N. 3 SENTENZA 23 novembre 2022- 20 gennaio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Esecuzione penale - Sospensione della esecuzione delle pene detentive
  - Condannati per il delitto di incendio boschivo - Possibilita'  di
  sospendere l'esecuzione della pena in caso di  condotta  colposa  -
  Esclusione - Disparita' di trattamento e violazione  del  principio
  della   finalita'   rieducativa   della   pena   -   Illegittimita'
  costituzionale in parte qua. 
- Codice di procedura penale, art. 656, comma 9, lettera a). 
- Costituzione, artt. 3 e 27 terzo comma. 
(GU n.4 del 25-1-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Daria de PRETIS; 
Giudici :Nicolo' ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo  BUSCEMA,  Emanuela  NAVARRETTA,
  Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a), del codice di procedura penale, promosso  dal  Giudice
per le indagini preliminari del Tribunale  ordinario  di  Savona  nel
procedimento penale a carico di L. F., con ordinanza del 15  dicembre
2021, iscritta al n. 5 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  6,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 23 novembre 2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 dicembre 2021 (reg. ord. n. 5 del 2022),
il Giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale  ordinario  di
Savona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,  terzo  comma,
della  Costituzione,   questioni   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 656, comma 9, lettera a), del codice di  procedura  penale,
«nella parte in  cui  prevede  "423  bis  del  codice  penale"  senza
specificazione del riferimento al solo primo comma ovvero all'ipotesi
dolosa». 
    1.1.- Il rimettente  espone  che  il  7  gennaio  2021  e'  stata
pronunciata nei confronti di L. F.  sentenza  di  applicazione  della
pena su richiesta delle parti per il  delitto  di  incendio  boschivo
colposo di cui all'art. 423-bis, secondo comma, cod. pen. 
    Come si apprende dal fascicolo del procedimento a  quo,  la  pena
applicata a L.  F.  e'  di  otto  mesi  di  reclusione.  Il  pubblico
ministero, nell'emettere (nel novembre 2021) il  relativo  ordine  di
esecuzione, aveva contestualmente chiesto al giudice  rimettente,  in
qualita'  di  giudice  dell'esecuzione,  di  sollevare  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 656, comma 9, lettera a),  cod.
proc. pen. nei termini poc'anzi indicati. 
    Il GIP ha quindi sollevato le predette questioni di  legittimita'
costituzionale, disponendo - con separata  e  contestuale  ordinanza,
presente nel fascicolo  del  procedimento  a  quo  -  la  sospensione
dell'ordine di esecuzione nelle more dell'incidente di illegittimita'
costituzionale. 
    1.2.- In punto di rilevanza, il rimettente osserva che sulla base
del tenore letterale  della  disposizione  censurata  la  sospensione
dell'ordine di esecuzione non potrebbe essere disposta in alcuno  dei
casi  previsti  dall'art.  423-bis  cod.   pen.,   e   dunque   anche
nell'ipotesi in cui il fatto sia stato commesso per colpa. 
    1.3.- Tale esclusione dalla  regola  generale  della  sospensione
dell'ordine di esecuzione di pene detentive non superiori  a  quattro
anni creerebbe tuttavia, secondo il giudice a quo, una  irragionevole
disparita' di trattamento tra il delitto di incendio boschivo colposo
e altri reati colposi «parimenti  e  piu'  gravi»,  come  «l'omicidio
stradale, l'omicidio sul lavoro, l'omicidio dovuto a colpa  medica  o
l'incendio ferroviario [sic]». In tal modo,  il  legislatore  avrebbe
ingiustificatamente «considerato pericoloso e dunque meritevole della
carcerazione chi ha commesso  un  reato  di  modesta  gravita'  e  ha
riportato condanna ad una pena detentiva breve», sulla  base  di  una
«aprioristica presunzione di pericolosita' che  travalica  il  limite
costituzionale della ragionevolezza». 
    La  disposizione  censurata  violerebbe,   peraltro,   anche   il
principio secondo cui la pena  deve  tendere  alla  rieducazione  del
condannato, dal momento che «tale  finalita'  rieducativa  rimarrebbe
completamente frustrata con un  sistema  automatico  di  carcerazione
immediata senza possibilita' di valutazione individualizzata da parte
del tribunale di sorveglianza». Il legislatore avrebbe  in  tal  modo
«sabotato la  finalita'  rieducativa  della  pena  a  fronte  di  una
condotta non particolarmente grave». 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. 
    Rammenta l'interveniente che, secondo  l'insegnamento  di  questa
Corte, la disposizione censurata  si  fonda  su  una  presunzione  di
pericolosita' che  concerne  i  condannati  per  i  delitti  da  essa
indicati (e' citata la sentenza n. 125 del 2016).  La  ragionevolezza
della norma, nella parte  che  viene  qui  in  discussione,  potrebbe
«essere legittimamente  predicata  ravvisandone  la  ratio  -  avendo
esclusivamente riguardo alle caratteristiche intrinseche del  delitto
di omicidio colposo  [sic],  indipendentemente  dalla  considerazione
della gravita' dello stesso  -  in  una  maggiore  pericolosita'  del
condannato,   tale    da    giustificare,    anche    in    un'ottica
generalpreventiva,  la  scelta  legislativa  di  prevedere   che   la
valutazione circa la possibilita' per il condannato di accedere  alle
misure alternative alla detenzione sia  da  compiere  successivamente
all'ingresso in carcere». 
    Dovrebbe d'altra parte escludersi anche il dedotto contrasto  con
l'art. 27, terzo comma,  Cost.,  dal  momento  che  «la  possibilita'
comunque garantita al condannato che abbia fatto ingresso in  carcere
di presentare al tribunale di  sorveglianza  istanza  di  accesso  ai
benefici previsti dall'ordinamento penitenziario vale  ad  assicurare
il  rispetto  del  principio  della  necessita'  di  una  valutazione
individualizzata del condannato, in relazione  alla  possibilita'  di
consentirgli l'accesso ai benefici  in  questione,  desumibile  dalla
poc'anzi  citata  disposizione  costituzionale»  (e'  richiamata   la
sentenza di questa Corte n. 216 del 2019). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 15 dicembre 2021, il GIP del  Tribunale  di
Savona ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27,  terzo  comma,
Cost., questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 656,  comma
9, lettera a), cod. proc. pen., «nella parte in cui prevede "423  bis
del codice penale" senza specificazione del riferimento al solo primo
comma ovvero all'ipotesi dolosa». 
    Il GIP rimettente e' adito, in sede di incidente  di  esecuzione,
dal pubblico ministero che, nell'emettere ordine di esecuzione  della
pena a carico di L. F. per il delitto di incendio  boschivo  colposo,
di cui all'art. 423-bis, secondo comma, cod. pen., aveva chiesto allo
stesso giudice di sollevare le  predette  questioni  di  legittimita'
costituzionale. 
    Condividendo  l'avviso  del  pubblico  ministero,  il  rimettente
dubita dunque della compatibilita' con i due parametri costituzionali
evocati  del  divieto,  sancito  dalla  disposizione  censurata,   di
sospendere l'ordine di  esecuzione  della  pena  detentiva  ai  sensi
dell'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. a carico dei  condannati  per
il delitto di incendio  boschivo  anche  nella  sua  forma  meramente
colposa. 
    2.- Le questioni sono ammissibili. 
    Il rimettente  ha,  invero,  gia'  sospeso  -  come  risulta  dal
fascicolo del procedimento a quo - l'ordine di esecuzione, nelle more
del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. 
    Con tale provvedimento, tuttavia, il giudice  a  quo  non  si  e'
ancora pronunciato sulla domanda  di  sospensione  fondata  sull'art.
656, comma 5, cod. proc. pen. proposta dal pubblico ministero, e  non
ha pertanto esaurito  la  propria  potestas  iudicandi  (su  cui,  ex
multis, sentenza n. 10  del  2018,  punto  7.2.  del  Considerato  in
diritto), ma ha  semplicemente  anticipato  -  con  un  provvedimento
meramente "interinale", destinato a operare  sino  alla  ripresa  del
giudizio dopo l'incidente di legittimita' costituzionale (sentenza n.
162 del  2021,  punto  2  del  Considerato  in  diritto  e  ulteriori
precedenti ivi citati) -  gli  effetti  dell'auspicata  pronuncia  di
illegittimita' costituzionale della disposizione censurata, in  esito
alla quale soltanto potrebbe essere accolta la domanda  del  pubblico
ministero. 
    La  rilevanza  delle  questioni  prospettate   permane,   dunque,
intatta. 
    3.- Nel merito, le questioni sono fondate, in  riferimento  tanto
all'art. 3, quanto all'art. 27, terzo comma, Cost. 
    3.1.- Il comma 9 dell'art. 656 cod.  proc.  pen.  stabilisce  una
serie di eccezioni alla regola generale, fissata dal precedente comma
5, secondo cui l'ordine di esecuzione della  pena  detentiva,  emesso
dal  pubblico  ministero  quando  la  sentenza  di  condanna  divenga
definitiva, deve essere sospeso allorche' la pena inflitta, anche  se
costituente residuo di maggior pena,  non  sia  superiore  a  quattro
anni, ovvero a sei anni nei casi previsti dagli artt.  90  e  94  del
d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia  di
disciplina degli stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza). 
    In particolare, l'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc.  pen.
- oggetto delle censure del rimettente - stabilisce che  la  predetta
sospensione non possa avere luogo nei confronti dei condannati per  i
delitti di cui all'art. 4-bis della legge  26  luglio  1975,  n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure
privative e limitative della liberta'), nonche'  dei  condannati  per
una serie di ulteriori delitti,  tra  cui  per  l'appunto  quello  di
incendio boschivo, di cui all'art. 423-bis cod. pen. 
    Il rimettente, come anticipato,  censura  la  disposizione  nella
sola parte in cui esclude dalla sospensione dell'ordine di esecuzione
le condanne per il delitto  di  incendio  boschivo  nella  sua  forma
colposa, prevista dal secondo comma dell'art. 423-bis cod. pen.  Tale
esclusione darebbe luogo, a suo avviso, a irragionevoli disparita' di
trattamento, e assieme frustrerebbe la  finalita'  rieducativa  della
pena. 
    3.2.- La disciplina della sospensione dell'ordine  di  esecuzione
della pena di cui all'art. 656, commi 5 e 9, cod. proc. pen. e'  gia'
stata oggetto di una nutrita serie di pronunce di  questa  Corte,  di
cui la recente sentenza n. 238 del 2021 ha dato conto analiticamente. 
    Da  tale  giurisprudenza  emerge   l'idea   secondo   cui   «[i]l
tendenziale collegamento della sospensione dell'ordine di  esecuzione
con i casi di accesso alle misure alternative costituisce un punto di
equilibrio  ottimale»  (sentenza  n.  41  del  2018,  punto   5   del
Considerato  in  diritto)  dal  punto  di  vista  del  principio   di
eguaglianza-ragionevolezza. 
    In altre parole, la soluzione ottimale  sarebbe  -  in  linea  di
principio  -  quella  di  prevedere  la  sospensione  dell'ordine  di
esecuzione della pena detentiva nei confronti di ogni condannato  che
non si trovi gia' in carcere in stato di custodia cautelare (ipotesi,
questa, cui si riferisce l'art. 656, comma 9, lettera b,  cod.  proc.
pen.), ogniqualvolta la pena che egli  debba  integralmente  espiare,
ovvero la pena  residua,  sia  contenuta  entro  i  limiti  temporali
compatibili con l'accesso a misure alternative alla detenzione.  Cio'
al fine di consentire al condannato di proporre - nei  trenta  giorni
successivi all'emanazione dell'ordine  di  esecuzione  -  istanza  di
ammissione a una di tali misure  al  tribunale  di  sorveglianza,  ed
evitargli cosi' l'ingresso in carcere nelle more della decisione. 
    L'ingresso  in  carcere  per  condannati  che  si  trovano  nelle
condizioni di poter chiedere una misura alternativa e',  in  effetti,
problematico  tanto   dal   punto   di   vista   del   principio   di
eguaglianza-ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., quanto dal  punto
di vista della necessaria finalita' rieducativa  della  pena  di  cui
all'art. 27, terzo comma, Cost. E cio' per una pluralita' di ragioni. 
    Anzitutto, perche' l'ingresso in  carcere  determina  sempre  una
brusca frattura dei legami del condannato  con  il  proprio  contesto
familiare, sociale e - soprattutto  -  lavorativo,  ostacolandone  un
percorso di  risocializzazione  che  potrebbe  essere  gia'  iniziato
durante il processo, quando il condannato stesso si trovava in  stato
di  liberta'  o  era  comunque  sottoposto  a  misura  cautelare  non
carceraria (sul punto, mutatis mutandis, sentenza  n.  28  del  2022,
punto 5.1. del Considerato in diritto). 
    In secondo luogo, perche' - come gia' rammentato  dalla  sentenza
n. 216 del 2019 (punto 4 del Considerato in diritto) - quando la pena
da scontare sia breve, e'  assai  probabile  «che  la  decisione  del
tribunale di sorveglianza intervenga dopo che il soggetto abbia ormai
interamente  o  quasi  scontato  la   propria   pena»;   eventualita'
quest'ultima  «purtroppo   non   infrequente,   stante   il   notorio
sovraccarico di lavoro che affligge la magistratura di  sorveglianza,
nonche' il tempo necessario per la  predisposizione  della  relazione
del servizio sociale in merito  all'osservazione  del  condannato  in
carcere». 
    Infine, perche' - come posto in luce dalla menzionata sentenza n.
41  del  2018  (punto  6  del  Considerato   in   diritto)   -   ogni
disallineamento tra i limiti  temporali  della  pena  ai  fini  della
sospensione dell'ordine di esecuzione e  quelli  per  l'accesso  alle
misure alternative concedibili sin dall'inizio dell'esecuzione  della
pena rende di fatto impossibile la concessione di misure  alternative
prima dell'ingresso in carcere, ogniqualvolta la condanna sia  ancora
contenuta nel limite che consentirebbe l'accesso alla misura  ma  sia
superiore  a  quello  fissato  per  la  sospensione  dell'ordine   di
esecuzione. Il che finisce per frustrare lo stesso intento perseguito
dal legislatore nel dettare la disciplina della misura alternativa. 
    In particolare sulla  base  di  quest'ultima  considerazione,  la
medesima sentenza n. 41 del  2018  ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittimo il limite di tre anni di pena detentiva,  originariamente
previsto dall'art. 656, comma 5, cod. proc. pen. per  la  sospensione
dell'ordine di esecuzione:  limite  che  la  sentenza  in  parola  ha
evidenziato  risultare  irragionevolmente  disallineato  rispetto   a
quello, attualmente di quattro  anni,  fissato  dall'art.  47,  comma
3-bis, ordin. penit. ai fini  dell'accesso  alla  misura  alternativa
dell'affidamento in prova al servizio sociale. 
    3.3.- La giurisprudenza costituzionale ha, peraltro, riconosciuto
la possibilita' per il  legislatore  di  individuare,  nell'esercizio
della propria discrezionalita', eccezioni  al  «punto  di  equilibrio
ottimale» rappresentato dalla regola  generale  della  corrispondenza
tra il limite di pena stabilito per l'accesso alla misura alternativa
e  quello  stabilito  ai  fini  della  sospensione   dell'ordine   di
esecuzione. Al tempo stesso, questa Corte ha tuttavia  precisato  che
proprio  la  natura  «ancillare  della  sospensione   rispetto   alle
finalita' delle misure  alternative»  deve  rendere  «particolarmente
stretto» il controllo di legittimita' costituzionale riservato a tali
ipotesi (sentenza  n.  41  del  2018,  punto  5  del  Considerato  in
diritto). 
    Nella stessa  sentenza  n.  41  del  2018  si  e'  osservato  che
l'eccezione prevista nei confronti dei condannati per  i  delitti  di
cui all'art. 4-bis ordin. penit. riposa sulla considerazione  secondo
cui, in tali ipotesi, «l'accesso alla misura alternativa e'  soggetto
a  condizioni  cosi'  stringenti  da  rendere   questa   eventualita'
meramente residuale, sicche' appare tollerabile che venga incarcerato
chi all'esito del giudizio relativo alla  misura  alternativa  potra'
con estrema difficolta' sottrarsi alla detenzione»  (ancora  punto  5
del Considerato in diritto). 
    Proprio sulla base di questa considerazione, la recente  sentenza
n.  238  del  2021  ha  ritenuto  non  irragionevole  il  divieto  di
sospensione dell'ordine di esecuzione della condanna per  il  delitto
di contrabbando di tabacchi lavorati esteri commesso adoperando mezzi
di trasporto  appartenenti  a  persone  estranee  al  reato  previsto
dall'art. 291-ter, comma  1,  del  d.P.R.  23  gennaio  1973,  n.  43
(Approvazione del  testo  unico  delle  disposizioni  legislative  in
materia doganale), che rientra per l'appunto tra i delitti sottoposti
allo speciale regime di preclusioni all'ordinario accesso alle misure
alternative dettato dall'art. 4-bis ordin. penit. 
    Parimenti, la sentenza n. 216 del  2019  ha  ritenuto  immune  da
censure  sotto  il  profilo  costituzionale  la  puntuale   eccezione
rappresentata dal divieto di sospensione  dell'ordine  di  esecuzione
nei confronti dei condannati per il delitto di furto in abitazione di
cui  all'art.  624-bis,  primo  comma,  cod.   pen.   Il   fondamento
giustificativo  di  tale  eccezione  e'  stato  qui   ravvisato,   in
particolare, nella «discrezionale, e non  irragionevole,  presunzione
del legislatore relativa alla particolare gravita' del fatto di  chi,
per commettere il furto, entri in  un'abitazione  altrui,  ovvero  in
altro luogo di  privata  dimora  o  nelle  sue  pertinenze,  e  della
speciale  pericolosita'  soggettiva  manifestata  dall'autore  di  un
simile reato» (punto 3.1.1. del  Considerato  in  diritto);  speciale
pericolosita' che il legislatore ha  ritenuto,  con  valutazione  non
censurabile da questa  Corte,  costituire  «ragione  sufficiente  per
negare in via generale ai condannati  per  il  delitto  in  esame  il
beneficio della sospensione dell'ordine di  carcerazione,  in  attesa
della  valutazione  caso  per  caso,  da  parte  del   tribunale   di
sorveglianza, della possibilita' di concedere al singolo condannato i
benefici compatibili con il suo titolo di reato e la durata della sua
condanna» (punto 3.1.2. del Considerato in diritto). 
    La precedente sentenza n. 125 del 2016 aveva,  invece,  giudicato
«incongru[o]» (punto 2 del Considerato  in  diritto)  il  divieto  di
sospensione dell'ordine di esecuzione rispetto ai condannati  per  il
delitto di furto con strappo di cui all'art. 624-bis, secondo  comma,
cod. pen., essenzialmente sulla base della  considerazione  che  tale
divieto non opera rispetto alla rapina (non aggravata),  nella  quale
il furto  con  strappo  puo'  facilmente  sfociare,  a  fronte  della
prevedibile reazione della vittima. Con  conseguente  illogicita'  di
una disciplina piu' sfavorevole per chi sia condannato per  un  reato
meno grave, pur se contiguo dal punto di vista criminologico. 
    3.4.- Questa Corte e' ora chiamata a valutare se -  al  metro  di
quel "controllo stretto" di legittimita' costituzionale evocato dalla
sentenza  n.  41  del  2018  -  sussistano  sufficienti  ragioni  per
sottrarre anche i condannati per  il  delitto  di  incendio  boschivo
colposo  alla  regola  generale  della  sospensione  dell'ordine   di
esecuzione, che vige per tutti i condannati a una pena  contenuta  in
limiti che consentano l'accesso immediato a misure  alternative  alla
detenzione, i quali non si trovino in stato di custodia cautelare  in
carcere al momento del  passaggio  in  giudicato  della  sentenza  di
condanna. 
    La risposta, come anticipato, non puo' che essere negativa. 
    3.4.1.- Anzitutto, il richiamo integrale  all'art.  423-bis  cod.
pen. compiuto dalla disposizione censurata fa si' che esso  comprenda
anche l'ipotesi, disciplinata dal secondo  comma  dello  stesso  art.
423-bis, in cui l'incendio sia cagionato per mera colpa. Per  effetto
di tale indifferenziato  richiamo,  l'incendio  boschivo  colposo  si
presenta oggi come l'unico reato  colposo  tra  quelli  per  i  quali
l'art. 656, comma 9, lettera a), cod. proc. pen. prevede  il  divieto
di sospensione dell'ordine di esecuzione. 
    Questa anomalia non viene in alcun modo giustificata  nei  lavori
preparatori del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92  (Misure  urgenti
in materia di sicurezza  pubblica),  convertito,  con  modificazioni,
nella legge 24 luglio 2008, n. 125, al cui art. 2, comma  1,  lettera
m), si deve l'inserimento del riferimento all'art. 423-bis cod.  pen.
nella disposizione censurata. In tali lavori preparatori ci si limita
a generici  riferimenti  a  gravi  e  allarmanti  fenomeni  criminosi
rispetto ai  quali  le  esigenze  di  sicurezza  della  collettivita'
appaiono maggiormente bisognose di tutela; fenomeni criminosi  tra  i
quali il legislatore ha ritenuto evidentemente di iscrivere anche  il
delitto di incendio boschivo. Dai lavori preparatori non  si  evince,
pero', alcuna specifica illustrazione sulle ragioni che hanno indotto
il legislatore a includere tra i reati  per  i  quali  non  opera  la
regola della sospensione dell'ordine di esecuzione anche quel delitto
nella sua forma colposa; cio' che  potrebbe  addirittura  condurre  a
dubitare che la mancata esclusione di  tale  ipotesi  -  disciplinata
all'interno della medesima disposizione che prevede la corrispondente
fattispecie dolosa anziche', come di solito accade, in  una  separata
disposizione - sia frutto di una mera svista del legislatore. 
    3.4.2.- Proprio la natura colposa del delitto in questione rende,
d'altra   parte,    estremamente    problematica    una    plausibile
giustificazione di tale  eccezione.  Ferma  l'indubbia  gravita'  del
reato dal punto di vista oggettivo, e' davvero arduo affermare che  -
dal punto di vista soggettivo - l'autore di  una  condotta  meramente
colposa manifesti una speciale pericolosita', tale da giustificare la
scelta del legislatore di assicurarne un "passaggio in  carcere",  in
attesa della valutazione da parte del tribunale di  sorveglianza  dei
presupposti  per  l'ammissione  a   una   misura   alternativa   alla
detenzione. 
    In  proposito,  conviene  rammentare  che  la  generalita'  degli
istituti che, nel vigente  sistema  penale,  comportano  aggravamenti
della pena o del suo regime esecutivo in relazione  alla  particolare
pericolosita' soggettiva dell'autore si basano sulla commissione,  da
parte sua, di reati dolosi,  evidentemente  ritenuti  gli  unici  che
consentono affidabili prognosi di  ulteriore  commissione  di  reati.
«[N]on colposo» e' il  precedente  delitto,  accertato  con  condanna
definitiva,  che  giustifica   l'applicazione   al   soggetto   della
circostanza aggravante della recidiva (art.  99,  primo  comma,  cod.
pen.), il cui fondamento radica  tanto  nella  maggiore  colpevolezza
dell'autore, quanto - appunto - nella  sua  accentuata  pericolosita'
(da ultimo, sentenza n. 230 del 2022, punto 3.3. del  Considerato  in
diritto);  di  delitti  «non  colposi»  parlano  le  norme   dedicate
all'abitualita', tanto se presunta dalla legge (art. 102  cod.  pen.)
quanto se ritenuta dal giudice (art. 103 cod. pen.);  dolosi  sono  i
delitti "ostativi" all'accesso ai benefici penitenziari  (art.  4-bis
ordin. penit.) e quelli, in materia di misure cautelari, rispetto  ai
quali operano le  presunzioni  di  adeguatezza  della  sola  custodia
cautelare in carcere (art. 275, comma 3, cod. proc. pen.). 
    Il criterio utilizzato dal legislatore in tutte queste discipline
ha un solido fondamento razionale: se non puo' in assoluto escludersi
che anche chi ha commesso  il  fatto  per  negligenza,  imprudenza  o
imperizia possa nuovamente incorrere in  un'analoga  disattenzione  o
trascuratezza, e' solo l'intenzionale violazione della  legge  penale
che puo' essere posta alla base di  presunzioni  non  arbitrarie,  da
parte del legislatore, di un pericolo significativo  di  reiterazione
di condotte criminose, tale da giustificare  discipline  che  in  via
generale aggravino il trattamento  sanzionatorio  dell'autore,  o  lo
sottraggano a benefici concessi alla generalita' dei condannati. 
    3.4.3.- A ragione il rimettente denuncia, poi, la  disparita'  di
trattamento - creata dalla norma censurata - tra l'incendio  boschivo
colposo (punito con  la  reclusione  da  uno  a  cinque  anni)  e  la
generalita' degli altri delitti colposi, ancorche'  questi  siano  di
pari o superiore gravita', come si evince dal raffronto  tra  i  beni
giuridici tutelati e le rispettive cornici  edittali  -  generalmente
considerate,  queste  ultime,  espressive  della  valutazione   della
gravita' del reato da parte dello stesso legislatore. Nel caso in cui
la pena inflitta non superi i quattro anni di reclusione, ad esempio,
l'ordine  di  esecuzione  della  pena  detentiva  resta  sospeso  nei
confronti di chi sia stato condannato per omicidio colposo  aggravato
(punito con la reclusione da due a sette anni nel caso  previsto  dal
secondo comma dell'art. 589 cod. pen., e con la reclusione da  tre  a
dieci  anni  in  quello  previsto  dal  terzo  comma  della  medesima
disposizione), per omicidio stradale di  cui  all'art.  589-bis  cod.
pen. (punito nella fattispecie base con la reclusione da due a  sette
anni, e con pene ancor  piu'  severe  in  tutte  le  altre  ipotesi),
nonche' per tutti i disastri colposi (soggetti,  ai  sensi  dell'art.
449 cod. pen., alla medesima cornice edittale della reclusione da uno
a cinque anni). 
    Particolarmente  illogica  appare,   in   questo   contesto,   la
disparita' di trattamento tra i condannati per il delitto in esame  e
i condannati per il  delitto,  strutturalmente  affine,  di  incendio
colposo, che e' posto a tutela dell'incolumita' pubblica  -  e  cioe'
della vita e dell'incolumita'  di  una  pluralita'  indeterminata  di
persone,  dunque  di  un  bene  ancor  piu'  importante  rispetto  al
patrimonio boschivo - e che e' comunque punito con il medesimo quadro
edittale previsto per l'incendio boschivo colposo. 
    3.4.4.- L'impossibilita' di presentare domanda di  ammissione  ai
benefici  penitenziari  in  stato  di  liberta'   determinata   dalla
disposizione censurata comporta, infine, un  ostacolo  alla  funzione
rieducativa della pena, che ridonda in questo caso in una  violazione
anche dell'art. 27, terzo comma, Cost. 
    Laddove,  infatti,  il  divieto  di  sospensione  dell'ordine  di
esecuzione abbia una  sua  ragionevole  giustificazione,  come  nelle
ipotesi esaminate dalle sentenze n. 216 del 2019 e n. 238  del  2021,
tale ostacolo - creato dalla necessita' di ingresso  in  un  istituto
carcerario per scontare una pena detentiva breve o molto  breve,  con
le conseguenze negative poc'anzi illustrate  (supra,  punto  3.2.)  -
appare bilanciato dalla necessita',  non  arbitrariamente  apprezzata
dal legislatore, di far  fronte  a  una  spiccata  pericolosita'  del
condannato rivelata  dalla  particolare  natura  del  reato  (doloso)
commesso; o comunque discende dalla necessita' di  prendere  atto  di
uno speciale sistema di preclusioni che rende  «residuale»  (sentenza
n. 41 del 2018, punto 5 del Considerato in  diritto)  l'accesso  alle
misure alternative per i condannati per determinati reati. 
    Non   cosi',   invece,   allorche'   una    simile    ragionevole
giustificazione difetti, come accade  nel  caso  dei  condannati  per
incendio boschivo  colposo,  per  i  quali  la  disciplina  censurata
comporta un sacrificio del  tutto  inutile  -  anche  nell'ottica  di
un'efficace tutela della collettivita'  -  rispetto  all'orientamento
rieducativo della pena, imposto dall'art. 27, terzo comma, Cost. 
    3.5.- Da tutto cio' consegue che la disposizione  censurata  deve
essere dichiarata costituzionalmente illegittima, nella parte in  cui
stabilisce che non puo' essere disposta, nei  casi  di  cui  all'art.
656, comma 5, cod. proc. pen.,  la  sospensione  dell'esecuzione  nei
confronti dei condannati per il delitto di incendio boschivo  colposo
di cui all'art. 423-bis, secondo comma, cod. pen. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 656, comma  9,
lettera a), del codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in  cui
stabilisce   che   non   puo'   essere   disposta   la    sospensione
dell'esecuzione nei  confronti  dei  condannati  per  il  delitto  di
incendio boschivo colposo di cui all'art. 423-bis, secondo comma, del
codice penale. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 novembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Daria de PRETIS, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 20 gennaio 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA