N. 12 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2023

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 7 marzo 2023 (della Regione Liguria). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali -  Legge  di  bilancio
  2023  -  Previsione   che   attribuisce   l'onere   dell'emolumento
  accessorio dell'1,5 per cento dello stipendio da erogare una tantum
  per  tredici  mensilita'  al  personale  dipendente  a  carico  del
  bilancio dei Comuni. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali -  Legge  di  bilancio
  2023 - Modifiche alla legge  di  bilancio  2017  -  Previsione  che
  integra il fondo di solidarieta' comunale  per  l'anno  2023  nella
  misura di euro 50 milioni. 
- Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello  Stato
  per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il  triennio
  2023-2025), art. 1, commi 332 e 774. 
(GU n.14 del 5-4-2023 )
    Ricorso ex art. 127, comma 2, della  Costituzione  della  Regione
Liguria (codice fiscale n. 00849050109), in persona del Presidente  e
legale rappresentante pro tempore, Giovanni Toti, con sede legale  in
Genova, piazza Raffaele De Ferrari n. 1, rappresentata e  difesa,  ai
fini del presente giudizio, dall'avv. Pietro Piciocchi  del  Foro  di
Genova        (C.F.        PCCPTR77H10D969U         -         P.E.C.:
pietro.piciocchi@ordineavvgenova.it), con domicilio eletto presso  il
suo studio in Genova, via Assarotti n. 48/6, giusta procura  speciale
in calce al presente atto e delibera della Giunta  regionale  n.  143
del 24 febbraio 2022 (doc. n. 1), 
    contro Presidenza del Consiglio  dei  ministri,  in  persona  del
Presidente del Consiglio dei Ministri  e  legale  rappresentante  pro
tempore, nel domicilio ex lege  presso  l'Avvocatura  generale  dello
Stato, via dei Portoghesi n. 12, 
 
                         per l'annullamento 
 
    - dell'art. 1, comma 332, legge 29 dicembre  2022,  n.  197,  per
contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e 120, comma  2,
della  Costituzione,  nella  parte   in   cui   attribuisce   l'onere
dell'emolumento accessorio dell'1,5  per  cento  dello  stipendio  da
erogare una tantum per tredici mensilita' al personale  dipendente  a
carico del bilancio dei comuni, anziche' a carico del bilancio  dello
Stato, ovvero nella parte in cui non prevede alcuna forma di  congruo
ristoro a vantaggio dei  bilanci  dei  comuni,  omettendo,  altresi',
qualunque intesa in sede di Conferenza Stato Citta'; 
    - dell'art. 1, comma 774, legge 29 dicembre  2022,  n.  197,  per
contrasto con gli articoli 5, 119, commi 1, 3 e 4, e  120,  comma  2,
della Costituzione, nella parte in  cui  prevede  l'integrazione  del
fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura  di  euro
50 milioni, anziche' in quella di euro 86 milioni, ovvero  in  quella
ritenuta congrua dalla Corte costituzionale al fine di assicurare  la
sterilizzazione degli effetti negativi in termini di contrazione  dei
trasferimenti  a   seguito   dell'incedere   della   percentuale   di
perequazione ai sensi dell'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del
2019, convertito dalla legge n. 157 del 2019. 
 
                                Fatto 
 
    1) Il Consiglio delle Autonomie  Locali  della  Regione  Liguria,
istituito con legge regionale n. 11 del 2011, con delibera n.  2  del
17 febbraio 2023 (doc. n. 2),  ha  formulato  istanza  al  Presidente
della Giunta regionale della Liguria, ai sensi dell'art. 32, comma 2,
della legge n. 87 del 1953, ai fini della proposizione di ricorso  in
via  principale   a   codesta   ecc.ma   Corte   costituzionale   per
l'annullamento delle disposizioni di cui in epigrafe che, in  ragione
della  violazione  dei  parametri  di  seguito  precisati,   appaiono
gravemente  lesive  dell'autonomia  finanziaria  dei   comuni   della
Liguria, costituzionalmente garantita, della loro capacita' di spesa,
e del principio della leale collaborazione. 
    Tali  disposizioni,  non  precedute  da   alcuna   intesa   nelle
competenti sedi di raccordo interistituzionale, ne' da  alcuna  altra
forma  di  coinvolgimento  degli  organismi   rappresentativi   delle
autonomie locali, comportano, da  un  lato  significativi  incrementi
della spesa del personale esclusivamente a carico dei  bilanci  degli
enti territoriali, non preventivati nella programmazione  finanziaria
pluriennale;  dall'altro,  in  assenza  di  qualsivoglia  analisi  di
impatto, determinano per l'anno 2023 una erosione di trasferimenti  a
valere sulle quote del fondo di solidarieta'  comunale  ai  danni  di
oltre  quattromila   comuni   italiani,   tra   cui   particolarmente
penalizzati risultano essere quelli della Regione Liguria. 
    2) Piu' specificamente, con riferimento alla  prima  disposizione
impugnata, e' necessario premettere che  il  comma  330  dell'art.  1
della legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha previsto quanto segue:  «Per
l'anno 2023, gli oneri posti a carico del  bilancio  statale  per  la
contrattazione collettiva nazionale  in  applicazione  dell'art.  48,
comma 1, del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165,  e  per  i
miglioramenti economici del personale statale in  regime  di  diritto
pubblico di cui all'art. 1, comma 609, della legge 30 dicembre  2021,
n. 234, sono incrementati di  1.000  milioni  di  euro  da  destinare
all'erogazione, nel solo anno 2023, di un emolumento  accessorio  una
tantum, da corrispondere  per  tredici  mensilita',  da  determinarsi
nella misura dell'1,5 per cento dello stipendio con effetti  ai  soli
fini del trattamento di quiescenza». 
    Il successivo comma 332 - nei confronti del quale si appuntano le
censure della Regione ricorrente - stabilisce, altresi', che «Per  il
personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici
diversi dall'amministrazione statale, gli oneri di cui al comma  330,
da destinare alla medesima finalita' e da determinare sulla  base  di
quanto previsto al medesimo comma, sono posti a carico dei rispettivi
bilanci ai sensi dell'art. 48, comma 2, del  decreto  legislativo  30
marzo 2001, n. 165». 
    Con riferimento ai comuni, pertanto,  la  disposizione  impugnata
prevede che l'intero costo della misura, unilateralmente decisa dallo
Stato, senza alcun confronto in  sede  di  Conferenza  Stato  Citta',
debba essere sopportato dai rispettivi bilanci. 
    3) La seconda disposizione impugnata riguarda la  tematica  della
perequazione delle  risorse  finanziarie  tra  i  Comini  italiani  e
prevede quanto segue: "All'art. 1 della legge 11  dicembre  2016,  n.
232», sono apportate le seguenti modificazioni: 
      a) al comma 448, le parole: «in euro 7.107.513.365  per  l'anno
2023» sono sostituite dalle  seguenti:  «in  euro  7.157.513.365  per
l'anno 2023»; 
      b) al comma 449, lettera d-quater), le parole: «330 milioni  di
euro nel 2023» sono sostituite dalle seguenti: «380 milioni  di  euro
nel 2023»". 
    In termini piu' espliciti, la norma oggetto di censura incrementa
la dotazione del fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella
misura di euro 50 milioni al  fine  di  provvedere,  ai  sensi  della
lettera d-quater) del comma 449 dell'art. 1 della legge  n.  232  del
2016, agli interventi di correzione del c.d.  shock  perequativo  che
subiscono  oltre  quattromila  comuni  italiani   per   effetto   del
progressivo avanzamento della percentuale di  riparto  del  fondo  di
solidarieta' comunale fondato sul differenziale tra capacita' fiscali
e fabbisogni  standard  secondo  la  modulazione  temporale  scandita
dall'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del 2019, convertito, con
modificazioni, dalla legge n. 157 del 2019. 
    La censura si appunta sul fatto  che  tale  somma  e'  del  tutto
insufficiente ad assicurare  alle  autonomie  locali  di  non  subire
pregiudizio  per   effetto   dell'incedere   del   meccanismo   della
perequazione, in violazione, anzitutto, della regola di cui al  comma
4 dell'art. 119 della Costituzione, secondo cui le quote del fondo di
solidarieta' comunale, unitamente alle ulteriori fonti di entrata del
sistema  degli  enti  locali,  devono  concorrere  al   finanziamento
integrale delle funzioni loro  attribuite  dalla  legge,  nonche'  in
spregio alla consolidata giurisprudenza costituzionale sul divieto di
tagli lineari di carattere permanente. 
    La norma, come meglio si dira' infra, si inserisce  nel  contesto
di  un  sistema   di   perequazione   ancora   quasi   esclusivamente
orizzontale, che porta di anno in anno un numero assai consistente di
comuni a perdere irreversibilmente risorse; sistema rispetto al quale
codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di rivolgere  alcuni  moniti,
per ora del tutto inascoltati da parte del legislatore. 
 
                               Diritto 
 
  1) Impugnazione dell'art. 1, comma 332, legge 29 dicembre 2022,  n.
197, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e  120,
comma 2, della Costituzione. 
    Il comma 330 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha previsto un
emolumento   accessorio   una   tantum   per   il   personale   delle
amministrazioni statali, da corrispondersi  per  tredici  mensilita',
determinato nella misura dell'1,5  per  cento  dello  stipendio,  con
effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza. 
    Il comma 332  ha  esteso  tale  trattamento  anche  al  personale
diverso da quello delle amministrazioni statali, tra cui il personale
degli enti locali, stabilendo, altresi', che i relativi  oneri  siano
integralmente  posti  a  carico  dei  rispettivi  bilanci  «ai  sensi
dell'art. 48, comma 2, del decreto  legislativo  30  marzo  2001,  n.
165». 
    Ebbene,   secondo   tale   ultima   disposizione,   espressamente
richiamata   dalla   norma   oggetto   di   impugnazione,   «Per   le
amministrazioni  di  cui  all'art.  41,  comma  2,  nonche'  per   le
universita' italiane, gli enti pubblici non economici e gli enti e le
istituzioni di ricerca, ivi compresi gli enti e le amministrazioni di
cui all'art. 70, comma 4, gli oneri  derivanti  dalla  contrattazione
collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci
nel rispetto dell'art. 40, comma  3-quinquies.  Le  risorse  per  gli
incrementi  retributivi  per  il  rinnovo  dei  contratti  collettivi
nazionali delle amministrazioni regionali, locali e  degli  enti  del
Servizio sanitario nazionale sono definite dal Governo, nel  rispetto
dei vincoli di bilancio,  del  patto  di  stabilita'  e  di  analoghi
strumenti di contenimento della spesa, previa  consultazione  con  le
rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie». 
    Cio'  posto,  occorre  preliminarmente  precisare  che   non   e'
intenzione del Consiglio delle Autonomie Locali della Regione Liguria
contestare il riconoscimento del trattamento una tantum al  personale
dipendente  del  comparto,  che  appare  chiaramente  orientato  alla
comprensibile  finalita'  di   mitigare   le   conseguenze   negative
dell'inflazione sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, bensi' la
modalita' con cui tale emolumento e' stata  introdotto,  in  una  con
l'assenza di qualsiasi forma di ristoro a favore dei bilanci comunali
chiamati a sopportarne il costo tutt'altro che irrilevante. 
    Secondo le prime stime effettuate da I.F.E.L.,  infatti,  l'onere
di tale misura ammonterebbe  per  l'intero  settore  delle  autonomie
locali ad euro 150 milioni. 
    Ebbene, se l'art. 48, comma 2, decreto  legislativo  n.  165  del
2001, da ultimo citato, prevede, quantomeno, una consultazione previa
con le istituzioni rappresentative delle autonomie  territoriali  per
la definizione degli incrementi retributivi riferiti alla materia dei
contratti  collettivi  nazionali,  la   disposizione   impugnata   ha
stabilito unilateralmente  la  quantificazione  e  l'applicazione  di
siffatta   misura   senza   alcun   confronto   preventivo   con   le
amministrazioni che ne dovranno sostenere il peso economico, e  senza
alcuna analisi di impatto sulle finanze locali. 
    Nella prospettiva del legislatore, invero, l'art.  48,  comma  2,
decreto legislativo n. 165 del 2001 e' stato richiamato  dalla  norma
impugnata al solo fine di chiarire che  l'onere  che  scaturisce  dal
trattamento accessorio di cui al comma 330 dell'art. 1 della medesima
legge  debba  gravare  esclusivamente   sul   bilancio   degli   enti
territoriali; non certo nella parte in cui la disposizione del  testo
unico del pubblico impiego  prevede  il  metodo  della  consultazione
previa  in  materia  di   integrazioni   economiche   connesse   alla
contrattazione collettiva, la quale,  nel  caso  di  specie,  sarebbe
stata del tutto superflua, posto che il costo della misura  era  gia'
stato definito a priori dal comma 330, cui rinvia,  segnatamente,  il
comma 332 oggetto del presente gravame. 
    Nessuna forma di concertazione e'  stata  prevista,  ne'  risulta
altrimenti applicabile, e alcun ristoro e' stato introdotto in favore
dei comuni per metterli in condizione di  fronteggiare  questo  nuovo
cospicuo onere finanziario in un contesto nel quale: i) la  spesa  di
personale e' una delle voci di costo dei bilanci degli enti locali in
maggiore aumento per singola unita' (anche per effetto dei  periodici
rinnovi contrattuali, per affrontare i quali i comuni sono  costretti
ad operare consistenti accantonamenti  annuali);  ii)  numerosi  enti
locali, come meglio si vedra' infra, subiscono l'effetto negativo dei
meccanismi di perequazione e ogni anno ricevono meno risorse da parte
del fondo di solidarieta' comunale; iii) il sistema  delle  autonomie
locali e' chiamato a fronteggiare  una  crisi  senza  precedenti  con
riferimento alla spinta inflazionistica  che  ha  fatto  lievitare  i
costi dell'intera domanda di beni  e  di  servizi;  iv)  per  diretta
ammissione di I.F.E.L. - e  sul  punto  si  tornera'  piu'  avanti  -
l'attuale ordinamento della finanza locale non prevede una  dotazione
di  risorse  adeguata  ad  assicurare  l'esercizio  integrale   delle
funzioni da parte degli enti locali. 
    La  norma  in  questione,  peraltro,  e'  foriera  di   ulteriori
conseguenze che devono essere valutate alla  luce  del  principio  di
autonomia politica che la Costituzione riconosce ai vari  livelli  di
governo territoriale che compongono la Repubblica. 
    L'emolumento  accessorio  in  esame   concorre,   infatti,   alla
determinazione del raggiungimento delle soglie di spesa del personale
secondo quanto  disposto  dal  decreto  ministeriale  17  marzo  2020
(Misure per la definizione delle capacita' assunzionali di  personale
a tempo indeterminato dei comuni): nel momento in cui sono i comuni a
dover sopportare interamente la relativa voce di spesa, e' del  tutto
evidente che le rispettive capacita' assunzionali saranno decisamente
ridimensionate, e un tale esito appare del tutto paradossale  in  una
contingenza storica in cui i comuni sono chiamati ad attuare il Piano
Nazionale di  Ripresa  e  Resilienza  e  necessitano  di  consistenti
innesti di personale anche per potere  rimediare  al  fenomeno  della
drammatica riduzione del numero degli addetti al comparto  registrato
negli ultimi dieci anni a seguito  della  contrazione  delle  risorse
finanziarie disponibili (l'I.F.E.L. attesa che tra il 2010 e il  2020
il personale dei comuni e' diminuito del 24%, con  una  riduzione  di
ben 112 mila unita' in servizio). 
    In altri termini, rebus  sic  stantibus,  in  una  condizione  di
complessiva rigidita' dei bilanci degli enti locali nel nostro Paese,
al fine di salvaguardare gli equilibri, mantenendo cosi' invariata la
spesa, l'unica soluzione sara' quella di  rinunciare  in  parte  alle
assunzioni, compromettendo il conseguimento dei risultati dell'azione
amministrativa,  quando  non  il  normale  esercizio  delle  funzioni
fondamentali. 
    E' superfluo evidenziare come anche su tali ricadute  di  sistema
non vi sia stata alcuna valutazione da parte del legislatore. 
    Tanto  premesso,  la  disposizione  impugnata,  ad  avviso  della
Regione esponente, contrasta con molteplici parametri costituzionali. 
    Risultano lesi, in primo luogo, gli articoli 5, 114 e 119,  comma
1, della Costituzione perche' tale norma, ingessando la capacita'  di
spesa degli enti  locali,  caricandoli  di  un  onere  non  previsto,
comporta una violazione dell'autonomia politica  e  delle  competenze
finanziarie degli enti medesimi,  impattando  sulla  possibilita'  di
questi ultimi di perseguire, con mezzi idonei  anche  in  termini  di
adeguato numero di  risorse  umane,  il  proprio  indirizzo  politico
amministrativo. 
    Tale disposizione infrange, per altro verso, l'insegnamento  reso
da codesta ecc.ma Corte Costituzionale relativamente al principio del
parallelismo tra  responsabilita'  di  disciplina  e  responsabilita'
finanziaria dopo la riforma del Titolo V della  parte  seconda  della
Costituzione, costantemente ribadito a partire dalla sentenza n.  370
del 2003 (cfr. ex plurimis Corte costituzionale sentenza n. 16  e  n.
17 del 2004; n. 17 del 2005; e, piu' recentemente, sentenza n. 40 del
2022). 
    Giacche' la disciplina dei rinnovi contrattuali che riguardano la
contrattazione collettiva del comparto degli enti locali deve  essere
ricondotta alla competenza legislativa esclusiva  dello  Stato  nella
materia  «ordinamento  civile»  (ex  plurimis  Corte  costituzionale,
sentenza n. 255 del 2022), spetta, altresi',  allo  Stato  provvedere
alle risorse  finanziarie  necessarie  per  farvi  fronte,  facendosi
direttamente carico  del  relativo  onere,  ovvero  assicurando  alle
amministrazioni territoriali forme di adeguato ristoro. Appare  leso,
in secondo luogo, l'art. 119, comma 4, della Costituzione  in  quanto
la disposizione censurata, aggravando ulteriormente la spesa corrente
locale per il costo del personale e senza alcuna  previa  valutazione
d'impatto, infrange la regola  secondo  la  quale  il  sistema  delle
entrate degli enti territoriali, come  strutturato  dalla  pertinente
disposizione  costituzionale,  deve  consentire  l'assolvimento   del
normale esercizio delle funzioni ad essi attribuite. 
    Si ribadisce, a tale  riguardo,  come  sia  del  tutto  intuitivo
l'effetto che siffatta norma produrra' in  termini  di  riduzione  di
servizi ovvero di turn over  del  personale  in  un  momento  storico
caratterizzato, semmai, dalla necessita' di rinforzare  gli  organici
per l'attuazione del P.N.R.R. dopo anni di contrazione di risorse. 
    Si censura, in terzo ed ultimo luogo, la violazione del principio
della leale collaborazione  di  cui  all'art.  120,  comma  2,  della
Costituzione in quanto la norma  impugnata,  pur  incidendo  in  modo
profondo nelle finanze territoriali, imponendo agli enti che ne  sono
destinatari una revisione della spesa, in primis per cio' che attiene
alla programmazione del fabbisogno del  personale,  non  prevede  ne'
alcuna  intesa,  ne'  altra  forma  di  consultazione  con  gli  enti
rappresentativi delle autonomie locali  (il  che  avrebbe  consentito
allo Stato di misurarne gli impatti). 
    Nemmeno si comprende, d'altra parte, il motivo per cui il  metodo
della consultazione previa e della concertazione  previsto  dall'art.
48, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001, cui il  legislatore
si e' autovincolato  nel  caso  della  definizione  degli  incrementi
contrattuali, non sia stato esteso alla fattispecie de qua (cio'  che
sarebbe stato imposto anche da comprensibili ragioni  di  omogeneita'
di trattamento), procedendosi, in contrario, a determinare a priori e
per via legislativa la quantificazione della misura. 
    Secondo il magistero di codesta ecc.ma Corte -  lo  ricordiamo  a
noi stessi - la regola della leale collaborazione, nel quadro  di  un
sistema  di  decentramento  politico  e  amministrativo  fondato  sul
modello della coesione  e  della  solidarieta',  nonche'  sulla  pari
dignita' istituzionale di tutti i livelli di governo  che  compongono
la  Repubblica,  costituisce  «un  principio  guida   nell'evenienza,
rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio  tra  materie  e
competenze» (Corte costituzionale, sentenza n. 251 del 2016). 
    E ancora: «il principio di leale cooperazione deve  governare  il
rapporto tra lo Stato e le Regioni [ma lo stesso vale  per  gli  enti
locali] nelle materie  e  in  relazione  alle  attivita'  in  cui  le
rispettive competenze concorrano  o  si  intersechino,  imponendo  un
contemperamento dei relativi interessi. Tale regola, espressione  del
principio costituzionale fondamentale per cui  la  Repubblica,  nella
salvaguardia della sua unita',  riconosce  e  promuove  le  autonomie
locali, alle cui esigenze adegua i principi  e  i  metodi  della  sua
legislazione (art. 5 della Costituzione),  va  al  di  la'  del  mero
riparto costituzionale delle competenze per materia e opera dunque su
tutto l'arco delle  relazioni  istituzionali  fra  Stato  e  Regioni»
(Corte costituzionale, sentenza n. 242 del 1997; sentenza n.  31  del
2006; sentenza n. 114 del 2009; sentenza n. 179 del 2021; sentenza n.
39 del 2013). Cio' posto, in considerazione dei molteplici  parametri
oggetto di violazione, Regione Liguria insiste per  la  dichiarazione
di incostituzionalita' della disposizione di cui in  epigrafe,  nella
parte in cui attribuisce l'onere dell'emolumento accessorio dell' 1,5
per  cento  dello  stipendio  da  erogare  una  tantum  per   tredici
mensilita' al personale dipendente a carico del bilancio dei  comuni,
anziche' a carico del bilancio dello Stato, ovvero nella parte in cui
non prevede alcuna forma di congruo ristoro a vantaggio  dei  bilanci
dei comuni, omettendo, altresi', qualunque forma di intesa in sede di
Conferenza Stato Citta'. 
  2) Impugnazione dell'art. 1, comma 774, legge 29 dicembre 2022,  n.
197, per contrasto con gli articoli 5, 119, commi 1, 3 e  4,  e  120,
comma 2, della Costituzione. 
    La disposizione impugnata incrementa la dotazione  del  fondo  di
solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura di euro 50 milioni
allo scopo di provvedere a  specifiche  esigenze  di  correzione  nel
riparto del medesimo fondo. 
    Al fine di cogliere appieno la portata  della  misura  in  esame,
occorre premettere che lo Stato, con l'art. 1, comma  848,  legge  n.
160 del 2019, aveva disposto la graduale restituzione  sul  fondo  di
solidarieta' comunale, fino all'anno 2024, della somma di euro  563,5
milioni che era stata in precedenza «tagliata» agli enti  locali  per
effetto  dell'art.  47,  comma  8,  decreto-legge  n.  66  del  2014,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, secondo la
seguente scansione temporale: 100  milioni  di  euro  nel  2020,  200
milioni di euro nel 2021, 300 milioni di euro nel 2022,  330  milioni
di euro nel 2023 e 560 milioni di euro a decorrere dal 2024. 
    La disposizione impugnata incrementa, quindi, la  somma  di  euro
300 milioni, prevista per l'anno 2022, di ulteriori euro 50 milioni. 
    Al fine del riparto di tali «risorse  aggiuntive»,  che  sfuggono
alla regola generale della  perequazione  (differenza  tra  capacita'
fiscali e fabbisogni standard) di cui alla lettera c) del  comma  449
dell'art. 1, legge n. 232 del 2016, e' stata introdotta dal comma 849
dell'art. 1, legge n. 160 del 2019 una nuova  lettera  d-quater)  del
citato comma 449, che  ha  previsto  che  gli  importi  in  questione
vengano destinati «a specifiche esigenze di  correzione  nel  riparto
del fondo di solidarieta' comunale, da individuare con i decreti  del
Presidente del Consiglio dei Ministri (...)». 
    In sede di prima applicazione  di  tale  disposizione,  e'  stato
emanato il decreto ministeriale 26 maggio 2020 (Riparto delle risorse
aggiuntive, pari a 100 milioni di euro,  del  Fondo  di  solidarieta'
comunale per  l'anno  2020),  che  ha  ripartito  la  somma  riferita
all'anno 2020 in due quote: la prima,  pari  al  60%,  finalizzata  a
restituire ai comuni le risorse tagliate nel 2014 in proporzione alla
sottrazione subita da ciascuno di essi, e la seconda,  pari  al  40%,
destinata a ridurre gli effetti negativi subiti da oltre  quattromila
comuni italiani per effetto dell'avanzare  del  criterio  di  riparto
fondato sulla perequazione, secondo la  sequenza  temporale  disposta
dall'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del 2019, convertito, con
modificazione, dalla legge n. 157 del 2019. 
    Secondo tale ultima  disposizione,  segnatamente,  ogni  anno,  a
partire dal 2020 e dopo l'interruzione del 2019,  la  percentuale  di
perequazione che si applica al riparto delle quote del fondo in luogo
del criterio della spesa storica viene incrementata  del  5%  fino  a
raggiungere il 100% nell'anno 2030: siccome cio' comporta perdite  di
trasferimento assai ingenti per numerosi  comuni,  in  primis  quelli
liguri, in una nota condizione di sottodimensionamento del  fondo  di
solidarieta' comunale, con  il  serio  rischio  di  compromettere  la
sostenibilita' dei bilanci degli enti locali, il Governo,  attraverso
l'intervento  correttivo  in  parola,  ha  inteso  utilizzare  queste
risorse  per   sterilizzare   temporaneamente   gli   effetti   della
perequazione per  i  suddetti  comuni.  Misure  analoghe  sono  state
adottate in sede di riparto del fondo di solidarieta'  per  gli  anni
successivi, sempre avuto riguardo alla necessita' di mitigare il c.d.
shock perequativo,  sfruttando  gradualmente  le  risorse  restituite
dallo Stato. 
    E, infatti, si deve riconoscere che la sommatoria delle due quote
in cui e' stata suddivisa la ricostituzione dei finanziamenti  venuti
a mancare nel 2014 ha consentito fino ad oggi di rendere praticamente
nulli gli effetti negativi della perequazione per gli enti locali «in
rimessa»: i  comuni  con  minore  capacita'  fiscale  hanno  ricevuto
maggiori risorse senza che fossero gli altri comuni a doverne fare le
spese perche' lo sforzo si e' concentrato sullo Stato. 
    Con il progressivo avanzare della  percentuale  di  perequazione,
tuttavia,  questo  risultato  di  «neutralizzazione»  degli   effetti
negativi  che  tale  meccanismo  produce  a  discapito  di   numerose
autonomie locali in termini di costante  erosione  dei  trasferimenti
non puo' piu' essere perseguito se non attraverso una nuova iniezione
di risorse da parte dello  Stato,  non  essendo  a  tale  scopo  piu'
sufficienti gli importi originariamente previsti con l'art. 1,  comma
848, legge n. 160/2019. 
    Secondo  le  prime  stime  di  I.F.E.L.,  ai  fine   di   evitare
ripercussioni  negative  sui  comuni  per  l'anno   2023,   occorrono
ulteriori 36 milioni di euro, cifra certamente non proibitiva per  lo
Stato, che consentirebbe di rimediare alle molteplici violazioni  dei
parametri costituzionali che, ad  avviso  della  Regione  ricorrente,
l'attuale formulazione della disposizione  comporta  (si  produce,  a
tale riguardo, la recente presentazione di I.F.E.L. all'XI Conferenza
sulla Finanza e l'Autonomia Locale svoltasi in Roma nelle date dal 24
al 26 gennaio 2022, doc. n. 3). 
    E' precisamente su tale aspetto che si appuntano  le  censure  di
incostituzionalita'   del   presente    motivo    di    impugnazione:
segnatamente,  la  constatazione  secondo   cui   il   paradigma   di
perequazione  stabilito  dall'art.  119  della  Costituzione   e   il
principio di autonomia finanziaria non possono sopportare un  sistema
che,  mancando  di  stanziare   le   risorse   necessarie,   comporta
un'erosione dei trasferimenti per circa la meta' dei comuni italiani,
peraltro in assenza di qualsivoglia valutazione di impatto  circa  il
perdurare della loro capacita' di assolvere integralmente le funzioni
loro attribuite (tale e', peraltro, la  motivazione  che  ha  portato
A.N.C.I. ad annunciare la  mancanza  dell'intesa  sul  riparto  della
somma  messa  a  disposizione  dalla   norma   impugnata,   giudicata
insufficiente). 
    A questo proposito, non puo' sfuggire come codesta  ecc.ma  Corte
costituzionale, esaminando il  sistema  di  perequazione  degli  enti
locali vigente in Italia, nella sentenza n. 220  del  2021,  pur  non
avendo dichiarato l'incostituzionalita' della disposizione censurata,
ha posto in luce le criticita' emerse  in  sede  di  istruttoria  con
riferimento alla modalita' del  riparto  delle  quote  del  fondo  di
solidarieta' comunale, ravvisandone le cause nel mancato adeguamento,
in  molte  realta',  dei  valori  catastali,   che   influenzano   la
determinazione  delle   capacita'   fiscali,   e   nella   dimensione
orizzontale che aveva assunto il fondo,  delineandosi  di  fatto  una
perequazione intercomunale mediante la trattenuta forzosa del gettito
dell'I.M.U. 
    E, allora, delle due  l'una:  o  lo  Stato  conforma  il  proprio
contributo «verticale» al fondo di  solidarieta'  in  misura  congrua
alla necessita' di impedire che l'avanzamento  della  percentuale  di
perequazione comprometta le finanze di un elevato  numero  di  comuni
italiani, adeguando una  buona  volta  il  modello  perequativo  alla
scelta costituzionale di perequazione verticale, come codesta  ecc.ma
Corte ha espressamente insegnato nella sentenza  n.  46  del  2013  e
ribadito nella sentenza 61 del 2018 («la nostra Carta  costituzionale
contempla un  sistema  perequativo  di  tipo  verticale  che  prevede
l'intervento diretto a carico dello Stato»), oppure si aprono scenari
di drammatico sotto-finanziamento delle funzioni degli  enti  locali,
in un orizzonte in cui la  perequazione  delle  risorse  finanziarie,
voluta dalla  Costituzione  per  sostenere  i  territori  con  minori
capacita'  fiscale  per  abitante,  finisce  per  sortire   l'effetto
contrario di depauperare numerosi enti locali delle loro risorse  (si
osserva, per inciso, che la legge delega sul federalismo fiscale  del
2009  aveva  previsto  che  il  fondo  perequativo  per  le  funzioni
fondamentali  fosse  interamente   finanziato   con   risorse   della
fiscalita' generale). 
    D'altra  parte,  non  finanziare  adeguatamente   il   fondo   di
solidarieta' comunale in modo da consentire l'adozione dei correttivi
necessari a neutralizzare gli  effetti  negativi  della  perequazione
contribuisce ad enfatizzare ulteriormente le criticita' che  ha  gia'
avuto modo di denunciare codesta ecc.ma Corte. 
    Il sistema, infatti, da un lato e' gia'  fortemente  «sperequato»
per la disomogeneita' delle risultanze del catasto; dall'altro appare
oltremodo fragile a motivo  di  un  complessivo  sottodimensionamento
della dotazione finanziaria, giacche', come attesta I.F.E.L.,  esiste
uno sbilancio strutturale di oltre 7,3 miliardi di euro tra il valore
delle  capacita'  fiscali  standard  dei  comuni  e  l'ammontare  dei
fabbisogni standard, intesi come dimensione delle risorse  necessarie
per lo svolgimento delle funzioni fondamentali di ciascun comune,  in
condizioni normali (26.410 milioni di euro il valore  dei  fabbisogni
standard contro 18.961 milioni di  euro  il  valore  delle  capacita'
fiscali) (si produce a tal riguardo la relazione I.F.E.L.  depositata
davanti a codesta ecc.ma Corte nel giudizio da cui  e'  scaturita  la
sentenza n. 220 del 2021, doc. n. 4). 
    Non v'e' chi non vede  come  omettere  di  prevedere  le  risorse
necessarie per sterilizzare gli  effetti  della  perequazione  in  un
contesto siffatto non puo' che essere foriero di ulteriori guasti che
aggravano le criticita' gia' rilevate dalla Corte. 
    Tanto  premesso,  ad   avviso   della   Regione   esponente,   la
disposizione impugnata, nella parte in  cui  non  stanzia  una  somma
idonea  ad  operare  la  correzione  necessaria   per   l'anno   2023
sull'ammontare del fondo di solidarieta' al fine di  evitare  perdite
di trasferimenti  da  parte  dei  comuni,  contrasta  con  molteplici
parametri. 
    Appare evidente, in primo luogo, la violazione degli articoli 5 e
119, commi 1, 3 e  4,  della  Costituzione  sotto  svariati  profili:
intanto, la  strutturale  sottrazione  di  risorse  che  si  viene  a
generare per effetto della norma censurata contrasta con il principio
di autonomia finanziaria degli enti locali, imponendo ai  comuni  che
subiscono di anno in anno gli effetti negativi della perequazione  di
rivedere, in diminuzione, i propri servizi ai  cittadini,  in  palese
spregio ad ogni  buona  regola  di  decentramento,  al  principio  di
auto-imposizione, nonche' al canone di  responsabilita'  del  mandato
politico degli amministratori,  costretti  non  solo  a  «subire»  la
distrazione  del  gettito  del   tributo   comunale   per   finalita'
solidaristiche alle quali dovrebbe provvedere lo Stato,  ma  anche  a
disporre di minori risorse per l'esercizio della loro azione. 
    Essa contrasta, altresi', con il  principio  di  tipicita'  degli
strumenti  di  perequazione.  Il  sistema  perequativo  voluto  dalla
Costituzione - incentrato, a livello di legislazione  ordinaria,  sul
fondo di solidarieta' comunale - ha, infatti, la  precipua  funzione,
tipizzata e non derogabile dal legislatore, di  supportare  i  comuni
con minori capacita' fiscale per abitante secondo una  modalita'  che
non e' quella di togliere risorse ad alcuni comuni per attribuirne ad
altri; operazione che  produce  danni  irreversibili  in  termini  di
peggioramento del livello dei servizi in un contesto, come  evidenzia
I.F.E.L.,   di   marcata   inadeguatezza    delle    risorse    messe
complessivamente a disposizione del sistema degli enti territoriali. 
    La consapevolezza del paradigma di perequazione  stabilito  dalla
specifica disposizione  costituzionale  avrebbe  dovuto  condurre  il
legislatore ad assicurarsi che dall'avanzare del criterio perequativo
per cui ha legittimamente optato  non  scaturissero  pregiudizi  alle
finanze degli enti territoriali, ma solo benefici a favore di  quelli
tra  loro  con  minori  capacita'  fiscali  per  abitante;  cio'  che
palesemente non e' avvenuto, rendendo illegittima la norma  impugnata
nel senso gia' precisato. 
    Ne', d'altra parte, e' data facolta' al  legislatore  di  deviare
dallo schema  della  perequazione  stabilito  nella  Costituzione  in
favore di opzioni differenti. 
    La natura tipica degli strumenti  di  perequazione  e  la  scelta
sostanziale per un modello di perequazione di tipo verticale e' stata
piu' volte  ribadita  da  codesta  ecc.ma  Corte  Costituzionale  (ex
plurimis Corte costituzionale, sentenza n. 176 del 2012; nello stesso
senso, Corte costituzionale, sentenza n. 46 del 2013). 
    Orbene, non v'e'  chi  non  vede  come  tale  insegnamento  venga
surrettiziamente eluso da una disposizione che, mancando di prevedere
le risorse adeguate, scarica il costo della perequazione sui  comuni,
anziche'  sullo  Stato,  consolidando  in  tal  modo  un  assetto  di
perequazione   orizzontale   apertamente   in   contrasto   con    la
giurisprudenza sopra ricordata. 
    I commi  1  e  4  dell'art.  119,  della  Costituzione  risultano
ulteriormente  violati  dalla  disposizione  impugnata  perche',   in
assenza di qualsivoglia valutazione di impatto, la mancata previsione
delle risorse necessarie a neutralizzare gli effetti  negativi  della
perequazione mette a rischio la possibilita' per  le  amministrazioni
locali di provvedere all'esercizio normale delle loro funzioni. 
    Vero che non esiste una garanzia di carattere quantitativo e che,
con riferimento al rapporto tra funzioni da finanziare e risorse,  la
Corte ha sostenuto che la riassegnazione di queste ultime  «e'  priva
di qualsiasi automatismo e comporta scelte in ordine alle  modalita',
all'entita' e  ai  tempi,  rimesse  al  legislatore  statale»  (Corte
costituzionale, sentenza n. 83 del 2019). 
    Altrettanto   vero,   tuttavia,   e'   il   fatto    che    grava
indiscutibilmente sullo  Stato  l'obbligo  e  la  responsabilita'  di
assicurare che le risorse  messe  a  disposizione  dei  comuni  siano
sufficienti ad assicurare l'esercizio delle funzioni e  che,  secondo
la consolidata giurisprudenza della Corte  Costituzionale,  non  sono
ammissibili sic et simpliciter tagli lineari di carattere permanente. 
    E' stato affermato, in tal senso, che «norme statali che  fissano
limiti  alla  spesa  delle  Regioni  e  degli  enti  locali   possono
qualificarsi principi fondamentali  di  coordinamento  della  finanza
pubblica alla condizione, tra l'altro, che si limitino a prevedere un
contenimento  complessivo  della   spesa   corrente   dal   carattere
transitorio (ex multis, tra le piu'  recenti,  sentenze  n.  154  del
2017, n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello  stesso  senso,
sentenze n. 44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n.  193  e
n. 148 del 2012, n. 182 del 2011). 
    Non e' in  discussione  il  potere  del  legislatore  statale  di
programmare risparmi anche di lungo  periodo  relativi  al  complesso
della spesa  pubblica  aggregata.  E  questa  Corte  ha,  anzi,  gia'
chiarito  che  «una  censura  che  lamenta  il   presunto   carattere
permanente  dello  specifico  contributo   non   e'   provata   dalla
circostanza che  essa  si  aggiunga  agli  effetti  delle  precedenti
manovre di finanza pubblica» (sentenza n. 154 del 2017). Tuttavia, le
singole misure di contenimento della spesa pubblica devono presentare
il carattere  della  temporaneita',  al  fine  di  definire  in  modo
appropriato, anche tenendo conto delle scansioni temporali dei  cicli
di bilancio e piu' in generale della situazione economica del  Paese,
«il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni e gli
enti locali, evitando la sostanziale estensione dell'ambito temporale
di  precedenti  manovre   che   potrebbe   sottrarre   al   confronto
parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici  di
queste ultime in un periodo piu' lungo» (sentenza n. 169 del 2017)  -
(Corte costituzionale, sentenza n. 103 del 2018). 
    E  ancora:  «la  riduzione  sproporzionata  delle  risorse,   non
corredata da adeguate misure compensative, e'  infatti  in  grado  di
determinare un grave vulnus all'espletamento da parte delle  Province
[e dei comuni] delle funzioni  espressamente  conferite  dalla  legge
(...). Dunque la forte riduzione delle risorse destinate  a  funzioni
esercitate con carattere di continuita' ed  in  settori  di  notevole
rilevanza sociale risulta manifestamente  irragionevole  proprio  per
l'assenza di proporzionate misure che  ne  possano  in  qualche  modo
giustificare il dimensionamento (su analoga  questione,  sentenza  n.
188 del 2015)» (Corte costituzionale, sentenza 10 del 2016). 
    Per giunta, al fine di valutare  appieno  la  consistenza  e  gli
effetti irreversibili della disposizione impugnata, occorre  compiere
quella necessaria valutazione di contesto che porta ad escludere che,
per altro verso,  sia  data  la  possibilita'  agli  enti  locali  di
riassorbire le risorse venute meno, tali e tante sono  le  criticita'
dell'attuale sistema e  la  sua  conclamata  incapacita',  anche  per
effetto della spinta inflazionistica,  di  soddisfare  il  fabbisogno
finanziario dei comuni. 
    Parimenti risulta leso l'art. 120, comma 2, della Costituzione in
quanto imporre una riduzione dei trasferimenti agli enti territoriali
attraverso  la  mancata  previsione  delle   risorse   necessarie   a
sterilizzare le ripercussioni negative della perequazione, in assenza
di una qualsiasi valutazione di  impatto  sulle  finanze  degli  enti
territoriali e sulla possibilita' o meno di riassorbire i tagli cosi'
attuati, nella piu' totale mancanza di una, sia pure minima,  analisi
circa la perdurante capacita' degli enti di  assolvere  all'esercizio
integrale delle funzioni loro attribuite, equivale ad  infrangere  le
piu' elementari regole della leale collaborazione. 
    Essendo quello dell'autonomia finanziaria  delle  amministrazioni
locali un principio  direttamente  tutelato  dalla  Costituzione,  si
ritiene che il legislatore, ogniqualvolta si  accosti  alla  materia,
sia tenuto ad attuare i propri interventi, soprattutto se orientati a
determinare una diminuzione di risorse, nel constante  confronto  con
il sistema delle autonomie per il tramite delle sedi di concertazione
interistituzionale. 
    Si eviterebbero, in tal modo,  misure  scomposte,  dagli  effetti
nefasti e imprevedibili, che  poi  richiedono  ulteriori  azioni  per
porvi rimedio. 
    Per  tali  motivazioni,  il  Consiglio  delle  Autonomie  Locali,
mediante  la  Regione  Liguria,  chiede  a   codesta   ecc.ma   Corte
costituzionale l'annullamento della disposizione di cui  in  rubrica,
nel senso gia' precisato. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in  accoglimento  del
presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale: 
      - dell'art. 1, comma 332, legge 29 dicembre 2022, n.  197,  per
contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e 120, comma  2,
della  Costituzione,  nella  parte   in   cui   attribuisce   l'onere
dell'emolumento accessorio dell'1,5  per  cento  dello  stipendio  da
erogare una tantum per tredici mensilita' al personale  dipendente  a
carico del bilancio dei comuni, anziche' a carico del bilancio  dello
Stato, ovvero nella parte in cui non prevede alcuna forma di  congruo
ristoro a vantaggio dei  bilanci  dei  comuni,  omettendo,  altresi',
qualunque intesa in sede di Conferenza Stato Citta'; 
      - dell'art. 1, comma 774, legge 29 dicembre 2022, n.  197,  per
contrasto con gli articoli 5, 119, commi 1, 3 e 4, e  120,  comma  2,
della Costituzione, nella parte in  cui  prevede  l'integrazione  del
fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura  di  euro
50 milioni, anziche' in quella di euro 86 milioni, ovvero  in  quella
ritenuta congrua dalla Corte costituzionale al fine di assicurare  la
sterilizzazione degli effetti negativi in termini di contrazione  dei
trasferimenti  a   seguito   dell'incedere   della   percentuale   di
perequazione ai sensi dell'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del
2019, convertito, con modificazione, dalla legge n. 157 del 2019. 
    Con la massima osservanza. 
      Genova, 27 febbraio 2023 
 
                        L'Avvocato: Piciocchi