N. 95 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 aprile 2022

Ordinanza del 21 aprile 2022 del Tribunale di Udine nel  procedimento
civile promosso da Vidoni Maria Lucia contro  Sagliocca  Salvatore  e
AMCO - ASSET MANAGEMENT COMPANY Spa. 
 
Esecuzione forzata - Estinzione del processo  per  inattivita'  delle
  parti - Reclamo contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione ovvero
  rigetta l'eccezione relativa - Richiamo all'osservanza delle  forme
  dell'art.  178,  quarto  e  quinto  comma,  cod.   proc.   civ.   -
  Proposizione   del   reclamo   al   giudice    dell'esecuzione    e
  partecipazione, nella  composizione  del  collegio  giudicante  sul
  reclamo, del giudice che ha emesso  il  provvedimento  reclamato  -
  Richiamo all'applicazione dell'art. 178,  quarto  e  quinto  comma,
  cod.   proc.   civ.,   anziche'   a   quanto   previsto   dall'art.
  669-terdecies, comma secondo, primo  periodo,  cod.  proc.  civ.  o
  dall'art. 186-bis disp. att. cod. proc. civ. 
- Codice di procedura civile, art. 630, terzo comma. 
(GU n.37 del 14-9-2022 )
 
                    TRIBUNALE ORDINARIO DI UDINE 
                       Sezione seconda civile 
 
    Il  Tribunale,  in  composizione  collegiale  nelle  persone  dei
seguenti magistrati: 
      dott. Francesco Venier - Presidente; 
      dott. Gianpaolo Fabbro - Giudice; 
      dott. Lorenzo Massarelli - Giudice estensore; 
    nel procedimento per reclamo ex art. 630 ultimo comma del  codice
di procedura civile iscritto al n. r.g. 772/2022 o 260/2015 R.G. Es.)
promosso da: 
      Vidoni Maria Lucia (c.f.: VDNMLC41T59D700S); 
      Coletti  Manuela  (c.f.:  CLTMNL68A48Z110R)  entrambe  con  gli
avv.ti  Paolo  Penna  e  Guglielmo  Pinto  -  debitrici   esecutate -
reclamanti; 
    contro  Sagliocca  Salvatore  (c.f.:  SGLSVT62A25F839U)  che   si
difende in proprio ex art. 86 del codice di procedura civile  AMCO  -
Asset Management Company S.p.a. (codice fiscale n.  05828330638)  con
l'avv. Marino ferro - creditori. 
    Ha emesso la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    nel corso del processo di esecuzione forzata  per  espropriazione
immobiliare, registrato al n. 260/2015  RG,  le  debitrici  esecutate
hanno depositato in data 21 novembre 2021  ricorso  per  ottenere  la
dichiarazione di estinzione del giudizio. 
    Il giudice dell'esecuzione dott.  Francesco  Venier,  sentite  le
parti e con ordinanza del 30 dicembre 2021, ha respinto l'eccezione. 
    Le debitrici esecutate hanno proposto tempestivo reclamo ex  art.
630,  ultimo  comma,  del  codice  di  procedura  civile  avverso  il
provvedimento sfavorevole. 
    Come stabilito dal richiamato art. 178, quarto  e  quinto  comma,
del codice di procedura civile il mezzo e' stato proposto con ricorso
diretto al giudice dell'esecuzione e comunicato alle altre parti, con
termine per eventuali memorie di risposta. 
    I creditori reclamati hanno depositato le loro deduzioni. 
    In vista della camera  di  consiglio  per  la  deliberazione,  le
reclamanti hanno formulato eccezione di illegittimita' costituzionale
«del combinato disposto degli articoli  630,  178  e  segg.,  50-bis,
50-quater, 669-terdecies  e  738  del  codice  di  procedura  civile,
186-bis, disposizione di attuazione del codice di  procedura  civile,
in relazione agli articoli 3, 24, 25 e  111  della  Costituzione  con
riferimento alla composizione dell'adito Collegio chiamato a decidere
sul reclamo avverso l'ordinanza di rigetto dell'istanza di estinzione
del 30/31 dicembre 2021 nel quale fa parte anche il  Giudice  che  ha
emesso il provvedimento reclamato». 
    Le altre parti non hanno inteso interloquire sul punto. 
    Il collegio, di cui fa parte anche il giudice  dell'esecuzione  a
quo, ritiene che la questione  sia  rilevante  e  non  manifestamente
infondata. 
    Quanto alla rilevanza, non  c'e'  dubbio  che,  per  effetto  del
richiamo testuale all'art. 178 quarto e quinto comma  del  codice  di
procedura civile: 
      il reclamo ex art. 630, ultimo comma, del codice  di  procedura
civile deve essere presentato al giudice che dirige  l'esecuzione,  e
cio' o mediante dichiarazione a verbale di un'udienza che egli  tenga
nel corso del processo esecutivo o mediante ricorso  ad  egli  stesso
diretto; 
      il giudice dell'esecuzione, assicurata la conoscenza del  mezzo
alle altre parti e fissati i termini per repliche,  riferisce  omisso
medio  la  questione  in  camera  di  consiglio   al   tribunale   in
composizione collegiale, che definisce l'affare con sentenza. 
    Il dubbio sulla legittimita' costituzionale riguarda dunque norme
processuali che vengono in diretta applicazione in  questo  giudizio,
allo  scopo  di  determinare  la  composizione  di  questo   collegio
giudicante. 
    La  questione  sollevata,   inoltre,   si   presenta   come   non
manifestamente infondata. 
    Contro i provvedimenti  emessi  dal  giudice  dell'esecuzione  e'
previsto  ordinariamente  il  rimedio  dell'opposizione   agli   atti
esecutivi ex art. 617 del codice di procedura civile. 
    Ebbene, dal 2009 l'art. 186-bis disposizione  di  attuazione  del
codice di procedura civile stabilisce che il giudizio  di  cognizione
di merito  sull'opposizione  proposta  ex  art.  617  del  codice  di
procedura  civile,  al  termine  del  quale  si  stabilira'   se   il
provvedimento emesso e' o meno legittimo od  opportuno,  deve  essere
trattato da un magistrato diverso da quello che ha  conosciuto  degli
atti avverso i quali e' proposta opposizione. In sostanza,  allorche'
l'oggetto dell'opposizione ex art. 617 del codice di procedura civile
riguardi  un  provvedimento  emesso  (o  non  emesso)   dal   giudice
dell'esecuzione, colui che deve giudicare la questione nel merito non
puo' essere il medesimo magistrato. 
    Ancora,   allorche'   il   giudice    dell'esecuzione    provvede
sull'istanza  di   sospensione   dell'esecuzione   stessa,   proposta
nell'ambito di ricorsi ex articoli 615,  617  o  619  del  codice  di
procedura civile, la sua decisione puo' essere sottoposta  a  reclamo
al collegio (art. 624, secondo comma del codice di procedura  civile,
introdotto nel 2005). 
    Anche in questo caso, il richiamo testuale all'applicabilita'  al
relativo procedimento dell'art. 669-terdecies del codice di procedura
civile comporta che del collegio investito del reclamo non possa  far
parte il giudice dell'esecuzione, posto che egli stesso ha emesso  il
provvedimento reclamato. 
    Tali innovazioni  normative  hanno  completamente  rovesciato  la
precedente giurisprudenza (Cass. n. 5510/2003), anche  costituzionale
(Cost. n. 497/02), che dal canto suo non riteneva  sussistere  alcuna
violazione degli artt. 24 e 111, secondo  comma,  della  Costituzione
nella possibilita' che il giudice dell'esecuzione divenisse anche  il
giudice decidente nel processo di cognizione apertosi ex art. 617 del
codice  di  procedura  civile  in  opposizione  ad  un  suo   proprio
provvedimento  pregresso:  «(...)  non  essendovi  identita'  di  res
judicanda  tra  il  processo  esecutivo  e   l'eventuale   causa   di
opposizione, ne' trattandosi di un'impugnazione in senso proprio, dal
momento che il giudice dell'opposizione agli  atti  esecutivi,  anche
quando  l'atto  oggetto  di   opposizione   e'   costituito   da   un
provvedimento del giudice dell'esecuzione, giudica in un  processo  a
cognizione piena, nel contraddittorio delle parti, sulle cui  domande
ed  eccezioni  deve  in  ogni   caso   pronunciarsi   (...)»   (Corte
costituzionale, cit.). 
    Se questo e' il nuovo percorso che la legislazione  piu'  recente
ha inteso imboccare, non resta che constatare che la  disciplina  del
reclamo ex art. 630, ultimo comma, del codice  di  procedura  civile,
rimasta immutata  rispetto  all'evoluzione  menzionata,  si  pone  in
termini inspiegabilmente opposti. 
    Secondo   le   disposizioni   vigenti,   infatti,   il    giudice
dell'esecuzione dovrebbe concorrere a deliberare con  sentenza  della
correttezza della sua precedente statuizione circa  l'estinzione  del
giudizio, in totale contrasto con quanto avviene nelle altre  ipotesi
in cui si discute, in sede di cognizione  (art.  617  del  codice  di
procedura civile) o di gravame (art.  624  del  codice  di  procedura
civile),  della  correttezza/legittimita'/opportunita'  di  una   sua
precedente decisione. 
    Cio' costituisce  un'eccezione  non  giustificabile  rispetto  al
trattamento delle altre ipotesi affini,  con  chiara  violazione  del
principio fissato dall'art. 3, comma primo, della Costituzione. 
    Va peraltro ricordato sul punto che,  nel  vicino  settore  delle
procedure concorsuali, il legislatore ha via via introdotto ulteriori
previsioni intese ad impedire in ogni caso che il giudice  incaricato
di  sovrintendere  ad  una  procedura  concorsuale  sia  chiamato   a
riesaminare (a qualsiasi titolo) sue precedenti statuizioni: 
      - art. 25, secondo comma, legge  fallimentare  (in  vigore  dal
2006); 
      - art. 99, decimo comma,  legge  fallimentare  (in  vigore  dal
2006); 
      - art. 10, comma 6, legge n. 3/2012; 
      - art. 11, comma 5, legge n. 3/2012; 
      - art. 12, comma 2, legge n. 3/2012; 
      - art. 14, comma 5 (richiamato anche  dall'art.  14-bis,  comma
5), legge n. 3/2012. 
    L'attuale tenore  dell'art.  630,  terzo  comma,  del  codice  di
procedura  civile,  nella  parte  in  cui   richiama   l'applicazione
dell'art. 178, quarto e quinto comma del codice di procedura  civile,
disponendo quindi che del collegio giudicante faccia parte il giudice
che   ha   emesso   il   provvedimento   reclamato,    pare    dunque
irragionevolmente diverso da  altre  norme  oggi  applicabili,  nello
stesso settore ed in altri ad esso affini, che cio' vietano. 
    La questione puo' essere prospettata anche sotto altro profilo. 
    L'art. 111, secondo comma, della Costituzione. prescrive che ogni
processo si svolga dinanzi ad un giudice «imparziale». 
    Cio' deve valere con riferimento a  qualunque  tipo  di  processo
«pur nella  diversita'  delle  rispettive  discipline  connessa  alle
peculiarita'  proprio  di  ciascun  tipo  di   procedimento»   (Corte
costituzionale n. 262/2003). 
    Il legislatore puo' realizzare  il  principio  in  esame  secondo
moduli differenziati, ma deve sempre far si' che il  giudice  rimanga
super  partes  ed  estraneo  rispetto  agli  interessi  oggetto   del
processo, assicurando un minimum di garanzie  ragionevolmente  idonee
allo scopo (Corte costituzionale n. 78/2002). 
    In particolare, il legislatore deve impedire che il giudice possa
pronunciarsi  due  volte  sulla   medesima   res   iudicanda   (Corte
costituzionale  n.  335/2002),  onde  evitare  la  c.d.  forza  della
prevenzione. 
    Nel caso  specifico  la  prescritta  partecipazione  del  giudice
dell'esecuzione al collegio che decide sul reclamo interposto avverso
la sua ordinanza,  emessa  in  materia  di  estinzione  del  processo
esecutivo non consenta, mette in crisi tale principio. 
    Va riconosciuto che la  Corte  costituzionale  ha  affermato  che
«(...) il principio di imparzialità-terzieta' della giurisdizione  ha
pieno valore costituzionale,  ma  (che)  non  possono  applicarsi  al
processo civile ed ai processi amministrativi e tributari i  principi
elaborati con riferimento al processo  penale,  e  segnatamente  alle
incompatibilita' di cui all'art.  34  del  codice  procedura  penale,
diverse essendo natura, struttura e funzione del processo penale, nel
quale sussistono i principi dell'obbligatorieta' dell'azione in  capo
ad   un   organo   pubblico,   l'indisponibilita'    della    stessa,
l'indefettibilita' della pronuncia del giudice (sentenze n.  326  del
1997, n. 51 del 1998, n. 363 del 1998 e, da ultimo, n. 78 del 2002): 
    (che) questa Corte ha anche stabilito  che  il  processo  civile,
informato all'operativita' del principio dispositivo, si svolge su un
piano di parita' delle parti secondo il principio del contraddittorio
e che il convincimento del giudice subisce di  regola  la  mediazione
dell'impulso delle parti fra le molte, sentenze n. 326 del  1997,  n.
51 del 1998, e ordinanza n. 356 del 1997);». 
    Tali argomenti, esposti nell'ordinanza n. 497/02 e riguardanti il
settore affine dell'opposizione ex art. 617 del codice  di  procedura
civile, sono completati dalla considerazione secondo cui: 
      «(...)  tali  principi,  ripetutamente  affermati  in  numerose
pronunce di questa Corte riguardanti  il  processo  civile  e  quello
amministrativo (fra le molte, ordinanze n. 126 del 1998, n.  304  del
1998, n. 168 del 2000, n. 220 del  2000,  n.  167  del  2001),  vanno
confermati nel caso dell'opposizione agli  atti  esecutivi,  regolata
dagli articoli  617  e  618  del  codice  di  procedura  civile,  non
essendovi identita' di res judicanda  tra  il  processo  esecutivo  e
l'eventuale causa di opposizione, ne' trattandosi di  un'impugnazione
in senso proprio, dal momento che il  giudice  dell'opposizione  agli
atti  esecutivi,  anche  quando  l'atto  oggetto  di  opposizione  e'
costituito da un provvedimento del giudice  dell'esecuzione,  giudica
in un processo a cognizione piena, nel contraddittorio  delle  parti,
sulle cui domande ed eccezioni deve in ogni caso pronunciarsi;». 
    Da cio' il giudizio di manifesta infondatezza della questione  in
allora sollevata. 
    Questo collegio  intende  in  primo  luogo  sottolineare  che  il
procedimento di reclamo ex art. 630,  ultimo  comma,  del  codice  di
procedura civile non puo' definirsi come un vero e  proprio  giudizio
ordinario di cognizione. 
    Innanzitutto,  l'oggetto  della  sua  delibazione   e'   limitato
all'accertamento del verificarsi o meno di una fattispecie  estintiva
del processo, e cioe' la stessa identica  questione  che  il  giudice
dell'esecuzione ha affrontato, allorche' e' stato chiamato  in  prima
battuta a risolvere l'eccezione sollevatagli  o  rilevata  d'ufficio.
Affermare dunque che vi e' diversita' di res iudicanda  fra  la  fase
svoltasi dinanzi al giudice dell'esecuzione  e  quella  da  svolgersi
dinanzi al collegio del reclamo parrebbe non essere corretto. 
    Inoltre,  il  procedimento  di  reclamo,  benche'   destinato   a
concludersi  con  sentenza  appellabile  (art.  130  disposizione  di
attuazione del codice di procedura civile), consente  alle  parti  un
contraddittorio solamente cartolare. 
    Peraltro, in esso non vi e' libero spazio  all'estrinsecarsi  del
principio dispositivo tipico del processo civile, perche': 
      non e' strutturalmente possibile un'istruttoria  sulle  istanze
di parte; 
      l'estinzione non puo' essere eccepita o rilevata oltre la prima
udienza successiva al verificarsi della  stessa  (art.  630,  secondo
comma, del codice  di  procedura  civile),  sicche'  chi  solleva  la
questione  non  puo'  rinunciare  al  reclamo  (alla  cui   decisione
partecipera' anche il giudice dell'esecuzione a  quo)  senza  perdere
definitivamente  anche  il  diritto  di  eccepire  l'estinzione   del
giudizio. 
    Non  trovano  spazio  quindi  molti  degli  argomenti  che  hanno
consentito di affermare in passato che l'affidamento della  decisione
sull'opposizione agli atti esecutivi al medesimo  magistrato  che  ha
pronunciato  il  provvedimento  gravato  non  intacca  il   principio
costituzionale di imparzialita' del giudice. 
    In secondo luogo, occorre  ricordare  che,  secondo  l'evoluzione
normativa ricordata nel paragrafo precedente,  il  legislatore  degli
ultimi venti anni  ha  mostrato  di  non  ritenere  soddisfacente  il
sistema   previgente,    benche'    fino    ad    allora    giudicato
costituzionalmente corretto, procedendo via via ad eliminare tutte le
ipotesi in cui lo stesso magistrato, chiamato  a  svolgere  in  prima
battuta funzioni latamente  decisorie  su  conflitti,  poteva  essere
chiamato anche a comporre i collegi che - presso  i  tribunali  -  si
occupano  dei  gravami  interposti  dalle  parti  rispetto  alle  sue
decisioni. 
    Si tratta di un mutamento  significativo  del  quadro  normativo,
ispirato   ad   un'esigenza   di   maggiore   rigore   nella   tutela
dell'imparzialita'  del  giudice,  onde  evitare  il  condizionamento
derivante dalla forza della prevenzione  ed  esaltare  anche  il  suo
apparire alle parti come tale. 
    Cio'  porta  questo  collegio  a  sollevare   la   questione   di
illegittimita' costituzionale anche  con  riferimento  all'art.  111,
secondo  comma,  della  Costituzione  pur  a  fronte  dei  precedenti
contrari segnalati. 
    Infine, la medesima questione appare non manifestamente infondata
anche con riferimento all'art. 117, comma primo, della  Costituzione,
con riferimento all'art. 6 della «Convenzione per la salvaguardia dei
Diritti dell'Uomo e delle Liberta' fondamentali», fatta a Roma  il  4
novembre 1950 e ratificata in Italia con legge n. 848/1955. 
    - L'art. 6 in oggetto afferma il diritto di ogni persona a che il
suo processo si svolga dinanzi ad un tribunale «imparziale». 
    La Corte Europea dei Diritti dell'Uomo interpreta la  norma  come
necessaria assenza di pregiudizio o di parzialita' in capo all'organo
gudicante, ritenendo che anche le  apparenze  possono  avere  qualche
importanza sicche' «non si deve soltanto fare giustizia, ma  si  deve
anche vedere che e' fatta giustizia», essendo in gioco la fiducia che
i tribunali debbono  ispirare  alla  collettivita'  in  una  societa'
democratica. 
    Una delle possibili situazioni in cui si puo' temere  un  difetto
di imparzialita' dell'organo giurisdizionale, di  natura  funzionale,
puo' riguardare l'esercizio  nel  medesimo  procedimento  di  diverse
funzioni giudiziarie da parte della stessa persona. 
    Ad esempio, la Corte ha deciso: 
      che la valutazione volta a stabilire se la partecipazione dello
stesso giudice a diverse fasi di una causa  civile  sia  conforme  al
requisito di imparzialita' previsto  dall'art.  6  §  1  deve  essere
effettuata caso per caso, tenendo conto delle circostanze del singolo
caso (Pasquini c. San Marino); 
      e'  necessario  esaminare  se  il  nesso   tra   le   questioni
sostanziali  determinate  nelle  varie  fasi  del  procedimento   sia
talmente stretto da far dubitare dell'imparzialita' del  giudice  che
ha partecipato all'adozione delle decisioni in tali  differenti  fasi
(Toziczka c. Polonia); 
      la circostanza che un  giudice  partecipi  a  due  procedimenti
riguardanti i medesimi fatti puo' sollevare una questione  (Indra  c.
Slovacchia). 
    Trasponendo tale interpretazione dell'art.  6  della  Convenzione
sul piano interno, per il tramite dell'art. 117, comma  primo,  della
Costituzione, se ne puo' derivare che nel presente  procedimento,  in
cui l'oggetto della decisione non differisce in  modo  decisivo  (per
estensione e natura)  da  quello  affrontato  in  prima  battuta  dal
giudice dell'esecuzione,  in  cui  i  poteri  delle  parti  non  sono
paragonabili a quelli di una ordinaria causa di cognizione civile, in
cui il contraddittorio e' solamente cartolare, la previsione  secondo
cui il collegio decidente e' composto anche dal giudice che ha emesso
il provvedimento reclamato si pone diretta in tensione con i principi
sopra esposti. 
    Da cio' la necessita' di esaminare la questione  anche  sotto  il
parametro costituzionale in rassegna. 
    Il chiaro tenore testuale delle disposizioni censurate rende  del
tutto  impraticabile  una  loro  interpretazione   costituzionalmente
orientata, intesa ad affermare che  il  giudice  dell'esecuzione  non
compone il collegio del reclamo ex art. 630 ultimo comma  del  codice
di procedura civile. 
    Nella fattispecie cio' diverrebbe una vera e  propria  operazione
modificatrice del richiamato art. 178, quinto comma,  del  codice  di
procedura civile (che prescrive, implicitamente ma  chiaramente,  che
il  giudice  dell'esecuzione  integra  il  collegio  decidente)   non
consentita al giudice ordinario dall'art. 101, secondo  comma,  della
Costituzione. 
    Del  resto,  escluso  il  giudice  dell'esecuzione  dal  collegio
decidente, non si comprenderebbe come l'intera sequela procedimentale
precedente (reclamo presentato al g.e.;  fissazione  di  termini  per
memorie da parte di questi) possa portare  alla  costituzione  di  un
collegio ed all'individuazione del giudice relatore. 
    Ne'  risultano  applicabili  le  disposizioni   in   materia   di
astensione obbligatoria del giudice ex art. 51 n. 4)  del  codice  di
procedura civile. 
    Da un lato il richiamo all'art. 178, quarto e quinto  comma,  del
codice di procedura civile costituisce evidente ed  esplicita  deroga
interna alla disposizione da ultimo citata. 
    Dall'altro, la giurisprudenza della Suprema Corte  di  Cassazione
si e' costantemente espressa nel senso «di non imporre che il giudice
si  astenga  dal  decidere  sulle  cause  di  opposizione  agli  atti
esecutivi, quando l'opposizione e' proposta contro provvedimenti  che
lo stesso magistrato ha preso in qualita' di giudice» (Cassazione  n.
5510/2003, in motivazione), e di non ritenere  che  l'opposizione  ex
art. 617 del codice  di  procedura  civile  costituisca  tecnicamente
«altro grado del medesimo processo». 
    Vista l'affinita' fra tale tematica e quella del reclamo ex  art.
630 del codice di procedura civile, la conclusione puo' essere tenuta
ferma anche nel procedimento oggi in discussione. 
    La questione sollevata non puo' dunque che  essere  rimessa  alla
Corte costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale, visti l'art. 23, legge n. 87/1953 e l'art. 1, legge
n. 71/1956; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 630, terzo comma, del codice di
procedura  civile,  nella  parte  in  cui   richiama   l'applicazione
dell'art. 178, quarto e quinto comma del codice di procedura  civile,
disponendo  quindi   che   il   reclamo   si   propone   al   giudice
dell'esecuzione (con  ricorso  o  all'udienza)  e  che  del  collegio
giudicante sul reclamo faccia parte anche il giudice che ha emesso il
provvedimento  reclamato,   anziche'   richiamare   quanto   previsto
dall'art. 669-terdecies, comma secondo, primo periodo, del codice  di
procedura civile o dall'art. 186-bis disposizione di  attuazione  del
codice di procedura civile, per contrasto con l'art. 3, comma  primo,
della Costituzione, con l'art. 111, secondo comma, della Costituzione
e con l'art. 117, comma primo,  della  Costituzione  (in  riferimento
all'art.  6  della  «Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  Diritti
dell'Uomo e delle Liberta' fondamentali», fatta a Roma il 4  novembre
1950 e ratificata dalla Repubblica italiana con legge n. 848/1955); 
    sospende  il  procedimento  fino  alla  decisione   della   Corte
costituzionale; 
    dispone che la presente ordinanza sia notificata,  a  cura  della
cancelleria, alle parti ed al Presidente del Consiglio  dei  ministri
(Dipartimento affari giuridici e legislativi -  Ufficio  contenzioso,
per la consulenza giuridica e per i rapporti con la Corte europea dei
diritti  dell'uomo,  piazza  Colonna  n.   370   -   00187   Roma   -
attigiudiziaripec@pec.governo.it), e che sia comunicata ai Presidenti
del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati; 
    dispone la trasmissione per via telematica degli atti alla  Corte
costituzionale,  a  cura   della   cancelleria   e   con   la   prova
dell'esecuzione di tutte le prescritte notificazioni e comunicazioni. 
      Udine, 21 aprile 2022 
 
                        Il Presidente: Venier