N. 270 SENTENZA 8 novembre - 30 dicembre 2022

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Pensioni -  Riscatto  a  fini  pensionistici  del  periodo  di  studi
  universitari - Computo gratuito degli anni  di  durata  legale  del
  corso di laurea richiesto per l'accesso alle rispettive carriere  -
  Beneficiari  -  Ufficiali  dei  corpi  militari   dello   Stato   -
  Applicazione anche ai funzionari della Polizia di  Stato  -  Omessa
  previsione - Denunciata violazione dei principi di  buon  andamento
  della pubblica  amministrazione,  di  adeguatezza  del  trattamento
  pensionistico e della sua proporzionalita' al servizio  prestato  -
  Manifesta infondatezza della questione. 
Pensioni -  Riscatto  a  fini  pensionistici  del  periodo  di  studi
  universitari - Computo gratuito degli anni  di  durata  legale  del
  corso di laurea richiesto per l'accesso alle rispettive carriere  -
  Beneficiari  -  Ufficiali  dei  corpi  militari   dello   Stato   -
  Applicazione anche ai funzionari della Polizia di  Stato  -  Omessa
  previsione - Denunciata irragionevolezza e violazione del principio
  di uguaglianza - Non fondatezza della questione. 
- Decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n.  1092,
  artt. 13 e 32. 
- Costituzione, artt. 3, 36, 38 e 97, secondo comma. 
(GU n.1 del 4-1-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 13  e  32
del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092
(Approvazione  del  testo  unico  delle  norme  sul  trattamento   di
quiescenza dei dipendenti civili e militari  dello  Stato),  promosso
dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia,
nel procedimento vertente tra D. A. e altri  e  l'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 14 dicembre  2021,
depositata in cancelleria il 15 dicembre 2021, iscritta al n. 224 del
registro ordinanze 2021 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti gli atti di costituzione di D.  A.  e  altri  e  dell'INPS,
nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  dell'8  novembre  2022  il  Giudice
relatore Giulio Prosperetti; 
    uditi l'avvocato Romano  Cerquetti  per  D.  A.  e  altri,  Lelio
Maritato per l'INPS e l'avvocato dello Stato Enrico De  Giovanni  per
il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 14 dicembre 2021, depositata in cancelleria
il 15 dicembre 2021 (reg. ord. n. 224 del 2021), la Corte dei  conti,
sezione giurisdizionale per  la  Regione  Puglia,  ha  sollevato,  in
riferimento  agli  artt.  3,  36,  38  e  97,  secondo  comma,  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 13
e 32 del decreto del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n.
1092 (Approvazione del testo unico delle  norme  sul  trattamento  di
quiescenza dei dipendenti civili e militari dello Stato), nella parte
in cui non prevedono anche per i funzionari della Polizia di Stato il
computo gratuito degli anni di durata  legale  del  corso  di  laurea
magistrale  o  specialistica  richiesto  ai  fini  dell'accesso  alle
rispettive carriere, previsto per gli ufficiali  dei  corpi  militari
dello Stato. 
    1.1.-  Il  giudice  rimettente  rappresenta  che,   con   ricorso
depositato in data 27 gennaio 2021, A. D. e altri - funzionari  della
Polizia  di  Stato  in  servizio,  appartenenti  alla  carriera   dei
funzionari che svolgono attivita' di polizia, dei funzionari tecnici,
e dei funzionari medici in possesso del titolo di laurea magistrale o
specialistica richiesto dal rispettivo  bando  di  concorso  -  hanno
chiesto, previa rimessione  degli  atti  a  questa  Corte,  e  previo
annullamento degli atti di diniego  opposti  dall'Istituto  nazionale
della previdenza sociale  (INPS),  la  declaratoria  del  diritto  al
computo gratuito ai fini pensionistici degli anni  di  durata  legale
del corso di laurea magistrale o  specialistica,  richiesto  ai  fini
dell'accesso alle rispettive carriere dei funzionari della Polizia di
Stato. 
    Nell'atto introduttivo del giudizio i ricorrenti avevano esposto:
a) di aver presentato istanza collettiva  all'INPS,  per  il  computo
gratuito ai fini pensionistici degli anni di durata legale del  corso
di  laurea  richiesto  per  l'accesso   alla   rispettiva   carriera,
conformemente al regime di gratuita' previsto dall'art. 32 del d.P.R.
n. 1092 del 1973 per gli  ufficiali  dell'Arma  dei  carabinieri,  ai
quali e' richiesto il titolo di  studio  della  laurea  magistrale  o
specialistica per l'accesso al proprio ruolo; b) che la richiesta era
stata  rigettata  dall'ente  previdenziale  sul   presupposto   della
impossibilita'  di  estendere  alla  Polizia  di  Stato   una   norma
espressamente riservata al personale militare; c) di aver  presentato
ricorso amministrativo  dichiarato  improcedibile  a  causa  del  suo
mancato inoltro attraverso i servizi telematici offerti  sul  portale
dell'INPS stesso. 
    I  ricorrenti  avevano  quindi  adito   l'autorita'   giudiziaria
competente contestando quanto  asserito  dall'ente  previdenziale  in
ordine  alla  improcedibilita'  del  ricorso  amministrativo  e,  nel
merito, chiedendo al giudice di sollevare questione  di  legittimita'
costituzionale per contrasto della disposizione di  cui  all'art.  32
del d.P.R. n. 1092 del 1973 con gli artt. 3, 36, 38 e 97 Cost. 
    Il rimettente riferisce, altresi', che l'INPS, nel costituirsi in
giudizio, aveva confutato la fondatezza della pretesa, assumendo che,
a seguito della legge 1°  aprile  1981,  n.  121  (Nuovo  ordinamento
dell'Amministrazione della pubblica sicurezza),  al  personale  della
Polizia di Stato e' applicabile il regime previsto per  il  personale
civile, ivi compresa la disciplina in tema di riscatto degli anni  di
durata legale del corso di laurea, poiche' l'art. 32  del  d.P.R.  n.
1092 del 1973 costituiva norma  eccezionale  e  derogatoria  riferita
espressamente al solo personale militare  e  dunque  non  estensibile
analogicamente.  L'Istituto  aveva  inoltre  rappresentato   che   la
questione era gia' stata esaminata da questa Corte (ordinanze n.  847
del 1988 e n. 168 del 1995),  che  aveva  escluso  la  irrazionalita'
della scelta del legislatore  in  considerazione  delle  peculiarita'
delle due categorie - impiegati civili dello Stato e militari - e che
la stessa magistratura contabile in numerose decisioni aveva ritenuto
non fondata la questione di legittimita'  costituzionale  prospettata
in riferimento agli identici parametri evocati nella fattispecie  dai
ricorrenti. 
    1.2.-  Rimessa  in  decisione  la  causa,  il  giudice   a   quo,
accogliendo  la  richiesta  dei  ricorrenti,  definiva  la  questione
pregiudiziale sulla ammissibilita' del ricorso,  ai  sensi  dell'art.
102, comma 6, lettera d), dell'Allegato 1 al decreto  legislativo  26
agosto 2016, n. 174 (Codice di giustizia contabile, adottato ai sensi
dell'articolo 20 della legge 7 agosto 2015, n. 124), e,  nel  merito,
sollevava la questione di legittimita' costituzionale, per violazione
degli artt. 3, 36, 38 e 97, secondo comma, Cost., degli artt. 13 e 32
del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte  in  cui  non  prevedono  il
computo gratuito anche ai funzionari della  Polizia  di  Stato  degli
anni di durata legale del corso di laurea magistrale o  specialistica
richiesto ai fini dell'accesso alle rispettive carriere, previsto per
gli ufficiali dei corpi militari dello Stato. 
    1.2.1.- In punto di  rilevanza,  il  rimettente  afferma  che  il
giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
della questione, poiche' il dettato normativo esclude la possibilita'
di  estendere  l'applicazione   della   disposizione   censurata   ai
ricorrenti, in quanto riservata espressamente al  personale  militare
dall'art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973, richiamato  dall'art.  1860
del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento
militare). 
    Difatti, la legge n. 121 del 1981, nel disporre  la  soppressione
del  Corpo  degli  agenti  di  pubblica  sicurezza  con   contestuale
creazione della «Polizia di Stato» ad ordinamento civile, realizzando
la  cosiddetta  "smilitarizzazione"   del   personale   di   pubblica
sicurezza, dispone espressamente (art. 23, quinto  comma)  che  «[a]l
personale appartenente ai ruoli dell'Amministrazione  della  pubblica
sicurezza,  per  quanto  non  previsto  dalla  presente   legge,   si
applicano, in quanto compatibili, le norme  relative  agli  impiegati
civili dello Stato». 
    Conseguentemente, la sezione  giurisdizionale  rimettente  rileva
che, a decorrere dall'entrata in vigore della legge in questione, non
e'  piu'  applicabile  al  personale  della  Polizia  di   Stato   la
disposizione  relativa   alla   computabilita'   gratuita   ai   fini
pensionistici degli anni corrispondenti alla durata legale del  corso
di laurea prevista dal citato art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973, in
quanto riservata al personale militare, bensi' la disposizione di cui
all'art. 13 del medesimo decreto, applicabile al  personale  pubblico
del comparto civile, che prevede  il  riscatto  a  domanda  e  previo
contributo. 
    Secondo il giudice a quo il dubbio di legittimita' costituzionale
non puo' quindi essere superato mediante interpretazione adeguatrice,
sicche' allo  stato  degli  atti  l'orientamento  espresso  dall'INPS
appare coerente con il dettato normativo. 
    1.2.2.-  Il  rimettente  ritiene  che  la  riproposizione   della
questione non possa essere preclusa dalle ordinanze di  questa  Corte
n. 847 del 1988 e  n.  168  del  1995  che  ne  hanno  dichiarato  la
manifesta infondatezza. Nel richiamare sul  punto  l'insegnamento  di
questa Corte (ex plurimis, sentenza n. 257 del 1991),  il  giudice  a
quo afferma, pertanto, che «e' ben possibile riproporre la questione,
laddove siano prospettati profili di costituzionalita' diversi, anche
alla luce  del  mutamento  del  quadro  legislativo  di  riferimento,
circostanza riscontrabile nel caso di specie [...]». 
    In proposito, il rimettente rileva che nelle  predette  ordinanze
questa Corte avrebbe «ritenuto  prevalente  la  discrezionalita'  del
legislatore  in  tema  di  riscatto,  a  fronte  della  diversita'  e
peculiarita' del regime ordinamentale dei militari rispetto a  quello
del personale ad ordinamento civile "... con particolare riguardo  ai
piu' bassi limiti di eta' per la cessazione  del  servizio  stabiliti
per i militari (con  conseguente  maggior  difficolta',  rispetto  ai
civili, di raggiungere il massimo dell'anzianita' per il  trattamento
di quiescenza)"». 
    Tuttavia, ad avviso della Sezione  rimettente,  tali  motivazioni
non sarebbero  piu'  attuali  «alla  luce  delle  profonde  modifiche
legislative che hanno portato  ad  una  progressiva  omogeneizzazione
della  disciplina  del  rapporto  di   lavoro   e   del   trattamento
previdenziale tra le due categorie, tale da  rendere  irrazionale  la
disparita' di trattamento in parte qua». 
    In primo luogo, non risulterebbe  «piu'  valido  l'assunto  della
Consulta, secondo cui il diverso regime  sarebbe  giustificato  dalla
previsione di limiti  di  eta'  inferiori  previsti  per  i  militari
rispetto al personale della Polizia di Stato». Cio'  perche'  con  il
d.lgs. n. 66 del 2010 i limiti anagrafici degli ufficiali sono  stati
elevati a sessantacinque anni per il generale di corpo d'armata e  il
generale di divisione; sessantatre' anni per il generale di  brigata;
sessant'anni per il colonnello, il tenente colonnello e gli ufficiali
subalterni (art.  928  cod.  dell'ordinamento  militare)  e  pertanto
risultano parificati a quelli dei funzionari della Polizia di  Stato,
previsti dall'art. 13 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n.  334
(Riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia
di Stato, a norma dell'articolo 5, comma  1,  della  legge  31  marzo
2000, n. 78) ovvero: sessantacinque anni per il dirigente generale di
pubblica sicurezza; sessantatre' anni  per  il  dirigente  superiore;
sessant'anni per le qualifiche inferiori (commissario,  vice-questore
aggiunto, primo dirigente). 
    Quanto  all'evoluzione  della   normativa   nel   senso   di   un
«sostanziale avvicinamento del  regime  ordinamentale  del  personale
appartenente al comparto Sicurezza a prescindere dal relativo  status
civile/militare»,  il  rimettente  evidenzia  innanzitutto  le  forti
analogie tra le funzioni svolte, ai fini della tutela  dell'ordine  e
della sicurezza pubblica, dalle varie Forze di polizia  -  costituite
oltre alla Polizia di Stato, dall'Arma  dei  carabinieri,  dal  Corpo
della Guardia di finanza, nonche' dal Corpo degli agenti di  custodia
- fermi restando i rispettivi ordinamenti. 
    Tale   analogia   troverebbe   conferma   nella   regolazione   e
nell'assetto ordinamentale degli agenti di polizia, «che pur a fronte
dell'abbandono  del  paradigma  militare,  non  prevede  il   ricorso
all'istituto dei livelli funzionali, ma  mantiene  la  categoria  dei
ruoli distinti, all'interno  dei  quali  si  individuano  le  singole
qualifiche in ragione  della  professionalita'  richiesta  (art.  23,
legge n. 121/1981), cosi' favorendo una  struttura  piu'  rigida,  di
tipo gerarchico, sostanzialmente  analoga  a  quella  propria  di  un
ordinamento militare, piu' confacente alle funzioni ed ai compiti  da
svolgere, in tempo di pace, da parte di un corpo armato». 
    Il giudice a quo richiama, quindi, gli interventi normativi  piu'
significativi che attesterebbero  la  rilevata  tendenza  legislativa
degli ultimi anni volta alla sostanziale omogeneizzazione del  regime
ordinamentale del personale del comparto Difesa, sicurezza e soccorso
pubblico: a) l'art. 6-bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387
(Copertura finanziaria del decreto del Presidente della Repubblica 10
aprile  1987,  n.  150,  di  attuazione   dell'accordo   contrattuale
triennale relativo al personale della Polizia di Stato ed  estensione
agli altri Corpi di polizia), convertito,  con  modificazioni,  nella
legge 20 novembre 1987, n.  472,  il  cui  comma  5  prevede  che  al
personale della Polizia di Stato, ai soli fini dell'acquisizione  del
diritto al trattamento di pensione ordinario, si applichi  l'art.  52
del d.P.R. n. 1092 del 1973,  riservato  al  personale  militare;  b)
l'estensione ad opera dello stesso d.lgs. n. 66 del 2010 al personale
delle Forze di polizia ad ordinamento civile e al Corpo nazionale dei
vigili del fuoco  di  alcune  disposizioni  in  tema  di  trattamento
previdenziale (artt. 2177 e successivi cod. ordinamento militare); c)
l'art. 6 del decreto-legge 6  dicembre  2011,  n.  201  (Disposizioni
urgenti per la crescita, l'equita'  e  il  consolidamento  dei  conti
pubblici), convertito, con modificazioni,  nella  legge  22  dicembre
2011, n. 214, che ha escluso il personale  appartenente  al  comparto
Difesa, sicurezza e soccorso pubblico dall'abrogazione degli istituti
dell'accertamento  della  dipendenza  dell'infermita'  da  causa   di
servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di  servizio,
dell'equo indennizzo e della  pensione  privilegiata;  d)  l'art.  19
della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie di lavoro), i cui primi due
commi prevedono che: «1. Ai fini della definizione degli ordinamenti,
delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela
economica,  pensionistica  e  previdenziale,   e'   riconosciuta   la
specificita' del ruolo delle Forze armate, delle Forze di  polizia  e
del Corpo  nazionale  dei  vigili  del  fuoco,  nonche'  dello  stato
giuridico del personale ad essi  appartenente,  in  dipendenza  della
peculiarita'  dei  compiti,  degli  obblighi  e   delle   limitazioni
personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela
delle istituzioni  democratiche  e  di  difesa  dell'ordine  e  della
sicurezza interna ed esterna, nonche' per i  peculiari  requisiti  di
efficienza operativa richiesti e i correlati  impieghi  in  attivita'
usuranti. 2. La disciplina attuativa dei principi e  degli  indirizzi
di  cui  al  comma  1  e'  definita  con   successivi   provvedimenti
legislativi,  con  i  quali  si  provvede  altresi'  a  stanziare  le
occorrenti risorse finanziarie»; e) l'art. 46 del decreto legislativo
29 maggio 2017, n. 95, recante «Disposizioni in materia di  revisione
dei ruoli delle Forze di polizia, ai sensi dell'articolo 8, comma  1,
lettera a), della  legge  7  agosto  2015,  n.  124,  in  materia  di
riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», che  ha  istituito
l'area negoziale dei  dirigenti  delle  Forze  di  polizia  a  status
civile, riguardante la parte normativa del loro rapporto di impiego e
il trattamento accessorio della parte economica, prevedendo procedure
e risorse per l'estensione delle misure definite al tavolo negoziale,
anche agli ufficiali  superiori  delle  Forze  di  polizia  a  status
militare e alle Forze armate. 
    Il rimettente prosegue rilevando che a livello legislativo vi  e'
una netta separazione  tra  i  due  comparti  "sicurezza"  (Arma  dei
carabinieri, Guardia di finanza e Polizia di Stato) da  una  parte  e
"Forze armate" (Esercito, Marina militare  ed  Aeronautica  militare)
dall'altra. Richiama in proposito l'art.  1,  comma  2,  del  decreto
legislativo 12 maggio 1995, n.  195  (Attuazione  dell'art.  2  della
legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di procedure per  disciplinare
i contenuti del rapporto di impiego  del  personale  delle  Forze  di
polizia e delle Forze armate), secondo cui «[l]e procedure di cui  al
comma l, da attuarsi secondo le modalita' e per le  materie  indicate
negli articoli seguenti, si concludono con l'emanazione  di  separati
decreti del Presidente della Repubblica  concernenti  rispettivamente
il personale delle Forze di polizia anche ad ordinamento  militare  e
quello delle Forze armate». 
    In questa ottica il rimettente richiama, altresi', la sentenza di
questa Corte n. 120 del 2018 poiche', nell'attenuare «le  limitazioni
ad alcune liberta' fondamentali  del  personale  militare  in  ambito
politico   e   sindacale»,   costituirebbe   «un'ulteriore   conferma
dell'ormai pacifica omogeneizzazione degli ordinamenti delle Forze di
Polizia, a prescindere dal relativo status, di fatto  eliminando  una
delle caratteristiche che avevano giustificato  la  smilitarizzazione
dell'allora Corpo delle Guardie  di  Pubblica  Sicurezza,  ovvero  la
possibilita' di godere della rappresentanza sindacale». 
    Inoltre, il giudice a quo rappresenta che permane  per  tutte  le
amministrazioni della pubblica sicurezza, sia ad  ordinamento  civile
che militare, il divieto di sciopero e di iscriversi ad  associazioni
sindacali non di categoria ed afferma che, alla luce di quanto  cosi'
dedotto, l'unica differenza e'  costituita  dall'assoggettamento  del
personale dell'Arma dei carabinieri e  del  Corpo  della  Guardia  di
finanza al codice penale militare. 
    In ordine alla specifica problematica  oggetto  di  giudizio,  la
Sezione  giurisdizionale  rimettente,  a  sostegno   della   rilevata
tendenza  legislativa  alla  omogeneizzazione  della  posizione   del
personale  del  comparto  Difesa,  sicurezza  e  soccorso   pubblico,
menziona   la   nota   INPS   10   dicembre   2020,   protocollo   n.
0013.10/12/2020.0388573,  secondo  cui  «al  personale  direttivo   e
dirigente del ruolo  professionale  dei  sanitari  della  Polizia  di
Stato, immessi in servizio come Ufficiali Medici del disciolto  Corpo
delle Guardie di P.S., si  applica,  per  la  valutazione  del  corso
legale  di  laurea,  l'art.  32  del  DPR  n.  1092/1973,  riprodotto
dall'art. 1860 del D.Lgs. n. 66/2010, come da Circolare Inpdap  n.  6
del 23 marzo 2005, paragrafo 3.4». 
    Da ultimo, il rimettente evidenzia che l'art. 28 del  disegno  di
legge di bilancio 2022 - in corso  di  approvazione  parlamentare  al
momento dell'emanazione dell'ordinanza di rimessione  -  al  fine  di
allineare il trattamento pensionistico a  tutto  il  personale  delle
Forze di polizia e delle Forze armate, la cui pensione sia  calcolata
con il sistema "misto",  prevede  l'estensione,  al  personale  delle
Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di  Stato  e  Polizia
penitenziaria), della disciplina di cui all'art.  54  del  d.P.R.  n.
1092 del 1973, prevista per il  personale  militare,  concernente  la
determinazione dell'aliquota annua di rendimento  sulla  parte  della
pensione calcolata con il sistema retributivo. Sul punto il giudice a
quo rappresenta, peraltro, di aver sollevato, con ordinanza n. 85 del
2021, questione di legittimita' costituzionale dell'assetto normativo
previsto dal d.P.R. n. 1092 del 1973,  in  riferimento  alla  mancata
estensione  al  personale  della  Polizia  di  Stato   della   citata
disposizione di cui all'art. 54 del medesimo d.P.R. 
    1.2.3.- Per quanto cosi' illustrato, il rimettente asserisce  che
l'assetto normativo delineato dagli artt. 13 e 32 del d.P.R. n.  1092
del  1973  lede  innanzitutto  l'art.  3  Cost.,   determinando   una
disparita' di trattamento, fondata sul mero  status  civile/militare,
con  riferimento  al  personale  appartenente  al  medesimo  comparto
Difesa, sicurezza e soccorso pubblico, svolgente le medesime funzioni
e disciplinato da ordinamenti ormai sostanzialmente omogenei. 
    Infatti,  nonostante  l'analogia  delle  attivita',  l'Arma   dei
carabinieri ed il Corpo della Guardia di finanza  possono  godere  di
una maggiore base di anzianita'  contributiva,  che  viene  garantita
gratuitamente agli ufficiali, per i quali e' richiesto il  titolo  di
studio  della  laurea  magistrale  o   specialistica,   rispetto   ai
funzionari della Polizia di Stato. 
    Quanto alla lesione degli artt. 36  e  38  Cost.,  il  rimettente
ritiene che tali  parametri  siano  violati  «nella  misura  in  cui,
essendo previsto un contributo per il riscatto degli anni di studi, i
funzionari della Polizia di Stato, che non  possono  affrontare  tale
onere  economico,  subirebbero  il   sacrificio   dell'interesse   al
perseguimento  di  un  trattamento  pensionistico  proporzionato   al
servizio prestato ed adeguato a mantenere lo stesso tenore di vita». 
    Viene richiamata la giurisprudenza  costituzionale  sulla  natura
del trattamento di quiescenza e sulla proporzionalita' e  adeguatezza
dello stesso alle esigenze di vita che  «non  sono  solo  quelli  che
soddisfano i bisogni elementari e vitali ma anche  quelli  che  siano
idonei a realizzare le esigenze relative al tenore di vita conseguito
dallo stesso lavoratore in rapporto  al  reddito  ed  alla  posizione
sociale raggiunta» (sono richiamate le sentenze n. 349 del 1985 e  n.
26 del 1980). 
    Secondo il rimettente, il sacrificio determinato  dall'onerosita'
del riscatto  del  periodo  di  studi  universitari  del  diritto  di
conseguire un trattamento pensionistico adeguato e  proporzionato  da
parte dei funzionari della Polizia  di  Stato  e'  accentuato  da  un
limite ordinamentale  di  accesso  alla  pensione  di  vecchiaia  (da
sessanta a sessantacinque anni  in  relazione  alla  qualifica)  piu'
basso del restante impiego pubblico, «per il quale, per effetto della
riforma di  cui  al  decreto-legge  201/2011,  convertito  con  legge
214/2011 (Legge Fornero), il limite anagrafico  per  la  pensione  di
vecchiaia e' stato innalzato a 66 anni per gli uomini  e  64  per  le
donne». 
    Infine, in riferimento alla lesione dell'art. 97, secondo  comma,
Cost., il giudice a quo ribadisce che il contestato assetto normativo
della materia  comporterebbe  il  rischio  di  creare  un  vulnus  al
principio di buon andamento  della  pubblica  amministrazione,  nella
misura in cui costituisce  un  disincentivo  all'ingresso  nei  ruoli
della Polizia di personale idoneo per preparazione e cultura. 
    Pur richiamando  la  giurisprudenza  costituzionale  in  tema  di
discrezionalita' di cui gode  il  legislatore  nella  disciplina  del
riscatto,  il  rimettente  afferma  che  l'interesse  della  pubblica
amministrazione  ad  acquisire  personale  qualificato  si   traduce,
secondo la stessa giurisprudenza, nel riconoscere «alla preparazione,
acquisita anteriormente all'ammissione in servizio  e  richiesta  per
quest'ultimo, ogni migliore considerazione  ai  fini  di  quiescenza»
(sono richiamate le sentenze n. 52 del 2000 e n. 112 del 1996). 
    Ad avviso della Sezione giurisdizionale pugliese,  la  previsione
di un contributo per il riscatto degli anni di studio, unitamente  ai
piu' bassi limiti di anzianita' per la cessazione dal servizio per  i
funzionari della Polizia di Stato, determinerebbe una  penalizzazione
economica   in   termini   di   capitalizzazione    dei    contributi
pensionistici, che  costituisce  «un  deterrente  per  l'ingresso  in
Polizia di personale qualificato, a tutto discapito del principio  di
buon andamento». 
    2.- Con atto depositato in data 9 febbraio 2022 i ricorrenti  nel
giudizio principale  si  sono  costituiti  nel  giudizio  incidentale
aderendo alle argomentazioni e alla richiesta del giudice rimettente. 
    Le parti  private  ripercorrono  le  argomentazioni  addotte  dal
rimettente, segnatamente, in ordine al percorso  di  omogeneizzazione
che negli ultimi  anni  si  sarebbe  configurato  nei  confronti  del
personale del comparto  Difesa,  sicurezza  e  soccorso  pubblico,  a
prescindere dallo status civile e  militare  dei  suoi  appartenenti.
Tale percorso  risulterebbe  confermato,  in  materia  previdenziale,
dall'intervenuta approvazione, con l'art. 1, comma 101,  della  legge
30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio  di  previsione  dello  Stato  per
l'anno finanziario  2022  e  bilancio  pluriennale  per  il  triennio
2022-2024), della disposizione  presente  nel  disegno  di  legge  di
bilancio  per  l'anno  2022  menzionata   dal   giudice   rimettente,
concernente l'estensione al personale delle Forze  di  polizia  delle
disposizioni recate dall'art. 54, comma 1, del  d.P.R.  n.  1092  del
1973, gia' riservate al personale  militare  e  a  quello  del  corpo
nazionale dei Vigili del fuoco. 
    In proposito le parti private  evidenziano  che  nella  relazione
illustrativa  alla  citata  proposta  normativa   viene   esplicitato
l'obiettivo generale del legislatore, costituito dall'affermazione di
un principio  perequativo  in  materia  pensionistica  per  tutto  il
personale del comparto Difesa, sicurezza e soccorso pubblico. Cio' in
quanto vi si afferma che «[l]a disposizione e' volta ad assicurare il
mantenimento  della  sostanziale  equiordinazione   all'interno   del
comparto  sicurezza  e  difesa,  in  relazione  alla   "specificita'"
prevista dall'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183,  anche
con riferimento alle  modalita'  di  determinazione  del  trattamento
pensionistico del personale in regime di sistema  misto,  che  al  31
dicembre 1995 aveva maturato una anzianita' contributiva inferiore  a
18 anni». 
    Secondo  le  parti  private,  l'intervento  legislativo  di   cui
all'art. 1, comma 101, della legge  n.  234  del  2021  ha  anche  le
«caratteristiche di intervento di sistema, perche', con  il  richiamo
esplicito  al  principio  di  specificita',  riconosce  un  contenuto
peculiare a quel principio, cioe' la perequazione dei trattamenti, in
questo caso  pensionistici,  del  personale  civile  e  militare  del
comparto sicurezza». 
    Tale principio, introdotto nel 2010, costituirebbe  «l'architrave
di un assetto ordinamentale del personale delle Forze  di  polizia  e
delle Forze armate, fondato sulla omogeneizzazione  dei  trattamenti,
giuridici, economici e pensionistici riguardanti il citato personale,
e sulla netta distinzione e non estensibilita' degli stessi verso  il
pubblico impiego generale». 
    3.- L'INPS si e' costituito in giudizio con atto depositato il 15
febbraio 2022 nel quale,  confutate  le  argomentazioni  addotte  dal
giudice rimettente a sostegno della questione di legittimita', chiede
di dichiararne la non fondatezza. 
    Richiamate le ordinanze di questa Corte n. 847 del 1988 e n.  168
del 1995 in argomento, l'Istituto previdenziale ha rappresentato  che
altre sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti si sono
espresse  per  la  non  fondatezza  della  medesima  questione,   non
ravvisando la violazione  prospettata  dai  ricorrenti  dei  medesimi
parametri costituzionali  evocati  nella  fattispecie  dalla  sezione
giurisdizionale per la Regione Puglia (ex plurimis, Corte dei  conti,
sezione giurisdizionale per la Regione Toscana, sentenza  26  gennaio
2021, n. 6). 
    In particolare, relativamente alla prospettata lesione  dell'art.
3 Cost., le richiamate decisioni della magistratura  contabile  hanno
affermato che le modifiche del quadro  ordinamentale  menzionate  dai
ricorrenti  non  possono  ritenersi  idonee  a  far  venir  meno   le
peculiarita'  proprie  dello  status  di  militare  e  la  ontologica
differenza di regime giuridico tra il  personale  militare  (nel  cui
ambito e' collocata l'Arma dei carabinieri) ed  il  personale  civile
(nel cui ambito e' inserita la Polizia di  Stato),  essendo  indubbio
che lo status giuridico di militare comporta l'adempimento di  doveri
ed  obblighi  e  limita  alcune  prerogative  che   la   Costituzione
garantisce ai cittadini. 
    4.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 14 febbraio 2022. 
    4.1.-  Preliminarmente,   l'Avvocatura   generale   dello   Stato
evidenzia   due   profili   di   inammissibilita'   della   questione
relativamente al petitum. 
    Un primo profilo di inammissibilita' e' ravvisato nell'ambiguita'
del petitum: il giudice a quo non avrebbe chiarito  quale  delle  due
disposizioni impugnate, l'art. 32 o l'art. 13 del d.P.R. n. 1092  del
1973, dovrebbe essere oggetto  della  pronuncia  richiesta  a  questa
Corte. 
    Un secondo profilo di inammissibilita' deriverebbe  dall'inesatta
individuazione delle norme oggetto di censura,  poiche',  secondo  la
difesa statale, non sarebbe l'art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973  ad
impedire  un'interpretazione  estensiva  della   disciplina   dettata
dall'art. 32 dello stesso d.P.R. Tale preclusione  deriverebbe  dalla
previsione del quinto comma dell'art. 23 della legge n. 121 del 1981,
previsione che avrebbe, pertanto, dovuto essere oggetto del dubbio di
legittimita'  costituzionale  nella  parte  in  cui  non  esclude  la
disciplina in  tema  di  riscatto  pensionistico  dall'applicabilita'
generalizzata al personale della Polizia di Stato delle  norme  degli
impiegati civili dello Stato. 
    4.2.- Nel merito la difesa  statale  afferma  la  non  fondatezza
della questione. 
    Circa  il  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,  ricorda  che  nelle
richiamate ordinanze n. 847 del 1988 e n. 168 del 1995  questa  Corte
ha evidenziato la riconduzione della  materia  alla  discrezionalita'
del legislatore e che la differenza di regime in tema di riscatto tra
impiego civile e  impiego  militare  non  e'  frutto  di  una  scelta
irrazionale, a fronte  della  peculiarita'  delle  due  categorie  di
impiego. 
    Inoltre, la difesa dello Stato  evidenzia  che  questa  Corte  ha
escluso la rilevanza delle argomentazioni volte a rimarcare affinita'
o  analogia  di  funzione  del   personale   in   questione,   attesa
l'intervenuta  modifica   dello   stato   giuridico   del   personale
dell'amministrazione della pubblica sicurezza. Tale  valutazione  non
e' modificata dall'intervenuta parificazione dei  limiti  massimi  di
eta' pensionabile tra gli ufficiali dell'Arma  dei  carabinieri  e  i
funzionari della Polizia di Stato operata con il  d.lgs.  n.  66  del
2010, che ha fatto venir meno gli elementi differenziali, poiche' «di
contro, lo scostamento tra retribuzione e pensione, determinato dalla
minore massa contributiva a disposizione del funzionario  di  Polizia
che non ha potuto riscattare gli anni di studi universitari  rispetto
a  quanto  previsto  per  l'ufficiale   dei   carabinieri,   non   e'
significativamente diverso da quello che attualmente si registra  per
tutto il personale civile dello Stato». 
    A sostegno della non fondatezza della questione anche  la  difesa
statale richiama le decisioni delle sezioni giurisdizionali regionali
della Corte dei conti che hanno rigettato analoghe richieste volte  a
sollevare questioni di legittimita' costituzionale degli artt.  13  e
32 del d.P.R. n. 1092 del 1973  per  motivi  coincidenti  con  quelli
prospettati dalla sezione giurisdizionale  rimettente  (ex  plurimis,
Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la  Regione  Sardegna,
sentenza 15 novembre 2021n. 356). 
    La difesa statale afferma che, peraltro, eventuali  equiparazioni
operate fra gli appartenenti alla Polizia  di  Stato  e  appartenenti
alle Forze armate vanno rimesse  «alla  discrezionalita'  legislativa
che deve anche tener conto delle  varie  esigenze  nel  quadro  della
politica economica, perche' "la scelta in concreto del meccanismo  di
perequazione e' riservata  al  legislatore  chiamato  ad  operare  il
bilanciamento  tra  le  varie  esigenze  nel  quadro  della  politica
economica generale e delle concrete disponibilita' finanziarie" (cfr.
le sentenze n. 226 del 1993 e n. 241 del 1996)»; cio'  tanto  piu'  a
seguito    dell'introduzione     del     principio     costituzionale
dell'equilibrio di bilancio, sancito dall'art. 81 Cost. 
    Secondo l'Avvocatura generale  dello  Stato  tali  considerazioni
«tolgono rilievo anche alle argomentazioni del rimettente  in  merito
all'individuazione  di   una   progressiva   equi-ordinazione   della
disciplina del rapporto di  impiego  delle  Forze  di  Polizia  dello
Stato, da cui conseguirebbe l'esistenza di un  principio  perequativo
di  tutti  i  trattamenti  dall'istituzione  del   Comparto   difesa,
sicurezza, soccorso pubblico». 
    In ordine alla prospettata violazione degli artt. 36 e 38  Cost.,
la  difesa  statale  deduce  che  le  argomentazioni  del  rimettente
condurrebbero allora  a  ritenere,  diversamente  opinando,  che  «il
trattamento pensionistico dovrebbe considerarsi  inidoneo  anche  per
tutti i dipendenti civili, ai quali, esattamente come  ai  funzionari
della  Polizia  di  Stato,  il  beneficio   in   questione   non   e'
riconosciuto». 
    Inoltre,   l'Avvocatura   generale   dello   Stato   rileva   che
l'affermazione  del  giudice  rimettente  «secondo  cui  il   mancato
riscatto degli anni di laurea (si badi bene  liberamente  scelto  dal
soggetto),  incida  di  per  se'  sull'idoneita'  della  retribuzione
(pensione) ad assicurare "un'esistenza libera  e  dignitosa"  e'  del
tutto apodittica e priva di qualsivoglia  sostegno  argomentativo  di
tipo fattuale e/o economico». 
    Per analoghe ragioni la difesa statale  esclude  la  lesione  del
principio di buon andamento della pubblica  amministrazione,  di  cui
all'art. 97, secondo comma, Cost., poiche' qualora si accedesse  alla
considerazione  che   l'onerosita'   del   riscatto   contrasta   con
l'incentivazione della maggiore cultura  e  formazione  professionale
dei funzionari dello Stato, allora dovrebbe  ipotizzarsi  un  diritto
alla gratuita' del riscatto per tutti i  dipendenti  dello  Stato,  a
prescindere dalla natura militare o civile del servizio prestato. 
    5.- L'Associazione nazionale funzionari di polizia (ANFP) in data
14 febbraio 2022 ha depositato  un'opinione,  ai  sensi  dell'art.  6
delle  Norme  integrative  per   i   giudizi   davanti   alla   Corte
costituzionale, ammessa con decreto della Presidente della  Corte  in
data 22 settembre 2022. 
    L'ANFP  fa  proprie  le  argomentazioni   addotte   dal   giudice
rimettente  e  dalle  parti  private,  secondo  cui  gli   interventi
normativi sull'assetto pensionistico delle Forze di polizia pervenuti
negli  ultimi   anni   attesterebbero   un'evidente   tendenza   alla
omogeneizzazione   dei    contenuti    degli    specifici    istituti
previdenziali, a prescindere  dallo  status  civile  o  militare,  in
considerazione  della  coincidente  attivita'  riguardante   l'ordine
pubblico e la sicurezza; tendenza che troverebbe conferma  da  ultimo
nell'art. 1, comma 101, della  legge  n.  234  del  2021,  inteso  ad
applicare l'art. 54, comma 1, del d.P.R.  n.  1092  del  1973,  quale
«misura del trattamento normale», anche  alle  Forze  di  polizia  ad
ordinamento civile. 
    Pertanto,  l'ANFP  conclude  ravvisando  nell'accoglimento  della
questione avanzata dal giudice rimettente lo strumento per  rimuovere
la eccepita irragionevole  sperequazione  tra  personale  militare  e
personale civile della Polizia di Stato. 
    6.- In prossimita' dell'udienza le parti private hanno depositato
una memoria illustrativa  in  cui  hanno  innanzitutto  replicato  ai
profili di inammissibilita', rispetto al petitum,  dedotti  nell'atto
di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e,  nel
confutare le argomentazioni dell'INPS e della difesa  statale,  hanno
ribadito e integrato quanto gia' sostenuto nell'atto di costituzione. 
    In particolare, le parti  private  insistono  nell'affermare  che
l'applicazione al personale della Polizia di Stato della disposizione
di cui all'art. 32 del d.P.R. n. 1092  del  1973  «non  costituirebbe
piu' estensione di una norma eccezionale e derogatoria, ma estensione
di  una  norma  rientrante  nell'ambito  della  comune   specificita'
(articolo 19, legge 183 del 2010) dei trattamenti  pensionistici  del
personale delle forze di polizia, in quanto tale, estranea al  regime
generale del restante pubblico impiego». 
    Ancora, le parti private confutano quanto affermato dall'Istituto
previdenziale e dall'Avvocatura generale dello  Stato  circa  la  non
configurabilita'  nell'ordinamento  di  un  principio  normativo   di
perequazione dei trattamenti pensionistici del personale delle  Forze
di polizia, a prescindere dallo status  civile  o  militare,  perche'
cio' condurrebbe a ritenere che solo il legislatore  possa  eliminare
le  sperequazioni   giacche'   «un'estensione   generalizzata   della
qualifica di norma  eccezionale  fondata  sullo  status,  rispetto  a
qualsiasi norma pensionistica che  riguardi  il  personale  militare,
farebbe prevalere sempre la discrezionalita' del legislatore,  e  non
vi  sarebbe  alcuno  spazio   per   una   valutazione   della   Corte
costituzionale sulla ragionevolezza nell'utilizzo della stessa». 
    7.- Anche  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  in  prossimita'
dell'udienza, ha depositato una memoria nella quale, ribadita la  non
estensibilita' alla  Polizia  di  Stato  della  disposizione  di  cui
all'art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 in quanto  norma  eccezionale
avente carattere derogatorio al generale principio di onerosita'  del
riscatto del periodo di  studi  universitari,  ha  insistito  per  la
declaratoria di non fondatezza della questione. 
    8.- All'udienza le parti hanno insistito per l'accoglimento delle
conclusioni formulate nei rispettivi atti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza indicata in epigrafe (reg. ord.  n.  224  del
2021), la Corte dei conti, sezione  giurisdizionale  per  la  Regione
Puglia, dubita, in riferimento agli artt. 3, 36,  38  e  97,  secondo
comma, Cost., della legittimita' costituzionale degli artt. 13  e  32
del d.P.R. n. 1092 del 1973, nella parte in cui non prevedono, per  i
funzionari della Polizia di Stato, il computo gratuito degli anni  di
durata  legale  del  corso  di  laurea  magistrale  o   specialistica
richiesto ai fini dell'accesso alle rispettive carriere, previsto per
gli ufficiali degli «altri corpi militari». 
    1.1.- Il presente  giudizio  e'  originato  da  una  controversia
promossa nei confronti dell'INPS da funzionari della Polizia di Stato
in possesso del titolo di laurea magistrale o specialistica richiesto
dal rispettivo bando di concorso, che hanno  agito  in  giudizio  per
vedersi  riconosciuto  il  diritto  al  computo  gratuito   ai   fini
pensionistici, previsto dall'art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973  per
gli ufficiali dei corpi militari dello Stato, degli  anni  di  durata
legale  del  corso  di  laurea  magistrale  o  specialistica,  previa
rimessione  degli  atti  a  questa  Corte  per  veder  dichiarare  la
illegittimita'  costituzionale  della   predetta   disposizione   per
violazione degli artt. 3, 36, 38, e 97, secondo comma,  Cost.,  nella
parte in cui non prevede l'applicazione  anche  ai  funzionari  della
Polizia di Stato di un tale beneficio. 
    In accoglimento della  prospettata  eccezione  di  illegittimita'
costituzionale, il giudice a quo ha quindi sollevato la questione  in
oggetto nei termini innanzi indicati. 
    In punto di rilevanza il rimettente afferma che il  giudizio  non
puo'  essere  definito  indipendentemente  dalla  risoluzione   della
questione, poiche' il combinato disposto degli  artt.  13  e  32  del
d.P.R.  n.  1092  del  1973  esclude  la  possibilita'  di  estendere
l'applicazione della disposizione censurata ai ricorrenti, in  quanto
riservata  espressamente  agli  ufficiali,  e  dunque  al   personale
militare, dal citato art. 32, richiamato dall'art. 1860 del d.lgs. n.
66 del 2010, laddove l'art. 23, quinto comma, della legge n. 121  del
1981 - che ha disposto la soppressione  del  Corpo  degli  agenti  di
pubblica sicurezza con contestuale creazione della «Polizia di Stato»
ad ordinamento civile, realizzando la cosiddetta  "smilitarizzazione"
del personale di pubblica sicurezza -  stabilisce  espressamente  che
«[a]l personale  appartenente  ai  ruoli  dell'Amministrazione  della
pubblica sicurezza, per quanto non previsto dalla presente legge,  si
applicano, in quanto compatibili, le norme  relative  agli  impiegati
civili dello Stato». 
    In considerazione di  tali  inequivoci  enunciati  normativi,  il
giudice a quo afferma che il dubbio  di  legittimita'  costituzionale
non puo' quindi essere superato mediante interpretazione adeguatrice,
sicche' allo stato degli  atti  il  diniego  opposto  dall'INPS  alla
richiesta dei ricorrenti appare coerente con l'ordinamento. 
    1.2.- Riguardo alla non manifesta infondatezza  della  questione,
il giudice a quo afferma che la sua riproposizione  non  puo'  essere
preclusa dall'esito delle ordinanze n. 847 del  1988  e  n.  168  del
1995, che ne hanno dichiarato  la  manifesta  infondatezza  a  motivo
della discrezionalita' del legislatore nel disciplinare le  modalita'
di riscatto a fini pensionistici del periodo di  studi  universitari,
giacche' tali motivazioni non sarebbero piu' attuali: da un lato, per
effetto della intervenuta equiparazione, ad opera del  d.lgs.  n.  66
del 2010, dei limiti di eta'  per  la  cessazione  dal  servizio  dei
militari (all'epoca delle ordinanze, inferiori a quelli previsti  per
la Polizia di Stato), rispetto a quelli stabiliti dal d.lgs.  n.  334
del 2000 per le corrispondenti qualifiche del personale della Polizia
di  Stato;  dall'altro,  a  motivo  del   processo   di   sostanziale
omogeneizzazione del regime ordinamentale del personale del  comparto
di sicurezza a prescindere  dallo  status  militare  (in  particolare
l'Arma dei carabinieri) o civile quale la Polizia di Stato, stante le
forti  analogie  tra  le  funzioni  svolte,  ai  fini  della   tutela
dell'ordine e della sicurezza pubblica. 
    In  proposito,  il  rimettente  menziona  i  piu'   significativi
interventi che attesterebbero la dedotta tendenza legislativa. 
    1.3.- Cio' premesso, il  giudice  a  quo  afferma  che  l'assetto
normativo in tema di riscatto  del  corso  di  studi  applicabile  al
personale della Polizia  di  Stato  determinerebbe  una  lesione  dei
parametri costituzionali evocati. 
    Innanzitutto, la diversita' della normativa in tema  di  riscatto
del corso di studi di laurea applicabile al personale  della  Polizia
di Stato rispetto alle  Forze  di  polizia  ad  ordinamento  militare
comporterebbe una discriminazione fra situazioni similari, lesiva del
canone di ragionevolezza e del principio di  uguaglianza  sostanziale
di cui all'art. 3 Cost. 
    Il combinato disposto degli articoli censurati  violerebbe,  poi,
gli artt. 36 e 38 Cost., nella misura in  cui,  essendo  previsto  un
contributo per il riscatto degli anni di studio, i  funzionari  della
Polizia di Stato, che non possono affrontare  tale  onere  economico,
subirebbero il  sacrificio  dell'interesse  al  perseguimento  di  un
trattamento  pensionistico  proporzionato  al  servizio  prestato   e
adeguato a mantenere lo stesso tenore di vita. 
    Infine, secondo il rimettente, sarebbe leso il principio di  buon
andamento della pubblica amministrazione posto dall'art. 97,  secondo
comma, Cost., poiche' la differente disciplina relativa  al  riscatto
degli anni di laurea costituirebbe un disincentivo  all'ingresso  nei
ruoli della Polizia di Stato di personale  idoneo  per  formazione  e
cultura per le carriere direttive. 
    2.- Nel giudizio incidentale si sono costituiti i ricorrenti  nel
giudizio principale aderendo alle argomentazioni e alla richiesta del
giudice rimettente. 
    Nel giudizio si e', altresi', costituito l'INPS ed e' intervenuto
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale  dello  Stato.  Sia  l'INPS  che  la  difesa
statale  hanno  confutato  le  argomentazioni  addotte  dal   giudice
rimettente a sostegno della questione di legittimita' costituzionale. 
    L'ANFP  ha  depositato,  ai  sensi  dell'art.   6   delle   Norme
integrative  per  i  giudizi  davanti  alla   Corte   costituzionale,
un'opinione scritta quale amicus curiae, nella quale ha aderito  alle
argomentazioni addotte dal giudice rimettente e dalle parti  private,
costituitesi in giudizio. 
    3.-  Il  rimettente   censura   il   combinato   disposto   delle
disposizioni dettate dall'art. 13 e dall'art. 32 del d.P.R.  n.  1092
del 1973 nella parte in cui  non  prevede,  e  dunque  non  consente,
l'applicazione anche ai funzionari della Polizia di Stato del computo
gratuito ai fini pensionistici degli anni di durata legale del  corso
di laurea richiesto per l'accesso alle rispettive  carriere  previsto
invece per gli ufficiali dei Corpi militari dello  Stato  e,  dunque,
anche per quelli dell'Arma dei carabinieri. 
    L'art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, recante «Periodi di  studi
superiori e di esercizio professionale», al primo  comma  stabilisce:
«[i]l dipendente civile al quale sia stato richiesto, come condizione
necessaria per l'ammissione in servizio, il diploma di laurea  o,  in
aggiunta, quello di specializzazione rilasciato dopo la frequenza  di
corsi universitari di perfezionamento puo' riscattare in tutto  o  in
parte il periodo di tempo corrispondente  alla  durata  legale  degli
studi universitari e dei corsi  speciali  di  perfezionamento,  verso
corresponsione di un contributo pari  al  6  per  cento,  commisurato
all'80 per cento dello stipendio spettante alla data di presentazione
della domanda, in relazione alla durata del periodo riscattato». 
    Invece  l'art.  32,  recante  «Studi  superiori  richiesti   agli
ufficiali», dispone: «[n]ei confronti  degli  ufficiali  per  la  cui
nomina in  servizio  permanente  effettivo  sia  stato  richiesto  il
possesso del diploma di laurea si computano  tanti  anni  antecedenti
alla data di conseguimento di detto  titolo  di  studio  quanti  sono
quelli corrispondenti alla  durata  legale  dei  relativi  corsi.  Si
computano  altresi'  gli  anni  corrispondenti  al  corso  di   studi
universitari, di durata inferiore al corso di laurea, richiesti  come
condizione necessaria per la nomina in servizio permanente  effettivo
o per l'ammissione ai corsi normali delle accademie militari  per  la
nomina a ufficiale in servizio permanente effettivo». 
    E', dunque, evidente la diversa disciplina della valorizzazione a
fini pensionistici del periodo di studi universitari:  ai  funzionari
della  Polizia  di  Stato,  in  quanto  dipendenti  civili  ai  sensi
dell'art. 23, quinto comma, della legge n. 121 del 1981,  si  applica
il regime oneroso  del  riscatto  previsto  dall'art.  13  e  non  il
beneficio del computo gratuito di tale periodo a  fini  pensionistici
previsto dall'art. 32 per gli ufficiali delle Forze armate e, dunque,
anche per quelli dell'Arma dei carabinieri. 
    4.- La questione, come si e' rilevato, e' stata  gia'  sottoposta
al vaglio di questa Corte che, con le ordinanze n. 847 del 1988 e  n.
168 del 1995, ne ha dichiarato la manifesta infondatezza  in  base  a
due considerazioni principali: in via generale,  la  discrezionalita'
di cui gode il legislatore in materia di regolazione del riscatto sia
nello  scegliere  i  periodi  ammissibili  sia  nel  determinarne  le
modalita', sia nello stabilire se porre a carico dell'interessato  il
relativo onere finanziario in tutto o in parte; nello  specifico,  la
diversita'  dell'impiego  militare  rispetto  a  quello  civile,  con
particolare riguardo ai piu' bassi limiti di eta' per  la  cessazione
dal servizio (all'epoca) stabiliti per i  militari,  con  conseguente
maggiore difficolta', rispetto ai civili, di raggiungere  il  massimo
dell'anzianita' utile per il trattamento di quiescenza. 
    Pertanto, l'odierno thema decidendum e' costituito dal verificare
se  il  quid  novi   rappresentato   dal   giudice   rimettente   sia
effettivamente   elemento   idoneo   a   incidere   sulle    predette
argomentazioni addotte nelle menzionate ordinanze, cosi' da  condurre
ad esiti diversi. 
    5.- In ordine  all'ammissibilita',  non  sussistono  dubbi  sulla
possibilita' per il giudice rimettente  di  riproporre  la  questione
gia'  scrutinata  con  giudizio  di  manifesta   infondatezza   nelle
ordinanze n. 847 del 1988 e n. 168 del 1995.  Nell'odierno  giudizio,
alla luce dell'evoluzione  del  quadro  normativo,  la  questione  e'
prospettata in ordine a profili e sulla scorta  di  argomenti  nuovi,
che ne consentono la riproposizione in questa sede. 
    5.1.-  La  difesa   statale   ha   ravvisato   due   profili   di
inammissibilita',   il   primo   dei   quali    sarebbe    costituito
dall'ambiguita' della  richiesta  del  giudice  a  quo,  poiche'  non
avrebbe chiarito quale delle due disposizioni censurate, l'art. 32  o
l'art. 13 del d.P.R. n. 1092 del 1973, dovrebbe essere oggetto  della
pronuncia di illegittimita' costituzionale. Conseguentemente, secondo
la  difesa  statale,  «l'intervento  manipolativo  invocato  presenta
connotati incerti, perche' l'ordinanza non chiarisce la natura  della
pronuncia invocata, ovvero se essa  debba  avere  carattere  additivo
rispetto alla previsione "speciale" dell'art.  32  del  T.U.,  oppure
carattere ablativo rispetto alla portata generale di quanto stabilito
dall'art. 13 del medesimo testo». 
    In ordine a tale  profilo,  le  parti  private,  con  la  memoria
illustrativa depositata in prossimita' dell'udienza, hanno  replicato
rilevando  come   «il   carattere   della   pronuncia   della   Corte
costituzionale, invocata dall'ordinanza  di  rimessione,  sia  quello
additivo  rispetto  all'art.  32  del  citato  testo  unico.   Questo
intervento, infatti, non farebbe incorrere, nel caso  di  specie,  in
un'illegittima estensione analogica di norma a carattere eccezionale,
perche' il citato art. 32 e' norma eccezionale solo  con  riferimento
agli impiegati civili dello Stato, e non rispetto al personale  della
Polizia di Stato». 
    5.2.-  Un  secondo  profilo  di  inammissibilita'  consisterebbe,
secondo la difesa statale, nella inesatta individuazione delle  norme
oggetto di censura: l'applicazione della disciplina dettata dall'art.
32 del d.P.R. n. 1092 del  1973  non  deriverebbe  dall'art.  13  del
medesimo d.P.R. n. 1092 del  1973,  ma  dal  ricordato  quinto  comma
dell'art. 23 della legge n. 121 del 1981,  nella  parte  in  cui  non
esclude  l'applicazione  della  predetta  disciplina  concernente  il
computo gratuito a fini pensionistici degli anni del corso di  laurea
dall'applicabilita' generalizzata al personale della Polizia di Stato
delle norme degli impiegati civili dello Stato. 
    5.3.- Le eccezioni di  inammissibilita'  sollevate  dalla  difesa
statale,  che  possono  essere   esaminate   congiuntamente   poiche'
investono profili tra loro connessi, non sono fondate. 
    I   ricorrenti   nel   giudizio   principale   mirano,   difatti,
specificamente a conseguire l'applicazione della disciplina  speciale
dettata dall'art. 32 del d.P.R. n. 1092 del 1973 per  gli  ufficiali,
cui si frappone la diversa previsione in materia dettata dall'art. 13
applicabile  per  i  dipendenti  civili  dello  Stato,  tra  i  quali
rientrano, a seguito della legge n. 121 del  1981,  gli  appartenenti
alla Polizia di Stato, come stabilito  dall'art.  23,  quinto  comma.
Pertanto, tale ultima disposizione ha una  portata  e  funzione  piu'
ampia e generale rispetto allo specifico istituto di cui i ricorrenti
hanno chiesto l'applicazione con  l'atto  introduttivo  del  giudizio
principale, sebbene sia indubbio che e' tale normativa  a  costituire
il fattore che ha comportato  la  differenziazione  della  disciplina
applicabile alla Polizia di Stato rispetto a quella che opera  per  i
militari, in relazione - anche - alla fattispecie in esame. 
    Il rimettente ha dunque  individuato  in  maniera  pertinente  le
disposizioni  che  sono  all'origine  del  vulnus  denunciato  e   ha
delineato in termini  univoci  l'intervento  correttivo  richiesto  a
questa Corte. 
    6.- Nel merito, la questione sollevata in riferimento all'art.  3
Cost. non e' fondata. 
    Il giudizio in esame si inserisce nella complessa vicenda, oramai
ultraquarantennale, originata  dalla  "smilitarizzazione"  del  Corpo
delle guardie di pubblica sicurezza ad opera della legge n.  121  del
1981 e dalla conseguente estromissione dall'ambito applicativo  delle
peculiari e piu' favorevoli disposizioni dettate per i  militari,  in
particolare dal d.P.R. n. 1092 del 1973, recante  la  disciplina  del
trattamento di quiescenza dei dipendenti dello Stato. 
    Per i militari, il  predetto  d.P.R.  detta  una  disciplina  che
diverge in modo significativo da quella parallela per  gli  impiegati
civili,  contemplando,  come  nel  caso  della  disposizione  dettata
dall'art.  32,  regole  piu'  favorevoli  in   considerazione   della
peculiarita' dello status militare, del rispettivo ordinamento, delle
caratteristiche del rapporto di servizio e delle funzioni espletate. 
    Si tratta di un corpus normativo che,  pur  inquadrandosi  in  un
contesto  profondamente  modificato,  conserva  tuttavia  ragioni  di
perdurante attualita', attesa la distinzione  fra  impiego  civile  e
militare, che  continua  a  comportare  significative  diversita'  di
regolazione, riflesso della  differenza  strutturale  dei  rispettivi
ordinamenti. 
    6.1.-   Tali   considerazioni   conducono   a    confermare    le
argomentazioni che avevano indotto questa Corte, nelle  ordinanze  n.
848 del 1988 e n. 168 del 1995, a dichiarare non  fondata  la  stessa
questione sollevata in riferimento all'art. 3 Cost. 
    6.2.-  Innanzitutto,   permane   il   carattere   eccezionale   e
derogatorio  della  gratuita'  del  computo  degli  anni  del   corso
universitario per conseguire la laurea  per  gli  ufficiali  prevista
dall'art. 32 del d.P.R n. 1092 del 1973 rispetto al riscatto a titolo
oneroso degli  anni  di  laurea  previsto  per  i  dipendenti  civili
dall'art. 13 dello stesso d.P.R., che si colloca nel perimetro  della
disciplina generale dettata dall'art. 2 del  decreto  legislativo  30
aprile 1997, n. 184 (Attuazione della delega conferita  dall'articolo
1, comma 39, della legge  8  agosto  1995,  n.  335,  in  materia  di
ricongiunzione, di riscatto e  di  prosecuzione  volontaria  ai  fini
pensionistici). 
    Il  carattere  spiccatamente  derogatorio  ed  eccezionale  della
disposizione dettata dall'art. 32 del d.P.R. n. 1092 del  1973  osta,
di  per  se',  secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,   alla
possibilita' di invocarla quale tertium  comparationis.  Cosi'  come,
analogamente,    non    costituisce    fonte    di    discriminazione
costituzionalmente  rilevante  il  fatto  che  il  legislatore  abbia
delimitato  l'ambito  di  applicazione  della  suddetta   norma   (ex
plurimis, sentenze n. 225 del 2014, n. 273 del  2011  e  n.  131  del
2009). 
    D'altro canto, questa Corte ha affermato che  la  violazione  del
principio di uguaglianza sussiste qualora situazioni  omogenee  siano
disciplinate in modo ingiustificatamente diverso e  non  quando  alla
diversita' di disciplina corrispondano  situazioni  non  assimilabili
(ex multis, sentenza  n.  165  del  2020),  come  si  verifica  nella
fattispecie, stante la persistente diversita' del complessivo assetto
ordinamentale tra le Forze di polizia ad ordinamento civile e  quelle
a ordinamento militare. 
    6.3.- In via generale,  si  deve  escludere  che  la  complessiva
evoluzione  normativa  illustrata  nell'ordinanza  possa  condurre  a
configurare  nell'ordinamento  il  prospettato  principio  di   piena
omogeneita' di regolazione fra personale militare e personale  civile
del comparto di pubblica sicurezza. 
    Si e' gia' rilevato in precedenza come  persista  la  strutturale
diversita' tra i rispettivi status che determina differenti soluzioni
sul piano normativo  e  che  e'  all'origine  della  dicotomia  nelle
discipline  previdenziali  fra  impiego  civile  e  impiego  militare
presente nel d.P.R. n. 1092 del 1973. 
    L'impiego militare e' caratterizzato da una forte compenetrazione
fra i profili ordinamentali e la disciplina del rapporto di servizio,
come attesta lo stesso codice dell'ordinamento  militare  di  cui  al
d.lgs. n. 66 del 2010, che, non a caso, ha normato contestualmente  i
diversi profili. Nella  fattispecie  e',  difatti,  l'art.  1860  del
codice dell'ordinamento militare a richiamare l'art. 32 del d.P.R. n.
1092 del 1973 in tema di valutazione a fini pensionistici del periodo
di studi universitari per gli ufficiali. 
    Ben diversa e' la  disciplina  del  personale  della  Polizia  di
Stato, riconducibile, pur nelle sue accentuate specificita', a quella
degli impiegati civili dello Stato. 
    In definitiva, il giudice rimettente, nell'accentuare  la  comune
appartenenza al comparto Difesa, sicurezza e  soccorso  pubblico  dei
dipendenti della Polizia  di  Stato  e  dei  militari  dell'Arma  dei
carabinieri, tralascia di considerare che gli ufficiali dell'Arma dei
carabinieri, avente rango di Forza armata ai sensi dell'art. 155 cod.
ordinamento militare, sono beneficiari della  disposizione  censurata
proprio in quanto militari, cosi' come, in tale  veste,  ne  fruivano
gli   appartenenti   alla    Polizia    di    Stato    prima    della
"smilitarizzazione". 
    Il  rimettente  adombra,  dunque,  una   sorta   di   sostanziale
ultrattivita'  del  pregresso  status   militare,   condiviso   dagli
appartenenti alla Polizia di Stato fino alla  riforma  del  1981  con
altre forze del comparto Difesa, sicurezza e soccorso  pubblico,  che
condurrebbe  a  ritenere  ancora  dovuta  l'applicabilita'  nei  loro
confronti, a distanza di oltre quarant'anni dalla riforma stessa, del
sistema normativo specificamente previsto per i  dipendenti  militari
in materia previdenziale dal d.P.R. n. 1092 del 1973. 
    In tal senso appare sintomatico che il  rimettente  prospetti  la
questione di legittimita' costituzionale nei confronti degli artt. 13
e 32, nella parte in cui non prevedono il computo gratuito  anche  ai
funzionari della Polizia di Stato degli anni  di  durata  legale  del
corso di  laurea  «previsto  per  gli  ufficiali  degli  altri  Corpi
militari»,  poiche'  l'utilizzo  del  termine  «altri»  sottende  una
qualificazione della Polizia di Stato oramai da tempo venuta meno. 
    6.4.- Infine,  in  ordine  alla  sopravvenuta  parificazione  dei
requisiti di eta' di cessazione dal servizio per la Polizia di  Stato
e per i militari, questa Corte osserva che, contrariamente  a  quanto
ritenuto dal giudice a quo, la circostanza non comporta la necessaria
estensione della disciplina di favore ai funzionari della Polizia  di
Stato. 
    7.- In riferimento agli altri  parametri  costituzionali  dedotti
dal rimettente, la questione va dichiarata manifestamente infondata. 
    7.1.- Relativamente alla violazione dell'art.  36  Cost.,  questa
Corte  rileva  che  il  corso  di  studi  di   laurea   e'   estraneo
all'attivita' lavorativa espletata, cui si riferisce  la  prestazione
previdenziale  e,  pertanto,  la  disposizione  censurata  esula  dal
perimetro presidiato dal parametro costituzionale in oggetto. 
    7.2.- Per analoghe ragioni non e' evocabile nella fattispecie  la
lesione dell'art. 38 Cost., poiche' la disciplina del riscatto a fini
previdenziali  del  periodo  di  studi   universitari   non   rientra
nell'ambito di tutela previdenziale cui  si  riferisce  il  parametro
stesso. 
    7.3.- Sono, altresi', manifestamente infondate le  argomentazioni
svolte dal  giudice  rimettente  a  sostegno  della  dedotta  lesione
dell'art. 97, secondo comma, Cost. 
    Preliminarmente, si rileva  che  e'  competenza  del  legislatore
prevedere  le  diverse  forme  di  incentivazione   alla   formazione
culturale   del   personale   alle   dipendenze    delle    pubbliche
amministrazioni. 
    In tale ottica, l'assunto del giudice a quo secondo  cui  la  non
applicazione del beneficio in questione ai funzionari  della  Polizia
di Stato costituirebbe un  disincentivo  a  una  maggiore  formazione
professionale varrebbe anche per  tutti  i  dipendenti  pubblici  che
rivestono una qualifica e svolgono funzioni per le quali e' richiesto
il possesso della laurea. Ne consegue  che  sotto  tale  profilo  non
sarebbe censurabile l'art. 32 del d.P.R. n.  1092  del  1973  per  la
mancata applicazione ai funzionari della Polizia dello Stato,  bensi'
il precedente  art.  13  laddove,  per  tutti  i  dipendenti  civili,
stabilisce non la gratuita' del computo degli anni di laurea,  ma  la
mera facolta' di riscatto a titolo oneroso. 
    Infine,  risulta  tautologica  e  assertiva  l'affermazione   del
rimettente  secondo  cui  il   beneficio   accordato   dall'art.   32
favorirebbe la propensione di soggetti  in  possesso  di  diploma  di
laurea ad accedere all'impiego militare presso l'Arma dei carabinieri
a scapito dell'impiego civile  presso  la  Polizia  di  Stato,  cosi'
incidendo negativamente sul buon andamento delle funzioni assegnate a
quest'ultima. Difatti  e'  appena  il  caso  di  osservare  che  sono
molteplici e ben piu' complessi e variegati i fattori che inducono ad
optare per l'una o l'altra carriera, in primis la stessa acquisizione
dello status militare piuttosto che dello status di impiegato civile,
con tutte le conseguenti implicazioni. 
    8.- In conclusione, la questione di  legittimita'  costituzionale
in  esame  va,  pertanto,  dichiarata  manifestamente  infondata,  in
riferimento agli artt. 36, 38  e  97,  secondo  comma,  Cost.  e  non
fondata, in riferimento all'art. 3 Cost. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 13 e 32 del decreto del  Presidente  della
Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092 (Approvazione  del  testo  unico
delle norme sul trattamento di quiescenza  dei  dipendenti  civili  e
militari dello Stato), sollevata, in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la
Regione Puglia, con l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    2)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 13 e 32 del  d.P.R.  n.  1092
del 1973, sollevata, in riferimento agli artt. 36, 38 e  97,  secondo
comma, Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale  per  la
Regione Puglia, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                    Giulio PROSPERETTI, Redattore 
                   Igor DI BERNARDINI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 30 dicembre 2022. 
 
                           Il Cancelliere 
                      F.to: Igor DI BERNARDINI