N. 42 SENTENZA 11 gennaio - 16 marzo 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Edilizia  e  urbanistica  -  Interventi  edilizi  in  assenza  o   in
  difformita'  del  titolo  abilitativo  -  Istanza  di  sanatoria  -
  Meccanismo  del  silenzio-rigetto  -  Denunciata   violazione   dei
  principi  di  ragionevolezza,  imparzialita',  buon   andamento   e
  trasparenza, del diritto alla difesa e alla tutela  giurisdizionale
  nonche' della  separazione  dei  poteri  -  Inammissibilita'  delle
  questioni. 
- Decreto del Presidente della Repubblica, 6  giugno  2001,  n.  380,
  art. 36, comma 3. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 97 e 113. 
(GU n.12 del 22-3-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  36,  comma
3, del d.P.R. 6 giugno 2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia.  (Testo
A)», promosso dal Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,
sezione seconda bis, nel procedimento vertente tra V. A.  e  altro  e
Roma Capitale, con ordinanza del 22 luglio 2021, iscritta al  n.  178
del registro ordinanze 2021 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio dell'11 gennaio 2023  il  Giudice
relatore Filippo Patroni Griffi; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'11 gennaio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 22 luglio 2021,  iscritta  al  n.  178  del
registro ordinanze 2021, il Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, sezione seconda bis, ha sollevato, in riferimento  agli  artt.
3, 97 e, «in via mediata», 24 e 113 della Costituzione, questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art.  36,  comma  3,  del  d.P.R.  6
giugno  2001,  n.  380,  recante  «Testo  unico  delle   disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia.  (Testo  A)»,  nella
parte in cui prevede che la richiesta di titolo abilitativo  edilizio
in sanatoria «si intende rifiutata» dopo sessanta  giorni  dalla  sua
presentazione. 
    1.1.-  Il  TAR  riferisce   di   essere   chiamato   a   decidere
sull'impugnazione ( promossa  dai  proprietari  di  un  immobile  con
riscontrate opere abusive  per  difformita'  essenziali  rispetto  al
permesso di costruire ( dell'ordinanza di demolizione  d'ufficio  dei
manufatti e dell'atto di irrogazione di sanzione  pecuniaria  emessi,
ai sensi dell'art. 31 t.u. edilizia e dell'art. 15 della legge  della
Regione  Lazio  11  agosto  2008,  n.  15  (Vigilanza  sull'attivita'
urbanistico-edilizia), da Roma Capitale, in esito ad accertamento  di
inottemperanza a precedente ingiunzione di demolizione  delle  stesse
opere. 
    Il rimettente espone, altresi', che nel corso del  giudizio,  con
motivi  aggiunti,  i  ricorrenti  hanno  proposto  anche  domanda  di
annullamento  del  silenzio-diniego  formatosi,  ex  art.   36   t.u.
edilizia, sull'istanza  di  sanatoria  edilizia  da  loro  presentata
successivamente   alla   emanazione   dei   predetti    provvedimenti
sanzionatori, nonche' domanda di declaratoria della sussistenza della
doppia conformita' urbanistico-edilizia. 
    1.2.- In punto  di  rilevanza  della  questione  di  legittimita'
costituzionale,  il  Tribunale  rimettente  premette   che   per   la
definizione  della  controversia  occorre   fare   applicazione   del
censurato art. 36 t.u.  edilizia,  in  quanto  la  sanabilita'  degli
abusi, per riscontro della conformita'  delle  opere  alla  normativa
urbanistico-edilizia tanto al momento della realizzazione  quanto  al
momento dell'istanza di sanatoria, determinerebbe  l'inefficacia  dei
gravati  provvedimenti  sanzionatori.   L'accoglimento   dei   motivi
aggiunti inciderebbe, dunque, anche sull'esito del  ricorso  proposto
avverso  i  provvedimenti  di  demolizione  e  di  irrogazione  della
sanzione pecuniaria. 
    Il TAR rappresenta, tuttavia, che  il  silenzio-rigetto  previsto
dalla   menzionata   disposizione    condizionerebbe    negativamente
l'esercizio del diritto di difesa degli interessati e snaturerebbe la
funzione  del  giudizio  amministrativo  di   mera   verifica   della
legittimita' del potere esercitato. 
    Quanto  al  primo  profilo,  l'ordinanza  espone  che   l'attuale
formulazione  normativa  ha  costretto  i  ricorrenti  ad  agire  per
l'annullamento del silenzio con valore di provvedimento  sfavorevole,
ma senza una motivazione da confutare, e a domandare,  ulteriormente,
la dichiarazione di sussistenza della doppia conformita'. 
    Il giudice a quo afferma in proposito che non gli  poteva  essere
richiesta «in via diretta [...] la spettanza del "bene della vita" e,
dunque, la sanatoria», in quanto, a fronte di un diniego di sanatoria
edilizia, viene  in  rilievo  un  «giudizio  impugnatorio  e  non  di
accertamento» per la tutela di un interesse  legittimo.  Il  Collegio
rimettente aggiunge di non ignorare l'esistenza  di  un  orientamento
favorevole all'accertamento giudiziale  del  requisito  della  doppia
conformita' urbanistico-edilizia, ma sostiene che  tale  orientamento
riguardi - almeno nella giurisprudenza dello stesso  TAR  Lazio  -  i
diversi casi di impugnativa di un  provvedimento  espresso  di  segno
negativo. 
    Quanto al profilo della alterazione della funzione  del  giudizio
amministrativo, il Tribunale rimettente afferma che nell'ipotesi alla
sua   attenzione,   avendo    l'amministrazione    provveduto    solo
fittiziamente,  il  riscontro  dell'istanza  di   sanatoria   sarebbe
demandato al giudice gia' in prima  battuta,  in  sostituzione  della
pubblica amministrazione. 
    Di contro, nessuna delle segnalate due  criticita'  sussisterebbe
nelle ipotesi di provvedimento di  rigetto  espresso  e  motivato:  i
ricorrenti agirebbero per il suo annullamento tentando  di  confutare
le  esplicite  ragioni  del  diniego  e  di  seguito,  in   caso   di
accoglimento della  domanda  da  parte  del  giudice  amministrativo,
l'amministrazione sarebbe nuovamente tenuta a  riscontrare  l'istanza
di sanatoria, tenendo conto di quanto statuito in sentenza. 
    Conclude sul punto il TAR  che,  espungendo  dall'ordinamento  la
norma sul silenzio significativo, l'inerzia sull'istanza di sanatoria
edilizia costituirebbe silenzio-inadempimento cui sarebbe assicurata,
«mediante la  conversione  del  rito»,  la  «dovuta  tutela»  di  cui
all'art. 117 dell'Allegato 1 (codice del processo amministrativo), al
decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104  (Attuazione  dell'articolo
44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al  governo  per
il riordino del processo amministrativo). 
    1.3.-  Il  rimettente  esclude  che   della   norma   della   cui
legittimita'  dubita  sia  possibile  esperire  una   interpretazione
costituzionalmente orientata: la perentoria formulazione dell'art. 36
t.u.    edilizia,    secondo    l'unanime    interpretazione    della
giurisprudenza, contiene una fattispecie tipizzata  di  silenzio  con
valenza di  reiezione,  sicche'  non  sarebbe  prospettabile  la  sua
qualificazione in termini di silenzio-inadempimento. 
    1.4.-  Nell'illustrare  il  presupposto   della   non   manifesta
infondatezza della  questione,  l'ordinanza  dapprima  sintetizza  il
ritenuto manifesto contrasto con i parametri costituzionali  evocati,
passando poi ad approfondire tre delle specifiche violazioni. 
    In   prima   battuta,   sarebbe   vulnerato   il   principio   di
ragionevolezza di cui all'art.  3  Cost.,  in  quanto  l'attribuzione
all'inerzia del  significato  di  diniego  creerebbe  incertezza  nel
rapporto tra cittadino e soggetto pubblico,  impedendo  al  primo  di
poter comprendere le ragioni del rigetto.  Cio'  sarebbe  ancor  piu'
vero, per  effetto  dell'evoluzione  normativa  caratterizzata  dalla
marginalizzazione del silenzio-diniego da parte del legislatore,  con
implemento    delle    tipologie    di    silenzio-accoglimento     e
silenzio-inadempimento, cui corrisponde un  piu'  efficiente  sistema
processuale. 
    Ancora,  la  norma  violerebbe  i  principi  di  buon  andamento,
imparzialita' e trasparenza di cui all'art. 97, secondo comma, Cost.,
in  quanto  contrasterebbe  con  i  doveri  dell'amministrazione   di
rispondere alle istanze dei privati in tempi certi,  previo  adeguato
contraddittorio  procedimentale,  e  con  provvedimenti  espressi   e
motivati. 
    Correlativamente sarebbero violati gli artt. 24 e  113  Cost.  in
quanto, un provvedimento  negativo,  sussistente  solo  come  fictio,
aggraverebbe la posizione processuale del privato, il  quale  sarebbe
costretto a un ricorso «al buio» dovendo,  da  un  lato,  tentare  di
individuare i possibili motivi  di  rigetto,  dall'altro  cercare  di
affermare le ragioni di doppia conformita' urbanistico-edilizia delle
opere. 
    Infine, l'istituto del silenzio-rigetto, a  dire  del  giudice  a
quo, contrasterebbe con il principio della  separazione  dei  poteri,
richiedendosi al giudice di intervenire pressoche' in veste di organo
di amministrazione attiva. 
    Nell'argomentare   i   dedotti    profili    di    illegittimita'
costituzionale, l'ordinanza  si  sofferma,  in  particolare,  su  tre
profili. 
    1.4.1.-   La   violazione   dei   principi   di   ragionevolezza,
imparzialita', buon andamento e trasparenza e'  dedotta  assumendo  a
parametri di riferimento le norme  contenute  nella  legge  7  agosto
1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e
di diritto di accesso ai documenti amministrativi) e, in particolare,
l'art. 2, che prevede l'obbligo  di  concludere  il  procedimento  ad
istanza di parte con provvedimento espresso, l'art.  3,  che  prevede
l'obbligo generale di motivazione del provvedimento, gli  artt.  7  e
seguenti,  che  disciplinano  la  procedimentalizzazione  delle  fasi
antecedenti la decisione amministrativa, e l'art. 10-bis, che  impone
l'obbligo  di  comunicazione  dei  motivi  ostativi  all'accoglimento
dell'istanza  del  privato.  Nella  specie,  dunque,  in  spregio  al
principio di imparzialita', il privato non avrebbe modo di  conoscere
le ragioni di rigetto della propria istanza in relazione alla domanda
similare di  altro  soggetto;  in  spregio  al  buon  andamento,  non
beneficerebbe del contraddittorio procedimentale  prodromico  ad  una
completa istruttoria e alla definizione meditata delle  questioni  e,
in spregio al principio di  trasparenza,  non  sarebbe  edotto  delle
ragioni della determinazione negativa. 
    Nel motivare il contrasto della norma censurata con i principi di
buon andamento e ragionevolezza il giudice a quo sottolinea  che:  a)
il  silenzio  potrebbe  derivare   da   inadeguatezze   organizzative
dell'amministrazione e non dall'infondatezza  della  domanda;  b)  il
contenzioso potrebbe essere evitabile ove  il  privato  fosse  edotto
delle ragioni ostative all'accoglimento dell'istanza; c)  l'esercizio
del diritto di difesa avverso  un  diniego  immotivato  risulta  piu'
gravoso; d)  la  vicenda  processuale  potrebbe  prolungarsi  per  le
eventuali appendici istruttorie. 
    1.4.2.- Il Tribunale  amministrativo,  dopo  aver  ricordato  che
nell'attuale ordinamento la regola vigente e'  quella  diametralmente
opposta del silenzio-assenso, fissata dall'art. 20 della legge n. 241
del 1990, approfondisce la denunciata  irragionevolezza  della  norma
tramite il raffronto con la disciplina  prevista  in  relazione  alle
istanze di condono. 
    Evidenzia il rimettente che per la definizione delle  istanze  di
condono di cui all'art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme
in  materia   di   controllo   dell'attivita'   urbanistico-edilizia,
sanzioni, recupero e sanatoria delle  opere  edilizie),  all'art.  39
della legge 23 dicembre 1994, n.  724  (Misure  di  razionalizzazione
della finanza pubblica) e all'art. 32 del decreto-legge 30  settembre
2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per  la
correzione  dell'andamento  dei  conti  pubblici),  convertito,   con
modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n.  326  e',  piuttosto,
previsto il silenzio-assenso. Dunque il legislatore  riserverebbe  il
meccanismo piu'  favorevole  del  silenzio-assenso  alle  istanze  di
condono che afferiscono a violazioni urbanistico-edilizie a carattere
sostanziale e, dunque, piu'  gravi  di  quelle  a  carattere  formale
(difetto di titolo edilizio) oggetto delle istanze  di  sanatoria  di
cui  all'art.  36   t.u.   edilizia,   per   cui   e'   previsto   il
silenzio-diniego. 
    1.4.3.-  Secondo  il  TAR,  l'impugnazione  di  un  provvedimento
fittizio violerebbe, infine, il principio di separazione  dei  poteri
di cui agli artt. 97 e 113 Cost.  secondo  il  quale  al  giudice  e'
precluso provvedere in luogo dell'amministrazione procedendo anche  a
valutazioni   in   varia   misura   discrezionali,    di    carattere
amministrativo e/o tecnico. 
    Tale principio - afferma il rimettente - troverebbe conferma  nel
sistema processuale. 
    Da un  lato,  infatti,  l'art.  34,  comma  2,  cod.  proc.  amm.
statuisce il divieto per il  giudice  amministrativo  di  sostituirsi
all'amministrazione prevedendo che «[i]n nessun caso il giudice  puo'
pronunciare  con  riferimento  a  poteri  amministrativi  non  ancora
esercitati» e, dall'altro,  l'art.  31,  comma  3,  cod.  proc.  amm.
consente all'organo  giurisdizionale  di  pronunciarsi  eventualmente
anche sulla fondatezza della pretesa, ma solo  quando  si  tratti  di
attivita' vincolata, non vi  siano  ulteriori  margini  di  esercizio
della discrezionalita' e non siano necessari adempimenti istruttori a
carico dell'amministrazione. 
    Nella specifica ipotesi della impugnazione del  silenzio-rigetto,
in cui l'amministrazione ha provveduto  solo  fittiziamente,  sarebbe
demandato al giudice di riscontrare per la prima volta  l'istanza  di
sanatoria in sostituzione dell'amministrazione. Cio'  altererebbe  la
funzione del giudizio amministrativo di verifica  della  legittimita'
dell'esercizio del potere amministrativo,  divenendo,  piuttosto,  il
luogo di esercizio della funzione amministrativa. 
    1.5.- L'ordinanza di rimessione conclude con  la  rassegna  delle
fattispecie  di  silenzio-rigetto  presenti   nell'ordinamento,   per
evidenziarne la diversita' da quella oggetto di dubbio costituzionale
e le individua: a) nel silenzio sui  ricorsi  amministrativi  al  cui
rigetto consegue, pero', la facolta' di  impugnativa  dell'originario
provvedimento amministrativo dinanzi al giudice  competente  (art.  6
del d.P.R. 24 novembre 1971, n. 1199,  recante  «Semplificazione  dei
procedimenti in materia di ricorsi amministrativi» e l'art. 20  della
legge 6 dicembre 1971, n. 1034, recante  «Istituzione  dei  tribunali
amministrativi regionali» - abrogato dall'art. 4, comma 1, numero 10,
dell'Allegato  4  al  cod.  proc.  amm.-  in  relazione  al   ricorso
gerarchico; art. 10 della legge 21 novembre 1967,  n.  1185,  recante
«Norme sui passaporti» in relazione al ricorso gerarchico in  materia
di passaporti; art. 17 del d.P.R. 22 giugno  1949,  n.  340,  recante
«Norme integrative e complementari per l'attuazione  della  legge  28
febbraio 1949, n.  43,  concernente  provvedimenti  per  incrementare
l'occupazione  operaia  agevolando  la  costruzione   di   case   per
lavoratori», in relazione all'opposizione avverso la graduatoria  per
l'assegnazione di alloggi; art. 33 della legge  11  giugno  1971,  n.
426, recante «Disciplina del  commercio»  -  abrogato  dall'art.  26,
comma 6, del decreto legislativo  31  marzo  1998,  n.  114,  recante
«Riforma della disciplina relativa al settore del commercio, a  norma
dell'articolo 4, comma 4, della legge 15 marzo  1997,  n.  59»  -  in
relazione al ricorso amministrativo in tema  di  autorizzazioni  allo
svolgimento  di  attivita'  commerciale);  b)  nel   silenzio   sulla
richiesta  di  autorizzazione  all'esecuzione  di  nuove   opere   in
prossimita' del demanio marittimo (art. 55, terzo  comma,  del  regio
decreto 30 marzo  1942,  n.  327,  recante  «Approvazione  del  testo
definitivo  del  Codice  della  navigazione»),  ormai  tramutato   da
silenzio-diniego in silenzio-accoglimento per effetto del  d.P.R.  26
aprile 1992, n. 300 (Regolamento  concernente  le  attivita'  private
sottoposte alla disciplina degli articoli  19  e  20  della  legge  7
agosto 1990, n. 241), Tabella C, attuativo dell'art. 20  della  legge
n. 241 del 1990; c) nel silenzio sulla istanza di accesso  agli  atti
(art. 25, comma 4, della legge n. 241 del 1990) concernente,  a  dire
del TAR, non un interesse legittimo, come nella  sanatoria  edilizia,
ma una posizione giuridica  soggettiva  funzionalmente  collegata  ad
altra posizione giuridica  soggettiva  e  in  ogni  caso  un  diritto
soggettivo,  come  tale  a  tutela  piena,  assicurata  dall'esame  e
dall'estrazione di copia dei documenti richiesti. 
    2.- E' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,  chiedendo  la  dichiarazione  di   inammissibilita'   o,   in
subordine, di non fondatezza delle sollevate questioni. 
    2.1.- In  primo  luogo,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  ha
eccepito il difetto di rilevanza. 
    La difesa erariale contesta  l'affermazione  del  giudice  a  quo
secondo  cui  sarebbe   precluso   al   giudice   amministrativo   di
pronunciarsi sulla domanda di accertamento del requisito della doppia
conformita' e afferma, piuttosto, che nel  giudizio  di  impugnazione
del silenzio-diniego sulla istanza di sanatoria ben avrebbe potuto il
giudice amministrativo conoscere del merito della stessa. 
    Illustra, infatti, l'interveniente che, nella fattispecie di  cui
all'art. 36 t.u. edilizia, il potere dell'amministrazione e' di  tipo
vincolato, privo di profili di discrezionalita', in  quanto  limitato
al  riscontro  della  conformita'   delle   opere   alla   disciplina
urbanistica vigente sia al momento della domanda  di  sanatoria,  sia
all'epoca di esecuzione degli abusi (cosiddetta doppia  conformita').
La  descritta  natura  del  potere  consentirebbe   al   giudice   di
pronunciarsi sulla domanda di accertamento  della  sussistenza  della
doppia conformita', senza alcun vulnus al  principio  di  separazione
dei poteri. 
    L'atto di intervento evidenzia, ancora,  che,  se  si  pervenisse
alla declaratoria di illegittimita' costituzionale della disposizione
censurata, il giudice sarebbe, comunque, tenuto a pronunciarsi  sulla
sussistenza dei presupposti per il rilascio  della  sanatoria:  egli,
infatti,    sarebbe    investito    del    ricorso     avverso     il
silenzio-inadempimento,  ma,  venendo  in   rilievo   un'ipotesi   di
attivita'  amministrativa  vincolata,  potrebbe  pronunciarsi   sulla
pretesa sostanziale del privato, secondo  quanto  previsto  dall'art.
31, comma 3, cod. proc. amm. 
    2.2.- L'interveniente reputa, comunque,  essere  non  fondato  il
dubbio di legittimita' costituzionale. 
    2.2.1.-  L'atto  di  intervento  si  sofferma,  anzitutto,  sulla
censura di violazione  dell'art.  3  Cost.,  contestando  la  dedotta
irragionevolezza. 
    Da un lato, si afferma, la ratio ispiratrice del silenzio-diniego
si legherebbe  logicamente  alla  tutela  del  corretto  assetto  del
territorio, con ragionevole imposizione dell'onere della proposizione
della  istanza  di  accertamento  di  conformita'  e   dell'eventuale
impugnazione  del  relativo  diniego  tacito  sul  privato   che   ha
realizzato opere in difetto del  richiesto  titolo  edilizio  e  che,
cosi', si e' sottratto al preventivo controllo  di  conformita'  alla
disciplina urbanistica. 
    Dall'altro lato, si sottolinea la differenza tra la sanatoria  «a
regime» dell'art. 36 t.u. edilizia e le  fattispecie  eccezionali  di
condono,  previste  con  leggi  ad  hoc  per  il  recupero   in   via
straordinaria degli abusi commessi in un determinato momento storico.
Ragionevole sarebbe, pertanto, il  differente  trattamento  normativo
del silenzio sulle rispettive istanze. 
    2.2.2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  contesta,  poi,
il ritenuto contrasto della norma con gli artt. 24 e 113 Cost. 
    Diversamente  dal  prospettato  aggravamento  dell'esercizio  del
diritto   alla   tutela   giurisdizionale,    il    meccanismo    del
silenzio-rigetto  garantirebbe  al  cittadino  l'impugnazione  di  un
provvedimento,  seppur  tacito,  e  la  decisione  nel  merito  sulla
sanatoria. L'onere  della  prova  in  sede  giudiziale  della  doppia
conformita'  urbanistico-edilizia  non  sarebbe  gravoso,  in  quanto
corrisponderebbe  a  quanto  richiesto  in   sede   di   procedimento
amministrativo. 
    Piuttosto, se la sollevata questione fosse accolta, la tutela del
privato renderebbe piu' difficoltosa una decisione sul  merito  della
pretesa, dovendo egli dapprima agire in via giurisdizionale contro il
silenzio-inadempimento  e,  successivamente,   impugnare   il   cosi'
ottenuto provvedimento espresso se di contenuto sfavorevole. 
    2.2.3.-  L'Avvocatura  dello  Stato,  infine,  afferma   la   non
fondatezza della censura di violazione dell'art. 97,  secondo  comma,
Cost. 
    La difesa erariale assume che l'art. 2 della  legge  n.  241  del
1990,  nel   prevedere   l'obbligo   di   definire   i   procedimenti
amministrativi  con  provvedimento  espresso,   non   sarebbe   norma
fondamentale inderogabile, posto che  la  stessa  legge  prevederebbe
delle eccezioni e che risulterebbero legittime tutte  le  fattispecie
di silenzi significativi giustificate da specifiche ragioni. 
    Nel particolare  caso  dell'art.  36  t.u.  edilizia,  la  deroga
all'obbligo del provvedimento espresso  si  giustificherebbe  con  il
carattere  vincolato  della   valutazione   rimessa   alla   pubblica
amministrazione   con   ricostruibilita'    delle    ragioni    della
determinazione negativa in base ad elementi oggettivi. 
    Il   meccanismo   del   silenzio-diniego    consente,    inoltre,
all'interessato  di  ottenere  in  tempi   brevi   un   provvedimento
impugnabile in sede giurisdizionale. 
    2.2.4.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri   conclude
rappresentando  che  l'obbligo  di  motivazione   dei   provvedimenti
amministrativi non ha rilevanza costituzionale, non valendo per  essi
il  principio  posto  dall'art.  111  Cost.   per   i   provvedimenti
giurisdizionali. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il TAR Lazio, sezione seconda  bis,  dubita,  in  riferimento
agli artt. 3, 24, 97 e 113 Cost., della  legittimita'  costituzionale
dell'art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380 del 2001, nella parte in cui
prevede la formazione del silenzio-rigetto sulla  domanda  di  titolo
edilizio in sanatoria decorsi sessanta giorni dalla sua presentazione
(«la richiesta si intende rifiutata»). 
    Il giudice amministrativo solleva le  questioni  in  un  giudizio
promosso  dai   proprietari   di   opere   abusive,   dapprima,   per
l'annullamento dell'ordinanza di demolizione di tali manufatti e,  di
seguito, esteso all'impugnazione del silenzio-rigetto sull'istanza di
sanatoria degli  abusi  -  da  loro  medio  tempore  presentata  -  e
all'accertamento del presupposto della sanabilita', costituito  dalla
"doppia conformita'" urbanistico-edilizia delle opere. 
    Il rimettente premette che gli sarebbe precluso procedere a  tale
richiesto accertamento: da un lato, poiche' nel giudizio impugnatorio
per la tutela di un interesse legittimo non e' consentito al  giudice
pronunciarsi sulla spettanza del "bene della vita"; dall'altro  lato,
perche', dando seguito  alla  domanda  giudiziale,  si  pronuncerebbe
sull'istanza   amministrativa   di   sanatoria   senza   una   previa
determinazione della pubblica amministrazione, se non fittizia. 
    La disposizione e', quindi,  censurata  per  plurimi  profili  di
illegittimita' costituzionale  che  hanno  rilievo  tanto  sul  piano
sostanziale, quanto sul piano processuale. 
    La  previsione  del  silenzio-rigetto  lederebbe,  anzitutto,   i
principi  di  ragionevolezza,   imparzialita',   buon   andamento   e
trasparenza, di cui agli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost. anche  in
relazione agli artt. 2, 3 e da 7 a 10-bis  della  legge  n.  241  del
1990, perche' la qualificazione legislativa dell'inerzia  in  termini
di rigetto impedirebbe al cittadino di comprendere le  ragioni  della
reiezione  dell'istanza  e  di  dare  il  suo  apporto   nella   fase
istruttoria del relativo procedimento. 
