N. 139 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 ottobre 2022
Ordinanza del 10 ottobre 2022 del Tribunale di Padova nel procedimento civile promosso da P. E. contro INPS - Istituto nazionale di previdenza sociale. Processo civile - Capacita' processuale - Incapacita' naturale della parte - Interruzione del processo e segnalazione al pubblico ministero affinche' promuova il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno oppure quello di interdizione o di inabilitazione - Omessa previsione. - Codice di procedura civile, artt. 75, commi primo e secondo, e 300.(GU n.48 del 30-11-2022 )
IL TRIBUNALE ORDINARIO DI PADOVA Sezione lavoro Il giudice, letti gli atti del proc. n. 1283/2022 RG, a scioglimento della riserva assunta all'udienza dell'8 settembre 2022; lette altresi' le memorie depositate da entrambe le parti relativamente alla presente questione; pronunzia la presente ordinanza di rimessione degli atti alla eccellentissima Corte costituzionale in relazione alla questione di legittimita' dell'art. 75, primo e secondo comma del codice di procedura civile, e dell'art. 300 del codice di procedura civile, per eventuale violazione degli articoli 3, 24, 32, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost. (con riferimento alle due Convenzioni citate in motivazione), nella parte in cui non prevedono che, quando abbia seri e fondati dubbi che la parte persona fisica che ha conferito la procura alle liti, lo abbia fatto in una condizione di incapacita' naturale, il giudice disponga l'interruzione del processo e la segnalazione del caso al pubblico ministero affinche' promuova il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno oppure quello di interdizione o di inabilitazione. 1. La rilevanza della questione. Il ricorrente P. E., nel contraddittorio con l'Inps, ha instaurato il presente procedimento di accertamento tecnico preventivo obbligatorio (ai sensi dell'art. 445-bis c.p.c.) al fine di ottenere il riconoscimento del suo diritto all'indennita' di accompagnamento prevista dall'art. 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18. L'Inps ha eccepito la nullita' della procura alle liti in quanto dalla documentazione sanitaria da lui stesso prodotta in giudizio, emergerebbe che, sebbene non interdetto ne' inabilitato ne' assistito da un amministratore di sostegno, egli si troverebbe in condizioni psicofisiche tali da renderlo incapace di provvedere ai propri interessi, e non avrebbe pertanto la capacita' processuale richiesta dall'art. 75 c.p.c. Il ricorrente ha replicato che, secondo la giurisprudenza, anche costituzionale, il cit. art. 75 c.p.c. non si riferirebbe ai soggetti colpiti da incapacita' naturale, ma soltanto a quelli gia' interdetti, inabilitati o ai quali sia gia' stato nominato un amministratore di sostegno; ne' potrebbe applicarsi la sospensione del giudizio - prevista dall'art. 295 c.p.c. - al fine di consentire l'instaurazione di un procedimento volto all'adozione di una misura di protezione nei confronti dell'incapace naturale. Delineato cosi' l'oggetto del procedimento, questo tribunale rileva, in punto di fatto, che in effetti, dalla predetta recente documentazione sanitaria risulta che il ricorrente e' affetto da «psicosi maniaco depressiva tipo maniacale con disturbi comportamentali e con numerosi ricoveri in reparti psichiatrici molto spesso tramite TSO»; «Il paziente ha presentato numerosi episodi di scompenso caratterizzato da umore disforico, accelerazione psicomotoria, comportamenti aggressivi e disinibiti. La consapevolezza di malattia e l'aderenza alle cure e' sempre parsa molto limitata ... il funzionamento del paziente (testuale, ndr), che gia' appariva compromesso, e' andato incontro a progressivo deterioramento. Il paziente necessita di essere supervisionato nella gestione della quotidianita' anche per quanto riguarda le attivita' piu' elementari, non essendo adeguato nella cura di se', nell'assunzione della terapia farmacologica ... nella gestione del denaro e nell'organizzazione dei ritmi di vita. Va inoltre contenuto nelle sue bizzarrie comportamentali, che denotano sempre maggiore disorganizzazione. Nella fase di espansione timica i familiari segnalano inoltre comparsa di comportamenti disinibiti ed esibizionistici». Allo stato degli atti, quindi, sembrerebbe che in effetti il ricorrente versi in una condizione di incapacita' di intendere e di volere, tale da consigliare l'applicazione di una delle predette misure di protezione. La rilevanza della questione risiede dunque nel dover decidere in merito alla possibilita' - o meno - che il procedimento possa proseguire, pur in presenza di seri e documentati dubbi circa la capacita' naturale del ricorrente. 2. La non manifesta infondatezza. Come noto, sulla questione della capacita' processuale - ex articoli 75 e 78 c.p.c. - della parte incapace di intendere o di volere ex art. 428 c.c., esiste un orientamento monolitico sia del giudice di legittimita' sia di codesta Corte; ma forse non e' inutile riflettere nuovamente sull'argomento, che involge la tutela delle persone ccdd. «fragili», come sono quelle che si trovano nella predetta condizione. Secondo la costante giurisprudenza di legittimita', «l'art. 75 c.p.c., nell'indicare le persone processualmente incapaci, si riferisce ai soggetti che siano stati privati della capacita' di agire, in modo assoluto, per effetto di una sentenza di interdizione o in modo parziale, per effetto di una sentenza di inabilitazione e che siano rappresentati o assistiti da un tutore o curatore, senza far menzione, invece, dei soggetti colpiti da incapacita' naturale, che non risultino ancora interdetti o inabilitati nelle forme di legge; ne', in relazione a questi ultimi, si pone l'esigenza di una sospensione del processo, ex art. 295 c.p.c. per il promovimento della procedura di interdizione mediante il rito camerale previsto dagli articoli 712 e ss. c.p.c., posto che la ratio della disposizione dettata dall'art. 75 cit. si fonda, da un lato, sull'esigenza che ogni limitazione della capacita' di agire, con le relative ricadute sul piano processuale, possa operare solo all'esito finale di uno specifico procedimento e, dall'altro, sull'altrettanto incontestabile esigenza di impedire il pericolo che ogni processo possa subire interruzioni o sospensioni sulla base di situazioni di non sollecito ed agevole accertamento, con il conseguente pregiudizio del diritto di tutela giurisdizionale della parte che ha proposto la domanda» (per tutte, v. la recente sentenza n. 21.507 del 20 agosto 2019). Si tratta di un orientamento costante e risalente nel tempo. Proprio in un caso analogo, Cass., sez. L, 7 giugno 2003, n. 9147, aveva testualmente affermato che «questa Corte regolatrice ha gia' avuto occasione di affermare che l'art. 75 c.p.c., nell'escludere la capacita' processuale delle persone che non hanno il libero esercizio dei propri diritti, si riferisce solo a quelle che siano state legalmente private della capacita' di agire con una sentenza di interdizione o di inabilitazione o con provvedimento di nomina di un tutore o di un curatore provvisorio e non alle persone colpite da incapacita' naturale (Cass. 26 maggio 1999, n. 5152; 3 dicembre 1994, n. 10425). Infatti, e' stato ulteriormente precisato, l'incapacita' processuale e' collegata all'incapacita' legale di agire di diritto sostanziale e non alla mera incapacita' naturale, cosicche' l'incapace naturale conserva la piena capacita' processuale sino a quando non sia stata pronunciata nei suoi confronti una sentenza di interdizione, ovvero non gli sia stato nominato, durante il giudizio che fa capo a tale pronuncia, il tutore provvisorio ai sensi dell'art. 419 c.p.c. (Cass. 1° febbraio 1988, n. 910; 14 giugno 1977, n. 2480). Questa Corte ha anche sottolineato che, mentre l'incapacita' legale risulta dai registri delle tutele e delle curatele e dai registri dello stato civile, l'incapacita' naturale richiederebbe un'assurda indagine, da parte di chi agisce o resiste in giudizio, sulle condizioni mentali della controparte, il che costituisce ulteriore ragione per affermare che la incapacita' naturale di un soggetto non basta a determinare la perdita della capacita' processuale e non puo' essere allegata e fatta valere, in via di eccezione, dalla controparte». Tale e' dunque l'orientamento costante della suprema Corte. Anche le varie questioni di legittimita' costituzionale sono state dichiarate tutte infondate. Il pretore di Palma di Montechiaro aveva sollevato la questione di legittimita' costituzionale del cit. art. 75, secondo comma, c.p.c., in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 24 della Costituzione, in quanto, la norma impugnata, non includendo tra le persone processualmente incapaci, che non hanno il libero esercizio dei loro diritti, gli infermi di mente non interdetti ne' inabilitati ne' muniti di tutore provvisorio, da un lato creerebbe un'ingiustificata disparita di trattamento tra gli incapaci legali e gli incapaci naturali, sprovvisti di tutore provvisorio, e dall'altro vulnererebbe il diritto di difesa dell'incapace naturale, consentendo la prosecuzione del processo fino alla res iudicata anche nei confronti dell'incapace naturale convenuto in giudizio e rimasto contumace. Corte cost. 19 gennaio 1988, n. 41, ha dichiarato la questione manifestamente infondata, osservando che «qualsiasi limitazione della capacita' processuale per gli incapaci naturali si giustifica solo nei casi in cui l'infermita' mentale sia tale da poter dare luogo ad un procedimento di interdizione o di inabilitazione; che, per l'interdicendo e l'inabilitando il nostro ordinamento gia' prevede le figure del tutore provvisorio e del curatore provvisorio la nomina dei quali presuppone, come unica formalita' necessaria, l'esame dell'infermo di mente il cui compimento appare indispensabile per legittimare una qualsiasi limitazione del libero esercizio dei diritti; che, conseguentemente, la norma impugnata non crea alcuna disparita' di trattamento tra gli incapaci legali e gli incapaci naturali trattandosi di situazioni fra loro diverse che, pertanto, richiedono una differente disciplina; che, d'altra parte, non si ravvisa alcun contrasto tra la norma impugnata ed il diritto di difesa degli infermi di mente garantito proprio dalla mancata estensione dell'incapacita' processuale al di fuori della disciplina dell'interdizione e dell'inabilitazione». In termini analoghi, Corte cost. 5 novembre 1992, n. 468, nel dichiarare non fondata la questione di legittimita' degli articoli 75 e 300 c.p.c. sollevata con riferimento all'art. 24 Cost., ha evidenziato che «non e' menomato il diritto di difesa di chi, pur non essendo interdetto, si trovi in stato di abituale incapacita' di intendere o di volere ed essendo convenuto non sia in grado di rendersi conto che nei suoi confronti e' stato instaurato un giudizio civile. L'ordinamento, infatti, gia' appresta, anche se sarebbe opportuno predisporne di piu' efficaci, strumenti di tutela dell'infermo, come la previsione, tra le attribuzioni generali del pubblico ministero, della tutela dei diritti degli incapaci, anche mediante la richiesta, nei casi di urgenza, dei necessari provvedimenti cautelari (art. 73 del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12). Inoltre, in presenza di una causa nella quale il pubblico ministero puo' intervenire, e' previsto che il giudice davanti al quale il giudizio e' proposto ordini la comunicazione degli atti al titolare di quell'ufficio (art. 71 c.p.c.) perche', nell'esercizio delle sue funzioni e ricorrendone i presupposti, il pubblico ministero assuma le iniziative necessarie per tutelare la posizione dell'incapace nel processo gia' pendente, promuovendo, ove del caso, il procedimento di interdizione o di inabilitazione e chiedendo la urgente nomina di un tutore o di un curatore provvisorio». In merito a tale decisione, questo tribunale osserva che la Corte non ha spiegato cosa accada nel processo in cui e' parte un incapace naturale, nel senso che non sembra essersi posta il problema degli eventuali effetti pregiudizievoli che l'incapace puo' subire nel processo e dal processo, fino al momento in cui intervenga il provvedimento di protezione. Lo stesso esito ha avuto la questione di legittimita' dell'art. 75, secondo comma, c.p.c., sollevata dal Tribunale di Verbania sempre con riferimento agli articoli 3 e 24 Cost. Corte cost. 30 maggio 1995, n. 206, l'ha dichiarata manifestamente infondata, ribadendo «che qualsiasi limitazione della capacita' processuale per gli incapaci naturali si giustifica solo nei casi in cui l'infermita' sia tale da poter dar luogo ad un procedimento d'interdizione o inabilitazione e che per l'interdicendo e l'inabilitando il nostro ordinamento gia' prevede la figura del tutore e del curatore provvisorio; - che, conseguentemente, la norma impugnata non crea alcuna disparita' di trattamento tra gli incapaci legali e gli incapaci naturali trattandosi di situazioni differenziate che richiedono una diversificata disciplina, ne' e' ravvisabile alcuna violazione del diritto di difesa degli infermi di mente garantito proprio dalla mancata estensione dell'incapacita' processuale, al di fuori della disciplina dell'interdizione e dell'inabilitazione; - che, inoltre, essendo la tutela degli incapaci prevista quale tipica attribuzione del pubblico ministero, il giudice innanzi al quale e' proposta una causa con una parte della cui incapacita' naturale si dubiti, deve dame comunicazione al pubblico ministero affinche' agisca o intervenga nei modi previsti dalla legge». Va infine ricordata Corte cost. 5 aprile 2006, n. 198, che ha ugualmente dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 78 c.p.c., in riferimento agli articoli 3, comma primo, e 24, comma secondo, della Costituzione, nella parte in cui, secondo il «diritto vivente», non prevede la nomina di un curatore speciale anche per l'incapace naturale, «dal momento che, da un lato, una norma certamente eccezionale (dettata in tema di comparizione personale dei coniugi nel giudizio di scioglimento del matrimonio) non puo' costituire parametro di riferimento per una disciplina generale, e, dall'altro lato, l'ordinamento prevede - specie a seguito della legge 9 gennaio 2004, n. 6 - forme di protezione dell'incapace naturale, che, attesa l'estrema varieta' di ipotesi nelle quali tale forma di incapacita' puo' darsi (sentenza n. 468 del 1992; ordinanza n. 206 del 1995), prendono gia' in considerazione - anche attraverso provvedimenti provvisori - l'esigenza che tale protezione consegua ad un procedimento adeguato alla gravita' di un provvedimento che incide sulla capacita' di agire, anche processuale, del soggetto che appare affetto da incapacita' naturale». Nel caso all'esame di questo tribunale, e' difficile non porsi il problema degli eventuali effetti pregiudizievoli che l'incapace puo' subire per aver anche solo iniziato un processo senza essere minimamente in grado di rendersi conto di cio' che questo comporta, ad esempio in caso di soccombenza e di conseguente condanna alla refusione delle spese giudiziali. Riguardando un argomento per certi versi analogo, merita di essere ricordata Corte cost. 14 ottobre 1986, n. 220, la quale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli articoli 75 e 300 c.p.c. nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, l'interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perche' promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti l'attore debba riassumere il giudizio. La Corte ha osservato che l'interpretazione estensiva dell'art. 182 c.p.c., in virtu' della quale rientrerebbe nei poteri del giudice invitare l'attore a chiedere al tribunale competente la nomina di un curatore e a rinnovare la citazione entro un dato termine nei confronti di quest'ultimo, non puo' essere assunta al livello di quel «diritto vivente» che consentirebbe di dire la proposta questione risolubile con l'applicazione, condotta dai giudici a quibus, dei dettami espressi nell'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale preliminari al codice civile, questa Corte non puo' esimersi dall'esaminare la questione, che e' da giudicare fondata perche' il processo nel quale lo «scomparso» non sia rappresentato dal curatore e' contrario all'ideale del «processo giusto» che i commi primo e secondo dell'art. 24 Cost. confluiscono a garantire. Il giusto processo civile vien celebrato non gia' per sfociare in pronunce procedurali che non coinvolgono i rapporti sostanziali delle parti che vi partecipano - siano esse attori o convenuti - ma per rendere pronuncia di merito rescrivendo chi ha ragione e chi ha torto: il processo civile deve avere per oggetto la verifica della sussistenza dell'azione in senso sostanziale di chiovendiana memoria, ne' deve, nei limiti del possibile, esaurirsi nella discettazione sui presupposti processuali, e per evitare che cio' si verifichi si deve adoperare il giudice. Questa verita' ... (omissis) ha sentito il Pretore di S. Margherita di Belice che, a differenza del Pretore di Viadana, non ha dichiarato la contumacia dello «scomparso» ma ha ravvisato la contrarieta' ai commi primo e secondo dell'art. 24 Cost. degli articoli 75 e 300 c.p.c. nell'assenza di un potere che consenta al giudice, il quale avverta una situazione di «scomparsa» del convenuto, di disporre l'interruzione del processo e di darne notizia al pubblico ministero perche' il rappresentante della legge rivolga al tribunale competente istanza di nomina del curatore dello scomparso; processo che sara' riassunto ad istanza del curatore nominato ovvero dei controinteressati. Vero che a presentare la istanza di nomina del curatore dello scomparso sono legittimati anche i contraddittori dello scomparso ma costoro possono non nutrirvi concreto interesse - il che non ha avvertito il Pretore di Viadana - e migliore e', pertanto, il partito di affidare la nomina del curatore al congiunto magistero del giudice adito e del pubblico ministero. 8 - La individuazione dei criteri, cui deve obbedire la verifica della sussistenza in concreto di situazioni che giustifichino la nomina del curatore allo «scomparso», non rientra nei compiti di questa Corte la quale non puo' esimersi dal rilevare che il merito delle due vicende sottoposte al suo esame si basa sulla inattivita' anche sostanziale dello «scomparso» e sulla usucapione dei beni controversi che i contraddittori ne hanno desunto. Di qui la declaratoria di illegittimita' costituzionale degli articoli 75 e 300 c.p.c. nella parte in cui non prevedono, ove emerga una situazione di scomparsa del convenuto, l'interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perche' promuova la nomina di un curatore, nei cui confronti l'attore debba riassumere il giudizio. Alla luce di tale illuminante sentenza di codesta Corte, questo tribunale ritiene che i principi in essa richiamati si attaglino anche al presente procedimento, nel quale, come visto, sulla base della documentazione sanitaria prodotta dal ricorrente, sembra che egli abbia rilasciato la procura alle liti ed instaurato il presente giudizio senza rendersi minimamente conto di cio' che stava facendo. Anche in tal caso, sussiste il sospetto della violazione dell'art. 24 Cost., poiche' il diritto di difesa esige anche che la decisione di iniziare un processo venga assunta consapevolmente. Sotto il profilo del giusto processo, oltre al cit. art. 24 Cost., vengono in evidenza anche l'art. 111, primo e secondo comma, Cost., e l'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, apparendo dubbio che possa definirsi «giusto» ed «equo» un processo in cui una parte, priva di alcuna misura di protezione, sia incapace di intendere o di volere e quindi non si renda minimamente conto dell'esistenza del processo e delle sue conseguenze, con buona pace anche del principio della cd. parita' delle armi, inteso - e' noto - come mantenimento del «giusto equilibrio» tra le parti: a ciascuna parte deve essere offerta la ragionevole possibilita' di presentare la propria causa - comprese le proprie prove - a condizioni che non la collochino in sostanziale svantaggio rispetto alla parte avversaria (v. Cedu, Kress contro Francia [GC], 2001, § 72; Regner contro Repubblica Ceca [GC], 2017, § 146; e Dombo Beheer B.V. contro Paesi Bassi, 1993, § 33). Non si comprende come cio' possa accadere quando una parte sia incapace di intendere e di volere. E' chiaro che la parte avversaria si trova in una posizione di soverchiante superiorita'. Superfluo precisare che la cd. difesa tecnica non e' idonea a sanare una situazione del genere, perche' i fatti storici che hanno dato origine al processo sono - all'evidenza - noti solo ed esclusivamente alla parte. Ed anzi, sotto tale profilo, va evidenziato che in casi del genere, stante l'incapacita' naturale della persona, la difesa tecnica non puo' che essere meramente apparente, oppure inammissibilmente svolta tramite la mediazione di terzi estranei che rimangono sconosciuti e privi di ogni responsabilita'. Questo tribunale dubita inoltre che, nel presente procedimento, l'irrilevanza dell'incapacita' naturale della parte a causa dell'infermita' che pare seriamente emergere dalla sua documentazione sanitaria, sia conforme all'art. 32 Cost., poiche' la tutela del diritto alla salute dovrebbe avere riflessi anche in ambito processuale, come sembra confermare anche la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilita', con Protocollo opzionale, fatta a New York il 13 dicembre 2006, ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18. Come noto, l'art. 1 della Convenzione prevede che «scopo della presente Convenzione e' promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le liberta' fondamentali da parte delle persone con disabilita', e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignita'. 2. Per persone con disabilita' si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella societa' su base di uguaglianza con gli altri». E l'art. 13 della stessa Convenzione, in materia di accesso alla giustizia, sancisce che «1. Gli Stati Parti garantiscono l'accesso effettivo alla giustizia per le persone con disabilita', su base di uguaglianza con gli altri, anche attraverso la previsione di idonei accomodamenti procedurali e accomodamenti in funzione dell'eta', allo scopo di facilitare la loro partecipazione effettiva, diretta e indiretta, anche in qualita' di testimoni, in tutte le fasi del procedimento giudiziario, inclusa la fase investigativa e le altre fasi preliminari». Pare difficile che una persona incapace di intendere e di volere, priva di protezione, possa partecipare effettivamente ad un processo di cui ella, purtroppo, a causa delle gravi condizioni psichiche, non sa neppure di essere parte. Sembra contrario ad ogni elementare principio di giustizia che, qualora dagli atti emergano seri e documentati dubbi in merito alla capacita' di intendere o di volere di una parte del giudizio, non tutelata da alcuna misura di protezione, il giudice possa rimanere indifferente e far tranquillamente proseguire il processo verso il suo esito finale. La preoccupazione che attribuire rilevanza all'incapacita' naturale della parte possa prestarsi a presunte «tattiche dilatorie», non ha ragion d'essere, poiche' e' chiaro che il dubbio relativo all'incapacita' deve essere serio, documentato e rigorosamente accertato dal giudice. La tutela processuale della persona «fragile» non sembra sacrificabile sull'altare della pretesa «esigenza di impedire il pericolo che ogni processo possa subire interruzioni o sospensioni sulla base di situazioni di non sollecito ed agevole accertamento, con il conseguente pregiudizio del diritto di tutela giurisdizionale della parte che ha proposto la domanda». Il desiderio di risparmiare tempo e accelerare il procedimento, non giustifica l'inosservanza di un principio fondamentale quale il diritto ad un processo giusto ed equo (v. Cedu, Nideröst-Huber contro Svizzera, 1997, § 30). Ancor meno condivisibile e' l'affermazione secondo cui la delibazione dell'incapacita' naturale «richiederebbe un'assurda indagine». Di assurdo non sembra esservi nulla, se non il consentire che possa avere tranquillamente luogo, sotto gli occhi dell'autorita' giudiziaria, un processo nei confronti di una persona che non ha la benche' minima consapevolezza di esserne parte. Questo tribunale ritiene quindi che, analogamente a quanto deciso dalla cit. Corte cost. 14 ottobre 1986, n. 220, debba essere sollevata la questione di legittimita' costituzionale degli articoli 75 e 300 c.p.c. nella parte in cui non prevedono, ove emerga una seria e documentata situazione di incapacita' naturale della parte, l'interruzione del processo e la segnalazione, ad opera del giudice, del caso al pubblico ministero perche' promuova il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno oppure il giudizio di interdizione o di inabilitazione; anche perche' se tali stessi principi non fossero applicati anche al caso dell'incapace di intendere o di volere (situazione di mero fatto uguale a quella in cui si trova lo scomparso privo di curatore), si prospetterebbe una violazione dell'art. 3 Cost., che viene qui formalmente sollevata. Due precisazioni, infine. Alcuna interpretazione costituzionalmente orientata appare possibile. Ne' soccorre l'art. 182 c.p.c. (come modificato dall'art. 46, secondo comma, della legge 18 giugno 2009, n. 69), considerato che nella fattispecie concreta: non vi e' nulla da completare e da mettere in regola; la procura non e' nulla, ma annullabile ex art. 428 c.c.; non vi e' alcuna persona alla quale spetti la rappresentanza o l'assistenza dell'incapace naturale che ha promosso personalmente il presente procedimento.
P. Q. M. Il Tribunale ordinario di Padova, sezione lavoro, visto l'art. 134 Cost., e gli articoli 23 e seguenti della legge 11 marzo 1957, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 75, primo e secondo comma, c.p.c., e dell'art. 300 c.p.c., per eventuale violazione degli articoli 3, 24, 32, 111, primo e secondo comma, e 117, primo comma, Cost. (con riferimento alle due Convenzioni citate in motivazione), nella parte in cui non prevedono che, quando abbia seri e fondati dubbi che la parte persona fisica che ha conferito la procura alle liti, lo abbia fatto in una condizione di incapacita' naturale, il giudice disponga l'interruzione del processo e la segnalazione del caso al pubblico ministero affinche' promuova il giudizio per la nomina di un amministratore di sostegno oppure quello di interdizione o di inabilitazione. Dispone la immediata trasmissione degli atti e della presente ordinanza, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla eccellentissima Corte costituzionale e sospende il giudizio. Manda la cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' per la sua comunicazione ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Padova, 6 ottobre 2022 Il Giudice: Beghini