N. 166 SENTENZA 25 maggio - 1 luglio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Spese di giustizia - Spese  per  consulenti  e  ausiliari  -  Importi
  spettanti all'ausiliario del magistrato nel caso di  ammissione  al
  patrocinio a spese dello Stato  nel  processo  civile  -  Riduzione
  della meta' - Esclusione della riduzione in caso di applicazione di
  previsioni   tariffarie   non   adeguate   -   Irragionevolezza   -
  Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- Decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2012  (recte:
  2002), n. 115, art. 130. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.27 del 6-7-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  130  del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia. (Testo A)», promosso dal  Tribunale
ordinario di Paola, in  composizione  monocratica,  nel  procedimento
vertente tra F. M. e  Generali  Italia  spa,  F.  R.  e  D.  R.,  con
ordinanza del 2 novembre  2020,  iscritta  al  n.  171  del  registro
ordinanze 2021, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica
numero n. 45, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 25  maggio  2022  il  Giudice
relatore Maria Rosaria San Giorgio; 
    deliberato nella camera di consiglio del 25 maggio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 2 novembre 2020, iscritta al numero 171 del
registro  ordinanze  2021,  il  Tribunale  ordinario  di  Paola,   in
composizione monocratica,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  130  del  decreto  del  Presidente   della
Repubblica 30  maggio  2002,  n.  115,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e  regolamentari  in  materia  di  spese  di
giustizia. (Testo A)», denunziandone il contrasto con l'art. 3  della
Costituzione. 
    1.1.- Il rimettente riferisce che, nel giudizio promosso da F. M.
contro Generali Italia spa, F. R.  e  D.  R.,  avente  a  oggetto  il
risarcimento  dei  danni  conseguenti  a  un  sinistro  stradale,  e'
chiamato a provvedere sulla richiesta  di  liquidazione  di  compenso
avanzata  dal  professionista  designato  per  l'espletamento   della
consulenza tecnica d'ufficio medico-legale. 
    Ad avviso del giudice a quo, trattandosi di incarico  riguardante
accertamenti  medici  sulla  persona,  l'onorario   dovrebbe   essere
determinato, ai sensi dell'art. 21 della Tabella allegata al  decreto
del Ministro della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi
spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori  per
le operazioni eseguite su disposizione dell'autorita' giudiziaria  in
materia civile e penale), in un importo compreso tra  euro  48,03  ed
euro 290,77, avuto riguardo, ai sensi  dell'art.  51,  comma  1,  del
d.P.R. n. 115 del 2002,  alla  difficolta',  alla  completezza  e  al
pregio della prestazione resa dall'ausiliario. 
    Inoltre,  non  ricorrendo  il   presupposto   dell'urgenza,   non
andrebbero riconosciuti gli aumenti previsti dal comma 2  del  citato
art. 51 del d.P.R. n. 115 del 2002; ne' potrebbe trovare applicazione
l'art. 52,  comma  1,  del  medesimo  testo  unico,  non  essendo  la
prestazione resa dal consulente tecnico  di  eccezionale  importanza,
complessita' e difficolta'. 
    Sull'importo  liquidato  dovrebbe   poi   essere   praticata   la
diminuzione di un terzo, in considerazione del ritardo in cui sarebbe
incorso il consulente tecnico, in applicazione del comma 2 del citato
art. 52, nonche' l'ulteriore riduzione della meta' prevista dall'art.
130 del d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto la parte attrice  e'  stata
ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 
    1.2.- In punto di rilevanza, il Tribunale di Paola ritiene di non
poter provvedere sull'istanza di liquidazione senza fare applicazione
della norma censurata, a mente  della  quale,  nel  processo  civile,
amministrativo,  contabile  e  tributario   gli   importi   spettanti
all'ausiliario del magistrato sono, appunto, ridotti della meta'. 
    1.3.- Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il giudice
a quo assume che la disposizione in scrutinio, nella parte in cui non
esclude che la  diminuzione  di  un  terzo  degli  importi  spettanti
all'ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione  di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 del d.P.R. n.
115 del 2002, sia affetta da irragionevolezza, al  pari  dell'analoga
norma, dettata per il processo penale dall'art. 106-bis del  medesimo
d.P.R.,  la  quale,   per   tale   ragione,   e'   stata   dichiarata
costituzionalmente  illegittima,   in   riferimento   rispettivamente
all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di  parte,  con
le sentenze n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017. 
    1.3.1.- A sostegno di tale assunto, il rimettente  argomenta  che
la  norma  censurata  si  inscrive  nel  medesimo  plesso  normativo,
costituito dagli artt. 50 e 54 del d.P.R.  n.  115  del  2002  e  dal
citato d.m. del 30 maggio 2002, con il quale  si  raccorda  l'omologa
riduzione prescritta dall'art. 106-bis per il processo penale. 
    A tale riguardo, il giudice a quo rileva che i richiamati art. 50
- il quale demanda la  determinazione  dell'entita'  delle  spettanze
dell'ausiliario del magistrato alle tabelle approvate con decreto del
Ministro della giustizia di concerto con il Ministro dell'economia  e
delle finanze - e art. 54 - che stabilisce  che  «[l]a  misura  degli
onorari fissi, variabili e a tempo  e'  adeguata  ogni  tre  anni  in
relazione alla  variazione,  accertata  dall'ISTAT,  dell'indice  dei
prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati  verificatasi
nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della
giustizia,  di  concerto  con  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze» -, essendo collocati nel  Titolo  VII  della  Parte  II  del
d.P.R. n. 115 del 2002, riguardano tutti i processi. 
    Sottolinea, ancora, il rimettente che le Tabelle  alle  quali  fa
riferimento il suddetto art. 50, dopo  l'approvazione,  con  d.m.  30
maggio del 2002, non sono state mai aggiornate. 
    In tale assetto normativo - soggiunge il giudice a quo  -  si  e'
inserito l'art. 106-bis, introdotto dall'art. 1, comma  606,  lettera
b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante  «Disposizioni  per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello  Stato  (Legge
di  stabilita'  2014)»,  con  il  quale  la  riduzione  dei  compensi
liquidati a carico dello Stato e'  stata  prevista,  ancorche'  nella
inferiore misura di un terzo, anche per il processo penale. 
    Nell'ordinanza di rimessione sono riportati  ampi  stralci  della
motivazione della sentenza di questa Corte n. 192 del  2015,  con  la
quale e' stata dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  di  tale
ultima disposizione e,  in  particolare,  i  passaggi  nei  quali  la
pronuncia ha evidenziato che  il  legislatore,  nell'introdurre,  con
l'art. 106-bis del  d.P.R.  n.  115  del  2002,  un  significativo  e
drastico intervento di riduzione  dei  compensi  spettanti,  tra  gli
altri, all'ausiliario del magistrato,  non  poteva  ignorare  che  si
trattasse di importi che, a norma dell'art. 54 del  medesimo  d.P.R.,
avrebbero dovuto essere rivalutati ogni tre anni, in  relazione  alla
variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi  al  consumo
per le famiglie di operai e impiegati. 
    L'adeguamento previsto dal citato art.  54,  ha  sottolineato  la
sentenza indicata, non era mai intervenuto dall'emanazione  del  d.m.
del 30 maggio 2002, cosi' che, dopo  oltre  un  decennio  di  inerzia
amministrativa, la base tariffaria sulla quale calcolare  i  compensi
risultava ormai seriamente sproporzionata per difetto, anche a  voler
considerare, come richiede l'art. 50 del d.P.R. n. 115 del 2002,  che
la misura degli onorari in esame,  rapportata  alle  vigenti  tariffe
professionali, deve essere  contemperata  in  relazione  alla  natura
pubblicistica della prestazione richiesta. 
    Ricorda il rimettente  che,  sulla  base  di  tali  premesse,  la
sentenza n. 192 del 2015 ha rilevato che  la  mancata  considerazione
dell'omesso adeguamento ai sensi dell'art. 54 del d.P.R. n.  115  del
2002, rende la novella  del  2013  irragionevole,  posto  che,  viene
sottolineato citando la pronuncia indicata, «non e' riconducibile  ai
pur ampi margini  spettanti  alla  discrezionalita'  legislativa  una
scelta attuata senza una preliminare  valutazione  complessiva  della
materia, necessaria per compiere  un  ragionevole  bilanciamento  tra
esigenze di  contenimento  della  spesa  e  remunerazione,  sia  pure
secondo i ricordati criteri di contemperamento,  degli  incarichi  in
questione». 
    La Corte - prosegue l'ordinanza di rimessione, sempre citando  la
sentenza  n.  192  del  2015  -  ha  quindi  ritenuto  manifestamente
irragionevole «un intervento di riduzione  della  spesa  erariale  in
materia di giustizia - pur, come tale,  sicuramente  riferibile  alla
discrezionalita'   legislativa   nel   contesto   della   congiuntura
economico-finanziaria - adottato senza attenzione a che la  riduzione
operi su tariffe realmente congruenti con le stesse  linee  di  fondo
del  d.P.R.  n.  115  del  2002:  dunque  su  tariffe,  da  un  lato,
proporzionate (sia pure per  difetto,  tenendo  conto  del  connotato
pubblicistico) a quelle libero-professionali  (che  per  parte  loro,
nell'ambito di una riforma complessiva dei criteri  di  liquidazione,
sono  state  aggiornate)  e,  dall'altro,   preservate   nella   loro
elementare consistenza in rapporto alle variazioni  del  costo  della
vita». 
    Il Tribunale di Paola ha poi richiamato la sentenza  n.  178  del
2017, con la  quale  questa  Corte  ha  esteso  la  dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale,  per  violazione  dell'art.  3  Cost.,
dell'art. 106-bis del  d.P.R.  n.  115  del  2002  agli  onorari  del
consulente tecnico di parte. 
    Ad avviso del giudice a quo, la medesima ratio decidendi, che  fa
discendere  l'irragionevolezza  della  disposizione  dall'essere   il
significativo  e  drastico  intervento  di  riduzione  dei   compensi
intervenuto su  tariffe  ormai  gia'  seriamente  sproporzionate  per
difetto, in quanto non aggiornate  da  oltre  un  decennio,  dovrebbe
condurre alla declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art.
130 del d.P.R. n. 115 del 2002 nella parte in cui non esclude che  la
diminuzione della meta' degli importi  spettanti  all'ausiliario  del
magistrato  sia  operata  in  caso  di  applicazione  di   previsioni
tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 del citato testo unico. 
    Osserva, in proposito, il Tribunale di Paola che la  disposizione
censurata, non solo si innesta,  al  pari  dell'art.  106-bis,  sugli
artt. 50 e 54 del d.P.R. n. 115 del 2002, ma  prevede  una  riduzione
ancora maggiore di quella, pari a un terzo, stabilita per il processo
penale, e che, cio' nondimeno, gli  importi  tariffari  di  cui  alle
tabelle ministeriali approvate con d.m. 30 maggio 2002 non sono stati
mai aggiornati. 
    Ne' il riferimento alle pronunce costituzionali aventi ad oggetto
l'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 implicherebbe  un  indebito
parallelismo tra ambiti processuali differenti e quindi la  negazione
dell'indiscussa discrezionalita' del legislatore nel compiere  scelte
diverse in relazione a modelli processuali distinti. 
    E' ben vero,  argomenta  il  rimettente,  che,  come  in  diverse
occasioni  evidenziato  dalla   giurisprudenza   costituzionale,   il
legislatore puo' modulare diversamente  il  compenso  dell'ausiliario
nel processo civile e in quello penale. 
    Nondimeno,  in  nessuno  dei  suddetti  giudizi  la  legge   puo'
introdurre drastiche riduzioni di compensi «limitandosi a prescrivere
un adeguamento di fatto mai realizzato, nonostante il cospicuo  tempo
decorso». 
    In  aggiunta,  non  costituirebbe   un   «apprezzabile   elemento
differenziale»,   ai   fini   dello   scrutinio    di    legittimita'
costituzionale, la circostanza che l'art. 130, ora  in  esame,  fosse
inserito nel  corpo  del  d.P.R.  n.  115  del  2002  sin  dalla  sua
emanazione, mentre l'art. 106-bis e' stato introdotto solo con l'art.
1, comma 606, lettera b), della legge n. 147 del  2013,  dal  momento
che le norme «non sono date una volta per tutte ed  irrigidite  nella
configurazione  iniziale,  ma  vivono  e  si  definiscono  nel  tempo
attraverso le continue applicazioni che ricevono nei  nuovi  contesti
(ordinamentali, ma anche economico-sociali), nei quali operano». 
    Lo  scrutinio  di  ragionevolezza  andrebbe   pertanto   condotto
interpretando la norma  nel  contesto  ordinamentale  sussistente  al
momento della sua applicazione. 
    Sottolinea, ancora,  il  giudice  rimettente  che,  nel  caso  di
specie, l'applicazione della disposizione censurata condurrebbe  alla
liquidazione di un compenso per il consulente tecnico d'ufficio  pari
ad euro 145,38, e tale importo  risulterebbe  inadeguato  all'attuale
valore  economico  e  sociale  dell'attivita'  svolta,  alla   durata
dell'incarico e alla stessa dignita' della professione esercitata dal
consulente, pur tenendo conto dell'interesse pubblico che  permea  la
disciplina degli ausiliari del magistrato e del  patrocinio  a  spese
dello Stato. 
    Da ultimo, il giudice a quo rileva che il tenore letterale  della
disposizione  denunciata  non  rende  praticabile  un'interpretazione
conforme all'art. 3 Cost. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, concludendo per  la  dichiarazione  di  non  fondatezza  della
questione. 
    2.1.- Ad avviso della difesa statale,  le  enunciazioni  espresse
nelle sentenze n. 192 del 2015  e  n.  178  del  2017  non  sarebbero
invocabili in riferimento alla disposizione in questione,  in  quanto
riguardano  il  processo  penale,  la  cui  diversita',  rispetto  al
processo  civile,  e'  stata  in  piu'  occasioni  valorizzata  dalla
giurisprudenza costituzionale in  ragione  della  differenza  tra  le
situazioni comparate,  costituite,  da  una  parte,  dagli  interessi
civili, e, dall'altra, dalle  situazioni  tutelate  che  sorgono  per
effetto dell'esercizio dell'azione penale. 
    Osserva,  ancora,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che   la
dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 106-bis  del
d.P.R.  n.  115  del  2002  non  puo'  estendersi  anche  alla  norma
censurata, posto che la novella legislativa scrutinata nelle sentenze
n. 192 del 2015 e n. 178 del 2017 e' stata esaminata  «tenendo  conto
del fatto che si tratta di disposizione inserita in un  contesto  con
una base tariffaria introdotta nel 2002 e mai rivista, nonostante  la
previsione di aggiornamento  triennale  contenuta  nell'art.  54  del
citato testo unico». 
    Le citate pronunce di illegittimita' costituzionale  -  chiarisce
l'interveniente - si basano «sulle ragioni della valutazione compiuta
dal  legislatore  del  2013,  intervenuto   su   una   materia   gia'
caratterizzata dalla incongruita' dei compensi previsti dalle tabelle
adottate nel 2002», ne' puo' considerarsi priva di rilievo,  ai  fini
del sindacato di ragionevolezza, la circostanza per la quale la norma
censurata,  a  differenza  dell'art.  106-bis,  fosse  gia'  inserita
nell'originario corpo del d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Contrariamente a  quanto  assunto  dal  rimettente,  l'originario
inserimento dell'art. 130 nel t.u. sulle spese di  giustizia  sarebbe
determinante,  in  quanto,   come   chiarito   dalla   giurisprudenza
costituzionale, il mancato aggiornamento periodico dei  compensi  per
gli ausiliari del magistrato e' dipeso  da  omissioni  amministrative
non risolvibili attraverso un intervento della Corte, ma  con  «altri
rimedi», come il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione  ex
art. 117 del decreto legislativo 2 luglio 2010,  n.  104  (Attuazione
dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al
governo per il riordino del processo amministrativo). 
    Nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dette  omissioni
costituirebbero dunque un mero inconveniente di fatto. 
    Da ultimo, il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta  che
la disciplina del patrocinio a spese  dello  Stato  e'  riconducibile
alla materia processuale, nella quale il legislatore  gode  di  ampia
discrezionalita', con il solo limite della manifesta irragionevolezza
o arbitrarieta' delle scelte adottate. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Paola, in composizione monocratica,
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  130
del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia. (Testo A)» - a mente del quale,  in
caso di ammissione al patrocinio a spese  dello  Stato,  gli  importi
spettanti, tra gli altri, all'ausiliario del magistrato sono  ridotti
della  meta'  -,  denunziandone  il  contrasto  con  l'art.  3  della
Costituzione. 
    1.1.- Ad avviso del rimettente, la norma censurata,  nella  parte
in cui non esclude che tale  decurtazione  sia  operata  in  caso  di
applicazione di previsioni tariffarie non adeguate a norma  dell'art.
54 del d.P.R.  n.  115  del  2002,  introdurrebbe  una  significativa
diminuzione di compensi gia' seriamente sproporzionati  per  difetto,
perche'  computati   sulla   base   di   parametri   mai   aggiornati
dall'approvazione delle Tabelle  allegate  al  Decreto  del  Ministro
della giustizia 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai
periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni
eseguite su disposizione dell'autorita' giudiziaria in materia civile
e penale). 
    La  disposizione  in  scrutinio   sarebbe   quindi   affetta   da
irragionevolezza, al pari della norma, di analoga portata precettiva,
dettata dall'art. 106-bis del d.P.R. n. 115 del 2002 per il  processo
penale, la quale, proprio in forza dell'anomalia qui  denunziata,  e'
stata  dichiarata  costituzionalmente  illegittima,  in   riferimento
rispettivamente all'ausiliario del magistrato e al consulente tecnico
di parte, con le sentenze di questa Corte n. 192 del 2015  e  n.  178
del 2017. 
    2.- La questione e' fondata. 
    2.1.-  La  relazione  funzionale  che,   attraverso   l'atto   di
designazione, si instaura tra l'ausiliario del magistrato e l'ufficio
giudiziario costituisce un munus publicum (sentenze n. 102 del 2021 e
n. 88 del 1970), dal  cui  utile  svolgimento  sorge  un  diritto  al
compenso disciplinato dalle disposizioni del Titolo VII  della  Parte
II del d.P.R. n. 115 del 2002, nonche', in forza del  rinvio  operato
dall'art. 50 di tale testo unico, da tabelle  approvate  con  decreto
del  Ministro  della  giustizia,  di   concerto   con   il   Ministro
dell'economia e delle finanze, ai sensi dell'art. 17, commi  3  e  4,
della legge 23 agosto 1988,  n.  400  (Disciplina  dell'attivita'  di
Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri). 
    La  ratio  di  tale  plesso  normativo  -   il   quale,   essendo
espressamente  riferito,  come  indicato   nel   Titolo   VII,   agli
«[a]usiliari   del   magistrato   nel   processo   penale,    civile,
amministrativo, contabile e tributario», detta una disciplina  comune
a tutti gli ordinamenti processuali - e' orientata a contemperare  il
carattere pubblicistico  della  funzione  di  ausilio  dell'attivita'
giudiziaria con l'esigenza di non  svilire  l'impegno  garantito  dal
professionista designato. 
    L'adeguatezza della remunerazione  dell'ausiliario,  imposta  dal
principio  di  ragionevolezza,  e'   assicurata   dal   rapporto   di
proporzionalita'  tra  i  valori  tabellari   dei   compensi   e   le
corrispondenti tariffe libero-professionali di mercato, ancorche' con
una  riduzione,  avuto  riguardo  alla   connotazione   pubblicistica
dell'istituto (sentenze n. 89 del 2020 e n. 192 del 2015). 
    Se ne trae conferma dalla formula  dell'art.  50,  comma  2,  del
d.P.R. n. 115 del 2002, il quale individua il parametro di  base  per
la determinazione ministeriale degli importi  relativi  agli  onorari
per  gli  ausiliari  del  magistrato  «nelle  tariffe   professionali
esistenti, eventualmente  concernenti  materie  analoghe»,  sia  pure
avvertendo  della  necessita'  di   contemperare   tale   metodo   di
quantificazione con la natura pubblicistica della prestazione resa. 
    2.2.- All'indicata finalita' di bilanciamento tra l'interesse  al
contenimento delle spese del processo e l'esigenza  di  remunerazione
dei professionisti designati risponde anche la fissazione,  ad  opera
della normativa in esame (artt. 51, 52 e 53 del  d.P.R.  n.  115  del
2002), di criteri di liquidazione  volti  a  commisurare  il  quantum
delle  spettanze  all'entita',  alla   complessita'   e   all'urgenza
dell'opera prestata, «senza dar luogo a duplicazioni di sorta e senza
svilire l'impegno assicurato dall'ausiliario»  (sentenza  n.  90  del
2019). 
    2.3.- Ancora, in linea con le indicate direttrici, l'art. 54 t.u.
spese di giustizia stabilisce che l'adeguamento  della  misura  degli
onorari deve avvenire ogni tre anni, in  relazione  alla  variazione,
accertata dall'Istituto nazionale di statistica (ISTAT), «dell'indice
dei prezzi  al  consumo  per  le  famiglie  di  operai  e  impiegati,
verificatasi  nel  triennio   precedente,   attraverso   un   decreto
dirigenziale del Ministero della giustizia, adottato di concerto  con
il Ministero dell'economia e delle finanze». 
    2.4.- Nei procedimenti in cui vi sia ammissione al  patrocinio  a
spese dello Stato, nei quali l'ordinamento tende a garantire a coloro
che non  sono  in  grado  di  sopportare  il  costo  di  un  processo
«l'effettivita' del diritto ad agire e a difendersi in giudizio,  che
il secondo comma [dell'] art. 24 Cost. espressamente  qualifica  come
diritto  inviolabile»  (sentenza  n.  157  del  2021),  e'   cruciale
l'individuazione di un «punto di equilibrio tra garanzia del  diritto
di difesa per i non abbienti e necessita' di contenimento della spesa
pubblica in materia di giustizia» (sentenza n. 47 del 2020). 
    A tale ultima esigenza risponde l'art. 130 del d.P.R. n. 115  del
2002, qui in scrutinio, a mente del quale  i  compensi  spettanti  al
difensore, all'ausiliario del magistrato e  al  consulente  di  parte
sono ridotti della meta'. 
    Questa  Corte  ha  gia'  avuto   modo   di   pronunciarsi   sulla
ragionevolezza  di  tale  decurtazione,  affermando,  con   specifico
riferimento  agli   onorari   del   difensore,   che   «la   garanzia
costituzionale del diritto di difesa non  esclude,  quanto  alle  sue
modalita', la competenza del legislatore  a  darvi  attuazione  sulla
base di scelte discrezionali non irragionevoli» (ordinanza n. 350 del
2005). 
    In merito alla dimidiazione imposta dall'art. 130 del  d.P.R.  n.
115  del  2002,  si  e'   anche   precisato   che,   stante   l'ampia
discrezionalita' del legislatore nella materia in questione - essendo
il patrocinio a carico dell'erario un istituto di diritto processuale
-, il criterio di determinazione del compenso spettante al  difensore
della parte ammessa allo  stesso  non  impone  al  professionista  un
sacrificio tale da risolvere il ragionevole legame che intercorre tra
l'onorario  a  lui  spettante  e  il  relativo  valore  di   mercato,
trattandosi semplicemente di una modalita'  parzialmente  diversa  di
determinazione del compenso medesimo (ordinanza n. 122 del 2016). 
    3.- Come sopra ricordato, questa Corte si e' gia' espressa  anche
in merito alla particolare situazione, oggetto del presente giudizio,
in cui la riduzione imposta in ragione dell'ammissione di  una  parte
al patrocinio a spese dello Stato operi su un onorario  la  cui  base
tariffaria non sia stata aggiornata alle  variazioni  del  potere  di
acquisto della moneta. 
    La  piu'  volte  citata  sentenza  n.  192  del  2015,  alle  cui
argomentazioni si e' allineata la successiva  pronuncia  n.  178  del
2017, ha, anzitutto, rilevato che il  legislatore,  nel  prevedere  -
attraverso l'introduzione dell'art. 106-bis del  d.P.R.  n.  115  del
2002 - che, come nei procedimenti civili, anche in quelli penali  con
ammissione della parte al patrocinio per i non abbienti  debba  farsi
luogo alla riduzione, sia pure nella  diversa  misura  di  un  terzo,
degli  onorari  spettanti,  tra   gli   altri,   all'ausiliario   del
magistrato, «non poteva ignorare come si trattasse di compensi che, a
norma dell'art. 54 del d.P.R.  n.  115  del  2002,  avrebbero  dovuto
essere periodicamente rivalutati». 
    L'adeguamento previsto dall'art. 54  del  citato  testo  unico  -
evidenziava nell'occasione questa Corte  -  non  e'  mai  intervenuto
dall'emanazione del decreto ministeriale del 30  maggio  2002,  cosi'
che, dopo oltre  un  decennio  di  inerzia  amministrativa,  la  base
tariffaria sulla quale calcolare i  compensi  risultava  gia'  allora
seriamente  sproporzionata   per   difetto,   pur   considerando   il
contemperamento imposto dalla natura pubblicistica della prestazione. 
    Sulla scorta di tali  premesse,  e'  stato  ritenuto  affetto  da
irragionevolezza l'intervento di riduzione della  spesa  erariale  in
materia di giustizia adottato dal legislatore senza verificare che la
decurtazione operasse su importi  effettivamente  congruenti  con  le
stesse linee di fondo del d.P.R. n. 115 del 2002, «dunque su tariffe,
da un lato, proporzionate (sia pure per difetto,  tenendo  conto  del
connotato pubblicistico) a quelle libero-professionali (che per parte
loro,  nell'ambito  di  una  riforma  complessiva  dei   criteri   di
liquidazione, sono state aggiornate) e, dall'altro, preservate  nella
loro elementare consistenza in rapporto  alle  variazioni  del  costo
della vita» (sentenza n. 192 del 2015). 
    E'  stata  quindi  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art  106-bis  del  d.P.R.  n.  115  del  2002,  come  introdotto
dall'art. 1, comma 606, lettera b), della legge 27 dicembre 2013,  n.
147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», nella  parte  in
cui non esclude che la  diminuzione  di  un  terzo  degli  importi  -
rispettivamente spettanti all'ausiliario del magistrato (sentenza  n.
192 del 2015) e al consulente tecnico di parte (sentenza n.  178  del
2017) nel processo penale - sia operata in caso  di  applicazione  di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 dello  stesso
d.P.R. n. 115 del 2002. 
    3.1.- Questa Corte ha inteso cosi' conservare la norma censurata,
sia pure  condizionandone  l'applicazione  all'adeguamento  tabellare
alle scadenze indicate dalla legge, di modo  che  il  giudice  comune
possa praticare la riduzione dei  compensi  solo  quando  la  tariffa
posta a fondamento del provvedimento  di  liquidazione  sia  conforme
alla prescrizione di aggiornamento periodico. 
    Tale soluzione riposa sull'assunto  per  il  quale  l'adeguamento
imposto dall'art. 54 del  citato  d.P.R.  115  del  2002  svolge  una
fondamentale  funzione  di  riequilibrio  e  di  stabilizzazione  del
sistema, in quanto assicura la ragionevolezza della liquidazione, pur
a fronte di una riduzione delle tariffe (sentenza n. 89 del 2020). 
    3.2.- Il dispositivo delle sentenze n. 192 del 2015 e n. 178  del
2017 sottende un'enunciazione di portata generale che, contrariamente
a quanto ritenuto dall'Avvocatura generale dello Stato, trascende  la
ragione  contingente  che  ha  dato  occasione  allo   scrutinio   di
irragionevolezza dell'art.  106-bis  del  d.P.R.  n.  115  del  2002,
identificabile nella obsolescenza degli importi tabellari nel momento
in cui la novella legislativa del 2013 ha  esteso  la  riduzione  dei
compensi anche al processo penale. 
    L'irragionevolezza della norma  censurata  risiede  dunque  nella
possibilita', derivante dalla sua  combinazione  con  il  sistema  di
determinazione dei compensi delineato dagli artt. 50 e 54 del  d.P.R.
n. 115 del 2002,  che  il  dimezzamento  imposto  dall'ammissione  al
patrocinio a spese dello Stato operi su una base tariffaria  gia'  di
per se' sproporzionata per difetto. 
    Un  meccanismo  normativo  siffatto,  invero,   produce   effetti
incongrui rispetto al fine perseguito, ove la prevista  riduzione  si
associ all'omesso adeguamento ministeriale dell'importo base. 
    3.3.- E' ben vero che  il  patrocinio  a  spese  dello  Stato  e'
espressione di un bilanciamento  rimesso  alla  discrezionalita'  del
legislatore, il quale puo' conseguire  il  risultato  della  garanzia
dell'accesso alla tutela giurisdizionale conformando gli istituti nel
modo che reputa piu' opportuno, con il solo  limite  della  manifesta
irragionevolezza o arbitrarieta' delle scelte adottate  (sentenze  n.
80 e 47 del 2020, n. 97 del 2019; ordinanza n. 3 del 2020). 
    Nondimeno, una norma  che,  come  quella  in  scrutinio,  decurti
significativamente la  remunerazione  di  un'attivita'  professionale
svolta nell'interesse della  giustizia,  puo'  ritenersi  ragionevole
solo se la misura  del  sacrificio  inflitto  al  professionista  sia
correttamente calibrata rispetto al fine  di  riduzione  della  spesa
erariale. 
    Come gia' ricordato, affinche' tale canone di  adeguatezza  possa
ritenersi soddisfatto, la decurtazione deve essere operata su tariffe
preservate  nella  loro  elementare  consistenza  in  relazione  alle
variazioni del costo della vita (sentenza n. 192 del 2015). 
    Tale enunciazione deve essere ribadita anche in riferimento  alla
fattispecie ora in esame, nella quale il rapporto di proporzione  tra
l'onorario dell'ausiliario e la tariffa libero-professionale  sarebbe
irrimediabilmente reciso, ove la gia' pesante riduzione  della  meta'
intervenisse su  importi  tabellari  che,  a  causa  della  protratta
svalutazione, risultino gia' di per se'  significativamente  distanti
dai valori di mercato. 
    3.4.- Ne', in senso contrario, puo' annettersi rilievo ai profili
di specificita' del processo penale rispetto alle liti civili addotti
dalla  difesa  dello  Stato  per   escludere   la   riproducibilita',
nell'odierno giudizio, della  ratio  decidendi  posta  a  base  della
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  del  meccanismo  di
riduzione degli onorari previsto per il processo penale. 
    La peculiarita' di quest'ultimo rispetto ai procedimenti civili o
amministrativi si coglie  soprattutto  nella  diversita'  dell'azione
penale rispetto alle domande proposte davanti ai giudici dei  diritti
o  degli  interessi,  per  la  quale  e'   approntato,   proprio   in
considerazione delle particolari esigenze di difesa del soggetto  che
la subisce,  un  sistema  di  garanzie  che  ne  assicuri  al  meglio
l'effettivita' (sentenze n. 157 del 2021 e n. 237 del 2015). 
    La necessita' di garantire ai non abbienti i mezzi  per  agire  e
difendersi davanti a ogni giurisdizione, prevista dall'art. 24, terzo
comma, Cost., non postula che «gli appositi istituti» siano modellati
in termini sovrapponibili per tutti i tipi di azione  e  di  giudizio
(sentenze n. 35 del 2019 e n. 237 del 2015). 
    3.4.1.- Se a diversi processi possono corrispondere,  in  base  a
scelte discrezionali del legislatore, discipline differenziate  anche
degli stessi istituti (sentenza n. 78 del 2002),  per  converso,  nel
caso  in  cui  la  legge  delinei,  in  riferimento   alla   medesima
fattispecie, normative per il processo civile  e  per  quello  penale
sostanzialmente sovrapponibili - come avviene nella specie, sia  pure
con la significativa differenza delle decurtazioni dei  compensi  tra
un terzo e la meta'  rispettivamente  spettanti  agli  ausiliari  del
magistrato  -  una  differente   modulazione   dello   scrutinio   di
ragionevolezza si rivelerebbe ingiustificata. 
    Tale situazione ricorre nella fattispecie, qui  in  esame,  della
liquidazione dei compensi per l'ausiliario del magistrato in caso  di
ammissione al patrocinio a carico dell'erario, rispetto alla quale il
legislatore,  estendendo  al  processo  penale   il   meccanismo   di
decurtazione  degli  onorari  gia'  previsto,  sia  pure  in   misura
maggiore, per gli altri giudizi, ha inteso allineare,  con  specifico
riferimento alla materia in esame, i diversi sistemi processuali. 
    Non puo', inoltre, trascurarsi come una finalita' di unificazione
della  normativa  emerga  dalla  stessa  disciplina  dell'adeguamento
tariffario, che il Titolo VII  della  Parte  II  del  t.u.  spese  di
giustizia riferisce espressamente a tutti i  processi,  ivi  compreso
quello penale. 
    Ne', del resto, la ratio decidendi delle indicate sentenze n. 192
del 2015 e n. 178 del 2017 valorizza  le  peculiarita'  del  processo
penale, esprimendo, invece, un generale canone di proporzionalita'  e
di  adeguatezza  nel  bilanciamento  tra  giusta  remunerazione   del
professionista ed esigenze della spesa  pubblica,  che  trascende  le
particolarita' dei singoli modelli processuali. 
    4.- In definitiva, il mancato  funzionamento  del  meccanismo  di
equilibrio insito nell'art. 54 del d.P.R. n. 115 del 2002  recide  la
necessaria  correlazione  tra  il  compenso  per   l'ausiliario   del
magistrato ed i valori di mercato,  cosi'  facendo  venir  meno  quel
rapporto di connessione razionale e di proporzionalita' tra il  mezzo
predisposto dal legislatore  e  il  fine  che  lo  stesso  ha  inteso
perseguire, che  e'  alla  base  della  ragionevolezza  della  scelta
legislativa (sentenza n. 102 del 2021). 
    5.- Per tali ragioni, l'art. 130 del d.P.R. n. 115 del 2002  deve
essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte  in  cui
non esclude che la riduzione  della  meta'  degli  importi  spettanti
all'ausiliario del magistrato  sia  operata  in  caso  di  previsioni
tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 dello stesso  d.P.R.  n.
115 del 2002. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.   130   del
decreto del Presidente della  Repubblica  30  maggio  2002,  n.  115,
recante «Testo unico delle disposizioni legislative  e  regolamentari
in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in  cui  non
esclude  che  la  riduzione  della  meta'  degli  importi   spettanti
all'ausiliario del magistrato sia operata in caso di applicazione  di
previsioni tariffarie non adeguate a norma dell'art. 54 dello  stesso
d.P.R. n. 115 del 2002. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 25 maggio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                Maria Rosaria SAN GIORGIO, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria l'1 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA