N. 8 SENTENZA 30 novembre 2022- 27 gennaio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Impiego   pubblico   -    Prestazione    asseritamente    retributiva
  indebitamente erogata da un ente pubblico (nella  specie:  permessi
  retribuiti ex legge n. 104 del 1992) - Irripetibilita' delle  somme
  percepite in buona fede - Omessa previsione - Denunciata violazione
  dei vincoli convenzionali, come interpretati  dalla  giurisprudenza
  della  Corte  EDU,   con   riguardo   alla   proporzionalita'   tra
  l'intervento di recupero e la tutela dell'accipiente in buona  fede
  - Inammissibilita' delle questioni. 
Previdenza - Indebito previdenziale non pensionistico (nella  specie:
  indennita' di disoccupazione) - Indebito retributivo (nella specie:
  retribuzione di posizione) - Irripetibilita' delle somme  percepite
  in buona fede - Omessa previsione  -  Denunciata  violazione  della
  sovranita' nazionale - Inammissibilita' delle questioni. 
Impiego  pubblico  -  Indebito  retributivo  (nel  caso  di   specie:
  retribuzione di posizione) - Irripetibilita' delle somme  percepite
  in buona fede -  Omessa  previsione  -  Denunciata  violazione  dei
  vincoli convenzionali, come interpretati dalla giurisprudenza della
  Corte EDU, con riguardo alla proporzionalita' tra  l'intervento  di
  recupero del creditore pubblico  e  la  tutela  dell'accipiente  in
  buona fede - Non fondatezza delle questioni. 
- Codice civile, art. 2033. 
- Costituzione, artt. 11 e 117, primo comma;  Protocollo  addizionale
  alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e  delle
  liberta' fondamentali, art. 1. 
(GU n.5 del 1-2-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nei giudizi di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2033  del
codice civile promossi dal  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  sezione
lavoro, con ordinanze del 21 gennaio e del 25 febbraio 2022, e  dalla
Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza  del  14  dicembre
2021, iscritte, rispettivamente, ai numeri 9, 29 e  21  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
numeri 8, 11 e 14, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti gli atti  di  costituzione  dell'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS), del Comune di Campi Bisenzio e di  L.  P.,
nonche' gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udita nell'udienza pubblica del 29 novembre 2022 e  nella  camera
di consiglio del 30  novembre  2022  la  Giudice  relatrice  Emanuela
Navarretta; 
    uditi nell'udienza pubblica del 29  novembre  2022  gli  avvocati
Vincenzo Stumpo per l'INPS, Federico De Meo per il  Comune  di  Campi
Bisenzio, Francesco D'Addario per L.  P.  e  l'avvocato  dello  Stato
Lorenzo D'Ascia per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 30 novembre 2022. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 gennaio  2022,  iscritta  al  n.  9  del
registro ordinanze 2022, il Tribunale  ordinario  di  Lecce,  sezione
lavoro, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.  11  e  117,  primo
comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art.  1  del
Protocollo  addizionale  alla   Convenzione   europea   dei   diritti
dell'uomo, questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2033
del codice civile, «nella parte in cui non prevede  l'irripetibilita'
dell'indebito  previdenziale   non   pensionistico   (indennita'   di
disoccupazione, nel caso di specie)  laddove  le  somme  siano  state
percepite in buona fede  e  la  condotta  dell'ente  erogatore  abbia
ingenerato  [un]  legittimo  affidamento  del  percettore  circa   la
spettanza della somma percepita». 
    Il rimettente riferisce che P.  D.R.  ha  convenuto  in  giudizio
l'Istituto nazionale  della  previdenza  sociale  (INPS)  per  sentir
accertare l'insussistenza dell'obbligo di  restituire  euro  1.926,60
che l'ente previdenziale,  con  nota  del  26  novembre  2013,  aveva
richiesto  a  titolo  di  maggiori  somme  indebitamente  corrisposte
sull'indennita' di disoccupazione percepita tra ottobre 2004 e luglio
2005. A sostegno della propria pretesa, il ricorrente nel giudizio  a
quo ha eccepito la violazione dell'art. 3 della legge 7 agosto  1990,
n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento  amministrativo  e  di
diritto di accesso ai documenti amministrativi), dell'art.  52  della
legge 9 marzo 1989, n. 88 (Ristrutturazione  dell'Istituto  nazionale
della   previdenza   sociale   e    dell'Istituto    nazionale    per
l'assicurazione  contro  gli  infortuni  sul  lavoro),  nonche'   del
principio di buona fede. A tal  riguardo,  ha  evidenziato  il  lungo
tempo  trascorso  tra  la  cessazione  dell'erogazione  e  la   prima
richiesta di restituzione, la conoscenza da parte dell'INPS di  tutti
gli elementi per determinare l'indennita'  e  la  destinazione  della
somma a esigenze alimentari. 
    Il Tribunale di Lecce riporta che  l'INPS  si  e'  costituito  in
giudizio  e  ha  formulato  alcune  eccezioni  preliminari,  per  poi
invocare  la  costante  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione,
secondo cui e'  ammessa  la  ripetibilita'  delle  somme  versate  in
eccesso a titolo  di  indennita'  di  disoccupazione,  senza  che  la
relativa pretesa possa essere esclusa  dalla  buona  fede  soggettiva
dell'accipiens. 
    1.1.- In via preliminare, sotto il profilo  della  rilevanza,  il
Tribunale di Lecce sostiene  che  le  eccezioni  di  decadenza  e  di
prescrizione sollevate dall'INPS  non  sono  fondate  e  che  non  e'
possibile decidere la lite sulla base delle altre norme  evocate  dal
ricorrente. Inoltre, evidenzia che non e' possibile procedere  a  una
interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2033 cod. civ. 
    Nel merito, il giudice a quo qualifica come  diritto  vivente  il
costante orientamento della giurisprudenza di legittimita', in virtu'
del quale la norma censurata  sarebbe  applicabile  alle  prestazioni
indebitamente versate a titolo di indennita' di disoccupazione. 
    Nondimeno, secondo  il  rimettente,  l'art.  2033  cod.  civ.  si
porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  1  Prot.  addiz.   CEDU,   come
interpretato dalla Corte europea  dei  diritti  dell'uomo,  e  dunque
violerebbe gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. 
    In  particolare,  il  Tribunale  di  Lecce  sottolinea  come   la
giurisprudenza della Corte EDU estenda la  protezione  garantita  dal
citato art. 1 al legittimo affidamento riposto da una persona  fisica
nella spettanza di prestazioni previdenziali o retributive erogate da
un ente pubblico. In  simili  ipotesi,  ove  l'ente  erogatore  abbia
tenuto una condotta idonea  a  ledere  in  misura  sproporzionata  il
citato  interesse  dell'accipiens,  quest'ultimo  avrebbe  diritto  a
trattenere le somme ricevute. 
    Secondo il giudice a quo, nel  caso  di  specie,  sussisterebbero
tutti gli indici con cui la giurisprudenza convenzionale  concretizza
la  lesione  di  un  affidamento  legittimo:  il   reiterarsi   delle
erogazioni indebite; la richiesta di restituzione dopo un periodo  di
tempo prolungato (nel caso di specie erano  trascorsi  piu'  di  otto
anni); la buona  fede  soggettiva  dell'accipiens  al  momento  della
percezione delle somme non dovute; l'insussistenza di un mero  errore
materiale o di calcolo; la  mancata  previsione  di  una  riserva  di
ripetizione all'atto del pagamento da parte dell'ente. 
    Su tali basi, il rimettente sollecita questa  Corte  all'adozione
di   una   sentenza   additiva,   che    dichiari    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod. civ. nei termini sopra enunciati. 
    1.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 15 marzo 2022. 
    1.2.1.- In rito, ha eccepito l'inammissibilita'  delle  questioni
per difetto di rilevanza e, comunque,  per  implausibile  motivazione
sulla rilevanza. 
    L'Avvocatura dello Stato assume, infatti,  che  il  Tribunale  di
Lecce si sia riservato di accertare in  fatto  la  sussistenza  degli
elementi dimostrativi del  legittimo  affidamento  dell'attore,  solo
all'esito dell'eventuale intervento additivo operato da questa Corte.
In tal modo, l'ordinanza avrebbe finito  con  il  «prescindere  dalla
verifica preventiva dell'esistenza di una  fattispecie  concreta  che
possa comportare la rilevanza della questione».  Del  resto,  secondo
l'Avvocatura, un'effettiva indagine  relativa  ai  suddetti  elementi
avrebbe portato il rimettente a constatare il loro  difetto,  con  la
conseguenza che un'eventuale sentenza  di  accoglimento  risulterebbe
comunque priva di utilita' nel giudizio a quo. 
    Sempre sotto il profilo della rilevanza,  la  difesa  statale  ha
eccepito che il rimettente non  avrebbe  accertato  «se  e  in  quale
misura il recupero delle somme da  parte  dell'Inps  sia  avvenuto  e
abbia determinato un sacrificio sproporzionato in capo al percettore,
circostanza comunque neanche allegata dall'accipiens nel suo  ricorso
al Tribunale di Lecce». 
    1.2.2.- Nel merito, l'Avvocatura dello  Stato  eccepisce  la  non
fondatezza delle questioni. 
    Secondo la difesa statale, la giurisprudenza della Corte EDU  non
opererebbe alcuna distinzione tra «interessi  positivi  derivanti  da
aspettative di diritto» e  «interessi  negativi  derivanti  dal  mero
affidamento in uno stato di apparenza determinato da un comportamento
colpevole dell'Amministrazione», distinguo  che  avrebbe,  viceversa,
rilievo nel diritto nazionale. Nel caso di condotte dello  Stato  non
conformi ai canoni di correttezza e buona fede  oggettiva  lesive  di
affidamenti,  l'ordinamento  italiano   riconoscerebbe   una   tutela
risarcitoria, ma non un «rimedio in integrum», salva la  possibilita'
di opporre, secondo una valutazione caso per  caso,  l'inesigibilita'
della prestazione. 
    Tale apparato rimediale, a detta dell'Avvocatura, non  violerebbe
gli obblighi internazionali, ma attuerebbe un bilanciamento - tra  la
tutela  del  legittimo  affidamento  del  percettore  e   l'interesse
generale alla stretta applicazione delle norme poste a presidio della
finanza pubblica - che  rientrerebbe  nel  margine  di  apprezzamento
spettante agli Stati  aderenti  alla  CEDU.  Nell'esercizio  di  tale
discrezionalita', il legislatore italiano avrebbe  previsto  solo  in
casi  del  tutto  eccezionali,  non  suscettibili   di   applicazione
analogica, la irripetibilita' delle somme erogate da enti pubblici. 
    1.3.- Con atto depositato il 3 marzo 2022, si  e'  costituito  in
giudizio l'INPS, parte in quello a quo. 
    In rito, l'Istituto ha eccepito il  difetto  di  rilevanza  delle
questioni  di  legittimita'   costituzionale   sollevate,   adducendo
l'insussistenza degli «indici sintomatici del legittimo  affidamento»
evocati dalla giurisprudenza della Corte EDU, a partire dalla mancata
dimostrazione che non si sia trattato di un mero errore di calcolo  o
di un errore materiale. 
    Nel  merito,  l'INPS  ha  contestato  che  sia   ravvisabile   un
orientamento costante della giurisprudenza della Corte EDU in tema di
irripetibilita' delle prestazioni previdenziali  non  pensionistiche,
indebitamente corrisposte a chi vanti un legittimo affidamento, e  ha
sostenuto che  rientri  nel  margine  di  apprezzamento  degli  Stati
disciplinare le ipotesi di (parziale o totale) irripetibilita'  delle
erogazioni pubbliche. L'ordinamento italiano  avrebbe  legittimamente
esercitato  la  propria  discrezionalita',  prevedendo  solo  in  via
eccezionale l'irripetibilita' per specifiche categorie di  erogazioni
previdenziali, a latere del principio generale di ripetibilita' delle
prestazioni indebite, sancito dall'art. 2033 cod. civ. 
    L'INPS ha concluso, pertanto,  nel  senso  della  non  fondatezza
delle questioni sollevate. 
    1.4.- Con memoria integrativa  depositata  il  7  novembre  2022,
l'Avvocatura dello Stato ha ribadito il mancato accertamento da parte
del giudice a quo dei requisiti costitutivi del legittimo affidamento
e ha sottolineato come il rimettente, diversamente da  quanto  emerge
dalla  giurisprudenza  della  Corte  EDU,  avrebbe  omesso  di   dare
rilevanza, ai fini della deroga all'art. 2033 cod. civ., alla  «grave
situazione   personale   (di   salute   ed    economico-patrimoniale)
dell'interessato». 
    Pertanto,  la  difesa  statale  ha  ritenuto  che   non   sarebbe
configurabile «una fattispecie  riconducibile  alla  casistica  della
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  evocata  nell'ordinanza   di
rimessione» e che il rimettente non avrebbe verificato  il  carattere
sproporzionato del sacrificio imposto. 
    Il medesimo argomento e' stato, inoltre, riproposto  anche  sotto
il profilo del merito. 
    Viene, infatti, evidenziato come, secondo la prospettiva  accolta
dalla Corte EDU, in mancanza  di  un  accertamento  sulla  condizione
personale  dell'accipiens,  non  basterebbe   il   solo   affidamento
legittimo a «configurare,  ex  se,  una  situazione  di  sproporzione
dell'interferenza   dello   Stato   nel   diritto    di    proprieta'
dell'interessato, tale da riconoscergli una  tutela  che  si  traduca
nella conservazione del bene nella sua integralita'». 
    Inoltre, viene sottolineato come, in virtu' degli  artt.  1175  e
1375  cod.  civ.,   siano   disponibili   nell'ordinamento   italiano
correttivi che  incidono  sull'adempimento,  idonei  a  garantire  un
adeguato bilanciamento fra i  diversi  interessi  implicati,  sino  a
consentire in casi estremi una possibile inesigibilita' totale. 
    2.- Con ordinanza del 14 dicembre 2021, iscritta  al  n.  21  del
reg. ord. 2022, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo
in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod. civ., «nella parte in cui, in caso
di indebito retributivo erogato da un ente pubblico  e  di  legittimo
affidamento del dipendente pubblico percipiente  nella  definitivita'
dell'attribuzione,  consente  un'ingerenza  non   proporzionata   nel
diritto dell'individuo al rispetto dei suoi beni». 
    2.1.- La Corte rimettente riferisce che  L.  P.,  gia'  dirigente
comunale del Comune di Campi Bisenzio, ha agito in  giudizio  dinanzi
al Tribunale ordinario di Firenze per sentir dichiarare  irripetibile
la somma a lei  corrisposta  dal  Comune  negli  anni  2001-2003  per
retribuzione di posizione, pari a euro 49.203,03. 
    La domanda, rigettata in primo grado,  era  stata  accolta  dalla
Corte d'appello di Firenze con  sentenza  del  25  febbraio  2015.  A
parere del giudice di secondo grado, la nullita' della contrattazione
decentrata  che,  in  deroga  alla  contrattazione  nazionale,  aveva
aumentato la retribuzione  di  posizione,  erogata  in  favore  della
lavoratrice,  sarebbe  stata  sanata  dall'entrata  in   vigore   del
decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di
finanza locale, nonche' misure volte a garantire la funzionalita' dei
servizi  svolti  nelle  istituzioni  scolastiche),  convertito,   con
modificazioni, nella legge 2 maggio 2014, n. 68. 
    Avverso la citata sentenza d'appello, il Comune di Campi Bisenzio
ha proposto ricorso per  cassazione,  articolato  in  sei  motivi  di
censura, cui ha resistito L. P. con controricorso,  contenente  anche
ricorso incidentale. 
    2.2.- Le motivazioni svolte dalla Corte di cassazione  in  merito
alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza delle  questioni  di
legittimita' costituzionale sollevate si  dipanano  a  partire  dalla
fondatezza del primo motivo di ricorso principale e del quarto motivo
di ricorso incidentale. 
    Innanzitutto, la Corte di cassazione condivide la  doglianza  del
Comune ricorrente, con la quale viene contestata, in  linea  con  una
costante  giurisprudenza  di  legittimita',  l'applicabilita'   della
sanatoria prevista dal d.l. n. 16 del  2014,  come  convertito,  agli
atti di costituzione e  di  utilizzo  dei  fondi  adottati  in  epoca
antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo 27  ottobre
2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in  materia
di ottimizzazione  della  produttivita'  del  lavoro  pubblico  e  di
efficienza  e  trasparenza  delle  pubbliche  amministrazioni).   Non
potendo, dunque,  operare  la  sanatoria  dell'atto  invalido,  viene
riconosciuto il diritto dell'amministrazione comunale a  ripetere  le
somme versate in esecuzione del  contratto  integrativo  parzialmente
nullo. 
    Di seguito, proprio la  fondatezza  di  tale  prima  censura  del
Comune giustifica, ad avviso  della  Corte  rimettente,  l'esame  del
quarto motivo del ricorso incidentale,  con  il  quale  L.  P.  aveva
chiesto, ove fosse accertata la nullita' del contratto, di negare  il
diritto alla ripetizione dell'indebito a tutela «dell'affidamento del
lavoratore che, in buona fede, [avesse] ricevuto dal datore di lavoro
pubblico retribuzioni non dovute». 
    La Corte di cassazione, da un lato,  riconosce  che  al  recupero
delle prestazioni retributive indebite si applica  l'art.  2033  cod.
civ., ma, da un altro lato, ammette l'esigenza di tenere conto  della
sentenza della Corte EDU 11 febbraio 2021, Casarin contro Italia. Con
tale pronuncia, la Corte EDU ha accertato la violazione  dell'art.  1
Prot. addiz. CEDU, a fronte proprio di una  fattispecie  nella  quale
una dipendente pubblica aveva dovuto restituire al datore di  lavoro,
ex art. 2033 cod. civ., le retribuzioni indebite percepite  a  titolo
di assegno ad personam. 
    La  Corte  rimettente  ritiene,  in   particolare,   che,   nella
controversia sottoposta al suo esame, «ricorr[a]no tutti  gli  indici
valorizzati nella sentenza della Corte  EDU  dell'1l  febbraio  2021,
tanto in relazione all'esistenza di un legittimo  affidamento  -  nel
senso autonomo della Convenzione - quanto  [in  relazione]  al  venir
meno del giusto equilibrio tra le  esigenze  dell'interesse  pubblico
generale e il diritto dell'individuo al rispetto dei suoi beni». 
    Di  conseguenza,   dopo   aver   ripercorso   la   giurisprudenza
convenzionale in argomento, constatandone l'univocita', e  dopo  aver
infruttuosamente   tentato    un'interpretazione    convenzionalmente
orientata dell'art.  2033  cod.  civ.,  la  Corte  di  cassazione  ha
motivato  la  non   manifesta   infondatezza   delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  sollevate,  adducendo  l'esigenza   che
l'ordinamento nazionale si conformi alle previsioni dell'art. 1 Prot.
addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte EDU. 
    2.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 4 aprile 2022. 
    La  difesa  dello  Stato   ha   eccepito   in   via   preliminare
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di  motivazione  sulla
rilevanza. 
    Secondo l'Avvocatura dello Stato, l'ordinanza di  rimessione  non
avrebbe verificato quale sia  l'attuale  posizione  reddituale  della
lavoratrice ricorrente,  ne'  l'incidenza  dell'obbligo  restitutorio
(eventualmente rateizzato) su detta posizione  reddituale.  Cio'  non
consentirebbe di verificare appieno  «la  sussistenza  del  requisito
della rilevanza della questione sollevata, essendo possibile  che  la
fattispecie non rientri nella casistica elaborata dalla Corte europea
dei diritti dell'uomo, potendo superare il test  di  proporzionalita'
come elaborato da quest'ultima». 
    Nel merito, la difesa dello Stato ha eccepito la  non  fondatezza
delle questioni sulla base di argomenti del tutto similari  a  quelli
prospettati  nella  difesa  relativa  alle  questioni  sollevate  con
l'ordinanza di rimessione iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022. 
    2.4.- Il Comune di Campi Bisenzio, parte del giudizio a  quo,  si
e' costituito in giudizio con  atto  depositato  il  18  marzo  2022,
sostenendo,   con   lo   stesso   tipo   di   argomentazione,   tanto
l'inammissibilita' quanto la non fondatezza delle questioni. 
    Dopo aver ricordato il valore  «sub-costituzionale»  delle  norme
convenzionali e delle relative interpretazioni della  Corte  EDU,  il
Comune di Campi Bisenzio ha rilevato la non conformita'  ai  principi
costituzionali dell'interpretazione offerta  dalla  sentenza  Casarin
all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. Simile  ricostruzione  si  porrebbe  in
contrasto con il «principio  fondamentale  dell'ordinamento,  per  il
quale (nei limiti  della  prescrizione)  ogni  indebito  deve  sempre
essere ripetibile in favore di chi abbia effettuato il pagamento  non
dovuto».  In  particolare,  l'applicazione  della  regola  consacrata
nell'art. 2033 cod. civ. agli indebiti spettanti a soggetti  pubblici
si collegherebbe ai «principi dettati in materia di finanza pubblica,
buon andamento e gestione del pubblico denaro, di cui agli artt.  81,
97 e 119 Cost.» e tollererebbe deroghe solo in via eccezionale, sulla
base  di  norme  puntuali  che  attengono  alla   specifica   materia
dell'indebito  pensionistico  e  assistenziale,  grazie  al   rilievo
costituzionale  riconosciuto  dall'art.  38   Cost.   alle   relative
prestazioni. 
    Al contempo, la difesa  comunale  segnala  che  gia'  attualmente
l'art. 2033 cod. civ. sarebbe interpretato  dal  diritto  vivente  in
maniera da tutelare la buona fede dell'accipiens e  in  modo  da  non
incidere significativamente sulle esigenze di vita del debitore. 
    Infine, secondo  il  Comune,  la  vicenda  oggetto  del  presente
giudizio sarebbe diversa da quella che aveva  portato  alla  sentenza
Casarin della Corte EDU. Difetterebbero, infatti, la gran  parte  dei
presupposti ivi indicati, quali condizioni per escludere il  recupero
delle somme indebitamente versate. 
    2.5.- Con atto depositato il 23 marzo 2022, si e'  costituita  in
giudizio anche L. P., parte del giudizio a quo, che ha  aderito  alle
argomentazioni  formulate  dalla  Corte  rimettente  e  ha  confidato
nell'accoglimento delle questioni di legittimita' costituzionale. 
    In data 20 ottobre  2022,  L.  P.  ha,  inoltre,  depositato  una
memoria integrativa, con la quale ha inteso  confutare  le  eccezioni
d'inammissibilita' e  di  non  fondatezza  sollevate  dall'Avvocatura
generale dello  Stato  e  dal  Comune  di  Campi  Bisenzio,  per  poi
concludere nuovamente in senso adesivo all'ordinanza di rimessione. 
    In via gradata, L. P. ha chiesto che questa Corte, ove  ritenesse
erronea la ricostruzione del quadro  normativo  offerta  dal  giudice
remittente, adotti, «in luogo di una statuizione di inammissibilita',
piuttosto una statuizione  interpretativa  di  rigetto  motivata  sul
punto con la applicabilita' dell'art. 4 comma 3° D.L. n. 16/2014 alla
contrattazione collettiva anteriore alla entrata  in  vigore  del  D.
Legisl. n. 150/2009». 
    2.6.- Con memoria depositata il  7  novembre  2022,  l'Avvocatura
generale dello Stato ha eccepito l'irrilevanza delle questioni,  «non
configurandosi una fattispecie  riconducibile  alla  casistica  della
Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  evocata  nell'ordinanza   di
rimessione» sia sotto il profilo della  sussistenza  dell'affidamento
(posto che la beneficiaria non potrebbe dirsi in  buona  fede,  vista
l'entita' dell'incremento percepito) sia per il mancato  accertamento
del carattere sproporzionato del sacrificio  imposto.  Non  sarebbero
state,  dunque,  considerate  le  condizioni  di  salute   e   quelle
economico-patrimoniali dell'accipiens,  ne'  sarebbe  stata  valutata
l'incidenza   dell'obbligo   restitutorio   sulla   possibilita'   di
soddisfare i propri bisogni primari, tanto piu' stante  la  probabile
mancata richiesta di rateizzazione o di differimento del pagamento da
parte della lavoratrice. 
    Nel merito, la difesa dello Stato ha  ribadito  quanto  sostenuto
nell'atto di intervento e ha utilizzato i  medesimi  argomenti  spesi
nella memoria depositata nel  giudizio  originato  dall'ordinanza  di
rimessione iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022. 
    3.- Con ordinanza del 25 febbraio 2022, iscritta  al  n.  29  del
reg. ord. 2022, il Tribunale di Lecce, sezione lavoro, ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo
in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod. civ.,  «nella  parte  in  cui  non
prevede, per i dipendenti pubblici, l'irripetibilita' degli  indebiti
retributivi laddove le somme siano state percepite in buona fede e la
condotta dell'Amministrazione datrice di lavoro abbia ingenerato [un]
legittimo affidamento del percettore circa la spettanza  della  somma
percepita». 
    3.1.- Il rimettente riferisce che M. O. ha convenuto in  giudizio
l'Agenzia delle entrate, nella qualita' di datrice di lavoro, nonche'
il Ministero dell'economia e delle finanze, per sentir  accertare  la
non spettanza della somma di euro 17.492,17, che l'Agenzia, con  nota
del 27 agosto 2021, aveva richiesto a titolo di indebita fruizione di
permessi concessi ai sensi  della  legge  5  febbraio  1992,  n.  104
(Legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale  e  i  diritti
delle persone handicappate). 
    A sostegno della propria pretesa, il ricorrente  nel  giudizio  a
quo ha segnalato di aver sempre usufruito in buona fede dei permessi,
avendo regolarmente presentato le relative istanze,  corredate  della
documentazione richiesta, senza mai ricevere alcuna contestazione  da
parte dell'amministrazione. 
    Tali  circostanze  darebbero  fondamento  alla  sua  pretesa   di
considerare irripetibile l'indebito. 
    3.2.- Il giudice a quo sostiene che, in  base  a  un  consolidato
orientamento della giurisprudenza di  legittimita',  ove  si  accerti
che, in materia di pubblico impiego  privatizzato,  l'amministrazione
abbia  versato  retribuzioni  sine   titulo,   sarebbe   ammessa   la
ripetizione dell'indebito in applicazione della  disciplina  generale
di cui all'art. 2033 cod. civ. In particolare, la condictio  indebiti
non  risulterebbe  esclusa  neppure  in   ipotesi   di   buona   fede
dell'accipiens, atteso che, secondo il citato art. 2033 cod. civ., la
buona fede soggettiva rileverebbe solo ai fini della restituzione dei
frutti e degli interessi. 
    Nondimeno,  ad  avviso  del  rimettente,  la   disciplina   sopra
richiamata si porrebbe in contrasto con l'art. 1 Prot.  addiz.  CEDU,
cosi' come interpretato dalla Corte  EDU,  e  dunque  violerebbe  gli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost. 
    Il Tribunale di Lecce sottolinea  come  la  giurisprudenza  della
Corte EDU estenda la  protezione  garantita  dal  citato  art.  1  al
legittimo affidamento nella spettanza di erogazioni  effettuate,  «in
materia sia lavoristica sia previdenziale», da  soggetti  pubblici  a
favore di persone fisiche, le quali, a fronte di  successive  istanze
restitutorie, avrebbero, se in buona fede, diritto  a  trattenere  le
somme ricevute. 
    Secondo il rimettente, nel caso  di  specie,  sarebbero  presenti
tutti gli indici individuati  dalla  giurisprudenza  convenzionale  a
fondamento del legittimo affidamento: l'accipiens avrebbe fruito  dei
benefici a seguito di domanda accolta  dall'amministrazione;  non  vi
sarebbe alcuna manifesta insussistenza del titolo; il ricorrente  non
avrebbe mai taciuto alcuna informazione all'ente datore di lavoro; il
ricorrente avrebbe fruito dei benefici per un lungo periodo di tempo;
non sarebbero ravvisabili  errori  di  calcolo  o  errori  materiali;
l'amministrazione  non  avrebbe  formulato  clausole  di  riserva  di
ripetizione all'atto della concessione dei permessi. 
    Su tali basi, il Tribunale di Lecce sollecita l'adozione  di  una
sentenza  additiva,  che  dichiari  l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 2033 cod. civ. nei termini sopra enunciati. 
    3.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio con atto depositato il 25 aprile 2022. 
    La  difesa  dello  Stato  ha  eccepito,   in   via   preliminare,
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di rilevanza.  Secondo
l'Avvocatura,  il  Tribunale  di  Lecce  si  sarebbe   riservato   di
accertare, solo all'esito dell'intervento additivo di  questa  Corte,
la sussistenza in fatto degli  elementi  dimostrativi  del  legittimo
affidamento dell'attore, con  conseguente  irrimediabile  irrilevanza
delle questioni. 
    Del resto, secondo l'Avvocatura, un  effettivo  accertamento  dei
suddetti elementi avrebbe indotto il rimettente a dover constatare la
loro insussistenza, cio'  che  paleserebbe  l'inutilita'  e,  dunque,
l'irrilevanza di un'eventuale sentenza di accoglimento nel giudizio a
quo. 
    Nel merito, la difesa dello Stato ha sostenuto la non  fondatezza
delle  questioni  di  legittimita'  costituzionale,  sulla  base   di
argomenti del tutto similari a quelli  spesi  nella  difesa  relativa
alle questioni sollevate con le ordinanze di rimessione  iscritte  al
n. 9 e n. 21 del reg. ord. 2022. 
    3.4.- Di seguito, in data 7  novembre  2022,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha depositato una memoria  integrativa,  nella
quale ha  eccepito  l'irrilevanza  delle  questioni  di  legittimita'
costituzionale «non configurandosi una fattispecie riconducibile alla
casistica  della  Corte  europea  dei   diritti   dell'uomo   evocata
nell'ordinanza di rimessione». In particolare, il giudice a  quo  non
avrebbe accertato il carattere sproporzionato del sacrificio imposto,
non avendo preso in considerazione la «grave situazione personale (di
salute ed economico-patrimoniale) dell'interessato». 
    Nel merito, la difesa dello Stato ha  ribadito  quanto  sostenuto
nell'atto di intervento. 
    4.- Nell'udienza del 29  novembre  2022  le  parti  costituite  e
l'Avvocatura generale dello Stato hanno insistito per  l'accoglimento
delle conclusioni rassegnate nei rispettivi scritti difensivi. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 21 gennaio 2022, iscritta al n. 9 del  reg.
ord. 2022, il  Tribunale  ordinario  di  Lecce,  sezione  lavoro,  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 11 e 117,  primo  comma,  Cost.,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2033 cod. civ., «nella parte in
cui non prevede  l'irripetibilita'  dell'indebito  previdenziale  non
pensionistico (indennita' di  disoccupazione,  nel  caso  di  specie)
laddove le somme siano state percepite in buona fede  e  la  condotta
dell'ente erogatore abbia ingenerato [un] legittimo  affidamento  del
percettore circa la spettanza della somma percepita». 
    Il rimettente riferisce che P.  D.R.  ha  convenuto  in  giudizio
l'INPS  per  sentir  accertare  l'irripetibilita'  della  prestazione
ricevuta a titolo di indennita' di  disoccupazione,  in  ragione  del
legittimo  affidamento  ingenerato  dall'ente   pubblico   circa   la
spettanza della somma, che, oltretutto, sarebbe  stata  destinata  al
soddisfacimento di esigenze alimentari. 
    1.1.-  Secondo  il  giudice  a   quo,   al   caso   dell'indebito
previdenziale non pensionistico, cui sarebbe ascrivibile l'indennita'
di  disoccupazione,  si  applica   l'art.   2033   cod.   civ.,   che
comporterebbe il rigetto della pretesa del ricorrente. 
    Nondimeno, a giudizio del rimettente, in presenza di un legittimo
affidamento riposto da una persona  fisica  nella  spettanza  di  una
prestazione, quale l'indennita'  di  disoccupazione,  erogata  da  un
soggetto pubblico, la pretesa restitutoria violerebbe gli artt. 11  e
117, primo comma, Cost., in  quanto  si  porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 1 Prot. addiz. CEDU, come interpretato dalla Corte EDU. 
    Su tali basi, il rimettente sollecita questa  Corte  all'adozione
di   una   sentenza   additiva,   che    dichiari    l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod.  civ.  nei  termini  enunciati  in
apertura. 
    1.2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e si e' costituito l'INPS, parte del processo a quo.  Entrambi
hanno  eccepito  sia  l'inammissibilita'  delle  questioni  sia,  nel
merito, la loro non fondatezza. 
    2.- Con ordinanza del 14 dicembre 2021, iscritta  al  n.  21  del
reg. ord. 2022, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo
in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod. civ., «nella parte in cui, in caso
di indebito retributivo erogato da un ente pubblico  e  di  legittimo
affidamento del dipendente pubblico percipiente  nella  definitivita'
dell'attribuzione,  consente  un'ingerenza  non   proporzionata   nel
diritto dell'individuo al rispetto dei suoi beni». 
    2.1.- La Corte  rimettente  riferisce  che  L.  P.  ha  agito  in
giudizio dinanzi  al  Tribunale  di  Firenze  per  sentir  dichiarare
irripetibile la somma di euro 49.203,03, che le era stata corrisposta
a titolo di retribuzione di posizione. 
    La Corte  di  cassazione  ritiene  che  la  pretesa  restitutoria
contrasti con quanto statuito dalla sentenza della Corte EDU  Casarin
proprio con riferimento all'indebito retributivo. Di conseguenza,  il
giudice a quo ravvisa una violazione dell'art. 1 Prot.  addiz.  CEDU,
come interpretato dalla Corte EDU, e di riflesso un vulnus agli artt.
11 e 117, primo comma, Cost. 
    2.2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e si e' costituito il Comune  di  Campi  Bisenzio,  parte  del
processo a quo.  Entrambi  hanno  eccepito  l'inammissibilita'  delle
questioni e comunque la loro non fondatezza. 
    Parimenti si e' costituita in giudizio L. P., parte in  quello  a
quo,  che  ha  aderito  alle  argomentazioni  formulate  dalla  Corte
rimettente e ha  insistito  per  l'accoglimento  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale. 
    3.- Con ordinanza del 25 febbraio 2022, iscritta  al  n.  29  del
reg. ord. 2022, il Tribunale di Lecce, sezione lavoro, ha  sollevato,
in riferimento agli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.,  quest'ultimo
in relazione all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod. civ.,  «nella  parte  in  cui  non
prevede, per i dipendenti pubblici, l'irripetibilita' degli  indebiti
retributivi laddove le somme siano state percepite in buona fede e la
condotta dell'Amministrazione datrice di lavoro abbia ingenerato [un]
legittimo affidamento del percettore circa la spettanza  della  somma
percepita». 
    3.1.- Il rimettente riferisce che M. O. ha convenuto in  giudizio
l'Agenzia delle entrate, nella qualita' di datrice di lavoro, nonche'
il Ministero dell'economia e delle finanze, per sentir  accertare  la
non spettanza della somma di  euro  17.492,17,  che  l'Agenzia  aveva
richiesto a titolo di indebita  fruizione  di  permessi  concessi  ai
sensi della legge n. 104 del 1992. 
    Il giudice a quo, dopo aver  qualificato  tali  prestazioni  come
retribuzioni sine titulo erogate da  un  soggetto  pubblico,  ritiene
che, in presenza di un legittimo affidamento riposto da  una  persona
fisica nella loro spettanza, la pretesa restitutoria violi gli  artt.
11 e 117, primo comma,  Cost.,  ponendosi  in  contrasto  con  quanto
prescritto dall'art. 1 Prot. addiz.  CEDU,  come  interpretato  dalla
Corte EDU. 
    Per tali ragioni, il Tribunale di Lecce sollecita  l'adozione  di
una sentenza additiva, che dichiari  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 2033 cod. civ. nei termini sopra richiamati. 
    3.2.- Nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, che  ha  eccepito  tanto  l'inammissibilita'  delle  questioni
quanto la loro non fondatezza. 
    4.- Le questioni di legittimita' costituzionale  sollevate  dalle
tre ordinanze di rimessione, in quanto sostanzialmente  analoghe,  si
prestano  a  una  trattazione  congiunta  mediante  la  riunione  dei
giudizi. 
    5.-   Prima   di   procedere   all'esame   delle   eccezioni   di
inammissibilita' sollevate, occorre rilevare d'ufficio sia  un  vizio
nel rito, che colpisce l'intera ordinanza di rimessione  iscritta  al
n. 29 del reg. ord. 2022, sia un'ulteriore causa di  inammissibilita'
che riguarda, nei restanti giudizi, la censura riferita  all'art.  11
Cost. 
    5.1.- Sotto il primo profilo, il Tribunale  di  Lecce  riferisce,
con la  citata  ordinanza,  che  le  somme  richieste  al  lavoratore
attengono all'indebita fruizione dei permessi previsti dalla legge n.
104 del 1992. In particolare, sostiene «che - nel pubblico impiego  -
la retribuzione dei permessi ex l. 104/92 non prevede  il  meccanismo
di conguaglio con l'ente previdenziale (cfr. anche Cass. 20684/2016).
Trattasi di somme a carico del datore di lavoro e come tali  soggette
all'art. 2033 cc in ipotesi di indebita percezione delle stesse». 
    Su tali presupposti, il rimettente qualifica la prestazione  come
retributiva  e  solleva  questioni  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 2033 cod. civ., nella parte in cui considera ripetibili nei
confronti dei dipendenti pubblici proprio gli  indebiti  retributivi,
in presenza delle condizioni evidenziate dalla  giurisprudenza  della
Corte EDU, nell'interpretazione da essa  fornita  dell'art.  1  Prot.
addiz. CEDU. 
    Sennonche' e' ben vero che l'art. 33, comma 3, della legge n. 104
del 1992 stabilisce  che  «[i]l  lavoratore  dipendente,  pubblico  o
privato, ha diritto a  fruire  di  tre  giorni  di  permesso  mensile
retribuito coperto da  contribuzione  figurativa,  anche  in  maniera
continuativa, per assistere una persona con disabilita' in situazione
di  gravita'».  Tuttavia,  il  successivo  comma  4,  nelle   diverse
formulazioni che si sono  susseguite  nel  tempo,  specifica  che  ai
permessi previsti dai  commi  precedenti  si  applicano  -  quanto  a
trattamento economico, normativo e previdenziale  -  le  disposizioni
dettate in materia di tutela dei genitori lavoratori. In particolare,
per effetto delle modifiche apportate al citato comma 4 dall'art.  3,
comma 1, lettera b), numero 3), del  decreto  legislativo  30  giugno
2022, n. 105, recante «Attuazione della direttiva (UE) 2019/1158  del
Parlamento europeo e del Consiglio,  del  20  giugno  2019,  relativa
all'equilibrio tra attivita' professionale e  vita  familiare  per  i
genitori e i prestatori di  assistenza  e  che  abroga  la  direttiva
2010/18/UE del Consiglio», viene operato un rinvio agli artt. 43,  44
e 56 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 (Testo unico delle
disposizioni legislative  in  materia  di  tutela  e  sostegno  della
maternita' e della paternita', a norma dell'articolo 15 della legge 8
marzo 2000, n. 53). 
    Tale disciplina, con i relativi rimandi e con  la  qualificazione
come indennita' delle remunerazioni attribuite per i  permessi  (art.
43 del d.lgs. n. 151 del 2001), palesa che le  relative  prestazioni,
al pari di altre erogazioni disciplinate dal d.lgs. n. 151 del  2001,
hanno natura previdenziale non pensionistica, e sono parametrate  si'
alla retribuzione, ma a questa non possono sic et simpliciter  essere
equiparate, data la loro funzione di assicurare un sostegno economico
al lavoratore che versi in stato di  bisogno  per  la  condizione  di
disabilita'  grave,  propria  o  di  un  suo  familiare   (Corte   di
cassazione, sezione lavoro, sentenza 19 aprile 2021, n. 10274).  Ne',
del resto, tale funzione muta per i dipendenti pubblici, visto quanto
dispone l'art. 2, comma 2, del citato d.lgs. n. 151 del 2001. 
    Ebbene, il rimettente non si confronta con  l'assetto  normativo,
sopra  richiamato,  e  prospetta   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale con specifico riferimento  agli  indebiti  retributivi
dei pubblici dipendenti, sull'erroneo  presupposto  che  la  funzione
delle somme versate  a  titolo  di  remunerazione  dei  permessi  sia
retributiva,  mentre  si  tratta  di  prestazioni  previdenziali  non
pensionistiche. 
    Ne consegue  l'inammissibilita'  delle  questioni  sollevate  per
errore  sul  presupposto  interpretativo  che  si   riverbera   sulla
rilevanza (ex plurimis, sentenze n. 84 del 2022, n. 170 del 2021,  n.
228 del 2020 e n. 224 del 2018). 
    5.2.-  Ancora  in  via  preliminare,  devono  essere   dichiarate
d'ufficio inammissibili le questioni di  legittimita'  costituzionale
promosse con le ordinanze di rimessione iscritte al n. 9 e n. 21  del
reg. ord. 2022, in riferimento all'art. 11 Cost. 
    Secondo un orientamento costante di questa Corte, in presenza  di
censure che lamentino la violazione di disposizioni della CEDU,  come
interpretate dalla Corte EDU,  il  paramento  costituzionale  di  cui
all'art. 11 Cost. e' inconferente, «non  essendo  individuabile,  con
riferimento  alle  specifiche  norme   convenzionali   CEDU,   alcuna
limitazione della sovranita' nazionale (sentenze n. 210 del 2013,  n.
80 del 2011, n. 349 e n. 348 del 2007)» (sentenza  n.  80  del  2019;
analogamente sentenza n. 121 del 2020). 
    6.- Passando ora a  esaminare  le  eccezioni  di  rito  sollevate
dall'Avvocatura dello Stato e dalle  parti  costituite  in  giudizio,
esse non sono fondate. 
    6.1.- Nel giudizio instaurato dal Tribunale di Lecce  (reg.  ord.
n.  9  del  2022),  l'Avvocatura  generale  dello   Stato   eccepisce
l'inammissibilita' per irrilevanza e in ogni  caso  per  implausibile
motivazione sulla rilevanza. 
    In particolare, secondo la difesa statale, il  Tribunale  avrebbe
dapprima attestato l'esistenza di un legittimo  affidamento  in  capo
all'accipiens, per  poi  riservarsi,  all'esito  della  pronuncia  di
questa Corte, di verificare le circostanze allegate  dall'attore.  In
ogni  caso,  a  detta  dell'Avvocatura,  gli   elementi   costitutivi
dell'affidamento legittimo sarebbero insussistenti, il che renderebbe
implausibile la motivazione sulla rilevanza. 
    In termini analoghi, anche l'INPS eccepisce che il rimettente non
avrebbe accertato tutti i presupposti richiesti dalla Corte  EDU  per
rinvenire un affidamento legittimo, richiamandosi, in particolare, al
«difetto di un errore di calcolo (se non addirittura materiale)». 
    Le eccezioni non sono fondate. 
    Per  tutti  i  presupposti  ritenuti  necessari  a  integrare  il
legittimo affidamento, sulla base delle  condizioni  richieste  dalla
Corte EDU, il Tribunale di Lecce  ribadisce  insistentemente  che  si
tratta di elementi provati nel giudizio. Ne' omette  di  argomentare,
sulla base della documentazione in atti, che l'erogazione in  eccesso
non possa ritenersi il mero frutto di un errore di calcolo  o  di  un
errore materiale. 
    Del resto, risulta  per  tabulas  che,  la'  dove  il  rimettente
afferma che «[t]rattasi di elementi tutti riscontrati in atti e che -
in caso di accoglimento del presente incidente di costituzionalita' -
dovrebbero  essere  valutati»,  la  precisazione  si  riferisce,  per
l'appunto,  non  all'accertamento  in  merito  alla  sussistenza  dei
presupposti, bensi' alla valutazione degli effetti giuridici  che  se
ne  dovrebbero  trarre  all'esito  del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale. 
    6.2.- Sempre in  merito  alla  rilevanza,  l'Avvocatura  generale
dello Stato solleva ulteriori eccezioni di rito che  sono  formulate,
in termini del tutto similari, con riferimento sia  all'ordinanza  di
rimessione iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022 sia a quella  iscritta
al n. 21 del medesimo anno. 
    Rispetto alla prima ordinanza, la difesa statale eccepisce che il
rimettente non avrebbe accertato «se e in quale  misura  il  recupero
delle somme da parte dell'Inps sia avvenuto e  abbia  determinato  un
sacrificio sproporzionato in capo al percettore».  Tale  circostanza,
desumibile   dalle    condizioni    di    salute    e    da    quelle
economico-patrimoniali    dell'accipiens,     mentre     risulterebbe
determinante nella sentenza Casarin, non  sarebbe  stata,  viceversa,
neppure allegata nel giudizio a quo. 
    In termini  analoghi,  in  riferimento  alla  seconda  ordinanza,
sempre la difesa statale eccepisce  che  il  giudice  rimettente  non
avrebbe effettuato gli accertamenti idonei a comprovare il  carattere
sproporzionato del sacrificio per l'accipiens: nello  specifico,  non
vi sarebbe stata alcuna attestazione circa la posizione reddituale  e
patrimoniale  attuale  della   lavoratrice   ricorrente   ne'   circa
l'incidenza dell'obbligo restitutorio (eventualmente  rateizzato)  su
detta condizione socio-economica. 
    Anche tali eccezioni non sono fondate. 
    Nell'ordinanza di rimessione iscritta al n. 9 del reg. ord.  2022
il  rimettente  basa  la  sua   argomentazione   sull'interpretazione
dell'art. 1 Prot. addiz. CEDU offerta dalla Corte EDU (nelle sentenze
Casarin, nonche' 12 dicembre 2019, Romeva contro Macedonia del  Nord;
26 aprile 2018, Cakarević contro Croazia e 15 settembre 2009,  Moskal
contro Polonia), ritenendo implicito nei presupposti  che  le  citate
pronunce pongono a fondamento dell'affidamento legittimo l'«ingerenza
[...] sproporzionata» nella sfera  di  chi  abbia  dovuto  «sostenere
l'onere dell'errore commesso dall'amministrazione». Al  contempo,  il
giudice a quo non manca di sottolineare la specificita'  del  settore
della  sicurezza   sociale,   lasciando   intendere   che   l'obbligo
restitutorio incida sulla condizione del percettore di una indennita'
di disoccupazione. 
    Tali motivazioni superano il  vaglio  meramente  esterno  di  non
implausibilita', che, per costante giurisprudenza  di  questa  Corte,
costituisce l'oggetto  della  sua  valutazione  in  ordine  sia  alla
ricostruzione  degli  elementi  di   fatto,   fornita   dal   giudice
rimettente,  sia  all'interpretazione   delle   norme   di   diritto,
applicabili al giudizio a quo (ex plurimis, sentenze n. 88  e  n.  79
del 2022, n. 259 del 2021). 
    Quanto, poi, all'argomentazione  fornita,  sempre  in  merito  al
carattere  sproporzionato  del  sacrificio  richiesto  all'accipiens,
nell'ordinanza iscritta al n. 21 del reg.  ord.  2022,  essa,  a  ben
vedere, si dimostra senz'altro plausibile, posto  che  il  rimettente
dedica a tale profilo una specifica e puntuale  motivazione,  in  cui
illustra attentamente la  condizione  personale  e  patrimoniale  del
percettore. 
    6.3.- Da ultimo, il Comune di Campi Bisenzio  eccepisce  rispetto
all'ordinanza iscritta al n. 21 del reg. ord. 2022, a titolo  sia  di
inammissibilita'  sia  di  non  fondatezza,  la  non  conformita'  ai
principi costituzionali dell'interpretazione offerta  dalla  sentenza
Casarin all'art. 1 Prot. addiz. CEDU. 
    Anche questa eccezione non e' fondata. 
    Il giudice rimettente argomenta nel senso che  la  giurisprudenza
della Corte EDU si preoccupa di bilanciare i  contrapposti  interessi
dell'ente pubblico e del privato  accipiens  e  ritiene  che  analogo
bilanciamento debba essere introdotto  nell'ordinamento  interno.  In
tal modo, implicitamente esclude quanto, viceversa, assume il  Comune
di Campi Bisenzio, vale a dire che il punto di equilibrio individuato
dalla Corte EDU sia lesivo di principi costituzionali. 
    Non si ravvisa, pertanto, un difetto di motivazione e  semmai  e'
sotto il profilo del merito che l'eccezione puo' rilevare. 
    7.- Nel merito, le questioni non sono fondate. 
    8.- In via preliminare, occorre  ripercorrere  la  giurisprudenza
della Corte  EDU  che,  nell'ambito  della  ripetizione  di  indebiti
retributivi e previdenziali erogati da  soggetti  pubblici,  ha  dato
corpo all'interpretazione dell'art. 1  Prot.  addiz.  CEDU,  invocato
dalle  ordinanze  in  esame  quale  parametro  interposto,  volto   a
specificare la violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    Secondo la citata  disposizione  convenzionale,  «[o]gni  persona
fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e  la  Corte
EDU, valorizzando proprio la nozione di  bene,  ha  ascritto  a  tale
paradigma   la   tutela   dell'affidamento   legittimo   («legitimate
expectation»), situazione soggettiva dai contorni piu' netti  di  una
semplice speranza o aspettativa di mero fatto («hope»). 
    In particolare, in una pluralita' di  casi  -  tra  cui  le  gia'
citate sentenze Casarin, Romeva, Cakarević  e  Moskal  -  concernenti
indebiti retributivi e previdenziali erogati da soggetti pubblici, la
Corte EDU ha specificato i presupposti che consentono di identificare
un affidamento legittimo in capo al percettore della prestazione, che
sia persona fisica, e ha individuato le condizioni che  tramutano  la
condictio indebiti in un'interferenza sproporzionata nei confronti di
tale affidamento. 
    La  Corte  EDU  ha   individuato   quali   elementi   costitutivi
dell'affidamento legittimo: l'erogazione di una prestazione a seguito
di una domanda presentata dal beneficiario che agisca in buona fede o
su   spontanea   iniziativa   delle   autorita';    la    provenienza
dell'attribuzione da parte di un ente pubblico,  sulla  base  di  una
decisione adottata all'esito  di  un  procedimento,  fondato  su  una
disposizione  di  legge,  regolamentare  o   contrattuale,   la   cui
applicazione  sia  percepita  dal  beneficiario  come   fonte   della
prestazione, individuabile anche nel suo importo; la mancanza di  una
attribuzione manifestamente priva di  titolo  o  basata  su  semplici
errori  materiali;  un'erogazione  effettuata  in  relazione  a   una
attivita' lavorativa ordinaria e non  a  una  prestazione  isolata  o
occasionale, per un periodo sufficientemente lungo da far nascere  la
ragionevole convinzione circa il carattere stabile e definitivo della
medesima; la  mancata  previsione  di  una  clausola  di  riserva  di
ripetizione. 
    L'identificazione di una situazione di legitimate expectation non
importa, nondimeno, per cio' solo l'intangibilita' della  prestazione
percepita dal privato. 
    La Corte EDU riconosce l'interesse generale sotteso all'azione di
ripetizione  dell'indebito  e,  in  genere,  riscontra  la  legalita'
dell'intervento,  che  solo  raramente  si  e'   dimostrata   carente
(sentenza 12  ottobre  2020,  Anželika  Šimaitienė  contro  Lituania,
paragrafo 115). 
    Le  censure  della  Corte  EDU  si   appuntano,   invece,   sulla
proporzionalita' dell'interferenza, in quanto sede del  bilanciamento
di interessi fra le esigenze sottese al  recupero  delle  prestazioni
indebitamente erogate e la tutela dell'affidamento incolpevole. 
    Nel compiere tale valutazione, la Corte EDU riconosce agli  Stati
contraenti un margine di apprezzamento ristretto,  onde  evitare  che
gravi sulla persona fisica un onere eccessivo  e  individuale,  avuto
riguardo al particolare contesto in cui si inquadra la vicenda (cosi'
Grande camera, sentenza 5 settembre  2017,  Fabian  contro  Ungheria,
paragrafo 65, e seconda sezione, sentenza 10 febbraio  2015,  Belane'
Nagy  contro  Ungheria,  paragrafo  166).  In  particolare,  fra   le
circostanze   che   influiscono    sul    carattere    sproporzionato
dell'interferenza  si   rinvengono   le   specifiche   modalita'   di
restituzione imposte al titolare dell'affidamento (ad esempio,  nella
sentenza  Cakarević,  l'addebito  di   interessi   legali   in   capo
all'accipiens, a dispetto dell'errore compiuto  dall'amministrazione,
paragrafi 86 e 87; o, nella sentenza Casarin,  la  rateizzazione  non
rapportata alle condizioni di  vita  dell'obbligato,  paragrafo  72);
piu' in generale, rilevano  l'omessa  o  l'inadeguata  considerazione
della  fragilita'  economico-sociale  o  di   salute   dell'obbligato
nell'esercizio  della  pretesa  restitutoria  (cosi'  nelle  sentenze
Casarin,  paragrafi  72  e  73;  Romeva,  paragrafo  75;   Cakarević,
paragrafi da 87 a 89, e Moskal, paragrafi 74 e 75); e, infine, ha una
sicura incidenza la mancata previsione di una responsabilita' in capo
all'ente cui sia addebitabile l'errore (sentenze  Casarin,  paragrafo
71, e Cakarević, paragrafo 80). 
    In definitiva,  la  giurisprudenza  della  Corte  EDU  offre  una
ricostruzione dell'art. 1 Prot. addiz.  CEDU  volta  a  stigmatizzare
interferenze  sproporzionate   rispetto   all'affidamento   legittimo
ingenerato dall'erogazione indebita da parte di soggetti pubblici  di
prestazioni di natura previdenziale,  pensionistica  e  non,  nonche'
retributiva. 
    9.- A fronte dell'interpretazione prospettata dalla Corte EDU  in
merito all'art. 1 Prot. addiz. CEDU, l'ordinamento nazionale  delinea
un quadro di tutele che, se adeguatamente  valorizzato,  supera  ogni
dubbio di possibile contrasto fra l'art. 2033 cod. civ. e l'art. 117,
primo comma, Cost., in relazione al  citato  parametro  convenzionale
interposto. 
    In particolare, rispetto alle tipologie di  prestazioni  indebite
contemplate   dalla   giurisprudenza   convenzionale,   l'ordinamento
italiano appronta un  complesso  apparato  di  rimedi,  che  opera  a
differenti livelli. 
    10.- Rispetto a specifiche  tipologie  di  prestazioni  indebite,
ricomprese fra quelle esaminate dalla giurisprudenza della Corte EDU,
ma invero differenti rispetto a quelle oggetto del presente giudizio,
il sistema  normativo  interno  esclude  tout  court  la  ripetizione
dell'indebito, offrendo una tutela particolarmente incisiva, che, per
completezza, e' opportuno brevemente richiamare. 
    10.1.- Si tratta,  innanzitutto,  di  prestazioni  previdenziali,
pensionistiche e assicurative, per le quali il  legislatore  italiano
dispone l'irripetibilita', con la sola eccezione dell'ipotesi in  cui
l'accipiens fosse consapevole di percepire  un  indebito  e,  dunque,
fosse in uno stato soggettivo di dolo (art. 52, comma 2, della  legge
9  marzo  1989,  n.  88,  recante   «Ristrutturazione   dell'Istituto
nazionale della previdenza  sociale  e  dell'Istituto  nazionale  per
l'assicurazione contro gli infortuni  sul  lavoro»,  come  modificato
dall'art.  13  della  legge  30  dicembre  1991,  n.   412,   recante
«Disposizioni  in  materia  di  finanza  pubblica»,  entro  i  limiti
applicativi dettati dalla sentenza di questa Corte n.  39  del  1993;
nonche' art. 55, comma 5, della stessa legge  n.  88  del  1989,  che
estende  la  disciplina   alle   prestazioni   non   dovute   erogate
dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni  sul
lavoro -  INAIL  -  in  caso  di  infortuni  sul  lavoro  e  malattie
professionali). 
    Analoga disciplina si desume, poi, da un complesso di  previsioni
concernenti prestazioni economiche di natura assistenziale (art.  37,
comma 8, della legge 23 dicembre 1998, n.  448,  recante  «Misure  di
finanza pubblica per la stabilizzazione e lo  sviluppo»;  art.  3-ter
del decreto-legge 23 dicembre 1976, n. 850, recante  «Norme  relative
al trattamento assistenziale dei  ciechi  civili  e  dei  sordomuti»,
convertito, con modificazioni, nella legge 21 febbraio 1977,  n.  29;
art. 3, comma 10, del decreto-legge 30 maggio 1988, n.  173,  recante
«Misure urgenti in materia di  finanza  pubblica  per  l'anno  1988»,
convertito, con modificazioni, nella legge 26 luglio 1988,  n.  291),
rispetto alle quali la giurisprudenza  di  legittimita',  richiamando
l'ordinanza n. 264 del 2004  di  questa  Corte,  ha  riconosciuto  la
sussistenza di «un principio di settore, [in  virtu'  del  quale]  la
regolamentazione della ripetizione dell'indebito  e'  tendenzialmente
sottratta a quella generale del codice civile» (Corte di  cassazione,
sezione sesta civile - lavoro, ordinanza 30 giugno 2020, n. 13223; si
vedano anche Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 9 novembre
2018, n. 28771 e 3 febbraio 2004, n. 1978). 
    Nei  casi  sopra  richiamati,  non  e'  richiesta  alcuna   prova
dell'affidamento,  sicche'  quest'ultimo,  piu'  che  rilevare  quale
interesse  protetto,   si   configura   -   unitamente   al   rilievo
costituzionale riconosciuto, ai sensi dell'art. 38 Cost., al tipo  di
prestazioni  erogate  -  quale  ratio  ispiratrice  di  fondo   della
disciplina, che si connota  in  termini  di  previsione  eccezionale,
frutto di una valutazione che questa Corte  ha  piu'  volte  ritenuto
rimessa alla discrezionalita' del legislatore (sentenze  n.  148  del
2017 e n. 431 del 1993). 
    10.2.-  Parimenti,  si  annovera  tra  le  tutele  specifiche   e
particolarmente incisive, che escludono la ripetizione dell'indebito,
la previsione  di  cui  all'art.  2126  cod.  civ.,  riferita  a  una
prestazione di natura retributiva. Il  fondamento  di  tale  speciale
disciplina si rinviene, questa volta, nella causa  dell'attribuzione,
costituita da una  attivita'  lavorativa  che  e'  stata,  di  fatto,
concretamente prestata, pur se si dimostra giuridicamente non dovuta.
La peculiare protezione di simile causa attributiva, che si  pone  in
termini   sinallagmatici   rispetto   alla   retribuzione   indebita,
giustifica, pertanto, sia la pretesa a  conseguire  il  corrispettivo
sia, qualora questo sia stato  gia'  erogato,  l'irripetibilita'  del
medesimo, a dispetto della nullita'  o  dell'annullamento  (totale  o
parziale) del contratto di  lavoro  e  persino  in  presenza  di  una
illiceita' dell'oggetto o della causa, ove siano state violate  norme
poste a tutela del lavoratore. 
    L'art. 2126 cod. civ. costituisce,  dunque,  un  presidio  contro
pretese restitutorie avanzate  dal  datore  di  lavoro,  compresa  la
pubblica  amministrazione  (Corte  di  cassazione,  sezione   lavoro,
ordinanze 5 novembre 2021, n. 32263 e 31 agosto 2018, n. 21523), ma a
condizione che l'indebito retributivo  corrisponda  a  una  specifica
prestazione, effettivamente eseguita (Corte  di  cassazione,  sezione
lavoro, ordinanza 23 novembre 2021, n. 36358). Per converso, la norma
non trova applicazione qualora la prestazione si configuri quale mero
aumento della retribuzione di posizione di un  incarico  dirigenziale
e, dunque, non si ponga  in  una  relazione  sinallagmatica  con  una
specifica prestazione lavorativa aggiuntiva, si' da comportare -  dal
punto di vista qualitativo, quantitativo e temporale - «il trasmodare
dell'incarico   originariamente   attribuito   in   una   prestazione
radicalmente diversa» (Cass. ordinanza n. 36358 del 2021). 
    11.- Al di fuori del raggio di  disposizioni  speciali  che,  nel
campo delle prestazioni retributive, previdenziali  e  assistenziali,
prevedono,     nell'ordinamento      italiano,      l'irripetibilita'
dell'attribuzione erogata, opera, viceversa, la  disciplina  generale
dell'indebito oggettivo, di cui all'art. 2033 cod. civ.,  secondo  la
quale: «[c]hi ha eseguito un  pagamento  non  dovuto  ha  diritto  di
ripetere cio' che ha pagato. Ha inoltre  diritto  ai  frutti  e  agli
interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala
fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda». 
    L'ampiezza  della  norma,  cui  si  ascrivono  anche  prestazioni
indebite  ricomprese  fra  quelle  esaminate  dalla  Corte  EDU,   ha
suscitato, dunque, i dubbi di legittimita' costituzionale. 
    Sia l'ordinanza di rimessione iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022
sia quella iscritta al n. 21 reg. ord. del medesimo  anno  ravvisano,
infatti, il gia' evocato vulnus all'art. 117, primo comma, Cost.,  in
relazione all'art. 1  Prot.  addiz.  CEDU,  come  interpretato  dalla
giurisprudenza convenzionale,  nell'applicazione  della  disposizione
generale sull'indebito  oggettivo  a  prestazioni  previdenziali  non
pensionistiche  e  a   prestazioni   retributive,   chiaramente   non
ascrivibili all'art. 2126 cod. civ. 
    Sennonche', a fronte dell'obbligo restitutorio, da  un  lato,  lo
stesso art. 2033 cod. civ. - come gia' emerge dalla sua  formulazione
testuale  -  prevede  che,  in  ipotesi  di  buona  fede   soggettiva
dell'accipiens, i frutti e gli interessi  vanno  corrisposti  solo  a
partire dalla domanda di restituzione, il  che  allontana  una  delle
possibili ragioni di sproporzione dell'interferenza  ravvisate  dalla
giurisprudenza  della  Corte  EDU  (in  particolare,  nella  sentenza
Cakarević, paragrafo 86). 
    Da un altro lato, e  soprattutto,  si  rinviene  nell'ordinamento
italiano  una  clausola  generale,  suscettibile  di  valorizzare  la
specificita' degli elementi posti  in  risalto  dalla  giurisprudenza
della Corte EDU a fondamento dell'affidamento legittimo,  cosi'  come
si ravvisa un apparato di tutele sufficiente a superare  ogni  dubbio
di possibile contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost. 
    12.- Il perno della disciplina  risiede,  in  particolare,  nella
clausola di buona fede oggettiva o correttezza, che,  per  un  verso,
plasma, attraverso l'art. 1175 cod. civ., l'attuazione  del  rapporto
obbligatorio e, dunque, condiziona - dando rilievo agli interessi  in
gioco e alle circostanze concrete  -  l'esecuzione  dell'obbligazione
restitutoria, che ha fonte nell'art. 2033  cod.  civ.  Per  un  altro
verso, e ab imis, la buona fede  oggettiva  da'  fondamento,  tramite
l'art. 1337 cod. civ., alla stessa possibilita'  di  identificare  un
affidamento legittimo, suscettibile  di  rinvenire  una  tutela,  sia
quale interesse che, ex fide bona, in base al citato art.  1175  cod.
civ., condiziona l'attuazione del rapporto  obbligatorio,  sia  quale
situazione  soggettiva  potenzialmente   meritevole   di   protezione
risarcitoria,  proprio   attraverso   la   disciplina   dell'illecito
precontrattuale. 
    12.1.- Rispetto a tali coordinate generali, e' doveroso, in primo
luogo, indagare le condizioni che consentono di dare rilevanza, nelle
fattispecie in esame, a un affidamento legittimo. 
    Il diritto vivente ha da tempo estrapolato  dall'art.  1337  cod.
civ., riferito alla tutela dell'affidamento rispetto alla conclusione
di un contratto o rispetto al perfezionamento  di  un  contratto  non
invalido ne' affetto da un vizio cosiddetto incompleto, un  possibile
modello generale  di  tutela  dell'affidamento  legittimo.  Nondimeno
questo - a seconda delle tipologie di conflitti - opera sulla base di
processi di specificazione e di  concretizzazione  giurisprudenziale.
Dalla citata norma, che valorizza tanto la relazione fra  i  soggetti
implicati quanto le circostanze concrete, la  giurisprudenza  ha,  di
volta in volta, ricavato,  nell'ambito  di  particolari  contesti,  i
presupposti che consentono di  ravvisare  affidamenti  meritevoli  di
tutela: ad esempio, quello alla legittimita' e alla correttezza di un
provvedimento emanato da una  pubblica  amministrazione  (ex  multis,
Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 15 gennaio  2021,
n. 615 e 13 maggio 2019, n. 12635), cosi' come l'affidamento riferito
alla esattezza e alla correttezza di informazioni fornite da soggetti
che spendono una particolare professionalita' (ex  multis,  Corte  di
cassazione, sezione prima civile, sentenza 9 dicembre 2019, n.  32026
e sezione terza civile, sentenza 28 febbraio 2012, n. 3003). 
    Ebbene, i casi esaminati dalla  giurisprudenza  della  Corte  EDU
danno, a ben vedere, risalto a un'ulteriore tipologia di  affidamento
legittimo, che riguarda la spettanza di una prestazione indebita:  un
tipo di affidamento per ravvisare il quale le  sentenze  della  Corte
EDU valorizzano  per  l'appunto  sia  la  relazione  fra  i  soggetti
implicati   sia   le   circostanze   concrete   che    caratterizzano
l'attribuzione indebita. 
    Deve allora ritenersi che proprio l'attitudine della  buona  fede
oggettiva a recepire processi di  concretizzazione  giurisprudenziale
consenta di ravvisare nell'art. 1337 cod. civ. la  cornice  giuridica
capace di valorizzare,  a  livello  nazionale,  presupposti  che,  in
effetti, corrispondono a  quelli  individuati  dalla  Corte  EDU  per
fondare il  riconoscimento  di  un  affidamento  legittimo  circa  la
spettanza di una prestazione indebita erogata. 
    In sostanza, gli elementi che possono rilevare ex  fide  bona  ai
fini dell'individuazione di un affidamento legittimo riposto  in  una
prestazione indebita erogata da un soggetto pubblico trovano,  a  ben
vedere, riscontro in quelli  di  cui  si  avvale  la  Corte  EDU  per
individuare una legitimate expectation. 
    Infatti, l'opera di specificazione effettuata dalla Corte EDU da'
rilievo, innanzitutto, alla relazione  fra  le  parti,  e  questo  e'
tipico anche dell'art. 1337 cod.  civ.  In  particolare,  non  vi  e'
dubbio  che,  per  ingenerare  un  legittimo   affidamento   in   una
prestazione indebita, non basti l'apparenza  di  un  titolo  posto  a
fondamento dell'attribuzione - titolo che deve comunque radicarsi  in
una disposizione di legge o di regolamento o in un  contratto  -,  ma
conta in primis il tipo di relazione fra solvens e accipiens.  Ed  e'
palese   che    un    soggetto    pubblico    facilmente    ingenera,
nell'accipiens-persona  fisica,  una  fiducia  circa   la   spettanza
dell'erogazione effettuata, non solo in ragione della sua  competenza
professionale, ma anche per il suo perseguire interessi generali.  In
ogni caso, neppure quanto detto sopra e' sufficiente a  delineare  un
affidamento, poiche' ex fide  bona  rilevano  sempre  le  circostanze
concrete. Similmente la giurisprudenza della Corte EDU valorizza:  il
tipo  di  prestazioni  erogate  (retributive  o  previdenziali),   il
carattere ordinario dell'attribuzione nonche' il  suo  perdurare  nel
tempo, si' da ingenerare la ragionevole convinzione  sul  suo  essere
dovuta. Al contempo, l'affidamento legittimo presuppone sempre  anche
la buona fede soggettiva dell'accipiens, che, a sua volta,  non  puo'
che evincersi da indici oggettivi. In questa stessa  prospettiva,  la
Corte EDU da' rilievo: alla  spontaneita'  dell'attribuzione  o  alla
richiesta della stessa effettuata in buona fede, alla mancanza di  un
pagamento manifestamente privo di titolo o fondato su un mero  errore
di calcolo o su un errore materiale, nonche' alla  omessa  previsione
di una clausola di riserva di ripetizione. 
    In definitiva,  si  deve  ritenere  che  la  consonanza  fra  gli
elementi evidenziati  dalla  giurisprudenza  della  Corte  EDU  e  la
tipologia di criteri cui puo' dare rilevanza la buona fede  oggettiva
a fondamento di un affidamento legittimo, ove  riferito  al  contesto
della spettanza di una prestazione indebita, confermi che l'interesse
protetto dalla CEDU, come ricostruito dalla Corte EDU,  puo'  trovare
riconoscimento, nel nostro ordinamento, dentro  la  cornice  generale
della buona fede oggettiva. 
    12.2.-  Cosi'  individuati  i  presupposti  costitutivi   di   un
affidamento legittimo nella spettanza di una prestazione indebita, si
tratta  ora   di   chiarire   quale   apparato   rimediale   appronti
l'ordinamento nazionale a sua difesa e se sia  idoneo  a  evitare  il
contrasto con  l'art.  1  Prot.  addiz.  CEDU  e,  di  riflesso,  una
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    12.2.1.- Un primo fondamentale ruolo spetta alla categoria  della
inesigibilita', che si radica nella clausola generale di cui all'art.
1175 cod. civ., la quale - come gia' anticipato (punto 12)  -  impone
ad ambo le parti del rapporto  obbligatorio  di  comportarsi  secondo
correttezza o buona fede oggettiva.  Tale  canone  di  comportamento,
inter alia, vincola il creditore  a  esercitare  la  sua  pretesa  in
maniera  da  tenere  in  debita  considerazione,  in  rapporto   alle
circostanze concrete, la sfera di interessi  che  fa  riferimento  al
debitore. 
    Di qui, la rilevanza che possono  assumere,  nell'attuazione  del
rapporto obbligatorio avente a oggetto la ripetizione  dell'indebito,
tanto lo stesso affidamento  legittimo  ingenerato  nel  percipiente,
quanto le condizioni in cui versa quest'ultimo. 
    Il primo accorgimento, imposto ex fide bona dalla sussistenza  in
capo all'accipiens di un affidamento  legittimo  circa  la  spettanza
dell'attribuzione ricevuta, risiede nel dovere da parte del creditore
di rateizzare la somma richiesta in restituzione, tenendo conto delle
condizioni economico-patrimoniali in cui versa l'obbligato,  che,  ex
abrupto, si trova a  dover  restituire  cio'  che  riteneva  di  aver
legittimamente ricevuto. La pretesa si  dimostra  dunque  inesigibile
fintantoche' non sia richiesta con modalita' che  il  giudice  reputi
conformi a buona fede  oggettiva  (ex  multis,  Consiglio  di  Stato,
sezione seconda, sentenza  10  dicembre  2020,  n.  7889;  parere  31
dicembre 2018, n. 3010; adunanza plenaria, sentenza 26 ottobre  1993,
n. 11). 
    Il rilievo che possono assumere le  circostanze  concrete  e,  in
particolare,  la  considerazione  delle  condizioni   personali   del
debitore hanno poi indotto gli interpreti a valorizzare  anche  forme
ulteriori di  inesigibilita',  sia  temporanea  sia  parziale,  della
prestazione. L'inesigibilita', in  tal  modo,  attenua  la  rigidita'
dell'obbligazione   restitutoria   che,   in   quanto    obbligazione
pecuniaria, non vede operare - per comune  insegnamento  -  la  causa
estintiva  costituita  dall'impossibilita'  della   prestazione.   In
particolare,    l'inesigibilita'    non     colpisce     la     fonte
dell'obbligazione, ma funge da causa esimente  del  debitore,  quando
l'esercizio della pretesa creditoria, entrando in  conflitto  con  un
interesse di valore preminente, si traduce in un abuso del diritto. 
    Le conseguenze dell'inesigibilita' possono essere, dunque, varie. 
    Particolari   situazioni   personali   del    debitore    possono
immediatamente  palesare  un   impatto   lesivo   della   prestazione
restitutoria  sulle  condizioni  di  vita  dello   stesso,   si'   da
giustificare una inesigibilita' temporanea. Piu' in  particolare,  il
bilanciamento  degli  interessi  implicati  potrebbe  far   risultare
giustificata la temporanea inesigibilita' della prestazione,  con  la
conseguenza che il ritardo nell'adempimento non potrebbe  legittimare
una pretesa risarcitoria da parte del creditore. 
    Talora poi le condizioni personali del debitore, ove correlate  a
diritti   inviolabili,   potrebbero   far   ritenere    al    giudice
definitivamente giustificato anche un adempimento parziale, che  solo
in casi limite potrebbe  approssimarsi  alla  totalita'  dell'importo
dovuto. In tale prospettiva e' doveroso  richiamare  alcune  pronunce
del Consiglio di Stato, le quali richiedono espressamente «di evitare
[...] che le modalita' di ripetizione siano tali da compromettere  le
esigenze primarie dell'esistenza» (Consiglio di Stato, sezione terza,
sentenza 30 gennaio 1990, n. 57; danno applicazione  a  quanto  sopra
richiamato sezione sesta, sentenze  27  ottobre  2014,  n.  5315;  12
dicembre 2002, n. 6787 e 28 maggio 2001, n. 2899). 
    In definitiva, la clausola della buona fede  oggettiva  consente,
sul  presupposto  dell'affidamento  ingenerato   nell'accipiens,   di
adeguare,  innanzitutto,  tramite  la   rateizzazione,   il   quomodo
dell'adempimento della prestazione restitutoria, tenendo conto  delle
condizioni economiche  e  patrimoniali  dell'obbligato.  Inoltre,  in
presenza  di  particolari  condizioni  personali   dell'accipiens   e
dell'eventuale coinvolgimento di diritti inviolabili, la  buona  fede
oggettiva puo' condurre, a seconda della gravita'  delle  ipotesi,  a
ravvisare una inesigibilita' temporanea o finanche parziale. 
    La   circostanza   per   cui   l'inesigibilita'   non   determina
l'estinzione dell'obbligazione non deve,  d'altro  canto,  indurre  a
ritenere che il rimedio non consenta di superare il vaglio della  non
sproporzione  dell'interferenza,  secondo  quanto  evidenziato  dalla
giurisprudenza della Corte EDU. 
    Infatti,  le  richiamate  sentenze  di   quest'ultima   ravvisano
violazioni dell'art. 1 Prot.  addiz.  CEDU  in  presenza  di  pretese
restitutorie   che   disattendono   una    doverosa    considerazione
dell'affidamento legittimo  dell'obbligato  e  delle  sue  condizioni
economiche, patrimoniali e personali, ma non per questo impongono  di
generalizzare un diritto alla irripetibilita' della prestazione. 
    12.2.2.- Da ultimo, allontana  definitivamente  il  dubbio  fatto
proprio dai giudici rimettenti che l'apparato rimediale nazionale sia
inidoneo a impedire  il  carattere  sproporzionato  dell'interferenza
nell'affidamento legittimo, la  constatazione  che,  nell'ordinamento
italiano, una volta individuati i tratti di tale affidamento, e' dato
riconoscere, nell'ipotesi di una sua lesione,  una  possibile  tutela
risarcitoria  proprio  dentro  le  coordinate  della  responsabilita'
precontrattuale,  sempre  che  ricorrano  gli  ulteriori  presupposti
applicativi del medesimo illecito. 
    Questa ulteriore prospettiva rimediale supera,  dunque,  un'altra
delle ragioni che vengono  addotte  per  contestare  la  sproporzione
dell'interferenza dalla giurisprudenza della Corte EDU,  la  quale  -
nelle gia'  citate  sentenze  Casarin,  paragrafo  71,  e  Cakarević,
paragrafo 86; come pure nella sentenza 20 maggio 2010,  Lelas  contro
Croazia, paragrafo 77 - lamenta, per l'appunto, la mancata previsione
di una responsabilita' in capo allo Stato o all'ente pubblico, cui si
deve la commissione dell'errore nell'erogazione della prestazione. 
    13.-  Alla  luce  del  descritto   quadro   di   rimedi   offerto
dall'ordinamento  nazionale,  la  norma  che  costituisce  la   fonte
generale dell'indebito oggettivo, vale a dire l'art. 2033 cod.  civ.,
non presenta i prospettati profili di illegittimita'  costituzionale,
in  riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  rispetto   al
parametro interposto di  cui  all'art.  1  Prot.  addiz.  CEDU,  come
interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi 
    1)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  2033  del  codice  civile,  sollevate,  in
riferimento agli artt. 11 e 117,  primo  comma,  della  Costituzione,
quest'ultimo in relazione all'art. 1 del Protocollo addizionale  alla
Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dal Tribunale ordinario di
Lecce, sezione lavoro, con l'ordinanza iscritta al n. 29 del registro
ordinanze 2022; 
    2)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art.  2033  cod.  civ.  sollevate,  in  relazione
all'art. 11 Cost., dal Tribunale ordinario di Lecce, sezione  lavoro,
con l'ordinanza iscritta al n. 9 del registro ordinanze 2022, e dalla
Corte di cassazione, sezione lavoro, con l'ordinanza iscritta  al  n.
21 del registro ordinanze 2022; 
    3)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2033 cod. civ.,  sollevate,  in  riferimento
all'art. 117, primo comma,  Cost.,  in  relazione  all'art.  1  Prot.
addiz. CEDU, dal Tribunale ordinario di Lecce,  sezione  lavoro,  con
l'ordinanza iscritta al n. 9 del reg. ord. 2022,  e  dalla  Corte  di
cassazione, sezione lavoro, con l'ordinanza iscritta  al  n.  21  del
registro ordinanze 2022. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 30 novembre 2022. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                   Emanuela NAVARRETTA, Redattrice 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA