita' per le lavoratrici di far fronte alle
esigenze primarie della vita. 
    Alla luce di tutto cio', si deve dunque ritenere che il  presente
procedimento  non  possa  essere  definito  indipendentemente   dalla
risoluzione della questione di legittimita' costituzionale di seguito
illustrata e relativa  all'art.  4,  comma  7  del  decreto-legge  n.
44/2021, conv. dalla legge 28 maggio 2021, n. 76, per come modificato
dall'art. 1, comma 1, lettera b) del decreto-legge n. 172/2021, conv.
dalla legge 21 gennaio 2022, n. 3. 
  Quanto alla non manifesta infondatezza: 
    l'obbligo vaccinale previsto per  gli  esercenti  le  professioni
sanitarie e per gli operatori di interesse sanitario e'  testualmente
finalizzato «alla tutela della salute pubblica» e al mantenimento  di
«adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione  delle  prestazioni
di  cura  e  assistenza»  e,  pertanto,   a   prescindere   da   ogni
considerazione in merito alla sua idoneita' a  raggiungere  lo  scopo
(circostanza che la parte reclamante comunque contesta), non si  puo'
che rilevare che il pericolo di diffusione del virus, sia  uguale  in
capo a qualsiasi  lavoratore  non  vaccinato,  indipendentemente  dal
fatto che la omessa vaccinazione sia dovuta ad una scelta  volontaria
oppure ad un accertato pericolo per la sua salute. 
    A parita' di condizione (uguaglianza del pericolo di contagio per
gli altri dipendenti, per gli  ospiti  e  per  i  pazienti),  non  si
comprende allora  per  quale  motivo  l'obbligo  di  repêchage  debba
sussistere solo a favore dei secondi (soggetti esentati o per i quali
la vaccinazione e' stata differita) e non anche a favore  dei  primi.
Ne' potrebbe sostenersi che, nel settore sanitario, la differenza  di
trattamento sia giustificata  da  esigenze  aziendali  essendo  stato
previsto il repêchage per gli esentati o differiti senza  limitazioni
ed essendo stato,  altrettanto  totalmente,  escluso  per  gli  altri
soggetti non vaccinati. 
    Pertanto,  si  dubita  che  il  comma  7  del  citato   art.   4,
nell'attuale formulazione, sia conforme agli articoli  3  e  4  della
Costituzione  nella  parte  in  cui  non  prevede  che  l'obbligo  di
repêchage sussista anche per coloro che scelgono di  non  vaccinarsi.
Cio', in primo luogo, per violazione del principio di uguaglianza  ex
art. 3 della Costituzione e,  in  particolare,  per  irragionevolezza
delle  disposizioni  in  esame,  in  quanto  il  diverso  trattamento
previsto per coloro che hanno deciso di non vaccinarsi e  coloro  che
non possono vaccinarsi (in quanto  esenti  o  differiti)  non  appare
sostenuto da alcuna giustificazione. In secondo luogo, nel precludere
al personale non vaccinato  per  libera  scelta  la  possibilita'  di
lavorare - anziche' applicare altre soluzioni quali, ad  esempio,  il
controllo tramite test di rilevazione del virus  e  l'assegnazione  a
mansioni diverse, ove possibili - lo Stato risulta essere venuto meno
al compito di rendere effettivo il diritto al lavoro (ex art. 4 della
Costituzione) in quanto ha introdotto una misura  che  si  espone  al
dubbio di rivelarsi eccessivamente sbilanciata e sproporzionata,  con
eccessivo detrimento  del  valore  della  dignita'  umana  stante  la
compressione assoluta del diritto al  lavoro  destinata  a  permanere
sino al 31 dicembre 2022, anche  oltre  il  termine  dello  stato  di
emergenza e solo per i lavoratori  del  comparto  sanitario.  Ne'  la
temporaneita' della  misura  interdittiva  adottata  dal  legislatore
appare di per se' idonea a giustificare il  sacrificio  totale  degli
interessi antagonisti, atteso che la stessa e' in grado  di  produrre
effetti  gravemente  pregiudizievoli  per   siffatta   categoria   di
lavoratori,  privati  di  ogni  possibilita'  di  svolgere  attivita'
lavorativa  sia  come  dipendenti  che  come  liberi  professionisti,
vieppiu' alla luce della disposta proroga. 
    A cio' si aggiunga  che  l'originaria  formulazione  della  norma
prevedeva la possibilita' di attribuire al dipendente non  vaccinato,
seppure solo ove possibile, mansioni diverse. La modifica legislativa
che ha successivamente precluso una simile  possibilita'  non  appare
tuttavia compatibile con il principio di  ragionevolezza,  corollario
del principio di eguaglianza sostanziale di  cui  all'art.  3,  comma
secondo della Costituzione, e cio' anche in considerazione del  fatto
che  al  personale  sanitario  non  vaccinato  e'  stato  imposto  il
contestuale divieto di  svolgere  qualsiasi  attivita'  lavorativa  -
incluse quelle che non comportano alcun  rischio  di  diffusione  del
contagio da  SARS-COV-2  -  in  ragione  della  tutela  della  salute
pubblica e del mantenimento  «di  adeguate  condizioni  di  sicurezza
nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza». 
    Questo  collegio  non  dubita  che  il  legislatore   nella   sua
discrezionalita' possa aggravare gli effetti dell'accertamento  della
violazione di un obbligo, ma  ritiene  che  debbano  comunque  essere
individuati  degli  specifici  presupposti   che   siano   idonei   a
giustificare, un simile aggravamento. Tali presupposti, in  relazione
alla disciplina in esame, non risultano tuttavia individuati,  atteso
che lo scopo primario che  la  norma  intende  perseguire  (ovverosia
quello  della  tutela  della  salute  pubblica  in   una   situazione
emergenziale  epidemiologia  mediate  la  garanzia  dell'accesso,  in
condizioni di sicurezza, alle cure e alle  prestazioni  sanitarie  in
genere) e' rimasto sostanzialmente immutato  nel  tempo,  cosi'  come
sono rimaste invariate le esigenze connesse alla tutela della  salute
e della sicurezza negli ambienti di lavoro. 
    La novella legislativa  che,  senza  prevedere  alcuna  soluzione
alternativa  o  intermedia,  ha  sospeso  dal  lavoro  e  dall'intera
retribuzione il personale sanitario  che  non  ha  inteso  vaccinarsi
appare, quindi, del tutto irragionevole e  certamente  sproporzionata
rispetto allo scopo che la normativa si prefigge.  
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 134 della Costituzione e l'art. 23, legge  11  marzo
1953, n. 87. 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale,  per  contrasto  con  il  dettato  degli
articoli  3  e  4  della  Costituzione,  dell'art.  4,  comma  7  del
decreto-legge n. 44/2021, conv. dalla legge 28 maggio  2021,  n.  76,
per  come  modificato  dall'art.  1,  comma   l,   lettera   b)   del
decreto-legge n. 172/2021, conv. dalla legge 21 gennaio 2022,  n.  3,
nella parte in  cui  limita  ai  soggetti  esentati  o  differiti  la
possibilita' di essere  adibiti  a  «mansioni  anche  diverse,  senza
decurtazione della retribuzione, in modo da  evitare  il  rischio  di
diffusione del contagio da SARS-CoV-2», e non prevede che la medesima
ipotesi si applichi  anche  nei  confronti  del  personale  sanitario
rimasto privo di vaccinazione per una libera scelta individuale. 
    Sospende il presente procedimento. 
    Ordina  la  immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Dispone che, a cura  della  cancelleria,  la  presente  ordinanza
venga  notificata  al  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri   e
comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. 
        Cosi' deciso in Brescia il 19 maggio 2022 
 
                  Il Presidente estensore: Pipponzi