N. 5 SENTENZA 20 dicembre 2022- 24 gennaio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Armi e materie esplodenti - Confisca obbligatoria delle armi disposta
  dal giudice - Applicabilita' anche in caso di estinzione del  reato
  per  oblazione  -  Denunciata  violazione  della   presunzione   di
  innocenza e del diritto, anche convenzionale, di proprieta'  -  Non
  fondatezza delle questioni. 
Armi e materie esplodenti - Confisca obbligatoria delle armi disposta
  dal giudice - Applicabilita' a tutti i reati concernenti  le  armi,
  inclusa  la  contravvenzione  dell'inosservanza   dell'obbligo   di
  comunicarne  i  trasferimenti   -   Denunciata   violazione   della
  presunzione di innocenza e del  diritto,  anche  convenzionale,  di
  proprieta' - Non fondatezza delle questioni, nei sensi  di  cui  in
  motivazione. 
- Legge 22 maggio 1975, n. 152, art. 6. 
- Costituzione, artt. 3, 11, 27, secondo comma, 42, secondo comma, 11
  e 117, primo comma; Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  art.  6;   Protocollo
  addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 1; Carta dei  diritti
  fondamentali dell'Unione europea, artt. 17, 48 e 49, paragrafo 3. 
(GU n.4 del 25-1-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Nicolo' ZANON, Augusto Antonio BARBERA, Giulio  PROSPERETTI,
  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca   ANTONINI,   Stefano
  PETITTI, Angelo BUSCEMA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI
  GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  6  della
legge 22 maggio 1975,  n.  152  (Disposizioni  a  tutela  dell'ordine
pubblico), promosso dal Tribunale ordinario di Milano, sezione  sesta
penale, nel procedimento penale a carico di R. R., con ordinanza  del
27 gennaio 2022, iscritta al n. 11  del  registro  ordinanze  2022  e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica  n.  8,  prima
serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 30 novembre 2022  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 dicembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 27 gennaio 2022 il Tribunale  ordinario  di
Milano, sezione sesta penale, ha sollevato  due  distinti  gruppi  di
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della  legge  22
maggio 1975, n. 152 (Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico). 
    Con il primo gruppo di questioni,  il  rimettente  censura  -  in
riferimento agli artt. 27, secondo comma, 42,  secondo  comma,  11  e
117, primo comma, della Costituzione, questi ultimi in relazione agli
artt.  6,  paragrafo  2,  della  Convenzione  europea   dei   diritti
dell'uomo, 1 del Protocollo addizionale alla  CEDU,  17  e  48  della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea - il citato art. 6
«nella parte in cui impone al giudice di disporre la  confisca  delle
armi anche in caso di estinzione del reato per oblazione». 
    Con il secondo gruppo di questioni, il giudice a quo denuncia  la
medesima disposizione - per allegato contrasto con gli artt.  3,  27,
42, nonche' 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in  relazione
all'art. 1 Prot. addiz. CEDU e agli artt. 17 e 49, paragrafo 3, CDFUE
- «nella parte in cui prevede come  obbligatoria  la  confisca  delle
armi anche in relazione alla contravvenzione di cui dell'art. 38  del
r.d. n. 733/1931». 
    1.1.- Il rimettente riferisce che R. R. - detentore di  otto  tra
fucili da caccia e carabine da  tiro  sportivo  custoditi  presso  la
propria abitazione, e la cui detenzione era gia'  stata  regolarmente
denunciata all'autorita' di pubblica sicurezza -  e'  imputato  della
violazione del citato art. 38 del regio decreto 18  giugno  1931,  n.
773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza),
per avere omesso di comunicare il trasferimento di dette armi  presso
la nuova residenza. 
    L'imputato ha chiesto di definire il processo mediante oblazione,
ai sensi dell'art. 162-bis del codice penale  e  il  giudice  a  quo,
ritenuta l'insussistenza di cause ostative di carattere  oggettivo  o
soggettivo, ha determinato la somma da  corrispondere  in  103  euro,
pari  alla  meta'  della  sanzione  massima  prevista  dal  combinato
disposto degli  artt.  38  e  17  TULPS;  a  fronte  dell'intervenuto
pagamento,  l'imputato  ha  chiesto  pronunciarsi   declaratoria   di
estinzione del reato con restituzione delle armi sequestrate. 
    1.2.-  Secondo  il  giudice  a  quo,   tuttavia,   l'istanza   di
restituzione non potrebbe essere accolta, ostandovi il  disposto  del
censurato art. 6 della legge n. 152 del 1975, che impone la  confisca
delle armi in questione, peraltro di valore economico assai superiore
alla  modesta  entita'  dell'ammenda  corrisposta  per  il  reato  in
contestazione.   Infatti,    non    sussisterebbero    dubbi    circa
l'obbligatorieta'  della  confisca  pur  a  fronte   dell'intervenuta
oblazione, atteso che l'art. 6, nel  richiamare  il  primo  capoverso
dell'art. 240 cod.  pen.,  secondo  l'interpretazione  offertane  dal
diritto vivente, impone indefettibilmente la confisca delle cose  ivi
indicate, anche in assenza di condanna e a fronte della  declaratoria
di  estinzione  del  reato  per  oblazione,  salve  le  sole  ipotesi
dell'assoluzione nel merito dell'imputato o  dell'appartenenza  della
res a persona estranea al reato (sono  citate  Corte  di  cassazione,
sezione prima penale,  sentenze  15  novembre-30  novembre  2017,  n.
54086; 6 aprile-2 agosto 2016, n. 33982; 9 ottobre-18 dicembre  2015,
n. 49969; 4 dicembre 2012-15 gennaio 2013,  n.  1806;  20  gennaio-25
marzo 2010, n. 11480;  1°  ottobre-16  ottobre  2008,  n.  38951;  10
novembre 2006-18 gennaio 2007, n. 1264; 28 settembre-28 ottobre 1999,
n. 5228; 23 ottobre  1997-24  febbraio  1998,  n.  5967;  29  ottobre
1997-14 gennaio 1998, n. 413). 
    Un diverso esito -  nel  senso  della  restituzione  dei  beni  o
quantomeno della facoltativita' della confisca, con possibilita'  per
il giudice di valutare in concreto la  sussistenza  delle  condizioni
per disporla  -  sarebbe  prospettabile  solo  ove  le  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate fossero accolte. Di qui la loro
rilevanza. 
    1.3.- Quanto alla non manifesta infondatezza del primo gruppo  di
questioni, ritiene il giudice a quo che l'art. 6 della legge  n.  152
del 1975, nella parte in cui impone la confisca delle  armi  o  altre
cose  ivi  indicate  anche  in  caso  di  estinzione  del  reato  per
oblazione, contrasti: a) con gli artt. 27, secondo comma, nonche'  11
e 117, primo comma, Cost., in relazione agli artt.  6,  paragrafo  2,
CEDU e 48 CDFUE, i  quali  sanciscono  la  presunzione  di  innocenza
dell'imputato; b) con gli artt. 42, secondo comma, 11  e  117,  primo
comma Cost., in relazione agli artt. 1 Prot. addiz. CEDU e 17  CDFUE,
che tutelano il diritto di proprieta'. 
    1.3.1.- La confisca prevista dall'art. 6 della legge n.  152  del
1975 avrebbe natura «"penale" o comunque "sanzionatoria"» in base  ai
criteri elaborati dalla giurisprudenza della Corte  costituzionale  e
della Corte EDU. La misura ablatoria si riconnetterebbe infatti  alla
commissione (almeno presunta) di un fatto di reato, verrebbe disposta
dal giudice all'esito di un procedimento penale e non assolverebbe ad
alcuna  funzione  risarcitoria  o  ripristinatoria  della  situazione
antecedente  il  reato,  determinando  invece  «l'ablazione  di  beni
acquisiti in modo legittimo dall'imputato, da  questi  legittimamente
detenuti  (almeno  per  un  determinato   tempo)   e,   in   ipotesi,
ulteriormente detenibili regolarmente,  con  una  mera  comunicazione
all'Autorita' di P.S.». 
    Diversamente  dalle   ipotesi   riconducibili   alla   previsione
dell'art. 240, secondo comma, numero 2), cod. pen. (che prescrive  la
confisca obbligatoria di «cose, la fabbricazione, l'uso, il porto, la
detenzione o  l'alienazione  delle  quali  costituisce  reato»),  «la
detenzione di un'arma (a meno che non si tratti di arma clandestina o
da guerra), e a  determinate  condizioni  persino  la  fabbricazione,
l'alienazione, il porto ecc., non sono affatto  vietate  in  se',  ma
richiedono solo una denuncia di detenzione all'Autorita' di  Pubblica
sicurezza (o un'autorizzazione)». Le  stesse  armi,  poi,  potrebbero
essere restituite, oltre che all'imputato  in  caso  di  assoluzione,
anche al terzo proprietario estraneo al reato. Cio' confermerebbe che
«la confisca non e' disposta in relazione all'intrinseca criminosita'
della res (come potrebbe essere ad esempio in caso di stupefacenti  o
appunto [di] armi clandestine), ma per la relazione che si  pone  tra
essa e l'autore del reato;  in  un'ottica  che  privilegia  l'aspetto
sanzionatorio rispetto a quello di prevenzione speciale, posto che lo
stesso   imputato   potrebbe   comunque   continuare    a    detenere
legittimamente   armi   diverse   da   quelle   oggetto   del   reato
contestatogli». L'esigenza di rispetto  di  «uno  statuto  minimo  di
garanzie di carattere sostanziale e processuale» si porrebbe peraltro
per «qualsiasi misura pregiudizievole per diritti  costituzionalmente
tutelati,  anche  se  di  carattere  amministrativo»  (e'  citata  la
sentenza n. 22 del 2018 di questa Corte). 
    1.3.2.- Tanto premesso in ordine alla natura  della  confisca  di
cui all'art. 6 della  legge  n.  152  del  1975,  il  giudice  a  quo
evidenzia  che,  in  caso  di  definizione  del   processo   mediante
oblazione, l'effetto ablativo del diritto di proprieta' dell'imputato
si produce in assenza di accertamento sulla sua  responsabilita',  se
non nei ristretti limiti dell'insussistenza di una evidente causa  di
assoluzione nel merito, ai sensi dell'art. 129, comma 2,  del  codice
di procedura penale. 
    E invero, nel procedimento per  oblazione,  il  giudizio  sarebbe
definito senza  formazione  della  prova,  con  l'accoglimento  della
relativa domanda - presentata prima della dichiarazione  di  apertura
del dibattimento - in esito a una mera valutazione  giudiziale  circa
l'assenza di  recidiva,  abitualita'  o  professionalita'  nel  reato
dell'imputato,  la  permanenza  o  meno  di  conseguenze  dannose   o
pericolose del reato eliminabili da parte  del  contravventore  e  la
gravita' del fatto; valutazione che avverrebbe «senza  alcun  apporto
fornito dalla difesa». Ne'  potrebbe  ritenersi  che  la  domanda  di
oblazione implichi  un'implicita  ammissione  di  responsabilita'  da
parte dell'imputato, o che la pronuncia dichiarativa  dell'estinzione
del reato per intervenuta oblazione sia equiparabile a  una  sentenza
di  condanna.  Il  procedimento  per  oblazione,   infatti,   sarebbe
concepito per evitare i costi  economici  ed  emotivi  e  l'alea  del
processo mediante il versamento di una somma di denaro, che  estingue
il  reato,  senza  che  si  producano  effetti   penali,   civili   o
disciplinari e senza che la relativa declaratoria  sia  annotata  nel
certificato del casellario giudiziale, a differenza di quanto avviene
in relazione all'applicazione della pena su  richiesta  delle  parti,
alla declaratoria di estinzione del reato per  esito  positivo  della
messa alla prova o all'esclusione della punibilita'  per  particolare
tenuita' del fatto. 
    1.3.3.- Alla confisca ex art. 6  della  legge  n.  152  del  1975
disposta in esito all'estinzione del reato  per  oblazione  sarebbero
estensibili le considerazioni  sviluppate  dalla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo in relazione alla cosiddetta  confisca  urbanistica
(sono citate le sentenze grande camera, 28 giugno 2018,  GIEM  srl  e
altri contro Italia; 29  ottobre  2013,  Varvara  contro  Italia;  30
agosto 2007 e 20 gennaio 2009, Sud Fondi srl e altri contro  Italia),
secondo  cui  una  misura  ablativa  del  diritto  di  proprieta'  e'
compatibile con gli artt. 6, paragrafo 2, e 7 CEDU e 1  Prot.  addiz.
CEDU solo se adottata con una sentenza  di  condanna  «o  comunque  a
seguito di un accertamento garantito,  non  essendo  sufficiente  una
sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato [...] a meno  che  la
stessa  non   sia   stata   preceduta,   secondo   l'ultimo   approdo
interpretativo condiviso anche dalla Corte di  cassazione  a  Sezioni
Unite  (Cass.,  S.U.  30  gennaio  2020,  n.  13539  [...]),  da   un
accertamento equivalente ad una pronuncia  di  condanna  per  la  sua
latitudine e modalita' di formazione, essendo esteso alla sussistenza
del fatto e alla responsabilita' del reo e formatosi all'esito di  un
giudizio caratterizzato dalla partecipazione in contraddittorio delle
parti». Considerazioni,  queste,  espresse  dalla  giurisprudenza  di
legittimita' anche in relazione alla confisca prevista in materia  di
gioco  d'azzardo  dall'art.  722  cod.  pen.  (e'  citata  Corte   di
cassazione, sezioni unite penali, sentenza 25 marzo  1993,  n.  5)  e
alla confisca del prezzo di reato di cui all'art. 240, secondo comma,
numero 1), cod. pen. (sono richiamate Corte  di  cassazione,  sezioni
unite penali, sentenze 26 giugno-21  luglio  2015,  n.  31617,  e  10
luglio-15 ottobre 2008, n. 38834). 
    Tali ragioni di garanzia si imporrebbero  a  maggior  ragione  in
relazione alla confisca di cui all'art. 6  della  legge  n.  152  del
1975, i cui effetti ripristinatori sono «del tutto assenti» e la  cui
funzione   sanzionatoria   o,   al   piu',   specialpreventiva,    e'
particolarmente accentuata. 
    1.3.4.- Aggiunge il rimettente che un'eventuale  declaratoria  di
illegittimita' costituzionale del citato art. 6, nella parte  in  cui
impone la confisca delle  armi  anche  in  caso  di  declaratoria  di
estinzione del reato per oblazione, comporterebbe l'impossibilita' di
disporre la misura ablativa solo in relazione a ipotesi criminose  di
offensivita' estremamente contenuta (ossia le contravvenzioni  punite
con la pena alternativa dell'arresto o dell'ammenda); e che,  essendo
comunque  l'oblazione  concedibile  discrezionalmente,   il   giudice
potrebbe respingere la relativa domanda ove ravvisasse, in  relazione
alla personalita' del reo o al contenuto della contestazione, profili
di gravita' del fatto. In ogni caso, le  armi  potrebbero  ugualmente
essere confiscate a seguito del  divieto  prefettizio  di  detenzione
delle stesse, ai sensi dell'art. 39 TULPS. 
    1.4.-  Il   secondo   gruppo   di   questioni   di   legittimita'
costituzionale - che  «presuppone,  sul  piano  della  rilevanza,  il
riconoscimento del potere del Giudice di disporre la  confisca  delle
armi anche pronunciando una sentenza di oblazione» - concerne  invece
l'art. 6 della legge n. 152 del 1975 nella parte in cui prevede  come
obbligatoria la confisca anche in relazione alla  violazione  di  cui
all'art. 38 TULPS. 
    1.4.1.-  Ad  avviso  del  rimettente,   l'obbligatorieta'   della
confisca, unita all'assenza di rimedi esperibili  dall'imputato  onde
evitare il relativo pregiudizio patrimoniale, anche a fronte  di  una
violazione di minima offensivita' come quella prevista  dall'art.  38
TULPS, contrasterebbe con gli artt. 3, 27 e 42 Cost., nonche' con gli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in  relazione  agli
artt. 1 Prot. addiz. CEDU, e 17 e 49 CDFUE, i quali «nel  riconoscere
e  tutelare  la  proprieta'  privata,  impongono  al  legislatore  di
prevedere  che  le  sanzioni,  di  carattere  penale  o  anche   solo
amministrativo,  che  incidono  su  beni  tutelati   dall'ordinamento
costituzionale o convenzionale siano ragionevoli, individualizzanti e
proporzionate in rapporto alla gravita' del fatto e alla personalita'
del reo e che le stesse siano altresi' congrue  e  coerenti  rispetto
agli scopi perseguiti dal legislatore». 
    Anche a voler supporre che la confisca di cui  all'art.  6  della
legge n. 152 del 1975 non abbia natura  «penale»  secondo  i  criteri
elaborati dalla Corte EDU, ugualmente non verrebbe meno la necessita'
di  verificare  il  rispetto  dei  canoni  di   «"personalizzazione",
ragionevolezza e proporzione» ricavabili  dalle  citate  disposizioni
costituzionali e convenzionali ed estensibili anche  alle  misure  di
carattere non  punitivo,  secondo  la  giurisprudenza  costituzionale
(sono citate le sentenze n. 112 del 2019 e n. 22 del 2018). 
    Questa   Corte    avrebbe    infatti    piu'    volte    ritenuto
costituzionalmente illegittimi «automatismi lato sensu  sanzionatori»
che non consentano  al  giudice  o  all'autorita'  amministrativa  di
compiere una valutazione delle circostanze del caso concreto prima di
applicare  misure  afflittive,  tanto   piu'   se   suscettibili   di
abbracciare  una  vasta  ed  eterogenea  gamma  di   condotte   (sono
richiamate, oltre ai «plurimi  interventi  [...]  sulla  materia  del
bilanciamento   di   circostanze   eterogenee   o   sull'applicazione
obbligatoria degli effetti della recidiva», le sentenze n. 112  e  n.
88 del 2019 e n. 222 e n. 22 del 2018). 
    1.4.2.- L'art. 6 della legge n.  152  del  1975,  prevedendo  una
confisca obbligatoria in relazione a tutti  i  reati  concernenti  le
armi, sarebbe suscettibile di  applicarsi  ad  ipotesi  criminose  di
disvalore profondamente diverso  e  oggettivamente  non  comparabile,
«dai delitti di fabbricazione, introduzione nello Stato,  vendita  di
armi da  guerra,  porto  in  luogo  pubblico  o  detenzione  di  armi
illegalmente detenute o addirittura clandestine alle ben piu' modeste
ipotesi  contravvenzionali»  tra  cui  quella  in  specie  contestata
all'imputato, di avere «omesso (o  semplicemente  ritardato,  secondo
quanto  dedotto   nell'istanza   di   restituzione)   di   comunicare
all'Autorita' di PS il trasferimento, dal vecchio al nuovo domicilio,
delle armi dallo stesso legalmente denunciate in precedenza  e  delle
quali,  dunque,  la  Pubblica  autorita'  gia'  conosceva  tipologia,
caratteristiche, numero e soggetto responsabile della detenzione». 
    A  fronte  del  ridotto  disvalore  di  quest'ultima  condotta  -
comprovato dalla sua punizione con la pena  alternativa  dell'arresto
fino a tre mesi  o  della  multa  fino  a  206  euro  -  non  sarebbe
giustificabile l'indefettibile confisca di beni  «la  cui  detenzione
potrebbe essere regolarizzata con una mera comunicazione da parte del
privato». 
    Se rispetto ai delitti concernenti le armi,  la  confisca  appare
coerente  con  lo  scopo  di   tutela   della   sicurezza   pubblica,
l'estensione della misura ablatoria alla violazione di  cui  all'art.
38 TULPS risulterebbe irragionevole,  realizzando  una  parificazione
tra situazioni obiettivamente differenti. 
    1.4.3.- Nel caso  di  specie,  la  compressione  del  diritto  di
proprieta' determinata dalla confisca  sarebbe  avulsa  da  qualsiasi
valutazione  sulla  tipologia  ed  offensivita'  del  reato  e  sulla
concreta pericolosita', o  anche  solo  inaffidabilita'  dell'autore,
venendo a dipendere  dall'elemento  casuale  del  maggiore  o  minore
valore dei beni oggetto  della  misura  ablatoria.  Cio'  emergerebbe
plasticamente  dal  caso  di  specie,  in  cui,  a  fronte   di   una
contravvenzione estinguibile con il pagamento di circa 100  euro,  la
confisca  determinerebbe  un  pregiudizio  patrimoniale  di  svariate
migliaia di euro, tra l'altro in capo a un soggetto tuttora  titolare
del porto d'armi, dunque da ritenersi sufficientemente affidabile sul
piano della sicurezza  pubblica;  pregiudizio  da  misurarsi  tenendo
conto  che  il   valore   del   bene   potrebbe   prescindere   dalle
caratteristiche tecniche dell'arma,  giacche'  «un  rilevante  valore
economico, storico, artistico e non ultimo affettivo potrebbe  venire
in rilievo anche in relazione ad armi dalla pericolosita'  intrinseca
molto contenuta, [come] ad esempio nel caso di armi bianche antiche». 
    1.4.4.-  All'imputato  sarebbe   poi   totalmente   preclusa   la
possibilita'  sia  di  dimostrare  che  la  presunzione   della   sua
«inaffidabilita'» non e'  giustificata  nel  caso  concreto,  sia  di
arginare il pregiudizio economico conseguente alla confisca,  cedendo
i beni che ne sarebbero oggetto a  un  terzo,  come  invece  consente
l'art. 39 TULPS in relazione al provvedimento prefettizio  che  vieti
la detenzione delle armi. 
    1.4.5.- La disciplina censurata  presenterebbe,  in  conclusione,
plurimi profili di irragionevolezza: in primo luogo, la  confisca  di
armi pertinenti a un determinato reato non  impedirebbe  all'imputato
di continuare a detenerne legittimamente altre, «le quali,  anche  in
caso di sequestro, andrebbero necessariamente restituite»,  cio'  che
comproverebbe la funzione prevalentemente sanzionatoria della  misura
in  questione;  in  secondo  luogo,  la   presunzione   assoluta   di
«inaffidabilita'» connessa alla confisca obbligatoria conseguirebbe a
una violazione puramente formale e  di  modesta  gravita',  quale  e'
quella prevista dall'art. 38 TULPS, laddove l'ordinamento prevedrebbe
la facoltativita' della confisca in ipotesi ben  piu'  allarmanti  di
reati commessi «avvalendosi delle armi», come  la  minaccia  commessa
con l'uso di un'arma (e'  richiamata  Corte  di  cassazione,  sezione
quinta penale, sentenza 28  marzo-20  giugno  2018,  n.  28591);  non
sarebbe   infine    possibile    ne'    dimostrare    l'assenza    di
«inaffidabilita'» in capo al  soggetto  inciso  dalla  confisca,  ne'
cedere le  armi  oggetto  della  misura  ablativa  a  un  terzo,  con
conseguente irragionevole disparita'  di  trattamento  rispetto  alla
disciplina del divieto prefettizio di  detenzione  di  armi,  di  cui
all'art. 39 TULPS, che invece si basa su una valutazione in  concreto
del rischio di abuso dell'arma da parte dell'interessato  e  consente
di evitare la confisca con la cessione dell'arma. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le questioni vengano dichiarate inammissibili  o
comunque non fondate. 
    2.1.- L'art. 6 della legge n. 152 del 1975,  nell'interpretazione
offertane dal diritto vivente (e' citata Corte di cassazione, sezione
prima  penale,  sentenza  20  febbraio-19  marzo  2019,   n.   12175)
delineerebbe un'ipotesi di confisca obbligatoria, da  disporsi  anche
in  assenza  di  condanna,  in  riferimento  sia  a  delitti,  sia  a
contravvenzioni, purche' concernenti le armi, ogni altro oggetto atto
a offendere, nonche' le munizioni e gli esplosivi. 
    L'art. 240 cod. pen. - cui l'art. 6 della legge n. 152  del  1975
rinvia - a sua volta disciplinerebbe  la  confisca  quale  misura  di
sicurezza patrimoniale, fondata sulla pericolosita'  derivante  dalla
disponibilita' di alcune cose servite o  destinate  a  commettere  il
reato, ovvero delle cose che ne sono il prodotto  o  il  profitto,  e
finalizzata a prevenire la commissione di ulteriori reati,  ancorche'
i relativi effetti  ablativi  si  risolvano  sostanzialmente  in  una
sanzione pecuniaria (e' richiamata Corte di cassazione, sezioni unite
penali, sentenza 22 gennaio 1983, n. 1). 
    Su un piano generale, l'istituto della confisca  avrebbe  assunto
nell'ordinamento  natura  «proteiforme»,  potendosi  riscontrare   la
presenza di confische ascrivibili al genus delle misure di  sicurezza
(prima fra  tutte  quella  prevista  dall'art.  240  cod.  pen.),  di
confische  per  equivalente,  dalla   natura   piu'   accentuatamente
sanzionatoria, e di confische a funzione ibrida, special-preventiva e
punitiva (sono citate le sentenze n. 46 del 1964 e n. 29 del 1961  di
questa Corte e Corte di cassazione, sezioni unite penali, sentenza 27
marzo-2 luglio 2008, n. 26654). 
    2.2.- La possibilita' di procedere a confisca anche  in  caso  di
declaratoria di estinzione del reato -  nell'ipotesi  statisticamente
piu' frequente, per decorso dei termini  di  prescrizione  -  sarebbe
stata riconosciuta sia in riferimento alla  confisca  del  prezzo  ai
sensi dell'art. 240, secondo comma,  numero  1),  cod.  pen.  e  alla
confisca diretta del prezzo o profitto del reato ex art. 322-ter cod.
pen. (e' richiamata Cass., sezioni unite penali, n. 31617 del  2015),
sia in rapporto alla confisca di cui all'art. 44, comma 2, del d.P.R.
6 giugno 2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle  disposizioni
legislative  e  regolamentari  in  materia   edilizia.   (Testo   A)»
(cosiddetta confisca  urbanistica),  purche'  al  proscioglimento  si
accompagni  un  accertamento  sostanziale  di  responsabilita'  (sono
citate la sentenza n. 49 del 2015 di questa Corte e la sentenza  GIEM
della Corte EDU). 
    Anche nel caso - pur  meno  frequente  -  della  declaratoria  di
estinzione del reato per intervenuta oblazione, la giurisprudenza  di
legittimita' avrebbe costantemente ribadito  l'obbligatorieta'  della
confisca, per qualsiasi reato concernente le armi, salvo in  caso  di
assoluzione nel merito dell'imputato o di appartenenza delle  armi  a
persona estranea al reato (sono citate Corte di  cassazione,  sezione
prima penale, sentenze 8  febbraio-25  febbraio  2022,  n.  6919;  18
giugno-19 luglio 2019, n. 32333; n. 49969 del 2015; n. 1806 del 2013;
n. 11480 del 2010). 
    L'ammissibilita' di «confische senza condanna» sarebbe del  resto
comprovata dal  disposto  dell'art.  578-bis  cod.  proc.  pen.,  che
consente al giudice dell'impugnazione di accertare la responsabilita'
dell'imputato, anche a fronte di una declaratoria di  estinzione  del
reato per prescrizione o per amnistia, ai soli effetti della confisca
in casi particolari prevista dal primo comma dell'art.  240-bis  cod.
pen. e da altre disposizioni  di  legge  o  della  confisca  prevista
dall'art. 322-ter cod. pen. 
    2.3.- Tanto premesso, l'art. 6 della legge n. 152 del 1975, nella
parte in cui prevede  la  confisca  obbligatoria  anche  in  caso  di
estinzione  del  reato  per  oblazione,  non  contrasterebbe  con  la
presunzione di innocenza tutelata dagli artt. 27,  secondo  comma,  e
111 Cost., nonche' dagli artt. 6, paragrafo 2, CEDU e 48 CDFUE. 
    La domanda di ammissione all'oblazione, pur  non  potendo  essere
interpretata  come  ammissione   di   colpevolezza,   darebbe   luogo
all'apertura di un sub-procedimento nel cui ambito  il  giudice  puo'
emettere - in ipotesi di manifesta assenza  di  prova  del  fatto  di
reato o della sua commissione da parte dell'imputato  -  sentenza  di
proscioglimento ai sensi dell'art. 129,  comma  2,  cod.  proc.  pen.
(sono richiamate  le  sentenze  n.  6919  del  2022  della  Corte  di
cassazione e n. 14 del 2015 di questa  Corte,  quest'ultima  relativa
all'opposizione a decreto penale di condanna).  Non  potrebbe  dunque
sostenersi che difetti in toto un accertamento sul fatto, atteso  che
«il  giudice,  qualora   ritenga   che   la   condotta   integri   la
contravvenzione,    ammettera'     l'interessato     al     pagamento
dell'oblazione;  mentre,  laddove  lo  ritenesse  da   prosciogliere,
dovrebbe pronunciare la richiamata sentenza ex articolo  129  c.p.p.,
comma 2». 
    Sarebbero poi inconferenti i principi enunciati dalla  Corte  EDU
nella sentenza Varvara, atteso che la confisca ex art. 6 della  legge
n. 152 del  1975  avrebbe  natura  preventiva  e  non  sanzionatoria,
essendo la circolazione non autorizzata di armi  vietata  in  ragione
delle intrinseche caratteristiche di pericolosita' di tali beni. 
    2.4.- Nemmeno sarebbero vulnerati gli artt. 3, 27, 42, 11 e  117,
primo comma, Cost., questi  ultimi  in  relazione  all'art.  1  Prot.
addiz. CEDU e agli artt. 17 e 49 CDFUE; disposizioni che tutelano  la
proprieta'    privata     ed     impongono     la     ragionevolezza,
individualizzabilita', proporzione  e  congruita'  delle  sanzioni  -
penali o anche solo amministrative - che su essa incidono. 
    Ribadita la natura preventiva e non sanzionatoria della  confisca
di cui all'art. 6 della legge n. 152 del 1975, l'Avvocatura  generale
dello Stato evidenzia che l'art.  38  TULPS,  nel  sancire  l'obbligo
della denuncia della detenzione di armi,  parti  di  esse,  munizioni
finite o materie  esplodenti,  «garantisce  la  tracciabilita'  delle
stesse e ne consente all'autorita' di polizia un costante  controllo,
al fine di prevenire un utilizzo delle stesse in eventuali  attivita'
delittuose». In questa prospettiva, «[l]a mancata denuncia del  luogo
di detenzione delle armi, sia essa riferita al primo acquisto [...] o
relativa al successivo spostamento delle stesse da  un  luogo  ad  un
altro, non e' condotta irrilevante per l'ordinamento  e  costituisce,
invece, indice di inaffidabilita' del detentore delle stesse». 
    Del resto, l'obbligo di assicurare la tracciabilita'  delle  armi
sarebbe imposto  anche  dalla  direttiva  2008/51/CE  del  Parlamento
europeo e  del  Consiglio,  del  21  maggio  2008,  che  modifica  la
direttiva   91/477/CEE   del   Consiglio,   relativa   al   controllo
dell'acquisizione e della detenzione di armi, oggi  sostituita  dalla
direttiva (UE) 2021/555 del Parlamento europeo e del  Consiglio,  del
24 marzo  2021,  relativa  al  controllo  dell'acquisizione  e  della
detenzione di armi. 
    2.5.- L'applicazione della  misura  ablativa  anche  in  caso  di
estinzione del reato per oblazione neppure violerebbe  gli  artt.  6,
paragrafo 2, e 7 CEDU o l'art. 1 Prot. addiz. CEDU, atteso che,  come
risulta dalla giurisprudenza di legittimita' (e' richiamata Corte  di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 28  settembre-26  novembre
2021, n. 43699) la confisca di cui all'art. 6 della legge n. 152  del
1975  avrebbe  finalita'  preventiva  e  non  sanzionatoria,  essendo
orientata ad impedire la circolazione non autorizzata di  oggetti  in
se'  pericolosi  e  prescindendo  da   prospettazioni   di   concreta
pericolosita', presunta per legge. 
    2.6.-   Nell'esercizio   della   propria   discrezionalita',   il
legislatore  ben  potrebbe  identificare  ipotesi   circoscritte   di
automaticita' di provvedimenti, a maggior ragione nel  settore  delle
armi, ove sono disciplinati con particolare rigore  sia  i  requisiti
soggettivi che legittimano la detenzione di tali beni, sia il  regime
dei  controlli  successivi,  volti   a   verificare   la   permanenza
dell'affidabilita' del  soggetto,  anche  al  fine  di  garantire  la
tracciabilita' delle armi. 
    Gli  adempimenti  di  denuncia  previsti   dall'art.   38   TULPS
dovrebbero essere ripetuti in caso di trasferimento delle armi da una
localita' all'altra, come risulterebbe anche dall'art. 58  del  regio
decreto 6 maggio 1940,  n.  635  (Approvazione  del  regolamento  per
l'esecuzione del testo unico 18 giugno 1931, n. 773, delle  leggi  di
pubblica sicurezza). Cio' al fine di «effettuare  una  "ricognizione"
ed "attualizzazione" dei luoghi in cui il soggetto detenga le proprie
armi», in ossequio al principio di tracciabilita' delle stesse. 
    La   mancata   segnalazione   del   trasferimento   delle    armi
rappresenterebbe dunque una violazione di precisi obblighi di cautela
gravanti  sul  detentore,  indicativa  di  superficialita'  e  scarsa
affidabilita' nella custodia delle stesse, che  ben  giustificherebbe
la confisca di tutte le armi possedute (sono richiamate Consiglio  di
Stato, sezione terza, sentenza 13 aprile 2011, n. 2294;  TAR  Umbria,
sezione prima, sentenza 12  dicembre  2017,  n.  784;  TAR  Piemonte,
sezione prima, sentenza 2 agosto 2017, n. 920; TAR Lombardia, sezione
staccata di Brescia, sezione seconda, sentenza 19 dicembre  2016,  n.
1729; TRGA Trento, sentenza 23 febbraio 2012, n. 60). 
    La giurisprudenza di legittimita' avrebbe d'altro canto  ribadito
l'applicabilita'  della  confisca  obbligatoria  anche  in  caso   di
violazione dell'art. 58 del r.d. n. 635 del 1940 (e' richiamata Corte
di cassazione,  sentenza  17  gennaio-16  febbraio  2011,  n.  5841),
dovendo equipararsi la mancata denuncia  del  trasferimento  di  armi
alla mancata originaria denuncia di detenzione. 
    Nel caso di specie, poi, anche ad ammettere che la  confisca  sia
limitata  alle  armi  trasferite,  in  relazione  alle   altre   armi
eventualmente  rimaste  nell'originario  luogo   di   detenzione   si
applicherebbe la misura prefettizia del  divieto  di  detenzione,  ai
sensi dell'art. 39 TULPS. 
    La confisca delle armi  non  costituirebbe  misura  ingiusta  ne'
eccessiva, e la sua piena legittimita',  a  fronte  della  violazione
dell'art. 58 del r.d. n. 635 del 1940 e in caso  di  declaratoria  di
estinzione  del  reato  per  oblazione,  sarebbe  stata  recentemente
ribadita dalla Corte di cassazione (sezione prima penale, sentenza 19
novembre 2021-3 febbraio 2022, n. 3802). 
    2.7.-   In   definitiva,   il   rimettente   solleciterebbe    un
inammissibile   sindacato   su   una   disciplina,   riservata   alla
discrezionalita' del legislatore, che non travalica il  canone  della
ragionevolezza, il  cui  solo  manifesto  superamento  legittimerebbe
l'intervento di questa Corte (sentenze n. 229 e n. 223 del  2015,  n.
248 e n. 81 del 2014 e n. 313 del 1995). 
    La disposizione censurata  non  sarebbe  infatti  arbitraria  (e'
citata la sentenza di questa Corte n. 206 del  1999)  ne'  tradirebbe
obiettivi e ratio della  normativa  (e'  richiamata  la  sentenza  di
questa Corte n. 43  del  1997)  «risultando  ragione  giustificatrice
sufficiente ad imporre la misura ablativa  l'illecita  detenzione  di
armi non denunciate (in cui si  risolve  l'omessa  ripetizione  della
denuncia all'autorita' di pubblica  sicurezza  di  detenere  armi  in
costanza  del  trasferimento   delle   stesse)»,   a   fronte   della
pericolosita' della circolazione non autorizzata di tali beni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale ordinario di Milano, sezione  sesta  penale,  ha
sollevato  due  distinti  gruppi   di   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6 della legge n. 152 del 1975. 
    Con il primo gruppo di questioni, il rimettente censura il citato
art. 6 - in riferimento agli artt. 27,  secondo  comma,  42,  secondo
comma, 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione  agli
artt. 6, paragrafo 2, CEDU, 1 Prot. addiz. CEDU,  17  e  48  CDFUE  -
«nella parte in cui impone al giudice di disporre la  confisca  delle
armi anche in caso di estinzione del reato per oblazione». 
    Con il secondo gruppo di questioni, il giudice a quo denuncia  la
medesima disposizione - per  contrasto  con  gli  artt.  3,  27,  42,
nonche' 11 e 117, primo comma, Cost., questi ultimi in relazione agli
artt. 1 Prot. addiz. CEDU, 17 e 49, paragrafo 3, CDFUE - «nella parte
in cui prevede come obbligatoria la  confisca  delle  armi  anche  in
relazione alla contravvenzione  di  cui  dell'art.  38  del  r.d.  n.
733/1931». 
    2.-  Come  si   evince   chiaramente   dal   tenore   complessivo
dell'ordinanza di rimessione, i due gruppi di  questioni  si  pongono
tra loro in rapporto di subordinazione. 
    Il  primo  muove  infatti  dall'assunto  relativo   alla   natura
sostanzialmente "punitiva" della confisca obbligatoria prevista dalla
disposizione censurata, assunto sulla cui base il rimettente  ritiene
violata la presunzione di non colpevolezza, garantita  dall'art.  27,
secondo comma, Cost., dagli artt. 6, paragrafo 2, CEDU  e  48  CDFUE;
con conseguente  ulteriore  violazione  del  diritto  di  proprieta',
tutelato dagli artt. 42 Cost., 1 Prot. addiz.  CEDU  e  17  CDFUE,  e
inciso dalla misura ablativa all'esame. 
    Il secondo gruppo di censure e' invece prospettato per  l'ipotesi
di mancato riconoscimento, da parte di questa Corte, della fondatezza
del  primo  gruppo  di  questioni,  e  segnatamente  in   riferimento
all'ipotesi  che  essa  non  concordi  con  la  qualificazione  della
confisca all'esame in termini di misura "punitiva". Anche laddove non
si riconoscesse la natura "punitiva" della  confisca  prevista  dalla
disposizione   censurata    e    non    si    ritenesse,    pertanto,
costituzionalmente  illegittima  la  sua  applicazione  mediante  una
sentenza  che  riconosce  l'estinzione  del  reato  per   intervenuta
oblazione, il  rimettente  ritiene  che  l'indefettibile  obbligo  di
disporre tale misura ablatoria da  parte  del  giudice  nel  caso  di
violazioni dell'art. 38 TULPS  si  risolva  in  una  irragionevole  e
sproporzionata limitazione del  diritto  di  proprieta',  cosi'  come
riconosciuto dalle medesime norme nazionali e sovranazionali poc'anzi
menzionate, e in una conseguente ulteriore violazione degli artt. 3 e
27 Cost., nonche' dell'art. 49, paragrafo 3, CDFUE. 
    3.-   L'Avvocatura   generale    dello    Stato    ha    eccepito
l'inammissibilita'  delle  questioni,  ma  ha  svolto  argomenti  che
concernono unicamente il merito delle stesse, sicche' l'eccezione  si
risolve in una mera formula di rito, e deve per tale  ragione  essere
disattesa. 
    Debbono, in particolare, essere considerate ammissibili anche  le
questioni formulate con riferimento a disposizioni  della  Carta  dei
diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,  dal  momento   che   la
disciplina censurata ricade nell'ambito di applicazione  del  diritto
dell'Unione ai sensi dell'art. 51 CDFUE. Come si dira' nel  prosieguo
(infra,  punto  5.3.2.),  infatti,  tale   disciplina   concorre   ad
assicurare l'adempimento degli obblighi  che  derivano,  oggi,  dalla
direttiva 2021/555/UE,  relativa  al  controllo  dell'acquisizione  e
della detenzione delle armi. 
    4.- Prioritario rispetto all'esame  del  merito  delle  questioni
prospettate e'  un  breve  inquadramento  del  contesto  normativo  e
giurisprudenziale nel quale esse si collocano. 
    4.1.- Le questioni sono sollevate nell'ambito di un  giudizio  in
cui e' contestata all'imputato la violazione dell'art. 38 TULPS,  per
avere omesso di comunicare all'autorita'  di  pubblica  sicurezza  il
trasferimento presso la nuova residenza di otto fucili da caccia e da
tiro sportivo,  gia'  regolarmente  custoditi  presso  la  precedente
abitazione, come da denuncia  a  suo  tempo  presentata.  Dal  tenore
dell'imputazione  risulta,  dunque,  evidente   che   la   violazione
contestata all'imputato e' unicamente quella di cui al settimo  comma
dell'art. 38 TULPS,  che  testualmente  dispone:  «[l]a  denuncia  di
detenzione di cui al primo comma deve essere ripresentata  ogni  qual
volta il possessore trasferisca l'arma in un luogo diverso da  quello
indicato nella precedente denuncia.  Il  detentore  delle  armi  deve
assicurare che il  luogo  di  custodia  offra  adeguate  garanzie  di
sicurezza». 
    Il settimo comma dell'art.  38  TULPS  e'  stato  introdotto  dal
decreto  legislativo  26  ottobre  2010,  n.  204  (Attuazione  della
direttiva 2008/51/CE, che modifica la direttiva  91/477/CEE  relativa
al controllo  dell'acquisizione  e  della  detenzione  di  armi).  In
precedenza, l'obbligo di ripresentare denuncia di detenzione in  caso
di trasferimento «da una localita'  all'altra  del  territorio  dello
Stato» di armi, munizioni e materie esplodenti  gia'  denunciati  era
previsto dall'art. 58, terzo comma, del r.d. n. 635 del 1940. 
    4.2.- Non essendo l'obbligo di cui all'art.  38,  settimo  comma,
TULPS assistito da alcuna  specifica  sanzione,  secondo  la  recente
giurisprudenza  di  legittimita'  trova  applicazione,  in  caso   di
violazione, il disposto dell'art. 17, primo comma, TULPS, secondo cui
«[s]alvo  quanto  previsto  dall'art.  17-bis,  le  violazioni   alle
disposizioni di questo testo unico, per le quali non e' stabilita una
pena od una sanzione amministrativa ovvero  non  provvede  il  codice
penale, sono punite con l'arresto fino a tre  mesi  o  con  l'ammenda
fino a euro 206» (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenze
16 novembre 2017-6 marzo 2018, n. 10197, 15 aprile-6 luglio 2016,  n.
27985, e n. 49969 del 2015). 
    Il combinato disposto degli artt. 17 e 38, settimo  comma,  TULPS
da' cosi' origine a una contravvenzione punita con pena  alternativa,
come tale suscettibile di estinguersi mediante  oblazione  (e  dunque
per effetto  del  pagamento,  prima  dell'apertura  del  dibattimento
ovvero prima del decreto di condanna, di una somma  pari  alla  meta'
del massimo dell'ammenda stabilita dalla legge,  attualmente  di  103
euro) ai sensi  dell'art.  162-bis  cod.  pen.,  nel  concorso  delle
condizioni ivi previste. 
    4.3.- Sempre secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita',  alla
contravvenzione in parola trova applicazione l'art. 6 della legge  n.
152 del 1975, in questa sede censurato,  a  tenore  del  quale  «[i]l
disposto del primo capoverso dell'articolo 240 del codice  penale  si
applica a tutti i reati concernenti le armi, ogni altro oggetto  atto
ad offendere, nonche' le munizioni e gli esplosivi»  (Cass,  n.  3802
del 2022 e  n.  32333  del  2019;  nonche'  sezione  seconda  penale,
sentenza 10 settembre-30 ottobre 2020,  n.  30192,  e  sezione  prima
penale, sentenze n. 5841 del 2011, 18 marzo 1996, n. 1743, e 18 marzo
1993, n. 1161, queste ultime relative all'art. 58 del r.d. n. 635 del
1940, ossia alla disposizione che sanzionava l'omessa ripetizione  di
denuncia prima della modifica dell'art. 38 TULPS ad opera del  d.lgs.
n. 204 del 2010, di cui si e' detto poc'anzi). 
    Il  rinvio  all'art.  240,  secondo  comma,  cod.  pen.  compiuto
dall'art. 6 della legge n. 152 del 1975 comporta che le armi  il  cui
trasferimento non sia stato denunciato ai sensi dell'art. 38, settimo
comma, TULPS debbano essere obbligatoriamente confiscate, e  cio'  «a
prescindere dalla loro intrinseca criminosita', avendo il legislatore
con [tale] norma speciale posta a tutela dell'ordine pubblico, inteso
derogare, limitatamente alle armi, alla disciplina ordinaria in  tema
di confisca» (Corte di cassazione, sezione prima penale, sentenza  12
giugno-15 novembre 2012, n. 44520). 
    4.4.- Ancora, secondo la costante giurisprudenza di legittimita',
la confisca obbligatoria di cui all'art. 6 della  legge  n.  152  del
1975  si  applica  non  solo  in  caso  di  condanna,  ma  anche   di
applicazione  della  pena  su  richiesta  delle   parti   (Corte   di
cassazione, sezione quinta  penale,  sentenza  28  settembre  2021-24
gennaio 2022, n. 2738; sezione prima penale, sentenza 22 settembre-11
ottobre 2006, n. 34042), di proscioglimento per particolare  tenuita'
del fatto (Cass.,  n.  3802  del  2022  e  n.  54086  del  2017),  di
archiviazione del procedimento per motivi diversi  dall'insussistenza
del fatto (Corte di cassazione, sezione  prima  penale,  sentenza  12
aprile-17 maggio  2016,  n.  20508),  di  estinzione  del  reato  per
prescrizione (Cass., n. 43699 del 2021), nonche'  -  per  quanto  qui
direttamente rileva - di estinzione del reato per  oblazione  (Cass.,
n. 6919 del 2022; n. 32333 del 2019; n. 33982 del 2016; n. 49969  del
2015; n. 1806 del 2013; n. 11480 del 2010; n. 38951 del 2008; n. 5967
del 1998; n. 413 del 1998). 
    5.- Cio' premesso, le questioni sollevate in via  principale  non
sono fondate. 
    5.1.- Il rimettente  ritiene,  in  sostanza,  che  la  disciplina
censurata, come interpretata dal diritto vivente, violi il  principio
- fondato, assieme, sull'art. 27, secondo comma, Cost., sull'art.  6,
paragrafo 2,  CEDU  e  sull'art.  48,  paragrafo  1,  CDFUE  -  della
presunzione di innocenza, nella misura in cui consente l'ablazione di
beni patrimoniali in conseguenza della commissione di un reato  senza
che sia stata giudizialmente accertata  la  relativa  responsabilita'
dell'imputato, come nel caso - verificatosi nel giudizio a quo  -  in
cui questi abbia definito la propria posizione versando una  somma  a
titolo di oblazione ai sensi dell'art. 162-bis cod. pen., con effetto
estintivo del reato medesimo. Tale violazione determinerebbe,  a  sua
volta, un'illegittima ablazione dei beni in favore dello  Stato,  con
conseguente  violazione  delle  norme  che  tutelano  -   a   livello
costituzionale, convenzionale e unionale - il diritto di  proprieta',
e cioe' gli artt. 42 Cost., 1 Prot. addiz. CEDU e 17 CDFUE. 
    Presupposto essenziale delle questioni e' pero' che la disciplina
censurata, che prevede - come si e' appena rammentato  (supra,  punto
4.3.)  -  un'ipotesi  di  confisca  obbligatoria  di  armi,  ritenuta
applicabile  dalla  giurisprudenza   di   legittimita'   anche   alla
contravvenzione di cui al combinato disposto degli  artt.  17,  primo
comma, e 38,  settimo  comma,  TULPS  (supra,  punti  4.1.  e  4.2.),
contempli una misura qualificabile - dal punto di vista  del  diritto
costituzionale e convenzionale - come sostanzialmente "punitiva". 
    5.2.-  Il  giudice  a  quo  argomenta  tale  natura  sulla  base,
essenzialmente, dei seguenti argomenti. 
    Anzitutto, il rimettente osserva che la misura ablatoria in esame
e' prevista in conseguenza della commissione di un reato,  ed  e'  in
concreto disposta dallo stesso giudice penale. 
    Inoltre, a differenza  delle  altre  ipotesi  riconducibili  alla
previsione dell'art. 240, secondo comma, numero  2),  cod.  pen.,  la
confisca in esame non avrebbe ad oggetto cose la  cui  fabbricazione,
uso, porto, detenzione o alienazione  costituisce  reato  in  ragione
della loro «intrinseca  criminosita'»,  bensi'  cose  che  l'imputato
potrebbe legittimamente detenere, e che divengono  oggetto  materiale
di un reato soltanto in conseguenza  della  violazione  da  parte  di
costui  dell'obbligo  di  comunicazione  all'autorita'  di   pubblica
sicurezza del loro avvenuto trasferimento. Il che -  unitamente  alla
circostanza che la condanna per la contravvenzione  di  cui  all'art.
38, settimo comma, TULPS non  comporta  alcun  divieto  di  possedere
altre armi, diverse da quelle confiscate -  evidenzierebbe  l'assenza
di qualsiasi funzione ripristinatoria della  situazione  preesistente
al reato, e la presenza in suo luogo  di  una  funzione  propriamente
sanzionatoria dell'inosservanza di tale obbligo. 
    5.3.- Questa Corte non e', tuttavia, persuasa da tali  argomenti,
e   ritiene   piuttosto   -   conformemente    all'avviso    espresso
dall'Avvocatura   generale   dello   Stato   e    alla    consolidata
giurisprudenza di legittimita' (sentenze n. 6919 del 2022;  n.  32333
del 2019, relativa a omessa denuncia di  trasferimento  di  armi;  n.
33982  del  2016)  -  che  alla  confisca  in  parola  debba   essere
riconosciuta  una  funzione   essenzialmente   preventiva,   anziche'
punitiva. 
    5.3.1.- Al riguardo, e' pur vero che gli elementi sintomatici sui
quali fa leva il rimettente - in particolare, la circostanza  che  la
confisca in esame venga disposta dal giudice penale,  e  abbia  quale
presupposto la commissione di un reato -  sono  stati  frequentemente
valorizzati dalla giurisprudenza della Corte EDU  come  indici  della
natura sostanzialmente punitiva  di  determinate  forme  di  confisca
(sentenze 9 febbraio 1995, Welch contro Regno Unito; 1°  marzo  2007,
Geerings contro Paesi Bassi; nonche' le gia' richiamate pronunce  Sud
Fondi  e  GIEM).  Tuttavia,  non  puo'  ritenersi  che  ogni   misura
limitativa o  privativa  di  diritti  fondamentali  applicata  da  un
giudice  penale  in  connessione  con  un  fatto   di   reato   abbia
necessariamente natura punitiva. Ad esempio, le misure  di  sicurezza
personali, che pure sono applicate dal giudice penale e presuppongono
l'accertamento  di  un  fatto  di  reato,  hanno  certamente   natura
preventiva e non gia' punitiva, essendo strutturalmente finalizzate a
neutralizzare il pericolo di  commissione  di  nuovi  fatti  previsti
dalla legge come reato da parte del soggetto che vi e' sottoposto,  e
non a punirlo per il fatto che ha gia' commesso. Analogamente, spetta
al giudice penale - durante l'intero arco delle indagini penali e poi
del processo - l'adozione di misure cautelari personali e reali,  che
incidono pesantemente sui diritti fondamentali della persona accusata
di avere commesso un reato, e che  sono  ancorate  alla  sussistenza,
rispettivamente, di gravi indizi di colpevolezza o  di  un  fumus  di
commissione di un reato, senza  che  cio'  ponga  in  discussione  la
natura meramente preventiva  di  tali  misure,  e  pertanto  la  loro
compatibilita', in linea di principio,  con  la  presunzione  di  non
colpevolezza dell'interessato. 
    La natura delle varie forme  di  confisca  deve,  dunque,  essere
valutata in relazione  alla  specifica  finalita'  e  allo  specifico
oggetto di ciascuna di esse, nella consapevolezza -  emersa  gia'  in
pronunce assai risalenti di questa Corte (sentenze n. 46 del  1964  e
n. 29 del 1961) - della estrema varieta'  di  disciplina  e  funzioni
delle confische previste nell'ordinamento italiano. 
    5.3.2.- Ai fini di una valutazione della  natura  della  confisca
disciplinata dal censurato art. 6 della legge n. 152 del  1975  -  in
quanto  applicabile  alla  contravvenzione  prevista  dal   combinato
disposto degli artt. 17, primo comma, e 38, settimo  comma,  TULPS  -
occorre dunque interrogarsi sulla sua specifica finalita' nel sistema
normativo  di  controllo  della  circolazione  delle  armi  da  fuoco
nell'ordinamento italiano. 
    Come sottolineato dalla giurisprudenza  di  legittimita'  (Cass.,
sentenza n. 27985 del 2016),  la  ratio  dell'obbligo  di  comunicare
all'autorita' di pubblica sicurezza  il  trasferimento  di  armi,  in
precedenza  regolarmente  denunciate,  risiede  nella  necessita'  di
garantire che tale autorita' abbia in qualsiasi momento contezza  del
luogo in cui l'arma e'  detenuta,  anche  al  fine  di  effettuare  i
controlli ritenuti opportuni. 
    Piu' in particolare,  come  giustamente  sottolinea  l'Avvocatura
generale dello Stato, la disposizione di  cui  all'art.  38,  settimo
comma, TULPS mira a  garantire  la  piena  tracciabilita'  dell'arma,
secondo quanto  richiesto  dal  diritto  dell'Unione  europea,  e  in
particolare  dalla  direttiva  2021/555/UE,  relativa  al   controllo
dell'acquisizione  e  della  detenzione  delle  armi,  la  quale   ha
codificato la previgente direttiva 91/477/CEE e le numerose modifiche
a tale disciplina medio tempore intervenute. 
    La direttiva 2021/555/UE dispone, oggi,  che  ogni  Stato  membro
tenga un archivio computerizzato nel quale registrare, tra l'altro, i
nomi e gli indirizzi dei detentori di ciascuna arma da fuoco soggetta
ad autorizzazione, al fine di garantirne la  completa  tracciabilita'
(art. 4, paragrafo 5, lettera c). Essa stabilisce, altresi',  che  lo
Stato membro preveda l'obbligo,  a  carico  di  ciascun  titolare  di
autorizzazione alla loro detenzione,  di  comunicare  alle  autorita'
competenti eventuali trasferimenti delle stesse (art.  10,  paragrafo
4, lettera a). 
    Da cio' discende  che  il  mancato  adempimento  dell'obbligo  di
comunicazione del trasferimento - e dunque del luogo in  cui  l'arma,
pur in precedenza legittimamente detenuta,  si  trova  attualmente  -
frustra  l'obiettivo,  perseguito   dal   legislatore   italiano   in
adempimento di un preciso obbligo europeo, di avere contezza in  ogni
momento dell'ubicazione dell'arma;  obiettivo  che  e'  a  sua  volta
funzionale  non  solo  a  prevenire   possibili   utilizzi   illeciti
intenzionali dell'arma da parte del detentore, ma anche ad assicurare
che l'arma sia detenuta in luogo idoneo, onde minimizzare il  rischio
che di essa possano impossessarsi terze persone,  per  farne  a  loro
volta un uso illecito, anche solo involontariamente (come nel caso in
cui l'arma finisca nelle mani di un bambino). 
    La mancata denuncia del  luogo  in  cui  l'arma  si  trova  crea,
dunque, una situazione di  pericolo,  particolarmente  allarmante  in
relazione alle  gravissime  conseguenze  per  la  vita  umana  e  per
l'ordine pubblico che il suo uso illecito  puo'  provocare;  pericolo
che la misura ablativa in esame mira per l'appunto a neutralizzare. 
    L'eventuale ulteriore funzione  punitiva  di  tale  confisca,  in
chiave  di  rafforzamento  della  pena  prevista  per  la  violazione
dell'art.  38,  settimo  comma,  TULPS,  appare  dunque   del   tutto
secondaria rispetto alla finalita' di neutralizzazione  del  pericolo
connesso alla circolazione dell'arma, finalita' che la  norma  appare
perseguire in via principale, e che conferisce alla confisca da  essa
prevista una connotazione essenzialmente preventiva. 
    5.4.-  La  conclusione  appena  raggiunta  priva  del  necessario
fondamento logico l'intero primo gruppo  di  censure  articolate  dal
rimettente, che assumono  la  violazione  della  presunzione  di  non
colpevolezza (e, in conseguenza, dello stesso diritto di  proprieta')
muovendo   proprio   dal   contrario   presupposto    della    natura
essenzialmente punitiva della confisca in parola. 
    Esse devono dunque essere ritenute non fondate. 
    6.- Nemmeno il secondo gruppo di censure e' peraltro fondato, nei
sensi di seguito precisati. 
    6.1.- Il rimettente ritiene, in sostanza,  che  -  anche  ove  si
riconosca natura preventiva, e non gia' punitiva,  alla  confisca  in
esame  -  essa  ridonderebbe  in  una  limitazione  irragionevole,  e
comunque sproporzionata, del diritto di proprieta'  dell'interessato,
con conseguente violazione degli artt. 3,  27  e  42  Cost.,  nonche'
degli artt. 1 Prot. addiz. CEDU e 17 e 49 CDFUE. 
    Le  censure  si  appuntano,   in   particolare,   sul   carattere
obbligatorio  della  confisca  in  parola   anche   nell'ipotesi   di
inosservanza degli obblighi posti dall'art. 38  TULPS,  tra  i  quali
assume qui rilievo quello previsto dal suo  settimo  comma:  obbligo,
quest'ultimo,  che  puo'  essere  adempiuto  mediante  una   semplice
comunicazione  da  parte  dell'interessato,  non  seguita  da   alcun
provvedimento autorizzativo, e la cui violazione configura  una  mera
contravvenzione estinguibile mediante  oblazione,  previo  versamento
all'erario della somma di 103 euro. 
    Una tale previsione determinerebbe  anzitutto  una  irragionevole
equiparazione di trattamento tra autori di reati di assai  differente
disvalore, assoggettando alla medesima  conseguenza  giuridica  reati
non particolarmente gravi come quello oggetto del procedimento a  quo
e delitti, invece, gravissimi come la fabbricazione, la  importazione
o la vendita illecite di armi da guerra. 
    Per converso, la  previsione  sarebbe  foriera  di  irragionevoli
disparita'  di  trattamento,  comportando   l'obbligatorieta'   della
confisca in casi come quello  oggetto  del  giudizio  a  quo  e  non,
invece, allorche' siano posti in essere  delitti  assai  piu'  gravi,
come la minaccia commessa con l'uso di  un'arma,  in  riferimenti  ai
quali la confisca di quest'ultima non e' invece imposta dalla legge. 
    La compressione  del  diritto  di  proprieta'  determinata  dalla
confisca in parola risulterebbe poi sproporzionata in ragione del suo
automatismo, che non consentirebbe all'imputato  la  possibilita'  di
dimostrare la propria  assenza  di  pericolosita',  ancorche'  poi  -
contraddittoriamente  -  l'ordinamento  non  precluda   al   medesimo
soggetto il permesso di detenere altre armi. 
    Ulteriori indici  di  sproporzionalita'  della  misura  sarebbero
costituiti,  da  un  lato,  dalla  sua  indifferenza  rispetto   alle
caratteristiche oggettive della violazione, alla colpevolezza del suo
autore  nonche'  al  grado  di  effettiva  pericolosita'  delle  armi
confiscate;  e,  dall'altro,  dalla  circostanza  che  l'entita'  del
pregiudizio provocato all'interessato dall'applicazione della  misura
dipende da circostanze del tutto  casuali,  che  nulla  hanno  a  che
vedere con il grado di pericolosita' degli oggetti confiscati,  quali
il numero e il valore delle armi il cui  trasferimento  l'interessato
abbia omesso di comunicare all'autorita' di pubblica sicurezza. 
    Infine, il carattere eccessivo - e pertanto,  ancora  una  volta,
sproporzionato -  della  misura  emergerebbe  dal  raffronto  tra  la
disciplina censurata  e  quella  prevista  dall'art.  39  TULPS,  che
attribuisce al prefetto il potere  di  vietare  la  detenzione  delle
armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell'art.
38 TULPS, alle persone ritenute capaci di  abusarne,  e  di  invitare
contestualmente l'interessato a cedere a terzi,  entro  i  successivi
150 giorni, i materiali medesimi, prevedendo la possibilita'  di  una
loro confisca soltanto una volta che  tale  termine  sia  inutilmente
decorso. Una simile disciplina - che pure presuppone una  valutazione
in concreto della  inidoneita'  del  soggetto  a  detenere  l'arma  -
costituirebbe, secondo la prospettazione del rimettente,  un  modello
di  tutela  degli  interessi  pubblici  coinvolti  meno  gravoso  per
l'interessato, ma parimenti efficace rispetto allo  scopo  perseguito
dal legislatore. 
    6.2.- Questa Corte non condivide,  tuttavia,  gli  argomenti  del
rimettente. 
    6.2.1.- Non  fondata  e',  anzitutto,  la  censura  formulata  in
relazione all'art. 27 Cost., che -  in  difetto  di  indicazione  del
comma ritenuto violato - sembra essere stato evocato quale  parametro
"di rinforzo"  rispetto  all'allegata  violazione  del  principio  di
proporzionalita' della misura.  Ma  il  parametro  e',  all'evidenza,
inconferente qualora  si  muova  dal  presupposto  -  che  lo  stesso
rimettente assume a base del secondo  gruppo  di  questioni  -  della
natura preventiva, e non punitiva, della  misura  stessa,  in  quanto
tale  non  soggetta   a   quei   principi   di   personalita'   della
responsabilita'  penale  e   di   necessaria   funzione   rieducativa
frequentemente  invocati  dalla  giurisprudenza  di   questa   Corte,
unitamente  all'art.  3  Cost.,  a  fondamento   del   principio   di
proporzionalita' delle pene. 
    6.2.2.-  Non  fondata  e'  altresi'  la  censura   formulata   in
riferimento agli artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 49, paragrafo 3, CDFUE, dal momento che  anche  quest'ultima
norma e' in  radice  inapplicabile  a  misure  non  aventi  carattere
punitivo, come la confisca di cui e' causa. 
    6.2.3.-  L'indubbia  incidenza  della  confisca  in   esame   sul
patrimonio dell'interessato impone invece una puntuale  verifica,  da
parte di questa Corte, del suo carattere proporzionato alla luce  dei
parametri costituzionali e sovranazionali che tutelano il diritto  di
proprieta' (art. 42 Cost., nonche' art. 117, primo comma,  Cost.,  in
relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU,  e  artt.  11  e  117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 17 CDFUE). 
    In proposito, occorre in primo luogo ribadire che  la  disciplina
in esame persegue la finalita'  -  rilevante  anche  per  il  diritto
dell'UE - di assicurare in ogni momento la tracciabilita' delle  armi
legittimamente presenti nel territorio  italiano,  consentendo  cosi'
all'autorita' di pubblica sicurezza di avere contezza  del  luogo  in
cui esse siano conservate e di  effettuare  gli  opportuni  controlli
atti a prevenire incidenti derivanti dall'uso  scorretto  delle  armi
medesime (supra, punto 5.3.2.). 
    Tale  finalita'  -  di  fondamentale  rilievo   per   la   tutela
dell'ordine pubblico, e piu' in particolare  per  la  prevenzione  di
condotte violente realizzate mediante l'uso di  armi,  potenzialmente
lesive della vita e dell'incolumita' dei consociati -  e'  perseguita
dal  legislatore  anche  mediante  la   previsione   della   confisca
obbligatoria delle armi, pur in precedenza regolarmente denunciate  e
possedute in forza di licenza di  porto  d'armi,  allorche'  il  loro
possessore ometta di comunicare il loro trasferimento  in  una  nuova
sede. In tale ipotesi,  il  legislatore  presume  una  situazione  di
pericolo per l'ordine pubblico connessa al perdurante possesso  delle
armi in capo a chi abbia violato l'obbligo di comunicarne  l'avvenuto
trasferimento, e il connesso obbligo di fornire  assicurazioni  circa
la sussistenza delle necessarie condizioni di sicurezza  della  nuova
collocazione (art. 38, settimo comma,  ultima  proposizione,  TULPS);
situazione  di  pericolo  da  neutralizzarsi,  appunto,  mediante  la
confisca delle armi stesse. 
    L'ablazione   cosi'   realizzata   costituisce   una    rilevante
limitazione  del  diritto   di   proprieta',   tutelato   a   livello
costituzionale e sovranazionale, che tuttavia - a giudizio di  questa
Corte - non puo' essere ritenuta a) manifestamente inidonea,  b)  non
necessaria ovvero c) non proporzionata in senso stretto rispetto alla
finalita' legittima perseguita (sentenza n. 20 del 2019, e  ulteriori
precedenti ivi citati). 
    Quanto  al  profilo  sub  a),  l'inosservanza  delle  norme   che
impongono la costante tracciabilita' delle armi rivela, infatti,  una
grave trascuratezza in capo al loro detentore, che non solo impedisce
all'autorita' di pubblica sicurezza di avere  costante  contezza  del
luogo in cui le armi siano detenute, ma che il legislatore  considera
altresi',  non  irragionevolmente,  come   indice   di   sopravvenuta
inidoneita'  del  loro  proprietario  a  continuare  a  detenerle  in
condizioni di  sicurezza;  sicche'  la  confisca  delle  armi  appare
rimedio idoneo per rimuovere tale situazione di pericolo. 
    Quanto  al  profilo  sub  b),  a  fronte  della  gravita'   delle
conseguenze che possono derivare dalla  mancata  conservazione  delle
armi in  condizioni  di  sicurezza,  e  conseguentemente  dalla  loro
illecita utilizzazione da parte di terzi, non  eccede  manifestamente
lo scopo di tutela perseguito  dal  legislatore  una  disciplina  che
preveda l'automatica confisca delle armi medesime,  senza  consentire
al loro detentore di dimostrare, caso per caso,  l'insussistenza  dei
pericoli presunti in via generale dal legislatore. Come questa  Corte
ha recentemente  sottolineato,  infatti,  le  pressanti  esigenze  di
tutela sottese alle regole che  presiedono  alla  circolazione  delle
armi giustificano, entro il solo  limite  della  loro  non  manifesta
irragionevolezza,  la  «previsione   di   requisiti   soggettivi   di
affidabilita' particolarmente rigorosi per chi  intenda  chiedere  la
licenza di portare armi» (sentenza n. 109 del 2019,  punto  5.2.  del
Considerato in diritto) nonche' per chi, come nel caso ora all'esame,
comunque detenga delle armi. Ne' esorbita dalla sfera riservata  alle
discrezionali  valutazioni  del  legislatore   la   scelta   di   non
strutturare la disciplina della confisca qui all'esame sul modello di
quella prevista dall'art. 39 TULPS, meno gravosa  per  l'interessato.
Quest'ultima disposizione, infatti, attribuisce al prefetto il potere
di vietare la detenzione di  armi  anche  a  chi  abbia  regolarmente
adempiuto a tutte le prescrizioni di cui all'art. 38  TULPS,  incluse
quelle di comunicare il loro trasferimento, ma sia comunque  ritenuto
capace di abusarne sulla base di  indicatori  che  non  presuppongono
necessariamente il  compimento  di  condotte  costituenti  reato  (da
ultimo, Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 7  gennaio  2020,
n. 65). Il che rende plausibile una  limitazione  meno  incisiva  del
diritto di proprieta'. 
    Quanto,  infine,  al  profilo  sub  c),  nella  valutazione   del
complessivo bilanciamento compiuto dal legislatore tra il pregiudizio
derivante all'interessato dalla misura in esame e  le  finalita'  che
quest'ultima persegue, questa Corte non puo' non tener conto,  da  un
lato, della estrema gravita' delle conseguenze che  possono  derivare
da un uso improprio  delle  armi  a  carico  della  vita  stessa  dei
consociati, che l'ordinamento ha  il  dovere  di  tutelare  in  forza
dell'art. 2 Cost. (da ultimo, sentenza n. 50 del 2022, punto 5.2. del
Considerato in diritto); e, dall'altro,  della  circostanza  che  nel
nostro ordinamento - come nella generalita' degli ordinamenti europei
- l'acquisto e l'esercizio del diritto di proprieta' delle armi  sono
sottoposti a speciali limiti e controlli, che mirano a  schermare  il
piu' possibile i rischi per l'ordine pubblico ad essi necessariamente
connessi. Limiti dai quali risulta, in  via  generale,  una  maggiore
cedevolezza - di fronte ai controinteressi collettivi che vengono qui
in considerazione - delle ragioni di tutela  della  proprieta'  delle
armi rispetto a quanto valga per  la  generalita'  degli  altri  beni
(mutatis mutandis, si veda, ancora, sentenza n. 109 del  2019,  punto
5.2. del Considerato in diritto, e ulteriori precedenti ivi citati). 
    6.2.4.- Parimenti non  fondati  sono  gli  ulteriori  profili  di
contrasto con l'art. 3 Cost. prospettati dal rimettente, sia sotto il
profilo  a)  dell'irragionevole  equiparazione  di  trattamento   tra
situazioni diverse o, all'opposto, b) di irragionevoli disparita'  di
trattamento  tra  situazioni  analoghe,  sia  c)  sotto  il   profilo
"intrinseco". 
    Quanto al profilo sub a) (asserita irragionevole equiparazione di
trattamento tra autori di reati di differente disvalore operata dalla
disposizione censurata), basti osservare che, trattandosi qui di  una
misura  a  contenuto  preventivo  e  non  gia'  punitivo,  ha  scarso
significato comparare la gravita' del reato  che  ne  costituisce  il
presupposto  legale,  posto  che  tale  reato  svolge  il  ruolo   di
"occasione",  piu'  che   di   "causa",   dell'intervento   ablativo,
finalizzato  a  fronteggiare  una  situazione  di  pericolo  che   il
legislatore  non  irragionevolmente   ritiene   integrata   gia'   in
conseguenza della violazione della diligenza che il detentore di armi
e' tenuto scrupolosamente ad osservare in ogni momento. 
    Quanto al profilo sub b), relativo alla mancata previsione di una
confisca obbligatoria nel caso di  reato  non  gia'  «concernente  le
armi» ai sensi dell'art. 6 della legge n. 152 del 1975  ma  posto  in
essere "a mezzo" di armi - come nel caso, evocato dal rimettente,  di
una minaccia commessa con l'uso di  armi  -,  occorre  rilevare  che,
anche ove si ritenesse  irragionevole  la  mancata  inclusione  nella
disciplina   censurata   di   simili   ipotesi,   a   tale   supposta
irragionevolezza  questa  Corte  non  potrebbe  certo  porre  rimedio
espungendo dalla disciplina le ipotesi di violazione  degli  obblighi
di cui all'art. 38 TULPS: ipotesi, queste ultime, rispetto alle quali
la previsione di una  confisca  obbligatoria  dell'arma,  come  sopra
osservato, non puo' essere ritenuta sproporzionata ne' irragionevole. 
    Quanto, infine, al  rilievo  sub  c),  secondo  cui  la  confisca
obbligatoria in esame non impedirebbe - contraddittoriamente, secondo
il  rimettente  -  all'interessato  di  detenere  altre  armi,   puo'
agevolmente  replicarsi  che,  come  ritenuto  dalla   giurisprudenza
amministrativa, proprio  la  violazione  delle  norme  relative  alla
comunicazione del  trasferimento  delle  armi  di  cui  all'art.  38,
settimo  comma,  TULPS  puo'  essere  considerata  indice  di  scarsa
affidabilita' soggettiva e legittimare,  pertanto,  l'imposizione  da
parte del prefetto di un generale divieto rivolto all'interessato  di
detenere armi, ai sensi del gia' menzionato art. 39 TULPS  (Consiglio
di Stato, sezione terza, sentenza 13 settembre 2017, n. 4334, nonche'
TAR Lazio, sezione prima-ter, sentenza 29 novembre 2018,  n.  11585);
sicche'  i   due   rimedi   ben   possono   coesistere   ed   operare
congiuntamente,  nell'ottica  di  una  efficace  tutela   dell'ordine
pubblico contro i pericoli derivanti dall'uso illecito delle armi. 
    6.3.- Tutto cio' posto, va tuttavia osservato  che,  allorche'  -
come nel caso che ha dato origine al procedimento a quo - la confisca
sia imposta dal giudice con la sentenza che dichiara l'estinzione per
intervenuta oblazione  della  contravvenzione  di  cui  al  combinato
disposto  degli  artt.  17  e   38,   settimo   comma,   TULPS,   una
interpretazione   costituzionalmente   orientata   della   disciplina
censurata esige  che  tale  provvedimento  possa  essere  pronunciato
soltanto in esito  all'accertamento  dei  presupposti  di  legge  che
giustificano l'applicazione della misura. 
    6.3.1.- Come poc'anzi si e' chiarito, le pur gravose  conseguenze
patrimoniali che derivano dalla confisca in esame non possono  essere
considerate sproporzionate  o  irragionevoli,  la  misura  in  parola
riposando  sulla  ragionevole  presunzione  del  legislatore  di  una
situazione di pericolosita' discendente dalla  inidoneita'  del  loro
proprietario a  continuare  a  detenere  le  armi  in  condizioni  di
sicurezza;  inidoneita',  a  sua  volta,  dimostrata  proprio   dalla
violazione delle norme che fissano precise condizioni  e  adempimenti
connessi alla loro detenzione, tra le  quali  lo  stesso  obbligo  di
comunicarne il trasferimento ai sensi dell'art.  38,  settimo  comma,
TULPS. 
    Tuttavia, la valutazione di proporzionalita' e ragionevolezza  di
una misura che incide in maniera  potenzialmente  assai  gravosa  sul
diritto di proprieta' non puo' non dipendere anche dalla presenza  di
un adeguato meccanismo  di  tutela  giurisdizionale,  che  garantisca
all'interessato la possibilita' di contestare in maniera effettiva la
sussistenza dei presupposti della misura. 
    Cio' risulta, tra l'altro, dalla  costante  giurisprudenza  della
Corte EDU, secondo la quale, pur non contenendo il testo dell'art.  1
Prot.  addiz.  CEDU  alcun  esplicito   requisito   procedurale,   la
legittimita' di qualsiasi misura che incida sul diritto di proprieta'
- a prescindere  dalla  sua  natura  penale  o  non  -  dipende,  per
l'appunto, dalla presenza di procedimenti in contraddittorio coerenti
con il principio di parita' delle armi, nei quali  l'interessato  sia
posto in condizione di contestare  in  maniera  effettiva  la  misura
stessa (Corte EDU, sentenza  GIEM,  paragrafo  302,  e  ivi  numerosi
precedenti citati), tale requisito discendendo dallo stesso principio
di legalita' che presiede a ciascuna misura limitativa del diritto di
proprieta' (Corte EDU, grande  camera,  sentenza  11  dicembre  2018,
Lekić contro Slovenia, paragrafo 95). 
    Ne  consegue  che,  onde  mantenersi   entro   i   limiti   della
proporzionalita' e della ragionevolezza, la violazione sulla quale si
fonda la presunzione che sta alla base della disposizione censurata -
dopo essere stata contestata  all'imputato  dal  pubblico  ministero,
sulla base degli accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria - deve
essere altresi' accertata dal giudice che applica la confisca, in  un
procedimento nel quale le ragioni  dell'imputato  siano  ascoltate  e
valutate nel contradditorio con il pubblico ministero. 
    6.3.2.- Ora, la giurisprudenza di legittimita' ammette,  come  si
e' gia' ricordato (supra, punto  4.4.),  che  la  confisca  all'esame
possa essere applicata dal giudice anche  mediante  la  sentenza  che
dichiara l'estinzione del reato per intervenuta oblazione. 
    Una  tale  possibilita'  non  e'  logicamente  incompatibile  con
l'intervenuta estinzione del reato, come si e'  addirittura  ritenuto
in relazione a  una  misura  di  natura  punitiva  come  la  confisca
urbanistica,  che  puo'  essere  applicata  anche  con  la   sentenza
dichiarativa della prescrizione, la quale parimenti estingue il reato
(sentenza di questa Corte n. 49 del 2015, punto 5 del Considerato  in
diritto, nonche' Corte di cassazione, sezioni unite penali,  sentenza
30 gennaio-30 aprile 2020, n. 13539). 
    Tuttavia, come si  e'  sottolineato  proprio  in  relazione  alla
confisca urbanistica, anche in caso di  estinzione  del  reato  resta
necessario, ai fini dell'applicazione di una  misura  ablativa  della
proprieta', che  il  giudice  accerti  il  presupposto  della  misura
stessa, in un procedimento in contraddittorio con l'imputato. 
    Cio'  non  puo'  non  valere  anche  nell'ambito  del   peculiare
procedimento di oblazione, disciplinato dall'art. 141 norme att. cod.
proc. pen., ove il giudice  dovra'  parimenti  accertare  in  maniera
piena il  presupposto  legale  della  misura,  che  coincide  con  la
commissione del reato. 
    Tale accertamento non puo', d'altra  parte,  ritenersi  superfluo
per effetto della domanda di oblazione formulata  dall'imputato,  dal
momento che tale domanda  -  secondo  quanto  pacificamente  ritenuto
dalla stessa giurisprudenza di legittimita' (Cass., sentenza n. 32333
del 2019) - non comporta alcuna ammissione di responsabilita' per  il
reato contestato, esattamente come non comporta alcuna ammissione  di
responsabilita' la decisione dell'imputato  di  non  rinunciare  alla
prescrizione. 
    6.3.3.- Un tale  accertamento  nell'ambito  del  procedimento  di
oblazione  di  cui  all'art.  162-bis  cod.  pen.  appare  senz'altro
compatibile con la struttura  del  procedimento  medesimo,  che  gia'
prevede un sub-procedimento finalizzato a  permettere  al  giudice  -
oltre  che  di  verificare  l'insussistenza  delle   condizioni   che
impongano l'immediata declaratoria di cause  di  non  punibilita'  ai
sensi dell'art 129 cod. proc. pen.  (Cass.,  sentenza  n.  32333  del
2019) - di accertare se permangano conseguenze dannose  o  pericolose
del reato eliminabili da parte del trasgressore (terzo comma), ovvero
se il fatto sia grave (quarto comma):  evenienze  in  presenza  delle
quali la domanda  di  oblazione,  rispettivamente,  dovra'  o  potra'
essere respinta. Come la giurisprudenza di legittimita' ha  chiarito,
tale accertamento deve essere compiuto anche d'ufficio dal giudice, e
di  esso  dovra'  darsi  conto  nella  motivazione  della   sentenza,
specialmente nel caso di pronuncia sfavorevole all'imputato (Corte di
cassazione, sezione prima penale, sentenza 20 luglio 2017-1° febbraio
2018, n. 4992; sentenza 20 aprile-14 maggio 2010, n. 18307). 
    Nell'ambito del sub-procedimento in parola, ben potra' dunque  il
giudice, investito di una richiesta di oblazione ex art. 162-bis cod.
pen. per una contravvenzione per la quale sia prevista l'obbligatoria
applicazione   della   confisca   ora   all'esame,   accertare,   nel
contraddittorio tra le parti, la sussistenza dei presupposti  che  ne
giustificano l'applicazione: e  dunque  l'effettiva  commissione  del
fatto di reato da parte  dell'imputato,  in  tutti  i  suoi  elementi
oggettivi e soggettivi, tenendo  conto  delle  eventuali  allegazioni
difensive dell'imputato stesso. Di  tutto  cio'  dovra'  essere  dato
conto nella motivazione della sentenza di cui all'art. 141, comma  4,
norme att. cod. proc. pen. 
    6.3.4.- Ne' osta alla possibilita' di  un  tale  accertamento  la
funzione deflattiva del  carico  giudiziale  normalmente  svolta  dal
procedimento per oblazione. 
    Se per un verso,  infatti,  l'imputato  cui  sia  contestata  una
contravvenzione punita con pena alternativa ha un preciso interesse a
essere  ammesso  all'oblazione  laddove  sussistano   le   condizioni
indicate nell'art. 162-bis cod. pen.,  senza  che  cio'  comporti  in
alcun modo un riconoscimento della propria colpevolezza, e'  altresi'
vero che l'ordinamento non puo'  pretendere  che  egli  rinunci  alla
possibilita' di essere ammesso a questo beneficio  -  la  cui  scelta
rientra, come quella di ogni altro rito alternativo, tra i  contenuti
del  diritto  di  difesa  dell'imputato  di  cui  all'art.  24  Cost.
(sentenza n. 530 del 1995, punto 3 del  Considerato  in  diritto,  e,
piu' recentemente, sentenza n. 192 del 2020, punto 7 del  Considerato
in diritto) - al solo scopo di evitare l'applicazione della  confisca
obbligatoriamente prevista per quella  contravvenzione,  difendendosi
nell'ambito del giudizio penale dall'imputazione e rischiando, cosi',
di subire una condanna penale, con tutte le conseguenze negative  per
la propria vita futura. 
    L'incidenza sul diritto di proprieta' determinata dalla  confisca
in esame giustifica il dispendio di energie processuali connesso alla
necessita' di confrontarsi con  le  eventuali  allegazioni  difensive
dell'imputato: il quale ha il pieno diritto  di  chiedere  di  essere
ammesso all'oblazione con effetto estintivo del  reato,  e  al  tempo
stesso di sostenere di non aver commesso il fatto che  gli  e'  stato
contestato, al diverso fine di evitare l'applicazione di  una  misura
che pesantemente incide sul suo diritto di proprieta', e che - seppur
inquadrabile in una logica preventiva  anziche'  punitiva  -  ha  per
presupposto il medesimo fatto di reato. 
    6.4.-  In  conclusione,  il  secondo  gruppo  di   questioni   di
legittimita' costituzionale,  sollevate  in  riferimento  all'art.  3
Cost. e agli artt. 11 e 117, primo comma,  Cost.,  questi  ultimi  in
relazione all'art. 17 CDFUE e all'art. 1  Prot.  addiz.  CEDU,  vanno
dichiarate non  fondate  nei  sensi  appena  precisati,  e  dunque  a
condizione che la disciplina censurata sia interpretata  in  modo  da
assicurare che il provvedimento di confisca sia pronunciato in  esito
all'accertamento, da parte del giudice, dei presupposti di legge  che
giustificano la misura. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  6  della  legge  22  maggio  1975,  n.  152
(Disposizioni a tutela dell'ordine  pubblico)  «nella  parte  in  cui
impone al giudice di disporre la confisca delle armi anche in caso di
estinzione del reato per oblazione», sollevate, in  riferimento  agli
artt. 27, secondo comma, e 42,  secondo  comma,  della  Costituzione,
nonche' agli artt. 11 e 117, primo comma,  Cost.,  questi  ultimi  in
relazione agli artt. 6, paragrafo 2, della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo, 1 del Protocollo addizionale alla CEDU,  17  e  48
della  Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione  europea,   dal
Tribunale ordinario di Milano, sezione sesta penale, con  l'ordinanza
indicata in epigrafe; 
    2) dichiara non fondate, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 6 della  legge  n.
152 del 1975  «nella  parte  in  cui  prevede  come  obbligatoria  la
confisca delle armi anche in relazione alla  contravvenzione  di  cui
dell'art. 38 del r.d. n. 733/1931», sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 3, 27, e 42 Cost., nonche' agli artt. 11 e  117,  primo  comma,
Cost., questi ultimi in relazione agli artt. 1 Prot. addiz. CEDU,  17
e 49, paragrafo 3, CDFUE, dal Tribunale ordinario di Milano,  sezione
sesta penale, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 dicembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                    Francesco VIGANO', Redattore 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 24 gennaio 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA