N. 2 SENTENZA 20 dicembre 2022- 12 gennaio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Misure di prevenzione - Misure di prevenzione personali applicate dal
  questore - Avviso orale c.d. rafforzato - Possibilita'  di  imporre
  il divieto di possedere o utilizzare il telefono  cellulare,  quale
  apparato di  comunicazione  radiotrasmittente  -  Violazione  della
  riserva di giurisdizione e di legge  a  tutela  dell'inviolabilita'
  della liberta' di comunicazione - Illegittimita' costituzionale  in
  parte qua. 
Misure di prevenzione - Misure di prevenzione personali applicate dal
  questore - Avviso orale c.d. rafforzato - Possibilita'  di  imporre
  il divieto di possedere o utilizzare il telefono  cellulare,  quale
  apparato di comunicazione radiotrasmittente - Sanzioni in  caso  di
  mancata osservanza - Denunciata irragionevolezza e violazione della
  riserva  di  giurisdizione  a  tutela   dell'inviolabilita'   della
  liberta' e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma
  di comunicazione - Inammissibilita' della questione. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, artt. 3, comma  4,  e
  76, comma 2. 
- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 15,  21,  117,  primo  comma;
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali, artt. 8 e 10. 
(GU n.3 del 18-1-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS, Nicolo'  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo  BUSCEMA,  Emanuela  NAVARRETTA,
  Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt.  3,  comma
4, e 76 del decreto legislativo 6  settembre  2011,  n.  159  (Codice
delle leggi antimafia e delle misure di  prevenzione,  nonche'  nuove
disposizioni in materia di documentazione antimafia,  a  norma  degli
articoli 1 e  2  della  legge  13  agosto  2010,  n.  136),  promossi
complessivamente dal Tribunale ordinario di Sassari, sezione  penale,
con ordinanza dell'11  marzo  2021,  e  dalla  Corte  di  cassazione,
sezione quinta penale, con ordinanza del 16 dicembre 2021,  iscritte,
rispettivamente, al n. 164 del registro ordinanze 2021 e al n. 73 del
registro ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica, prima serie speciale,  n.  43  dell'anno  2021  e  n.  26
dell'anno 2022. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 19 ottobre  2022  il  giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 dicembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza dell'11 marzo 2021 (reg. ord. n. 164 del 2021),
il Tribunale ordinario di Sassari, sezione penale, ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  15  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 3, comma 4, e 76 del  decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia  e
delle misure di prevenzione, nonche' nuove disposizioni in materia di
documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13
agosto 2010, n. 13), nella parte in cui prevedono che,  con  l'avviso
orale,  il  questore  possa  imporre  a   coloro   che   sono   stati
definitivamente condannati per delitti  non  colposi  il  divieto  di
possedere o utilizzare, in tutto o in parte, «qualsiasi  apparato  di
comunicazione  radiotrasmittente»  e,  dunque,   anche   i   telefoni
cellulari. 
    Il  giudice  a  quo  riferisce  di  doversi   pronunciare   sulla
responsabilita' penale di A. L, imputato del reato  di  cui  all'art.
76, comma 2, cod. antimafia, per essere stato colto in possesso di un
telefono cellulare, nonostante nei suoi confronti fosse stato  emesso
avviso orale con imposizione dei divieti previsti dall'art. 3,  comma
4, cod. antimafia, tra i  quali,  appunto,  quello  «di  possedere  o
utilizzare, in tutto o in parte, qualsiasi apparato di  comunicazione
radiotrasmittente». 
    1.1.- Il  Tribunale  di  Sassari  si  sofferma  innanzitutto  sul
significato    della    locuzione    «apparato    di    comunicazione
radiotrasmittente». 
    Premesso che l'art. 3, comma  4,  cod.  antimafia,  coinciderebbe
«nella sostanza precettiva» con l'abrogato  art.  4  della  legge  27
dicembre 1956, n. 1423 (Misure di  prevenzione  nei  confronti  delle
persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica  moralita'),  a
suo giudizio tale locuzione sarebbe stata introdotta nell'ordinamento
in un'epoca in cui gli apparecchi  radiotrasmittenti  si  connotavano
quali strumenti «di tipo eccezionale e militare (walkie talkie)»,  il
cui utilizzo, «raro» e «inusuale», era allora tipicamente volto  alla
commissione di reati. Una tale caratterizzazione, del  resto,  ancora
oggi accomunerebbe altre categorie di dispositivi che possono  essere
oggetto del divieto in esame, tra cui i «radar e visori notturni» o i
«mezzi di trasporto blindati», la cui finalita' d'uso sarebbe rimasta
immutata nel tempo. 
    Nell'ordinanza  di  rimessione  viene  quindi  sottolineato  come
l'utilizzo del telefono cellulare, il  cui  funzionamento  e'  basato
sulla  tecnologia  della  trasmissione  di  onde  radio,  sia   ormai
diventato talmente comune da soppiantare la comunicazione  telefonica
via cavo:  il  potere  inibitorio  del  questore,  pertanto,  avrebbe
acquisito  col  tempo  la  capacita'  di   incidere   su   mezzi   di
comunicazione del tutto ordinari. 
    Cio' posto, il rimettente muove dal presupposto che  il  telefono
cellulare  debba  essere  incluso  nella  nozione  di  «apparato   di
comunicazione radiotrasmittente», di cui alla disposizione censurata,
condividendo  l'impostazione  abbracciata  dalla  giurisprudenza   di
legittimita', la quale, anche di  recente,  avrebbe  interpretato  in
questo senso la formula normativa (e'  citata  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale,  sentenza  22  settembre-14  ottobre  2020,  n.
28551). 
    Il giudice rimettente evidenzia,  a  questo  proposito,  che  una
diversa interpretazione non sarebbe consentita dal dato testuale:  il
telefono  cellulare,  infatti,  costituirebbe  «tecnologicamente   un
apparato radio trasmittente», operando  grazie  al  collegamento  via
radio  con  stazioni  capaci   di   ricevere   e   trasmettere   onde
elettromagnetiche. 
    1.2.-  Su  queste  premesse,  il  giudice  a  quo  dubita   della
legittimita' costituzionale dell'art. 3,  comma  4,  cod.  antimafia,
nella parte in cui «consente al solo questore,  e  non  all'autorita'
giudiziaria,   di   inibire   qualunque   mezzo   di    comunicazione
radiotrasmittente, e quindi l'uso del telefono cellulare». 
    1.3.- In  punto  di  rilevanza,  il  rimettente  osserva  che  si
contesta a A.  L.  la  violazione  di  un  provvedimento  di  divieto
dettagliatamente motivato, con riguardo sia ai numerosi reati  contro
il  patrimonio  commessi  dall'imputato,  sia  alla  finalita'  della
prescrizione,  sicche'   non   sarebbe   possibile,   attraverso   la
disapplicazione  di  tale  atto,  giungere  ad   una   pronuncia   di
proscioglimento. 
    L'esito del giudizio, quindi, sarebbe evidentemente  condizionato
dalla   soluzione   delle   sollevate   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 4, cod. antimafia, che  attribuisce
al questore il suddetto potere inibitorio. 
    1.4.- Sotto il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
giudice a quo sospetta, in primo luogo, il contrasto  con  l'art.  15
Cost., che consente limitazioni alla liberta' e  alla  segretezza  di
ogni   forma   di   comunicazione   «soltanto   per   atto   motivato
dell'autorita' giudiziaria». 
    In quest'ottica, la facolta' di impugnare  il  provvedimento  del
questore davanti a un'autorita' giurisdizionale,  prevista  dall'art.
3, comma 6, cod. antimafia, sarebbe un rimedio insufficiente, perche'
l'art. 15 Cost. imporrebbe l'intervento giurisdizionale nel  «momento
genetico» della limitazione della liberta' di comunicazione e non  in
un momento  successivo,  mentre  l'avviso  orale  e'  «immediatamente
efficace, anche in pendenza dei termini di impugnazione». 
    A sostegno  della  dedotta  violazione  dell'art.  15  Cost.,  il
giudice  a  quo  evidenzia  altresi'  che,  oggi,  la   liberta'   di
comunicazione tra persone che si  trovino  a  distanza  non  potrebbe
prescindere dal ricorso  ad  apparecchi  radiotrasmittenti,  tra  cui
rientrerebbero non solo i telefoni cellulari, ma anche i tablet,  gli
smartwatch e gli «apparati pc», nonche'  la  comunicazione  domotica,
che pure funziona via radio. 
    Il Tribunale rimettente pone poi  in  rilievo  come  l'inibizione
all'utilizzo del telefono cellulare comporterebbe un  sacrificio  del
diritto di comunicare che, per il legislatore del 1956, sarebbe stato
inimmaginabile,  tenuto  anche  conto  dell'incidenza  dell'emergenza
sanitaria  da  COVID-19,  essendo  a  tale  eccezionale   circostanza
conseguite specifiche  misure  che,  limitando  i  contatti  sociali,
avrebbero di fatto  reso  possibili  esclusivamente  comunicazioni  a
distanza,  le  quali  «ormai  avvengono  solo   attraverso   apparati
radiotrasmittenti». 
    Da ultimo,  l'inibizione  oggetto  di  censura  ostacolerebbe  la
fruibilita'   di    servizi    sanitari,    bancari,    assicurativi,
previdenziali, professionali, di  domotica,  di  smart  working,  cui
l'utente   accede   oggi   sempre   piu'    spesso    con    apparati
radiotrasmittenti, venendo cosi' limitate, a  parere  del  giudice  a
quo,  le  garanzie   del   controllo   giudiziario   in   riferimento
all'esercizio  di  diritti  ulteriori  rispetto  alla   liberta'   di
comunicazione. 
    1.5.- La disposizione censurata sarebbe altresi' contrastante con
l'art. 3 Cost. 
    Viene a tal fine individuato come tertium comparationis l'art.  4
cod. antimafia, il quale, dettato in tema di  misure  di  prevenzione
personali applicate dall'autorita' giudiziaria, richiede l'intervento
di quest'ultima addirittura per limitazioni che, secondo  il  giudice
rimettente,  avrebbero  sulle  relazioni  sociali  del  prevenuto  un
impatto meno gravoso della inibizione all'uso del telefono cellulare,
come ad esempio il divieto di incontrare «alcune persone», nonostante
si fondino su presupposti di pericolosita' piu'  gravi  o  di  uguale
livello. 
    Il contrasto con il parametro  evocato  potrebbe  essere  escluso
solo se fosse previsto un intervento  del  giudice  che  consenta  di
modulare la limitazione della liberta' di comunicazione in base  alle
esigenze emerse in contraddittorio, ad  esempio  vietando  l'uso  del
telefono cellulare soltanto in alcuni orari, nei confronti di  alcuni
soggetti o utenze, in modo da «non  eccedere  cosi'  platealmente  il
fine della norma, che finisce [col] sacrificare anticipatamente  alla
commissione dei reati diritti costituzionalmente garantiti, primo tra
tutti quello di comunicare». 
    1.6.- In definitiva, il Tribunale di Sassari imputa  all'art.  3,
comma 4, cod. antimafia la violazione degli artt. 3 e  15  Cost.,  in
ragione della «assenza del vaglio giurisdizionale  della  limitazione
ad opera del solo Questore all'uso degli apparati  radiotrasmittenti»
e per via dell'irragionevolezza di tale norma, posta a raffronto «con
il procedimento applicativo di cui al susseguente  articolo  4  della
[legge n.] 159 del 2011, e alle prescrizioni che possono  ivi  essere
imposte con il controllo giurisdizionale». 
    2.- Nel giudizio  e'  intervenuto,  con  atto  depositato  il  15
novembre  2021,   il   Presidente   del   Consiglio   dei   ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate. 
    2.1.- La difesa  erariale,  richiamata  la  vicenda  oggetto  del
giudizio a quo, osserva, in termini generali, che, con la sentenza n.
24 del 2019, questa Corte, pur non essendosi pronunciata  sull'avviso
orale del questore,  avrebbe  dato  atto  dell'evoluzione  di  questa
misura  di  prevenzione,  evidenziando  come  il  novero   dei   suoi
destinatari si sia via via ampliato. Il precedente  evocato  sarebbe,
ad  avviso  dell'interveniente,  di  per  se'  indicativo  della  non
fondatezza delle questioni. 
    Premesso che il giudice penale, quando procede in forza dell'art.
77 (recte: 76) cod. antimafia, puo' disapplicare il provvedimento del
questore, se non e' sorretto da adeguata motivazione e se non  indica
le  ragioni  che   hanno   determinato   l'emissione   del   divieto,
l'Avvocatura  ricorda  che  la  Corte  di  cassazione   ha   ritenuto
manifestamente   infondata   analoga   questione   di    legittimita'
costituzionale, facendo leva  proprio  sulla  considerazione  che  il
divieto di possedere e usare il telefono cellulare sarebbe opponibile
dinanzi  al  tribunale  e  che  l'interessato  si   vedrebbe   quindi
assicurata una via per  adire,  di  propria  iniziativa,  l'autorita'
giudiziaria (e' citata Corte di  cassazione,  sezione  prima  penale,
sentenza 22 settembre-14 ottobre 2020, n. 28551). 
    Per la difesa erariale  le  questioni  sollevate  in  riferimento
all'art. 15 Cost. sarebbero peraltro manifestamente infondate,  anche
perche' dal divieto del questore non scaturirebbero  ne'  limitazioni
alla liberta' di comunicazione, ne'  controlli  sul  contenuto  delle
comunicazioni  del  prevenuto:   questo   provvedimento   limiterebbe
semplicemente una «particolare forma  di  comunicazione  a  distanza,
seppur rilevante (quella con i  telefoni  mobili),  nella  ricorrenza
tassativa di specifici presupposti previsti dalla legge». 
    Concludendo rispetto alla censura mossa in  riferimento  all'art.
15 Cost., l'Avvocatura dello Stato rileva che il potere del questore,
giustificato sulla  base  di  finalita'  general-preventive,  sarebbe
configurato   in   modo   da   assicurare   un   duplice    controllo
giurisdizionale: il primo, attivabile su iniziativa dell'interessato,
in  fase  di  opposizione  davanti  al  tribunale   in   composizione
monocratica, «successivamente alla denegata richiesta di revoca»;  il
secondo, necessariamente condotto ad opera del giudice penale, quando
questi sia  chiamato  ad  accertare  la  responsabilita'  penale  del
prevenuto  per  inosservanza  del  provvedimento  del  questore.   Si
tratterebbe, dunque, di un controllo «a formazione  progressiva»:  il
giudice,  su  istanza  dell'interessato,  realizzerebbe  dapprima  un
intervento assimilabile ad una «convalida (anche  con  mitigazioni)»;
successivamente,   sarebbe   garantito   un    ulteriore    controllo
dell'autorita' giudiziaria, mediante la disapplicazione  del  divieto
ad opera del giudice penale, in caso di sua illegittimita'. 
    2.2.- Anche la censura  mossa  in  riferimento  al  principio  di
ragionevolezza  risulterebbe,  ad  avviso  della   difesa   erariale,
manifestamente infondata. 
    Il   rimettente   avrebbe   infatti   individuato   un    tertium
comparationis disomogeneo, giacche' la misura  di  prevenzione  della
sorveglianza speciale si baserebbe su requisiti di pericolosita' piu'
grave, avendo essa come destinatari i soggetti condannati o indiziati
per i reati di particolare allarme sociale indicati dall'art. 4  cod.
antimafia, e avrebbe effetti ben piu' gravosi  per  le  liberta'  del
prevenuto.   In   definitiva,   alla   luce   della    giurisprudenza
costituzionale relativa all'art. 3 Cost., non risulterebbero in alcun
modo violati ne' il principio di eguaglianza,  ne'  il  principio  di
ragionevolezza. 
    3.- La Corte di cassazione, quinta sezione penale, con  ordinanza
del 16 dicembre 2021 (reg. ord. n. 73 del  2022),  solleva  anch'essa
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma  4,  cod.
antimafia, nella parte in cui prevede che il questore - nell'adottare
la misura di prevenzione dell'avviso orale  -  possa  vietare,  senza
limiti di tempo, di possedere  o  utilizzare  qualsiasi  apparato  di
comunicazione radiotrasmittente, e quindi anche i telefoni cellulari,
nonche' l'accesso ad internet, per contrasto con gli artt. 3, 15,  21
e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione agli artt.  8  e
10 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. 
    3.1.- In fatto, la Corte rimettente riferisce di essere investita
dell'impugnazione del rigetto dell'opposizione avverso l'avviso orale
rafforzato del questore, con  cui  era  stato  inibito  a  M.  B.  il
possesso   e   l'uso   di   qualsiasi   apparato   di   comunicazione
radiotrasmittente, «ricomprendendo tra gli strumenti vietati anche  i
telefoni cellulari», nonche' di fare accesso alla rete internet. 
    Riferisce il rimettente che, nell'atto di impugnazione, la difesa
di M. B. aveva eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art.  3,
comma 4, cod. antimafia, per la  mancata  previsione  di  una  durata
minima e massima della misura di prevenzione oggetto dell'istanza  di
opposizione. 
    3.2.-  Il  giudice  a   quo   esclude,   in   primo   luogo,   la
percorribilita' di un'interpretazione  conforme  a  Costituzione,  la
quale implicherebbe, al fine di  colmare  la  lacuna  denunciata,  lo
svolgimento di un non consentito «ruolo di supplenza para-normativa». 
    3.3.- In punto di rilevanza, l'autorita'  giudiziaria  rimettente
sostiene  che  la  decisione  in  ordine   all'impugnazione   sarebbe
condizionata alla previa soluzione delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale relative alla carenza di limiti temporali del  divieto
oggetto del giudizio a quo, in quanto «il ricorso  ha  ad  oggetto  i
provvedimenti giurisdizionali riguardanti la  misura  di  prevenzione
dell'avviso orale emesso dal  questore»,  aggravato  dal  divieto  di
possedere  ed  utilizzare   qualsiasi   apparato   di   comunicazione
radiotrasmittente. 
    3.4.- Quanto alla non manifesta infondatezza delle questioni,  la
Corte  di  cassazione  rimettente  illustra  brevemente  l'evoluzione
normativa che ha portato all'attuale  disciplina,  ricordando  che  i
divieti accessori all'avviso orale del questore sono stati introdotti
nell'ordinamento con la legge  26  marzo  2001,  n.  128  (Interventi
legislativi in materia di  tutela  della  sicurezza  dei  cittadini),
successivamente estesi ad opera della legge 15  luglio  2009,  n.  94
(Disposizioni  in  materia  di  sicurezza  pubblica)  e,  da  ultimo,
modificati dal codice antimafia. 
    Viene altresi' ricordato che, quando la legge 3 agosto  1988,  n.
327  (Norme  in  materia  di  misure  di  prevenzione  personali)  ha
introdotto nell'ordinamento, in sostituzione della diffida,  l'avviso
orale del questore, ne aveva stabilito un termine di durata  (da  sei
mesi a tre anni). 
    Sulla scorta di questa premessa, il giudice a quo non ignora  che
questa  Corte,  con  l'ordinanza  n.  499  del  1987,   ha   ritenuto
manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
sollevata in riferimento alla mancata previsione di una durata minima
e  massima  della  diffida,  sulla  base  della  considerazione  che,
costituendo essa una mera ingiunzione a cambiare condotta,  risultava
priva di effetti limitativi per le liberta' individuali. 
    Nel solco di tale pronuncia, a parere del rimettente, nel 2011 il
legislatore,  con  il  codice   antimafia,   avrebbe   legittimamente
eliminato la durata dell'avviso orale semplice, giacche' tale  misura
di prevenzione consisterebbe nel mero invito a  tenere  una  condotta
conforme alla legge, non venendo nemmeno  in  questo  caso  compressa
alcuna liberta' costituzionale. Il  giudice  a  quo  sottolinea  che,
all'opposto, l'avviso orale rafforzato dai divieti di cui all'art. 3,
comma 4, cod. antimafia, comporterebbe significative restrizioni  dei
diritti della persona. 
    I  vizi  che  affliggerebbero  la  disposizione   censurata   non
deriverebbero dalla previsione di divieti  idonei,  in  astratto,  ad
incidere su liberta' fondamentali dell'individuo, bensi', da un lato,
dall'attribuzione all'autorita' amministrativa  della  competenza  ad
adottare le misure inibitorie,  e,  dall'altro,  dall'assenza  di  un
termine di durata dei suddetti provvedimenti inibitori. La previsione
di una pena per la trasgressione all'ordine  aggravato  del  questore
(art. 76, comma 2, cod. antimafia), allo stesso tempo,  collocherebbe
«una sorta di 'spada di Damocle'» permanente sul prevenuto. 
    3.5.- Cio' posto, il giudice a quo ritiene  necessario  precisare
che il possesso  e  l'uso  di  qualsiasi  apparato  di  comunicazione
radiotrasmittente  rientrerebbero   nella   sfera   di   applicazione
dell'art. 15 Cost., in quanto norma posta a tutela della liberta'  di
comunicazione, nonche' dell'art. 21 Cost., quale norma che tutela  la
liberta' di espressione, anche  nella  sua  «dimensione  passiva»  di
«liberta' di ricevere informazioni». 
    La   tutela   della   liberta'   di   espressione    rivestirebbe
un'importanza  centrale  per  la   democraticita'   dell'ordinamento,
«costituendo un diritto al contempo individuale e sociale». Lo  Stato
sarebbe investito, in questo senso, del compito di intervenire  anche
sulla  base  del  principio  di  eguaglianza  sostanziale,   espresso
dall'art. 3, secondo comma, Cost. 
    Il rimettente osserva quindi che l'art.  15  Cost.  appresterebbe
tutele piu' stringenti di quelle degli artt. 13 e 14 Cost.,  vietando
che  siano  attribuiti  poteri  di  intervento   in   via   d'urgenza
all'autorita' di pubblica sicurezza e, inoltre,  richiedendo  che  le
restrizioni debbano avvenire «con le garanzie adottate dalla  legge».
Con  questa  formulazione,  il   parametro   costituzionale   evocato
richiederebbe, in particolare, che la legge  disciplini  non  solo  i
casi  e  i  modi  che  legittimano  compressioni  della  liberta'  di
comunicazione, ma anche «le garanzie tecniche e giuridiche  idonee  a
limitare il sacrificio della liberta' fondamentale». 
    Non   sarebbero,   quindi,   rispettate   ne'   la   riserva   di
giurisdizione, per cui la liberta' di  comunicazione  puo'  tollerare
restrizioni solo in presenza di una previa autorizzazione,  motivata,
dell'autorita' giudiziaria,  ne'  la  riserva  di  legge,  avendo  il
legislatore  omesso  di   indicare   «"le   garanzie"   legate   alla
predeterminazione della durata, massima e minima,  del  provvedimento
limitativo». 
    Infine, essendo la trasgressione del divieto del questore  punita
in base  all'art.  76  cod.  antimafia,  tale  quadro  normativo  non
genererebbe solo un sacrificio, privo di  termine,  di  una  liberta'
costituzionale fondamentale, ma sottoporrebbe il prevenuto  anche  al
rischio, illimitato nel tempo, della sanzione penale  per  violazione
del divieto. 
    3.6.- Sarebbe violato anche l'art. 117, primo  comma,  Cost.,  in
relazione agli artt. 8 e 10 CEDU. 
    Per il rimettente, la Corte europea dei diritti dell'uomo avrebbe
posto in evidenza l'importanza dell'accesso  alla  rete  internet  ai
fini del rispetto  dell'art.  10  CEDU,  in  quanto  la  liberta'  di
espressione  ricomprenderebbe  anche  il  mezzo  di  diffusione   del
pensiero (viene citata, tra le altre, Corte EDU, sentenza 9  febbraio
2021, Ramanaz Demir contro Turchia). 
    Inoltre, l'ambito di applicazione dell'art. 8 CEDU comprenderebbe
certamente anche le conversazioni telefoniche e i messaggi  di  posta
elettronica (sono citate, tra le altre,  Corte  EDU,  grande  camera,
sentenze 5 settembre 2017, Barbulescu contro Romania e 3 aprile 2007,
Copland contro Regno Unito). 
    Alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo  sostiene  che
l'avviso orale rafforzato dal divieto di possedere  e  utilizzare  il
telefono  cellulare,  pur  essendo  volto  a  perseguire  uno   scopo
legittimo, ovvero la «prevenzione dei reati», non poggerebbe  su  una
sufficiente base legale, risultando la qualita' della legge nazionale
inidonea a soddisfare lo standard di prevedibilita' ed accessibilita'
elaborato dalla Corte di Strasburgo (viene citata Corte EDU, sentenza
26 aprile 1979, Sunday Times  contro  Regno  Unito),  a  causa  della
mancata previsione della durata della misura. 
    3.7.-  La   Corte   rimettente   passa   dunque   ad   illustrare
unitariamente il  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  posto  in
riferimento all'art. 3 Cost., nonche' in riferimento alla «dimensione
convenzionale»  del  principio  di  proporzione:  la  lesione   della
liberta'  di  comunicazione,  in  assenza  di  una  durata,   sarebbe
sproporzionata e darebbe  vita  ad  una  interferenza  dell'autorita'
pubblica non necessaria in uno Stato democratico. 
    Piu' specificamente rispetto alla CEDU, viene sottolineato che la
possibilita', prevista dall'art.  3,  comma  3,  cod.  antimafia,  di
chiedere la  revoca  dell'avviso  orale  (semplice  o  aggravato)  al
questore,  non  rappresenterebbe  che  una   «facolta'   rimessa   al
destinatario della misura, che  tuttavia  non  arricchisce  la  'base
legale'  della   limitazione   mediante   preventivo   riconoscimento
legislativo  dei  termini   di   durata,   rimettendo   all'autorita'
amministrativa la valutazione dell'esercizio del relativo potere  (di
revoca)». 
    4.- Nel giudizio e' intervenuto, con atto depositato il 19 luglio
2022, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni sollevate siano dichiarate  inammissibili  e  comunque  non
fondate. 
    4.1.-   Richiamato   l'iter   argomentativo   dell'ordinanza   di
rimessione, la  difesa  erariale  ricorda,  sotto  il  profilo  della
riserva di giurisdizione,  posta  dall'art.  15  Cost.,  che  analoga
questione di  legittimita'  costituzionale  e'  gia'  stata  ritenuta
manifestamente infondata dalla Corte di  cassazione  (vengono  citate
Corte di cassazione, sezione prima penale, ordinanza 22  settembre-14
ottobre 2020, n.  28551  e,  sezione  seconda  penale,  ordinanza  20
febbraio-18 giugno 2020, n. 18559), perche'  ai  sensi  dell'art.  3,
comma 6, cod. antimafia, il provvedimento del questore e'  opponibile
dinnanzi al tribunale. 
    Inoltre,  sempre  rispetto  alla  necessita'  di   un   controllo
giurisdizionale, l'art.  8  CEDU  non  richiederebbe  necessariamente
l'intervento  dell'autorita'  giudiziaria,  potendo   intervenire   a
limitare  la   liberta'   di   corrispondenza   qualsiasi   «pubblica
autorita'». 
    4.2. - Rispetto alla mancata previsione  di  termini  di  durata,
l'Avvocatura  mette  in  rilievo  che  la  violazione  dei  parametri
costituzionali evocati non  sussisterebbe,  in  quanto  l'interessato
potrebbe avvalersi di un articolato sistema di garanzie, alcune delle
quali esperibili senza termini di decadenza, come la revoca,  qualora
siano venuti meno i presupposti di applicabilita' del divieto, o come
l'opposizione al tribunale. Ulteriore istituto a tutela del prevenuto
sarebbe, «da un punto di vista  piu'  generale»,  la  disapplicazione
degli atti amministrativi illegittimi da parte del giudice ordinario,
desumibile dall'art. 5 della legge 20 marzo 1865,  n.  2248,  recante
«Legge sul contenzioso amministrativo (All. E)». 
    Secondo   la   difesa   erariale,    peraltro,    l'assenza    di
predeterminazione della durata della misura non  darebbe  adito  alla
violazione dei parametri convenzionali evocati: l'art.  3,  comma  4,
cod. antimafia indicherebbe infatti i presupposti del divieto  e  gli
strumenti di tutela amministrativi e giurisdizionali, proprio al fine
di contenere eventuali abusi, che peraltro  sarebbero  sottoposti  al
vaglio giurisdizionale. 
    Infine, l'avviso orale  rafforzato  sarebbe  volto  a  perseguire
finalita' legittime, «inerenti alla pubblica sicurezza,  alla  difesa
dell'ordine e alla prevenzione dei reati in coerenza,  peraltro,  con
gli  omologhi  obiettivi  generali   dell'Unione   europea   previsti
dall'art. 3 TUE». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    l.- Il Tribunale ordinario di Sassari, sezione penale, dubita, in
riferimento  agli  artt.   3   e   15   Cost.,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 4, del  d.lgs.  n.  159  del  2011,
nella parte in cui prevede che il questore, nell'adottare  la  misura
di  prevenzione  dell'avviso  orale   cosiddetto   "rafforzato"   nei
confronti di  persone  definitivamente  condannate  per  delitti  non
colposi, possa vietare loro  di  possedere  o  utilizzare  «qualsiasi
apparato  di  comunicazione  radiotrasmittente»,  e   percio'   anche
telefoni cellulari, in quanto ricompresi in tale ultima definizione. 
    Il giudice a quo include nella censura anche l'art. 76, comma  2,
del medesimo codice antimafia, che punisce con  la  reclusione  e  la
multa la trasgressione ai divieti  di  cui  alla  disposizione  prima
descritta. 
    Premesso  che  la  disponibilita'  di   un   telefono   cellulare
costituirebbe   oggi    presupposto    indispensabile    per    poter
effettivamente esercitare  la  liberta'  di  comunicare,  ritiene  il
rimettente che le due norme censurate consentano limitazioni  a  tale
liberta', non gia' per atto motivato dell'autorita' giudiziaria, come
richiede l'art. 15 Cost., bensi' direttamente tramite  una  decisione
dell'autorita' amministrativa, in violazione quindi della riserva  di
giurisdizione  prevista  dall'evocata  disposizione   costituzionale.
Inoltre, in lesione congiunta degli artt. 3 e 15  Cost.,  proprio  la
circostanza  che  l'avviso  orale  "rafforzato"  non   sia   adottato
dall'autorita' giudiziaria - nell'ambito di un procedimento assistito
dalle  garanzie  del  contraddittorio,  idoneo   a   consentire   una
modulazione degli effetti del divieto in base alle esigenze del  caso
concreto - comporterebbe un sacrificio sproporzionato della  liberta'
di comunicazione rispetto alla contrapposta esigenza  di  prevenzione
dei reati. 
    Infine, quale ulteriore ed autonoma violazione dell'art. 3 Cost.,
il giudice a quo ritiene che i destinatari del divieto  del  questore
di possedere e  usare  telefoni  cellulari  siano  trattati  in  modo
ingiustamente deteriore rispetto a coloro che  sono  raggiunti  dalle
misure di prevenzione personali applicate dall'autorita'  giudiziaria
ai sensi dell'art. 4 cod. antimafia: mentre, in questo secondo  caso,
l'autorita' giudiziaria puo' inibire la frequentazione di  specifiche
categorie di persone (ma non impedire ogni relazione sociale) e  puo'
vietare l'accesso a determinati luoghi d'incontro (ma non a tutti), i
destinatari   dell'avviso   orale    "rafforzato"    per    decisione
amministrativa subirebbero, invece, una limitazione  generalizzata  e
indiscriminata di tutte le  loro  comunicazioni  con  terzi.  E  cio'
avverrebbe, aggiunge il rimettente, con riferimento  a  soggetti  che
presenterebbero caratteristiche di pericolosita' inferiori rispetto a
quelli interessati dalle misure di cui all'art. 4 cod. antimafia. 
    2.- Anche la Corte di cassazione, sezione quinta penale,  censura
l'art. 3, comma 4, cod. antimafia, nella parte in cui prevede che  il
questore - nell'adottare la misura di prevenzione  dell'avviso  orale
"rafforzato" - possa vietare il possesso e  l'utilizzo  di  qualsiasi
apparato di  comunicazione  radiotrasmittente,  e  quindi  anche  dei
telefoni  cellulari,  sottolineando  che,  tramite  il   divieto   in
questione, sarebbe anche possibile vietare l'accesso ad internet. 
    La disposizione violerebbe innanzitutto l'art. 15 Cost.,  poiche'
l'attribuzione all'autorita' amministrativa del potere di proibire il
possesso o l'utilizzo  di  strumenti  essenziali  per  comunicare  si
porrebbe  in  contrasto  con   la   previsione   della   riserva   di
giurisdizione  contemplata  dal  parametro  costituzionale   evocato.
Inoltre, la circostanza che la norma censurata consenta  un  siffatto
divieto senza un limite minimo e massimo di durata vanificherebbe  la
stessa tutela offerta dalla riserva di legge contenuta  nell'art.  15
Cost., in base  al  quale  apposite  «garanzie»  devono  accompagnare
l'atto motivato dell'autorita'  giudiziaria.  Allo  stesso  modo,  in
lesione anche dell'art. 3  Cost.,  nel  consentire  che  l'accesso  a
strumenti essenziali per esercitare la liberta' di  comunicare  e  di
manifestare il proprio pensiero possa essere impedito senza limiti di
tempo,  la  disposizione  censurata  permetterebbe  restrizioni   non
proporzionate a tali liberta' fondamentali. 
    Inoltre, sempre sul presupposto che il divieto del questore possa
riguardare anche l'accesso  a  internet,  l'ordinanza  di  rimessione
sottolinea   ampiamente   come   la    norma    censurata    comporti
l'impossibilita' di disporre, senza limiti di  durata,  di  strumenti
essenziali  non  solo  per  comunicare,   ma   anche   per   ricevere
informazioni. Del resto, possesso e  uso  di  qualsiasi  apparato  di
comunicazione radiotrasmittente rientrerebbero non solo  nella  sfera
di applicazione dell'art. 15 Cost., in  quanto  norma  costituzionale
posta a tutela della liberta' di comunicare, ma  anche  dell'art.  21
Cost., quale disposizione che  tutela  la  liberta'  di  espressione,
anche  nella  sua  «dimensione  passiva»  di  «liberta'  di  ricevere
informazioni». 
    L'ordinanza segnala come la tutela della liberta' di  espressione
rivestirebbe   un'importanza   centrale   per    la    democraticita'
dell'ordinamento, «costituendo un diritto al contempo  individuale  e
sociale». Garantire l'accesso alla rete, da questo  punto  di  vista,
sarebbe un compito di cui  lo  Stato  risulterebbe  investito,  anche
sulla  base  del  principio  di  eguaglianza  sostanziale,   espresso
dall'art. 3, secondo comma, Cost. 
    A fronte di tutto cio', proprio  in  violazione  degli  artt.  3,
secondo comma, e 21 Cost., la  disposizione  censurata  consentirebbe
invece che aspetti fondamentali della liberta' di manifestazione  del
pensiero siano ristretti senza limiti di tempo, in frontale contrasto
con  il  «diritto  sociale»  ad  un  comportamento  delle   autorita'
pubbliche che dovrebbe invece  essere  volto  a  favorire  la  libera
circolazione delle idee  e  la  formazione  di  un'opinione  pubblica
consapevole. 
    Infine, l'art. 3, comma 4, cod. antimafia violerebbe l'art.  117,
primo comma, Cost. in relazione agli artt. 8 e 10 CEDU. 
    Sottolineando, sulla scorta della giurisprudenza della Corte EDU,
l'importanza della possibilita' di accedere  alla  rete  internet  ai
fini del rispetto dell'art. 10 CEDU, e considerando che  l'ambito  di
applicazione  dell'art.  8  CEDU  comprende   certamente   anche   le
conversazioni telefoniche e  i  messaggi  di  posta  elettronica,  il
giudice a quo sostiene che l'avviso orale rafforzato dal  divieto  di
possedere e utilizzare il telefono cellulare -  pur  perseguendo  uno
scopo legittimo, ovvero la «prevenzione dei reati» -  non  poggerebbe
su una sufficiente base legale, risultando la  qualita'  della  legge
nazionale non idonea a soddisfare lo standard  di  prevedibilita'  ed
accessibilita' elaborato dalla Corte di Strasburgo, proprio  a  causa
della mancata previsione della durata della misura. 
    3.- Le due ordinanze di rimessione hanno in comune una delle  due
disposizioni censurate, con riferimento a parametri costituzionali in
parte  coincidenti,  sotto   profili   largamente   comuni,   e   con
argomentazioni sovrapponibili. Ponendo, pertanto, analoghe  questioni
di legittimita' costituzionale, i due giudizi vanno riuniti e  decisi
con un'unica pronuncia. 
    4.- Le questioni di  legittimita'  costituzionale  riguardano  in
particolare l'istituto dell'avviso orale cosiddetto "rafforzato". 
    Mentre l'avviso orale cosiddetto "semplice"  comporta  unicamente
l'invito rivolto ai soggetti di  cui  all'art.  1  cod.  antimafia  a
tenere una condotta conforme alla legge (art. 3, commi 1  e  2,  cod.
antimafia), il comma 4, oggetto delle odierne censure, attribuisce al
questore anche il potere di inibire alla persona  attinta  da  avviso
orale il possesso o l'uso, in tutto o in parte, di determinati  mezzi
e strumenti. La misura di prevenzione in questione e' adottabile  sul
presupposto che si tratti di «persone che  risultino  definitivamente
condannate per delitti non  colposi»  (comma  4);  il  questore  puo'
inoltre colpire con le medesime interdizioni i soggetti sottoposti  a
sorveglianza speciale, anche in questo  caso  quando  definitivamente
condannati per delitti non colposi (comma 5). 
    La  trasgressione  dei  divieti   contenuti   nell'avviso   orale
"rafforzato" e' presidiata dalla previsione di una  sanzione  penale.
L'art. 76, comma 2, cod. antimafia prescrive, infatti,  che  chiunque
violi il divieto di cui all'art. 3, commi 4 e 5, «e'  punito  con  la
reclusione da uno a tre anni e con la multa  da  euro  1.549  a  euro
5.164». 
    5.- L'ordinanza del Tribunale di Sassari (r.o. n. 164  del  2021)
include nelle proprie censure anche il menzionato art. 76,  comma  2,
cod. antimafia. In effetti, il giudice a  quo  riferisce  di  doversi
pronunciare sulla responsabilita' penale di  un  imputato  del  reato
previsto e punito proprio dal citato art. 76,  comma  2,  per  essere
stato colto in possesso di un telefono cellulare, e ritiene dunque di
coinvolgere  la  norma  incriminatrice   nelle   proprie   doglianze.
Tuttavia, in riferimento a questa disposizione, l'ordinanza e'  priva
di qualunque argomentazione, cio' che rende inammissibile la relativa
questione di legittimita'  costituzionale  (ex  multis,  di  recente,
sentenze n. 263, n. 256 e n. 128 del 2022). 
    Questa preliminare delimitazione dell'oggetto non ha  conseguenze
sull'ammissibilita'   della   questione   riferita,   dal    medesimo
rimettente,  all'art.  3,  comma  4,  cod.  antimafia,  ovvero   alla
disposizione che fonda il divieto del questore. La giurisprudenza  di
legittimita' e di merito e' infatti costante  nell'ammettere  che  il
giudice  penale,  pronunciandosi  sulla  sussistenza  degli  elementi
costitutivi del reato di cui al citato art.  76,  comma  2,  esercita
incidentalmente  un  sindacato  sulla  legittimita'  dell'ordine  del
questore di cui all'art. 3, comma 4, cod. antimafia,  dal  cui  esito
deriva, in caso di illegittimita', il  proscioglimento  dell'imputato
(di recente Corte di cassazione, sezione prima  penale,  sentenze  17
settembre-24 novembre 2021, n. 43301, e 27 maggio-2  settembre  2021,
n. 32667). 
    Inoltre,  fuga  ogni  dubbio  sulla  rilevanza   della   presente
questione, la circostanza per cui la dichiarazione di  illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  che  da'  fondamento  al  potere
dell'autorita' pubblica di adottare la misura di prevenzione, la  cui
inosservanza e' oggetto di accertamento nel giudizio principale, vale
a «porre nel nulla» la misura medesima (sentenza n. 109 del 1983;  in
senso analogo, sentenza n. 126 del 1983). 
    6.- Entrambe  le  ordinanze  di  rimessione  intendono  censurare
unicamente il potere del  questore  di  vietare  possesso  e  uso  di
apparati di comunicazione radiotrasmittente,  non  gia'  degli  altri
mezzi e strumenti elencati dall'art. 3, comma 4, cod. antimafia  (sul
presupposto, del tutto corretto, che il questore possa  separatamente
decidere il divieto  di  alcuni  soltanto  tra  i  mezzi  ed  oggetti
elencati dalla disposizione citata). Cio' vale anche per  l'ordinanza
di  rimessione  della  Corte  di  cassazione:  se  e'  vero  che   il
dispositivo di quest'ultima, testualmente, coinvolge nelle censure di
legittimita' costituzionale l'intero comma 4, tuttavia la motivazione
fuga ogni dubbio in proposito, riferendosi unicamente  all'inibizione
di possesso e uso di un telefono mobile, in quanto ritenuto  apparato
di comunicazione radiotrasmittente. 
    La  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  -  secondo   cui
l'oggetto del giudizio costituzionale deve essere appunto individuato
interpretando il dispositivo dell'ordinanza di rimessione  alla  luce
della sua motivazione (ex multis, di recente, sentenze n.  149  e  n.
148 del 2022) - consente, percio', di correttamente  delimitare,  nei
termini teste' riferiti, il thema decidendum. 
    7.- Tutto  cio'  posto,  le  censure  da  scrutinare  nel  merito
presuppongono   innanzitutto   una   ricognizione   del   significato
dell'espressione     «qualsiasi     apparato     di     comunicazione
radiotrasmittente», contenuto nell'art. 3, comma 4, cod. antimafia. 
    Entrambe le  ordinanze  accolgono  l'interpretazione  affermatasi
nella giurisprudenza di legittimita', secondo cui tale espressione e'
idonea a includere nel proprio orizzonte di senso i telefoni mobili o
cellulari, e proprio su questa base formulano le descritte censure di
violazione degli artt. 3 e 15 Cost. 
    Una simile interpretazione, consolidatasi nella forma del diritto
vivente, ha da tempo  condotto  a  superare  i  dubbi  relativi  alla
portata della disposizione censurata. 
    Tra i vari mezzi e strumenti di cui il questore puo'  vietare  il
possesso o l'utilizzo, «in tutto o in  parte»,  ai  soggetti  che  si
trovino nelle condizioni previste dallo stesso art. 3 cod. antimafia,
gli apparati di comunicazione radiotrasmittente  risultano  enunciati
per primi dal comma censurato. Il loro inserimento  tra  i  possibili
oggetti di un avviso orale del questore risale alla legge n. 128  del
2001. L'elenco originario, trasfuso in seguito nel d.lgs. n. 159  del
2011 (dopo esser stato ulteriormente integrato ad opera  dell'art.  3
della legge n. 94 del 2009), poneva gli apparati ricordati accanto  a
«radar e visori notturni, indumenti e  accessori  per  la  protezione
balistica individuale, mezzi di trasporto blindati  o  modificati  al
fine di aumentarne  la  potenza  o  la  capacita'  offensiva,  ovvero
comunque predisposti al fine di sottrarsi ai  controlli  di  polizia,
nonche' programmi informatici  ed  altri  strumenti  di  cifratura  o
crittazione di conversazioni e messaggi». 
    Si tratta, all'evidenza, di un catalogo di strumenti di  uso  non
comune,  quasi  di  natura  eccezionale,  il  cui  impiego   parrebbe
indicativo della volonta' di compiere specifiche attivita' delittuose
offensive  o  difensive  (per  sottrarsi  ai  controlli  delle  forze
dell'ordine), anche mediante l'uso o l'esibizione della forza. 
    Un'interpretazione piu' coerente con tale  contesto  normativo  e
con la ratio legis avrebbe potuto allora suggerire che gli  specifici
apparati di comunicazione radiotrasmittente oggetto  di  divieto  del
questore possono essere soltanto quelli, anch'essi di uso non comune,
univocamente  e  abitualmente  destinati  ad  un  determinato   scopo
criminoso, e tali anche da  evidenziare  una  specifica  volonta'  di
usare la tecnologia per danneggiare le indagini di polizia o sfuggire
ai relativi controlli. 
    I lavori preparatori della legge n. 128 del 2001 (seduta  del  24
gennaio 2001 della Camera dei deputati), per parte loro, mostrano  la
presenza di un emendamento al testo legislativo, non  approvato,  che
al divieto relativo, in  generale,  agli  apparati  di  comunicazione
radiotrasmittente affiancava proprio la previsione di un  distinto  e
specifico divieto relativo agli apparati  di  telefonia  mobile,  sul
presupposto, quindi, che questi ultimi non fossero ricompresi  tra  i
primi. La circostanza non e' irrilevante e tuttavia resta ambiguo  il
significato  della   mancata   approvazione   dell'emendamento,   non
emergendo con chiarezza se cio' suoni conferma della  voluntas  legis
di  escludere  i  telefoni   mobili   dal   novero   degli   apparati
radiotrasmittenti, oppure se sia stata ritenuta superflua la menzione
esplicita dei telefoni cellulari, accanto ad una definizione gia'  di
per  se'  generica  e  onnicomprensiva   («qualsiasi»   apparato   di
comunicazione radiotrasmittente). 
    Sotto un ulteriore profilo, potrebbe essere oggetto di  dubbi  il
significato di senso comune trasmesso dalla  locuzione  "apparati  di
comunicazione   radiotrasmittente",   sia   nel    2001,    all'epoca
dell'approvazione  della  disposizione  censurata,  sia,  a   maggior
ragione,  nell'epoca  attuale.  Non  sembra  impossibile   sostenere,
infatti,  che,  gia'  nel  2001  (quando  i  telefoni  cellulari  non
costituivano  piu'  una   rarita'),   la   locuzione   "apparato   di
comunicazione radiotrasmittente" esibisse - ed  esibisca  ancor  piu'
oggi, considerata l'universale diffusione dei telefoni  mobili  -  un
significato di senso comune evocatore di  apparati  ben  diversi  dai
telefoni cellulari (come i walkie-talkie e simili). 
    Fatto sta che, superando del tutto i dubbi e le possibili diverse
letture della disposizione, la giurisprudenza  di  legittimita'  -  a
partire  da  Corte  di  cassazione,  sezione  feriale,  sentenza   1°
settembre-1° ottobre 2009, n. 38514,  seguita  da  almeno  altre  sei
pronunce (Corte di cassazione,  sezione  prima  penale,  sentenze  24
febbraio-2 aprile 2021, n. 127793, 22 settembre-14 ottobre  2020,  n.
28551, 26 febbraio-17 giugno 2019,  n.  26628,  11  settembre  2018-7
gennaio 2019, n. 314 e 3  dicembre  2013-3  luglio  2014,  n.  28796;
sezione settima penale, ordinanza 18 ottobre 2018-7 gennaio 2019,  n.
294) e con un'indiretta conferma da parte delle Sezioni unite civili,
sentenza 2 maggio 2014, n. 9560, sia pur nella diversa materia  delle
tasse su concessioni governative - ha stabilito con nettezza  che  il
telefono cellulare rientra a pieno titolo nella nozione  di  apparato
di comunicazione radiotrasmittente. Questa interpretazione e' basata,
da un lato, su un criterio testuale, che eliminerebbe ogni incertezza
sull'intenzione del legislatore  derivante  dall'analisi  dei  lavori
preparatori, ed e', dall'altro, aderente al significato  strettamente
tecnico     dell'espressione     "apparato      di      comunicazione
radiotrasmittente", escludendo il rilievo di un eventuale significato
di senso comune non coincidente, in ipotesi, con quello tecnico:  per
apparato  di  comunicazione  radiotrasmittente  si   deve   intendere
qualsiasi  apparecchio  in  grado  di  inviare  onde   radio   e   di
trasmetterle, o ad un altro apparato analogo, o  ad  un  impianto  in
grado di riceverle. 
    Da questo punto di vista, afferma la  citata  sentenza  Cass.  n.
38514 del 2009, seguita dai menzionati arresti in senso conforme, «il
telefono   cellulare   e'   un   apparecchio   radiotrasmittente    o
radioricevente per la comunicazione in radiotelefonia, collegato alla
rete telefonica di terra tramite centrali di  smistamento  denominate
stazioni radio base». 
    8.-  La  premessa  interpretativa  da  cui  muovono  entrambe  le
ordinanze di  rimessione  e'  dunque  fedele  alla  costante  lettura
fornita  dalla  descritta   giurisprudenza   di   legittimita',   che
costituisce ormai, come ricordato, diritto vivente.  Cio'  fuga  ogni
dubbio quanto  all'ammissibilita'  delle  questioni  sollevate.  Esse
vanno percio' decise assumendo che l'art. 3, comma 4, cod. antimafia,
nella  parte  in  cui  si  riferisce   a   «qualsiasi   apparato   di
comunicazione radiotrasmittente», consenta al questore di vietare  il
possesso e l'uso anche di telefoni cellulari. 
    9.- Sulla base di questa premessa, le questioni sono fondate, per
violazione dell'art. 15 Cost. 
    La Costituzione  tutela  la  liberta'  (e  la  segretezza)  della
corrispondenza, che all'epoca costituiva l'archetipo di  riferimento,
ma estende la garanzia ad ogni forma di comunicazione, aprendo  cosi'
il testo costituzionale alla possibile emersione  di  nuovi  mezzi  e
forme della comunicazione riservata.  Al  tempo  stesso,  in  termini
generali, le regole attinenti al mezzo che, per comunicare, venga  di
volta in volta utilizzato sono cosa in se' diversa  dalla  disciplina
relativa al diritto  fondamentale  ora  in  esame:  anzi,  sempre  in
termini generali, ben puo' dirsi che limitazioni relative all'uso  di
un determinato mezzo o strumento non necessariamente si convertono in
restrizioni al diritto fondamentale che l'impiego  di  quel  mezzo  o
strumento consenta, per avventura, di soddisfare. 
    Esiste tuttavia un limite, superato il quale  la  disciplina  che
incide sul mezzo - in ragione  del  particolare  rilievo  che  questo
riveste a livello relazionale  e  sociale  -  finisce  per  penetrare
all'interno del nucleo essenziale del diritto, determinando  evidenti
ricadute restrittive  sulla  liberta'  tutelata  dalla  Costituzione.
Esattamente questo accade, in forza di cio' che l'art.  3,  comma  4,
cod. antimafia consente  di  fare  al  questore,  oltretutto  in  una
materia,  quella  delle  misure  di   prevenzione,   di   particolare
delicatezza, perche' finalizzata a consentire forme di controllo, per
il futuro, sulla pericolosita' sociale di un determinato soggetto, ma
non deputate alla punizione per  cio'  che  questi  ha  compiuto  nel
passato (di recente, sentenza  n.  180  del  2022).  Le  esigenze  di
prevenzione ben possono  giustificare  incisive  misure  restrittive,
quali quelle che il questore puo' assumere sulla  base  dell'art.  3,
comma 4, cod. antimafia, ma non possono che assoggettarsi all'evocato
imperativo costituzionale. 
    E' difficile pensare che il divieto  di  possesso  e  uso  di  un
telefono mobile -  considerata  l'universale  diffusione  attuale  di
questo strumento, in ogni ambito della vita lavorativa,  familiare  e
personale - non si traduca in un limite alla liberta' di  comunicare,
«spazio vitale che circonda la persona» (sentenze n. 81 del 1993 e n.
366 del 1991), in quanto attinente  alla  sua  dimensione  sociale  e
relazionale. Da questo punto  di  vista,  il  telefono  cellulare  ha
assunto un ruolo non paragonabile  a  quello  degli  altri  strumenti
evocati dai rimettenti. Rivelerebbe, inoltre,  un  senso  d'irrealta'
l'obiezione per cui la liberta' di comunicare, privata  del  telefono
mobile, ben potrebbe ancora oggi essere soddisfatta attraverso  mezzi
diversi, come gli apparati di telefonia fissa. 
    L'art. 15 Cost.  definisce  la  liberta'  di  comunicazione  come
inviolabile. Questa Corte ha  stabilito,  in  particolare,  che  tale
qualificazione implica che il contenuto essenziale della liberta' non
puo' subire restrizioni,  se  non  in  ragione  della  necessita'  di
soddisfare  un  interesse  pubblico   costituzionalmente   rilevante,
«sempreche' l'intervento limitativo posto in essere sia  strettamente
necessario alla tutela di quell'interesse e sia rispettata la duplice
garanzia che la disciplina  prevista  risponda  ai  requisiti  propri
della riserva assoluta di legge e la misura limitativa  sia  disposta
con atto motivato dell'autorita' giudiziaria» (ancora sentenza n. 366
del 1991; nello stesso senso, sentenza n. 81 del 1993). 
    Le  esigenze  di  prevenzione  e  difesa  sociale   ben   possono
giustificare, si e'  detto,  misure  restrittive,  e  queste  possono
incidere anche su diritti fondamentali. Ma, proprio ove cio'  accada,
le garanzie  costituzionali  reclamano  osservanza.  Nel  caso  della
disposizione censurata cio' non avviene: la misura limitativa non  e'
disposta  con  atto  motivato  dell'autorita'  giudiziaria,   bensi',
direttamente,  dall'autorita'  amministrativa,  cui   e'   attribuito
percio'  un  potere  autonomo  e  discrezionale,  senza  nemmeno   la
necessita' di successiva comunicazione all'autorita' giudiziaria (per
un'analoga fattispecie, pure oggetto di pronuncia  di  illegittimita'
costituzionale, sentenza n. 100 del 1968). 
    Questa Corte, sin dal primo anno della propria attivita', non  ha
esitato a dichiarare l'illegittimita' costituzionale di  disposizioni
di legge contenenti  misure  di  prevenzione,  assunte  su  decisione
dell'autorita' amministrativa, che avevano effetti restrittivi  sulla
liberta' personale, in  violazione  della  riserva  di  giurisdizione
costituzionalmente prescritta (sentenza n. 2 del 1956, sull'ordine di
rimpatrio con traduzione ordinata dal questore; sentenza  n.  11  del
1956, in tema di cosiddetta ammonizione del questore, a causa di  una
sorta di «degradazione giuridica» cui era sottoposto  l'individuo  in
virtu' del  provvedimento  dell'autorita'  di  polizia;  entrambe  le
pronunce sono riprese, di recente, dalla sentenza n. 24 del 2019). 
    Nella  giurisprudenza  costituzionale,  e'  gia'  stato   inoltre
chiarito  il  significato  sostanziale,  e  non  puramente   formale,
dell'intervento dell'autorita' giudiziaria, in presenza di misure  di
prevenzione   che   comportino   restrizioni   rispetto   a   diritti
fondamentali  assistiti  da  riserva  di  giurisdizione.  Il   vaglio
dell'autorita'  giurisdizionale  risulta   infatti   associato   alla
garanzia  del  contraddittorio,  alla  possibile  contestazione   dei
presupposti  applicativi  della  misura,  della  sua  eccessivita'  e
sproporzione, e, in ultima analisi,  consente  il  pieno  dispiegarsi
allo stesso diritto di difesa (sentenze n. 113 del 1975 e n.  68  del
1964; si vedano, inoltre, le sentenze n. 177 del 1980  e  n.  53  del
1968). 
    Analogamente a quanto questa Corte ha gia' stabilito con riguardo
a misure di prevenzione  restrittive  della  liberta'  personale,  va
dunque affermato  che  anche  la  legittimita'  costituzionale  delle
misure di prevenzione limitative della liberta' protetta dall'art. 15
Cost. e' «necessariamente subordinata all'osservanza del principio di
legalita' e alla esistenza della garanzia  giurisdizionale  (sentenza
n. 11 del 1956). Si tratta di due requisiti ugualmente essenziali  ed
intimamente connessi, perche' la mancanza dell'uno  vanifica  l'altro
rendendolo meramente illusorio» (sentenza n. 177 del 1980). 
    In un caso (sentenza n. 419 del 1994, pronunciata in  riferimento
alla misura di prevenzione del cosiddetto «soggiorno cautelare»,  che
poteva  essere  disposto  dal  procuratore  nazionale  antimafia,  in
presenza di indici di pericolosita' di reati  associativi  di  stampo
mafioso di particolare allarme sociale), la sentenza  d'accoglimento,
fondata sulla natura  non  giurisdizionale  dell'organo  chiamato  ad
adottare la misura limitativa della liberta' personale, ha avuto cura
di precisare l'ininfluenza, ai fini del  rispetto  della  riserva  di
giurisdizione, dell'eventuale previsione di un riesame  del  giudice,
su iniziativa dell'interessato. Gia' in quell'occasione, fu osservata
la natura meramente eventuale di questo vaglio, attivabile su impulso
del  destinatario  della  misura.  Cio'  va   ribadito   nell'odierna
questione: quel che conta, ai fini  del  rispetto  della  riserva  di
giurisdizione  costituzionalmente  imposta,  e'  la  titolarita'  del
potere di decidere, direttamente e definitivamente, la misura stessa.
Se tale potere e' conferito ad un'autorita' non  giudiziaria,  nessun
riferimento ad una «fattispecie a formazione progressiva», sulla base
della previsione di un eventuale, successivo intervento del  giudice,
puo' emendare il vizio di legittimita' costituzionale. 
    Da questo punto di vista, non  ha  dunque  pregio  l'osservazione
dell'Avvocatura generale dello Stato,  secondo  cui  il  divieto  del
questore sarebbe «pienamente» assistito dal controllo  dell'autorita'
giudiziaria,  «essendo  opponibile,  successivamente  alla   denegata
richiesta  di  revoca,   davanti   al   Tribunale   in   composizione
monocratica, nella forma dell'incidente di esecuzione». 
    10.- Come accade nell'ambito delle stesse misure  di  prevenzione
personali applicate dall'autorita' giudiziaria (ai sensi, ad esempio,
dell'art. 5, comma 1, cod. antimafia), ben  puo'  spettare  anche  al
questore la titolarita' del potere di proporre che a  un  determinato
soggetto sia imposto il divieto di possedere o utilizzare un telefono
cellulare, ma non gli compete di adottare il  provvedimento,  poiche'
l'art. 15 Cost. non lo consente: la decisione  non  puo'  che  essere
dell'autorita' giudiziaria, con le procedure, le modalita' e i  tempi
che compete al legislatore prevedere, nel rispetto della  riserva  di
legge prevista dalla Costituzione. 
    L'art.  3,  comma  4,  cod.  antimafia   va   dunque   dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per violazione  dell'art.  15  Cost.,
nella parte in cui  -  sul  presupposto  che  il  telefono  cellulare
rientra  tra  gli  apparati  di  comunicazione  radiotrasmittente   -
consente al questore di vietarne, in tutto o in parte, il possesso  e
l'utilizzo. 
    La rimozione del  potere  di  decisione  spettante  al  questore,
infine,  comporta  l'assorbimento  delle   ulteriori   questioni   di
legittimita'  costituzionale  sollevate:  sia  quella  inerente  alla
presunta lesione del diritto di accesso  alla  rete,  in  riferimento
agli  artt.  3,  secondo  comma,  21  e  117,  primo  comma,   Cost.,
quest'ultimo in  relazione  agli  artt.  8  e  10  CEDU;  sia  quelle
concernenti, da un lato, l'asserito deteriore  trattamento  riservato
ai destinatari del divieto di possedere e  usare  telefoni  cellulari
rispetto a coloro che sono  raggiunti  dalle  misure  di  prevenzione
personali  applicate  dall'autorita'  giudiziaria  ex  art.  4   cod.
antimafia, e dall'altro, la circostanza che la disposizione censurata
consenta un siffatto divieto senza un  limite  minimo  e  massimo  di
durata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 4,
del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle  leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'  nuove  disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e  2
della legge 13 agosto 2010, n. 136), nella parte  in  cui  include  i
telefoni   cellulari    tra    gli    apparati    di    comunicazione
radiotrasmittente di cui il questore puo'  vietare,  in  tutto  o  in
parte, il possesso o l'utilizzo; 
    2)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 76 del d.lgs. n. 159 del 2011, sollevata, in
riferimento agli artt. 3 e  15  Cost.,  dal  Tribunale  ordinario  di
Sassari, sezione penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                      Nicolo' ZANON, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 12 gennaio 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA