N. 44 SENTENZA 8 febbraio - 17 marzo 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Edilizia e urbanistica - Titoli edilizi - Norme della Regione  Veneto
  - Incremento  della  misura  dell'oblazione  prevista  dalla  legge
  statale sul condono  edilizio  -  Possibile  sua  destinazione  per
  finalita' diverse da quelle contemplate dalla legislazione  statale
  - Ricorso del  Governo  -  Lamentata  violazione  della  competenza
  esclusiva statale in materia di ordinamento penale - Non fondatezza
  della questione. 
Contratti pubblici - Concessioni  -  Norme  della  Regione  Veneto  -
  Pagamenti relativi a contratti pubblici  di  servizi,  forniture  e
  noleggio attrezzature di importo inferiore alla soglia di rilevanza
  comunitaria  -  Esonero,  per  le  stazioni  appaltanti  regionali,
  dall'applicazione della ritenuta dello 0,50 per  cento  a  garanzia
  dei versamenti agli enti previdenziali e assicurativi -  Violazione
  della competenza esclusiva  statale  in  materia  di  tutela  della
  concorrenza - Illegittimita' costituzionale. 
Paesaggio - Pianificazione - Norme della Regione Veneto -  Estrazione
  di materiali litoidi negli alvei e nelle zone  golenali  dei  corsi
  d'acqua e  nelle  spiagge  e  fondali  di  competenza  regionale  -
  Ampliamento delle quantita' di materiale che puo' essere  prelevato
  in assenza  di  piani  estrattivi  -  Violazione  dei  principi  di
  ragionevolezza  e  di  tutela  del   paesaggio   -   Illegittimita'
  costituzionale. 
Paesaggio - Autorizzazione paesaggistica - Norme della Regione Veneto
  - Interventi finalizzati alla  sicurezza  idraulica  dei  corsi  di
  acqua di competenza  regionale  -  Necessario  preventivo  rilascio
  dell'autorizzazione paesaggistica - Omessa previsione - Ricorso del
  Governo - Lamentata violazione della competenza  esclusiva  statale
  in materia di tutela  dell'ambiente,  dell'ecosistema  e  dei  beni
  culturali - Non fondatezza della questione, nei termini di  cui  in
  motivazione. 
- Legge della Regione Veneto 21 settembre 2021, n. 27, artt. 1, 9, 19
  e 20. 
- Costituzione, artt. 3, 9, 81, 117, commi secondo, lettere  e),  l),
  m) ed s), e sesto. 
(GU n.12 del 22-3-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS, Nicolo'  ZANON,  Augusto  Antonio  BARBERA,
  Giulio  PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco  VIGANO',  Luca
  ANTONINI, Stefano PETITTI,  Angelo  BUSCEMA,  Emanuela  NAVARRETTA,
  Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 9,  19
e 20 della legge della  Regione  Veneto  21  settembre  2021,  n.  27
(Disposizioni di adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo
del territorio, viabilita', lavori  pubblici,  appalti,  trasporti  e
ambiente), promosso dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri  con
ricorso notificato il 22-25 novembre 2021, depositato in  cancelleria
il 24 novembre 2021, iscritto al n. 66 del registro  ricorsi  2021  e
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  49,  prima
serie speciale, dell'anno 2021. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Veneto; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  24  gennaio  2023  il  Giudice
relatore Stefano Petitti; 
    uditi l'avvocato dello Stato Francesco Sclafani per il Presidente
del Consiglio dei ministri e gli avvocati Giacomo Quarneti  e  Andrea
Manzi per la Regione Veneto; 
    deliberato nella camera di consiglio dell'8 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso depositato il 24 novembre 2021 e iscritto  al  n.
66 del  registro  ricorsi  2021,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha impugnato gli artt. 1, 9, 19 e 20 della legge della Regione
Veneto  21  settembre  2021,  n.  27  (Disposizioni  di   adeguamento
ordinamentale 2021 in materia di governo del territorio,  viabilita',
lavori pubblici, appalti, trasporti e  ambiente),  in  riferimento  a
plurimi parametri costituzionali. 
    1.1.- In primo luogo, e' impugnato  l'art.  1  della  legge  reg.
Veneto n. 27 del 2021, per contrasto con l'art. 117,  secondo  comma,
lettera  l),  della   Costituzione,   in   relazione   alla   materia
«ordinamento [...] penale». 
    Il  ricorrente  riferisce  che  la  disposizione   impugnata   ha
sostituito il comma 1-bis  dell'art.  4  della  legge  della  Regione
Veneto 5 novembre 2004, n. 21 (Disposizioni  in  materia  di  condono
edilizio), prevedendo che  la  Regione  puo'  destinare  l'incremento
dell'oblazione prevista dalla  legge  sul  condono,  oltre  che  alle
finalita' di cui al comma 1 del medesimo art. 4  («per  politiche  di
repressione degli abusi edilizi e per la promozione di interventi  di
riqualificazione dei nuclei interessati e compromessi da fenomeni  di
abusivismo  edilizio,  ovvero  per  i   rilievi   aerofotogrammetrici
previsti dall'articolo 23 della legge n. 47 del 1985»), ad  ulteriori
finalita', e in particolare: 
    «a) ad interventi di valorizzazione e restauro  paesaggistico  su
siti  di  interesse  regionale  che  sono  individuati  dalla  Giunta
regionale, sentita la competente commissione consiliare; 
    b) agli interventi, promossi dai comuni singoli o  associati,  di
riqualificazione urbana di cui all'articolo 6 della legge regionale 6
giugno 2017, n. 14 "Disposizioni per il contenimento del  consumo  di
suolo e modifiche della legge 23 aprile 2004, n.  11  "Norme  per  il
governo del territorio e in materia di paesaggio"",  nonche'  per  le
spese di progettazione degli interventi  previsti  nei  programmi  di
rigenerazione urbana sostenibile, approvati ai sensi dell'articolo 7,
comma 4, della medesima legge regionale n. 14 del 2017». 
    Tale ultima previsione  non  sarebbe  in  linea,  ad  avviso  del
ricorrente, con quanto disposto dall'art.  32  del  decreto-legge  30
settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo
e per la correzione dell'andamento dei conti  pubblici),  convertito,
con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326. Questa norma
statale, nel dettare presupposti e condizioni  del  condono  edilizio
straordinario, prevede in particolare, al comma 33,  che  le  regioni
possano destinare l'incremento dell'oblazione stabilito ai sensi  del
medesimo comma «ai fini dell'attivazione di politiche di  repressione
degli  abusi  edilizi  e  per  la   promozione   di   interventi   di
riqualificazione dei nuclei interessati  da  fenomeni  di  abusivismo
edilizio, nonche' per l'attuazione di quanto  previsto  dall'articolo
23 della legge 28 febbraio 1985, n. 47». 
    Secondo   l'Avvocatura,   il   legislatore   veneto,   destinando
l'incremento a finalita' diverse e ulteriori  da  quelle  contemplate
dalla richiamata norma statale, si sarebbe discostato dal vincolo  di
destinazione da essa stabilito, «preordinato all'adozione  di  misure
riparative  e/o  preventive  rispetto  al  fenomeno   dell'abusivismo
edilizio». 
    In questo modo, la disposizione impugnata  avrebbe  «oltrepassato
lo spazio  di  competenza  riservato  alle  regioni»,  poiche',  come
affermato da questa Corte (e'  richiamata  la  sentenza  n.  196  del
2004), con riguardo al condono la competenza statale  in  materia  di
ordinamento  penale  interesserebbe  tanto  la  fase  genetica  delle
fattispecie   incriminatrici,   quanto   la   fase   della   rinuncia
all'esercizio della pretesa punitiva.  Cio'  apparirebbe  tanto  piu'
vero nel caso di specie, in cui l'oblazione ha ad  oggetto  richieste
di condono straordinario edilizio, sicche' la piena  discrezionalita'
statale in materia di estinzione  del  reato  ingloberebbe  anche  le
finalita' che le regioni sarebbero tenute a perseguire con i proventi
degli incrementi dell'oblazione medesima. 
    1.2.- Con  il  secondo  motivo  di  ricorso,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 9 della legge reg.  Veneto
n. 27 del 2021, in riferimento all'art. 117, secondo  comma,  lettera
e), Cost., con riguardo alla materia «tutela  della  concorrenza»,  e
all'art. 81 Cost. 
    La disposizione impugnata prevede che «[p]er i contratti pubblici
di servizi, forniture e noleggio attrezzature  di  importo  inferiore
alla soglia di rilevanza comunitaria, nei procedimenti  di  pagamento
non viene operata la ritenuta dello 0,50 per  cento  a  garanzia  dei
versamenti agli enti previdenziali ed assicurativi». Essa si porrebbe
in contrasto con l'art. 30, comma 5-bis, del decreto  legislativo  18
aprile 2016, n. 50 (Codice dei contratti pubblici), secondo il  quale
la medesima ritenuta e'  operata  «[i]n  ogni  caso»  e  puo'  essere
svincolata  «soltanto  in   sede   di   liquidazione   finale,   dopo
l'approvazione da parte della stazione appaltante del certificato  di
collaudo o di verifica di conformita', previo rilascio del  documento
unico di regolarita' contributiva». 
    Secondo il ricorrente, tale disposizione statale sarebbe  «regola
di gara», perche' contenuta nell'articolo del  codice  dei  contratti
pubblici dedicato ai principi generali in materia  di  aggiudicazione
ed esecuzione di appalti e concessioni, «posti a tutela della  libera
concorrenza, di non discriminazione e par condicio,  e  valevoli  per
qualsivoglia procedura di scelta del contraente, per  gli  appalti  e
per le concessioni di beni e servizi, sopra e sotto soglia». Da  qui,
pertanto, la violazione dell'art. 117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost. 
    La  medesima  disposizione  violerebbe  anche  l'art.  81  Cost.,
perche' l'impossibilita' per la stazione appaltante di  vincolare  le
ritenute in questione al rilascio del documento unico di  regolarita'
contributiva (DURC) rischierebbe  di  determinare  nuovi  o  maggiori
oneri  per  la  finanza  pubblica,  «in  termini  di  minori  entrate
contributive, non quantificate e prive di copertura finanziaria». 
    1.3.- Con un terzo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio
dei ministri  deduce  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  19
della medesima legge reg. Veneto n. 27 del 2021, in riferimento  agli
artt. 3 e 9 Cost. 
    Secondo quanto riportato  nel  ricorso,  la  norma  impugnata  ha
sostituito l'art. 2, comma 2, della  legge  della  Regione  Veneto  9
agosto 1988, n. 41 (Modifica alla legge regionale 27 aprile 1979,  n.
32 concernente «Norme per la polizia idraulica e per l'estrazione  di
materiali litoidi negli alvei e nelle zone golenali dei corsi d'acqua
e  nelle  spiagge  e  fondali  lacuali  di  competenza   regionale»),
stabilendo, con riguardo all'attivita'  di  estrazione  di  sabbie  e
ghiaie, che «[i]n assenza di piani estrattivi il limite e'  abbassato
a 20.000 metri cubi per singolo intervento. Possono essere presentati
dal medesimo soggetto progetti di estrazione e asporto  di  sabbia  e
ghiaia, finalizzati alla sicurezza e  alla  buona  regimazione  delle
acque, per quantitativi complessivi fino ad un massimo pari ad 80.000
metri cubi, da realizzare attraverso singoli  interventi  di  entita'
non superiore a 20.000 metri cubi».  Prima  della  sua  modifica,  il
medesimo art. 2, comma  2,  prevedeva  che  «[i]n  assenza  di  piani
estrattivi il limite e' abbassato a 20.000 metri cubi». 
    Secondo   l'Avvocatura   generale,    la    modifica    normativa
stravolgerebbe le finalita' originarie della norma, che autorizzavano
l'estrazione di materiali litoidi sulla base di appositi piani e,  in
assenza  di  questi  ultimi,  entro  precisi   limiti   quantitativi,
consentendo oggi di «estrarre,  in  assenza  di  piano,  quantitativi
complessivi di materiale litoide fino a 80.000  metri  cubi,  e  cio'
senza neppure il coinvolgimento della struttura regionale  competente
in materia di difesa del suolo». 
    Peraltro,  considerando  che  tale  attivita'  e'   destinata   a
svolgersi anche in territori costieri, in zone contermini a  laghi  e
lungo corsi d'acqua, essa inciderebbe  anche  su  zone  sottoposte  a
vincolo paesaggistico ex lege secondo quanto previsto dall'art.  142,
comma 1, lettere a), b) e c),  del  decreto  legislativo  22  gennaio
2004, n. 42 (Codice dei beni culturali  e  del  paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). 
    Per effetto dell'abbassamento della tutela paesaggistica di  tali
beni rispetto al regime precedentemente dettato dalla stessa  Regione
(e' richiamata  la  sentenza  di  questa  Corte  n.  141  del  2021),
sarebbero pertanto violati gli artt. 3 e 9 Cost. 
    1.4.- Col quarto e ultimo motivo di ricorso,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri impugna l'art. 20 della legge reg.  Veneto  n.
27 del 2021, in riferimento all'art. 117, commi secondo, lettere m) e
s), e sesto, Cost. 
    Secondo il comma 1 del suddetto art. 20,  in  particolare,  «[l]e
strutture della Giunta regionale,  territorialmente  competenti  alla
effettuazione  degli  interventi  funzionali   alla   prevenzione   e
riduzione del rischio  idraulico  sui  corsi  d'acqua  di  competenza
regionale, hanno  titolo  ad  eseguire,  direttamente  o  mediante  i
soggetti affidatari, ai sensi e per gli effetti di cui agli  articoli
93, 96 e 97 del regio decreto 25 luglio 1904,  n.  523  "Testo  unico
delle disposizioni di  legge  intorno  alle  opere  idrauliche  delle
diverse categorie", gli interventi di  ripristino  di  condizioni  di
sicurezza e officiosita' idraulica  che  prevedono  la  rimozione  di
schianti, piante morte, piante a rischio caduta  o  la  cui  presenza
riduca  la  sezione  dell'alveo  necessaria  a  garantire  il  libero
deflusso delle acque». 
    Ad avviso dell'Avvocatura, malgrado  l'espressa  limitazione  dei
titoli per effettuare tali interventi, essi sono destinati ad  essere
effettuati in aree coperte da vincolo paesaggistico ex lege, come  le
zone contermini ai laghi (art. 142, comma 1,  lettera  b,  cod.  beni
culturali) o sulle sponde  di  corsi  d'acqua  (art.  142,  comma  1,
lettera c) o, infine, in aree boscate (art. 142, comma 1, lettera g),
senza essere espressamente soggetti al  rilascio  dell'autorizzazione
paesaggistica,  a  meno  di  essere  riconducibili  alle  fattispecie
previste  dall'art.  149  del  medesimo  codice,   come   specificate
nell'Allegato  A  al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  13
febbraio  2017,  n.  31  (Regolamento  recante  individuazione  degli
interventi esclusi dall'autorizzazione paesaggistica o  sottoposti  a
procedura autorizzatoria  semplificata),  nonche'  dall'art.  36  del
decreto-legge 31 maggio 2021, n. 77 (Governance del  Piano  nazionale
di ripresa  e  resilienza  e  prime  misure  di  rafforzamento  delle
strutture amministrative  e  di  accelerazione  e  snellimento  delle
procedure), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  29  luglio
2021, n. 108. 
    Il  contrasto  con  i  richiamati  parametri   costituzionali   e
interposti, pertanto, discenderebbe dalla  generalizzata  sottrazione
di tutti gli interventi di ripristino di cui all'art.  20,  comma  1,
della  legge  reg.  Veneto  n.   27   del   2021   all'autorizzazione
paesaggistica, a prescindere dalla possibilita' di ricondurre  questi
ultimi al novero di quelli sottratti ad autorizzazione ai sensi della
normativa statale. 
    2.- Con atto depositato il 31 dicembre 2021, si e' costituita  in
giudizio la Regione Veneto, in persona del  Presidente  della  Giunta
regionale, chiedendo che i motivi  di  cui  al  ricorso  introduttivo
vengano  dichiarati  alcuni  inammissibili  o,  comunque,  tutti  non
fondati. 
    2.1.- Sarebbe, innanzi tutto, inammissibile e, in ogni caso,  non
fondato il motivo di ricorso avente ad oggetto l'art. 1  della  legge
reg. Veneto n. 27 del 2021, perche' il ricorrente non avrebbe offerto
alcun elemento idoneo «a far ritenere che il vincolo di  destinazione
e le modalita' di impiego delle somme riscosse a titolo di  oblazione
dalle Regioni  in  materia  di  condono  edilizio  siano  sussumibili
nell'ambito della materia 'ordinamento  penale'».  L'introduzione  di
finalita'  ulteriori  cui  destinare   l'incremento   dell'oblazione,
infatti,  non  inciderebbe  sull'ambito  riservato  alla   competenza
legislativa esclusiva dello Stato, perche'  la  Regione  non  avrebbe
modificato ne' alterato i presupposti sostanziali al cui  verificarsi
e'  possibile  beneficiare   dell'estinzione   del   reato   mediante
oblazione, limitandosi ad ampliare le finalita' di interesse pubblico
cui destinare le somme di denaro riscosse a tale titolo, peraltro pur
sempre relative  a  interessi  primari  come  la  valorizzazione  del
paesaggio e il governo del territorio. 
    2.2.- Non sarebbe fondato neanche il secondo motivo  di  ricorso,
avente ad oggetto l'art. 9 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021, in
relazione all'ambito di competenza statale relativo alla tutela della
concorrenza. 
    Contrariamente a quanto  ritenuto  dal  ricorrente,  infatti,  la
disposizione impugnata non interverrebbe a  disciplinare  un  aspetto
delle procedure di gara, riferendosi unicamente a  un  aspetto  della
fase  esecutiva  dei  contratti  pubblici  e  dettando  una   «misura
compulsoria,  diretta  a  favorire  indirettamente   la   regolarita'
contributiva  degli  aggiudicatari,   mediante   la   previsione   di
un'inesigibilita' parziale del credito, che non incide, pero',  sulle
procedure di gara ne' pare idonea a sortire alcun  effetto  sotto  il
profilo della concorrenza». 
    Inammissibile per difetto di motivazione,  e  in  ogni  caso  non
fondata, sarebbe poi la doglianza contenuta nel  ricorso  e  relativa
alla violazione dell'art. 81 Cost.,  considerato  che  le  somme  non
svincolate e trattenute dalla  stazione  appaltante  ai  sensi  della
normativa statale interposta non potrebbero comunque essere impiegate
per sanare le eventuali irregolarita' contributive emergenti dal DURC
della ditta  aggiudicataria.  Di  conseguenza,  ogni  minore  entrata
contributiva sarebbe imputabile alla disposizione impugnata solo  «in
modo del tutto indiretto, mediato e indeterminato». 
    2.3.- Non fondato sarebbe anche, secondo la difesa regionale,  il
terzo motivo di ricorso,  riguardante  l'art.  19  della  legge  reg.
Veneto n. 27 del 2021. 
    Tale  disposizione  si  limiterebbe  a  disciplinare  il   regime
autorizzatorio per l'asporto di sabbie e ghiaie unicamente «sotto  il
profilo  della  compatibilita'  con  il  buon  regime  delle  acque»,
razionalizzandolo in caso di assenza del  piano  delle  estrazioni  e
consentendo,  in  tale  evenienza,  «la  presentazione  di   progetti
pluristrutturati che prevedano piu'  interventi  coordinati,  ma,  al
contempo, distinti e separati, singolarmente non  eccedenti  i  venti
mila metri cubi e, complessivamente, gli ottanta mila metri  cubi  di
materiale da estrarre». 
    Secondo la difesa della Regione, la disposizione non diminuirebbe
affatto la  tutela,  bensi'  l'accrescerebbe,  stabilendo  un  limite
massimo di metri cubi da estrarre nell'ipotesi  in  cui  sia  chiesta
l'autorizzazione di piu' interventi tra loro correlati o  coordinati,
«sia pure distinti 'geograficamente' e/o 'qualitativamente'». 
    2.4.- Il quarto e ultimo motivo di ricorso, per cui il Presidente
del Consiglio dei ministri ha impugnato l'art. 20  della  legge  reg.
Veneto n. 27 del 2021, non sarebbe  fondato  in  ragione  dell'errata
esegesi della norma regionale operata dal ricorrente. 
    La  disposizione  regionale  impugnata,  pur  non   richiamandola
espressamente nel dettaglio, presuppone pacificamente  l'applicazione
della disciplina statale in materia di  autorizzazione  paesaggistica
(sono richiamate, in  quanto  relative  a  fattispecie  analoghe,  le
sentenze di questa Corte n. 251 e n.  201  del  2021).  Il  richiamo,
operato in essa, al «titolo» in  capo  alle  strutture  di  Giunta  a
effettuare gli interventi di  ripristino  ivi  previsti  indicherebbe
infatti, secondo la Regione, unicamente «l'astratta legittimazione» a
compiere  gli  interventi  enumerati,  «senza  incidere  sul   regime
autorizzatorio correlato, che segue e conforma la  titolarita'  della
predetta legittimazione ad intervenire». 
    3.- In prossimita' dell'udienza pubblica, ha  depositato  memoria
la  Regione  Veneto,  insistendo  per  l'inammissibilita'  e  la  non
fondatezza delle censure contenute nel ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe  (reg.  ric.  n.  66  del
2021), il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato  gli  artt.
1, 9, 19 e 20 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021, in  riferimento
a plurimi parametri costituzionali. 
    2.- Con il primo motivo di ricorso, e' impugnato l'art.  1  della
legge reg. Veneto n.  27  del  2021,  in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera l),  Cost.,  lamentando  la  violazione  della
competenza  legislativa  esclusiva  dello   Stato   in   materia   di
«ordinamento [...] penale». 
    Per il fatto di utilizzare le risorse  derivanti  dall'incremento
dell'oblazione prevista dalla legge sul condono per finalita' diverse
da (e ulteriori rispetto a)  quelle  contemplate  dalla  legislazione
statale, e segnatamente dall'art. 32, comma 33, del d.l. n.  269  del
2003, come convertito,  la  disposizione  impugnata  si  porrebbe  in
contrasto  col  vincolo  di  destinazione  in  essa  stabilito,   con
l'effetto di incidere sul  complessivo  regime  dell'oblazione  quale
presupposto per l'estinzione del  reato,  espressione  del  monopolio
statale riguardante la rinuncia all'esercizio della pretesa punitiva. 
    2.1.- La difesa della Regione Veneto eccepisce l'inammissibilita'
della questione, perche' il ricorso non addurrebbe alcun argomento  a
sostegno della riconducibilita'  della  disposizione  impugnata  alla
materia dell'ordinamento penale. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il ricorso, anche richiamando estesamente  alcuni  precedenti  di
questa Corte (e, in  particolare,  la  sentenza  n.  196  del  2004),
ritiene che la destinazione  delle  somme  derivanti  dall'incremento
dell'oblazione  stabilito  a  livello  regionale,  per  il  fatto  di
accedere a un istituto mirante a dettare presupposti e  modalita'  di
estinzione dei reati per effetto del condono edilizio, afferirebbe al
regime complessivo di questi ultimi, cosi' da tradursi in un  vincolo
di  destinazione  a  carico  delle  regioni  fondato  sul  titolo  di
competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost. 
    In presenza di un'articolazione dei motivi di  ricorso  priva  di
evidenti  profili  di  genericita'  o   di   contraddittorieta',   la
prospettata  eccezione  attiene  al   merito   della   questione   di
legittimita' costituzionale, in quanto volta  a  dimostrarne  la  non
fondatezza, e in tale sede deve essere quindi  vagliata  (ex  multis,
sentenze n. 193 del 2022, n. 139 del 2020, n. 142 e n. 40 del 2018). 
    2.2.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    L'impugnato art. 1  della  legge  reg.  Veneto  n.  27  del  2021
sostituisce il comma 1-bis dell'art. 4 della legge reg. Veneto n.  21
del 2004, prevedendo che l'incremento dell'oblazione  prevista  dalla
legge sul condono, fissato dal  comma  1  del  medesimo  art.  4,  e'
destinato, oltre che alle finalita' indicate  dal  medesimo  comma  1
(«per  politiche  di  repressione  degli  abusi  edilizi  e  per   la
promozione di interventi di riqualificazione dei nuclei interessati e
compromessi da fenomeni di abusivismo edilizio, ovvero per i  rilievi
aerofotogrammetrici previsti dall'articolo 23 della legge n.  47  del
1985»), ad ulteriori finalita', e in particolare: 
    «a) ad interventi di valorizzazione e restauro  paesaggistico  su
siti  di  interesse  regionale  che  sono  individuati  dalla  Giunta
regionale, sentita la competente commissione consiliare; 
    b) agli interventi, promossi dai comuni singoli o  associati,  di
riqualificazione urbana di cui all'articolo 6 della legge regionale 6
giugno 2017, n. 14 "Disposizioni per il contenimento del  consumo  di
suolo e modifiche della legge 23 aprile 2004, n.  11  "Norme  per  il
governo del territorio e in materia di paesaggio"",  nonche'  per  le
spese di progettazione degli interventi  previsti  nei  programmi  di
rigenerazione urbana sostenibile, approvati ai sensi dell'articolo 7,
comma 4, della medesima legge regionale  n.  14  del  2017».  A  tale
previsione si aggiunge  che  «[l]  a  Giunta  regionale,  sentita  la
competente commissione consiliare, determina criteri e  modalita'  di
assegnazione del contributo». 
    Questa Corte ha piu' volte  affermato  che  il  condono  edilizio
straordinario disciplinato dall'art. 32 del d.l.  n.  269  del  2003,
come convertito, opera su due piani distinti: «sul piano  penale,  al
ricorrere dei presupposti di legge, determina l'estinzione dei  reati
edilizi; su quello amministrativo  comporta  il  conseguimento  della
concessione    in    sanatoria    (e    l'estinzione    dell'illecito
amministrativo)» (sentenza n. 70 del 2008). 
    In questo quadro, anche per effetto dei molteplici rinvii operati
dall'art. 32 del d.l. n. 269 del 2003,  come  convertito,  a  diverse
disposizioni della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di
controllo dell'attivita' urbanistico-edilizia, sanzioni,  recupero  e
sanatoria delle opere edilizie), in particolare ai Capi IV e V  (art.
32, comma 25,  del  d.l.  n.  269  del  2003,  come  convertito),  il
pagamento dell'oblazione costituisce il presupposto per  l'estinzione
non solo dei reati edilizi (art. 38, comma secondo, della legge n. 47
del 1985, richiamato dall'art. 32, comma 36,  del  d.l.  n.  269  del
2003, come convertito), ma anche dei procedimenti di esecuzione delle
relative sanzioni amministrative (art. 38, comma quarto, della  legge
n. 47 del 1985), oltre a integrare uno dei requisiti per il  rilascio
del titolo abilitativo in sanatoria (art. 32, comma 37, del  d.l.  n.
269 del 2003, come convertito). 
    Ai fini della estinzione del reato, in  particolare,  l'art.  32,
comma 36, del d.l. n. 269 del  2003,  come  convertito,  richiede  il
concorso  di  tre  elementi:  la  presentazione  della   domanda   di
definizione  dell'illecito  nei  termini,  il   pagamento   integrale
dell'oblazione (come determinata nell'Allegato 1 allo stesso  decreto
e nei termini ivi indicati) e, infine, il decorso di  trentasei  mesi
da tale pagamento. 
    Il  versamento  integrale  dell'oblazione  e',  quindi,  elemento
costitutivo della fattispecie estintiva del reato,  e  come  tale  si
riconnette alla competenza esclusiva del legislatore statale, che non
solo e' l'unico che puo'  intervenire  sulla  sanzionabilita'  penale
(sentenze n. 178 e n. 2  del  2019),  ma  dispone  anche,  specie  in
occasione di sanatorie amministrative, «di assoluta  discrezionalita'
in  materia  di  "estinzione  del  reato  o  della  pena,  o  di  non
procedibilita'" (sentenze n. 327 del 2000, n. 149 del 1999 e  n.  167
del 1989)» (sentenza n. 196 del 2004). 
    2.3.- Nell'ambito della  disciplina  dell'oblazione,  l'art.  32,
comma 33, del d.l. n. 269 del 2003, come convertito, ha stabilito che
«[l]e regioni, entro sessanta giorni dalla data di entrata in  vigore
del  presente  decreto,  emanano  norme  per   la   definizione   del
procedimento  amministrativo  relativo   al   rilascio   del   titolo
abilitativo edilizio in sanatoria e possono prevederne, tra  l'altro,
un incremento dell'oblazione fino al massimo del 10 per  cento  della
misura determinata nella tabella C allegata al presente  decreto,  ai
fini dell'attivazione di politiche di repressione degli abusi edilizi
e per la promozione di  interventi  di  riqualificazione  dei  nuclei
interessati  da  fenomeni  di  abusivismo   edilizio,   nonche'   per
l'attuazione di quanto  previsto  dall'articolo  23  della  legge  28
febbraio 1985, n. 47». 
    Con  specifico  riguardo  a  tale  disciplina,  questa  Corte  ha
affermato che essa si impone alle regioni, in quanto riconducibile al
monopolio in capo allo Stato sulle scelte  sanzionatorie,  unicamente
in relazione alla «misura dell'oblazione, [a]i  relativi  termini  di
versamento, ed in genere [al]le relative articolazioni procedimentali
ed organizzative» (sentenza n. 198 del 2004). Per il fatto di inerire
a una fattispecie estintiva del reato che si ripercuote, nei  termini
anzidetti, anche sulla sanzionabilita' amministrativa, i  presupposti
e le procedure dell'oblazione si  impongono  alle  regioni  anche  in
vista  della  collaborazione  cui  sono  tenuti  -  nell'ambito   del
complessivo procedimento - i Comuni, titolari di fondamentali  poteri
di   gestione   e   controllo   del   territorio,   con   l'autorita'
giurisdizionale (sentenza  n.  196  del  2004).  Una  collaborazione,
quest'ultima, dovuta anche al fatto che «il  giudice  penale  non  ha
competenza "istituzionale" per compiere l'accertamento di conformita'
delle opere agli strumenti urbanistici» (sentenze n. 146 del  2021  e
n. 370 del 1988). 
    Tuttavia, alla  disciplina  dell'oblazione  in  quanto  ricadente
nell'ambito di competenza di cui all'art. 117, secondo comma, lettera
l), Cost., resta con ogni evidenza  estranea  la  destinazione  degli
introiti  che  le  regioni  riscuotono  per  effetto  dell'incremento
consentito dall'art. 32, comma 33, del d.l. n.  269  del  2003,  come
convertito. 
    Non venendo  in  discussione,  nella  fattispecie  in  esame,  la
destinazione dei proventi della fattispecie ordinaria  di  oblazione,
ma solo l'impiego della  quota  incrementale  liberamente  modulabile
dalle  regioni,  assume  rilievo  dirimente  la  circostanza  che  la
tipologia degli interventi che tali fondi sono destinati a  sostenere
non e' correlata - tanto nella normativa statale,  quanto  in  quella
regionale in esame - alle attivita'  procedimentali  e  organizzative
concernenti  le  singole  domande  di  condono,  ma   unicamente   al
perseguimento  di  finalita'  generali  inerenti   al   governo   del
territorio,  situandosi   cosi'   completamente   "a   valle"   della
fattispecie   estintiva   del   reato.   Ne    discende,    pertanto,
l'inconferenza del parametro dedotto nel ricorso rispetto  all'ambito
materiale  cui  deve  essere  ascritta  la   disposizione   impugnata
(sentenze n. 248 del 2022, n. 198 del 2021 e n. 286 del 2019). 
    La questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1  della
legge reg. Veneto n. 27 del 2021 deve quindi dichiararsi non fondata. 
    3.- Con il secondo motivo di ricorso, il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna l'art. 9 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021,
in riferimento agli artt. 81 e 117, secondo comma, lettera e), Cost.,
quest'ultimo relativamente alla materia «tutela della concorrenza». 
    Prevedendo un esonero,  per  le  stazioni  appaltanti  regionali,
dall'applicazione della ritenuta dello 0,50 per cento a garanzia  dei
versamenti agli enti previdenziali e assicurativi nelle procedure  di
pagamento relative a  contratti  pubblici  di  servizi,  forniture  e
noleggio attrezzature di importo inferiore alla soglia  di  rilevanza
comunitaria, il legislatore regionale avrebbe dettato una «regola  di
gara» lesiva della  competenza  legislativa  statale  in  materia  di
tutela  della  concorrenza.  In  particolare,  il   citato   art.   9
contrasterebbe con l'art. 30, comma 5-bis, cod.  contratti  pubblici,
secondo il  quale  tale  ritenuta  e'  operata  «[i]n  ogni  caso»  -
indipendentemente,  quindi,  dalla  tipologia  contrattuale  o  dalla
soglia di rilevanza economica - e puo' essere svincolata «soltanto in
sede di liquidazione  finale,  dopo  l'approvazione  da  parte  della
stazione appaltante del certificato di  collaudo  o  di  verifica  di
conformita', previo  rilascio  del  documento  unico  di  regolarita'
contributiva». 
    La disposizione  regionale  violerebbe  anche  l'art.  81  Cost.,
perche' sarebbe suscettibile, secondo il ricorrente,  di  determinare
nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, in termini di  minori
entrate contributive, nel caso in  cui  la  stazione  appaltante  non
potra'  operare  la  ritenuta  in  parola   nei   confronti   di   un
aggiudicatario non in  regola  con  gli  adempimenti  contributivi  e
previdenziali. 
    3.1.-   La   difesa   regionale    eccepisce,    preliminarmente,
l'inammissibilita' del motivo di ricorso consistente nella violazione
dell'art.  81  Cost.,  per   difetto   di   motivazione   e   carente
ricostruzione del quadro normativo. 
    Nel  ricorso,  infatti,  non  sarebbe  fornita  una   sufficiente
motivazione in ordine al meccanismo  attraverso  il  quale  la  norma
regionale determinerebbe minori entrate contributive. 
    L'eccezione e' fondata. 
    Per costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  «l'esigenza  di
un'adeguata motivazione a  fondamento  della  richiesta  declaratoria
d'illegittimita' costituzionale si pone in termini piu' pregnanti nei
giudizi proposti in via principale, rispetto a quelli  instaurati  in
via incidentale (tra le tante, sentenze n. 119 del 2022, n. 219 e  n.
171 del 2021). Il ricorrente,  pertanto,  "ha  non  solo  l'onere  di
individuare le disposizioni impugnate e  i  parametri  costituzionali
dei quali lamenta la violazione,  ma  anche  quello  di  allegare,  a
sostegno delle questioni  proposte,  una  motivazione  non  meramente
assertiva.  Il  ricorso  deve  cioe'  contenere  l'indicazione  delle
ragioni per le quali vi sarebbe il contrasto con i parametri  evocati
e una, sia pur sintetica, argomentazione a  supporto  delle  censure"
(cosi', di recente, sentenza n. 95 del 2021)» (sentenza  n.  259  del
2022). 
    Nel caso in esame, l'impugnativa - riferita al rischio di nuovi e
maggiori oneri per  la  finanza  pubblica  conseguente  alla  dedotta
impossibilita' di vincolare le ritenute, a  garanzia  dei  versamenti
agli enti previdenziali e assicurativi,  al  rilascio  del  documento
unico di regolarita' contributiva - si rivela in effetti assertiva  e
apodittica, limitandosi ad affermare il  vulnus  senza  ulteriormente
circostanziare i termini e le ragioni  della  dedotta  illegittimita'
costituzionale. 
    Deve pertanto essere dichiarata  inammissibile  la  questione  di
legittimita' costituzionale,  promossa  in  riferimento  all'art.  81
Cost., dell'art. 9 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021. 
    3.2.- Quanto alla denunciata violazione  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera e), Cost., la Regione Veneto ne deduce l'insussistenza
sulla base di due argomentazioni. 
    Per un verso, si assume che per effetto del  richiamo,  nell'art.
36 cod. contratti pubblici, dei soli «principi» di cui  all'art.  30,
comma 1, del medesimo codice  come  fonte  regolativa  dei  contratti
sotto soglia, la ritenuta di garanzia  di  cui  al  comma  5-bis  del
medesimo art. 30 non si applicherebbe a tale tipologia di  contratti,
e questo dimostrerebbe la legittimita' dell'impugnato  art.  9  della
legge reg. Veneto n. 27 del 2021. 
    Per altro  verso,  si  osserva  che,  afferendo  la  ritenuta  di
garanzia alla fase dell'esecuzione del contratto e non a quella della
selezione dei contraenti, la stessa sarebbe estranea  alle  finalita'
di tutela della concorrenza. 
    3.2.1.- La questione e' fondata. 
    In primo luogo, deve escludersi che  il  tenore  letterale  e  la
ratio dell'art. 36 cod. contratti pubblici autorizzino a ritenere che
la disciplina derogatoria dettata per i  contratti  sotto  soglia  si
riferisca anche alle norme del medesimo codice poste a  tutela  della
regolarita' del rapporto di lavoro  dei  dipendenti  degli  operatori
coinvolti nell'esecuzione dei contratti. 
    Le deroghe alla disciplina generale effettuate dall'art.  36  del
richiamato codice riguardano  infatti  pressoche'  esclusivamente  la
fase dell'aggiudicazione, come e'  dimostrato  dalla  disciplina  dei
successivi commi del citato articolo; in ogni caso,  le  deroghe  non
possono incidere su previsioni, quale quella contenuta nell'art.  30,
comma 5-bis, cod. contratti pubblici, poste a garanzia  del  regolare
adempimento di oneri contributivi  e  previdenziali,  che  perseguono
finalita' di  interesse  generale  e  non  solamente  attinenti  allo
svolgimento del singolo rapporto contrattuale. 
    Ne', in secondo luogo, si puo' ritenere  che  alla  generalizzata
applicazione della ritenuta di garanzia, in  quanto  ricadente  nella
fase di esecuzione del contratto e non in  quella  di  selezione  dei
contraenti e di aggiudicazione, restino estranee finalita' di  tutela
della concorrenza. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,  «la  nozione
di "concorrenza" di cui al secondo comma, lettera e),  dell'art.  117
Cost. "non puo' non riflettere  quella  operante  in  ambito  europeo
(sentenze n. 83 del 2018, n. 291 e n. 200 del 2012, n. 45 del  2010).
Essa comprende, pertanto, sia le  misure  legislative  di  tutela  in
senso proprio, intese a contrastare gli atti e i comportamenti  delle
imprese che incidono negativamente  sull'assetto  concorrenziale  dei
mercati, sia le misure legislative di promozione, volte  a  eliminare
limiti  e  vincoli   alla   libera   esplicazione   della   capacita'
imprenditoriale e della competizione tra  imprese  (concorrenza  'nel
mercato'), ovvero a prefigurare procedure concorsuali di garanzia che
assicurino la piu' ampia apertura del mercato a tutti  gli  operatori
economici (concorrenza 'per il mercato')» (sentenza n. 137 del  2018,
richiamata dalla sentenza n. 4 del 2022). 
    Alla luce di tale orientamento,  che  impone  di  considerare  la
nozione di concorrenza nel contesto del diritto dell'Unione  europea,
non puo' ritenersi che la fase dell'esecuzione contrattuale,  poiche'
successiva alla procedura di gara, sia per cio'  solo  estranea  alla
materia  della  concorrenza.  Si  consideri  che  le  direttive   del
Parlamento europeo e del Consiglio del 2014 in materia  di  contratti
pubblici   (direttive   del   26   febbraio   2014   n.   2014/23/UE,
sull'aggiudicazione dei  contratti  di  concessione,  n.  2014/24/UE,
sugli appalti pubblici e che abroga la  direttiva  2004/18/CE,  e  n.
2014/25/UE,  sulle  procedure  d'appalto  degli  enti  erogatori  nei
settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali
e che abroga la  direttiva  2004/17/CE),  ispirate  al  principio  di
libera concorrenza, regolano anche profili attinenti  all'esecuzione,
in quanto in grado di condizionare il gioco competitivo. 
    L'istituto della ritenuta di garanzia, disciplinato dall'art. 30,
comma  5-bis,  cod.  contratti  pubblici,   sebbene   sia   volto   a
disciplinare  le  procedure   di   pagamento   e   quindi   afferisca
materialmente alla fase dell'esecuzione del contratto, si raccorda da
un punto di vista funzionale e teleologico  alle  altre  disposizioni
del codice poste  a  tutela  del  rispetto,  da  parte  del  soggetto
affidatario o esecutore del contratto, degli obblighi contributivi  e
previdenziali,  costituendone  pertanto  un'essenziale  articolazione
procedimentale. 
    Ad assumere rilievo, a tal fine,  sono  le  previsioni  contenute
nell'art. 80, comma 4,  cod.  contratti  pubblici  -  con  cui  viene
stabilita l'esclusione dalla procedura per i concorrenti in relazione
ai quali siano emerse «violazioni gravi,  definitivamente  accertate,
rispetto agli obblighi relativi al pagamento delle imposte e tasse  o
dei contributi previdenziali», tra le quali rientrano  specificamente
quelle «ostative al  rilascio  del  documento  unico  di  regolarita'
contributiva»  -,  nonche'  nei  successivi  artt.   113-bis,   comma
1-quinquies, e 105, comma 10. Quest'ultimo, in  particolare,  prevede
che «[p]er i contratti relativi a lavori,  servizi  e  forniture,  in
caso di ritardo nel pagamento delle retribuzioni dovute al  personale
dipendente  dell'esecutore  o  del  subappaltatore  o  dei   soggetti
titolari di subappalti e cottimi, nonche'  in  caso  di  inadempienza
contributiva  risultante   dal   documento   unico   di   regolarita'
contributiva, si applicano le disposizioni di  cui  all'articolo  30,
commi 5 e 6». 
    E proprio le disposizioni da ultimo richiamate attribuiscono alla
stazione appaltante  il  potere  di  trattenere  dal  certificato  di
pagamento, «[i]n caso di  inadempienza  contributiva  risultante  dal
documento unico di regolarita' contributiva»  relativo  al  personale
impiegato nell'esecuzione del  contratto,  «l'importo  corrispondente
all'inadempienza per  il  successivo  versamento  diretto  agli  enti
previdenziali e assicurativi»  (art.  30,  comma  5),  o  di  operare
direttamente  le  retribuzioni  dovute  al  personale,  detraendo  il
relativo importo dalle somme dovute all'esecutore del contratto (art.
30, comma 6). 
    3.2.2.- La ritenuta disciplinata dall'art. 30, comma 5-bis,  cod.
contratti  pubblici,  pertanto,  e'  istituto  volto   a   presidiare
l'effettivita' delle garanzie che la stazione appaltante e' tenuta ad
assolvere, in funzione anche surrogatoria rispetto all'aggiudicatario
o agli altri esecutori, nei confronti del personale  impiegato  nelle
attivita'  di  esecuzione  del  contratto.   Ne   discende   che   e'
riconducibile alla sua ratio  anche  l'esigenza  di  non  vanificare,
durante l'ultima fase della procedura di esecuzione,  le  istanze  di
correttezza e  le  piu'  generali  finalita'  di  salvaguardia  delle
esigenze sociali che gravano sull'aggiudicatario e assumono specifico
rilievo a partire dal momento in cui avviene la selezione. 
    La  continuita'  che  deve   sussistere   lungo   l'intera   fase
procedimentale - dalla predisposizione dei  meccanismi  di  selezione
del  contraente,  all'aggiudicazione  del  contratto   e   alla   sua
esecuzione - con riguardo all'effettivo rispetto degli  obblighi  nei
confronti dei lavoratori, impone di ritenere che anche la  previsione
della ritenuta di garanzia assolva a finalita' inerenti  alla  tutela
della  concorrenza,   perche'   rafforza   e   conferisce   ulteriore
effettivita' alla necessita' che le imprese si mantengano in possesso
dei requisiti di regolarita' contributiva e previdenziale,  cosi'  da
non menomare l'originaria par condicio tra i soggetti in gara. 
    Nel contesto della contrattualistica pubblica, la garanzia  della
correttezza degli operatori - che deve sussistere lungo l'intera vita
della vicenda contrattuale (dalla  procedura  di  selezione  fino  al
compimento dell'esecuzione del contratto)  -  non  riguarda  solo  il
rapporto tra il contraente pubblico e il soggetto aggiudicatario,  ma
e' un elemento essenziale per  assicurare  parita'  di  condizioni  a
tutti gli operatori economici interessati ad agire nel mercato in cui
si  inserisce  la  gara.  In  questa  prospettiva,  le  garanzie  che
assicurano la correttezza degli operatori (nella specie,  concernente
il  profilo  contributivo)  afferiscono  anche  alla   tutela   della
concorrenza. 
    Questa Corte, del resto,  ha  gia'  affermato  che  «il  corretto
adempimento  degli  obblighi  contributivi  costituisce   misura   di
garanzia della tutela della  concorrenza  "nel  mercato"»  e  che  la
finalita' perseguita dal documento unico di regolarita' contributiva,
che e' quella «della tutela del lavoro regolare e della  salvaguardia
dei relativi  diritti  di  previdenza  e  assistenza»,  ha  «evidenti
riflessi sulla tutela della concorrenza» (sentenza n. 141 del 2020). 
    Alla luce di cio', si deve ritenere che l'esonero dalla  ritenuta
di  garanzia  operato  dalla  disposizione  impugnata,  relativa   ai
contratti  pubblici   incidenti   sul   territorio   regionale,   non
conformandosi alla regola stabilita dalla legge statale anche in nome
della tutela della  concorrenza  (nell'art.  30,  comma  5-bis,  cod.
contratti pubblici) violi l'art.  117,  secondo  comma,  lettera  e),
Cost. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 9 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021. 
    4.- Il ricorrente impugna anche l'art. 19 della legge reg. Veneto
n. 27 del 2021, in riferimento agli artt. 3 e 9 Cost. 
    Tale disposizione modifica l'art. 2, comma 2,  della  legge  reg.
Veneto n. 41 del 1988 il quale, prima della sua  modifica,  prevedeva
che il limite all'estrazione di sabbie e ghiaie negli alvei  e  nelle
zone golenali  dei  corsi  d'acqua  e  nelle  spiagge  e  fondali  di
competenza regionale, in assenza di piani estrattivi, «e' abbassato a
20.000 metri  cubi».  Per  effetto  della  modifica  apportata  dalla
disposizione impugnata, il medesimo limite  «e'  abbassato  a  20.000
metri cubi per singolo intervento». Il secondo periodo  del  medesimo
comma 2, anch'esso introdotto dall'impugnato art. 19 della legge reg.
Veneto n. 27 del 2021, prevede poi che «[p]ossono  essere  presentati
dal medesimo soggetto progetti di estrazione e asporto  di  sabbia  e
ghiaia, finalizzati alla sicurezza e  alla  buona  regimazione  delle
acque, per quantitativi complessivi fino ad un massimo pari ad 80.000
metri cubi, da realizzare attraverso singoli  interventi  di  entita'
non superiore a 20.000 metri cubi». 
    Il ricorrente lamenta la riduzione, attraverso lo  stravolgimento
della precedente previsione,  del  livello  di  tutela  ambientale  e
paesaggistica che discenderebbe dall'ampliamento dei quantitativi  di
materiali litoidi che possono essere prelevati, in assenza  di  piani
estrattivi, da aree soggette a vincoli ex lege quali quelli  relativi
all'art. 142, comma 1, lettere a), b) e c), cod. beni culturali,  per
di  piu'  in  una  Regione,  come  il   Veneto,   ancora   priva   di
pianificazione paesaggistica. 
    La difesa regionale contesta l'assunto, muovendo dal  presupposto
che, con le modifiche apportate dall'art. 19 della legge reg.  Veneto
n. 27 del 2021, il livello di tutela si sarebbe in realta' innalzato,
perche' al limite di 20.000 metri  cubi  per  singolo  intervento  si
aggiungerebbe  oggi  quello  in  grado  di  vincolare   i   «progetti
pluristrutturati», che incontrerebbero anche  il  limite  complessivo
(per un massimo di quattro interventi di estrazione) di 80.000  metri
cubi. 
    4.1.- E' necessario, prima di affrontare la questione nel merito,
ricostruire il quadro normativo in cui si inserisce  la  disposizione
impugnata, anche alla luce  della  disciplina  statale  che  ha,  nel
tempo, regolamentato l'esercizio delle  funzioni  regionali  connesse
all'autorizzazione di tali attivita' estrattive. 
    4.1.1.- L'art. 1 della legge reg. Veneto n.  41  del  1988,  come
sostituito dall'art. 2, comma 1, della legge della Regione Veneto  25
novembre 2019, n. 45 (Legge di stabilita'  regionale  2020),  prevede
attualmente che  «[l]'estrazione  e  l'asporto  di  sabbia  e  ghiaie
nell'alveo e nelle zone golenali dei corsi d'acqua e nelle spiagge  e
fondali lacuali di  competenza  regionale,  laddove  si  appalesi  la
necessita'  di  attuare  interventi  per  la  sicurezza  e  la  buona
regimazione  delle  acque,  e'  regolata  da  piani   di   estrazione
predisposti dagli uffici regionali del Genio civile e  approvati  dal
direttore della struttura regionale competente in materia  di  difesa
del suolo». 
    L'art. 2, comma 1,  della  legge  reg.  Veneto  n.  41  del  1988
prevede, inoltre, che l'attivita' di estrazione di  sabbie  e  ghiaie
debba essere autorizzata, «sotto il profilo della compatibilita'  con
il buon regime delle  acque  e  in  armonia  coi  piani  stessi»  dal
direttore dell'ufficio regionale  del  Genio  civile  competente  per
territorio fino a 30.000 metri cubi  e,  oltre  tale  quantita',  dal
direttore della struttura regionale competente in materia  di  difesa
del suolo. 
    Il successivo comma 2 dell'art. 2 della medesima legge regionale,
come modificato, da ultimo, dalla disposizione impugnata,  stabilisce
le condizioni per l'esercizio dell'attivita' estrattiva in assenza di
piani, prevedendo come detto che, in tal caso, il limite e' abbassato
a 20.000 metri cubi per singolo intervento (laddove in  passato  tale
ultimo inciso non era contemplato) e,  inoltre,  che  possono  essere
presentati progetti di estrazione e asporto di materiali, finalizzati
alla  sicurezza  e  alla  buona   regimazione   delle   acque,   «per
quantitativi complessivi fino a un massimo pari ad 80.000 metri cubi,
da realizzare attraverso singoli interventi di entita' non  superiore
a 20.000 metri cubi». 
    E' necessario  rilevare,  infine,  che,  ai  sensi  del  comma  3
dell'art. 2  della  richiamata  legge  regionale,  le  autorizzazioni
previste dal comma 1 (cioe' nei casi in cui i piani estrattivi  siano
stati adottati) e dal comma 2 (cioe' nel caso in cui tali  piani  non
vi siano) «sono rilasciate in conformita' alla disciplina vigente  in
materia di valutazione di impatto ambientale». 
    4.1.2.- Per il suo contenuto, la disposizione impugnata mostra di
avere una potenziale incidenza su  alcune  aree  soggette  a  vincolo
paesaggistico ex lege, in particolare su  «i  fiumi,  i  torrenti,  i
corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo  unico  delle
disposizioni di legge sulle acque ed  impianti  elettrici,  approvato
con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative  sponde  o
piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna»  (art.  142,
comma 1, lettera c, cod. beni culturali). 
    L'attivita'  di  redazione  degli  elenchi  e,   con   essa,   la
ricognizione  dei  corsi  d'acqua  cui  riconoscere  tutela  a   fini
paesaggistici e' stata demandata alle regioni gia' con  l'art.  1-ter
del decreto-legge 27 giugno 1985, n. 312 (Disposizioni urgenti per la
tutela delle zone di particolare interesse  ambientale),  convertito,
con modificazioni, nella legge 8 agosto 1985, n. 431. 
    L'avvenuto completamento di tale  attivita'  di  ricognizione  ha
comportato  l'individuazione  dei  corsi  d'acqua  cui  applicare  il
complesso delle norme statali poste a tutela del paesaggio  in  tutte
le  sue  articolazioni,  nelle  quali  rientrano  anche  gli  aspetti
naturalistici legati al regime delle acque. In  questa  ottica,  gia'
l'art. 5 della legge 5 gennaio 1994,  n.  37  (Norme  per  la  tutela
ambientale delle aree demaniali dei fiumi, dei torrenti, dei laghi  e
delle altre acque pubbliche), prevedeva  che  «[s]ino  a  quando  non
saranno adottati  i  piani  di  bacino  nazionali,  interregionali  e
regionali, previsti dalla legge 18 maggio 1989, n. 183, e  successive
modificazioni, i provvedimenti che  autorizzano  il  regolamento  del
corso dei fiumi e dei torrenti, gli interventi di bonifica  ed  altri
simili destinati ad incidere sul regime delle acque, compresi  quelli
di estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale  e  lacuale,
devono essere adottati sulla base di valutazioni preventive  e  studi
di impatto, redatti  sotto  la  responsabilita'  dell'amministrazione
competente al rilascio del provvedimento autorizzativo». 
    Successivamente, per effetto degli artt.  86  e  89  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti
amministrativi dello Stato alle  regioni  ed  agli  enti  locali,  in
attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59)  molte  delle
funzioni amministrative relative alla gestione  del  demanio  idrico,
tra cui quelle concernenti le «concessioni di estrazione di materiale
litoide dai corsi d'acqua» (art. 89, comma 1, lettera d), sono  state
trasferite alle regioni, che quindi sono oggi chiamate a  individuare
i corsi d'acqua di interesse paesaggistico e a svolgere  le  funzioni
amministrative inerenti al demanio idrico, anche esercitando i poteri
autorizzatori connessi a tali attivita' estrattive. 
    4.2.- Poste tali premesse, la questione e' fondata. 
    Contrariamente a quanto dedotto dalla difesa regionale, l'esegesi
della disposizione impugnata conduce a ritenere che, con le modifiche
ad essa da ultimo apportate, siano state  considerevolmente  ampliate
le quantita' di materiale litoide  che  puo'  essere  estratto  dagli
alvei e dalle zone golenali in assenza di appositi piani  redatti  ai
sensi dell'art. 1 della legge reg. Veneto n. 41 del 1988. 
    Laddove,   infatti,   l'eccezionalita'    di    un'autorizzazione
all'attivita'  estrattiva  in  assenza  di  piani  doveva  portare  a
qualificare come non replicabile il prelievo straordinario nei limiti
dei 20.000 metri cubi, oggi l'assolutezza del limite e' rapportata  a
una pluralita' di interventi di estrazione e commisurata a un  volume
massimo quattro volte superiore (pari a 80.000 metri cubi), senza che
la disposizione, inoltre, circoscriva  l'attivita'  in  questione  ai
medesimi materiali da estrarre e a un medesimo contesto geografico. 
    Alla luce di cio', il ricorrente ha ragione nel dolersi non tanto
di un difetto di competenza  del  legislatore  veneto  a  intervenire
nella materia de qua, ma di un irragionevole esercizio della medesima
con riguardo alla specifica norma in esame. 
    In considerazione del fatto  che  l'attivita'  di  estrazione  in
questione incide significativamente su beni vincolati ex lege a  fini
di tutela paesaggistica, risulta evidente l'irragionevolezza  di  una
previsione che, per il caso di assenza di piani  estrattivi,  aumenti
le  quantita'  di  materiale  litoide  estraibile  rispetto  al  piu'
rigoroso limite precedentemente  previsto  dallo  stesso  legislatore
veneto a tutela del buon regime delle acque. 
    A fronte della  previsione  di  portata  generale  che  subordina
l'autorizzazione  degli   interventi   estrattivi   alla   necessaria
compatibilita' con le previsioni del piano (art. 2,  comma  1,  della
legge reg. Veneto n.  41  del  1988)  -  individuando,  fra  l'altro,
diverse autorita' preposte al rilascio della  stessa  a  seconda  del
superamento o meno della soglia di 30.000  metri  cubi  di  materiale
litoide da asportare - la scelta di consentire in via eccezionale, in
assenza del piano, interventi che possono  condurre  al  prelievo  di
quantitativi  complessivi   del   medesimo   materiale   notevolmente
superiori (fino a 80.000 metri cubi) appare manifestamente incongrua. 
    E' necessario, peraltro, considerare che  in  Veneto  non  si  e'
ancora  addivenuti  al  completamento  del  percorso  concertato   di
pianificazione  paesaggistica,  e  che,  al   fine   della   relativa
valutazione di compatibilita', non puo' sopperire la  valutazione  di
impatto ambientale, rivolta ad altri fini. 
    Pertanto, in considerazione  dell'irragionevolezza  della  scelta
del legislatore veneto di aumentare la quantita' di materiali litoidi
che  si  possono  estrarre  in  assenza  di   piani   estrattivi,   e
dell'incidenza che tale ampliamento determina sulla  salvaguardia  di
un adeguato livello di tutela dell'ambiente  e  del  paesaggio,  deve
ritenersi sussistente il  contrasto  tra  la  disposizione  regionale
impugnata e gli artt. 3 e 9 Cost. 
    Deve, pertanto, essere dichiarata l'illegittimita' costituzionale
dell'art. 19 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021. 
    5.- Oggetto di impugnazione e', infine,  l'art.  20  della  legge
reg. Veneto n. 27 del 2021, in  base  al  quale  le  strutture  della
Giunta regionale competenti  per  territorio  vengono  autorizzate  a
effettuare «interventi di ripristino di  condizioni  di  sicurezza  e
officiosita' idraulica che prevedono la rimozione di schianti, piante
morte, piante a rischio caduta o la cui presenza  riduca  la  sezione
dell'alveo necessaria a garantire il  libero  deflusso  delle  acque»
(comma 1). 
    Il ricorso deduce la violazione  dell'art.  117,  commi  secondo,
lettere m) e s), e sesto, Cost., poiche' gli interventi in  questione
riguarderebbero ambiti soggetti a vincolo paesaggistico  ex  lege  ai
sensi dell'art. 142,  comma  1,  lettere  b),  c)  e  g),  cod.  beni
culturali  e  dovrebbero,  quindi,  essere  subordinati  al  rilascio
dell'autorizzazione paesaggistica, a meno di ritenerli  riconducibili
alle fattispecie previste dall'art. 149 del sopra richiamato  codice,
come specificate nell'Allegato A al d.P.R. n. 31  del  2017,  nonche'
dall'art. 36 del d.l. n. 77 del 2021, come convertito. 
    5.1.- Preliminarmente, devono essere dichiarate inammissibili  le
censure  riferite  alla  violazione  dell'art.  117,  commi  secondo,
lettera m),  e  sesto,  Cost.,  in  quanto  non  sorrette  da  alcuna
argomentazione e, pertanto, prospettate in maniera del tutto generica
e apodittica. 
    5.2.- Nel merito, la questione relativa alla violazione dell'art.
117, secondo comma, lettera s), Cost., non e' fondata, nei termini di
seguito precisati. 
    L'impugnato art. 20 della  legge  reg.  Veneto  n.  27  del  2021
demanda  alle  strutture  della  Giunta  regionale  il   compito   di
effettuare, a fini di «prevenzione e riduzione del rischio  idraulico
sui corsi d'acqua di competenza regionale», «interventi di ripristino
di condizioni di sicurezza e officiosita' idraulica che prevedono  la
rimozione di schianti, piante morte, piante a rischio caduta o la cui
presenza riduca la  sezione  dell'alveo  necessaria  a  garantire  il
libero deflusso delle acque» (comma 1). 
    Se e' vero che tali  interventi,  come  sostiene  il  ricorrente,
mostrano di incidere potenzialmente  su  ambiti  oggetto  di  vincolo
paesaggistico ex lege, quali quelli di cui  all'art.  142,  comma  1,
lettere b) («territori contermini ai laghi  compresi  in  una  fascia
della profondita' di 300 metri dalla linea di battigia»), c)  (fiumi,
torrenti, e corsi d'acqua) e g) (i territori coperti da foreste e  da
boschi,  ancorche'  percorsi  o  danneggiati  dal  fuoco,  e   quelli
sottoposti a vincolo di rimboschimento), cod. beni culturali, si deve
osservare,  d'altro  canto,  che   essi   risultano   sostanzialmente
equivalenti alle attivita' contemplate dal punto A.25.  dell'Allegato
A  al  d.P.R.   n.   31   del   2017,   che   espressamente   esonera
dall'autorizzazione paesaggistica «interventi di  manutenzione  degli
alvei, delle sponde e degli argini dei corsi  d'acqua,  compresi  gli
interventi  sulla  vegetazione   ripariale   arborea   e   arbustiva,
finalizzati a garantire il libero deflusso  delle  acque  e  che  non
comportino  alterazioni  permanenti  della  visione  d'insieme  della
morfologia del corso d'acqua; interventi di manutenzione e ripristino
funzionale dei sistemi di scolo e smaltimento  delle  acque  e  delle
opere idrauliche in alveo». 
    Come questa Corte ha affermato  in  piu'  occasioni,  benche'  le
disposizioni contenute in tale atto regolamentare non  siano  di  per
se' sole idonee, per la loro collocazione nel sistema delle fonti, «a
veicolare le grandi riforme  economico-sociali»,  esse  costituiscono
«senza dubbio espressione dei  principi  enunciati  dalla  legge,  in
particolare dagli artt. 146 e 149  cod.  beni  culturali,  che,  come
visto, costituiscono norme fondamentali di riforma  economico-sociale
idonee a vincolare anche la potesta' legislativa regionale  primaria»
(sentenze n. 21 del 2022 e n. 160 del 2021). 
    Nel caso di specie, l'ambito e la finalizzazione degli interventi
di cui alla disposizione  impugnata  coincidono  in  modo  pressoche'
integrale con quanto la norma statale  ora  richiamata  espressamente
sottrae all'autorizzazione  paesaggistica,  con  la  conseguenza  che
l'attivita' demandata alle strutture della Giunta regionale dall'art.
20 della legge reg. Veneto n. 27 del 2021 non  potra'  che  svolgersi
nei  limiti  segnati  dalla  norma  interposta  statale,  anche   con
riferimento alle parti di  essa  non  testualmente  riprodotte  nella
disposizione  impugnata,  ma  chiaramente  in  essa  implicate,   non
ostandovi il loro tenore letterale  (con  riguardo,  in  particolare,
alla necessita' che  gli  interventi  in  questione  «non  comportino
alterazioni permanenti della visione d'insieme della  morfologia  del
corso d'acqua»). 
    Cosi' interpretata la disposizione  impugnata,  la  questione  di
legittimita' costituzionale promossa nei confronti dell'art. 20 della
legge reg. Veneto n.  27  del  2021  per  violazione  dell'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. deve essere dichiarata non fondata. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  9  della
legge della Regione Veneto 21 settembre 2021, n. 27 (Disposizioni  di
adeguamento ordinamentale 2021 in materia di governo del  territorio,
viabilita', lavori pubblici, appalti, trasporti e ambiente); 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  19  della
legge reg. Veneto n. 27 del 2021; 
    3)  dichiara   inammissibile   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 9 della legge reg. Veneto n.  27  del  2021,
promossa,  in  riferimento  all'art.  81  della   Costituzione,   dal
Presidente del Consiglio dei ministri  con  il  ricorso  indicato  in
epigrafe; 
    4)  dichiara   inammissibili   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 20 della legge reg. Veneto n. 27  del  2021,
promosse, in riferimento all'art. 117, commi secondo, lettera  m),  e
sesto, Cost., dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  con  il
ricorso indicato in epigrafe; 
    5)  dichiara   non   fondata   la   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1 della legge reg. Veneto n.  27  del  2021,
promossa, in riferimento all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  l),
Cost., dal Presidente del  Consiglio  dei  ministri  con  il  ricorso
indicato in epigrafe; 
    6) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  20  della  legge
reg. Veneto n. 27 del 2021, promossa, in  riferimento  all'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 febbraio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                     Stefano PETITTI, Redattore 
             Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria 
 
    Depositata in Cancelleria il 17 marzo 2023. 
 
                   Il Direttore della Cancelleria 
                        F.to: Roberto MILANA