N. 12 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 7 marzo 2023
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 7 marzo 2023 (della Regione Liguria). Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali - Legge di bilancio 2023 - Previsione che attribuisce l'onere dell'emolumento accessorio dell'1,5 per cento dello stipendio da erogare una tantum per tredici mensilita' al personale dipendente a carico del bilancio dei Comuni. Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali - Legge di bilancio 2023 - Modifiche alla legge di bilancio 2017 - Previsione che integra il fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura di euro 50 milioni. - Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2023 e bilancio pluriennale per il triennio 2023-2025), art. 1, commi 332 e 774.(GU n.14 del 5-4-2023 )
Ricorso ex art. 127, comma 2, della Costituzione della Regione Liguria (codice fiscale n. 00849050109), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, Giovanni Toti, con sede legale in Genova, piazza Raffaele De Ferrari n. 1, rappresentata e difesa, ai fini del presente giudizio, dall'avv. Pietro Piciocchi del Foro di Genova (C.F. PCCPTR77H10D969U - P.E.C.: pietro.piciocchi@ordineavvgenova.it), con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via Assarotti n. 48/6, giusta procura speciale in calce al presente atto e delibera della Giunta regionale n. 143 del 24 febbraio 2022 (doc. n. 1), contro Presidenza del Consiglio dei ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri e legale rappresentante pro tempore, nel domicilio ex lege presso l'Avvocatura generale dello Stato, via dei Portoghesi n. 12, per l'annullamento - dell'art. 1, comma 332, legge 29 dicembre 2022, n. 197, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui attribuisce l'onere dell'emolumento accessorio dell'1,5 per cento dello stipendio da erogare una tantum per tredici mensilita' al personale dipendente a carico del bilancio dei comuni, anziche' a carico del bilancio dello Stato, ovvero nella parte in cui non prevede alcuna forma di congruo ristoro a vantaggio dei bilanci dei comuni, omettendo, altresi', qualunque intesa in sede di Conferenza Stato Citta'; - dell'art. 1, comma 774, legge 29 dicembre 2022, n. 197, per contrasto con gli articoli 5, 119, commi 1, 3 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui prevede l'integrazione del fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura di euro 50 milioni, anziche' in quella di euro 86 milioni, ovvero in quella ritenuta congrua dalla Corte costituzionale al fine di assicurare la sterilizzazione degli effetti negativi in termini di contrazione dei trasferimenti a seguito dell'incedere della percentuale di perequazione ai sensi dell'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del 2019, convertito dalla legge n. 157 del 2019. Fatto 1) Il Consiglio delle Autonomie Locali della Regione Liguria, istituito con legge regionale n. 11 del 2011, con delibera n. 2 del 17 febbraio 2023 (doc. n. 2), ha formulato istanza al Presidente della Giunta regionale della Liguria, ai sensi dell'art. 32, comma 2, della legge n. 87 del 1953, ai fini della proposizione di ricorso in via principale a codesta ecc.ma Corte costituzionale per l'annullamento delle disposizioni di cui in epigrafe che, in ragione della violazione dei parametri di seguito precisati, appaiono gravemente lesive dell'autonomia finanziaria dei comuni della Liguria, costituzionalmente garantita, della loro capacita' di spesa, e del principio della leale collaborazione. Tali disposizioni, non precedute da alcuna intesa nelle competenti sedi di raccordo interistituzionale, ne' da alcuna altra forma di coinvolgimento degli organismi rappresentativi delle autonomie locali, comportano, da un lato significativi incrementi della spesa del personale esclusivamente a carico dei bilanci degli enti territoriali, non preventivati nella programmazione finanziaria pluriennale; dall'altro, in assenza di qualsivoglia analisi di impatto, determinano per l'anno 2023 una erosione di trasferimenti a valere sulle quote del fondo di solidarieta' comunale ai danni di oltre quattromila comuni italiani, tra cui particolarmente penalizzati risultano essere quelli della Regione Liguria. 2) Piu' specificamente, con riferimento alla prima disposizione impugnata, e' necessario premettere che il comma 330 dell'art. 1 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha previsto quanto segue: «Per l'anno 2023, gli oneri posti a carico del bilancio statale per la contrattazione collettiva nazionale in applicazione dell'art. 48, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e per i miglioramenti economici del personale statale in regime di diritto pubblico di cui all'art. 1, comma 609, della legge 30 dicembre 2021, n. 234, sono incrementati di 1.000 milioni di euro da destinare all'erogazione, nel solo anno 2023, di un emolumento accessorio una tantum, da corrispondere per tredici mensilita', da determinarsi nella misura dell'1,5 per cento dello stipendio con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza». Il successivo comma 332 - nei confronti del quale si appuntano le censure della Regione ricorrente - stabilisce, altresi', che «Per il personale dipendente da amministrazioni, istituzioni ed enti pubblici diversi dall'amministrazione statale, gli oneri di cui al comma 330, da destinare alla medesima finalita' e da determinare sulla base di quanto previsto al medesimo comma, sono posti a carico dei rispettivi bilanci ai sensi dell'art. 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». Con riferimento ai comuni, pertanto, la disposizione impugnata prevede che l'intero costo della misura, unilateralmente decisa dallo Stato, senza alcun confronto in sede di Conferenza Stato Citta', debba essere sopportato dai rispettivi bilanci. 3) La seconda disposizione impugnata riguarda la tematica della perequazione delle risorse finanziarie tra i Comini italiani e prevede quanto segue: "All'art. 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232», sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 448, le parole: «in euro 7.107.513.365 per l'anno 2023» sono sostituite dalle seguenti: «in euro 7.157.513.365 per l'anno 2023»; b) al comma 449, lettera d-quater), le parole: «330 milioni di euro nel 2023» sono sostituite dalle seguenti: «380 milioni di euro nel 2023»". In termini piu' espliciti, la norma oggetto di censura incrementa la dotazione del fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura di euro 50 milioni al fine di provvedere, ai sensi della lettera d-quater) del comma 449 dell'art. 1 della legge n. 232 del 2016, agli interventi di correzione del c.d. shock perequativo che subiscono oltre quattromila comuni italiani per effetto del progressivo avanzamento della percentuale di riparto del fondo di solidarieta' comunale fondato sul differenziale tra capacita' fiscali e fabbisogni standard secondo la modulazione temporale scandita dall'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del 2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 157 del 2019. La censura si appunta sul fatto che tale somma e' del tutto insufficiente ad assicurare alle autonomie locali di non subire pregiudizio per effetto dell'incedere del meccanismo della perequazione, in violazione, anzitutto, della regola di cui al comma 4 dell'art. 119 della Costituzione, secondo cui le quote del fondo di solidarieta' comunale, unitamente alle ulteriori fonti di entrata del sistema degli enti locali, devono concorrere al finanziamento integrale delle funzioni loro attribuite dalla legge, nonche' in spregio alla consolidata giurisprudenza costituzionale sul divieto di tagli lineari di carattere permanente. La norma, come meglio si dira' infra, si inserisce nel contesto di un sistema di perequazione ancora quasi esclusivamente orizzontale, che porta di anno in anno un numero assai consistente di comuni a perdere irreversibilmente risorse; sistema rispetto al quale codesta ecc.ma Corte ha gia' avuto modo di rivolgere alcuni moniti, per ora del tutto inascoltati da parte del legislatore. Diritto 1) Impugnazione dell'art. 1, comma 332, legge 29 dicembre 2022, n. 197, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione. Il comma 330 della legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha previsto un emolumento accessorio una tantum per il personale delle amministrazioni statali, da corrispondersi per tredici mensilita', determinato nella misura dell'1,5 per cento dello stipendio, con effetti ai soli fini del trattamento di quiescenza. Il comma 332 ha esteso tale trattamento anche al personale diverso da quello delle amministrazioni statali, tra cui il personale degli enti locali, stabilendo, altresi', che i relativi oneri siano integralmente posti a carico dei rispettivi bilanci «ai sensi dell'art. 48, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165». Ebbene, secondo tale ultima disposizione, espressamente richiamata dalla norma oggetto di impugnazione, «Per le amministrazioni di cui all'art. 41, comma 2, nonche' per le universita' italiane, gli enti pubblici non economici e gli enti e le istituzioni di ricerca, ivi compresi gli enti e le amministrazioni di cui all'art. 70, comma 4, gli oneri derivanti dalla contrattazione collettiva nazionale sono determinati a carico dei rispettivi bilanci nel rispetto dell'art. 40, comma 3-quinquies. Le risorse per gli incrementi retributivi per il rinnovo dei contratti collettivi nazionali delle amministrazioni regionali, locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale sono definite dal Governo, nel rispetto dei vincoli di bilancio, del patto di stabilita' e di analoghi strumenti di contenimento della spesa, previa consultazione con le rispettive rappresentanze istituzionali del sistema delle autonomie». Cio' posto, occorre preliminarmente precisare che non e' intenzione del Consiglio delle Autonomie Locali della Regione Liguria contestare il riconoscimento del trattamento una tantum al personale dipendente del comparto, che appare chiaramente orientato alla comprensibile finalita' di mitigare le conseguenze negative dell'inflazione sulle retribuzioni dei pubblici dipendenti, bensi' la modalita' con cui tale emolumento e' stata introdotto, in una con l'assenza di qualsiasi forma di ristoro a favore dei bilanci comunali chiamati a sopportarne il costo tutt'altro che irrilevante. Secondo le prime stime effettuate da I.F.E.L., infatti, l'onere di tale misura ammonterebbe per l'intero settore delle autonomie locali ad euro 150 milioni. Ebbene, se l'art. 48, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001, da ultimo citato, prevede, quantomeno, una consultazione previa con le istituzioni rappresentative delle autonomie territoriali per la definizione degli incrementi retributivi riferiti alla materia dei contratti collettivi nazionali, la disposizione impugnata ha stabilito unilateralmente la quantificazione e l'applicazione di siffatta misura senza alcun confronto preventivo con le amministrazioni che ne dovranno sostenere il peso economico, e senza alcuna analisi di impatto sulle finanze locali. Nella prospettiva del legislatore, invero, l'art. 48, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001 e' stato richiamato dalla norma impugnata al solo fine di chiarire che l'onere che scaturisce dal trattamento accessorio di cui al comma 330 dell'art. 1 della medesima legge debba gravare esclusivamente sul bilancio degli enti territoriali; non certo nella parte in cui la disposizione del testo unico del pubblico impiego prevede il metodo della consultazione previa in materia di integrazioni economiche connesse alla contrattazione collettiva, la quale, nel caso di specie, sarebbe stata del tutto superflua, posto che il costo della misura era gia' stato definito a priori dal comma 330, cui rinvia, segnatamente, il comma 332 oggetto del presente gravame. Nessuna forma di concertazione e' stata prevista, ne' risulta altrimenti applicabile, e alcun ristoro e' stato introdotto in favore dei comuni per metterli in condizione di fronteggiare questo nuovo cospicuo onere finanziario in un contesto nel quale: i) la spesa di personale e' una delle voci di costo dei bilanci degli enti locali in maggiore aumento per singola unita' (anche per effetto dei periodici rinnovi contrattuali, per affrontare i quali i comuni sono costretti ad operare consistenti accantonamenti annuali); ii) numerosi enti locali, come meglio si vedra' infra, subiscono l'effetto negativo dei meccanismi di perequazione e ogni anno ricevono meno risorse da parte del fondo di solidarieta' comunale; iii) il sistema delle autonomie locali e' chiamato a fronteggiare una crisi senza precedenti con riferimento alla spinta inflazionistica che ha fatto lievitare i costi dell'intera domanda di beni e di servizi; iv) per diretta ammissione di I.F.E.L. - e sul punto si tornera' piu' avanti - l'attuale ordinamento della finanza locale non prevede una dotazione di risorse adeguata ad assicurare l'esercizio integrale delle funzioni da parte degli enti locali. La norma in questione, peraltro, e' foriera di ulteriori conseguenze che devono essere valutate alla luce del principio di autonomia politica che la Costituzione riconosce ai vari livelli di governo territoriale che compongono la Repubblica. L'emolumento accessorio in esame concorre, infatti, alla determinazione del raggiungimento delle soglie di spesa del personale secondo quanto disposto dal decreto ministeriale 17 marzo 2020 (Misure per la definizione delle capacita' assunzionali di personale a tempo indeterminato dei comuni): nel momento in cui sono i comuni a dover sopportare interamente la relativa voce di spesa, e' del tutto evidente che le rispettive capacita' assunzionali saranno decisamente ridimensionate, e un tale esito appare del tutto paradossale in una contingenza storica in cui i comuni sono chiamati ad attuare il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e necessitano di consistenti innesti di personale anche per potere rimediare al fenomeno della drammatica riduzione del numero degli addetti al comparto registrato negli ultimi dieci anni a seguito della contrazione delle risorse finanziarie disponibili (l'I.F.E.L. attesa che tra il 2010 e il 2020 il personale dei comuni e' diminuito del 24%, con una riduzione di ben 112 mila unita' in servizio). In altri termini, rebus sic stantibus, in una condizione di complessiva rigidita' dei bilanci degli enti locali nel nostro Paese, al fine di salvaguardare gli equilibri, mantenendo cosi' invariata la spesa, l'unica soluzione sara' quella di rinunciare in parte alle assunzioni, compromettendo il conseguimento dei risultati dell'azione amministrativa, quando non il normale esercizio delle funzioni fondamentali. E' superfluo evidenziare come anche su tali ricadute di sistema non vi sia stata alcuna valutazione da parte del legislatore. Tanto premesso, la disposizione impugnata, ad avviso della Regione esponente, contrasta con molteplici parametri costituzionali. Risultano lesi, in primo luogo, gli articoli 5, 114 e 119, comma 1, della Costituzione perche' tale norma, ingessando la capacita' di spesa degli enti locali, caricandoli di un onere non previsto, comporta una violazione dell'autonomia politica e delle competenze finanziarie degli enti medesimi, impattando sulla possibilita' di questi ultimi di perseguire, con mezzi idonei anche in termini di adeguato numero di risorse umane, il proprio indirizzo politico amministrativo. Tale disposizione infrange, per altro verso, l'insegnamento reso da codesta ecc.ma Corte Costituzionale relativamente al principio del parallelismo tra responsabilita' di disciplina e responsabilita' finanziaria dopo la riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione, costantemente ribadito a partire dalla sentenza n. 370 del 2003 (cfr. ex plurimis Corte costituzionale sentenza n. 16 e n. 17 del 2004; n. 17 del 2005; e, piu' recentemente, sentenza n. 40 del 2022). Giacche' la disciplina dei rinnovi contrattuali che riguardano la contrattazione collettiva del comparto degli enti locali deve essere ricondotta alla competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «ordinamento civile» (ex plurimis Corte costituzionale, sentenza n. 255 del 2022), spetta, altresi', allo Stato provvedere alle risorse finanziarie necessarie per farvi fronte, facendosi direttamente carico del relativo onere, ovvero assicurando alle amministrazioni territoriali forme di adeguato ristoro. Appare leso, in secondo luogo, l'art. 119, comma 4, della Costituzione in quanto la disposizione censurata, aggravando ulteriormente la spesa corrente locale per il costo del personale e senza alcuna previa valutazione d'impatto, infrange la regola secondo la quale il sistema delle entrate degli enti territoriali, come strutturato dalla pertinente disposizione costituzionale, deve consentire l'assolvimento del normale esercizio delle funzioni ad essi attribuite. Si ribadisce, a tale riguardo, come sia del tutto intuitivo l'effetto che siffatta norma produrra' in termini di riduzione di servizi ovvero di turn over del personale in un momento storico caratterizzato, semmai, dalla necessita' di rinforzare gli organici per l'attuazione del P.N.R.R. dopo anni di contrazione di risorse. Si censura, in terzo ed ultimo luogo, la violazione del principio della leale collaborazione di cui all'art. 120, comma 2, della Costituzione in quanto la norma impugnata, pur incidendo in modo profondo nelle finanze territoriali, imponendo agli enti che ne sono destinatari una revisione della spesa, in primis per cio' che attiene alla programmazione del fabbisogno del personale, non prevede ne' alcuna intesa, ne' altra forma di consultazione con gli enti rappresentativi delle autonomie locali (il che avrebbe consentito allo Stato di misurarne gli impatti). Nemmeno si comprende, d'altra parte, il motivo per cui il metodo della consultazione previa e della concertazione previsto dall'art. 48, comma 2, decreto legislativo n. 165 del 2001, cui il legislatore si e' autovincolato nel caso della definizione degli incrementi contrattuali, non sia stato esteso alla fattispecie de qua (cio' che sarebbe stato imposto anche da comprensibili ragioni di omogeneita' di trattamento), procedendosi, in contrario, a determinare a priori e per via legislativa la quantificazione della misura. Secondo il magistero di codesta ecc.ma Corte - lo ricordiamo a noi stessi - la regola della leale collaborazione, nel quadro di un sistema di decentramento politico e amministrativo fondato sul modello della coesione e della solidarieta', nonche' sulla pari dignita' istituzionale di tutti i livelli di governo che compongono la Repubblica, costituisce «un principio guida nell'evenienza, rivelatasi molto frequente, di uno stretto intreccio tra materie e competenze» (Corte costituzionale, sentenza n. 251 del 2016). E ancora: «il principio di leale cooperazione deve governare il rapporto tra lo Stato e le Regioni [ma lo stesso vale per gli enti locali] nelle materie e in relazione alle attivita' in cui le rispettive competenze concorrano o si intersechino, imponendo un contemperamento dei relativi interessi. Tale regola, espressione del principio costituzionale fondamentale per cui la Repubblica, nella salvaguardia della sua unita', riconosce e promuove le autonomie locali, alle cui esigenze adegua i principi e i metodi della sua legislazione (art. 5 della Costituzione), va al di la' del mero riparto costituzionale delle competenze per materia e opera dunque su tutto l'arco delle relazioni istituzionali fra Stato e Regioni» (Corte costituzionale, sentenza n. 242 del 1997; sentenza n. 31 del 2006; sentenza n. 114 del 2009; sentenza n. 179 del 2021; sentenza n. 39 del 2013). Cio' posto, in considerazione dei molteplici parametri oggetto di violazione, Regione Liguria insiste per la dichiarazione di incostituzionalita' della disposizione di cui in epigrafe, nella parte in cui attribuisce l'onere dell'emolumento accessorio dell' 1,5 per cento dello stipendio da erogare una tantum per tredici mensilita' al personale dipendente a carico del bilancio dei comuni, anziche' a carico del bilancio dello Stato, ovvero nella parte in cui non prevede alcuna forma di congruo ristoro a vantaggio dei bilanci dei comuni, omettendo, altresi', qualunque forma di intesa in sede di Conferenza Stato Citta'. 2) Impugnazione dell'art. 1, comma 774, legge 29 dicembre 2022, n. 197, per contrasto con gli articoli 5, 119, commi 1, 3 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione. La disposizione impugnata incrementa la dotazione del fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura di euro 50 milioni allo scopo di provvedere a specifiche esigenze di correzione nel riparto del medesimo fondo. Al fine di cogliere appieno la portata della misura in esame, occorre premettere che lo Stato, con l'art. 1, comma 848, legge n. 160 del 2019, aveva disposto la graduale restituzione sul fondo di solidarieta' comunale, fino all'anno 2024, della somma di euro 563,5 milioni che era stata in precedenza «tagliata» agli enti locali per effetto dell'art. 47, comma 8, decreto-legge n. 66 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 89 del 2014, secondo la seguente scansione temporale: 100 milioni di euro nel 2020, 200 milioni di euro nel 2021, 300 milioni di euro nel 2022, 330 milioni di euro nel 2023 e 560 milioni di euro a decorrere dal 2024. La disposizione impugnata incrementa, quindi, la somma di euro 300 milioni, prevista per l'anno 2022, di ulteriori euro 50 milioni. Al fine del riparto di tali «risorse aggiuntive», che sfuggono alla regola generale della perequazione (differenza tra capacita' fiscali e fabbisogni standard) di cui alla lettera c) del comma 449 dell'art. 1, legge n. 232 del 2016, e' stata introdotta dal comma 849 dell'art. 1, legge n. 160 del 2019 una nuova lettera d-quater) del citato comma 449, che ha previsto che gli importi in questione vengano destinati «a specifiche esigenze di correzione nel riparto del fondo di solidarieta' comunale, da individuare con i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (...)». In sede di prima applicazione di tale disposizione, e' stato emanato il decreto ministeriale 26 maggio 2020 (Riparto delle risorse aggiuntive, pari a 100 milioni di euro, del Fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2020), che ha ripartito la somma riferita all'anno 2020 in due quote: la prima, pari al 60%, finalizzata a restituire ai comuni le risorse tagliate nel 2014 in proporzione alla sottrazione subita da ciascuno di essi, e la seconda, pari al 40%, destinata a ridurre gli effetti negativi subiti da oltre quattromila comuni italiani per effetto dell'avanzare del criterio di riparto fondato sulla perequazione, secondo la sequenza temporale disposta dall'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del 2019, convertito, con modificazione, dalla legge n. 157 del 2019. Secondo tale ultima disposizione, segnatamente, ogni anno, a partire dal 2020 e dopo l'interruzione del 2019, la percentuale di perequazione che si applica al riparto delle quote del fondo in luogo del criterio della spesa storica viene incrementata del 5% fino a raggiungere il 100% nell'anno 2030: siccome cio' comporta perdite di trasferimento assai ingenti per numerosi comuni, in primis quelli liguri, in una nota condizione di sottodimensionamento del fondo di solidarieta' comunale, con il serio rischio di compromettere la sostenibilita' dei bilanci degli enti locali, il Governo, attraverso l'intervento correttivo in parola, ha inteso utilizzare queste risorse per sterilizzare temporaneamente gli effetti della perequazione per i suddetti comuni. Misure analoghe sono state adottate in sede di riparto del fondo di solidarieta' per gli anni successivi, sempre avuto riguardo alla necessita' di mitigare il c.d. shock perequativo, sfruttando gradualmente le risorse restituite dallo Stato. E, infatti, si deve riconoscere che la sommatoria delle due quote in cui e' stata suddivisa la ricostituzione dei finanziamenti venuti a mancare nel 2014 ha consentito fino ad oggi di rendere praticamente nulli gli effetti negativi della perequazione per gli enti locali «in rimessa»: i comuni con minore capacita' fiscale hanno ricevuto maggiori risorse senza che fossero gli altri comuni a doverne fare le spese perche' lo sforzo si e' concentrato sullo Stato. Con il progressivo avanzare della percentuale di perequazione, tuttavia, questo risultato di «neutralizzazione» degli effetti negativi che tale meccanismo produce a discapito di numerose autonomie locali in termini di costante erosione dei trasferimenti non puo' piu' essere perseguito se non attraverso una nuova iniezione di risorse da parte dello Stato, non essendo a tale scopo piu' sufficienti gli importi originariamente previsti con l'art. 1, comma 848, legge n. 160/2019. Secondo le prime stime di I.F.E.L., ai fine di evitare ripercussioni negative sui comuni per l'anno 2023, occorrono ulteriori 36 milioni di euro, cifra certamente non proibitiva per lo Stato, che consentirebbe di rimediare alle molteplici violazioni dei parametri costituzionali che, ad avviso della Regione ricorrente, l'attuale formulazione della disposizione comporta (si produce, a tale riguardo, la recente presentazione di I.F.E.L. all'XI Conferenza sulla Finanza e l'Autonomia Locale svoltasi in Roma nelle date dal 24 al 26 gennaio 2022, doc. n. 3). E' precisamente su tale aspetto che si appuntano le censure di incostituzionalita' del presente motivo di impugnazione: segnatamente, la constatazione secondo cui il paradigma di perequazione stabilito dall'art. 119 della Costituzione e il principio di autonomia finanziaria non possono sopportare un sistema che, mancando di stanziare le risorse necessarie, comporta un'erosione dei trasferimenti per circa la meta' dei comuni italiani, peraltro in assenza di qualsivoglia valutazione di impatto circa il perdurare della loro capacita' di assolvere integralmente le funzioni loro attribuite (tale e', peraltro, la motivazione che ha portato A.N.C.I. ad annunciare la mancanza dell'intesa sul riparto della somma messa a disposizione dalla norma impugnata, giudicata insufficiente). A questo proposito, non puo' sfuggire come codesta ecc.ma Corte costituzionale, esaminando il sistema di perequazione degli enti locali vigente in Italia, nella sentenza n. 220 del 2021, pur non avendo dichiarato l'incostituzionalita' della disposizione censurata, ha posto in luce le criticita' emerse in sede di istruttoria con riferimento alla modalita' del riparto delle quote del fondo di solidarieta' comunale, ravvisandone le cause nel mancato adeguamento, in molte realta', dei valori catastali, che influenzano la determinazione delle capacita' fiscali, e nella dimensione orizzontale che aveva assunto il fondo, delineandosi di fatto una perequazione intercomunale mediante la trattenuta forzosa del gettito dell'I.M.U. E, allora, delle due l'una: o lo Stato conforma il proprio contributo «verticale» al fondo di solidarieta' in misura congrua alla necessita' di impedire che l'avanzamento della percentuale di perequazione comprometta le finanze di un elevato numero di comuni italiani, adeguando una buona volta il modello perequativo alla scelta costituzionale di perequazione verticale, come codesta ecc.ma Corte ha espressamente insegnato nella sentenza n. 46 del 2013 e ribadito nella sentenza 61 del 2018 («la nostra Carta costituzionale contempla un sistema perequativo di tipo verticale che prevede l'intervento diretto a carico dello Stato»), oppure si aprono scenari di drammatico sotto-finanziamento delle funzioni degli enti locali, in un orizzonte in cui la perequazione delle risorse finanziarie, voluta dalla Costituzione per sostenere i territori con minori capacita' fiscale per abitante, finisce per sortire l'effetto contrario di depauperare numerosi enti locali delle loro risorse (si osserva, per inciso, che la legge delega sul federalismo fiscale del 2009 aveva previsto che il fondo perequativo per le funzioni fondamentali fosse interamente finanziato con risorse della fiscalita' generale). D'altra parte, non finanziare adeguatamente il fondo di solidarieta' comunale in modo da consentire l'adozione dei correttivi necessari a neutralizzare gli effetti negativi della perequazione contribuisce ad enfatizzare ulteriormente le criticita' che ha gia' avuto modo di denunciare codesta ecc.ma Corte. Il sistema, infatti, da un lato e' gia' fortemente «sperequato» per la disomogeneita' delle risultanze del catasto; dall'altro appare oltremodo fragile a motivo di un complessivo sottodimensionamento della dotazione finanziaria, giacche', come attesta I.F.E.L., esiste uno sbilancio strutturale di oltre 7,3 miliardi di euro tra il valore delle capacita' fiscali standard dei comuni e l'ammontare dei fabbisogni standard, intesi come dimensione delle risorse necessarie per lo svolgimento delle funzioni fondamentali di ciascun comune, in condizioni normali (26.410 milioni di euro il valore dei fabbisogni standard contro 18.961 milioni di euro il valore delle capacita' fiscali) (si produce a tal riguardo la relazione I.F.E.L. depositata davanti a codesta ecc.ma Corte nel giudizio da cui e' scaturita la sentenza n. 220 del 2021, doc. n. 4). Non v'e' chi non vede come omettere di prevedere le risorse necessarie per sterilizzare gli effetti della perequazione in un contesto siffatto non puo' che essere foriero di ulteriori guasti che aggravano le criticita' gia' rilevate dalla Corte. Tanto premesso, ad avviso della Regione esponente, la disposizione impugnata, nella parte in cui non stanzia una somma idonea ad operare la correzione necessaria per l'anno 2023 sull'ammontare del fondo di solidarieta' al fine di evitare perdite di trasferimenti da parte dei comuni, contrasta con molteplici parametri. Appare evidente, in primo luogo, la violazione degli articoli 5 e 119, commi 1, 3 e 4, della Costituzione sotto svariati profili: intanto, la strutturale sottrazione di risorse che si viene a generare per effetto della norma censurata contrasta con il principio di autonomia finanziaria degli enti locali, imponendo ai comuni che subiscono di anno in anno gli effetti negativi della perequazione di rivedere, in diminuzione, i propri servizi ai cittadini, in palese spregio ad ogni buona regola di decentramento, al principio di auto-imposizione, nonche' al canone di responsabilita' del mandato politico degli amministratori, costretti non solo a «subire» la distrazione del gettito del tributo comunale per finalita' solidaristiche alle quali dovrebbe provvedere lo Stato, ma anche a disporre di minori risorse per l'esercizio della loro azione. Essa contrasta, altresi', con il principio di tipicita' degli strumenti di perequazione. Il sistema perequativo voluto dalla Costituzione - incentrato, a livello di legislazione ordinaria, sul fondo di solidarieta' comunale - ha, infatti, la precipua funzione, tipizzata e non derogabile dal legislatore, di supportare i comuni con minori capacita' fiscale per abitante secondo una modalita' che non e' quella di togliere risorse ad alcuni comuni per attribuirne ad altri; operazione che produce danni irreversibili in termini di peggioramento del livello dei servizi in un contesto, come evidenzia I.F.E.L., di marcata inadeguatezza delle risorse messe complessivamente a disposizione del sistema degli enti territoriali. La consapevolezza del paradigma di perequazione stabilito dalla specifica disposizione costituzionale avrebbe dovuto condurre il legislatore ad assicurarsi che dall'avanzare del criterio perequativo per cui ha legittimamente optato non scaturissero pregiudizi alle finanze degli enti territoriali, ma solo benefici a favore di quelli tra loro con minori capacita' fiscali per abitante; cio' che palesemente non e' avvenuto, rendendo illegittima la norma impugnata nel senso gia' precisato. Ne', d'altra parte, e' data facolta' al legislatore di deviare dallo schema della perequazione stabilito nella Costituzione in favore di opzioni differenti. La natura tipica degli strumenti di perequazione e la scelta sostanziale per un modello di perequazione di tipo verticale e' stata piu' volte ribadita da codesta ecc.ma Corte Costituzionale (ex plurimis Corte costituzionale, sentenza n. 176 del 2012; nello stesso senso, Corte costituzionale, sentenza n. 46 del 2013). Orbene, non v'e' chi non vede come tale insegnamento venga surrettiziamente eluso da una disposizione che, mancando di prevedere le risorse adeguate, scarica il costo della perequazione sui comuni, anziche' sullo Stato, consolidando in tal modo un assetto di perequazione orizzontale apertamente in contrasto con la giurisprudenza sopra ricordata. I commi 1 e 4 dell'art. 119, della Costituzione risultano ulteriormente violati dalla disposizione impugnata perche', in assenza di qualsivoglia valutazione di impatto, la mancata previsione delle risorse necessarie a neutralizzare gli effetti negativi della perequazione mette a rischio la possibilita' per le amministrazioni locali di provvedere all'esercizio normale delle loro funzioni. Vero che non esiste una garanzia di carattere quantitativo e che, con riferimento al rapporto tra funzioni da finanziare e risorse, la Corte ha sostenuto che la riassegnazione di queste ultime «e' priva di qualsiasi automatismo e comporta scelte in ordine alle modalita', all'entita' e ai tempi, rimesse al legislatore statale» (Corte costituzionale, sentenza n. 83 del 2019). Altrettanto vero, tuttavia, e' il fatto che grava indiscutibilmente sullo Stato l'obbligo e la responsabilita' di assicurare che le risorse messe a disposizione dei comuni siano sufficienti ad assicurare l'esercizio delle funzioni e che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte Costituzionale, non sono ammissibili sic et simpliciter tagli lineari di carattere permanente. E' stato affermato, in tal senso, che «norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla condizione, tra l'altro, che si limitino a prevedere un contenimento complessivo della spesa corrente dal carattere transitorio (ex multis, tra le piu' recenti, sentenze n. 154 del 2017, n. 65 del 2016, n. 218 e n. 189 del 2015; nello stesso senso, sentenze n. 44 del 2014, n. 236 e n. 229 del 2013, n. 217, n. 193 e n. 148 del 2012, n. 182 del 2011). Non e' in discussione il potere del legislatore statale di programmare risparmi anche di lungo periodo relativi al complesso della spesa pubblica aggregata. E questa Corte ha, anzi, gia' chiarito che «una censura che lamenta il presunto carattere permanente dello specifico contributo non e' provata dalla circostanza che essa si aggiunga agli effetti delle precedenti manovre di finanza pubblica» (sentenza n. 154 del 2017). Tuttavia, le singole misure di contenimento della spesa pubblica devono presentare il carattere della temporaneita', al fine di definire in modo appropriato, anche tenendo conto delle scansioni temporali dei cicli di bilancio e piu' in generale della situazione economica del Paese, «il quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato, le Regioni e gli enti locali, evitando la sostanziale estensione dell'ambito temporale di precedenti manovre che potrebbe sottrarre al confronto parlamentare la valutazione degli effetti complessivi e sistemici di queste ultime in un periodo piu' lungo» (sentenza n. 169 del 2017) - (Corte costituzionale, sentenza n. 103 del 2018). E ancora: «la riduzione sproporzionata delle risorse, non corredata da adeguate misure compensative, e' infatti in grado di determinare un grave vulnus all'espletamento da parte delle Province [e dei comuni] delle funzioni espressamente conferite dalla legge (...). Dunque la forte riduzione delle risorse destinate a funzioni esercitate con carattere di continuita' ed in settori di notevole rilevanza sociale risulta manifestamente irragionevole proprio per l'assenza di proporzionate misure che ne possano in qualche modo giustificare il dimensionamento (su analoga questione, sentenza n. 188 del 2015)» (Corte costituzionale, sentenza 10 del 2016). Per giunta, al fine di valutare appieno la consistenza e gli effetti irreversibili della disposizione impugnata, occorre compiere quella necessaria valutazione di contesto che porta ad escludere che, per altro verso, sia data la possibilita' agli enti locali di riassorbire le risorse venute meno, tali e tante sono le criticita' dell'attuale sistema e la sua conclamata incapacita', anche per effetto della spinta inflazionistica, di soddisfare il fabbisogno finanziario dei comuni. Parimenti risulta leso l'art. 120, comma 2, della Costituzione in quanto imporre una riduzione dei trasferimenti agli enti territoriali attraverso la mancata previsione delle risorse necessarie a sterilizzare le ripercussioni negative della perequazione, in assenza di una qualsiasi valutazione di impatto sulle finanze degli enti territoriali e sulla possibilita' o meno di riassorbire i tagli cosi' attuati, nella piu' totale mancanza di una, sia pure minima, analisi circa la perdurante capacita' degli enti di assolvere all'esercizio integrale delle funzioni loro attribuite, equivale ad infrangere le piu' elementari regole della leale collaborazione. Essendo quello dell'autonomia finanziaria delle amministrazioni locali un principio direttamente tutelato dalla Costituzione, si ritiene che il legislatore, ogniqualvolta si accosti alla materia, sia tenuto ad attuare i propri interventi, soprattutto se orientati a determinare una diminuzione di risorse, nel constante confronto con il sistema delle autonomie per il tramite delle sedi di concertazione interistituzionale. Si eviterebbero, in tal modo, misure scomposte, dagli effetti nefasti e imprevedibili, che poi richiedono ulteriori azioni per porvi rimedio. Per tali motivazioni, il Consiglio delle Autonomie Locali, mediante la Regione Liguria, chiede a codesta ecc.ma Corte costituzionale l'annullamento della disposizione di cui in rubrica, nel senso gia' precisato.
P. Q. M. Voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare l'illegittimita' costituzionale: - dell'art. 1, comma 332, legge 29 dicembre 2022, n. 197, per contrasto con gli articoli 5, 114, 119, commi 1 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui attribuisce l'onere dell'emolumento accessorio dell'1,5 per cento dello stipendio da erogare una tantum per tredici mensilita' al personale dipendente a carico del bilancio dei comuni, anziche' a carico del bilancio dello Stato, ovvero nella parte in cui non prevede alcuna forma di congruo ristoro a vantaggio dei bilanci dei comuni, omettendo, altresi', qualunque intesa in sede di Conferenza Stato Citta'; - dell'art. 1, comma 774, legge 29 dicembre 2022, n. 197, per contrasto con gli articoli 5, 119, commi 1, 3 e 4, e 120, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui prevede l'integrazione del fondo di solidarieta' comunale per l'anno 2023 nella misura di euro 50 milioni, anziche' in quella di euro 86 milioni, ovvero in quella ritenuta congrua dalla Corte costituzionale al fine di assicurare la sterilizzazione degli effetti negativi in termini di contrazione dei trasferimenti a seguito dell'incedere della percentuale di perequazione ai sensi dell'art. 57, comma 1, decreto-legge n. 124 del 2019, convertito, con modificazione, dalla legge n. 157 del 2019. Con la massima osservanza. Genova, 27 febbraio 2023 L'Avvocato: Piciocchi