N. 198 SENTENZA 5 - 26 luglio 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Appalti pubblici  -  Procedure  di  affidamento  -  Garanzia  per  la
  partecipazione alla gara - Escussione della cauzione provvisoria da
  parte  della  stazione  appaltante   -   Nuova   disciplina,   piu'
  favorevole,  che  prevede  l'escussione  nei  soli  confronti   del
  concorrente aggiudicatario e non anche per  ogni  gara  in  cui  il
  concorrente, anche  se  non  aggiudicatario,  abbia  partecipato  -
  Applicazione della novella alle procedure di gara  i  cui  bandi  o
  avvisi siano stati pubblicati successivamente alla sua  entrata  in
  vigore - Denunciata violazione dei principi  di  eguaglianza  e  di
  retroattivita' della lex mitior in materia penale, applicabile,  in
  base al diritto convenzionale, anche alle  sanzioni  amministrative
  aventi natura punitiva - Non fondatezza delle questioni. 
- Decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, artt.  93,  comma  6,  e
  216, in combinato disposto. 
- Costituzione, artt.  3  e  117,  primo  comma;  Carta  dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea, art. 49, paragrafo 1; Convenzione
  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle   liberta'
  fondamentali, art. 7. 
(GU n.30 del 27-7-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Giuliano AMATO; 
Giudici :Silvana SCIARRA, Daria  de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco
  MODUGNO, Augusto  Antonio  BARBERA,  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni
  AMOROSO, Francesco VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo
  BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo
  PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  93,  comma
6, in combinato  disposto  con  l'art.  216,  comma  1,  del  decreto
legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (Codice  dei  contratti  pubblici),
promosso dal Consiglio di Stato,  sezione  quinta,  nel  procedimento
vertente  tra  il  Consorzio  Leonardo  Servizi  e  Lavori,  societa'
cooperativa  consortile  stabile,  in  proprio  e  quale   capogruppo
mandataria di un costituendo  raggruppamento  temporaneo  di  imprese
(RTI), e altri e Consip spa e altri,  con  ordinanza  del  26  aprile
2021, iscritta al n. 123 del registro  ordinanze  2021  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
speciale, dell'anno 2021. 
    Visti gli atti di costituzione del Consorzio Leonardo  Servizi  e
Lavori, societa' cooperativa consortile stabile, in proprio  e  quale
capogruppo mandataria di un costituendo RTI, di Ph Facility  srl,  in
proprio e quale mandante del medesimo raggruppamento costituendo,  di
C. P. L. societa' cooperativa e di  SOF  spa,  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio  dei  ministri,  della  Comat
spa, nella qualita' di mandataria del RTI,  della  Tepor  spa,  nella
qualita' di mandante del RTI e, quello, fuori termine,  della  Caitec
srl, nella qualita' di mandante del RTI; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2022 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi gli avvocati Eugenio Picozza e Maria Vittoria  Ferroni  per
il Consorzio Leonardo Servizi e Lavori, Ph Facility  srl,  C.  P.  L.
societa' cooperativa  e  SOF  spa  e  l'avvocato  dello  Stato  Marco
Stigliano Messuti per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 luglio 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 26 aprile 2021 (r.o. n. 123 del  2021),  il
Consiglio di Stato, sezione quinta, ha sollevato, in riferimento agli
artt. 3 e 117,  primo  comma,  della  Costituzione,  quest'ultimo  in
relazione  all'art.  49,  paragrafo  1,  della  Carta   dei   diritti
fondamentali dell'Unione europea (CDFUE), proclamata  a  Nizza  il  7
dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all'art.
7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali (CEDU), firmata a  Roma  il  4  novembre  1950,
ratificata e resa esecutiva con la  legge  4  agosto  1955,  n.  848,
questioni di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli
artt. 93, comma 6, e 216, comma 1, del decreto legislativo 18  aprile
2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici). 
    2.- Il giudice rimettente espone che, con bando pubblicato  sulla
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea n. S-58 del 22  marzo  2014  e
sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 33 del 21 marzo
2014, Consip spa (d'ora in avanti: Consip) ha indetto  una  procedura
aperta  di  gara,  articolata  in  diciotto  lotti  geografici,   per
l'affidamento,  con  il  criterio  dell'offerta  economicamente  piu'
vantaggiosa, dei servizi integrati, gestionali  ed  operativi,  negli
immobili in uso a qualsiasi titolo  alle  pubbliche  amministrazioni,
alle istituzioni universitarie pubbliche e agli enti  e  istituti  di
ricerca. 
    Il raggruppamento temporaneo di imprese facente capo al Consorzio
Leonardo Servizi e Lavori (d'ora in avanti:  Consorzio  Leonardo)  ha
presentato un'offerta per i lotti 1, 6, 7 e 10, collocandosi al primo
posto della graduatoria per il lotto 6. 
    Accertata una serie  di  irregolarita'  fiscali  a  carico  delle
societa' del raggruppamento Iprams srl e Comal Impianti srl  in  sede
di verifica del possesso dei requisiti, Consip  ha  adottato,  il  21
marzo 2019, un provvedimento di esclusione relativo a tutti lotti per
i quali il raggruppamento stesso aveva presentato offerta,  ai  sensi
degli artt. 49, comma 2, lettera c), e 38, comma 1, lettera  g),  del
decreto legislativo 12 aprile 2006,  n.  163  (Codice  dei  contratti
pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in  attuazione  delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE), applicabile ratione temporis. 
    Con il medesimo provvedimento, la stazione appaltante ha disposto
l'escussione della cauzione provvisoria per il solo lotto 6. 
    Il raggruppamento ha proposto due distinti  ricorsi  dinnanzi  al
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede  di  Roma,  uno
avverso  l'esclusione  e  l'escussione  della  cauzione   provvisoria
relative al lotto 6, definito con sentenza 23 luglio 2019,  n.  4219,
che lo ha rigettato; l'altro avverso l'esclusione relativa  ai  lotti
1, 7 e 10, definito con sentenza 25 ottobre 2019, n. 12329, anch'essa
di rigetto. 
    Con riferimento a questo secondo ricorso, dopo  il  passaggio  in
decisione della causa ma prima del deposito della sentenza, Consip ha
adottato il provvedimento di escussione della  cauzione  provvisoria,
contro il quale il Consorzio Leonardo e PH  Facility  srl  (d'ora  in
avanti: PH Facility) hanno proposto un  autonomo  ricorso,  deducendo
una pluralita' di censure. 
    I ricorrenti hanno lamentato, in primo luogo, la lesione del loro
affidamento  in  ordine  alla  mancata  escussione   della   cauzione
provvisoria,  avendo   la   stazione   appaltante   «illegittimamente
integrato, a distanza di sei mesi, il provvedimento di esclusione dai
lotti 1, 7 e 10». 
    E'  stata  poi  denunciata  la  violazione   dei   principi   del
contraddittorio, della parita' delle  armi  e  del  giusto  processo,
essendo  stato  adottato  il  provvedimento  di  escussione   gravato
solamente dopo il passaggio  in  decisione  del  ricorso  avverso  il
presupposto atto di  esclusione  dalla  gara,  cosi'  precludendo  ai
ricorrenti  di  presentare  motivi  aggiunti  e  costringendoli  alla
proposizione di un autonomo ricorso. 
    Inoltre, ad avviso dei ricorrenti medesimi,  «l'escussione  della
cauzione provvisoria non avrebbe potuto essere disposta nei confronti
del Rti [ricorrente] in relazione alla partecipazione ai lotti 1, 7 e
10», in quanto, ai sensi dell'art.  38,  comma  1,  lettera  g),  del
d.lgs. n. 163 del 2006 (d'ora in avanti: anche previgente codice  dei
contratti pubblici), «la carenza dei  requisiti  di  ordine  generale
comporterebbe  [...]  l'esclusione  dalla  gara,   ma   consentirebbe
l'escussione della cauzione solo nei confronti del concorrente  primo
graduato». 
    La parte ricorrente ha denunciato, poi, la  natura  sanzionatoria
dell'escussione della garanzia provvisoria, con  la  conseguenza  che
avrebbe  dovuto  applicarsi,  retroattivamente,  la  piu'  favorevole
disciplina dettata dall'art. 93, comma 6, del d.lgs. n. 50  del  2016
(d'ora  in  avanti:  anche  nuovo  o  vigente  codice  dei  contratti
pubblici), che ne ha limitato l'operativita' all'ipotesi  di  mancata
sottoscrizione  del  contratto  da  parte   dell'aggiudicatario.   In
difetto,  avrebbe  dovuto  sollevarsi   questione   di   legittimita'
costituzionale  «nei  termini  in   cui   detta   norma   consentisse
l'applicazione  di  previsioni  preesistenti  piu'   afflittive   nei
riguardi dei partecipanti alla gara». 
    Con  un'ultima  censura,  i  ricorrenti   hanno   lamentato   che
l'escussione  della  garanzia  provvisoria  avrebbe  contraddetto  il
precedente  provvedimento  di  esclusione  dalla  gara,  con  cui  la
stazione appaltante si era autovincolata ad  escuterla  solamente  in
relazione al lotto 6. 
    Con sentenza 28 aprile 2020, n.  4315,  il  TAR  ha  respinto  il
ricorso e, avverso questa  pronuncia,  il  Consorzio  Leonardo  e  PH
Facility  hanno  proposto  appello  davanti  all'odierno  rimettente,
deducendo  una  pluralita'  di  censure  tra  cui   il   difetto   di
giurisdizione del  giudice  amministrativo  e,  in  via  subordinata,
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 93, comma 6, del d.lgs.  n.
50 del 2016 per violazione degli artt. 3 e 117, primo  comma,  Cost.,
in relazione all'art. 7 CEDU. 
    3.- Il giudice rimettente osserva come l'art. 93,  comma  6,  del
vigente codice dei contratti pubblici  circoscriva  la  possibilita',
per la stazione appaltante,  di  escutere  la  garanzia  provvisoria,
«obbligatoriamente posta a corredo dell'offerta», nei soli  confronti
dell'aggiudicatario che, per fatto a lui imputabile, non  sottoscriva
il contratto. La disposizione,  tuttavia,  ai  sensi  dell'art.  216,
comma  1,  del  medesimo  codice,  e'  applicabile   solamente   alle
«procedure e ai contratti per i quali i bandi o  avvisi  [...]  siano
pubblicati successivamente alla data  della  sua  entrata  in  vigore
[...]», indipendentemente dal momento di adozione  del  provvedimento
di escussione della cauzione. 
    Nella specie, alla procedura di gara sono quindi applicabili  gli
artt. 48 e 75  del  d.lgs.  n.  163  del  2006,  che  disciplinavano,
rispettivamente, la verifica a campione dei  requisiti  di  capacita'
economico-finanziaria e tecnico-organizzativa e la prestazione  della
garanzia provvisoria. 
    In particolare, mentre il comma 6 dell'art.  75  stabiliva,  come
l'attuale  art.  93,  che  la  suddetta  garanzia  copre  la  mancata
sottoscrizione del contratto per fatto  dell'affidatario,  l'art.  48
prevedeva che, in ogni caso di  esito  negativo  della  verifica  dei
requisiti  speciali,  la  stazione  appaltante  procedesse  alla  sua
escussione. 
    Dopo aver escluso il raggruppamento  facente  capo  al  Consorzio
Leonardo dalla procedura  di  gara,  quindi,  Consip  ha  escusso  la
garanzia provvisoria per tutti i lotti per i quali il  raggruppamento
stesso aveva presentato  un'offerta,  ancorche'  con  riferimento  ai
lotti 1, 7 e 10 non  fosse  risultato  aggiudicatario,  «in  pacifica
applicazione dell'art. 48 d.lgs. n.163 del 2006, che non distingue  a
tal fine tra aggiudicatari e semplici  partecipanti  alla  gara  come
invece fa il sopravvenuto art. 93, comma  6  del  d.lgs.  n.  50  del
2016». 
    Da qui la rilevanza, nel  giudizio  a  quo,  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate. 
    4.- Con riferimento alla non manifesta infondatezza,  il  giudice
rimettente premette che, per pacifica giurisprudenza  amministrativa,
l'istituto dell'escussione della  garanzia  provvisoria  disciplinato
dal previgente codice dei  contratti  pubblici,  oltre  ad  avere  la
funzione  di  indennizzare  «la  stazione  appaltante  dall'eventuale
mancata sottoscrizione del  contratto  da  parte  dell'aggiudicatario
(funzione  indennitaria),  puo'  svolgere   altresi'   una   funzione
sanzionatoria verso altri possibili  inadempimenti  contrattuali  dei
concorrenti». 
    Tale istituto, infatti, «non puo' essere considerato  una  misura
meramente ripristinatoria  dello  status  quo  ante,  ne'  ha  natura
risarcitoria (o anche solo indennitaria), ne' mira semplicemente alla
prevenzione  di   nuove   irregolarita'   da   parte   dell'operatore
economico». Si tratterebbe, invece, di «una sanzione  amministrativa,
seppur non in senso proprio», dotata di  «elevata  carica  afflittiva
(nel caso di specie, all'incirca due milioni di euro), che in assenza
di una specifica finalita' indennitaria (propria della  sola  ipotesi
di mancata sottoscrizione del contratto da parte dell'aggiudicatario)
o risarcitoria, si spiega soltanto in chiave di punizione dell'autore
dell'illecito». 
    Ad  essa   pertanto   dovrebbe   applicarsi   il   principio   di
retroattivita'  della  lex  mitior  che,  secondo  la  piu'   recente
giurisprudenza costituzionale, si estende alle «sanzioni di carattere
amministrativo  che  abbiano  natura   "punitiva"»,   quale   sarebbe
l'escussione della garanzia provvisoria come  disciplinata  dall'art.
48 del previgente codice dei contratti pubblici. 
    Il Consiglio di Stato ricostruisce, quindi, la giurisprudenza  di
questa Corte in ordine al fondamento del principio di  retroattivita'
della lex mitior, ricordando come  esso  sia  stato  individuato  sia
nell'art. 3 Cost., sia nell'art. 117, primo comma, Cost. in relazione
all'art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte  di  Strasburgo,
nonche' «alle altre norme  del  diritto  internazionale  dei  diritti
umani vincolanti per l'Italia che enunciano il  medesimo  principio»,
tra cui l'art. 15, primo comma, del Patto internazionale relativo  ai
diritti civili e politici adottato a New York il  16  dicembre  1966,
ratificato e reso esecutivo con legge del 25 ottobre 1977, n. 881,  e
l'art. 49 CDFUE. 
    5.- Ad avviso del giudice a quo, l'art. 216, comma 1, del  d.lgs.
n. 50  del  2016,  impedendo  l'applicazione  della  piu'  favorevole
disciplina sanzionatoria dettata dall'art. 93, comma 6, del  medesimo
decreto - che limita «l'escussione della cauzione provvisoria solo  a
valle dell'aggiudicazione (definitiva) e, dunque, solo nei  confronti
dell'aggiudicatario» - si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 117
Cost. 
    6.- E' intervenuto nel giudizio di  legittimita'  costituzionale,
con atto depositato il 28 settembre 2021, il Presidente del Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate. 
    7.- Ad avviso della difesa dello Stato, l'istituto della garanzia
provvisoria non avrebbe finalita' repressiva o general preventiva, ma
assolverebbe la funzione «di conferma e rafforzamento della  serieta'
dell'impegno assunto con l'offerta», nonche'  quella  di  «preventiva
liquidazione del danno subito da un altrui comportamento contrario  a
correttezza, sia esso inadempimento contrattuale, o inadempimento  in
una fase  propedeutica  alla  stipula».  La  mancanza  dei  requisiti
dichiarati in sede di partecipazione alla gara, infatti, integrerebbe
«una lesione della  buona  fede  e  correttezza  che  deve  connotare
l'intera relazione tra stazione appaltante e offerente». 
    Come chiarito sia  dalla  giurisprudenza  costituzionale  sia  da
quella amministrativa, l'istituto della garanzia provvisoria sarebbe,
pertanto, assimilabile  piu'  alla  caparra  confirmatoria  che  alle
misure sanzionatorie, sia sotto il profilo dello scopo che  sotto  il
profilo della struttura. 
    La garanzia provvisoria, infatti, risponde ad uno scopo cautelare
e protettivo per la stazione appaltante, essendo la sua afflittivita'
un aspetto meramente accessorio, e consiste nella dazione  anticipata
di una somma di denaro,  cui  consegue  una  fase  di  controllo  del
rispetto delle obbligazioni  assunte,  e  non  nel  pagamento  di  un
importo imposto da un successivo atto autoritativo. Ad  essa  e'  poi
estranea qualsivoglia  «valutazione  circa  elementi  soggettivi  nel
comportamento». 
    Peraltro, «l'eventuale capacita' sanzionatoria della  misura  [in
esame] assume un ruolo puramente secondario e meramente accessorio». 
    8.- L'Avvocatura generale dello Stato ritiene, quindi, che, nella
specie, non  ricorrerebbero  i  presupposti  per  l'applicazione  del
principio di retroattivita' della lex mitior. 
    L'escussione della cauzione provvisoria prevista dall'art. 48 del
d.lgs. n. 163 del 2006, infatti, non  integrerebbe  una  sanzione  di
natura  penale  neanche  alla  luce  dei  criteri  individuati  dalla
giurisprudenza della Corte Edu. Sarebbe  priva  di  «qualsiasi  nomen
riconducibile  anche  solo  latamente  al  concetto   di   sanzione»,
perseguirebbe  un   obiettivo   di   «difesa   del   corretto   agire
dell'amministrazione, nonche' [di] svolgimento efficiente ed efficace
delle proprie attribuzioni, senza alcuna connessione con  la  "tutela
dell'ordine sociale" a cui sono tradizionalmente preposte le sanzioni
penali»,  non  avrebbe  necessariamente  «un'incidenza   patrimoniale
significativa, essendo pari al due per cento del prezzo base indicato
nel bando», ossia ad una percentuale minima di esso. 
    Inoltre, «la scelta legislativa  di  impedire  la  retroattivita'
della legge piu' favorevole» sarebbe ragionevole, in quanto volta  ad
assicurare «la certezza del diritto in ossequio al  principio  tempus
regit actum», evitando modifiche ex post dei bandi di  gara  e  delle
regole che  hanno  determinato  la  formulazione  delle  offerte  nel
rispetto  dei   principi   della   «par   condicio   competitorum   e
[dell']immutabilita' delle regole di gara». 
    9.- Con atto depositato il 22 settembre 2021, si sono  costituiti
il  Consorzio  Leonardo  e  PH  Facility,  appellanti  nel   giudizio
principale, chiedendo che le questioni siano dichiarate fondate. 
    Alla luce della giurisprudenza della Corte Edu e di questa Corte,
l'escussione della garanzia  provvisoria  integrerebbe  una  sanzione
amministrativa di natura punitiva, con la  conseguenza  che  ad  essa
sarebbe applicabile il principio di retroattivita' della  lex  mitior
e, quindi, la piu' favorevole disciplina dettata dall'art. 93,  comma
6, del d.lgs. n. 50 del 2016. 
    La mancata  previsione  della  retroattivita'  di  questa  norma,
pertanto, renderebbe il citato art. 93 costituzionalmente illegittimo
perche' in contrasto con gli artt.  3  e  117  Cost.,  in  relazione,
quest'ultimo, all'art. 7 CEDU e all'art. 49, paragrafo 1, CDFUE,  che
attribuiscono   fondamento   costituzionale   al   principio    della
retroattivita' in mitius. 
    Non sarebbero presenti, peraltro, «interessi di analogo  rilievo,
perche' la sanzione amministrativa in esame ha natura punitiva e  non
ripristinatoria o preventiva». 
    10.- In data 8 giugno  2022,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  ha  depositato  una  memoria,   in   cui   ha   ribadito   le
considerazioni gia' svolte nell'atto di costituzione in  ordine  alla
natura   non   sanzionatoria   dell'incameramento   della    garanzia
provvisoria. 
    La difesa dello Stato evidenzia, in particolare,  che  la  stessa
giurisprudenza amministrativa richiamata dal giudice rimettente si e'
sempre posta «in termini dubitativi sulla qualificazione della misura
come sanzione o come cauzione». 
    La  natura  non  sanzionatoria  dell'escussione  della   cauzione
provvisoria e la sua funzione di garanzia di fonte  legale  sarebbero
poi state confermate da recenti pronunce del Consiglio di Stato,  tra
cui la sentenza 26 aprile 2022, n. 7, dell'Adunanza plenaria. 
    Anche  la  giurisprudenza   costituzionale   sul   principio   di
retroattivita' della lex mitior richiamata  dalle  parti,  ad  avviso
dell'Avvocatura generale dello Stato, sarebbe priva  di  rilievo,  in
quanto relativa ad ipotesi di depenalizzazione di fattispecie penali,
di cui «la natura punitiva e' assolutamente indubbia». 
    Sarebbe   infine   inconferente   il   riferimento   al   diritto
eurounitario, in quanto, nell'attuare  le  direttive  in  materia  di
appalti pubblici, lo Stato conserverebbe una  certa  discrezionalita'
nel configurare i relativi istituti applicativi. 
    11.- In data 13 giugno 2022, Consorzio  Leonardo  e  PH  Facility
hanno   depositato   una   memoria,    contestando    le    deduzioni
dell'Avvocatura dello Stato e  insistendo  per  la  fondatezza  delle
questioni di legittimita' costituzionale. 
    La difesa delle parti - sottolineata la natura non paritaria  del
rapporto tra stazione appaltante e operatore  economico  partecipante
alla procedura  di  gara,  rivestendo  la  prima  una  «posizione  di
supremazia speciale  nei  confronti  del  cittadino»  -  ritiene  che
l'imposizione di una cauzione provvisoria a carico di  «soggetti  che
probabilmente sarebbero stati esclusi  dalla  gara  per  mancanza  di
qualche requisito e che comunque non avrebbero avuto chances concrete
di  aggiudicazione  della  stessa»  sia  una  «misura   sanzionatoria
assolutamente  sproporzionata  rispetto  all'obiettivo  gia'  coperto
dall'obbligo dell'aggiudicatario di prestare una cauzione  definitiva
per la corretta esecuzione dell'appalto». 
    Peraltro, l'istituto  della  garanzia  provvisoria  non  terrebbe
conto della circostanza che i costi della presentazione  dell'offerta
sono interamente a carico dell'impresa partecipante alla gara,  senza
alcuna possibilita' di rimborso da parte della stazione appaltante  e
che, in tempo di crisi economica, la perdita dei requisiti  e'  molto
frequente, soprattutto quando, come nel caso di specie, i tempi della
procedura si dilatano notevolmente. 
    L'art.  48  del  d.lgs.  n.   163   del   2006   sarebbe   dunque
costituzionalmente illegittimo «per mero formalismo» e violazione del
principio di  proporzionalita',  con  la  conseguenza  che  solamente
l'applicazione retroattiva della  piu'  favorevole  disciplina  della
garanzia provvisoria dettata dal nuovo codice dei contratti  pubblici
rimuoverebbe questo vulnus. 
    Ad avviso delle  parti,  inoltre,  la  cauzione  provvisoria  non
sarebbe assimilabile alla caparra  confirmatoria,  come  erroneamente
ritenuto dalla difesa statale, in quanto quest'istituto presuppone la
conclusione  di  un  contratto,  almeno  preliminare.  Invece,  nelle
procedure  di  gara,  l'operatore  economico  che  vi  partecipa   e'
titolare,  fino  al  momento  dell'aggiudicazione,  di  un  interesse
legittimo  pretensivo,  che  si  trova   «in   posizione   di   netta
subordinazione [...] all'interesse  pubblico  specifico,  puntuale  e
concreto», e non  di  un  diritto  soggettivo  alla  conclusione  del
contratto. 
    Alla cauzione provvisoria, peraltro,  questa  stessa  Corte,  con
l'ordinanza n. 211  del  2011,  avrebbe  attribuito  la  funzione  di
sanzionare la violazione del dovere di  diligenza.  Inoltre,  la  sua
escussione  comportava,  nella  vigenza  del  precedente  codice  dei
contratti pubblici, la segnalazione all'Autorita'  per  la  vigilanza
sui contratti pubblici di  lavori,  servizi  e  forniture  (d'ora  in
avanti: AVCP), oggi  Autorita'  nazionale  anticorruzione  (d'ora  in
avanti: ANAC), e l'applicazione, da parte di questa Autorita',  della
sanzione pecuniaria e della  sospensione  dalla  partecipazione  alle
gare. Si trattava, senza dubbio, di sanzioni afflittive,  a  conferma
che della medesima natura partecipava anche la garanzia provvisoria. 
    Una  volta  riconosciuta  funzione  sanzionatoria  all'escussione
della   garanzia   provvisoria,   seguirebbe   la   correttezza   del
ragionamento svolto dal giudice rimettente in ordine all'applicazione
retroattiva della piu' favorevole disciplina dettata dal d.lgs. n. 50
del 2016, dovendo eventuali deroghe essere considerate  tassative  ed
eccezionali. 
    In particolare, nella specie, l'esigenza di  equita'  prevarrebbe
su quella di certezza dei rapporti giuridici, soprattutto  alla  luce
della manifesta violazione del principio di proporzionalita' ad opera
della misura in questione. 
    In via subordinata alla dichiarazione  di  non  fondatezza  delle
questioni sollevate, la difesa delle  parti  deduce  l'illegittimita'
costituzionale degli artt. 48 e 75 del d.lgs. n. 163 del 2006,  nella
parte in cui prevedono l'escussione della  garanzia  provvisoria  «in
caso di perdita fino al compimento dell'aggiudicazione di determinati
requisiti», «per violazione degli artt.  56  ss.  TFUE  sulla  libera
prestazione di servizi, nonche' dei  principi  generali  del  diritto
europeo in materia di procedimenti sanzionatori;  e  della  direttiva
18/2004  applicabile  alla  fattispecie  ratione  temporis  nel   suo
complesso e in particolare in riferimento agli articoli 36, 45/48  al
considerando 43 e all'allegato VII  A»,  chiedendone  in  alternativa
l'autorimessione delle relative questioni da parte di questa Corte. 
    La  partecipazione  di  un'impresa  ad  una  procedura  di   gara
integrerebbe, infatti, un diritto  soggettivo  perfetto  direttamente
tutelato dal diritto europeo e  ogni  limitazione  al  suo  esercizio
sarebbe incompatibile con  la  direttiva  2004/18/CE  del  Parlamento
europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004, relativa al  coordinamento
delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici  di  lavori,
di forniture e di servizi,  che  peraltro  non  prevedeva  l'istituto
della cauzione o di altre sanzioni accessorie a garanzia del possesso
dei requisiti di partecipazione. 
    Inoltre, gli artt. 16 e 17 CDFUE tutelano la proprieta' privata e
il libero esercizio del  diritto  di  impresa,  prescrivendo  che  le
regole delle procedure  di  gara  siano  ragionevoli,  trasparenti  e
proporzionali. Nel caso di specie, invece, la cauzione  e'  stabilita
in una percentuale fissa del prezzo a base di asta e non ha carattere
progressivo,  non   tenendo   conto   di   alcun   indicatore   delle
potenzialita' economiche delle imprese concorrenti e finendo,  cosi',
per favorire quelle con maggior capitale. 
    In via ulteriormente subordinata, infine, la difesa  delle  parti
propone istanza di  rinvio  pregiudiziale  alla  Corte  di  giustizia
dell'Unione europea per accertare se «i principi e le regole generali
del diritto europeo sul mercato unico, la  concorrenza  e  la  libera
prestazione di servizi [...] e comunque la direttiva 18/2004 articoli
36, 45/48 considerando 43 e allegato 7 a» possano essere interpretati
«in modo da consentire al legislatore di uno Stato membro di  imporre
quale requisito di partecipazione alla gara  la  prestazione  di  una
cauzione  provvisoria  a  tutti  i  partecipanti»  e  di   prevederne
l'escussione «in caso di perdita di alcuni requisiti lungo  tutto  il
periodo di tempo intercorrente tra la presentazione della domanda  di
partecipazione  e  il   provvedimento   di   aggiudicazione»,   anche
nell'ipotesi di «estremo allungamento  dei  termini  di  espletamento
della gara per fatto e colpa non imputabile al partecipante stesso». 
    12.- Con atto depositato il 14 giugno 2022, Comat spa, Tepor  spa
e Caitec srl hanno spiegato intervento ad adiuvandum nel giudizio  di
costituzionalita'. 
    Le  societa'  hanno  partecipato,  in  forma  di   raggruppamento
temporaneo di imprese, ad una procedura di gara indetta da Consip per
l'affidamento del «servizio integrato energia e dei servizi  connessi
per le pubbliche amministrazioni», nell'ambito della quale sono state
escluse per difetto dei requisiti di partecipazione  con  conseguente
incameramento, da parte della  stazione  appaltante,  della  garanzia
provvisoria dalle stesse prestata, nonostante non  fossero  risultate
aggiudicatarie, ai sensi dell'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006. 
    Il Consiglio di Stato, con le sentenze non  definitive  29  marzo
2022, n. 2310, 25 marzo 2022, n. 2217, 29 marzo  2022,  n.  2367,  ha
sospeso ai sensi dell'art. 295  del  codice  di  procedura  civile  i
giudizi instaurati dalle societa' medesime avverso i provvedimenti di
escussione della cauzione provvisoria, in attesa della  decisione  di
questa Corte sulle odierne questioni di legittimita' costituzionale. 
    La stretta connessione  con  il  giudizio  a  quo  renderebbe  le
societa' titolari di un  «interesse  qualificato,  inerente  in  modo
diretto  e  immediato  al  rapporto  dedotto  in  giudizio»,  che  le
giustificherebbe ad intervenire nel giudizio di costituzionalita'. 
    Peraltro, avendo il Consiglio di Stato sospeso  i  giudizi  senza
sollevare, a sua volta,  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
l'intervento  delle  societa'  nel  presente  giudizio  costituirebbe
l'unico strumento per garantire il loro diritto di difesa. 
    Ad avviso delle intervenienti, le questioni sarebbero fondate per
le ragioni indicate  nell'ordinanza  di  rimessione,  avallate  dalla
sentenza n. 7 del 2022 dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato,
che  ha  condiviso   la   qualificazione   di   sanzione   "punitiva"
dell'escussione della  garanzia  provvisoria  nell'ipotesi  di  esito
negativo  del  controllo  a  campione  ai  sensi  dell'art.  48   del
previgente codice dei contratti pubblici. Ipotesi non confermata  dal
d.lgs.  n.  50  del  2016,  che  costituirebbe  pertanto   disciplina
sopravvenuta piu' favorevole. 
    Da qui, l'illegittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
degli artt. 93, comma 6,  e  216,  comma  1,  del  nuovo  codice  dei
contratti pubblici, nella parte in cui non consentono  l'applicazione
della  nuova  e  piu'  favorevole  disciplina  in  tema  di  garanzia
provvisoria alle procedure di gara bandite prima della sua entrata in
vigore. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Consiglio  di  Stato,  sezione  quinta,   dubita   della
legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo  in  relazione  all'art.  49,
paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(CDFUE),  proclamata  a  Nizza  il  7  dicembre  2000  e  adattata  a
Strasburgo il 12 dicembre 2007, e all'art. 7 della Convenzione per la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
(CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre  1950,  ratificata  e  resa
esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848, del combinato  disposto
degli artt. 93, comma 6, e 216, comma 1, del decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici),  nella  parte  in
cui limita l'applicazione della piu' favorevole  disciplina  da  esso
dettata  in  tema  di  garanzia  provvisoria  «alle  procedure  e  ai
contratti per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura
di scelta del contraente siano pubblicati successivamente  alla  data
della sua entrata in vigore». 
    Il giudice rimettente espone che il raggruppamento temporaneo  di
imprese facente capo al Consorzio Leonardo Servizi e Lavori (d'ora in
avanti: Consorzio Leonardo) ha partecipato  alla  procedura  di  gara
indetta, il 21 marzo 2014, da Consip spa per l'affidamento di servizi
integrati negli  immobili  in  uso  alle  pubbliche  amministrazioni,
presentando un'offerta per una pluralita' di lotti e collocandosi  al
primo posto della graduatoria solamente per uno di essi (il lotto 6). 
    Accertata una serie di irregolarita'  fiscali  a  carico  di  due
societa' del raggruppamento, la stazione  appaltante  lo  ha  escluso
dalla gara e ha disposto l'escussione della cauzione  provvisoria  in
relazione alle offerte da esso presentate anche per i lotti nei quali
non e' risultato aggiudicatario, ai sensi dell'art.  48  del  decreto
legislativo 12 aprile 2006, n. 163  (Codice  dei  contratti  pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle  direttive
2004/17/CE e 2004/18/CE), applicabile ratione temporis. 
    Questo provvedimento e' stato  impugnato  dinnanzi  al  Tribunale
amministrativo del Lazio che, con la  sentenza  28  aprile  2020,  n.
4315, ha rigettato il ricorso. 
    Avverso tale sentenza, il Consorzio Leonardo e  PH  Facility  srl
hanno proposto appello davanti all'odierno rimettente. 
    2.- Il Consiglio di Stato osserva come l'art. 93,  comma  6,  del
d.lgs. n. 50 del 2016 (d'ora in avanti: anche nuovo o vigente  codice
dei contratti pubblici) circoscriva la possibilita', per la  stazione
appaltante, di escutere la garanzia  provvisoria  nei  confronti  del
solo aggiudicatario che, per fatto a lui imputabile, non  sottoscriva
il contratto. La disposizione,  tuttavia,  ai  sensi  dell'art.  216,
comma  1,  del  medesimo  decreto,  e'  applicabile  solamente   alle
«procedure e ai contratti per i quali i bandi [...] siano  pubblicati
successivamente  alla  data  della  sua  entrata  in  vigore  [...]»,
indipendentemente  dal  momento  di  adozione  del  provvedimento  di
incameramento della cauzione. 
    Pertanto, nella specie -  essendo  stata  la  procedura  di  gara
bandita prima dell'entrata in vigore del nuovo codice  dei  contratti
pubblici - deve essere applicato il d.lgs. n. 163 del 2006 (d'ora  in
avanti  anche:  previgente  codice  dei  contratti  pubblici),   che,
all'art. 48, comma  1,  prevedeva  la  possibilita'  di  escutere  la
garanzia provvisoria nei confronti di  qualsiasi  concorrente,  anche
non aggiudicatario, il quale, all'esito del  cosiddetto  controllo  a
campione,  non  avesse  dimostrato  il  possesso  dei  requisiti   di
capacita' economico-finanziaria e tecnico-organizzativa dichiarati in
sede di offerta. 
    Da qui la rilevanza, nel  giudizio  a  quo,  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate. 
    3.- Con riferimento alla non manifesta infondatezza, il giudice a
quo  premette   che   l'istituto   dell'escussione   della   garanzia
provvisoria  disciplinato  dal  previgente   codice   dei   contratti
pubblici, oltre ad avere la funzione  «di  indennizzare  la  stazione
appaltante dall'eventuale mancata  sottoscrizione  del  contratto  da
parte dell'aggiudicatario [...], puo' svolgere altresi' una  funzione
sanzionatoria verso altri possibili  inadempimenti  contrattuali  dei
concorrenti». 
    Tale istituto, infatti, «non puo' essere considerato  una  misura
meramente ripristinatoria  dello  status  quo  ante,  ne'  ha  natura
risarcitoria [...], ne' mira semplicemente alla prevenzione di  nuove
irregolarita' da parte  dell'operatore  economico».  Si  tratterebbe,
invece,  di  «una  sanzione  amministrativa,  seppur  non  in   senso
proprio», dotata di «elevata carica afflittiva (nel caso  di  specie,
all'incirca due milioni di euro), che in  assenza  di  una  specifica
finalita'  indennitaria  (propria  della  sola  ipotesi  di   mancata
sottoscrizione  del  contratto  da   parte   dell'aggiudicatario)   o
risarcitoria, si spiega soltanto in chiave di  punizione  dell'autore
dell'illecito». 
    Alla  garanzia  provvisoria,  pertanto,  dovrebbe  applicarsi  il
principio di retroattivita' della lex mitior  che,  secondo  la  piu'
recente giurisprudenza costituzionale, si estende alle  «sanzioni  di
carattere  amministrativo  che  abbiano  natura  "punitiva"»,   quale
sarebbe  appunto  l'escussione  della   garanzia   provvisoria   come
disciplinata  dall'art.  48  del  previgente  codice  dei   contratti
pubblici. 
    Ad avviso del giudice a quo,  l'art.  216,  comma  1,  del  nuovo
codice, impedendo l'applicazione  della  piu'  favorevole  disciplina
sanzionatoria  dettata  dall'art.  93,   comma   6   -   che   limita
«l'escussione   della   garanzia    provvisoria    solo    a    valle
dell'aggiudicazione  (definitiva)  e,  dunque,  solo  nei   confronti
dell'aggiudicatario» - si porrebbe, pertanto, in  contrasto  con  gli
artt. 3 e 117 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 49 CDFUE  e
7 CEDU. 
    4.-  In  via  preliminare,  va  osservato  che  l'intervento   ad
adiuvandum spiegato nel giudizio di costituzionalita' da  Comat  spa,
Tepor spa e Caitec srl e' inammissibile. 
    L'atto di intervento, infatti, e' stato depositato il  14  giugno
2022, oltre il termine, previsto dall'art. 4, comma  4,  delle  Norme
integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale,  vigente
ratione temporis,  di  venti  giorni  dalla  pubblicazione  dell'atto
introduttivo del giudizio, che e' avvenuta nella  Gazzetta  Ufficiale
n. 36 dell'8 settembre 2021. 
    Secondo il costante orientamento  di  questa  Corte,  il  termine
previsto dal richiamato art. 4, comma 4, deve ritenersi perentorio  e
non ordinatorio, con la conseguenza che l'intervento avvenuto dopo la
sua scadenza e' inammissibile (ex plurimis, sentenze n. 106 del 2019,
n. 99 del 2018, n. 303 del 2010, n. 263 e n. 215 del 2009). 
    5.- In via ulteriormente preliminare, va rilevato  che  le  parti
costituite in giudizio, appellanti  nel  giudizio  principale,  hanno
dedotto, in via subordinata  alla  dichiarazione  di  non  fondatezza
delle   questioni   sollevate   con   l'ordinanza   di    rimessione,
l'illegittimita' costituzionale degli artt. 48 e 75 del d.lgs. n. 163
del 2006, nella parte in cui prevedono  l'escussione  della  garanzia
provvisoria   «in   caso    di    perdita    fino    al    compimento
dell'aggiudicazione di determinati requisiti», «per violazione  degli
artt. 56 ss. TFUE sulla libera prestazione di  servizi,  nonche'  dei
principi generale del diritto  europeo  in  materia  di  procedimenti
sanzionatori; e della direttiva 18/2004 applicabile alla  fattispecie
ratione temporis nel suo complesso e in  particolare  in  riferimento
agli articoli 36, 45/48 al considerando 43 e all'allegato VII A». 
    5.1.- Tali questioni non  possono  avere  ingresso  nel  presente
giudizio di costituzionalita', il cui oggetto,  secondo  la  costante
giurisprudenza di questa Corte, e' limitato alle norme e ai parametri
indicati  nelle  ordinanze  di  rimessione,  con   esclusione   della
possibilita' di ampliare il thema decidendum proposto dal rimettente,
fino a ricomprendervi questioni formulate dalle parti,  che  tuttavia
egli non abbia ritenuto di fare proprie  (ex  plurimis,  sentenze  n.
230, n. 203, n. 147 e n. 49 del 2021, n. 186 del  2020  e  n.  7  del
2019). 
    5.2.-  La  richiesta  di  autorimessione   delle   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 48 e 75 del d.lgs. n. 163 del
2006 non puo' essere accolta. 
    La  stessa  delimitazione   delle   questioni   di   legittimita'
costituzionale all'inapplicabilita' della piu' favorevole  disciplina
della garanzia provvisoria dettata dal  nuovo  codice  dei  contratti
pubblici alle procedure di gara bandite prima della  sua  entrata  in
vigore vale ad escludere che ricorrano i presupposti  perche'  questa
Corte proceda all'autorimessione sollecitata dalle parti. 
    Le  questioni  sollevate  dal  Consiglio  di  Stato,  come   gia'
rilevato,  non  attengono,  infatti,  all'istituto   della   garanzia
provvisoria e al suo incameramento nell'ipotesi di esito negativo del
controllo a campione ai sensi dell'art. 48  del  d.lgs.  n.  163  del
2006. Le censure del  rimettente  si  appuntano,  per  contro,  sulla
disciplina  transitoria  dettata  dal  nuovo  codice  dei   contratti
pubblici  (art.  216,  comma  1),  laddove   esclude   l'applicazione
retroattiva (ossia alle procedure di gara  bandite  prima  della  sua
entrata in vigore) della piu' favorevole disciplina dettata  in  tema
di garanzia provvisoria. 
    Tra i due gruppi di questioni non  e'  quindi  ravvisabile  «quel
nesso di necessaria  strumentalita'  o  di  pregiudizialita'  logica,
idoneo  a  giustificare  l'esercizio,  da  parte  di  questa   Corte,
dell'eccezionale  potere  di  autorimessione  dinanzi  a  se'   della
questione  di  legittimita'  costituzionale  di  una  norma   rimasta
estranea al fuoco delle censure del rimettente (sentenze n.  255  del
2014, n. 179 del 1976, n. 122 del 1976,  n.  195  del  1972,  nonche'
ordinanze n. 114 del 2014, n. 42 del 2001, n. 197 e n. 183 del  1996,
n. 297 e n. 225 del 1995, n. 294 del 1993, n. 378 del  1992,  n.  230
del 1975 e n. 100 del 1970)» (sentenza n. 49 del 2021). 
    5.3.- Dall'estraneita' al thema  decidendum  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 48 e 75 del d.lgs. n. 163 del
2006  per  incompatibilita'  con  il  diritto  dell'Unione   europea,
prospettate dalle parti, deriva l'estraneita'  ad  esso  anche  della
questione interpretativa che  le  medesime  parti  chiedono,  in  via
subordinata, di sottoporre con istanza di rinvio  pregiudiziale  alla
Corte di giustizia dell'Unione europea (in tal senso, sentenze n. 230
e n. 49 del 2021). 
    6.- Nel merito, le questioni non  sono  fondate  in  relazione  a
tutti  i  parametri  evocati  dal  rimettente,  che  possono   essere
scrutinati congiuntamente, posto che il principio  di  retroattivita'
della lex mitior in materia penale trova fondamento  nell'ordinamento
costituzionale, sia direttamente, sia per effetto  dell'azione  degli
artt. 49 CDFUE e 7 CEDU, in forza degli artt. 11 e 117, primo  comma,
Cost. 
    7.- Per il primo profilo, secondo la costante  giurisprudenza  di
questa Corte (sentenze n. 238 del 2020, n. 63 del 2019,  n.  236  del
2011,  n.  215  del  2008  e  n.  393  del  2006),  il  principio  di
retroattivita'  della  lex  mitior   in   materia   penale   non   e'
riconducibile alla sfera  di  tutela  dell'art.  25,  secondo  comma,
Cost., secondo cui «[n]essuno puo' essere punito se non in  forza  di
una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso». 
    Il principio sancito da questa disposizione costituzionale  «deve
essere interpretato nel senso di vietare  l'applicazione  retroattiva
delle sole leggi penali che stabiliscano nuove incriminazioni, ovvero
che aggravino il  trattamento  sanzionatorio  gia'  previsto  per  un
reato, non ostando cosi' a una possibile applicazione retroattiva  di
leggi che, all'opposto, aboliscano precedenti  incriminazioni  ovvero
attenuino il trattamento sanzionatorio gia' previsto  per  un  reato»
(sentenza n. 63 del 2019). 
    Come ha chiarito questa Corte, la ratio immediata di detta  norma
e'  -  in  parte  qua  -  quella   di   tutelare   la   liberta'   di
autodeterminazione individuale, garantendo al singolo di  non  essere
sorpreso  dall'inflizione  di  una  sanzione  penale  per   lui   non
prevedibile al  momento  della  commissione  del  fatto.  Una  simile
garanzia non e' posta in discussione dall'applicazione di  una  norma
penale, pur piu' gravosa di quelle entrate in vigore successivamente,
che era comunque in vigore al momento del fatto: e cio' «per  l'ovvia
ragione che, nel caso considerato, la  lex  mitior  sopravviene  alla
commissione  del  fatto,  al  quale  l'autore  si   era   liberamente
autodeterminato sulla base del pregresso (e per lui meno  favorevole)
panorama normativo» (sentenza n. 394 del 2006)» (sentenze n. 238  del
2020 e n. 63 del 2019). 
    Tuttavia, il principio di retroattivita' in mitius,  sancito  nel
codice penale dall'art. 2, commi secondo, terzo e quarto, ha comunque
un fondamento costituzionale, «riconducibile allo spettro  di  tutela
del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost.» (sentenza n. 63
del 2019),  che  impone,  in  linea  di  massima,  di  equiparare  il
trattamento sanzionatorio dei medesimi  fatti,  a  prescindere  dalla
circostanza che essi siano stati commessi prima o dopo  l'entrata  in
vigore della norma che ha disposto l'abolitio criminis o la  modifica
mitigatrice (sentenze n. 238 del 2020 e n. 63 del 2019; in precedenza
sentenza n. 394 del 2006). Cio' in quanto, in  via  generale,  «[n]on
sarebbe ragionevole punire (o continuare a  punire  piu'  gravemente)
una persona per un fatto che, secondo la legge  posteriore,  chiunque
altro puo' impunemente commettere (o per il  quale  e'  prevista  una
pena piu' lieve)» (sentenza n. 236 del 2011). 
    7.1.- Per il secondo  aspetto,  il  principio  di  retroattivita'
della lex mitior ha un fondamento di origine sovranazionale -  avente
ingresso nel nostro ordinamento attraverso l'art. 117,  primo  comma,
Cost. - che e' riconducibile sia all'art.  49,  paragrafo  1,  CDFUE,
quest'ultimo  rilevante  anche  ai  sensi  dell'art.  11  Cost.,  sia
all'art. 7 CEDU, nella lettura offertane dalla  giurisprudenza  della
Corte europea dei diritti dell'uomo (oltre alla sentenza 17 settembre
2009, grande camera, Scoppola contro Italia,  anche  le  sentenze  27
aprile 2010, Morabito contro Italia,  24  gennaio  2012,  Mihai  Toma
contro Romania, 12 gennaio 2016, Gouarre' Patte  contro  Andorra,  12
luglio 2016, Ruban contro Ucraina),  nonche'  alle  altre  norme  del
diritto internazionale dei diritti umani vincolanti per l'Italia  che
enunciano il medesimo principio, tra cui  l'art.  15,  comma  1,  del
Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici  (sentenze
n. 238 del 2020, n. 63 del 2019 e n. 236 del 2011). 
    Peraltro, gia' la sentenza n. 393 del 2006 aveva richiamato  «gli
obblighi internazionali derivanti dall'art. 15, comma  1,  del  Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici e dall'art.  49,
paragrafo 1,  CDFUE,  considerati  in  quell'occasione  come  criteri
interpretativi [...] delle stesse garanzie costituzionali»  (sentenza
n. 63 del 2019). 
    E, sulla sostanziale corrispondenza di contenuto tra i  parametri
citati, questa Corte ha da ultimo chiarito che la ratio del principio
in oggetto e' pur sempre  «identificabile  in  sostanza  nel  diritto
dell'autore del reato a essere giudicato, e se del  caso  punito,  in
base all'apprezzamento attuale dell'ordinamento relativo al disvalore
del fatto da  lui  realizzato,  anziche'  in  base  all'apprezzamento
sotteso alla legge  in  vigore  al  momento  della  sua  commissione»
(sentenza n. 63 del 2019). 
    Non   e'   da   trascurare,   d'altro    canto,    che,    mentre
l'irretroattivita' in peius della legge penale costituisce un  valore
assoluto e inderogabile, la regola  della  retroattivita'  in  mitius
della legge penale medesima e' suscettibile di limitazioni e  deroghe
legittime sul piano costituzionale, «purche' giustificabili al  metro
di quel "vaglio positivo di ragionevolezza" [...], in relazione  alla
necessita' di tutelare interessi di rango  costituzionale  prevalenti
rispetto all'interesse individuale in  gioco»  (sentenza  n.  63  del
2019; nello stesso senso, sentenza n. 236 del 2011). 
    7.2.- Qualora poi si verta in ambiti in cui trova applicazione il
diritto dell'Unione europea - come nel caso di specie, in  quanto  la
normativa in materia di contratti pubblici dettata dal d.lgs. n.  163
del 2006 era attuazione  delle  direttive  2004/17/CE  e  2004/18/CE,
mentre quella dettata dal d.lgs. n. 50 del 2016  attua  le  direttive
2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/15/UE, che hanno abrogato le precedenti
- opera, come si e' detto, anche la  garanzia  di  cui  all'art.  49,
paragrafo 1, CDFUE, che il giudice a quo ha evocato  quale  parametro
interposto insieme all'art. 7 CEDU. 
    Come  messo  in  rilievo  dalla  giurisprudenza  della  Corte  di
giustizia, infatti, «il principio dell'applicazione retroattiva della
pena piu' mite - che rientra nelle tradizioni  costituzionali  comuni
agli Stati membri e  fa  parte  dei  principi  generali  del  diritto
dell'Unione di cui la Corte garantisce il rispetto  (sentenze  del  3
maggio 2005, Berlusconi e a., C-387/02, C-391/02  e  C-403/02,  Racc.
pag. I-3565, punti 67 e 68;  dell'11  marzo  2008,  Jager,  C-420/06,
Racc. pag. I-1315, punto 59, nonche' del 28 aprile  2011,  El  Dridi,
C-61/11 PPU, Racc. pag. I-3015,  punto  61)  -  e'  menzionato  anche
all'articolo 49, paragrafo 1, terza frase, della Carta» (sentenza  14
febbraio 2012, Toshiba Corporation e altri, in causa C-17/10). 
    Pertanto, il giudice a quo ben puo' investire questa Corte  della
questione di legittimita' costituzionale  di  una  normativa  che  si
assuma in contrasto, per analoghi profili, con una  garanzia  offerta
al diritto fondamentale  sia  dalla  Costituzione,  sia  dal  diritto
dell'Unione. 
    Sulla scorta della  costante  giurisprudenza  costituzionale  (ex
multis, sentenze n. 13 del 2022, n. 20 e n. 63 del 2019, n.  269  del
2017 e, da ultimo, sentenza n.  149  del  2022),  infatti,  non  puo'
ritenersi  precluso  a  questa  Corte,  eventualmente  previo  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia UE, «l'esame nel  merito  delle
questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  con  riferimento
sia a parametri interni, anche  mediati  dalla  normativa  interposta
convenzionale, sia - per il tramite  degli  artt.  11  e  117,  primo
comma, Cost. - alle norme corrispondenti della  Carta  che  tutelano,
nella sostanza, i medesimi diritti; e cio' fermo restando  il  potere
del giudice comune di procedere egli stesso al  rinvio  pregiudiziale
alla Corte di giustizia UE, anche dopo  il  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale, e - ricorrendone i presupposti - di  non
applicare, nella fattispecie concreta sottoposta  al  suo  esame,  la
disposizione nazionale in  contrasto  con  i  diritti  sanciti  dalla
Carta» (sentenza n. 63 del 2019, proprio con riferimento alla diretta
applicabilita' del  principio  di  retroattivita'  della  lex  mitior
sancito dall'art. 49, paragrafo 1, CDFUE). 
    7.3.- Parimenti pertinente e', in linea astratta, l'art. 7  CEDU,
il cui significato converge con quello tratto  dalla  Costituzione  e
dall'art. 49 CDFUE nel delineare un assetto di tutela omogeneo. 
    Dopo una prima affermazione di principio contenuta nella sentenza
n. 193 del 2016, questa Corte, con la pronuncia n. 63  del  2019,  ha
infatti espressamente affermato l'applicabilita' della  regola  della
retroattivita'  in  mitius  anche   alle   sanzioni   amministrative,
richiamandosi alla giurisprudenza della Corte Edu. 
    Si e' chiarito che, «rispetto a singole  sanzioni  amministrative
che abbiano natura e finalita' "punitiva", il complesso dei  principi
enucleati dalla  Corte  di  Strasburgo  a  proposito  della  "materia
penale" - ivi compreso, dunque, il principio di retroattivita'  della
lex mitior [...] - non potra' che estendersi anche a  tali  sanzioni»
(sentenza n. 63 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 68 del 2021
e n. 193 del 2016). 
    Questa Corte ha poi osservato, quanto al rapporto tra le fonti di
diritto europeo e la Costituzione, che «[l]'estensione del  principio
di  retroattivita'  della  lex  mitior   in   materia   di   sanzioni
amministrative  aventi  natura  e  funzione  "punitiva"  e'  conforme
[anche]  alla  logica  sottesa  alla  giurisprudenza   costituzionale
sviluppatasi, sulla base dell'art. 3 Cost., in ordine  alle  sanzioni
propriamente penali. Laddove,  infatti,  la  sanzione  amministrativa
abbia  natura  "punitiva",  di  regola  non  vi  sara'  ragione   per
continuare ad applicare  nei  confronti  [dell'autore  dell'illecito]
tale sanzione, qualora il fatto sia successivamente  considerato  non
piu' illecito;  ne'  per  continuare  ad  applicarla  in  una  misura
considerata  ormai  eccessiva  (e  per  cio'  stesso  sproporzionata)
rispetto al mutato  apprezzamento  della  gravita'  dell'illecito  da
parte dell'ordinamento. E cio' salvo che sussistano  ragioni  cogenti
di tutela  di  contro-interessi  di  rango  costituzionale,  tali  da
resistere al medesimo "vaglio positivo  di  ragionevolezza",  al  cui
metro debbono  essere  in  linea  generale  valutate  le  deroghe  al
principio di retroattivita' in mitius nella materia penale» (sentenza
n. 63 del 2019; nello stesso senso, sentenza n. 68 del 2021). 
    8.-  Tanto  premesso,  l'esame   delle   odierne   questioni   di
legittimita' costituzionale impone di verificare la  correttezza  del
presupposto interpretativo da cui muove  l'ordinanza  di  rimessione,
secondo cui l'escussione della garanzia provvisoria, nell'ipotesi  di
esito negativo del controllo a campione sul  possesso  dei  requisiti
speciali a carico dei partecipanti alla  procedura  di  gara  diversi
dall'aggiudicatario (art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163  del  2006),
ha natura di sanzione "punitiva" agli effetti  della  CDFUE  e  della
CEDU e, quindi, soggiace alle garanzie dalle stesse previste, tra cui
il principio di retroattivita' della lex mitior. 
    8.1.- Questa Corte ritiene opportuno  ricostruire  brevemente  il
quadro normativo di riferimento. 
    Nella vigenza del d.lgs. n. 163 del 2006,  l'art.  75,  comma  1,
disponeva che l'offerta presentata dall'operatore  economico  in  una
procedura  di  affidamento  di  contratti  pubblici  dovesse   essere
corredata da una garanzia (cosiddetta provvisoria), pari al  due  per
cento del prezzo base indicato nel bando o nell'invito,  sotto  forma
di "cauzione" o di "fideiussione", a scelta dell'offerente. 
    L'escussione della garanzia provvisoria ad opera  della  stazione
appaltante poteva avvenire in due differenti ipotesi. 
    La prima era prevista dall'art.  48  del  previgente  codice  dei
contratti pubblici, che dettava una  specifica  disciplina  dell'iter
che  le  stazioni  appaltanti  dovevano  seguire  per  verificare  il
possesso  dei  requisiti   di   capacita'   economico-finanziaria   e
tecnico-organizzativa (i cosiddetti  requisiti  speciali)  dichiarati
dai concorrenti in sede di gara, delineando l'istituto del  controllo
a campione. 
    Ai sensi dell'art. 48, comma 1, infatti, le stazioni  appaltanti,
prima di procedere all'apertura delle buste delle offerte presentate,
dovevano richiedere, ad un numero di offerenti non inferiore al dieci
per cento scelti  con  sorteggio  pubblico  di  dimostrare,  entro  i
successivi dieci giorni, il possesso dei requisiti speciali richiesti
nel bando di gara, mediante apposita  documentazione  (il  cosiddetto
controllo a campione, appunto). 
    Entro dieci giorni dalla conclusione delle  operazioni  di  gara,
analoga  richiesta  veniva  inoltrata,  ai  sensi  del  comma  2  del
menzionato  art.  48,  nei  confronti   dell'aggiudicatario   e   del
concorrente che seguiva in graduatoria, che non fossero compresi  fra
i concorrenti sorteggiati. 
    Qualora  la  prova  non  fosse  fornita  o  non  confermasse   le
dichiarazioni   contenute   nella   domanda   di   partecipazione   o
nell'offerta, le stazioni appaltanti procedevano  all'esclusione  del
concorrente  dalla  gara,  all'escussione  della  relativa   cauzione
provvisoria e  alla  segnalazione  del  fatto  all'Autorita'  per  la
vigilanza sui contratti  pubblici  di  lavori,  servizi  e  forniture
(d'ora  in  avanti:  AVCP),  le  cui  funzioni  sono  oggi  assegnate
all'Autorita' nazionale anticorruzione (d'ora in avanti: ANAC) per  i
provvedimenti previsti dall'art. 6, comma 11. 
    «[L]'incameramento della cauzione provvisoria [era] previsto  dal
citato  art.  48,  comma  1,   quale   automatica   conseguenza   del
provvedimento di esclusione» (ordinanza n. 211 del 2011), determinato
dalla mancata dimostrazione del possesso dei  requisiti  speciali  di
partecipazione in capo al concorrente, anche non aggiudicatario. 
    La seconda ipotesi di escussione della cauzione  provvisoria  era
prevista dall'art. 75, comma 6, del d.lgs. n. 163 del 2006 e  copriva
il rischio della  mancata  sottoscrizione  del  contratto  per  fatto
dell'aggiudicatario, potendo essere disposta, pertanto,  solamente  a
carico di questi. 
    Il  nuovo  codice  dei  contratti  pubblici  (come  si  e'  visto
introdotto  dal  d.lgs.  n.  50  del  2016),  riducendo  al   momento
dell'aggiudicazione  i  controlli  sul  possesso  dei  requisiti   di
partecipazione per esigenze  di  semplificazione  e  celerita'  delle
procedure  di  gara,   ha   mantenuto   unicamente   questa   seconda
fattispecie, prevedendo,  all'art.  93,  comma  6,  che  la  garanzia
provvisoria,  che  deve  corredare  l'offerta,  copre   «la   mancata
sottoscrizione del contratto dopo  l'aggiudicazione  dovuta  ad  ogni
fatto riconducibile all'affidatario o  all'adozione  di  informazione
antimafia interdittiva emessa ai sensi degli articoli  84  e  91  del
decreto legislativo 6  settembre  2011,  n.  159».  La  garanzia  e',
infatti, «svincolata automaticamente al momento della  sottoscrizione
del contratto». 
    Tuttavia,  questa  piu'  favorevole  disciplina  -   che   limita
l'incameramento della cauzione provvisoria  nei  confronti  del  solo
aggiudicatario il quale, per fatto a  lui  imputabile,  impedisca  la
stipulazione del contratto - e' applicabile, in virtu' dell'art. 216,
comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016, «alle procedure  e  ai  contratti
per i quali i bandi o avvisi con cui si indice la procedura di scelta
del contraente siano pubblicati successivamente alla data  della  sua
entrata in vigore nonche', in caso di contratti  senza  pubblicazione
di bandi o di avvisi, alle procedure e ai contratti in  relazione  ai
quali, alla data di entrata in vigore del presente codice, non  siano
ancora  stati  inviati  gli  inviti   a   presentare   le   offerte»,
indipendentemente  dal  momento  di  adozione  del  provvedimento  di
incameramento stesso. 
    Questa disciplina transitoria, dettata dalla norma censurata  per
risolvere i problemi di diritto intertemporale legati all'entrata  in
vigore del nuovo codice dei contratti pubblici, e' peraltro in  linea
con il consolidato orientamento della giurisprudenza  amministrativa,
secondo cui «la procedura di affidamento di un contratto pubblico  e'
soggetta alla normativa vigente alla data di pubblicazione del bando,
in conformita' al principio tempus regit actum  ed  alla  natura  del
bando di gara, quale norma speciale della procedura  che  regola  non
solo le imprese partecipanti, ma anche la  pubblica  amministrazione,
che non vi si puo'  sottrarre».  Cio'  a  garanzia  dei  principi  di
certezza del diritto, di buon andamento e di tutela  dell'affidamento
dei  concorrenti,  i  quali  portano  ad  escludere   «che   lo   ius
superveniens possa avere alcun effetto diretto  sul  procedimento  di
gara» (ex multis, Consiglio di Stato,  sezione  quinta,  sentenze  25
marzo 2021, n. 2521; nello stesso senso, sentenze 12 maggio 2017,  n.
2222 e 7 giugno 2016, n. 2433). 
    8.2.- La ricostruzione dell'ordinanza  di  rimessione  in  ordine
alla natura di sanzione  "punitiva"  dell'escussione  della  garanzia
provvisoria, in caso di esito negativo del controllo  a  campione  di
cui all'art. 48 del d.lgs. n. 163 del 2006, non  riflette  il  quadro
giurisprudenziale costituzionale  e  amministrativo,  che  e'  sempre
stato prevalentemente orientato in senso opposto. 
    Questa Corte ha gia' avuto  modo  di  chiarire  che  la  garanzia
provvisoria prevista dal citato art. 48 rispondeva «alla funzione  di
garantire  serieta'  ed  affidabilita'  dell'offerta»,  tutelando  la
correttezza del procedimento di  gara,  in  modo  da  assicurarne  il
«regolare e rapido espletamento» (ordinanza n. 211 del 2011). 
    La funzione della garanzia  provvisoria  di  responsabilizzare  i
partecipanti in  ordine  alle  dichiarazioni  rese  e  al  dovere  di
correttezza, «allo scopo di garantire la serieta'  e  l'affidabilita'
dell'offerta e prevenire l'inutile  e  non  proficuo  svolgimento  di
complesse attivita' selettive»,  e'  stata  di  recente  ribadita  da
questa Corte, con la sentenza n.  23  del  2022,  che  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  17  della  legge   della
Provincia autonoma di Bolzano 16 aprile 2020,  n.  3  (Variazioni  al
bilancio di previsione della Provincia autonoma di  Bolzano  per  gli
esercizi 2020, 2021 e 2022 e altre disposizioni), laddove  sospendeva
l'obbligo di corredare l'offerta con una  garanzia  provvisoria  «per
tutte le procedure  di  gara,  di  qualsiasi  tipo  e  per  qualunque
importo», per violazione dei limiti statutari  in  relazione  appunto
all'art. 93 del d.lgs. n. 50 del 2016. 
    Ancorche' la pronuncia riguardi la disciplina dettata  dal  nuovo
codice  dei  contratti  pubblici,  deve  rimarcarsi  che   essa   non
circoscrive la funzione della cauzione  provvisoria,  in  termini  di
garanzia della serieta' delle offerte e  dell'efficienza  dell'azione
amministrativa,  ai  soli  comportamenti  contrari   al   dovere   di
correttezza dell'aggiudicatario, predicandola, per contro, per  tutti
i partecipanti alla procedura di gara. 
    L'evidenziata  esigenza  di  assicurare   l'affidabilita'   delle
offerte   e   di   evitare   un'inutile   attivita'    procedimentale
dell'amministrazione vale, dunque,  a  sottolineare  una  sostanziale
omogeneita' di funzioni tra le differenti  ipotesi  di  incameramento
della garanzia provvisoria (quella di cui al  previgente  art.  48  e
quella di cui al nuovo art. 93, reiterativo del precedente art. 76). 
    Nel ritenere il citato art. 48 «strumentale rispetto all'esigenza
di   garantire   imparzialita'   e   buon    andamento    dell'azione
amministrativa»,  infatti,  questa   Corte   ha   sottolineato   come
l'incameramento della cauzione provvisoria, in caso di esito negativo
del controllo a campione, sia «preordinato ad assicurare il  regolare
e rapido espletamento della procedura e  la  tempestiva  liquidazione
dei danni prodotti dalla  alterazione  della  stessa  a  causa  della
mancanza dei requisiti da parte dell'offerente» (ordinanza n. 211 del
2011), tenuto conto  peraltro  che  «l'operatore  economico,  con  la
domanda di partecipazione, sottoscrive e si impegna ad  osservare  le
regole della relativa procedura, delle quali  ha,  dunque,  contezza»
(ancora, ordinanza n. 211 del 2011). 
    In termini analoghi si e' espressa la  prevalente  giurisprudenza
amministrativa,  secondo  la  quale   l'escussione   della   cauzione
provvisoria, in entrambe le ipotesi contemplate dal d.lgs. n. 163 del
2006 (artt. 48, comma 1, e 75, comma 6), «si  profila  come  garanzia
del rispetto dell'ampio  patto  di  integrita'  cui  si  vincola  chi
partecipa ad una  gara  pubblica.  La  sua  finalita'  e'  quella  di
responsabilizzare i partecipanti in ordine alle  dichiarazioni  rese,
di garantire la serieta' e l'affidabilita' dell'offerta,  nonche'  di
escludere da subito i soggetti privi delle richieste qualita'  volute
dal bando»  (Consiglio  di  Stato,  Adunanza  plenaria,  sentenza  10
dicembre 2014, n. 34; in senso  conforme,  ex  multis,  Consiglio  di
Stato, sezione quarta, sentenza 22 aprile 2021,  n.  3255  e  sezione
quinta, sentenze 10 aprile 2018, n. 2181, 19 aprile 2017, n. 1818,  e
22  dicembre  2014,  n.  6302).  Questo  perche'   la   presenza   di
dichiarazioni non corrispondenti al vero «altera di per se'  la  gara
quantomeno per un  aggravio  di  lavoro  della  stazione  appaltante,
chiamata a vagliare anche concorrenti inidonei  o  offerte  prive  di
tutte le qualita' promesse» (ancora,  Consiglio  di  Stato,  Adunanza
plenaria, sentenza n. 34 del 2014). 
    Si tratta, insomma, di «una misura di indole patrimoniale,  priva
di carattere sanzionatorio amministrativo  nel  senso  proprio»,  che
costituisce l'automatica conseguenza della violazione del  dovere  di
correttezza  gravante   sull'offerente   e   realizza   un'anticipata
liquidazione dei danni  subiti  dalla  stazione  appaltante  (ancora,
Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 34  del  2014;  in
senso  analogo,  Corte  di  cassazione,  sezioni  unite,  sentenza  4
febbraio 2009, n. 2634, che ne ha  sottolineato  l'affinita'  con  la
caparra confirmatoria). 
    Innanzi a cosi' solide conclusioni,  supportate  da  pronunce  di
questa  Corte  con  la  quale  il  giudice  rimettente  non   si   e'
confrontato, non  apporta  alcun  argomento  in  senso  contrario  il
riferimento   (non   essenziale,   peraltro,   nell'economia    della
decisione), che si rinviene  nella  recente  pronuncia  dell'Adunanza
plenaria del Consiglio di Stato, 26 aprile 2022, n. 7, alla  funzione
"punitiva" propria dell'incameramento della cauzione provvisoria. 
    Ne', infine, sono in grado di apportare validi argomenti  critici
al   riferito    orientamento    giurisprudenziale    le    generiche
considerazioni del rimettente, che qualifica l'istituto in esame come
«una sanzione amministrativa, seppur non in senso  proprio»,  potendo
assolvere,  oltre  alla  «funzione  di   indennizzare   la   stazione
appaltante dall'eventuale mancata  sottoscrizione  del  contratto  da
parte  dell'aggiudicatario»,  «altresi'  una  funzione  sanzionatoria
verso altri possibili inadempimenti contrattuali dei concorrenti». 
    8.3.- Questa Corte deve  ora  verificare  l'eventuale  natura  di
sanzione "punitiva"  dell'incameramento  della  cauzione  provvisoria
disposto ai sensi dell'art. 48, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006. 
    Secondo la giurisprudenza costante  della  Corte  di  Strasburgo,
«l'esistenza o meno di una "accusa in  materia  penale"  deve  essere
valutata sulla base di tre criteri, indicati comunemente con il  nome
di "criteri Engel" (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8  giugno  1976,  §
82, serie A n. 22, A e B c. Norvegia [GC], nn. 24130/11 e 29758/11, §
107, 15 novembre 2016, e Ramos Nunes de Carvalho e Sa' c.  Portogallo
[GC], nn. 55391/13 e altri 2, § 122, 6 novembre 2018). Il primo e' la
qualificazione giuridica del reato nel diritto interno, il secondo e'
la natura stessa del reato e il terzo e' il grado di severita'  della
sanzione in cui incorre l'interessato. Il secondo e il terzo criterio
possono essere alternativi e non necessariamente  cumulativi»  (Corte
europea  dei  diritti  dell'uomo,  grande  camera,  8  luglio   2019,
Mihalache contro Romania), anche se «cio' non impedisce  di  adottare
un approccio cumulativo se l'analisi separata di ciascun criterio non
permette di giungere a una conclusione chiara  circa  l'esistenza  di
una accusa in materia penale» (Corte europea dei  diritti  dell'uomo,
sezione seconda, 4 marzo 2014, Grande Stevens contro Italia). 
    Nella specie, l'escussione della garanzia provvisoria - che  deve
essere presentata a corredo dell'offerta,  ai  sensi  del  previgente
art. 75, comma 1, del d.lgs. n. 163 del 2006 e del vigente  art.  93,
comma 1, del d.lgs. n. 50 del 2016 - non e'  formalmente  qualificata
dall'ordinamento nazionale come sanzione penale. 
    Il suo eventuale carattere  sanzionatorio  "punitivo"  va  allora
apprezzato sulla base dei due criteri sostanziali di cui si e' detto:
da un lato, la  natura  della  violazione,  desunta  dal  suo  ambito
applicativo, in quanto, per essere "penale", essa deve essere rivolta
alla «generalita' dei consociati»  e  non  agli  appartenenti  ad  un
ordinamento particolare, e, soprattutto, dallo scopo perseguito,  che
deve essere «non meramente risarcitorio, ma repressivo e preventivo»;
dall'altro, la natura e la gravita' della sanzione cui  l'interessato
si trova esposto, che deve presentare «una  connotazione  afflittiva,
potendo raggiungere un rilevante grado di severita'» (sentenza n.  43
del 2017). 
    8.3.1.-  Con  riferimento  al  primo  di  questi  criteri,   deve
sottolinearsi che  l'escussione  della  garanzia  provvisoria  ha  un
ambito applicativo limitato agli operatori economici che  partecipano
alle procedure di gara per l'affidamento di contratti pubblici e  non
e' rivolta alla generalita' dei consociati.  Detta  escussione  mira,
infatti, a garantire l'ordinato svolgersi di una specifica  procedura
amministrativa, al punto che il relativo importo non viene assicurato
al bilancio  pubblico  in  generale,  ma  incamerato  dalla  stazione
appaltante. 
    Lo scopo  da  essa  perseguito,  inoltre,  non  e'  repressivo  e
punitivo, essendo  volta,  da  un  lato,  a  «garantire  serieta'  ed
affidabilita' dell'offerta», dall'altro, a  consentire  «l'anticipata
liquidazione dei danni subiti dalla stazione appaltante» in  caso  di
omessa  dimostrazione  dei  requisiti  speciali   di   partecipazione
dichiarati dal concorrente  in  sede  di  presentazione  dell'offerta
(ordinanza n. 211 del 2011). 
    Questa stessa Corte, nell'ordinanza n. 211 del  2011  piu'  volte
citata,  nel  delineare  la  differenza  e   l'incomparabilita'   tra
l'escussione della  cauzione  provvisoria  e  le  ulteriori  sanzioni
applicate dall'AVCP (oggi, ANAC), nell'ipotesi di cui  al  menzionato
art. 48, comma 1, ha rilevato che i  provvedimenti  della  menzionata
Autorita', «previsti dalla norma censurata, mirano  a  garantire  che
nel  settore  operino  soggetti  rispettosi  delle  regole   che   lo
disciplinano  e,  quindi,  sono  diretti  a  sanzionare  la  condotta
dell'offerente per finalita' ulteriori e diverse  rispetto  a  quelle
cui  e'  preordinato  l'incameramento  della  cauzione   provvisoria,
caratterizzato da una funzione differente da quella che connota detti
provvedimenti», una funzione appunto di tipo riparatorio. 
    Anche se talvolta, in  letteratura  e  in  giurisprudenza,  viene
adottata la assai generica espressione "sanzione", trattasi  comunque
di  un  rimedio   non   "punitivo".   L'escussione   della   cauzione
provvisoria, anche se puo' avere un effetto  indirettamente  punitivo
del  concorrente  che  ha  partecipato  alla   procedura   di   gara,
dichiarando il possesso di  requisiti  che  non  ha  poi  confermato,
risponde infatti all'esigenza di garantire il rispetto  delle  regole
procedurali e, quindi,  l'affidabilita'  di  tutti  i  concorrenti  e
dell'offerta  da  essi  presentata,  nonche'  la   speditezza   della
procedura medesima. 
    In  questa  stessa   ottica,   l'incameramento   della   garanzia
provvisoria  "sanziona"  «la  violazione  dell'obbligo  di  diligenza
gravante sull'offerente» (ordinanza n. 211 del 2011), nel  senso  che
costituisce  il  rimedio   apprestato   dall'ordinamento   a   tutela
dell'interesse   della   stazione   appaltante   alla   serieta'    e
affidabilita' dell'offerente stesso e  al  rispetto,  da  parte  sua,
delle regole di gara. 
    L'attivita' contrattuale  dell'amministrazione,  «sebbene  svolta
con i moduli autoritativi e impersonali dell'evidenza  pubblica»,  e'
infatti inquadrabile «nello schema delle trattative prenegoziali», da
cui deriva  «l'assoggettamento  al  generale  dovere  di  comportarsi
secondo buona fede enunciato dall'art. 1337 cod. civ.» (Consiglio  di
Stato,  Adunanza  plenaria,  sentenza  29  novembre  2021,  n.   21).
Quest'obbligo  grava,  ovviamente,  su  entrambe  le   parti   "della
trattativa" e, quindi, non solamente sulla  stazione  appaltante,  ma
anche sui partecipanti alla procedura di gara e la sua violazione da'
vita a responsabilita'  precontrattuale,  che  e'  posta  appunto  «a
presidio dell'interesse di ordine economico a che sia  assicurata  la
serieta' dei contraenti nelle attivita' preparatorie e prodromiche al
perfezionamento  del  vincolo  contrattuale»  (Consiglio  di   Stato,
Adunanza plenaria, sentenza n. 21 del 2021). 
    L'escussione della garanzia provvisoria  risponde,  quindi,  alla
funzione tipica dei rimedi apprestati dall'ordinamento  a  fronte  di
condotte  contrarie  a  buona  fede   fondanti   la   responsabilita'
precontrattuale,  che,  anche   quando   "sanzionano"   comportamenti
scorretti imputabili alla parte, non  sono  "punitivi"  perche'  sono
tesi  a  salvaguardare  posizioni  giuridiche  soggettive  contro  la
violazione ingiustificata del dovere di correttezza. 
    Peraltro, il carattere  sanzionatorio  che  assumono,  in  taluni
casi,   i   rimedi   civilistici   non   implica   che   essi   siano
conseguentemente qualificabili come sanzioni "punitive" agli  effetti
della CEDU e della CDFUE, in ragione della ormai riconosciuta  natura
polifunzionale della responsabilita' civile. 
    L'incameramento  della  cauzione  provvisoria  e',  insomma,   un
rimedio atto a sanzionare il mancato rispetto  del  dovere  di  buona
fede e correttezza nella fase precontrattuale da parte di coloro che,
partecipando alla procedura di gara, si  impegnano  a  osservarne  le
regole. 
    Come accade in altri istituti previsti  dal  nostro  ordinamento,
inoltre, alla funzione di tutela dell'interesse  dell'amministrazione
ad  evitare  l'inutile  e  non  proficuo  svolgimento  di   complesse
attivita' selettive, si aggiunge quella di liquidare, preventivamente
e forfettariamente, il danno da essa eventualmente subito. 
    Da qui la funzione complessa della garanzia provvisoria  e  della
sua escussione, volte  a  rafforzare  complessivamente  la  posizione
giuridica dell'amministrazione a tutela dell'interesse pubblico  alla
concorrenza, trasparenza e legalita' delle procedure  di  affidamento
dei contratti pubblici di cui essa e' portatrice. 
    «La stessa mancanza di  discrezionalita'  in  capo  all'autorita'
amministrativa» (sentenza n. 276 del 2016) chiamata  ad  escutere  la
cauzione   provvisoria,    la    quale    consegue    automaticamente
all'esclusione  dalla  procedura  di  gara  per  assenza  o   mancata
dimostrazione del requisito speciale dichiarato in sede  di  offerta,
costituisce un indice ulteriore  del  fatto  che  l'incameramento  di
questa cauzione non abbia carattere "punitivo", ma sia essenzialmente
diretto a garantire il rispetto delle  regole  di  gara,  restaurando
l'interesse pubblico leso, che e' quello di evitare la partecipazione
alla gara stessa di concorrenti  inidonei  o  di  offerte  prive  dei
requisiti richiesti. 
    8.3.2.- Una volta escluso che la misura in  oggetto  persegua  le
finalita'  afflittive  proprie  della  pena,   poste   nell'interesse
generale  dell'ordinamento,  anziche'  in  quello  settoriale   della
pubblica  amministrazione  coinvolta  nella  gara,  va  aggiunto  che
neppure il suo grado di severita' conforta le  premesse  ermeneutiche
del rimettente. 
    Nella specie, si deve sottolineare - come dedotto dall'Avvocatura
generale dello Stato - che l'entita' della garanzia  provvisoria,  ai
sensi dell'art. 75 del previgente codice dei contratti pubblici,  era
pari al  «due  per  cento  del  prezzo  base  indicato  nel  bando  o
nell'invito»  e,  quindi,  ad  una  percentuale  non  particolarmente
elevata di esso. 
    Peraltro, il comma 7 del medesimo art. 75 prevedeva una serie  di
ipotesi, cumulabili tra loro, in cui l'importo di questa garanzia era
ridotto da un minimo del quindici a  un  massimo  del  cinquanta  per
cento, giustificate dal possesso, da parte degli operatori economici,
di determinate certificazioni. 
    Dall'importo della  garanzia  provvisoria,  dalla  previsione  di
forme alternative di costituzione (la cauzione o la  fideiussione)  e
dal regime delle riduzioni previste dal legislatore, dunque, puo' ben
desumersi  l'assenza  di  quel  connotato   di   speciale   gravita',
necessario  affinche'  la   misura   pregiudizievole   possa   essere
assimilata a una sanzione sostanzialmente penale. 
    9.- Sulla base  delle  considerazioni  che  precedono,  non  puo'
condividersi  il   presupposto   interpretativo   dal   quale   muove
l'ordinanza di rimessione, che  si  basa  sulla  natura  di  sanzione
"punitiva" dell'incameramento della garanzia provvisoria in  caso  di
esito negativo del controllo a campione ai  sensi  dell'art.  48  del
d.lgs. n. 163 del 2006. 
    L'erroneita'   del   presupposto   interpretativo   infirma    le
conclusioni del  giudice  a  quo  circa  la  violazione  di  tutti  i
parametri costituzionali evocati. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non fondate le questioni di legittimita'  costituzionale
del combinato disposto degli artt. 93, comma 6, e 216, comma  1,  del
decreto legislativo 18 aprile  2016,  n.  50  (Codice  dei  contratti
pubblici), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 49,  paragrafo
1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea  (CDFUE),
proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo  il  12
dicembre 2007, e all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e rese esecutiva con la  legge  4
agosto 1955, n. 848, dal Consiglio  di  Stato,  sezione  quinta,  con
l'ordinanza in epigrafe indicata. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 luglio 2022. 
 
                                F.to: 
                     Giuliano AMATO, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 26 luglio 2022. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA