N. 78 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 marzo 2022
Ordinanza del 24 marzo 2022 del Tribunale di sorveglianza di Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di V. B.. Misure di sicurezza - Liberta' vigilata - Condannato alla pena dell'ergastolo ammesso alla liberazione condizionale - Applicazione obbligatoria della misura della liberta' vigilata - Previsione della durata della liberta' vigilata in misura fissa e predeterminata - Mancata previsione della possibilita' del magistrato di sorveglianza di verificare l'adeguatezza della sua permanente esecuzione e, per l'effetto, di disporre la revoca anticipata. - Codice penale, artt. 177, secondo comma, e 230, primo comma, numero 2.(GU n.28 del 13-7-2022 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE Il Tribunale il giorno 15 febbraio 2022 in Firenze si e' riunito in Camera di consiglio nelle persone dei componenti: dott. Bortolato Marcello, Presidente; dott.ssa Marino Valeria, giudice; dott. Russo Francesco, esperto; dott.ssa Natali Karma, esperta; Per deliberare sulla domanda di: impugnazione contro provvedimento in materia di misura di sicurezza presentata da V. B., nato a ....... il ..... domiciliato in ..., condannato alla pena dell'ergastolo in relazione al provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale presso la Corte d'Appello di Reggio Calabria in data 17 dicembre 2009 che assorbe condanne per delitti di associazione ex art. 416-bis c.p., duplice omicidio di stampo mafioso e detenzione illegale di anni commessi nel ..... . Esaminati gli atti, viste le conclusioni formulate in udienza dal Procuratore generale nella persona del Sost. Proc. dott. Sergio Affrante e dal difensore, nei termini di cui al relativo verbale, a scioglimento della riserva assunta in udienza, ha emesso la seguente ordinanza. Con provvedimento del 29 ottobre 2020 il Tribunale di sorveglianza di Firenze disponeva nei confronti di Ventura Bruno l'applicazione della liberazione condizionale ex art. 176 codice penale in relazione alla pena dell'ergastolo che gli era stata inflitta con la sentenza emessa dalla Corte d'Assise di Reggio Calabria dell'8 giugno 1994 nella quale era stato riconosciuto colpevole di aver fatto parte di un'organizzazione criminale operante nella Provincia di Reggio Calabria, promossa e diretta da C. P., S. P. e R. D., e per i delitti di omicidio plurimo e detenzione illegale di armi ai danni di M. A. e M. A. in cui si inserisce anche l'omicidio F. , eseguiti per motivi di mafia e consumati il .... . Il provvedimento di concessione veniva emesso dal Tribunale di sorveglianza sul presupposto che lo svolgimento della carcerazione di V. fosse stato contrassegnato da effettiva partecipazione alle attivita' trattamentali, da particolare impegno negli studi universitari e dall'esistenza di un adeguato percorso di revisione critica - che lo aveva portato a riconoscere l'origine della propria condotta omicida nell'inesperienza, ignoranza ed impulsivita' della giovane eta' - oltre che dalla fruizione di diversi giorni di liberazione anticipata, dalla ammissione al beneficio dei permessi premio e della semiliberta'. Secondo il Tribunale, il giudizio favorevole si fondava sul riconoscimento del sicuro ravvedimento del soggetto, considerata l'irreprensibile condotta, l'ampia revisione critica, l'assenza di altri precedenti o pendenze e di problemi di tossicodipendenza, il conseguimento della laurea in Architettura, come motivazione al proprio riscatto personale e sociale, riconoscendo l'importanza dello studio nel suo processo di riabilitazione, il buon esito dei permessi premio, usufruiti per lungo tempo anche nei luoghi di origine e di commissione dei reati, la disponibilita' di una valida attivita' di lavoro, prorogabile nel tempo e svolta da sempre con notevole impegno, come anche l'attivita' di volontariato. Infine, la fruizione della semiliberta', eseguita senza rilievi di sorta. Nel provvedimento si faceva inoltre riferimento all'avvenuto adempimento delle obbligazioni civili ed alla indicazione delle circostanze dalle quali evincere l'impossibilita' di risarcire integralmente il danno. ll Tribunale pertanto, accolta l'istanza. di liberazione condizionale, disponeva la trasmissione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Firenze per gli adempimenti di cui agli arti. 190 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale ai fini dell'applicazione della liberta' vigilata, sicche' a partire dal 5 novembre 2020 l'interessato veniva sottoposto alla misura della liberta' vigilata che ha avuto inizio regolare con la prescrizione di una serie di obblighi che, a tutt'oggi, non risultano mai violati. La misura avra' termine il 5 novembre 2025, salva concessione della liberazione anticipata. Con richiesta depositata in atti la difesa dell'interessato presentava al Magistrato di sorveglianza istanza di revoca della misura di sicurezza della liberta' vigilata gia' deducendo una probabile incompatibilita' costituzionale della norma che determina in misura fissa la durata della misura senza possibilita' di una sua revoca anticipata. La richiesta veniva respinta con la seguente succinta motivazione: «ritenuta la piena legittimita' costituzionale della norma». Avverso tale rigetto la difesa proponeva quindi appello ex art. 680, comma 1 codice di procedura penale deducendo: che il condannato era sottoposto obbligatoriamente ai sensi degli articoli 230 comma 1, n. 2 e 177, comma 2, codice penale alla misura della liberta' vigilata per la durata di anni 5, quale conseguenza della concessione della liberazione condizionale in relazione alla condanna all'ergastolo; che la misura della liberta' vigilata per espressa previsione di legge costituisce misura di sicurezza e come tutte le misure di sicurezza e' sottoposta al principio di legalita' ex art. 25 cost. comma 3 che deve leggersi in accordo, e non in contrasto, con l'art. 202, comma 1 del codice penale che ne prevede l'applicazione solo per le persone «socialmente pericolose». Al riguardo, la Corte costituzionale ha stabilito che per tutte le misure di sicurezza vige nell'ordinamento la presunzione solo relativa di pericolosita' a seguito di un vaglio da effettuarsi sia nel momento di applicazione della misura sia nel momento della sua esecuzione, come si ricava dall'abrogazione della disposizione dell'art. 204 codice penale ad opera della legge n. 663/86; che di conseguenza, anche nel caso della misura di sicurezza della liberta' vigilata, che importa notevoli restrizioni a fondamentali diritti del condannato, s'impone un giudizio fondato sull'effettiva condizione di pericolosita' del soggetto e non su irragionevoli automatismi di legge. Tale interpretazione deriverebbe da una lettura costituzionalmente orientata delle norme di cui agli articoli 177, comma 2 e 230, comma 1, n. 2 c.p., in forza delle quali anche la liberta' vigilata che consegue alla concessione della liberazione condizionale dovrebbe essere fondata su di una valutazione «attuale» della pericolosita' tale da giustificare l'ulteriore restrizione della liberta' personale anche dopo l'avvenuta scarcerazione. In questa situazione (assenza di pericolosita'), l'esecuzione della misura dovrebbe essere evitata o quantomeno interrotta allorquando si dovesse riscontrare la cessazione della condizione di pericolosita'; che in caso di diversa interpretazione ci si troverebbe innanzi al paradosso per cui per l'ergastolano ed «ostativo» e' venuta meno la presunzione assoluta di pericolosita' dettata dalla mancata collaborazione (cfr. sentenza Corte cost. n. 253/2019 e ordinanza n. 97/2021) e permarrebbe viceversa una presunzione assoluta di pericolosita' che inerisce alla pena perpetua tanto da dar obbligatoriamente luogo ad una misura di sicurezza anche laddove il condannato, certamente ravveduto (essendo questo presupposto di merito della misura in esame), abbia ottenuto la piu' ampia misura extramuraria prevista per l'ergastolano; che un'interpretazione della norma in conformita' alla Costituzione, come sopra prospettata, comporterebbe la possibilita' di revoca della liberta' vigilata e non sarebbe inficiata dalle considerazioni espresse dalla Corte di cassazione con la sentenza Sez. I n. 343 del 28 gennaio 1991 (Rv. 18671 Negri) sulla natura della liberta' vigilata ex art 177 cit. (secondo cui «la liberta' vigilata ordinata in sede di liberazione condizionale si differenzia sotto l'aspetto funzionale dalla misura di sicurezza della liberta' vigilata in quanto non ha lo scopo di fronteggiare una pericolosita' sociale del condannato (anzi, in tanto e' ordinata in quanto sia stato accertato che questi non e' piu' socialmente pericoloso), ma quello di consentire un controllo dello stesso al fine di verificare se il giudizio di ravvedimento trovi corrispondenza nella realta' dei fatti»), dal momento che essa costituisce intanto ['unica pronuncia sul punto ed inoltre contiene una motivazione apodittica che non tiene conto del fatto che le leggi cambiano e la loro interpretazione evolve e che le loro potenzialita' sono aperte a implicazioni sempre nuove: «la legge un corpo vivente, essa preserva la sua identita' anche se la singola cellula e' soggetta ad un incessante processo di cambiamento, di decadenza e di rinnovamento» (Corte Cost. n. 135/2003 e n. 286/2016). Pertanto, avendo l'interessato raggiunto un grado di rieducazione tale da non giustificare piu' il mantenimento delle restrizioni impostegli dalla liberta' vigilata, chiedeva la revoca della misura in atto. In via subordinata, la difesa sottoponeva al Giudice la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 230, comma 2 e 177 comma 2, codice penale nella parte in cui impongono al Magistrato di sorveglianza l'applicazione della misura di sicurezza, nonostante il sicuro ravvedimento del soggetto, per la durata non derogabile di anni cinque, misura dalla quale deriva una limitazione della liberta' personale che non trova alcuna giustificazione alla stregua dell'assenza di pericolosita' in capo al soggetto ammesso alla liberazione condizionale. Tale assetto normativo sarebbe comunque in contrasto con gli articoli 3, 25 e 27 Cost. dovendosi riconoscere l'esigenza di un puntuale accertamento del requisito della pericolosita' a tutte le misu di sicurezza, ivi compresa quella in esame che, per le caratteristiche di essere una 'pena' a tutti gli effetti (dato il suo carattere indebitamente afflittivo), dovrebbe trovare rispondenza nei principi di proporzionalita' e di individualizzazione. Il difensore richiama in proposito la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di pene accessorie (sent. n. 222 del 2018) che ha stabilito: «se la regola e' rappresentata dalla discrezionalita' ogni fattispecie sanzionata con pena fissa e' per cio' solo indiziata di illegittimita'». Non mancano inoltre anche i richiami alla dottrina che a proposito del problema della fissita' della sanzione si e' espressa nel senso che automatismo ed indefettibilita' sono prospettive che danno vita ad un meccanismo ingiustificatamente rigido che non appare compatibile con il volto costituzionale della sanzione penate. Pertanto, anche nel caso dell'appellante, ammesso alla liberazione condizionale ma sottoposto alla misura di sicurezza fissata inderogabilmente per la durata di cinque anni, si prospettano gli stessi profili di illegittimita' costituzionale rassegnati nella pronuncia della Corte costituzionale n. 222 del 2018 sulle pene accessorie fisse. Secondo la difesa sarebbe dunque possibile in primo luogo procedere alla revoca della liberta' vigilata attraverso una lettura costituzionalmente orientata degli articoli 177 e 230 c.p., in ragione della piena equiparazione della liberta' vigilata de qua alle misure di sicurezza per le quali e' sempre previsto il potere/dovere del giudice di procedere all'accertamento o al riesame periodico della pericolosita'. Laddove non si decida di adottare tale interpretazione, il difensore denuncia l'illegittimita' costituzionale delle due norme per contrasto con gli articoli 3, 25, comma 3, 27 comma 3 della Costituzione dovendosi garantire anche al libero vigilato in questione la possibilita' di ottenere la revisione della misura (riesame della pericolosita' e/o revoca), proprio in funzione del comportamento tenuto e del sicuro ravvedimento gia' posto a base delle concessione della liberazione condizionale. Il Procuratore generale presente in udienza concludeva con parere contrario all'accoglimento dell'eccezione di costituzionalita', assumendo che l'applicazione della liberta' vigilata conseguente alla liberazione condizionale costituisce espressione di una ragionevole volonta' legislativa che trova rispondenza in altri istituti analoghi come la sospensione condizionale della pena o la riabilitazione della condanna, istituti nei quali sono previsti inderogabili scansioni temporali per ottenere gli effetti costitutivi e/o risolutivi sulla pena principale e sugli altri effetti penati. Allo stesso modo, la misura della liberta' vigilata, quale sanzione aggiuntivi, rientrerebbe nell'ambito delle scelte insindacabili del legislatore che, in considerazione della gravita' della pena applicata, impone limiti di accesso all'ammissione dei condannato alla liberazione condizionale sia attraverso la previsione di una quota di pena espiata di almeno ventisei anni, sia attraverso gli ulteriori vincoli alla liberta' derivanti appunto dalle prescrizioni di cui all'art. 228 e ss. c.p., solo all'esito dei quali la pena puo' rimanere estinta. Cosi esposti i punti salienti della questione prospettata in atti, va osservato preliminarmente che il provvedimento che si chiede di rivalutare e' stato impugnato ai sensi dell'art. 680 c.p.p., procedura questa che sebbene riguardi l'appello avverso i provvedimenti concernenti le misure di sicurezza, sotto il profilo processuale e tuttavia un procedimento con caratteri di «atipicita'», in quanto previsto per garantire una generale tutela ai provvedimenti limitativi delle liberta' personali, senza il necessario collegamento con i presupposti che contraddistinguono le misure di sicurezza (pericolosita' sociale in primo luogo). Pertanto, nessuna stretta connessione puo' essere rappresentata come ipotizzato invece dalla difesa - tra l'impugnativa del provvedimento in esame e la sua vincolante inclusione tra le misure di sicurezza. Cio' detto, prima di affrontare il tema della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione di' legittimita' costituzionale come sopra illustrata, occorre innanzitutto esaminare la possibilita' per il Giudice di revocare la misura della liberta' vigilata, sul presupposto dell'assenza di pericolosita' sociale di V. B., attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme in oggetto. In pratica, partendo dal presupposto che la liberta' vigilata conseguente alla liberazione condizionale debba considerarsi a tutti gli effetti una misura di sicurezza, in quanto come tale definita e disciplinata dalla legge, e che, come tutte le misure, sarebbe soggetta alla possibilita' per il giudice di verificare la permanenza o meno delle condizioni di pericolosita' sociale, che ne sorto il presupposto, onde disporne il mantenimento o la revoca, ogni interpretazione contraria dovrebbe ritenersi in evidente contrasto con l'intervenuta abrogazione della pericolosita' sociale «presunta» ex art. 204 codice penale ad opera dell'art. 31 della legge n. 663/1986. In proposito, osserva il Collegio che, a prescindere dalla natura che si voglia attribuire alla misura in esame, la dizione letterale contenuta nelle norme con cui si impone di ordinare la liberta' vigilata quando il condannato e' stato ammesso alla liberazione condizionale per tutto il tempo della paa residua da scontare, ovvero per cinque anni nel caso di condannato all'ergastolo, non consente in alcun modo al giudice di apprezzare come ben avviato o gia' definito il percorso di reinserimento sociale del soggetto e procedere conseguentemente alla revoca della liberta' vigilata prima della sua scadenza, se cio' appaia confacente alio scopo. Si tratta, nel caso di specie, di una precisa scelta del legislatore dell'epoca di perseguire «ex post» la risocializzazione del condannato ammesso alla liberazione condizionale, ancorche' compiutamente realizzata, mediante l'obbligatoria applicazione di una misura afflittiva in aggiunta, quale appunto la liberta' vigilata, avente una durata fissa e senza possibilita' di essere eliminata nel caso di emergenze concrete assolutamente favorevoli al soggetto. E cio' diversamente da quanto stabilito per il verificarsi di fatti negativi durante la sua esecuzione, come la commissione di un delitto o di una contravvenzione della stessa indole, oppure la trasgressione agli obblighi inerenti alla misura, in conseguenza dei quali viene viceversa disposta la revoca immediata della liberazione condizionale. Ne discende quindi che, in linea con quanto inequivocabilmente si ricava dalle disposizioni testuali in esame, nessuna interpretazione «adeguatrice» e' consentita, essendo sottratta all'ordinaria. discrezionalita' del giudice ogni possibile decisione sull'applicazione, nell'an e nel quantum, della misura della liberta' vigilata e sull'eventuale successiva revoca della stessa per sopravvenienze favorevoli. Si consideri inoltre che la liberta' vigilata che segue la liberazione condizionale sembrerebbe collegata ad un presupposto radicalmente antitetico alla pericolosita', costituito proprio da quel completo ravvedimento che fonda la meritevolezza del beneficio maggiore, tanto che sia la Corte costituzionale che la Corte di cassazione hanno attribuito a tale misura, pur riconoscendone l'indubbio carattere afflittivo, una funzione diversa dalle misure di sicurezza vere e proprie, e cioe' quella di sostegno e controllo dei comportamento dei condannato in liberta' «al fine di verificare se il giudizio sul ravvedimento trovi rispondenza nella realta' dei fatti' (Corte Cost. sentenza 9 novembre 1988, n. 282/1989 e Cassazione Sez. I n. 343 del 28 gennaio 1991). Esclusa una possibile interpretazione in linea con la Costituzione, che consenta al giudice di superare l'obbligatorieta' nell'an e la fissita' nel quantum, non resta che esaminare la compatibilita' di dette disposizioni con i precetti costituzionali in materia. Ai fini che interessano in questa sede e' sufficiente prendere atto che la liberta' vigilata di cui all'art. 230, comma 1, n. 2 c.p, prevista allo scopo di favorire la completa risocializzare del condannato che abbia ottenuto la liberazione condizionale, e' una sanzione a tutti gli effetti, che in ogni caso consegue alla commissione di un reato (quello che ha dato origine alla condanna oggetto di liberazione condizionale) e come tale comporta una significativa restrizione della liberta' personale. Sarebbe perfino superfluo in questa sede stabilire se la predetta liberta' vigilata vada configurata come sanzione penale (autonoma) o come misura di sicurezza, tanto piu' che da tempo la migliore dottrina ha ricondotto anche le misure di sicurezza al «genere» sanzione penale: qui e' sufficiente sottolineare che la limitazione del diritto di liberta' connessa alla liberta' vigilata di cui all'art. 230, n. 2, codice penale non puo' esser posta nel nulla se non al termine del periodo prefissato obbligatoriamente dalla legge ma, come tutte le sanzioni lato sensu «penali» (tanto piu' se non basate sul presupposto mutevole di una pericolosita' sociale da accertare di volta in volta come invece nelle altre misure di sicurezza), deve confrontarsi con il principio della proporzionalita', della finalita' rieducativa e dell'individualizzazione del trattamento sanzionatorio. In giurisprudenza si e' infatti ritenuto che «l'afflittivita' della liberta' vigilata ex art. 230, n. 2 c.p., minima oppur no, e' fuori discussione» (Corte cost. n. 282/1989 cit.). Ed e' proprio quest'ultima pronuncia della Corte delle leggi - nel dichiarare incostituzionale l'art. 177, comma 1 codice penale nella parte in cui, in caso di revoca della liberazione condizionale, non consente di determinare la pena detentiva residua tenendo conto del periodo trascorso in liberta' vigilata e delle conseguenti limitazioni della - liberta' subite dai condannato - a ribadire l'intrinseca afflittivita' della misura, la cui incidenza e' stata del tutto svalutata nel raffronto con la detenzione, («per quanto si tenti a volte, in dottrina, di ridurre al minimo tale incidenza, certo e' che l'istituto della liberta' vigilata, che accompagna necessariamente lo stato di liberta' condizionale, importa notevoli restrizioni a fondamentali diritti del condannato»; Corte costituzionale n. 282/1989 cit.). A quest'ultima linea interpretativa, nel senso che si tratta una misura che si risolve in una condizione restrittiva della liberta' personale, si rifa' anche la pronuncia della Corte di cassazione con cui e' stata riconosciuta la possibilita' di concedere la liberazione anticipata con riferimento «ai periodi trascorsi in liberazione condizionale al condannato all'ergastolo con sottoposizione alla liberta' vigilata» (cfr. Cassazione Sez. 29 novembre 2016, n. 13934 e Cassazione Sez. I, 7 aprile 2009, n. 17343). E si tratta nel caso di specie di un beneficio (quello ex art. 54 o.p.) che si pone in netta contraddittorieta' logica con le misure di sicurezza propriamente dette che infatti non possono essere «ridotte» nella loro durata se non in sede di riesame della pericolosita' o di revoca anticipata ma giammai per riconosciuta partecipazione all'opera di rieducazione. Procedendo quindi all'esame delle norme che regolano l'istituto della liberazione condizionale, da esse si ricava che l'applicazione della misura della liberta' vigilata compete al Magistrato di sorveglianza che la deve disporre «ex lege» in un ambito di predeterrninazione legislativa non solo riguardo all'an ma anche riguardo al quantum (anni cinque nel caso dell'ergastolo). In altre parole, al Magistrato di sorveglianza non e' consentita alcuna possibilita' di valutare la pregressa espiazione della pena, sia al momento di applicazione della misura che durante la sua esecuzione, ne' e' consentito attribuire la giusta importanza al processo di rieducazione del condannato (presumibilmente gia' compiutosi posto che a fondamento dell'ampia misura in oggetto vi e' il «sicuro ravvedimento» e cioe' proprio quell'emenda che, nell'ottica prettamente retributiva che permeava la normativa codicistica ante Costituzione, costituiva il fine ultimo o prevalente della pena) e cio' allo scopo di non subire l'ulteriore controllo sociale imposto dall'applicazione della liberta' vigilata. Detta misura del resto «non ha lo scopo di fronteggiare una pericolosita' sociale del condannato (anzi intanto e' ordinata in quanto sia stato accertato che questi non e' piu' socialmente pericoloso)» (Cass. cit.) e pertanto si pone legittimamente il dubbio di una sua compatibilita' sia con le esigenze di prevenzione speciale (insussistenti data l'assenza di pericolosita') sia con il finalismo rieducativo (posto che l'obiettivo della rieducazione e' gia' di per se' raggiunto in quanto insito in quel sicuro ravvedimento che sta a fondamento della liberazione condizionale). Anche le esigenze retributive non troverebbero del resto piu' alcuna giustificazione posto che la pena irrogata in sentenza, durante l'esecuzione della liberta' vigilata, e' gia' estinta con l'esaurimento del rapporto di esecuzione penale in corso, come si desume dall'espressione testuale di cui al comma 2 dell'art. 177 codice penale (la pena «rimane estinta»). Le formalita' di scarcerazione dell'ammesso alla liberazione condizionale sono identiche a quelle del definitivamente scarcerato: il gia' detenuto e' svincolato come dalla misura privativa della liberta' personale (detenzione) cosi da ogni sottoposizione alle autorita' carcerarie, anche se tale liberazione e' sottoposta all'eventualita' della revoca ex art. 177 codice penale e viene, nello stesso momento, sottoposto alla misura limitativa dalla liberta' vigilata assumendo un nuovo e diverso status (di vigilato in liberta') che implica la sottoposizione al controllo di altri organi statali. Non si puo' mancare di rilevare del resto che proprio l'applicazione della liberta' vigilata al condizionalmente liberato riveli come l'istituto della liberazione condizionale rimanga sospeso in un instabile equilibrio fra la prospettiva afflittivo repressiva e le ragioni special-preventive: alla liberazione fondata sul ravvedimento del condannato, infatti, segue l'applicazione di una misura di sicurezza vacata al controllo poliziesco ed altrimenti fondata sulla pericolosita' sociale. Giova ricordare in questa sede come invece sia ben noto che la liberazione condizionale impedisce che la finalita' special-preventiva della pena vada oltre il suo scopo: diviene, infatti, inutile la prosecuzione dell'esecuzione della pena detentiva quando il condannato si dimostri sicuramente ravveduto. Con la liberazione condizionale la funzione rieducativa della pena prevale, dunque, ai sensi - oggi - dell'art. 27, comma 3 Cost., sull'esigenza retribuzionistica di cui la sopravvivenza della liberta' vigilata e' ancora il simbolico retaggio. In questa cornice, l'eccezione di legittimita' costituzionale sollevata appare allora non manifestamente infondata in quanto pone in evidenza l'illegittimita' di un automatismo sanzionatorio (ispirato a prevalenti esigenze retribuzionistiche e/o specilapreventive) che permea sia il momento genetico della misura (an) sia la sua durata (quantum), con cio' precludendo all'organo decidente ogni tipo d'intervento pur nel caso di un definitivo superamento delle condizioni che ne dovrebbero rendere «necessaria» sia la previsione che la durata. Anche laddove la liberta' vigilata prevista in questi casi trovi la sua ragione d'essere soltanto nella finalita' di verificare in concreto, attraverso il congruo utilizzo degli spazi di liberta' concessi al liberato, se il giudizio sul ravvedimento trovi rispondenza 'nella realta' dei fatti (v. Corte costituzionale n. n. 282/1989), l'impossibilita' di abbreviarne il corso nel caso in cui tale verifica abbia fin da subito dato esiti positivi, si pone in contrasto con i principi costituzionali che impongono, per ogni misura afflittiva che consegua alla commissione di un reato, la proporzionalita' della sanzione e la sua concreta individualizzazione nonche' l'adeguatezza della stessa alle esigenze di rieducazione ed alle concrete prospettive di reinserimento sociale. Del resto e' ormai patrimonio acquisito nella stessa giurisprudenza della Corte costituzionale che la finalita' rieducativa prevalga su ogni altra finalita' nell'ipotesi in cui l'esame della personalita' del condannato ed il conseguente giudizio prognostico sulla sua futura vita nella societa' impongano, prima o durante l'esecuzione, di sospendere o ridurre, sia pur condizionatamente, l'esecuzione stessa. A ben vedere, la forte limitazione al potere del giudice nello stabilire limiti e durata della liberta' vigilata e' bensi' frutto di una coerente scelta di politica criminale che tuttavia e' risalente nel tempo (anni '30) ma oggi, alla prova di resistenza con il precetto costituzionale dell'art. 27, mostra tutta la sua irragionevolezza e, soprattutto, non e' compatibile con il diritto del soggetto a veder applicata una limitazione della propria liberta' quanto piu' adeguata alla sua condizione ed agli sviluppi del suo processo di reinserimento. In altre parole, tale eccessivo rigore trovava un suo fondamento in un'epoca in cui non esistevano ancora le norme dell'ordinamento penitenziario del 1975 che, in attuazione del finalismo rieducativo, hanno previsto il sistema articolato delle misure alternative alla detenzione e dei benefici, istituti questi non esistenti all'epoca dell'introduzione della disciplina degli arti 177 e 230 c.p. Ed invero, prima di questo momento, la liberazione condizionale - unica misura che consentiva (in particolare all'ergastolano) la riacquisizione degli spazi di liberta' - svolgeva una funzione fondamentale nel progetto di recupero sociale del soggetto (allora orientato quasi esclusivamente all'emenda del reo), in quanto costituiva l'unico strumento di attuazione del fine della pena seppur inserito, come noto, tra le cause di estinzione della pena stessa (arti. 171 e ss. c.p.). L'istituto, anche a seguito delle modifiche introdotte con la legge 25 novembre 1962, n. 1634, veniva rappresentato come misura estintiva della pena avente finalita' special-preventive in quanto impediva la prosecuzione della detenzione al condannato che avesse dimostrato di essersi completamente ravveduto, dovendosi in tal caso ritenere che la funzione della carcerazione ininterrottamente protrattasi avesse ormai raggiunto il suo scopo primario. In un simile assetto, e' ben comprensibile che in mancanza di una base normativa di rango superiore, come quella che ha ispirato le norme in materia di ordinamento penitenziario, il contenuto sostanziale del ravvedimento previsto dall'art. 176 c.p., non potendosi ricavare da un'osservazione dettagliata del soggetto (come invece prevista oggi dagli articoli 13 e segg. o.p.), trovasse risposte adeguate alle esigenze di certezza dell'avvenuto percorso di cambiamento solo attraverso un controllo 'successivo' del soggetto ammesso alla misura, fuori dell'istituto penitenziario, che rivelasse in modo sintomatico - anche dopo. la scarcerazione - la sua definitiva consapevolezza e certa adesione al rispetto dei valori fondamentali della vita sociale'. In tal modo la liberta' vigilata, applicata a chi mai era uscito dal carcere prima di allora, assurgeva ad indispensabile strumento di' verifica ex post della bonta' del giudizio di meritevolezza, fondato su un sicuro ravvedimento che un tempo veniva desunto quasi esclusivamente dalle condotte tenute all'interno del carcere ma che oggi puo' e deve essere desunto anche dai comportamenti in ambito extramurario. Con l'entrata in vigore delle disposizioni dell'ordinamento del 1975 e dei successivi sempre piu' ampi innesti, a venire in rilievo nel giudizio sul ravvedimento e' oggi soprattutto l'excursus trattamentale del condannato come si ricava dalla applicazione di plurimi istituti: il permesso premio ex art. 30-ter o.p., che e' concedibile allorquando il magistrato abbia accertato che e' stata tenuta condotta regolare e la persona non risulti di particolare pericolosita' sociale; la liberazione anticipata ex art. 54' o.p., che subordina la concessione del beneficio alla prova di partecipazione all'opera di rieducazione; l'ammissione al lavoro esterno, prevista dopo l'osservazione ex art. 13 o.p.; l'ammissione' al regime della semiliberta' ex art. 50 o.p., disposta in relazione ai progressi compiuti nel corso del trattamento, quando vi siano le condizioni per un graduale reinserimento del soggetto nella societa'. Tutte misure, si noti, applicabili anche all'ergastolano. Da ultimo degna di nota e' anche la disposizione dell'art. 52 o.p. che prevede, durante la fruizione delle licenze concesse a titolo di premio nell'ambito della semiliberta', che il condannato sia sottoposto al regime di liberta' vigilata, proprio quella misura che dovra' poi essere obbligatoriamente applicata in caso di concessione della liberazione condizionale. Tutte queste misure (inesistenti all'epoca della creazione codicistica della liberazione condizionale) sono finalizzate al raggiungimento di quegli obiettivi di risocializzazione oggi previsti come finalita' principale della pena e costituiscono un aspetto decisivo nel percorso trattamentale del detenuto che, proprio attraverso essi, si misura con gli - spazi - di liberta' via via guadagnati anche allo scopo della verifica, questa volta «ex ante», proprio di quel ravvedimento che potrebbe un domani portare, raggiunto il limite temporale previsto dalla legge, alla misura piu' ampia. Cio' tanto piu' vale per chi, sottoposto alla pena dell'ergastolo, non potra' mai ottenere le altre misure destinate ai condannati a pene «a termine» (detenzione domiciliare e affidamento in prova). E' del resto nozione di comune esperienza che la misura della liberazione condizionale sia proprio quella tipica cui e' orientato tutto il percorso dell'ergastolano, laddove per le pene temporanee soccorrono invece altre misure a quello non consentite (soprattutto l'affidamento in prova). Se questo e' vero, riguardo alla verifica del completo ravvedimento, si determina una situazione di irragionevolezza nel sistema quanto all'applicazione obbligatoria, nel se e nella durata, della liberta' vigilata conseguente alla liberazione condizionale, tanto piu', come nel caso a giudizio di questo Tribunale, di un condannato all'ergastolo che abbia gia' sperimentato, e per un tempo apprezzabile, sia i permessi premio (per oltre nove anni) sia la semiliberta' per tre anni (con la connessa libera' vigilata applicata ex lege durante la fruizione delle licenze trattamentali ex art. 52, comma 2 o.p.), istituti che hanno gia' permesso di apprezzarne sia la tenuta all'esterna, senza censure di sorta, sia la conferma di quel ravvedimento che poi e' stato posto a base della misura da ultimo concessa. In questa cornice viene da se' che sottrarre al giudice della rieducazione (Tribunale e Magistrato di sorveglianza) il potere di decidere se, nel caso concreto, applicare la liberta' vigilata anche a fronte dell'assenza di rischi di tenuta della misura ovvero il potere di fame venire meno gli effetti una volta raggiunta la completa verifica della bonta' della valutazione gia' effettuata al tempo della concessione della liberazione condizionale, appare in contrasto sia con il finalismo rieducativo che deve assistere ogni sanzione penale (art. 27 Cost.) sia con il principio di ragionevolezza che discende dal divieto di trattare allo stesso modo situazioni che invece presentano caratteristiche differenti (art. 3 Cost.). Orbene, prima ancora di esporre i profili concreti relativi alla rilevanza della questione di costituzionalita' di cui si discute, va detto anche che non sembrano accoglibili i rilievi del Procuratore generale, dal momento che gli istituti della sospensione condizionale della pena (art. 163 c.p.) e della riabilitazione (art. 178 c.p.), come situazioni analoghe alla liberazione condizionale, presentano in realta' caratteristiche molto differenti. Proprio riguardo a tali aspetti e' stato infatti affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza gia' sopra richiamata (n. 282/1989) «che e' ben vero che, come in sede di sospensione condizionale l'estinzione del reato e' condizionata dalla non commissione di un delitto ovvero di una contravvenzione della stessa indole e dall'adempimento degli obblighi imposti al condannato, cosi' l'estinzione ex art. 177, secondo cometa, c.p., e' condizionata al decorso del tempo indicato nello stesso articolo senza intervento di cause di revoca... ....ma la distinzione tra sospensione condizionale della pena e liberazione condizionale consiste nel fatto che la prima, anche se eventualmente subordinata, nella stessa sentenza di condanna, all'adempimento di obblighi da parte del condannato, non comporta, dal momento in cui viene ordinata fino a quello della revoca vincoli alla liberta' del condannato, mentre la seconda, la liberazione condizionale, dal momento dell 'ammissione del condannato alla medesima fino a quello della sua revoca ex art. 177 c.p., comporta l'adempimento, da parte del condannato di particolari prescrizioni imposte successivamente alla sentenza di condanna inerenti alla liberta' vigilata di cui all'art. 230 n. 2 c.p., limitative certamente della liberta' del condannato." Allo stesso modo, l'istituto della riabilitazione non prevede alcun vincolo afflittivo a carico del soggetto che abbia ottenuto il beneficio. Deve poi osservarsi che in questa sede non si discute della scelta del legislatore di prevedere una misura aggiuntiva alla liberazione condizionale, ma della sussistenza di un divieto assoluto all'esercizio del potere discrezionale del giudice in ordine alla sua applicazione e/o alla sua riduzione o revoca allorche' essa si dimostri, nel caso concreto, non piu' necessaria o non piu' adeguata alle esigenze di reinserimento sociale del liberato, a causa delle forti limitazioni della liberta' personale che essa comporta. Quanto poi all'ulteriore aspetto dei limiti di accesso imposti dal legislatore per la concessione della misura (ad es. i ventisei anni di pena espiata per il condannato all'ergastolo) tali da giustificare, proprio in relazione alla gravita' dei fatti a base della condanna, anche la successiva sottoposizione ad un regime restrittivo, si tratta ad avviso del Collegio di due aspetti che si pongono su piani tra loro diversi. Mentre il dedotto limite dei 26 anni deve essere rapportato alla gravita' del reato e di conseguenza per esso opera il principio di proporzionalita' che inerisce alla pena comminata dal giudice della condanna e potrebbe financo risultare adeguato alla finalita' di rieducazione (che prevede varie progressive tappe di graduale avvicinamento alla liberta'), per converso il problema della liberta' vigilata attiene al diverso rapporto giuridico inerente all'esecuzione della pena sulla scorta di un ormai raggiunto progresso risocializzante fondato sul 'sicuro ravvedimento' e che si pone in antitesi al rigore di un'ulteriore sanzione fissata in maniera determinata dalla legge, con irragionevole automatismo, per meri scopi di controllo sociale in ambito extramurario. In tema di rilevanza della questione nella vicenda all'esame di questo Tribunale, si osserva che ad esso viene richiesto di 'revocare' la misura della liberta' vi gilata, applicata a seguito della concessione della liberazione condizionale, ad un soggetto ormai pacificamente reintegrato nel consesso sociale, non gravato da altri procedimenti penali, che ha mantenuto sempre buona condotta, che ha tenuto una condotta irreprensibile durante questi due anni di liberta' vigilata, che non e' piu' contiguo alla criminalita' locale, che svolge regolare attivita' lavorativa, che e' stato ammesso durante la detenzione per diverso tempo ai permessi premio, senza mai incorrere in rilievi, e poi alla semiliberta' raggiungendo un grado di affidabilita' elevato anche sotto l'aspetto della convinta revisione critica delle scelte criminali della sua vita precedente, tosi da fondare il convincimento del Tribunale circa un serio e ragionevole giudizio prognostico di conformazione della futura condotta di vita ai valori dell'ordinamento sociale, tanto da essere ammesso - alla conclusione del suo ottimo percorso intra ed extramurario - alla liberazione condizionale. Tuttavia, in ragione delle tassative disposizioni di cui agli articoli 176 e 230 c.p., non suscettibili di interpretazione adeguatrice, nessun riesame circa la necessita' della permanenza della liberta' vigilata fino alla conclusione del periodo quinquennale (seppur con la riduzione operata dalla presumibile concessione di tutta la liberazione anticipata per il periodo) e' consentito a questo Tribunale in accoglimento del reclamo proposto, con la conseguenza che l'appello dovrebbe essere rigettato. E' del tutto evidente viceversa che, in caso di eventuale accoglimento della questione' di legittimita', la misura della liberta' vigilata potrebbe essere ridotta nella durata o revocata al pari di qualunque altra misura di sicurezza, ben prima della sua naturale scadenza fissata, a tutt'oggi, al 5 noVembre del 2025. In definitiva, ad avviso del Collegio appare dunque lecito dubitare della legittimita' costituzionale delle norme di cui all'art. 177, comma 1 codice penale e 230 comma 1 n. 2 c.p., per violazione degli articoli 3 e 27 Cost., nella parte in cui: 1) stabiliscono un automatismo ex lege circa l'applicazione della misura della liberta' vigilata al condannato alla pena dell'ergastolo ammesso alla misura della liberazione condizionale, applicata non gia' sulla base della situazione del singolo soggetto e sugli elementi concreti attinenti ad eventuali esigenze di difesa sociale, bensi' solo sulla scorta del dato meramente formale legato alla concessione della misura della liberazione condizionale; 2) stabiliscono la durata della liberta' vigilata per un tempo prefissato ex lege sottraendo al giudice la facolta' di una sua determinazione in concreto, pur con il limite minimo di durata previsto dall'art. 228, comma 5 c.p., in contrasto con i principi di individualizzazione e proporzionalita' della sanzione.' penale secondo cui ogni fattispecie sanzionata con pena fissa e' per cio' solo indiziata di illegittimita'; 3) non prevedono che durante l'esecuzione della misura sia consentito al giudice di verificare in concreto la permanente adeguatezza della restrizione della liberta' personale alle esigenze di pieno reinserimento sociale e di raggiunta conformazione ai valori sociali di convivenza, tanto da non consentirne la revoca anticipata. Innanzitutto, le norme suddette sono in contrasto con il principio costituzionale fissato nell'art. 27 Cost. posto che il «sacrificio» imposto dalla misura della liberta' vigilata potrebbe risultare non piu' necessario alla stregua dei progressi compiuti, dal liberato condizionalmente. Ma altresi' dette norme si, pongono in contrasto con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. in quanto non vi e' dubbio che siffatto automatismo finisce altresi' per accomunare situazioni soggettive differenti che, pur nel presupposto comune del sicuro ravvedimento, sono invece caratterizzate da percorsi rieducativi eterogenei. Se e' certamente vero che il legislatore puo' ben diversificare le condizioni di accesso alle misure alternative, e' difficile ritenere che una simile scelta possa spingersi tino al punto di sancire un obbligo per il giudice di disporre l'applicazione di una misura susseguente alla scarcerazione avente sicura natura afflittiva senza alc un presupposto che attenga alla permanenza di una pericolosita' residua. Tale rigidita' applicativa si pone pertanto non in sintonia con il principio dell'indiviclualitzione del trattamento ri educativo. In definitiva si tratta di un sistema di norme della cui conformita' a Costituzione si 'dubita, con specifico riferimento agli arti. 3 e 27 Cost., in quanto esse negano ogni spazio di discrezionalita' del giudice, prevedendo un automatismo sanzionatorio, nell'an e quaruum, irragionevole e discriminante e che prescinde dalle diverse condizioni di risocializznzione raggiunta dal singolo condannato, cosi determinando una situazione che la stessa Corte costituzionale ha in piu' occasioni dimostrato di non apprezzare. («Esigenza di mobilita' ed individualizzazione della pena» sono infatti richiamate nelle sentenze n. 67/1963, n. 104/1968, n. 50/1980, secondo cui ogni fattispecie con pena fissa, qualunque ne sia la specie, e' per cio' solo indiziata di illegittimita'; infine, anche per le pene accessorie sono stati riconosciuti tali principi con la sentenza n. 222 del 2018 e per le sanzioni amministrative accessorie con la sentenza n. 88 del 2019 e' stato altresi' censurato l'automatismo e valorizzata la valutazione individualizzante compiuta dal giudice). Le considerazioni sopra esposte riguardo alla natura di sanzione penale della liberta' vigilata, esimono il Collegio dall'affrontare la pronuncia di rigetto emessa dalla Corte costituzionale in data assai risalente (12 maggio 1977 n. 78), con la quale la stessa aveva dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 177, ultimo comma c.p., con riferimento agli arti. 3, 24, 25 e 27 Cost. prospettata nei termini di raffronto con le misure di sicurezza. Nel caso di specie i giudici della Corte avevano infatti seguito un'interpretazione della misura di cui all'art. 230 codice penale che valorizzava soprattutto la funzione di controllo sul soggetto vigilato per il suo cauto reinserimento sociale, e cosi' erano giunti alla conclusione di escludere gli accertamenti sulla pericolosita'. Per tutte le ragioni sopra esposte deve quindi essere dichiarata non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 della Costituzione, 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 177 comma 1 e 230 comma 1 n. 2 c.p., per violazione degli articoli 3 e 27 Cost., nella parte in cui: 1) stabiliscono l'obbligatoria applicazione della misura della liberta' vigilata al condannato alla pena dell'ergastolo ammesso alla liberazione condizionale; 2) stabiliscono la durata della liberta' vigilata in misura fissa e predeterminata; 3) non prevedono la possibilita' per il Magistrato di sorveglianza di verificare in concreto durante l'esecuzione della liberta' vigilata l'adeguatezza della sua permanente esecuzione alle esigenze di reinserimento sociale del liberato condizionalmente e non ne consentono, per l'effetto, la revoca anticipata. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Sospende il procedimento in corso sino all 'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza di trasmissione degli atti sia notificata alle parti in causa ed al pubblico ministero nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze, 15 febbraio 2022 Il Presidente: Bortolato Il Magistrato estensore: Marino ____ TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI FIRENZE IL TRIBUNALE Il giorno 24 marzo 2022 in Firenze si e' riunito in Camera di consiglio nelle persone dei componenti: dott. Bortolato Marcello, presidente; dott.ssa Marino Valeria, giudice; dott. Ruaro Massimo, esperto; dott.ssa Manfredi Rosa, esperta, per deliberare su: correzione errore materiale ai sensi dell'art. 130 del codice di procedura penale, relativa alla ordinanza n. 791/2022 emessa dal Tribunale di sorveglianza di Firenze in data 15 febbraio 2022 ai sensi degli articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti, legge 11 marzo 1953, n. 87, con riferimento all'impugnazione contro provvedimento in materia di misura di sicurezza presentata da V.B., nato a ... domiciliato in ..., condannato alla pena dell'ergastolo in relazione al provvedimento di cumulo emesso dalla Procura generale presso la Corte d'appello di Reggio ... in data ... che assorbe condanne per delitti di associazione ex art. 416-bis del codice penale, duplice omicidio di stampo mafioso e detenzione illegale di armi commessi nel ...; Esaminati gli atti, viste le conclusioni conformi formulate in udienza dal procuratore generale e dal difensore, nei termini di cui al verbale; Rilevato che la suddetta ordinanza e' inficiata da evidente errore materiale contenuto nella parte motiva (pag. 9) e nel dispositivo (pag. 10) quanto all'indicazione, quale norma censurata di illegittimita' costituzionale, dell'«art. 177 comma co. 1 c.p.», anziche' «art. 177, comma 2 c.p.», che deve essere conseguentemente rettificato; Rilevato pertanto che trattandosi di modificazione non essenziale dell'ordinanza la correzione puo' essere effettuata secondo la procedura di cui all'art. 130 del codice di procedura penale; P. Q. M. Visto l'art. 130 del codice di procedura penale. Dispone la correzione dell'ordinanza n. 719/2022 pronunciata dal Tribunale di sorveglianza in data 15 febbraio 2022 nei confronti di V.B. come segue: a pag. 9 ed a pag. 10 dell'ordinanza le parole «art. 177 comma co. 1 c.p.» sono sostituite dalle parole «art. 177 comma 2 c.p.». Manda alla cancelleria per le annotazioni sull'originale e per le comunicazioni di rito. Cosi' deciso in Firenze, camera di Consiglio del 24 marzo 2022 Il Presidente: Bortolato Il Magistrato est.: Marino