N. 170 ORDINANZA 9 giugno - 5 luglio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Processo tributario - Spese del  giudizio  -  Liquidazione  a  favore
  dell'ente impositore, dell'agente di  riscossione  e  dei  soggetti
  iscritti all'albo dei gestori dell'accertamento e della riscossione
  dei tributi locali - Compenso per l'attivita' difensiva  svolta  da
  propri funzionari - Riduzione del venti per cento rispetto a quello
  degli avvocati - Denunciata irragionevolezza nonche' violazione del
  diritto di difesa e  del  principio  del  necessario  conseguimento
  dell'abilitazione   all'esercizio   professionale    -    Manifesta
  inammissibilita' delle questioni. 
- Decreto legislativo 31  dicembre  1992,  n.  546,  art.  15,  comma
  2-sexies, primo periodo. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 33, quinto comma. 
(GU n.27 del 6-7-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  15,  comma
2-sexies, primo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413), come introdotto dall'art. 9, comma 1, lettera  f),  numero  2),
del decreto legislativo 24 settembre 2015, n.  156,  recante  «Misure
per la revisione della disciplina degli interpelli e del  contenzioso
tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10,  comma  1,
lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n.  23»,  promosso  dalla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Taranto  nel   procedimento
vertente tra Antonia Alessandra Alfonso e il Comune  di  San  Giorgio
Jonico, con ordinanza del 9 settembre 2021, iscritta al  n.  186  del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'8  giugno  2022  il  Giudice
relatore Luca Antonini; 
    deliberato nella camera di consiglio del 9 giugno 2022. 
    Ritenuto che, con ordinanza del 9 settembre 2021  (reg.  ord.  n.
186 del 2021), la Commissione tributaria provinciale  di  Taranto  ha
sollevato - in riferimento agli artt. 3, 24 e 33, quinto comma, della
Costituzione - questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 15,
comma 2-sexies, primo periodo, del decreto  legislativo  31  dicembre
1992, n. 546 (Disposizioni  sul  processo  tributario  in  attuazione
della delega  al  Governo  contenuta  nell'art.  30  della  legge  30
dicembre 1991, n. 413), come introdotto dall'art. 9, comma 1, lettera
f), numero 2), del decreto legislativo 24  settembre  2015,  n.  156,
recante «Misure per la revisione della disciplina degli interpelli  e
del contenzioso tributario, in attuazione degli articoli 6, comma  6,
e 10, comma 1, lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014, n. 23»; 
    che la norma censurata dispone, in ordine alle spese del processo
tributario, che: «[n]ella liquidazione delle spese a favore dell'ente
impositore, dell'agente della riscossione  e  dei  soggetti  iscritti
nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15  dicembre
1997, n. 446, se assistiti da  propri  funzionari,  si  applicano  le
disposizioni  per  la  liquidazione  del  compenso   spettante   agli
avvocati,  con  la  riduzione  del  venti  per   cento   dell'importo
complessivo ivi previsto»; 
    che il rimettente premette di  essere  chiamato  a  decidere  sul
ricorso proposto da una contribuente,  che  riveste  la  qualita'  di
avvocato e che  si  e'  difesa  in  proprio,  avverso  un  avviso  di
accertamento  nei  confronti  di  un  Comune  che  si  e'  costituito
difendendosi tramite un «funzionario interno»; 
    che, a suo dire, le questioni sollevate «appa[iono] rilevant[i]»,
ai fini della decisione, «nell'ipotesi alternativa in cui soccombente
sia la ricorrente»; 
    che il giudice a quo ritiene che la norma  denunciata  violi,  in
primo luogo,  l'art.  3  Cost.,  sotto  tre  profili:  a)  in  quanto
determinerebbe  un  irragionevole  arricchimento   degli   «enti   di
appartenenza» dei funzionari che hanno svolto l'attivita'  difensiva,
consentendo loro di percepire «compensi [...] senza reale aggravio di
spesa», poiche' detta attivita'  rientrerebbe  «nell'adempimento  dei
[...] doveri d'ufficio o  contrattuali»  dei  funzionari  stessi;  b)
perche'  riserverebbe   al   processo   tributario   un   trattamento
ingiustificatamente diverso da quello stabilito dall'art. 23,  quarto
comma, della legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche  al  sistema
penale), per il giudizio di opposizione a ordinanza-ingiunzione: tale
norma, infatti, prevedrebbe che l'autorita' che ha emesso l'ordinanza
possa stare in giudizio personalmente, ma non anche  la  liquidazione
in suo favore delle spese di lite (eccetto la rifusione delle  «spese
vive»);  c)  infine,  perche',  nell'ambito  dello  stesso   giudizio
tributario, disciplinerebbe la liquidazione delle spese  della  parte
resistente vittoriosa che sia stata assistita dai  propri  funzionari
in maniera irragionevolmente differente dall'ipotesi  del  ricorrente
vittorioso che, nei casi in cui gli  sia  consentito,  sia  stato  in
giudizio senza assistenza tecnica  e  al  quale  non  spetterebbe  il
compenso professionale; 
    che, in secondo luogo, la medesima  norma  violerebbe  l'art.  24
Cost., poiche' la liquidazione dei compensi invece prevista a  favore
dell'ente impositore comporterebbe che le parti, «quando si difendono
da se', [...] non contendono ad armi pari», cio' che  si  tradurrebbe
in un «deterrente idoneo a condizionare il libero e pieno  esercizio»
del diritto di difesa della parte ricorrente; 
    che, infine, la  norma  censurata  lederebbe  l'art.  33,  quinto
comma, Cost., perche' equiparerebbe l'attivita' difensiva svolta  dai
funzionari a quella degli avvocati, senza pero' che i  primi  abbiano
sostenuto  l'esame  di   Stato   per   l'abilitazione   all'esercizio
professionale; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate  inammissibili  o,
in subordine, non fondate; 
    che  l'eccepita  inammissibilita'  e'  basata:  a)  sulla  natura
meramente ipotetica della rilevanza, avendone  lo  stesso  rimettente
affermato la sussistenza «nell'ipotesi alternativa in cui soccombente
sia la ricorrente» nel giudizio a quo; b) sulla  considerazione  che,
anche in caso di soccombenza di quest'ultima,  la  CTP  potrebbe  pur
sempre compensare le spese di lite, sicche' la norma  denunciata  non
troverebbe comunque applicazione; c)  sul  rilievo  che,  poiche'  la
parte ricorrente nel  processo  principale  riveste  la  qualita'  di
avvocato, in caso di vittoria della lite il compenso le spetterebbe -
diversamente da quanto sostenuto  dal  rimettente,  a  conforto,  tra
l'altro, della censura di violazione dell'art. 24 Cost.  -  ancorche'
si sia avvalsa della facolta' della difesa personale (e' citata Corte
di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 18 febbraio  2019,  n.
4698), con la conseguenza che «[a]nche sotto [tale] profilo [...] non
vi [sarebbe] spazio per applicare al caso in  esame  la  disposizione
censurata»;  d)  sul  difetto  di  motivazione  in  merito  alla  non
manifesta  infondatezza  della  questione  sollevata  in  riferimento
all'art. 33, quinto comma, Cost., avendo il giudice a  quo  affermato
l'equiparazione tra l'attivita' difensiva  svolta  dai  funzionari  e
quella svolta dagli avvocati con una «mera petizione di principio»; 
    che, nel merito, le censure afferenti alla violazione dell'art. 3
Cost. sarebbero destituite di fondamento, in considerazione: a) della
sostanziale  identita'  delle  attivita'  difensive  apprestate   dai
funzionari e dagli avvocati;  b)  della  riduzione,  stabilita  dalla
norma sospettata in misura pari al venti per cento, del compenso  che
spetterebbe a un avvocato,  riduzione  che  sarebbe  «ragionevolmente
idonea a compensare la non necessarieta' della qualifica di avvocato»
in capo ai funzionari; c) della circostanza che la  scelta  normativa
oggetto dell'odierno incidente terrebbe conto della specificita'  del
processo tributario; 
    che anche la censura di violazione  dell'art.  24  Cost.  sarebbe
priva di pregio, alla luce del principio, enunciato da  questa  Corte
nell'ordinanza n. 117 del 1999, secondo  cui  «il  regolamento  delle
spese processuali comunque non incide  sulla  tutela  giurisdizionale
del diritto di chi agisce o si difende  in  giudizio,  non  potendosi
affatto sostenere che la possibilita' di  conseguire  la  ripetizione
delle spese processuali [...] consenta alla parte di meglio difendere
la sua posizione e di apprestare meglio le sue difese»; 
    che nemmeno sarebbe sussistente l'asserita  violazione  dell'art.
33,   quinto   comma,   Cost.,   poiche'   i   funzionari   sarebbero
«semplicemente autorizzati dalla legge a  rappresentare  e  difendere
l'ufficio cui appartengono» ma non acquisirebbero, per cio' solo, «il
titolo di avvocato, ne' alcun altro titolo abilitativo». 
    Considerato che, con ordinanza del 9 settembre 2021 (reg. ord. n.
186 del 2021),  la  Commissione  tributaria  provinciale  di  Taranto
dubita  della  legittimita'  costituzionale   dell'art.   15,   comma
2-sexies, primo periodo, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.
546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega
al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30  dicembre  1991,  n.
413) - come introdotto dall'art. 9, comma 1, lettera f),  numero  2),
del decreto legislativo 24 settembre 2015, n.  156,  recante  «Misure
per la revisione della disciplina degli interpelli e del  contenzioso
tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10,  comma  1,
lettere a) e b), della legge  11  marzo  2014,  n.  23»  -  il  quale
stabilisce, a proposito delle spese  del  processo  tributario,  che:
«[n]ella liquidazione delle  spese  a  favore  dell'ente  impositore,
dell'agente della riscossione e dei soggetti  iscritti  nell'albo  di
cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446,
se assistiti da propri funzionari, si applicano le  disposizioni  per
la  liquidazione  del  compenso  spettante  agli  avvocati,  con   la
riduzione del venti per cento dell'importo complessivo ivi previsto»; 
    che, ad avviso del giudice a quo, tale  disposizione  violerebbe,
anzitutto, l'art. 3 della Costituzione, per  un  triplice  ordine  di
motivi: sotto un primo profilo, perche' la liquidazione del  compenso
da essa prevista non sarebbe volta a ristorare un «reale aggravio  di
spesa» e si risolverebbe quindi in  un  irragionevole  arricchimento,
dal momento che l'attivita' difensiva  svolta  dai  funzionari  degli
«enti di  appartenenza»  rientrerebbe  «nell'adempimento  dei  propri
doveri d'ufficio o contrattuali»; sotto un secondo  profilo,  perche'
riserverebbe    al     processo     tributario     un     trattamento
ingiustificatamente diverso da quello stabilito, per il  giudizio  di
opposizione a  ordinanza-ingiunzione,  dall'art.  23,  quarto  comma,
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale),
il quale prevedrebbe che l'autorita' che ha emesso l'ordinanza  possa
stare in giudizio personalmente, ma non anche la liquidazione in  suo
favore delle spese di lite (eccetto la rifusione delle «spese vive»);
sotto un terzo profilo, perche', nell'ambito  dello  stesso  giudizio
tributario, disciplinerebbe la liquidazione delle spese  della  parte
resistente vittoriosa che sia stata assistita dai  propri  funzionari
in maniera irragionevolmente differente dall'ipotesi  del  ricorrente
vittorioso che sia stato in giudizio senza assistenza  tecnica  e  al
quale non spetterebbe il compenso professionale; 
    che risulterebbe, altresi', violato  l'art.  24  Cost.,  poiche',
riconoscendo invece quel compenso al resistente  vittorioso  che  sia
stato assistito dai propri funzionari, comporterebbe che le parti non
contenderebbero  ad  armi  pari,  cio'  che  si  tradurrebbe  in   un
«deterrente idoneo a condizionare il libero e  pieno  esercizio»  del
diritto di difesa della parte ricorrente stessa; 
    che il rimettente denuncia, infine, la violazione  dell'art.  33,
quinto comma,  Cost.,  giacche'  la  norma  sospettata  equiparerebbe
l'attivita' difensiva dei funzionari  e  degli  avvocati,  benche'  i
primi   non   abbiano   conseguito    l'abilitazione    all'esercizio
professionale; 
    che il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  intervenuto  in
giudizio per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, ha  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni, tra l'altro,  per  l'ipoteticita'
della rilevanza; 
    che l'eccezione e' fondata; 
    che il rimettente  riferisce  di  essere  investito  del  ricorso
avverso un avviso di accertamento proposto da  una  contribuente  che
riveste la qualita' di avvocato e che si e'  difesa  in  proprio  nei
confronti di un Comune che si e' costituito difendendosi  tramite  un
«funzionario interno»; 
    che il giudice a quo, posta tale premessa, afferma che,  ai  fini
della decisione, «nell'ipotesi alternativa in cui soccombente sia  la
ricorrente», le questioni sollevate «appa[iono] rilevant[i]»; 
    che, dunque, la CTP rimettente non solo  afferma  la  sussistenza
della rilevanza  in  via  meramente  eventuale,  ma  soprattutto,  in
maniera singolare, prospetta la soccombenza  della  parte  ricorrente
nel processo principale - che rappresenta il presupposto per  la  sua
condanna al pagamento delle spese del giudizio  in  favore  dell'ente
impositore e, quindi, perche' possa  trovare  applicazione  la  norma
sospettata  -  come  un'ipotesi  «alternativa»,  evidentemente   alla
vittoria della lite; 
    che, quindi, sotto tale  ultimo  aspetto,  a  rigore,  il  tenore
testuale dell'ordinanza di rimessione lascia presumere che  la  parte
ricorrente sia destinata a risultare vittoriosa nel processo  a  quo,
con la conseguente inapplicabilita' della norma censurata; 
    che, pertanto, la rilevanza delle questioni in esame risulta solo
ipotetica  e  virtuale,  cio'   che   ne   determina   la   manifesta
inammissibilita' (ex plurimis, ordinanze n. 46 e n. 34 del 2016); 
    che le considerazioni appena svolte sono assorbenti rispetto alle
ulteriori eccezioni preliminari sollevate dall'Avvocatura generale e,
in particolare, al rilievo per cui la CTP rimettente riferisce, da un
lato, che la contribuente nel processo principale riveste la qualita'
di avvocato e deduce poi, dall'altro, che la parte ricorrente che sia
stata in giudizio senza l'assistenza tecnica non  percepirebbe  alcun
compenso in  caso  di  vittoria  della  lite,  omettendo,  pero',  di
confrontarsi con il costante  orientamento  della  giurisprudenza  di
legittimita' secondo cui  la  circostanza  che,  come  nella  specie,
l'avvocato si sia avvalso della facolta' della difesa personale  «non
esclude che il giudice debba liquidare in suo favore» il compenso per
la prestazione svolta (Corte di  cassazione,  sezione  sesta  civile,
ordinanze 14 ottobre 2021, n. 28113, e 18  febbraio  2019,  n.  4698;
sezione seconda civile, sentenza 9 gennaio 2017, n. 189; nello stesso
senso, sezione terza civile, sentenza 18 settembre 2008, n. 23847); 
    che nel caso di specie non viene, quindi,  in  considerazione  la
diversa ipotesi in cui il contribuente, che  sia  stato  in  giudizio
senza l'assistenza tecnica e senza rivestire la qualita' di avvocato,
non percepisce alcun compenso in caso di vittoria della lite. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle Norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale, vigente ratione temporis. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  15,  comma  2-sexies,  primo
periodo,  del  decreto  legislativo  31   dicembre   1992,   n.   546
(Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
come introdotto dall'art. 9, comma 1,  lettera  f),  numero  2),  del
decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, recante «Misure per la
revisione  della  disciplina  degli  interpelli  e  del   contenzioso
tributario, in attuazione degli articoli 6, comma 6, e 10,  comma  1,
lettere a) e b), della legge 11 marzo 2014,  n.  23»,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 3, 24 e 33, quinto comma, della  Costituzione,
dalla Commissione tributaria provinciale di Taranto  con  l'ordinanza
indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 9 giugno 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                      Luca ANTONINI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 5 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA