N. 217 SENTENZA 14 settembre - 21 ottobre 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Edilizia e urbanistica - Norme della Regione Veneto - Stato legittimo
  dell'immobile a fini edilizio-urbanistici  -  Definizione  relativa
  agli immobili oggetto di variazioni non essenziali  antecedenti  al
  30 gennaio 1977 e a quelli, realizzati in  epoca  anteriore  al  1°
  settembre 1967, in zone esterne ai centri abitati o  alle  zone  di
  espansione - Violazione dei principi  fondamentali  in  materia  di
  governo del territorio - Illegittimita' costituzionale. 
- Legge della Regione Veneto 30 giugno 2021, n. 19, art.  7,  che  ha
  introdotto l'art. 93-bis nella legge della Regione Veneto 27 giugno
  1985, n. 61. 
- Costituzione, artt. 3 e 117, primo, terzo e settimo comma. 
(GU n.43 del 26-10-2022 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de  PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Giulio
  PROSPERETTI, Giovanni  AMOROSO,  Luca  ANTONINI,  Stefano  PETITTI,
  Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA,  Maria  Rosaria  SAN  GIORGIO,
  Filippo PATRONI GRIFFI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della
legge della Regione Veneto 30 giugno 2021, n. 19 (Semplificazioni  in
materia urbanistica ed edilizia per il  rilancio  del  settore  delle
costruzioni  e  la  promozione  della  rigenerazione  urbana  e   del
contenimento del consumo di suolo - "Veneto cantiere veloce"), che ha
introdotto l'art. 93-bis nella legge della Regione Veneto  27  giugno
1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso  del  territorio),  promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il
31 agosto 2021,  depositato  in  cancelleria  il  7  settembre  2021,
iscritto al n. 49  del  registro  ricorsi  2021  e  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  41,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udita nell'udienza pubblica del  14  settembre  2022  la  Giudice
relatrice Emanuela Navarretta; 
    uditi l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giacomo Quarneti  e  Andrea
Manzi per la Regione Veneto; 
    deliberato nella camera di consiglio del 14 settembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 31 agosto 2021 e  depositato  il  7
settembre  2021,  il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  7  della
legge della Regione Veneto 30 giugno 2021, n. 19 (Semplificazioni  in
materia urbanistica ed edilizia per il  rilancio  del  settore  delle
costruzioni  e  la  promozione  della  rigenerazione  urbana  e   del
contenimento del consumo di suolo - "Veneto cantiere veloce")  -  che
ha introdotto l'art. 93-bis  nella  legge  della  Regione  Veneto  27
giugno 1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio) -  in
riferimento  all'art.   117,   terzo   comma,   della   Costituzione,
relativamente all'art. 9-bis, comma 1-bis, del decreto del Presidente
della  Repubblica  6  giugno  2001,  n.  380   (Testo   unico   delle
disposizioni  legislative  e  regolamentari  in  materia   edilizia),
nonche' in riferimento agli artt. 3,  117,  primo,  terzo  e  settimo
comma, Cost. 
    1.1.- La disposizione regionale impugnata prevede, rispetto a due
distinte fattispecie, altrettante definizioni del concetto  di  stato
legittimo degli immobili a fini edilizio-urbanistici. 
    Il comma 1 dell'art. 93-bis riguarda  gli  immobili  che  abbiano
formato oggetto  di  variazioni  non  essenziali  risalenti  a  epoca
antecedente al 30  gennaio  1977  e  stabilisce  che,  qualora  detti
immobili siano in proprieta' o  in  disponibilita'  di  soggetti  non
autori delle variazioni non essenziali e siano dotati di  certificato
di abitabilita'  o  agibilita',  lo  stato  legittimo  «coincide  con
l'assetto  dell'immobile  al  quale   si   riferiscono   i   predetti
certificati,  fatta  salva  l'efficacia   di   eventuali   interventi
successivi attestati da validi titoli abilitativi». 
    Il successivo comma 2 attiene, invece, agli  immobili  realizzati
in epoca anteriore al 1° settembre 1967 in  zone  esterne  ai  centri
abitati o alle  zone  di  espansione,  previste  da  eventuali  piani
regolatori: per tali ipotesi, la condizione di  stato  legittimo  «e'
attestata dall'assetto dell'edificio realizzato entro quella  data  e
adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l'eventuale titolo
abilitativo rilasciato anche in attuazione di  piani,  regolamenti  o
provvedimenti di carattere generale  comunque  denominati,  di  epoca
precedente». 
    2.- Il ricorso ravvisa nelle  norme  citate  diversi  profili  di
illegittimita' costituzionale. 
    2.1.- Una prima questione viene promossa in riferimento  all'art.
117, terzo comma, Cost.,  con  riguardo  alla  materia  «governo  del
territorio». 
    Il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  ritiene  che  l'art.
93-bis  della  legge  reg.  Veneto  n.  61  del  1985  contempli  una
definizione di stato legittimo degli immobili  radicalmente  difforme
rispetto  a  quella  prevista  dall'art.  9-bis,  comma  1-bis,  t.u.
edilizia, considerato espressivo di un principio  fondamentale  della
materia «governo del territorio». 
    In  particolare,  quanto  al  comma  1   dell'art.   93-bis,   la
difformita'  consisterebbe  nella   sostituzione,   ai   fini   della
documentazione  dello  stato  legittimo  dell'immobile,  dei   titoli
indicati  dalla  disposizione   statale   con   il   certificato   di
abitabilita' o agibilita'. 
    Relativamente   al   comma   2   della   medesima   disposizione,
l'illegittimita'   costituzionale    deriverebbe    dalla    asserita
inefficacia, per gli immobili  ivi  descritti,  di  eventuali  titoli
abilitativi rilasciati prima del 1° settembre 1967 in  attuazione  di
piani, regolamenti o provvedimenti  di  carattere  generale  comunque
denominati. 
    2.2.- Con un secondo gruppo di censure, rivolto  all'art.  93-bis
nella sua interezza, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  fa
valere la violazione ancora una volta  dell'art.  117,  terzo  comma,
Cost., con riguardo alla materia «governo  del  territorio»,  nonche'
degli artt. 3, 117, primo e settimo comma, Cost. 
    In  particolare,  il  ricorrente  osserva   che   «dallo   "stato
legittimo" dell'edificio, dipende, anche  ai  fini  del  rilascio  di
nuovi titoli edilizi, la qualificazione dell'immobile preesistente in
termini di  regolarita'  o  abusivita'»;  pertanto,  «nell'introdurre
parametri  diversi  da  quelli  previsti  dalla  legge  statale   per
stabilire se un edificio  e'  regolare  o  abusivo,  la  disposizione
regionale impugnata» introdurrebbe  «elementi  di  difformita'  della
normativa urbanistica ed edilizia nel contesto considerato,  rispetto
alla disciplina vigente nelle altre parti del territorio nazionale». 
    3.- La Regione Veneto si  e'  costituita  in  giudizio  con  atto
depositato l'8 ottobre 2021, chiedendo  in  via  preliminare  che  il
ricorso sia dichiarato inammissibile nel suo complesso. 
    La  difesa  regionale  rileva  che  la  ragione  fondamentale   e
assorbente per cui, nella prospettazione fatta  propria  dal  ricorso
statale, la norma regionale impugnata risulterebbe costituzionalmente
illegittima,  e'  l'asserita  idoneita'  a  produrre  un  effetto  di
straordinaria sanatoria delle irregolarita' edilizie degli  immobili,
disposta a livello regionale. 
    Tuttavia,  poiche'  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
individua quale norma statale interposta l'art. 9-bis,  comma  1-bis,
t.u. edilizia, che nulla dispone in materia di sanatoria degli  abusi
edilizi, cio' si risolverebbe in una carenza strutturale del  corredo
motivazionale del ricorso e dunque nella sua inammissibilita'. 
    Quanto ai singoli motivi di impugnazione, la  resistente  ritiene
che il primo di essi sia non fondato in tutte le sue articolazioni. 
    Rispetto al comma 1 dell'art. 93-bis, la Regione  Veneto  osserva
che anche l'art. 9-bis, comma 1-bis,  t.u.  edilizia  attribuisce  ad
altri atti, pubblici  o  privati,  diversi  dal  titolo  abilitativo,
l'idoneita' a fondare lo stato legittimo degli immobili realizzati in
un'epoca nella quale non era obbligatorio  acquisire  il  titolo.  Il
richiamo al certificato di agibilita' o abitabilita' contenuto  nella
norma impugnata non introdurrebbe,  dunque,  una  deroga  alla  norma
statale, ma soltanto un'opzione specificativa di quanto gia' in  essa
contenuto. 
    Quanto  al  comma  2  della  medesima  disposizione,  la   difesa
regionale evidenzia il suo riferirsi agli immobili realizzati in zone
esterne ai centri abitati e alle zone  di  espansione  prima  del  1°
settembre   1967,   ossia   in   data   anteriore    all'introduzione
dell'obbligatorieta' del titolo edilizio relativamente a  tali  aree.
In ragione di cio', la disposizione impugnata, nel ritenere idoneo  a
fondare lo stato legittimo l'assetto dell'edificio  realizzato  entro
quella data  e  adeguatamente  documentato,  non  farebbe  altro  che
collocarsi nel solco della normativa statale. 
    Con riferimento invece al secondo motivo di  ricorso,  la  difesa
regionale pone in luce la mancanza di  qualsivoglia  riferimento  sia
alla norma interposta violata, sia agli elementi di difformita' della
disposizione regionale rispetto  al  principio  fondamentale  che  si
assume violato. 
    Sempre nell'ambito del secondo motivo, il richiamo agli artt.  3,
117, primo e settimo comma, Cost., sarebbe poi  del  tutto  privo  di
adeguata motivazione. 
    4.- Successivamente, in data 19 agosto 2022, la Regione Veneto ha
depositato una memoria illustrativa, con la quale, oltre  a  ribadire
le  eccezioni  di  rito  e  di  merito  gia'  proposte  in  sede   di
costituzione, ha sottolineato come  il  comma  1  della  disposizione
impugnata si limiterebbe a regolare lo stato legittimo degli immobili
in  relazione  alle  variazioni  non  essenziali   realizzate   prima
dell'entrata in vigore della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (Norme  per
la edificabilita' dei suoli). 
    In particolare - secondo la difesa regionale - prima di tale data
l'istituto delle variazioni (o varianti) rispetto al progetto non era
regolato dalla  legge,  «con  la  conseguenza  che  le  varianti  non
essenziali ai progetti gia' dotati  di  licenza  edilizia  [sarebbero
state] realizzate in assenza di ulteriori  atti  autorizzatori  e  di
esse il Comune si [sarebbe limitato] a prendere atto in occasione del
sopralluogo  previsto  dall'articolo  221  del  R.D.   n.   1265/1934
finalizzato al rilascio del certificato di abitabilita'». 
    Di  qui,  ad  avviso  della  Regione  Veneto,  l'idoneita'  delle
risultanze di quest'ultimo certificato a dimostrare la consistenza  e
lo stato legittimo degli immobili. 
    5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  ha,  a  sua  volta,
depositato, in data 24 agosto 2022, una memoria illustrativa, in  cui
ha rilevato che la disposizione impugnata si  porrebbe  in  conflitto
con  i  parametri  costituzionali  indicati,  in  quanto  andrebbe  a
prevedere  una  disciplina  dello  stato   legittimo   obiettivamente
difforme  rispetto  a  quella  contenuta   nella   norma   interposta
costituita dall'art.  9-bis,  comma  1-bis,  t.u.  edilizia.  Secondo
l'Avvocatura  dello  Stato,  il  riferimento  alle  «variazioni   non
essenziali», oltre  che  in  se'  ambiguo,  sarebbe  insufficiente  a
rendere coerente la legge regionale con la citata norma di principio,
se non altro perche' esteso a periodi in cui  un  titolo  abilitativo
edilizio era  gia'  obbligatorio  in  base  alla  legge  statale.  Il
Presidente del Consiglio dei ministri  aggiunge  inoltre  che,  anche
prima della legge 6 agosto 1967, n. 765  (Modifiche  ed  integrazioni
alla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150) e persino prima della
legge  17  agosto  1942,  n.  1150  (Legge  urbanistica),  esistevano
regolamenti edilizi comunali o analoghi strumenti che richiedevano il
previo  rilascio  della  licenza  edilizia  per  operare   interventi
edificatori. 
    6.-  Infine,  va  segnalato  che,  in  data  28   ottobre   2021,
l'Associazione culturale «La  Macinella»  ha  depositato  un'opinione
scritta in qualita' di amicus curiae, ai sensi dell'art. 4-ter  delle
Norme integrative per i giudizi davanti  alla  Corte  costituzionale,
ratione temporis vigenti. 
    L'opinione non e' stata  ammessa,  in  quanto  l'associazione,  a
quanto emerge  dallo  statuto  allegato  agli  atti,  persegue  scopi
essenzialmente culturali, per lo piu'  relativi  all'ambito  musicale
(art. 2  dello  statuto).  L'associazione  non  puo'  pertanto  dirsi
portatrice  di  interessi  attinenti  alle   odierne   questioni   di
legittimita' costituzionale, sicche' non puo' offrire elementi  utili
alla conoscenza e alla valutazione del caso. 
    7.- All'udienza del 14 settembre 2022, l'Avvocatura dello Stato e
la  difesa  regionale  hanno  insistito  per   l'accoglimento   delle
conclusioni rassegnate negli scritti difensivi e hanno risposto  alle
domande loro sottoposte dalla Giudice relatrice;  la  Regione  Veneto
ha, inoltre, eccepito  la  non  corrispondenza  tra  la  delibera  di
autorizzazione ad impugnare del Consiglio dei ministri e il contenuto
del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 31 agosto 2021 e  depositato  il  7
settembre  2021,  il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha
promosso questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  7  della
legge reg. Veneto n. 19 del 2021 - che ha  introdotto  l'art.  93-bis
nella legge reg. Veneto n. 61 del 1985 - in riferimento all'art. 117,
terzo comma, Cost., relativamente all'art. 9-bis, comma  1-bis,  t.u.
edilizia, nonche' in riferimento agli artt. 3, 117,  primo,  terzo  e
settimo comma, Cost. 
    1.1.- La disposizione regionale impugnata prevede, rispetto a due
distinte fattispecie, altrettante definizioni del concetto  di  stato
legittimo degli immobili a fini edilizio-urbanistici. 
    Il comma 1 del citato  art.  93-bis  riguarda  gli  immobili  che
abbiano formato oggetto di  variazioni  non  essenziali  risalenti  a
epoca antecedente al 30 gennaio 1977 e stabilisce che, qualora  detti
immobili siano in proprieta' o  in  disponibilita'  di  soggetti  non
autori delle variazioni non essenziali e siano dotati di  certificato
di abitabilita'  o  agibilita',  lo  stato  legittimo  «coincide  con
l'assetto  dell'immobile  al  quale   si   riferiscono   i   predetti
certificati,  fatta  salva  l'efficacia   di   eventuali   interventi
successivi attestati da validi titoli abilitativi». 
    Il successivo comma 2 attiene, invece, agli  immobili  realizzati
in epoca anteriore al 1° settembre 1967 in  zone  esterne  ai  centri
abitati o alle  zone  di  espansione,  previste  da  eventuali  piani
regolatori: per tali ipotesi, la condizione di  stato  legittimo  «e'
attestata dall'assetto dell'edificio realizzato entro quella  data  e
adeguatamente documentato, non assumendo efficacia l'eventuale titolo
abilitativo rilasciato anche in attuazione di  piani,  regolamenti  o
provvedimenti di carattere generale  comunque  denominati,  di  epoca
precedente». 
    2.- Il ricorso si articola in due ordini di censure. 
    2.1.-  Con  una  prima  questione   viene   contestato   che   la
disposizione  regionale  impugnata  esorbiterebbe  dai  limiti  della
competenza legislativa concorrente relativa alla materia «governo del
territorio», cosi' violando l'art. 117, terzo comma, Cost., in quanto
conterrebbe  definizioni  del  concetto  di  stato  legittimo   degli
immobili radicalmente difformi rispetto a quelle  previste  dall'art.
9-bis,  comma  1-bis,  t.u.  edilizia,  ritenuto  espressivo  di   un
principio fondamentale della materia. 
    2.2.- Con  un  secondo  gruppo  di  censure,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri fa valere la violazione sempre dell'art.  117,
terzo  comma,  Cost.,  in  riferimento  alla  materia  «governo   del
territorio», nonche' degli artt. 3, 117, primo e settimo comma, Cost. 
    In particolare, il ricorrente rileva che «dallo "stato legittimo"
dell'edificio, dipende, anche ai fini del rilascio  di  nuovi  titoli
edilizi, la qualificazione dell'immobile preesistente in  termini  di
regolarita'  o  abusivita'»;  pertanto,  «nell'introdurre   parametri
diversi da quelli previsti dalla legge statale per  stabilire  se  un
edificio e' regolare o abusivo, la disposizione regionale  impugnata»
introdurrebbe «elementi di difformita' della normativa urbanistica ed
edilizia nel contesto considerato, rispetto alla  disciplina  vigente
nelle altre parti del territorio nazionale». 
    3.- La Regione Veneto si e' costituita in giudizio, chiedendo  in
via preliminare che il ricorso venga  dichiarato  nel  suo  complesso
inammissibile, per «carenza strutturale del  corredo  motivazionale»,
dovuta alla «erronea individuazione della norma interposta». 
    Di seguito,  nel  corso  dell'udienza,  la  difesa  regionale  ha
eccepito la non corrispondenza tra la delibera  di  autorizzazione  a
impugnare del Consiglio dei ministri e i motivi del ricorso. 
    3.1.- La prima eccezione non e' fondata rispetto  alla  questione
promossa  in  riferimento   all'art.   117,   terzo   comma,   Cost.,
relativamente all'art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia,  mentre  e'
fondata in riferimento alla seconda censura,  in  quanto  prospettata
genericamente in riferimento all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    3.1.1.- La difesa regionale sostiene che «la ragione fondamentale
e  assorbente  di  illegittimita'   della   norma   regionale,   come
identificata nel ricorso, si sostanzi[erebbe] nell'asserita idoneita'
della disposizione regionale a  produrre  un  effetto  di  sanatoria»
degli abusi  edilizi.  L'inammissibilita'  scaturirebbe  dall'erronea
individuazione, quale norma interposta, dell'art. 9-bis, comma 1-bis,
t.u. edilizia, che «nulla prevede in materia di sanatoria degli abusi
edilizi». 
    In realta', il passaggio richiamato dalla difesa regionale non e'
che una delle motivazioni fatte valere dal Presidente  del  Consiglio
dei ministri. Il ricorso, a  ben  vedere,  con  riguardo  alla  prima
questione di legittimita' costituzionale promossa -  quella  riferita
all'art. 117, terzo comma, Cost., relativamente alla norma interposta
di cui all'art. 9-bis, comma 1-bis,  t.u.  edilizia  -  non  soltanto
individua con chiarezza i parametri violati  e  argomenta  in  merito
alla natura di  principio  fondamentale  della  materia  della  norma
interposta,  ma  contempla  altresi'  una  puntuale  disamina   delle
dissonanze  che,  a  parere  della  difesa  statale,  emergono  nella
disposizione regionale rispetto alla norma di principio. 
    Di conseguenza, il ricorso assolve  al  compito  di  fornire  una
adeguata motivazione, in  modo  conforme  a  quanto  richiesto  dalla
costante giurisprudenza di questa Corte,  allorche'  afferma  che  il
ricorrente  in  via  principale  ha  l'onere   «di   individuare   le
disposizioni impugnate e i  parametri  costituzionali  dei  quali  si
lamenta la violazione e di  proporre  una  motivazione  che  non  sia
meramente  assertiva,  e  che  contenga  una  specifica   e   congrua
indicazione delle ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con  i
parametri  evocati,  dovendo  contenere   una   sia   pur   sintetica
argomentazione di merito  a  sostegno  delle  censure  (ex  plurimis,
sentenze n. 25 del 2020, n. 261 e n. 32 del 2017, n. 239  del  2016)»
(sentenza n. 200 del 2022). 
    3.1.2.- Per converso, la medesima eccezione  di  inammissibilita'
per carenze nella motivazione  e'  fondata  rispetto  alla  questione
promossa genericamente in  riferimento  all'art.  117,  terzo  comma,
Cost. Il  ricorso,  infatti,  omette  del  tutto  di  individuare  la
normativa statale interposta recante il principio fondamentale  della
materia concorrente «governo del territorio», con cui  contrasterebbe
la disposizione regionale impugnata; questo inevitabilmente  preclude
a questa Corte di valutare  la  denunciata  violazione  della  citata
norma costituzionale (ex plurimis, sentenze n. 182 del 2022 e n.  115
del 2020). 
    3.3.-  Quanto  alla  seconda  eccezione  di  inammissibilita'   -
relativa al contrasto tra la delibera del Consiglio dei ministri, che
ha autorizzato in data 5 agosto 2021 l'impugnazione, e  il  contenuto
del ricorso - essa e' fondata relativamente agli artt. 3 e 117, primo
e settimo comma, Cost., invocati con il secondo gruppo di censure. 
    Tali parametri non trovano, infatti, alcun riscontro nella citata
delibera. 
    Ne consegue, secondo una giurisprudenza costituzionale anche  qui
costante, la inammissibilita' della questione, dato che  «l'omissione
di qualsiasi accenno ad un parametro costituzionale nella delibera di
autorizzazione  all'impugnazione   dell'organo   politico,   comporta
l'esclusione della volonta' del ricorrente di promuovere» la  censura
a riguardo (ex plurimis, sentenze n. 179 del 2022, n. 166  del  2021,
n. 128 del 2018 e n. 239 del 2016; nello stesso  senso,  sentenze  n.
129 del 2021, n. 46 del 2015 e n. 298 del 2013). 
    4.- Nel  merito,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
prospettata  in  riferimento  all'art.  117,  terzo   comma,   Cost.,
relativamente all'art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia e' fondata. 
    5.- La disposizione regionale impugnata afferisce all'urbanistica
e all'edilizia e, pertanto, si ascrive - secondo la giurisprudenza di
questa Corte - alla materia di legislazione concorrente «governo  del
territorio», di cui all'art. 117, terzo comma,  Cost.  (ex  plurimis,
sentenze n. 245, n. 124, n. 77, n. 64 e n. 2  del  2021,  n.  70  del
2020, n. 290, n. 264, n. 175 e n. 2 del 2019, n. 68 del 2018, n. 232,
n. 107, n. 84 e n. 73 del 2017, n. 233 del 2015, n. 272 del 2013,  n.
303 del 2003). 
    Relativamente  a  tale  ambito,  deve   certamente   condividersi
l'assunto del ricorso, che ravvisa un  principio  fondamentale  della
materia nell'art.  9-bis,  comma  1-bis,  t.u.  edilizia,  introdotto
dall'art. 10, comma 1, lettera d), numero 1),  del  decreto-legge  16
luglio  2020,  n.  76  (Misure  urgenti  per  la  semplificazione   e
l'innovazione digitale), convertito, con modificazioni,  nella  legge
11 settembre 2020, n. 120. 
    5.1.- In particolare, il citato articolo dispone che «[l]o  stato
legittimo dell'immobile o dell'unita' immobiliare e' quello stabilito
dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne  ha
legittimato la stessa  e  da  quello  che  ha  disciplinato  l'ultimo
intervento edilizio che ha interessato  l'intero  immobile  o  unita'
immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che  hanno
abilitato  interventi  parziali.  Per  gli  immobili  realizzati   in
un'epoca  nella  quale  non  era  obbligatorio  acquisire  il  titolo
abilitativo edilizio, lo stato legittimo e' quello  desumibile  dalle
informazioni catastali  di  primo  impianto,  o  da  altri  documenti
probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i
documenti d'archivio, o altro atto, pubblico o privato,  di  cui  sia
dimostrata  la  provenienza,  e  dal  titolo   abilitativo   che   ha
disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l'intero
immobile o unita' immobiliare, integrati  con  gli  eventuali  titoli
successivi che hanno abilitato interventi parziali.  Le  disposizioni
di cui al secondo periodo si  applicano  altresi'  nei  casi  in  cui
sussista un principio di prova  del  titolo  abilitativo  del  quale,
tuttavia, non sia disponibile copia». 
    5.2.-  La  previsione  statale  individua,  dunque,  in   termini
generali, la documentazione idonea ad attestare lo  «stato  legittimo
dell'immobile», definendo i tratti di un paradigma le cui funzioni  -
comprovate anche dai lavori preparatori - sono quelle di semplificare
l'azione  amministrativa  nel  settore  edilizio,  di   agevolare   i
controlli     pubblici     sulla      regolarita'      dell'attivita'
edilizio-urbanistica e di assicurare la certezza  nella  circolazione
dei diritti su beni immobili. 
    Il  contenuto  prescrittivo  di  ampio  respiro  e  le  finalita'
generali  perseguite  dalla  norma  depongono  a  favore  della   sua
qualifica in termini di principio fondamentale  della  materia,  cio'
che  trova  conferma  nella  sua  stessa   collocazione   topografica
nell'ambito delle «Disposizioni generali» del Titolo II della Parte I
t.u. edilizia, dedicato ai «Titoli abilitativi». 
    Del resto, questa Corte ha gia' ravvisato il  medesimo  carattere
di principi fondamentali della materia in varie disposizioni  statali
che disciplinano profili strettamente contigui a quello in esame:  le
categorie  di  interventi  edilizi  che  necessitano  delle   diverse
tipologie di titoli abilitativi (sentenze n. 124 e n. 2 del 2021,  n.
68 del 2018, n. 282 del 2016, n.  259  del  2014),  la  durata  degli
stessi (sentenza n. 245 del 2021), gli aspetti che ruotano intorno al
cosiddetto condono edilizio (sentenze n. 24 del 2022, n. 77  e  n.  2
del 2021, n. 290 del 2019, n. 232 e n. 73 del 2017, n. 233 del 2015 e
n. 101 del 2013), tra cui quelli  che  vietano  il  ricorso  a  forme
surrettizie di sanatoria (sentenza n.  77  del  2021),  il  perimetro
degli interventi in zona sismica (sentenze n. 2 del 2021, n. 264  del
2019, n. 68 del 2018, n. 60 del 2017, n. 282 e n. 272  del  2016,  n.
167 del 2014), la documentazione necessaria ai fini della denuncia di
esecuzione di nuove opere (sentenza n. 2 del 2021). 
    Tanto  premesso,  non   puo'   dubitarsi   che   i   criteri   di
determinazione dello stato legittimo dell'immobile  rappresentino  un
principio fondamentale della materia,  che  richiede  una  disciplina
uniforme sull'intero territorio nazionale. 
    6.- Chiarita la natura della disposizione interposta indicata dal
ricorrente,  si  palesa  la  distanza  della   previsione   regionale
impugnata dal contenuto della norma di principio. 
    6.1.- Innanzitutto, prendendo le  mosse  dal  comma  1  dell'art.
93-bis della legge reg. Veneto n. 61 del 1985, deve  constatarsi  che
quest'ultimo associa lo stato legittimo dell'immobile a un  documento
- il certificato di abitabilita' o agibilita' - che  e'  ben  diverso
dal titolo abilitativo edilizio,  richiesto  dall'art.  9-bis,  comma
1-bis, t.u. edilizia sul presupposto della sua obbligatorieta'. E  il
titolo abilitativo  era,  in  effetti,  obbligatorio  nel  periodo  e
rispetto al tipo di intervento (le variazioni non essenziali), cui si
riferisce la disposizione regionale. 
    Sotto il primo profilo, il comma 1 della  disposizione  impugnata
fissa al 29 gennaio 1977 il termine entro il  quale  si  possono  far
valere le risultanze del certificato di abitabilita' o di  agibilita'
in luogo di quelle del titolo edilizio. Sennonche', gia' a  far  data
dal 1° settembre 1967 - in base all'art. 31 della legge n.  1150  del
1942, come modificato dall'art. 10 della legge  n.  765  del  1967  -
chiunque intendesse,  nell'ambito  dell'intero  territorio  comunale,
eseguire nuove costruzioni, ampliare, modificare  o  demolire  quelle
esistenti ovvero procedere all'esecuzione di opere di  urbanizzazione
del terreno, era tenuto a richiedere apposita licenza al sindaco. 
    Ne' puo' assumersi, sotto  il  secondo  profilo,  che  il  titolo
edilizio non fosse richiesto per le  variazioni  non  essenziali.  Al
contrario, in  mancanza  di  questo,  esse  configuravano  violazioni
edilizie  e,  tuttora,  integrano,  alla  luce  della  piu'   recente
disciplina, difformita' parziali, oggetto  di  precise  sanzioni,  in
base tanto alla legislazione statale, quanto alla stessa  legge  reg.
Veneto n. 61 del 1985. 
    6.1.1.- Piu' nello specifico, la legislazione statale antecedente
al 1977 - in particolare la legge urbanistica n. 1150 del  1942,  sia
nel suo testo originario sia in quello innovato dalla  legge  n.  765
del 1967 - prevedeva che il committente titolare  della  licenza,  il
direttore  dei  lavori  (quest'ultimo  a  partire  dalla   disciplina
introdotta  nel  1967),  nonche'  l'assuntore  dei   lavori   fossero
«responsabili di ogni inosservanza  cosi'  delle  norme  generali  di
legge e di regolamento  come  delle  modalita'  esecutive  che  siano
fissate nella licenza di costruzione» (art. 31,  terzo  comma,  della
citata  legge,  che  diviene  comma  12  a  seguito  delle  modifiche
apportate dalla legge n. 765 del 1967). E a garanzia del rispetto  di
tale disciplina, il podesta', prima, e il sindaco,  poi,  avevano  il
compito di  vigilare  sull'attivita'  edilizia  e  dovevano  ordinare
l'immediata sospensione dei lavori con riserva dei provvedimenti  che
risultassero necessari per la modifica delle  costruzioni  o  per  la
rimessa in pristino (art. 32, secondo comma, della legge n. 1150  del
1942). 
    Non convince, pertanto, l'argomentazione sviluppata dalla  difesa
regionale, secondo la quale, prima dell'entrata in vigore della legge
n.  10  del  1977,  le  variazioni  non  essenziali,  in  quanto  non
disciplinate, sarebbero state per prassi consentite, fatta  salva  la
semplice ispezione compiuta in vista del rilascio del certificato  di
abitabilita' ex art. 221 del regio decreto 27 luglio  1934,  n.  1265
(Approvazione del testo unico delle leggi sanitarie). 
    In disparte il generico riferimento  a  una  prassi  imprecisata,
l'eccezione trascura che  -  come  appena  ricordato  -  nei  periodi
storici cui la disposizione impugnata si riferisce,  ogni  variazione
esecutiva, persino di minimo impatto  -  e  tali  peraltro  non  sono
certamente, come si dira', le variazioni non essenziali -  costituiva
una violazione edilizia che imponeva la rimozione della difformita'. 
    Di seguito, con la legge n. 10 del 1977, il regime  sanzionatorio
e' stato semplicemente graduato secondo uno schema  generale  tuttora
vigente: le opere eseguite in assenza  di  concessione  o  in  totale
difformita'  dalla  stessa  dovevano  essere  demolite  a  spese  del
proprietario o del costruttore (art. 15, terzo e  ottavo  comma);  le
opere invece  realizzate  in  parziale  difformita'  dovevano  essere
demolite a spese del concessionario, ma,  ove  non  potessero  essere
rimosse senza pregiudizio per le parti  conformi,  il  concessionario
restava assoggettato a una sanzione amministrativa  pecuniaria  (art.
15, undicesimo comma). 
    A  tale  graduazione  sanzionatoria   si   e',   successivamente,
correlata  la  differenziazione  tra  variazioni  essenziali  e   non
essenziali, introdotta dagli artt. 7 e  8  della  legge  28  febbraio
1985,  n.  47  (Norme  in   materia   di   controllo   dell'attivita'
urbanistico-edilizia, sanzioni,  recupero  e  sanatoria  delle  opere
edilizie), di seguito trasfusi negli artt. 31 e 32 t.u. edilizia. 
    In particolare, le variazioni essenziali vengono assoggettate  al
piu' severo regime sanzionatorio proprio  della  totale  difformita',
mentre quelle non essenziali restano ascritte al vizio della parziale
difformita', correlato alle sanzioni stabilite, all'epoca,  dall'art.
12 della legge n. 47 del  1985  e,  di  seguito,  dall'art.  34  t.u.
edilizia. 
    Ne' tali variazioni sfuggono ad una connotazione  in  termini  di
violazioni  amministrative,  in  conseguenza  del  decreto-legge   12
settembre 2014, n. 133 (Misure urgenti per l'apertura  dei  cantieri,
la realizzazione  delle  opere  pubbliche,  la  digitalizzazione  del
Paese,  la  semplificazione  burocratica,  l'emergenza  del  dissesto
idrogeologico  e  per  la  ripresa   delle   attivita'   produttive),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 2014, n.  164,
che ha inserito il comma 2-bis nell'art. 22  t.u.  edilizia,  in  cui
viene contemplata la  possibilita'  di  presentare  una  segnalazione
certificata d'inizio attivita' (SCIA) in caso di varianti al permesso
di  costruire  che  non  costituiscano  variazioni   essenziali,   se
realizzate in corso di esecuzione dei lavori. 
    La  legittimita'  delle  opere  in  parola  sussiste,   pertanto,
soltanto a condizione che la SCIA inerente alle varianti al  permesso
di costruire sia comunicata a fine lavori, tramite  attestazione  del
professionista.  Di  conseguenza,  la  citata  disciplina  non   puo'
risolvere  il  problema  delle  variazioni  non  essenziali  che  non
soddisfino tale condizione, le quali continueranno a  costituire  una
parziale difformita' ai  sensi  dell'art.  34  t.u.  edilizia,  salva
l'eventuale sanatoria di  cui  all'art.  36  t.u.  edilizia,  ove  ne
ricorrano i presupposti. 
    L'unica ipotesi in cui  possono  ritenersi  regolari  difformita'
esecutive rispetto a titoli  abilitativi  rilasciati  in  passato  e'
quella delle cosiddette tolleranze costruttive, previste per la prima
volta dall'art. 5, comma 2, lettera a), del decreto-legge  13  maggio
2011, n. 70  (Semestre  Europeo  -  Prime  disposizioni  urgenti  per
l'economia), convertito, con modificazioni,  nella  legge  12  luglio
2011, n. 106, che aveva introdotto il comma 2-ter nell'art.  34  t.u.
edilizia, e di  seguito  disciplinate  dal  nuovo  art.  34-bis  t.u.
edilizia (introdotto dall'art. 10, comma 1, lettera p, del d.l. n. 76
del 2020, come convertito, con modificazioni, nella legge n. 120  del
2020). Quest'ultimo, in particolare,  stabilisce  che  le  tolleranze
costruttive - ossia le difformita' esecutive contenute nel limite del
2 per cento delle  misure  previste  nel  titolo  abilitativo  -  non
costituiscono  violazioni  edilizie  (commi  1  e  2)  e   che,   ove
«realizzate nel corso di precedenti  interventi  edilizi  [...]  sono
dichiarate dal tecnico abilitato,  ai  fini  dell'attestazione  dello
stato legittimo degli immobili, nella modulistica  relativa  a  nuove
istanze, comunicazioni e segnalazioni edilizie  ovvero  con  apposita
dichiarazione  asseverata  allegata  agli  atti  aventi  per  oggetto
trasferimento o costituzione, ovvero scioglimento della comunione, di
diritti reali» (comma 3). 
    Se ne inferisce con chiarezza che  le  difformita'  eccedenti  la
soglia del 2  per  cento,  ancorche'  risalenti  nel  tempo,  restano
variazioni non essenziali, che integrano una parziale difformita'. 
    6.1.2.- Si aggiunga che, in linea con la legislazione statale, la
stessa legge reg. Veneto n. 61 del 1985, nella quale  si  colloca  la
disposizione impugnata, definisce, per un verso,  all'art.  92  -  in
attuazione dell'art. 32 t.u. edilizia - le variazioni non  essenziali
(per esclusione  rispetto  a  quelle  essenziali),  evidenziandone  i
tratti tutt'altro che marginali. E, per un altro verso, al successivo
art.  93,  prevede  che  gli  interventi   realizzati   in   parziale
difformita' dal titolo comportino la demolizione della parte difforme
oppure, nel caso in  cui  cio'  non  possa  essere  realizzato  senza
pregiudizio della parte conforme, l'assoggettamento  a  una  sanzione
amministrativa. 
    6.1.3.- Si palesa, a questo punto, il contrasto dell'art. 93-bis,
comma 1, della legge reg. Veneto n. 61  del  1985  rispetto  all'art.
9-bis, comma 1-bis,  t.u.  edilizia,  la'  dove,  con  riferimento  a
fattispecie  per  le  quali  la  norma  statale  richiede  il  titolo
abilitativo edilizio, affida la dimostrazione dello  stato  legittimo
dell'immobile al ben diverso documento costituito dal certificato  di
abitabilita' o di agibilita'. 
    In particolare, se e' certamente vero che, in base  all'art.  221
del r.d. n. 1265 del 1934 (vigente nel periodo cui  si  riferisce  la
disposizione regionale), tale certificato  doveva  essere  rilasciato
solo dopo aver verificato che la costruzione fosse stata eseguita  in
conformita' al progetto approvato, nondimeno, questo  non  giustifica
che tale documento possa surrogarsi al titolo abilitativo edilizio. 
    Come piu' volte ha osservato la giurisprudenza amministrativa, la
conformita'     edilizio-urbanistica     costituisce      presupposto
indispensabile per il legittimo rilascio del certificato che oggi  si
definisce di agibilita',  ma  «tale  considerazione  non  puo'  [...]
essere strumentalmente piegata a ragionamenti del tutto speculativi e
sillogistici al fine di affermare che il rilascio dei certificati  di
agibilita' implica un giudizio (presupposto ed  implicito)  circa  la
natura non abusiva delle opere». «[S]emmai, all'inverso, l'interprete
si dovrebbe interrogare sulla legittimita' di tali  certificati,  non
gia' desumere dal rilascio di essi  una  qualita'  -  la  conformita'
edilizio-urbanistica -  da  essi  indipendente  e  anzi  presupposta»
(Consiglio di Stato, sezione  quarta,  sentenza  2  maggio  2017,  n.
1996). E, infatti, «non v'e' necessaria identita' di "disciplina" tra
titolo abilitativo edilizio e certificato di agibilita'»,  che  «sono
collegati  a  presupposti  diversi  e  danno   vita   a   conseguenze
disciplinari non sovrapponibili». In particolare, «il certificato  di
agibilita' ha la funzione di accertare che  l'immobile  al  quale  si
riferisce e' stato  realizzato  nel  rispetto  delle  norme  tecniche
vigenti  in  materia  di  sicurezza,  salubrita',  igiene,  risparmio
energetico degli edifici e degli impianti (come espressamente  recita
l'art. 24 del Testo unico dell'edilizia), mentre  il  rispetto  delle
norme edilizie ed urbanistiche e' oggetto  della  specifica  funzione
del titolo edilizio. Il che comporta che i diversi piani ben  possano
convivere sia nella forma fisiologica della conformita' dell'edificio
ad entrambe le tipologie normative, sia in quella patologica  di  una
loro divergenza» (Consiglio di Stato,  sezione  quarta,  sentenza  26
agosto 2014, n. 4309; nello stesso senso, sentenze 24 aprile 2018, n.
2456, 22 marzo 2014, n. 1220, nonche'  sezione  quinta,  decisione  4
febbraio 2004, n. 365). 
    6.1.4.- Sulla base delle ragioni sopra esposte,  si  deve  allora
concludere nel senso dell'illegittimita' costituzionale  dell'art.  7
della legge reg. Veneto n. 19 del  2021,  che  ha  introdotto  l'art.
93-bis, comma 1, nella legge reg. Veneto n. 61 del 1985. 
    6.2.-  Passando  ora  all'esame  del  comma  2   della   medesima
disposizione,  anch'esso  presenta  discrasie  rispetto  ai  principi
enunciati nell'art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia. 
    Tale comma,  nel  regolare  gli  immobili  realizzati,  in  epoca
antecedente al 1° settembre 1967, in zone esterne ai centri abitati e
alle zone di  espansione  previste  da  eventuali  piani  regolatori,
dispone  che  la  condizione  di  stato   legittimo   sia   attestata
dall'assetto   dell'edificio   realizzato   entro   quella   data   e
adeguatamente   documentato,   mentre   viene   esclusa   l'efficacia
dell'eventuale titolo abilitativo rilasciato anche in  attuazione  di
piani, regolamenti o provvedimenti  di  carattere  generale  comunque
denominati, di epoca precedente. 
    La norma, nel dissociare lo  stato  legittimo  dell'immobile  dal
titolo abilitativo edilizio, apparentemente  si  correla  al  secondo
periodo dell'art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia, che esclude,  ai
fini dello stato legittimo, la necessita' di tale documentazione  per
il periodo in cui il titolo edilizio  non  era  obbligatorio.  E,  in
effetti, prima della legge n. 765 del 1967, entrata in vigore proprio
il 1° settembre 1967, l'art. 31 della legge n. 1150 del 1942 imponeva
in via generale la licenza di costruzione solo nei centri abitati  e,
per i comuni dotati di un piano regolatore generale,  nelle  zone  di
espansione esterne a essi. 
    Sennonche', pure al di fuori dei centri abitati e delle  zone  di
espansione, nonche' prima della legge n. 1150 del 1942, la necessita'
di un titolo abilitativo edilizio  veniva,  a  ben  vedere,  disposta
anche da altre fonti. 
    Anzitutto, per gli immobili realizzati  in  comuni  ricadenti  in
zone sismiche, l'obbligo era sancito a livello di fonte primaria  dal
regio decreto-legge 25 marzo 1935, n. 640 (Nuovo  testo  delle  norme
tecniche di edilizia  con  speciali  prescrizioni  per  le  localita'
colpite dai terremoti) e dal regio decreto-legge 22 novembre 1937, n.
2105 (Norme tecniche di edilizia con  speciali  prescrizioni  per  le
localita' colpite dai terremoti), il cui Allegato comprendeva  alcune
province della Regione Veneto. 
    Inoltre, l'obbligo  di  previa  autorizzazione  alla  costruzione
poteva essere disposto dal regolamento edilizio comunale, emanato  in
esecuzione della potesta' regolamentare attribuita  ai  comuni  nella
materia edilizia dai testi unici della legge comunale  e  provinciale
susseguitisi nel tempo: regio decreto 10 febbraio 1889, n. 5921  (Che
approva il testo unico della legge  comunale  e  provinciale),  regio
decreto 21 maggio 1908, n. 269 (Che  approva  l'annesso  testo  unico
della legge comunale e provinciale), regio decreto 4  febbraio  1915,
n. 148 (E' approvato l'annesso nuovo testo unico della legge comunale
e provinciale). 
    Se ne desume, dunque, che, prima della data indicata nel comma  2
della disposizione regionale impugnata, vi erano comuni nei quali era
obbligatorio munirsi di un titolo  abilitativo  edilizio,  sia  sulla
base di fonti primarie riferite a territori sismici, sia  sulla  base
di fonti non primarie, che pero' attingevano la  loro  legittimazione
dalla fonte primaria attributiva del potere regolamentare. 
    Ne consegue che l'art. 9-bis, comma  1-bis,  t.u.  edilizia,  la'
dove  si  riferisce  alla  obbligatorieta'  del   titolo,   abbraccia
certamente anche le citate fonti, il che determina il disallineamento
dell'art. 93-bis, comma  2,  della  legge  regionale  impugnata  che,
viceversa, ascrive tali casi, in cui era obbligatorio il titolo, alla
modalita' semplificata di attestazione dello stato legittimo. 
    A cio' si aggiunga che il citato art. 93-bis,  comma  2,  non  si
limita  a  riconoscere  -  ai  fini  dello  stato  legittimo   -   la
possibilita' di avvalersi di altri documenti in mancanza  del  titolo
edilizio, ma dispone altresi' d'imperio la non  efficacia  di  titoli
abilitativi rilasciati in adempimento di obblighi previsti  da  fonti
primarie speciali o da fonti non primarie. 
    Sennonche', altro e' consentire - come  fa  l'art.  9-bis,  comma
1-bis, secondo periodo, t.u. edilizia -  l'attestazione  semplificata
dello stato legittimo per gli immobili realizzati in epoche in cui il
titolo non era obbligatorio, altro e' negare  l'efficacia  di  titoli
abilitativi legittimamente rilasciati. 
    Questo, peraltro, non sarebbe in sintonia con  la  giurisprudenza
amministrativa che ha ribadito la persistente vigenza dei regolamenti
comunali   emanati   anteriormente   all'approvazione   della   legge
urbanistica (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza  29  luglio
2019, n. 5330 e, sezione sesta, sentenza 28 luglio 2017, n. 3789). 
    Ne discende che anche il comma 2 dell'art. 93-bis compromette  le
funzioni che la norma statale interposta attribuisce all'attestazione
dello stato legittimo, finendo addirittura con l'incidere  su  titoli
abilitativi edilizi pienamente validi ed efficaci. 
    7.- In conclusione, l'art. 7 della legge reg. Veneto  n.  19  del
2021, che ha introdotto l'art. 93-bis nella legge reg. Veneto  n.  61
del 1985, e' costituzionalmente  illegittimo,  per  contrasto  con  i
principi fondamentali della materia «governo del territorio»  dettati
dall'art. 9-bis, comma 1-bis, t.u. edilizia. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  7  della
legge della Regione Veneto 30 giugno 2021, n. 19 (Semplificazioni  in
materia urbanistica ed edilizia per il  rilancio  del  settore  delle
costruzioni  e  la  promozione  della  rigenerazione  urbana  e   del
contenimento del consumo di suolo - "Veneto cantiere veloce"), che ha
introdotto l'art. 93-bis nella legge della Regione Veneto  27  giugno
1985, n. 61 (Norme per l'assetto e l'uso del territorio); 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 7 della legge reg. Veneto n.  19  del  2021,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 117, primo,  terzo  e  settimo
comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei  ministri
con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 settembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
                   Igor DI BERNARDINI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 21 ottobre 2022. 
 
                           Il Cancelliere 
                      F.to: Igor DI BERNARDINI