    La norma contenuta nell'art. 36, comma 3, del d.P.R. n.  380  del
2001 violerebbe, ancora,  l'art.  3  Cost.  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza: il legislatore prevede la definizione  delle  istanze
di sanatoria degli abusi edilizi  solo  formali  con  lo  sfavorevole
meccanismo del silenzio-rigetto, mentre riserva  il  piu'  favorevole
meccanismo del silenzio-assenso per la definizione delle  istanze  di
condono degli abusi sostanziali (artt. 31 della legge n. 47 del 1985,
39 della legge n. 724 del 1994 e 32 del d.l. n. 269  del  2003,  come
convertito). 
    Il configurato provvedimento di  diniego  tacito  contrasterebbe,
poi, con gli  artt.  24  e  113  Cost.,  in  quanto  aggraverebbe  la
posizione processuale del privato. Questo, infatti, sarebbe costretto
a un  ricorso  «al  buio»,  in  difetto  di  motivazioni  sfavorevoli
espresse da confutare e avrebbe l'ulteriore onere  di  dimostrare  la
doppia conformita' urbanistico-edilizia delle opere. 
    Infine, la fictio legislativa sarebbe contraria al  principio  di
separazione dei poteri, riconducibile agli artt. 97 e 113  Cost.,  in
quanto,  nel  giudizio  di  impugnazione  del  silenzio-rigetto,   si
demanderebbe al giudice di pronunciarsi sull'istanza di sanatoria  in
prima battuta, sostituendosi all'amministrazione  nell'esercizio  del
potere amministrativo. 
    2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri in  via  preliminare
ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni  per  difetto   di
rilevanza. 
    L'interveniente contesta  l'assunto  dell'ordinanza  secondo  cui
sarebbe precluso al giudice amministrativo, adito per  l'annullamento
del silenzio-rigetto  sull'istanza  di  sanatoria,  di  accertare  la
doppia conformita', e afferma, piuttosto,  che  il  giudice  potrebbe
esprimersi  sulla  corrispondente  pretesa  di  sanabilita',  dovendo
giudicare  dell'esercizio  di  un  potere   non   discrezionale,   ma
vincolato. 
    Inoltre, l'Avvocatura dello Stato evidenzia che, anche ove  fosse
dichiarata l'illegittimita' costituzionale della norma censurata,  il
giudice amministrativo sarebbe pur  sempre  chiamato  a  pronunciarsi
sull'accertamento della doppia regolarita'  delle  opere:  caduta  la
norma che qualifica il silenzio in termini di rigetto, il privato  si
troverebbe a reagire avverso una  mera  inerzia,  ma  il  codice  del
processo amministrativo consente al giudice investito del ricorso sul
silenzio di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa  del  privato
quando afferisce ad attivita' vincolata (art. 31, comma 3). 
    2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza   di   questa   Corte,   la
motivazione sulla rilevanza e' da intendersi correttamente  formulata
quando illustra in modo non implausibile le ragioni che  giustificano
l'applicazione  della  disposizione  censurata   e   determinano   la
pregiudizialita' della questione sollevata rispetto alla  definizione
del processo principale (ex plurimis e da ultimo, sentenze n. 237, n.
109 e n. 52 del 2022). 
    Nella specie, il giudice a quo  ha  esaurientemente  spiegato  di
dover fare applicazione dell'art. 36,  comma  3,  t.u.  edilizia,  in
quanto e' chiamato a giudicare sulla (pregiudiziale) impugnazione del
silenzio-rigetto sull'istanza  di  sanatoria,  formatosi  secondo  il
meccanismo ivi previsto. 
    3.- Le sollevate  questioni  sono,  tuttavia,  inammissibili  per
altro profilo. 
    L'ordinanza  di  rimessione  presenta  una  ricostruzione   della
cornice normativa e giurisprudenziale di riferimento per molti  versi
carente e in parte anche erronea, che si traduce in  una  motivazione
insufficiente  in  ordine  alla  non   manifesta   infondatezza   dei
prospettati dubbi di legittimita' costituzionale. 
    Il rimettente non si e' soffermato sulla  natura  del  potere  di
sanatoria e sulla ratio del silenzio-rigetto, ne' si  e'  confrontato
con gli orientamenti giurisprudenziali sulla relativa tutela: cio' ha
compromesso l'iter  logico-argomentativo  posto  a  fondamento  della
valutazione di non manifesta infondatezza (tra le tante, sentenze  n.
114 e n. 61 del 2021; ordinanze n. 229 del 2020 e n. 59 del 2019). 
    Per  meglio  comprendere  l'inadeguatezza   della   ricostruzione
offerta dal  giudice  rimettente  e',  dunque,  necessario  un  breve
inquadramento del permesso in sanatoria, limitatamente  agli  aspetti
interessati dalle questioni. 
    3.1.- L'art.  36  t.u.  edilizia  disciplina  l'«accertamento  di
conformita'», vale a dire il permesso  in  sanatoria  ottenibile  per
interventi realizzati in difetto del, o in  difformita'  dal,  titolo
edilizio,  alla  condizione  che  le  opere  siano  rispondenti  alla
disciplina  urbanistico-edilizia  vigente   tanto   al   momento   di
realizzazione dell'opera, quanto al momento dell'istanza. 
    Il   legislatore,   dunque,   consente   in   via   generale   la
regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella
sostanza, in quanto privi di danno urbanistico. 
    L'istituto si distingue  nettamente  dalle  ipotesi  del  condono
edilizio in cui la legge, in via straordinaria e con regole  ad  hoc,
consente di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una  certa
data, di natura sostanziale,  in  quanto  difformi  dalla  disciplina
urbanistico-edilizia (tra le altre, sentenze n. 68 del 2018, n. 232 e
n. 50 del 2017). 
    3.1.1.- Contrariamente al presupposto da  cui  muove  il  giudice
rimettente,  che  assume  la  natura  discrezionale  del  potere   di
sanatoria,  secondo  la  giurisprudenza   amministrativa   largamente
prevalente (ex plurimis e da  ultimo,  Consiglio  di  Stato,  sezione
sesta, sentenza 15 settembre 2022, n. 7993) il relativo provvedimento
ha natura vincolata: con esso l'amministrazione comunale  non  compie
apprezzamenti discrezionali, ma si limita  a  riscontrare  la  doppia
conformita' dell'opera alle prescrizioni urbanistico-edilizie. 
    Secondo altro e meno seguito orientamento, il potere  sanante  ha
natura     «solo     tendenzialmente     vincolata»     o      natura
tecnico-discrezionale,  in  ragione   delle   valutazioni   richieste
nell'accertamento dei presupposti di  fatto  e  di  diritto  previsti
dalla legge e dagli atti di pianificazione urbanistica (in  relazione
al permesso di costruire, di recente,  Consiglio  di  Stato,  sezione
quarta, sentenza 4 novembre 2022, n. 9664 e, in relazione al permesso
in sanatoria, Tribunale amministrativo  regionale  per  la  Campania,
sezione staccata di Salerno, sentenza 17 maggio 2022, n. 1270). 
    3.1.2.- Il legislatore prevede un procedimento  a  iniziativa  di
parte in cui l'onere di dimostrare la cosiddetta  doppia  conformita'
delle opere e' a carico del richiedente (tra le altre,  Consiglio  di
Stato, sezione sesta, sentenza 2 maggio 2022, n. 3437; sezione sesta,
sentenza 9  marzo  2016,  n.  936).  L'amministrazione  e'  tenuta  a
pronunciarsi con adeguata motivazione entro sessanta giorni,  decorsi
i quali la richiesta «si intende rifiutata». 
    La  formula  normativa  e'  interpretata   dalla   giurisprudenza
amministrativa  -  nel  tempo  divenuta  sostanzialmente  unanime   e
condivisa anche da questa Corte (sentenza n. 232  del  2017)  -  come
previsione di una  fattispecie  di  silenzio  con  valore  legale  di
diniego della proposta istanza (cosiddetto  silenzio-rigetto)  e  non
come mera inerzia nel provvedere (cosiddetto silenzio-inadempimento). 
    La  ratio  del  silenzio-rigetto  viene  rinvenuta   in   plurimi
elementi. 
    In primo  luogo,  la  previsione  e'  ritenuta  rispondente  alla
necessita' della difesa del corretto  assetto  del  territorio  dagli
abusi edilizi, la cui repressione costituisce attivita' doverosa  per
l'amministrazione (artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001). 
    Il legislatore  impone  all'autorita'  comunale  di  ordinare  la
demolizione delle opere abusive, senza gravarla della previa verifica
della loro  sanabilita'  (da  ultimo,  Consiglio  di  Stato,  sezione
settima, sentenza 12 dicembre 2022, n. 10897), e, piuttosto, pone  in
capo al privato - che, violando  la  legge,  ha  omesso  di  chiedere
preventivamente  il  necessario  titolo  edilizio  e  si  e',  cosi',
sottratto al previo  controllo  di  conformita'  alla  pianificazione
urbanistica - l'onere di proporre l'istanza di sanatoria e quello  di
impugnare il suo eventuale diniego, anche tacito. 
    A cio' si deve aggiungere la considerazione che  in  molti  casi,
come accaduto nella vicenda oggetto del giudizio a quo, la domanda di
conformita' e' presentata a seguito dell'emanazione dell'ordinanza di
demolizione nella  quale  l'amministrazione  ha  gia'  esplicitato  i
caratteri dell'abuso (Consiglio di Stato, sezione quarta, sentenza  3
aprile 2006, n. 1710). 
    In secondo luogo, la definizione del  procedimento  di  sanatoria
con  i  tempi  certi  del  silenzio-rigetto  si   coordina   con   la
disposizione dell'art. 45 t.u. edilizia  relativa  alla  persecuzione
penale  degli  abusi  edilizi:  questa  prevede  la  sospensione  del
procedimento penale sino alla decisione  amministrativa  sull'istanza
di titolo in sanatoria, in ragione dell'effetto estintivo  dei  reati
contravvenzionali derivante dal suo accoglimento;  ma,  al  contempo,
tale sospensione richiede un contenimento temporale  non  potendo  il
processo penale arrestarsi sine die  (Corte  di  cassazione,  sezione
terza penale, sentenze 21 novembre 2019-16 marzo 2020, n.  10083,  16
gennaio 2020-25 maggio 2020, n. 15752  e  18  gennaio  2006-23  marzo
2006, n. 10205). 
    Infine,  la  previsione  del  silenzio  significativo  e'   anche
nell'interesse del  privato,  cui  e'  in  tal  modo  consentita  una
sollecita tutela giurisdizionale  (per  tutte,  nella  giurisprudenza
amministrativa,  Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta,  sentenza  2
ottobre 2017, n. 4574, oltre  alla  sopra  richiamata  giurisprudenza
penale). 
    3.1.3.- Quanto al piano  processuale,  dalla  qualificazione  del
silenzio sull'istanza di sanatoria in termini di  rigetto  discendono
importanti conseguenze. 
    Ne deriva,  infatti,  che  il  privato,  con  l'impugnazione  del
provvedimento tacito, non puo' far valere difetti  di  motivazione  o
lacune nel procedimento, attesa  l'incompatibilita'  logica  di  tali
vizi  con  la  fattispecie  del  silenzio   significativo,   dovendo,
piuttosto,  dolersi  del  suo  contenuto   sostanziale   di   rigetto
(Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza  19  novembre  2018,  n.
6506), vale a dire della tacita valutazione  di  insussistenza  della
conformita'. 
    In sostanza, con il delineato sistema di tutela  e'  traslato  in
fase   processuale   l'onere   incombente   sul   privato   in   fase
procedimentale. 
    Secondo la giurisprudenza amministrativa, l'onere probatorio  del
privato e' diversamente modulato  a  seconda  che  si  qualifichi  il
potere di sanatoria in  termini  vincolati  o  tecnico-discrezionali:
dalla prima, prevalente impostazione e' richiesto  al  ricorrente  di
fornire prova piena della doppia conformita'; dal  secondo  indirizzo
e'  richiesto  al  ricorrente  di  fornire   la   prova   della   non
implausibilita'  della  doppia  conformita',  in  termini  idonei   a
sconfessare la negativa definizione del procedimento. 
    Dall'assolvimento  del  richiesto  onere   probatorio,   discende
l'annullamento  del  silenzio-rigetto,  con  il  conseguente  obbligo
dell'amministrazione  a  provvedere  espressamente  sull'istanza   in
termini conformati a seconda all'accertamento compiuto in sentenza. 
    Nella riedizione del potere, l'amministrazione sara',  quindi,  o
totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale  della  doppia
conformita' o fortemente condizionata  dalle  indicazioni  giudiziali
sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuera'  a  vantare
margini di valutazione tecnico-discrezionali. 
    4.-  Dell'illustrato  quadro  normativo  e  giurisprudenziale  il
giudice a quo non ha adeguatamente tenuto conto. 
    4.1.- Quanto agli aspetti sostanziali, il TAR del  Lazio  non  ha
considerato la ratio del silenzio-rigetto e  la  peculiare  posizione
del richiedente la sanatoria, soprattutto nel caso in cui  sia  stata
gia' ordinata la demolizione. 
    Il Tribunale avrebbe dovuto, invece, dar  conto  del  complessivo
rapporto amministrativo in cui si inseriscono l'istanza di  sanatoria
e  il  suo  rigetto  tacito  e,  conseguentemente,  fornire  adeguata
motivazione sulle ragioni per cui, nonostante le peculiarita' di quel
rapporto e del suo sviluppo, ritenesse ancora distonica la norma  sul
silenzio significativo  rispetto  alle  garanzie  costituzionali  del
giusto procedimento (e ai relativi limiti). 
    4.2.- Ancora, il giudice a quo non ha  compiutamente  evidenziato
le ragioni che consentono la comparazione  tra  l'ordinario  istituto
dell'accertamento di conformita' e  le  eccezionali  fattispecie  del
condono  edilizio.  Cio'  inficia  la  prospettazione  di  violazione
dell'art. 3 Cost.  per  irragionevole  differente  trattamento  delle
fattispecie di silenzio poste a confronto. 
    4.3.- Quanto agli aspetti processuali, il rimettente denuncia  la
compromissione del diritto di difesa e la violazione del principio di
separazione  dei  poteri  tra  giudice   e   amministrazione,   senza
analizzare la natura del potere di sanatoria e senza confrontarsi con
gli orientamenti del giudice amministrativo sulla tutela riconosciuta
in caso di rigetto tacito. 
    Il TAR Lazio, da  un  lato,  non  illustra  le  ragioni  del  suo
dissenso rispetto all'orientamento che presuppone la natura vincolata
del potere di sanatoria e che riconosce  margini  per  l'accertamento
della doppia conformita' nel rispetto delle previsioni  codicistiche,
e, dall'altro, della non praticabilita' della soluzione  proposta  da
altra giurisprudenza che, sul presupposto della natura  discrezionale
(peraltro di tipo tecnico) del potere,  annulla  il  silenzio-rigetto
con rimessione del potere di sanatoria alla pubblica amministrazione,
da esercitare secondo gli ordinari obblighi conformativi. 
    5.- In conclusione, le questioni sono inammissibili  per  la  non
compiuta ricostruzione della cornice normativa e giurisprudenziale di
riferimento che si riverbera in  difetto  di  motivazione  sulla  non
manifesta infondatezza delle questioni sollevate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara   inammissibili    le    questioni    di    legittimita'
costituzionale dell'art. 36, comma 3, del d.P.R. 6  giugno  2001,  n.
380,  recante  «Testo  unico   delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari  in  materia  edilizia.  (Testo  A)»,   sollevate,   in
riferimento agli artt. 3, 24,  97,  e  113  della  Costituzione,  dal
Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione seconda bis,
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'11 gennaio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                  Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA