N. 103 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 2022
Ordinanza del 20 giugno 2022 del G.I.P. del Tribunale di Nola nel procedimento penale a carico di F.A.. Processo penale - Chiusura delle indagini preliminari - Richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato - Preclusione per il giudice per le indagini preliminari di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell'indagato. - Codice di procedura penale, artt. 409, commi 4 e 5, e 411, commi 1 e 1-bis, in combinato disposto.(GU n.39 del 28-9-2022 )
TRIBUNALE DI NOLA Sezione GIP/GUP Ordinanza di sospensione del procedimento e trasmissione degli atti alla Corte costituzionale (articoli 134 della Costituzione, 23 e seguenti, legge 11 marzo 1953, n. 87). Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nola, dott. Raffaele Muzzica, all'esito della camera di consiglio del 20 giugno 2022, ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale a carico di F. A., nato a (...) il (...), ivi residente alla via (...) n. (...) Libero - non comparso difeso di fiducia dall'avv. Giovanni Maria Abate, presente indagato per il reato di cui all'art. 614 del codice penale, commesso in data (...) in (...) nei confronti di: N. E., nato a (...) il (...), non comparso difeso dall'avv. Angelo Pignatelli, presente tramite il delegato, avv. Vincenzo Miele per sollevare questione di legittimita' costituzionale degli articoli 409, commi 4 e 5 e 411, comma 1-bis del codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono che il giudice per le indagini preliminari, a seguito di richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato, previa fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell'indagato, possa pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, per violazione degli articoli 3, 27, commi 1 e 3, 76, 101, 111, 117 della Costituzione in riferimento all'art. 6 CEDU. 1. Svolgimento del procedimento. Nel procedimento in epigrafe indicato il pubblico ministero avanzava richiesta di archiviazione in data 30 agosto 2019, notificata alla persona offesa in data 31 gennaio 2022, per infondatezza della notizia di reato. A seguito della richiesta di archiviazione lo scrivente in funzione di giudice per le indagini preliminari fissava udienza camerale ai sensi dell'art. 409, comma 2 del codice di procedura penale. In quella udienza - non comparso il pubblico ministero - il giudice verificava la regolarita' del contraddittorio ed invitava le parti a rassegnare le loro conclusioni, sollecitando espressamente il contraddittorio circa la possibilita' di emettere un'ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto. Sul punto, entrambe le parti, rappresentate dai loro difensori, non si opponevano. All'esito della discussione, prima di pronunciarsi nel merito della richiesta di archiviazione, questo giudice ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale che di seguito si esporra', e dunque di sospendere il procedimento e trasmettere gli atti alla Corte costituzionale per la sua risoluzione. 2. La rilevanza della questione. 2.1. Il fatto storico. Dagli atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero il fatto sottoposto al vaglio di questo giudice deve essere ricostruito nei termini che seguono. Nella denuncia querela versata nel fascicolo, la persona offesa riferiva che alle ore (...) del (...) si era allontanata da casa per circa quindici minuti, al fine di svolgere una commissione. Al suo ritorno il denunciante notava all'interno della stradina privata, nella parte di sua esclusiva proprieta', debitamente indicata da cartellonistica e da una sbarra per l'accesso, la presenza di un individuo intento a prendere delle misure con un metro pieghevole. Al che la persona offesa si avvicinava al soggetto, chiedendogli chi fosse e cosa stesse facendo, ottenendo dallo stesso, che gli intimava di allontanarsi e di non infastidirlo, una brusca risposta. La persona offesa, dunque, si qualificava come proprietario dell'area, rappresentando invano all'ignoto soggetto che questi si era introdotto nella sua proprieta' senza preventiva autorizzazione. Per tali motivi il denunciante richiedeva l'intervento delle Forze dell'ordine che, sopraggiunte nell'immediatezza, provvedevano ad identificare il soggetto, ancora presente sul posto, come il geometra F. A., deferendolo all'Autorita' giudiziaria per il reato indicato in epigrafe. 2.2. La qualificazione giuridica del fatto ai sensi della fattispecie di cui all'art. 614 del codice penale. Ritiene questo giudice che il fatto, cosi' come ricostruito, sia pienamente sussumibile nella fattispecie incriminatrice di cui all'art. 614 del codice penale ipotizzata dall'ufficio del pubblico ministero. Quanto alla fattispecie oggettiva del delitto in questione, non vi e' dubbio che l'indagato si sia introdotto, contro la volonta' del titolare, in una pertinenza dell'abitazione dello stesso, debitamente protetta da apposite misure di sicurezza («Integra il delitto di violazione di domicilio la condotta del soggetto che si introduca, contro la volonta' di chi ha il diritto di escluderlo, in un locale di pertinenza di un'abitazione, regolarmente chiuso a chiave e saltuariamente visitato e sorvegliato da chi ne abbia la disponibilita', in quanto l'attualita' dell'uso, cui e' collegato il diritto alla tutela della liberta' individuale non implica la sua continuita' e, pertanto, non viene meno in ragione dell'assenza, piu' o meno prolungata nel tempo, dell'avente diritto.» (Sez. 5, sentenza n. 29934 del 16 giugno 2006 ud. (dep. 12 settembre 2006) rv. 235151 - 01); «Il giardino adiacente ad una casa di abitazione costituisce appartenenza della casa medesima. (fattispecie in tema di violazione di domicilio)». (v. 118855, anno 1971). (Sez. 5, sentenza n. 7700 del 25 maggio 1973 ud. (dep. 5 novembre 1973) rv. 125375 - 01). Sussiste, infine, anche una concreta offesa al bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice in questione, atteso che la condotta del F. ha compresso lo ius excludendi del titolare del bene, che si determinava a richiedere l'intervento delle Forze dell'ordine. Quanto alla fattispecie soggettiva, sussiste il dolo richiesto, giacche' il F. non soltanto era pienamente consapevole della sussistenza di un titolo di godimento altrui (reso evidente nella cartellonistica recante «strada privata», nonche' nella sbarra all'accesso della pertinenza, e confermato altresi' dal contenuto della memoria difensiva versata agli atti) ma ha anche volontariamente agito, non desistendo dalla permanenza nella proprieta' del N. nonostante quest'ultimo gli avesse intimato di allontanarsi, qualunque fosse lo scopo della sua azione (cfr. «L'elemento psicologico del reato di cui all'art. 614 del codice penale consiste nel dolo generico, cioe' nella coscienza e volonta' dell'agente di introdursi nell'altrui abitazione contro la volonta' di colui che e' titolare del diritto di esclusione restandone estraneo, e quindi irrilevante, il fine prepostosi dall'agente (nella specie: intendimento di parlare col coniuge separato e con i figli).» (Sez. 5, sentenza n. 6401 dell'8 ottobre 1987 ud. (dep. 27 maggio 1988) rv. 178475 - 01). Dagli atti utilizzabili ai fini della decisione non emerge, infine, la sussistenza di cause di giustificazione o di cause di non punibilita' lato sensu intese e, dunque, la richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato non puo' essere accolta. 2.3. La sussistenza, in concreto, dei presupposti della particolare tenuita' dell'offesa e della non abitualita' del comportamento (art. 131-bis del codice penale). Nondimeno, ritiene questo giudice che sussistano nel caso di specie gli indici-criteri della particolare tenuita' dell'offesa e della non abitualita' del comportamento richiesti dall'art. 131-bis del codice penale ai fini del riconoscimento della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto ivi prevista. Quanto al primo indice, di natura oggettiva, della particolare tenuita' dell'offesa, va infatti rilevato che la compressione dell'inviolabilita' del domicilio, bene giuridico tutelato dalla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 614 del codice penale, pur sussistente secondo quanto si e' rilevato supra, deve al contempo considerarsi particolarmente esigua nel caso di specie: infatti, si e' verificata per un lasso temporale pressappoco quantificabile in mezz'ora (cfr. Cassazione Sez. 3, n. 47039 dell'8 ottobre 2015, pubblico ministero in proc. (...), non mass., secondo cui il reato permanente, non essendo riconducibile nell'alveo del comportamento abituale ostativo al riconoscimento del beneficio ex art. 131-bis del codice penale, puo' essere oggetto di valutazione con riferimento all'«indice-criterio» della particolare tenuita' dell'offesa, la cui sussistenza sara' tanto piu' difficilmente rilevabile quando piu' tardi sara' cessata la permanenza). Analogamente, non appaiono particolarmente allarmanti le modalita' della condotta, e cio' alla luce del fatto che la violazione di domicilio e' stata perpetrata dal F. in assenza di violenza o minaccia alla persona e, stando a quanto consta a questo giudice, non per fini ulteriormente illeciti. Non sussiste, inoltre, neppure alcuno degli indici presuntivi di cui all'art. 131-bis, comma 2 del codice penale, idonei ad escludere la qualificazione dell'offesa in termini di particolare tenuita' (motivi abietti o futili, crudelta' o sevizie, minorata difesa della vittima, eventi di morte o lesioni gravissime). Sotto tale primo profilo deve ritenersi, in definitiva, che si e' trattato di una violazione di domicilio di breve durata e di scarsa entita', e che dunque si e' risolta in un'offesa decisamente lieve ai beni giuridici tutelati dalla fattispecie criminosa in questione. Quanto al secondo indice, di natura soggettiva, della non abitualita' del comportamento, non risulta agli atti che il (...), incensurato e geometra di professione, abbia gia' in passato commesso condotte della medesima indole, o comunque a questa analoghe o assimilabili, ne' tantomeno abbia gia' altrimenti beneficiato della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale. Ne' osta alla qualificazione in termini di non abitualita' del comportamento la disposizione di cui all'art. 131-bis, comma 3, del codice penale, secondo cui «Il comportamento e' abituale ... nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali o reiterate». Ed invero, nel caso di specie si e' di fronte ad un reato realizzato mediante una condotta unitaria da parte dell'indagato. In definitiva sussistono, nel caso di specie, tutti i presupposti normativi che consentirebbero l'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale, giacche' il delitto di cui all'art. 614 del codice penale e' punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, l'offesa e' di particolare tenuita' e il comportamento dell'indagato non e' abituale. 2.4. La preclusione all'applicazione della causa di non punibilita' della particolare tenuita' del fatto in ragione dell'omesso iter procedimentale previsto dall'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale: la contraria giurisprudenza di legittimita'. L'applicazione della causa di non punibilita' in questione al caso di specie e' tuttavia preclusa dal combinato disposto degli articoli 409, commi 4 e 5, 411, comma 1-bis del codice di procedura penale, come interpretato dalla Suprema Corte, che, con giurisprudenza consolidata e non contrastata, nega al giudice per le indagini preliminari la possibilita' di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, in assenza della speciale procedura «a contraddittorio anticipato» introdotta dal legislatore. Nel caso di specie, la giurisprudenza di legittimita' ritiene che «Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma primo, codice di procedura penale, e' nullo se emesso senza l'osservanza della speciale procedura prevista al comma primo bis di detta norma, non essendo le disposizioni generali contenute negli articoli 408 e seguenti del codice di procedura penale idonee a garantire il necessario contraddittorio sulla configurabilita' della causa di non punibilita' prevista dall'art. 131-bis del codice penale (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziato il provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto emesso a fronte della richiesta del pubblico ministero per insussistenza del reato)». (Sez. 5, sentenza n. 36857 del 7 luglio 2016 Cc. (dep. 5 settembre 2016) rv. 268323 - 01), non ritenendo sufficiente neppure - come avvenuto nel procedimento in epigrafe - un'attivazione del contraddittorio in udienza camerale («Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, pronunciato ai sensi dell'art. 411, comma 1 del codice di procedura penale, e' nullo se emesso senza l'osservanza della speciale procedura prevista al comma 1-bis di detta norma, non essendo le disposizioni generali contenute negli articoli 408 e seguenti del codice di procedura penale idonee a garantire il necessario contraddittorio sulla configurabilita' della causa di non punibilita' prevista dall'art. 131-bis del codice penale (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto viziata l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto emessa a seguito dell'udienza camerale fissata a seguito dell'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, nel corso della quale il giudice per le indagini preliminari aveva espressamente invitato le parti a prendere in esame anche il tema della possibile archiviazione ai sensi dell'art. 131-bis del codice penale)». (Sez. 6, sentenza n. 6959 del 16 gennaio 2018 Cc. (dep. 13 febbraio 2018) rv. 272483-01; cfr. conformi, Sez. 5, n. 40293 del 15 giugno 2017 - dep. 5 settembre 2017, (...) e altro, rv. 271010; Sez. 5, n. 36857 del 7 luglio 2016, (...), rv. 268323). Secondo la citata giurisprudenza di legittimita' il decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, nell'introdurre l'istituto di cui all'art. 131-bis del codice penale, non ha considerato l'ipotesi in cui sia il giudice per le indagini preliminari a ritenere applicabile la causa di non punibilita', in presenza di una richiesta di archiviazione del pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato. Espressamente - e si ritornera' sul punto nella parte motiva di questa ordinanza relativa alla violazione dei canoni del giusto processo - la Suprema Corte afferma che nei casi in cui il giudice per le indagini preliminari ritenga il fatto meritevole della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale, dovra' ripristinare lo schema procedimentale ordinario, restituendo gli atti al pubblico ministero e disponendo con ordinanza che, entro dieci giorni, questi formuli l'imputazione, salvo che il pubblico ministero non ritenga di presentare una nuova richiesta di archiviazione ex art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale. La Suprema Corte, in altri termini, ritiene la procedura di cui all'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale l'unico meccanismo in grado di assicurare adeguata garanzia alle prerogative della persona offesa nonche' al diritto di difesa dell'indagato, comunque inciso da un provvedimento come l'ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto non del tutto sprovvisto di conseguenze pregiudizievoli (a maggior ragione, dopo l'autorevole avallo delle Sezioni unite, secondo cui «Il provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' dei fatto ex art. 131-bis del codice penale deve essere iscritto nel casellario giudiziale, ferma restando la non menzione nei certificati rilasciati a richiesta dell'interessato, del datore di lavoro e della pubblica amministrazione.» (Sez. Un., sentenza n. 38954 del 30 maggio 2019 Cc. (dep. 24 settembre 2019) rv. 276463 - 01). La perentorieta' dell'interpretazione della Suprema Corte formatasi sulle disposizioni di cui agli articoli 409 e 411, commi 1 e 1-bis del codice di procedura penale non consente a questo giudice alternative. La giurisprudenza di legittimita', infatti, ha espressamente ritenuto illegittima l'interpretazione dei giudici di merito che, nei primi casi di applicazione del nuovo istituto, facendo leva sul generico riferimento alla possibilita' di archiviazione per tenuita' del fatto nel comma 1 dell'art. 411 del codice di procedura penale, ritennero di emettere ordinanze di archiviazione ex art. 131-bis del codice penale anche in assenza della speciale procedura di cui al comma 1-bis. La solidita' di un vero e proprio «diritto vivente» ostativo alla prospettiva ermeneutica fatta propria dallo scrivente rappresenta un fattore fondante la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale qui sollevata, sancendo l'infruttuosita' di un'interpretazione costituzionalmente orientata da parte del giudice a quo, destinata ad infrangersi contro lo scoglio di una giurisprudenza di legittimita' militante in senso opposto (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 299 del 2005). Come e' noto, infatti, in presenza di una pluralita' di pronunce conformi di legittimita' e/o di merito (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 236 del 2010, n. 23 del 2016; ordinanza n. 463 del 2002, n. 297 del 2007) nonche' di orientamenti stabilmente consolidati nella giurisprudenza (Corte costituzionale - sentenza n. 91 del 2004, n. 220 del 2015, n. 109 del 2016), l'obbligo di interpretazione conforme si intende attenuato. D'altra parte, l'utilizzo degli ordinari criteri ermeneutici - in primis, quello di specialita', avendo previsto il legislatore una peculiare forma procedimentale per la richiesta di archiviazione per tenuita' del fatto, nonche' quello storico-sistematico, ricostruttivo della originaria voluntas legis - inibisce ulteriormente qualsiasi tentativo di interpretazioni costituzionalmente orientate. Ne' puo' ritenersi praticabile, in quanto non espressamente prevista dal legislatore, ne' sollecitata dalla giurisprudenza di legittimita', una soluzione in via di prassi per la quale il giudice, al termine dell'udienza camerale, restituisca gli atti al pubblico ministero, «invitandolo» a reiterare la richiesta di archiviazione nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale. Tale possibilita' interpretativa, peraltro, si esporrebbe egualmente a dubbi di legittimita' costituzionale, piu' diffusamente esposti nel paragrafo 3.3. della presente ordinanza. Per tali ragioni, e' in definitiva rilevante nel presente giudizio la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto prima richiamato, giacche' questo, come interpretato dalla consolidata giurisprudenza di legittimita', costituisce l'unico ostacolo all'applicazione della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale al fatto per cui si procede: ove il combinato disposto venisse dichiarato costituzionalmente illegittimo, il fatto posto in essere dal F., per le ragioni in precedenza addotte, potrebbe dunque essere senz'altro considerato di particolare tenuita' e questo giudice potrebbe procedere all'archiviazione perche' il fatto non e' punibile per particolare tenuita', a seguito dello svolgimento dell'udienza camerale e previa interlocuzione delle parti comparse, sentite sul punto e che non si sono opposte ad una pronuncia in tal senso. 3. La non manifesta infondatezza della questione. Tanto premesso in punto di rilevanza della questione, ritiene lo scrivente che l'inibizione per il giudice per le indagini preliminari, previo contraddittorio in apposita udienza camerale e stante la mancata opposizione delle parti, di pronunciare ordinanza di archiviazione ex art. 131-bis del codice penale in mancanza dell'apposita procedura ex art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale sia contraria ai principi di uguaglianza e proporzionalita' (art. 3 della Costituzione), di responsabilita' per il fatto e personalita' della responsabilita' penale (articoli 25, comma 2 e 27, comma 1, della Costituzione), della finalita' rieducativa della pena (art. 27, comma 3 della Costituzione), nonche' di ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), anche in riferimento ai principi e criteri direttivi della legge delega (art. 76 della Costituzione), di ragionevole durata del processo (art. 101 della Costituzione e 6 CEDU, per il tramite dell'art. 117 della Costituzione) e di soggezione dei giudici esclusivamente alla legge (art. 101 della Costituzione). 3.1. I principi sostanziali e processuali ispiratori dell'istituto della non punibilita' per particolare tenuita' del fatto. Al solo fine di rendere piu' agevole l'esposizione dei dubbi di legittimita' costituzionale nutriti da questo giudice, appare opportuno premettere qualche breve considerazione sulla figura della particolare tenuita' del fatto. Com'e' noto, con l'introduzione dell'art. 131-bis del codice penale ad opera del decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, emanato in attuazione della delega contenuta nella legge 28 aprile 2014, n. 67, il legislatore ha finalmente introdotto nel sistema penale comune italiano una disciplina, invero sollecitata da decenni dalla dottrina penalistica, per le c.d. microviolazioni non autonome. La soluzione dommatica prescelta dal legislatore delegante e da quello delegato e' stata l'introduzione di una causa generale di non punibilita' (su tale pacifica natura giuridica cfr. Cassazione pen., Sez. Un., sentenza n. 13681/16, (...) nonche' Corte costituzionale, sentenza n. 207 del 2017). Si tratta di una norma di parte generale che, combinata di volta in volta con le singole fattispecie criminose, delinea la fisionomia dell'illecito bagatellare non punibile, vale a dire quel fatto-reato che - mutuando delle efficaci espressioni impiegate dalla dottrina penalistica tedesca - pur essendo in astratto «meritevole di pena» (strafwürdig) in quanto offensivo di un bene giuridico degno di tutela penale, per l'esiguita' dell'offesa ad esso in concreto arrecata e per il grado di responsabilita' individuale, non ne e' in concreto «bisognoso» (strafbedürftig) - rectius, non e' bisognoso di una pena come quella delineata dall'art. 27, comma 3 della Costituzione, orientata alla rieducazione, e non alla mera retribuzione per il fatto commesso. La rinuncia dell'ordinamento all'applicazione di una pena per fatti di scarsa gravita' costituisce dunque l'attuazione dei principi, di rango costituzionale, di sussidiarieta' (o extrema ratio) del diritto penale e di proporzionalita', inteso nella sua componente tripartita della idoneita' (Geeignetheit), della necessita' (Erforderlichkeit) e della proporzione in senso stretto (Verhältnismäβigkeit im engeren Sinne), intimamente connessi, come meglio si tentera' di porre in evidenza, ai principi di responsabilita' per il fatto (art. 25, comma 2 della Costituzione), di personalita' della responsabilita' penale (art. 27, comma 1, della Costituzione) e a quello rieducativo (art. 27, comma 3 della Costituzione). Come gia' anticipato in punto di rilevanza della questione, il legislatore ha tracciato il campo applicativo della causa di non punibilita' in esame ancorando il suo riconoscimento a tre distinte condizioni, tra loro cumulative (art. 131-bis, comma 1 del codice penale): 1) che si tratti di reato punito con pena detentiva non superiore nel massimo a cinque armi, ovvero con pena pecuniaria, sola o congiunta alla prima; 2) che l'offesa sia di particolare tenuita', tenuto conto della gravita' del danno o del pericolo e delle modalita' della condotta; 3) che il comportamento non sia abituale. La valutazione legislativa circa la particolare tenuita' del fatto e' dunque fondata su tre criteri quantitativo-qualitativi di selezione dell'illecito penale bagatellare: il primo e' di natura astratta, in quanto agganciato all'entita' della pena detentiva massima comminata; il secondo e il terzo sono invece di natura concreta, in quanto ancorati alla scarsa gravita' oggettiva e soggettiva dell'illecito hic et nunc considerato, desunte dagli indici-criteri della tenuita' dell'offesa (a sua volta da valutarsi in base agli indici-requisiti dell'entita' del danno o del pericolo cagionato e delle modalita' non allarmanti della condotta, id est del disvalore d'evento e del disvalore oggettivo d'azione) e della non abitualita' del comportamento (id est, della non pericolosita' dell'autore). Dall'analisi di tali criteri emerge dunque che il legislatore, in linea con una concezione gradualistica dell'illecito nelle sue componenti sia oggettive che soggettive, ha considerato suscettibili di essere considerati di particolare tenuita' reati - rectius fatti - appartenenti ad un'ampia ed eterogenea macro-categoria, ad oggi delimitata dalla circostanza che la relativa pena detentiva edittale massima non sia superiore a cinque anni: al di sopra di tale limite vi e' una presunzione assoluta di non particolare tenuita' del fatto, che la Corte costituzionale ha gia' avuto modo di ritenere di per se' non irragionevole (sentenza n. 207 del 2017). Al di sotto di tale limite, invece, qualsiasi reato puo' essere considerato in concreto di particolare tenuita', ove il fatto storico conforme alla fattispecie incriminatrice sia caratterizzato dagli indici-criteri della tenuita' dell'offesa e della non abitualita' del comportamento, la cui ricorrenza va di conseguenza accertata, di volta in volta, dal giudice mediante una «valutazione mirata sulla manifestazione del reato, sulle sue conseguenze», dal momento che «... non esiste un'offesa tenue o grave in chiave archetipica. E' la concreta manifestazione del reato che ne segna il disvalore», di talche' al di sotto del limite di pena detentiva massima di cinque anni «non si da' tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalita' della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l'applicazione del nuovo istituto» (in termini Cassazione pen., Sez. Un., (...), cit.). E' pertanto inevitabile che, nella valutazione di tali indicatori, analogamente a quanto avviene - e non a caso - in fase di commisurazione della pena, il giudice (e non il pubblico ministero, si ritornera' sul punto ultra) goda di un ampio margine di apprezzamento, strettamente connesso alla variegata gamma di possibili manifestazioni concrete di una medesima fattispecie di reato, fatte salve le sole presunzioni assolute di non particolare tenuita' dell'offesa previste dall'art. 131-bis, comma 2 del codice penale («L'offesa non puo' essere ritenuta di particolare tenuita' ai sensi del primo comma ...») e di abitualita' del comportamento, previste dal comma 3 («Il comportamento e' abituale ...»). In altri termini, nell'ottica sostanzialistica ed assiologicamente orientata espressiva del volto costituzionale del diritto penale, la gravita' di un fatto-reato, e con essa la risposta sanzionatoria approntata dall'ordinamento, dipende, in astratto, dal grado di meritevolezza del bene giuridico tutelato e dal tipo di elemento psicologico richiesto dalla fattispecie (elementi valutati in astratto dal legislatore, mediante la previsione di differenziate cornici edittali); e, in concreto, dalla gravita' dell'offesa arrecata al bene, dalle modalita' della condotta, dall'intensita' dell'elemento psicologico, nonche' dal grado di responsabilita' colpevole del suo autore: in altri termini, dalla specificita' della concreta e irripetibile modalita' di manifestazione dell'illecito nella realta' fenomenica, perche', come ricordato dalle stesse Sezioni unite della Suprema Corte («l'uomo deve essere condannato secondo la verita' e non secondo le presunzioni» (Cass. pen., Sez. Un., (...), cit.). Tali connotazioni sostanziali dell'istituto della causa di non punibilita' per particolare tenuita' del fatto si riallacciano, strettamente, altresi' ad esigenze processualistiche, rappresentate dagli ideali, espressione di una matura civilta' giuridica liberale, per cui il processo rappresenta di per se' una pena per un soggetto presunto innocente e, in un'ottica di costi-benefici non solo economici ma soprattutto umani, la «risorsa Giustizia» e' caratterizzata da finitezza e deve essere, dunque, amministrata con proporzionalita' e ragionevolezza. Come testualmente sancito nella relazione illustrativa al decreto legislativo «... sotto il profilo processuale, l'istituto dell'irrilevanza contribuisce a realizzare l'esigenza di alleggerimento del carico giudiziario nella misura in cui la definizione del procedimento tende a collocarsi nelle sue prime fasi. Peraltro, la definizione anticipata per irrilevanza del fatto, oltre a soddisfare esigenze di deflazione processuale, risulta del tutto consentanea anche al principio di proporzione, essendo il dispendio di energie processuali per fatti bagatellari sproporzionato sia per l'ordinamento sia per l'autore, costretto a sopportare il peso anche psicologico del processo a suo carico». Cio' premesso in via generale, a fronte di un fatto di reato suscettibile di valutazione ai sensi dell'art. 131-bis del codice di procedura penale, il gia' citato combinato disposto degli articoli 409 e 411 del codice di procedura penale, come interpretato dalla giurisprudenza di legittimita', impedisce al giudice per le indagini preliminari l'applicazione dell'istituto in ragione di un approccio eminentemente formalistico che, tuttavia, come si vedra' nel prosieguo della motivazione, ad avviso di questo giudice finisce per frustrare quelle legittime esigenze, sostanziali e processuali, che l'ordito normativo di riferimento dovrebbe contribuire a difendere. 3.2. La violazione del principio di ragionevolezza intrinseca: le finalita' sostanziali della legge delega (articoli 3, 27, commi 1 e 3, 76 della Costituzione). Il combinato disposto normativo oggetto della presente ordinanza presenta evidenti profili di irragionevolezza intrinseca, in quanto reca un portato ermeneutico in contrasto con le finalita' sostanziali e processuali poste a fondamento dell'istituto. D'altronde, come da tempo la stessa Corte costituzionale ha inequivocabilmente affermato «Il principio di proporzionalita' [va] inteso [...] anche e soprattutto, quale "criterio generale" di congruenza degli strumenti normativi rispetto alle finalita' da perseguire» (Corte costituzionale, sentenza n. 487 del 1989). Con riferimento alle finalita' sostanziali «tradite» dal combinato disposto degli articoli 409 e 411 del codice di procedura penale, va rilevato che esso preclude al giudice per le indagini preliminari in sede di udienza camerale un vaglio individualizzante del singolo e irripetibile fatto storico portato alla sua attenzione, costringendolo cosi' ad imbastire un processo finalizzato all'applicazione di una pena virtualmente sproporzionata nell'an ancor prima che nel quantum, poiche' da applicare ad un fatto che, in base ai criteri generali fissati dal medesimo legislatore, non ne e' invece «bisognoso»: cio' determina una violazione non soltanto del principio di uguaglianza, sub specie di ragionevolezza e proporzione, ma anche dei principi di personalita' della responsabilita' penale e della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, commi 1 e 3 della Costituzione. Infatti, l'individualizzazione del trattamento sanzionatorio costituisce evidente attuazione del «mandato costituzionale di "personalita'" della responsabilita' penale di cui all'art. 27, primo comma della Costituzione» (Corte costituzionale, sentenza n. 222 del 2018); al contempo, «... una pena non proporzionata alla gravita' del fatto (e non percepita come tale dal condannato) si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa» (Corte costituzionale, ult. cit.; ma v. gia', ex multis, sentenza n. 236 del 2016 e n. 68 del 2012). E come ormai da tempo la Corte, superando la concezione c.d. polifunzionale della pena, ha inequivocabilmente affermato, il rispetto della finalita' rieducativa della pena di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione, implica e al contempo impone un «"principio di proporzione" tra qualita' e quantita' della sanzione, da una parte, e offesa, dall'altra» e, «lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue» (Corte costituzionale, sentenza n. 313 del 1990). Come, da ultimo, la giurisprudenza costituzionale ha vigorosamente rimarcato «... allorche' le pene comminate appaiano manifestamente sproporzionate rispetto alla gravita' del fatto previsto quale reato, si profila un contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, giacche' una pena non proporzionata alla gravita' del fatto si risolve in un ostacolo alla sua funzione rieducativa (ex multis, sentenze n. 236 del 2016, n. 68 del 2012 e n. 341 del 1994). I principi di cui agli articoli 3 e 27 della Costituzione «esigono di contenere la privazione della liberta' e la sofferenza inflitta alla persona umana nella misura minima necessaria e sempre allo scopo di favorirne il cammino di recupero, riparazione, riconciliazione e reinserimento sociale» (sentenza n. 179 del 2017) in vista del «progressivo reinserimento armonico della persona nella societa', che costituisce, l'essenza della finalita' rieducativa» della pena (da ultimo, sentenza n. 149 del 2018). Al raggiungimento di tale impegnativo obiettivo posto dai principi costituzionali e' di ostacolo l'espiazione di una pena oggettivamente non proporzionata alla gravita' del fatto, quindi, soggettivamente percepita come ingiusta e inutilmente vessatoria e, dunque, destinata a non realizzare lo scopo rieducativo verso cui obbligatoriamente deve tendere» (sentenza n. 40 del 2019; v., da ultimo, sentenza n. 102/2020). Questo giudice non ignora che, in sede di udienza camerale ex art. 409 del codice di procedura penale, lo scrivente non e' chiamato ad irrogare concretamente una pena nei confronti dell'indagato. Tuttavia, l'inibizione della formula archiviativa per particolare tenuita' del fatto, in uno con l'imposizione nei confronti dell'indagato di un «immeritato processo» mediante il ricorso all'imputazione coatta, professato dalla giurisprudenza di legittimita', costituiscono, a sommesso avviso dello scrivente, parimenti delle violazioni dei principi sopra richiamati, nella parte in cui non consentono al giudice per le indagini preliminari di «disapplicare» un virtuale trattamento sanzionatorio nei confronti dell'indagato, che nel caso concreto risulterebbe sproporzionato. Ebbene, la potenziale applicazione di una pena, anche minima (mediante un processo, anche breve) all'autore di un illecito considerato di particolare tenuita' alla luce dei criteri previsti dallo stesso ordinamento, e dunque di essa non bisognoso, costituisce una reazione sproporzionata dell'ordinamento, che sacrifica e banalizza la liberta' personale dell'individuo, dichiarata «inviolabile» dall'art. 13 della Costituzione, a fronte di fatti che non dimostrano alcun reale bisogno di pena: la sua inflizione (peraltro appannaggio di un giudice «diverso» da quello chiamato a valutare la richiesta di archiviazione del pubblico ministero) realizzerebbe, pertanto, un ingiustificato, inutile e intollerabile sacrificio della liberta' personale, in violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalita', di personalita' della responsabilita' penale e di rieducazione, oltre che di sussidiarieta' del diritto penale o extrema ratio, il quale esige che la sanzione piu' grave di cui l'ordinamento dispone sia attivata esclusivamente in relazione a fatti realmente bisognosi di pena, in mancanza di strumenti alternativi di tutela (cfr., per tutte, la sentenza n. 364 del 1988). Piuttosto, l'applicazione di una pena sproporzionata in se' in quanto non necessaria per il perseguimento delle finalita' di risocializzazione di cui all'art. 27, comma 3 della Costituzione - e con essa la celebrazione del relativo processo - assume un significato eminentemente simbolico (benche' simbolici non siano affatto i risultati concreti che essa produce sulle persone «in carne ed ossa»), nulla apportando alla concreta tutela dei diritti fondamentali dei soggetti coinvolti. Appare appena il caso di sottolineare che tali rationes sottese all'introduzione dell'istituto costituiscono il plafond dei principi e criteri direttivi della legge n. 67 del 2014, palesemente violati - con conseguente violazione altresi' dell'art. 76 della Costituzione - dal combinato disposto in questione. 3.3. La violazione del principio di ragionevolezza intrinseca: le finalita' processuali della legge delega (articoli 3, 76, 101, 111, 117 della Costituzione; art. 6 CEDU). Tra gli effetti distorsivi del combinato disposto normativo oggetto della presente ordinanza di rimessione molteplici investono la struttura processuale dell'istituto della particolare tenuita' del fatto. Come gia' esposto in precedenza, la possibilita' per il giudice delle indagini preliminari di procedere ad una archiviazione per particolare tenuita' del fatto residua, a tutti gli effetti, nell'esclusivo appannaggio della discrezionalita' del magistrato inquirente. Questo giudice non ignora che il legislatore conserva un margine di discrezionalita' nel configurare l'iter procedimentale da percorrere per l'applicazione di una causa di non punibilita' (cfr. ordinanza n. 238 del 2019). Tuttavia, anche in tali ambiti le scelte legislative devono rispettare il limite della ragionevolezza, come pure la stessa Corte costituzionale ha piu' volte ribadito [ex multis, sentenza n. 185 del 2015: «Secondo la costante giurisprudenza costituzionale, l'individuazione delle condotte punibili e la configurazione del relativo trattamento sanzionatorio rientrano nella discrezionalita' legislativa, il cui esercizio non puo' formare oggetto di sindacato, sul piano della legittimita' costituzionale, salvo che si traduca in scelte manifestamente irragionevoli o arbitrarie (ex multis: sentenze n. 68 del 2012, n. 47 del 2010, n. 161 del 2009, n. 22 del 2007 e n. 394 del 2006)»]. Ebbene, come subito piu' dettagliatamente si illustrera' facendo applicazione dei suddetti criteri direttivi tracciati dalla Corte, l'inibizione per il giudice delle indagini preliminari di procedere all'archiviazione per particolare tenuita' del fatto in mancanza della procedura ex art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale ma a seguito dell'espletamento del contraddittorio in apposita udienza camerale, nel corso della quale l'indagato non si e' opposto ad una tale pronuncia, sembra costituire una di quelle «manifeste ragioni di irrazionalita' o discriminazioni prive di fondamento giuridico, che sole potrebbero consentire di sindacare [l'] ampio potere discrezionale riservato al legislatore» (sentenza n. 175 del 1997, ma anche n. 416 del 1996; n. 295 e n. 188 del 1995), in riferimento alla quale sarebbe consentita alla Corte «una valutazione di legittimita' costituzionale [...] fondata soltanto su una irrazionalita' manifesta, irrefutabile» (sentenza n. 46 del 1993, ma anche n. 236 del 2008, n. 81 del 1992, n. 206 del 1999). Di talche', tale inibizione per il giudice per le indagini preliminari, da un lato, spiana la strada ad una disciplina irragionevolmente differenziata in casi identici, a seconda della diversita' dell'iter procedimentale prescelto dal pubblico ministero; dall'altro, e di conseguenza, introduce un automatismo che costringe il giudice per le indagini preliminari a procedere ad un'imputazione coatta, del tutto dissonante rispetto alle esigenze processuali poste a base dell'istituto. Quanto all'irragionevolezza intrinseca, non sembra esservi innanzitutto alcuna ratio giustificatrice del meccanismo preclusivo disegnato dal combinato disposto degli articoli 409 e 411, comma 1-bis del codice di procedura penale. Il legislatore mostra di voler tutelare le esigenze sottese all'applicazione dell'art. 131-bis del codice penale nella fase delle indagini mediante il ricorso ad un contraddittorio - preventivo e cartolare - quale quello previsto dall'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale. Come e' pacificamente affermato tanto in dottrina quanto in giurisprudenza, tuttavia, le parti processuali, informate della richiesta di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, non assumono alcun potere di veto rispetto alla declaratoria del giudice, potendo soltanto prendere visione degli atti e presentare opposizione, indicando le ragioni del dissenso. Orbene, la giurisprudenza di legittimita', ritenendo nullo il provvedimento di archiviazione per particolare tenuita' del fatto pronunciato a seguito di apposita udienza camerale fissata dal giudice dopo una richiesta di archiviazione per infondatezza della notitia criminis, di fatto ha rifiutato l'equipollenza tra un contraddittorio preventivo e cartolare ed un contraddittorio tra le parti, dinnanzi al giudice, per certi versi, maggiormente «informato» ed efficace. La negazione di tale equipollenza non e' dunque ancorata ad alcun vincolo di realta', non e' supportata e giustificata da alcun criterio logico-giuridico razionale: essa risulta, percio', irragionevole e arbitraria, animata da un atteggiamento interpretativo fondamentalmente formalista, a maggior ragione nei casi, quali quello all'attenzione di questo giudice, in cui l'indagato per il tramite del suo difensore non si e' opposto ad una pronuncia di archiviazione ex art. 131-bis del codice di procedura penale, ne' ha chiesto, pur potendolo, un rinvio del procedimento al fine di documentare la sua eventuale opposizione. Parimenti faceva la persona offesa. L'imprescindibilita' di un contraddittorio «previamente informato», nel caso dell'archiviazione per particolare tenuita' del fatto, affinche' l'indagato e la persona offesa possano presentare al giudice i motivi del loro eventuale dissenso non tiene conto delle irragionevoli disparita' di trattamento rispetto alle ipotesi in cui, nelle ulteriori fasi processuali, la pronuncia ex art. 131-bis del codice penale puo' intervenire ex officio, addirittura senza alcun contraddittorio sul punto (cfr. Cassazione - Sez. 1, n. 27752 del 9 maggio 2017, (...), rv. 270271; Sez. 6, n. 7606 del 16 dicembre 2016, (...), rv. 269164; Sez. 5, n. 5800 del 2 luglio 2015, dep. 2016, (...), rv. 267989, secondo cui la Suprema Corte nel giudizio di legittimita' puo' dichiarare d'ufficio la particolare tenuita' del fatto col conseguente annullamento senza rinvio della sentenza di condanna quando dalla analisi della vicenda giudicata siano deducibili, immediatamente e senza ricorso ad ulteriori accertamenti fattuali, i presupposti richiesti dall'art. 131-bis del codice penale, in quanto tale accertamento «attiene alla corrispondenza del fatto, nel suo minimo di tipicita', al modello legale di una fattispecie incriminatrice».), ovvero, in modo analogo a quanto avvenuto nell'udienza celebrata ex art. 409, comma 2 del codice di procedura penale dallo scrivente, sentendo le parti comparse, ivi inclusa la persona offesa, e registrando la mancata opposizione dell'indagato (non essendo comparso il pubblico ministero), in modo sostanzialmente analogo al subprocedimento disciplinato dall'art. 469, comma 1-bis del codice di procedura penale. L'impossibilita' di procedere ad una archiviazione per particolare tenuita' del fatto in mancanza dell'apposita richiesta ex art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale si traduce, per giunta, in un eguale trattamento di situazioni eterogenee, rimesso alla discrezionalita' del pubblico ministero, parte del procedimento: non consentendo al giudice per le indagini preliminari in sede di udienza camerale ex art. 409 del codice di procedura penale di apprezzare i profili di particolare tenuita' dell'offesa, pur emergenti nel caso concreto sottoposto al suo vaglio, il combinato disposto censurato impone al giudice (e all'indagato) un processo, alla medesima stregua di fatti connotati da un disvalore oggettivo effettivamente superiore alla soglia della particolare tenuita' dell'offesa e, come tali, meritevoli di accertamento processuale e di eventuale sanzione. Ma siffatta irragionevolezza emerge soprattutto dalla circostanza che rispetto a fatti analoghi, caratterizzati da paragonabili bassi gradi di offesa e di colpevolezza - e che dunque sembrano poter essere correttamente elevati a tertia comparationis - risulta tuttora applicabile la causa di non punibilita' prevista dall'art. 131-bis del codice penale in sede di archiviazione, purche' il pubblico ministero abbia proceduto nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale: l'ordito normativo censurato determina, pertanto, anche un trattamento differenziato di situazioni omogenee, parimenti rimesso all'iniziativa dell'ufficio di procura. In definitiva, per le ragioni sinora esposte, il combinato disposto qui censurato appare caratterizzato altresi' da un'irragionevolezza estrinseca, giacche' determina, al contempo, un irragionevole trattamento differenziato di situazioni omogenee e un irragionevole trattamento omogeneo di situazioni differenti, e percio' anche sotto tale profilo si pone in contrasto con l'art. 3 della Costituzione. A tali considerazioni deve aggiungersi che il portato di irragionevolezza del combinato disposto qui censurato deriva da una evidente distorsione nell'assetto ordinamentale dei rapporti tra pubblico ministero e giudicante, nello specifico ambito dell'applicazione della particolare tenuita' del fatto, con conseguenziale violazione del disposto dell'art. 101 della Costituzione secondo il quale i giudici sono sottoposti esclusivamente alla legge. Come riconosciuto dalla stessa giurisprudenza di legittimita', infatti, il potere di verificare la sussistenza delle condizioni per procedere all'applicazione dell'art. 131-bis del codice penale e' espressa prerogativa del magistrato giudicante, quale caratteristica intrinseca dello ius dicere «il potere di qualificazione giuridica del fatto e' "connaturale all'esercizio della giurisdizione": e' prerogativa che compete al giudice in tutte le fasi ed in tutti i gradi del processo, e, quale controllo di legalita' sui risultati delle indagini nella loro totalita', non puo' intendersi in senso restrittivo come individuazione del solo corretto nomen iuris da attribuire al fatto, ma investe anche gli elementi accidentali e la concreta punibilita' del soggetto imputato.» (Sez. Un., sentenza n. 20569 del 18 gennaio 2018 Cc. (dep. 9 maggio 2018) rv. 272715 - 0). «A ben vedere il riscontro sulla lesivita' dell'illecito contestato nell'imputazione, al fine di un'eventuale archiviazione del procedimento, (...) non implica alcuna invasione delle attribuzioni dell'organo requirente, ma appartiene all'attivita' di qualificazione giuridica del fatto di reato, nel senso che, una volta condotta la ricognizione degli elementi costitutivi della fattispecie tipica, nel caso concreto perfettamente integrata e riferibile al comportamento dell'imputato, il giudice procede alla considerazione dell'effettivo disvalore del comportamento antigiuridico, presupposto di applicabilita' della causa di non punibilita' di cui all'art. 131-bis del codice penale. In altri termini, come si e' gia' avuto modo di affermare, il giudizio sulla tenuita' offensiva della condotta antigiuridica non riguarda la ricostruzione della dimensione storico-naturalistica e l'identificazione della sua componente materiale, ma la valutazione del grado maggiore o minore di aggressione del bene giuridico protetto e della complessiva manifestazione dell'attivita' criminosa al fine di riscontrare se, attraverso una «ponderazione quantitativa rapportata al disvalore di azione, a quello di evento, nonche' al grado di colpevolezza», l'incidenza lesiva, insita nel fatto rientrante nel tipo legale di illecito, sia talmente esigua da non meritare punizione» (cfr., Sez. Un., n. 13681 del 25 febbraio 2016, (...), rv. 266590). Nel caso di specie, invece, tale connotazione eminentemente giurisdizionale e' filtrata dalla preventiva scelta del pubblico ministero che, adottando un iter procedimentale anziche' un altro nella procedura di archiviazione, puo' impedire al giudice per le indagini preliminari una completa disamina della notitia criminis e delle conseguenze giuridiche che ne conseguono. Tale articolazione normativa rappresenta un ulteriore indice di incostituzionalita' del combinato disposto qui censurato, atteso che, come ricordato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (Corte costituzionale - sentenza n. 148/1963) il pubblico ministero non e' titolare della potesta' di giudicare e, dunque, non trovano applicazione in suo favore le garanzie degli articoli 101, comma 2 della Costituzione e 25 della Costituzione, bensi' quelle diverse - parimenti rilevanti - rappresentate dagli articoli 104, 107, comma 4 e 112 della Costituzione, le quali, come sottolineato da accorta dottrina, forniscono una indicazione netta nel senso della distinzione e separazione (tra pubblico ministero e giudice), giacche' «se il pubblico ministero e' titolare del diritto di azione, egli e' percio' stesso estraneo all'esercizio della giurisdizione: perche' tale esercizio e' provocato dall'azione, ma da questa nettamente si distingue». Il combinato disposto qui censurato nella lettura fornita dalla giurisprudenza di legittimita', inoltre, si pone in aperta dissonanza rispetto ai piu' autorevoli avalli della Suprema Corte che, nel delineare il delicato equilibrio di rapporti istituzionali e funzionali tra ufficio di procura e ufficio del giudice per le indagini preliminari, ha definitivamente escluso una logica di formalistica corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato. Le Sezioni unite della Suprema Corte, infatti, hanno affermato che «in sede di archiviazione, il sindacato del giudice riguarda l'integralita' dei risultati dell'indagine, restando esclusa qualsiasi possibilita' di ritenere che un simile apprezzamento debba circoscriversi all'interno dei soli confini tracciati dalla notitia criminis delineata dal pubblico ministero, ed ha aggiunto che il thema decidendum che investe il giudice non si modella in funzione dell'ordinario dovere di pronunciarsi su di una specifica domanda, ma del piu' ampio potere di apprezzare se, in concreto, le risultanze dell'attivita' compiuta nel corso delle indagini preliminari siano o meno esaurienti ai fini della legittimita' della "inazione" del pubblico ministero. La questione dei rapporti tra giudice per le indagini preliminari e pubblico ministero in sede di archiviazione, quindi, non sembra essere tanto quella dell'oggetto (intera notizia di reato o soltanto imputazione elevata del pubblico ministero), quanto piuttosto quella del rapporto: esercizio azione penale - controllo giudiziale. Appare di tutta evidenza che il giudice per le indagini preliminari non puo' limitarsi ad un semplice esame della richiesta finale del pubblico ministero, ma deve esercitare il suo controllo sul complesso degli atti procedimentali rimessigli dallo stesso pubblico ministero; e', d'altro canto, del tutto evidente che non puo' prendere egli l'iniziativa di esercitare l'azione penale in nome e per conto del pubblico ministero» (Sez. Un., sentenza n. 22909 del 31 maggio 2005 Cc. (dep. 17 giugno 2005) rv. 231163 - 0). Il meccanismo procedimentale di cui all'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale - unicum nel sottosistema processuale delineato dal legislatore per disciplinare l'istituto della particolare tenuita' del fatto - espone il fianco ad evidenti profili di irragionevolezza intrinseca ed estrinseca, per giunta veicolati attraverso un'indebita attribuzione al magistrato inquirente (a detrimento, invece, delle prerogative di quello giudicante) di potesta' non connesse alle ragioni di esercizio dell'azione penale, bensi' stricto sensu giurisdizionali. Infine, il combinato disposto qui censurato si pone altresi' in contrasto con il principio di ragionevole durata del processo e, di conseguenza, con la finalita' di deflazione processuale posta a fondamento dell'istituto di cui all'art. 131-bis del codice penale. Come sostenuto dalla giurisprudenza costituzionale, la ragionevole durata e' oggetto, «oltreche' di un interesse collettivo, di un diritto di tutte le parti, costituzionalmente tutelato non meno di quello ad un giudizio equo e imparziale, come oggi espressamente risulta dal dettato dell'art. 111, comma 2 della Costituzione» (Corte costituzionale, 21 marzo 2002, n. 78, altresi' Corte costituzionale, 26 aprile 2018, n. 88). La garanzia in esame e' funzionale, come piu' volte affermato anche dalla giurisprudenza sovranazionale, a tutelare il relativo titolare «dal rischio di restare troppo a lungo nell'incertezza della propria sorte» (C. eur., 10 novembre 1969, Stogmuller c. Austria, § 5: «in criminal matters, especially, it is designed to avoid that a person charged should remain too long in a state of uncertainty about his fate»), sul presupposto che tale condizione nel processo penale - a prescindere dall'esito piu' o meno fausto - sia di per se' fonte di sofferenza individuale. Il principio, come e' noto, affonda le sue radici non solo nell'art. 111, comma 2 della Costituzione, ma altresi' in una congerie di norme internazionale, parimenti violate dal combinato disposto qui censurato (art. 6 CEDU per il tramite dell'art. 117 della Costituzione, art. 47 CDFUE, nonche' art. 14, lettera c) del Patto internazionale sui diritti civili e politici) e, per pacifica giurisprudenza costituzionale e convenzionale, si estende altresi' a tutela dell'indagato che abbia avuto conoscenza del procedimento a suo carico (Corte costituzionale, 23 luglio 2015, n. 184) - come nel caso di specie, a seguito della notifica del decreto di fissazione dell'udienza camerale ex art. 409, comma 2 del codice di procedura penale - e non del solo imputato (Corte EDU, 15 luglio 1982, Eckle c. Germania, § 73, secondo cui i termini «charge» e «charged» alludono a: «the official notification given to an individual by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence, a definition that also corresponds to the test whether "the situation of the [suspect] has been substantially affected"». V. anche C. eur., 10 dicembre 1982, (...) c. Italia, § 34. Piu' di recente, Corte EDU, 5 ottobre 2017, Kaleja c. Lettonia, § 36: «The Court reiterates that in criminal matters, the "reasonable time" referred to in Article 6 § 1 begins to run as soon as a person is "charged". A "criminal charge" exists from the moment that an individual is officially notified by the competent authority of an allegation that he has committed a criminal offence, or from the point at which his situation has been substantially affected by actions taken by the authorities as a result of a suspicion against him»; cfr. anche, da ultimo, Corte EDU, 20 giugno 2019, Chiarello c. Germania, § 44). Il principio della ragionevole durata del processo, come interpretato dalla giurisprudenza convenzionale, obbliga gli Stati membri, in primo luogo, «a organizzare il loro sistema giudiziario in modo che le giurisdizioni possano assolvere all'esigenza di celebrare i processi in termini ragionevoli» (C. eur., GC, 29 marzo 2006, (...) c. Italia, cit., in particolare §§ 183-187), prescrivendo al legislatore di porre le condizioni ordinamentali, organizzative e processuali piu' idonee al conseguimento degli obiettivi connessi ad un congruo accertamento processuale. Cio' premesso, a causa dell'inibizione per il giudice delle indagini preliminari di disporre l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto a seguito di una richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero per infondatezza della notizia di reato nonostante la mancata opposizione dell'indagato e sentita la persona offesa, non soltanto non sono raggiunte le finalita' di deflazione processuale, ma in misura deteriore il procedimento assume una durata contraria alle sue stesse finalita' e, per cio' solo, irragionevole. Il diritto vivente qui censurato, infatti, impone al giudice per le indagini preliminari che ritenga il fatto alla sua attenzione meritevole della causa di non punibilita' ex art. 131-bis del codice penale - e dunque, sussistente in tutti i suoi elementi oggettivi e soggettivi - di disporre l'imputazione coatta, imponendo, di fatto, il processo. A tal punto, gli scenari che si prospettano sono essenzialmente due, ed entrambi forieri di violazioni costituzionali. Presumibilmente (e nella migliore delle ipotesi), l'imputato sara' destinatario di una pronuncia di proscioglimento per particolare tenuita' del fatto nelle successive fasi processuali: risultano evidenti le frizioni con le rationes di deflazione e di ragionevole durata del processo, essendosi ottenuto un risultato gia' ottenibile senza il conseguente dispendio di energie processuali. Nella peggiore delle ipotesi, il preliminare giudizio di particolare tenuita' del fatto svolto dal giudice per le indagini preliminari non si inverera' nelle successive fasi processuali, esponendo l'imputato all'applicazione di una sanzione penale, nonostante un vaglio giurisdizionale di segno contrario - peraltro, effettuato da un giudice che, per connotazione processuale, ha cognizione piena e originaria di tutti gli atti - con patente violazione dei principi costituzionali di matrice sostanziale dell'istituto gia' prima esposti. Ne' appare una valida obiezione sostenere che tali rischi svanirebbero se il giudice per le indagini preliminari restituisse gli atti al pubblico ministero, «invitandolo» a reiterare la richiesta di archiviazione nelle forme di cui all'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale. In primo luogo, come gia' si e' avuto modo di accennare nel paragrafo 2.4. della presente ordinanza, dedicato ad evidenziare la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale qui sollevata, tale soluzione risulterebbe del tutto praeter legem, in quanto il disposto codicistico non prevede tale possibilita', contemplata, invece, soltanto nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari non condivida la richiesta di archiviazione ex art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale. In secondo luogo, tale soluzione in via di prassi, oltre a non essere prevista dalla norma ne' sostenuta dalla giurisprudenza di legittimita', non salverebbe il combinato disposto qui censurato dai dubbi di costituzionalita', atteso che, a maggior ragione nei casi quali quello di specie, in cui l'indagato, al pari della persona offesa, ha gia' manifestato la sua non opposizione alla pronuncia di un'ordinanza di archiviazione ex art. 131-bis del codice penale, si sostanzierebbe in una irragionevole protrazione del procedimento a carico dell'indagato, con violazione del principio costituzionale di cui all'art. 111 del codice di procedura penale. Peraltro, l'applicazione dell'istituto sarebbe nuovamente rimessa alla discrezionalita' del pubblico ministero, il quale ben potrebbe soprassedere all'invito interlocutorio da parte del giudice per le indagini preliminari, reiterando la richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato. Ne' tale soluzione potrebbe dirsi funzionale a tutelare le esigenze del contraddittorio in favore della persona offesa, che nel presente procedimento e' stato comunque espletato - analogamente a quanto accade con riferimento ai diversi «moduli procedimentali» di applicazione dell'art. 131-bis del codice penale prima menzionati, nei quali giammai la persona offesa ha un potere di veto all'emissione di una pronuncia per particolare tenuita' del fatto - ne' in questa sede la difesa della persona offesa (che peraltro nessun atto di opposizione ha presentato nel presente procedimento) ha chiesto alcun termine a difesa per la prospettazione di eventuali profili di dissenso, dichiarando di non opporsi alla pronuncia dell'ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto. Infine, non puo' sottacersi che un eventuale accoglimento della questione di legittimita' qui presentata, oltre a porre rimedio alle violazioni dei principi costituzionali menzionate, costituirebbe, in una prospettiva di analisi economica del diritto, una proattiva innovazione giuridica che, ben lungi dall'infirmare l'assetto procedimentale delineato dal legislatore per l'istituto della particolare tenuita' del fatto, vi si innesterebbe armonicamente, potenziandone l'applicazione. Ed infatti, la normativa di risulta nell'applicazione dell'istituto della particolare tenuita' del fatto nella fase delle indagini preliminari verrebbe a comporsi di due «binari procedimentali», perfettamente sinergici. Laddove il pubblico ministero decidesse di richiedere l'archiviazione per particolare tenuita' del fatto ai sensi dell'art. 411, comma 1-bis del codice di procedura penale, instaurando il contraddittorio preventivo e cartolare previsto dalla norma, nulla vieterebbe al giudice per le indagini preliminari che condivida la richiesta, in assenza di opposizione delle parti ovvero in presenza di opposizione inammissibile, di provvedere con decreto motivato di archiviazione, fatti salvi gli ulteriori provvedimenti previsti dal legislatore in caso di opposizione ammissibile o di mancata condivisione della richiesta di archiviazione da parte del giudice per le indagini preliminari. Laddove il pubblico ministero decidesse, invece, di richiedere l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato, l'accoglimento della questione di legittimita' qui sollevata in nulla inciderebbe sul meccanismo procedurale appena descritto, consentendo - in via ulteriore e aggiuntiva - al giudice per le indagini preliminari, previo apposito contraddittorio sul punto, di provvedere con ordinanza di archiviazione per particolare tenuita', provvedimento, questo, a suo giudizio maggiormente confacente alla qualificazione giuridica del fatto e della notitia criminis portati alla sua attenzione. Tutto cio' premesso,
P.Q.M. Dichiara d'ufficio rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale del combinato disposto degli articoli 409, commi 4 e 5 e 411, commi 1 e 1-bis del codice di procedura penale, nella parte in cui non consentono al giudice per le indagini preliminari, a fronte di una richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, di pronunciare ordinanza di archiviazione per particolare tenuita' del fatto, previa fissazione dell'udienza camerale, sentite le parti e stante la mancata opposizione dell'indagato, per violazione degli articoli 3, 27, commi 1 e 3, 76, 101, 111, comma 2, 117 della Costituzione in relazione all'art. 6 CEDU. Sospende il giudizio; Ordina l'immediata trasmissione alla Corte costituzionale della presente ordinanza e degli atti del giudizio, insieme con la prova delle comunicazioni e notificazioni di cui al successivo capoverso; Dispone che la presente ordinanza sia notificata all'indagato e al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati; Nola, 20 giugno 2022 Il GIP: Muzzica