N. 70 SENTENZA 23 febbraio - 14 aprile 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Spesa sanitaria - Predisposizione,
  da parte delle Regioni, di un Piano di  fabbisogno  triennale,  per
  aumentare del 5% la spesa per il personale sanitario -  Previsione,
  con  decreto  interministeriale,  della  metodologia  per  la   sua
  predisposizione - Fissazione di un termine perentorio  per  la  sua
  adozione - Omessa previsione  -  Ricorso  della  Regione  Veneto  -
  Lamentata violazione della competenza  concorrente  in  materia  di
  tutela  della  salute  e  di  quella  residuale   in   materia   di
  organizzazione del personale nonche' irragionevolezza  e  contrasto
  con il principio del buon andamento della pubblica  amministrazione
  - Non fondatezza delle questioni. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Spesa sanitaria - Predisposizione,
  da parte delle Regioni, di un Piano di  fabbisogno  triennale,  per
  aumentare del 5% la spesa per il personale sanitario -  Valutazione
  e approvazione del Piano da  parte  di  un  Tavolo  tecnico  e  dal
  Comitato paritetico permanente per la verifica dei  LEA  -  Ricorso
  della  Regione  Veneto  -  Lamentata  violazione  della  competenza
  regionale residuale in materia di organizzazione  del  personale  -
  Non fondatezza delle questioni, nei sensi di cui in motivazione. 
Comuni,  Province  e  Citta'  metropolitane  -  Contributi   per   la
  rigenerazione urbana erogati dallo Stato - Ripartizione  ai  comuni
  mediante decreto interministeriale - Coinvolgimento delle regioni -
  Omessa previsione -  Violazione  della  competenza  concorrente  in
  materia  di  governo  del  territorio  e  del  principio  di  leale
  collaborazione - Illegittimita' costituzionale. 
Istruzione  -  Formazione  professionale  -  Revisione  dei  tirocini
  extracurriculari - Definizione delle relative linee guida -  Rinvio
  a un accordo tra Stato e regioni, concluso in  sede  di  Conferenza
  permanente - Previsione che la revisione favorisca i  soggetti  con
  difficolta' di inclusione sociale  -  Violazione  della  competenza
  concorrente in materia di formazione professionale - Illegittimita'
  costituzionale. 
- Legge 30 dicembre 2021, n. 234, art. 1, commi 269, lettera c), 534,
  535, 536, 537 e 721, lettera a). 
- Costituzione, artt. 3, 32, 97, secondo comma, 117, terzo  e  quarto
  comma, 118, 119, quinto comma, e 120. 
(GU n.16 del 19-4-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
269, da 534 a 537 e 721, lettera a), della legge 30 dicembre 2021, n.
234 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2022 e
bilancio pluriennale  per  il  triennio  2022-2024),  promosso  dalla
Regione Veneto con ricorso notificato il 28 febbraio 2022, depositato
in cancelleria il 1° marzo 2022,  iscritto  al  n.  18  del  registro
ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
n. 13, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  21  febbraio  2023  il  Giudice
relatore Angelo Buscema; 
    uditi gli avvocati Andrea Manzi e Giacomo Quarneti per la Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Emanuele Feola per il Presidente  del
Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 23 febbraio 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato in data 28 febbraio 2022,  la  Regione
Veneto ha impugnato l'art. 1, commi 269, 534, 535, 536,  537  e  721,
della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Bilancio  di  previsione  dello
Stato per l'anno finanziario  2022  e  bilancio  pluriennale  per  il
triennio 2022-2024), in riferimento, complessivamente, agli artt.  3,
32, 97, 117, commi terzo e quarto, 118, 119 e 120 della Costituzione. 
    1.1.- Piu' precisamente, l'art. 1, comma 269, della legge n.  234
del  2021  stabilisce  che  «[a]l  comma  1  dell'articolo   11   del
decreto-legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 25  giugno  2019,  n.  60,  sono  apportate  le  seguenti
modificazioni: 
    a) al secondo periodo, le parole:  "un  importo  pari  al  5  per
cento» sono sostituite dalle seguenti: "un importo  pari  al  10  per
cento"; 
    b) al quarto periodo,  le  parole:  "Per  il  medesimo  triennio,
qualora nella singola Regione  emergano  oggettivi"  sono  sostituite
dalle seguenti: "Qualora nella singola Regione emergano,  sulla  base
della metodologia di cui al sesto periodo, oggettivi"; 
    c) il sesto periodo e' sostituito dai seguenti:  "Dall'anno  2022
l'incremento di cui al quarto periodo e' subordinato all'adozione  di
una metodologia per la determinazione  del  fabbisogno  di  personale
degli enti del Servizio sanitario nazionale. Entro centottanta giorni
dalla data di entrata  in  vigore  della  presente  disposizione,  il
Ministro della salute, di concerto con il  Ministro  dell'economia  e
delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza permanente  per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, su proposta dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari
regionali,  nel  rispetto  del  valore  complessivo  della  spesa  di
personale del Servizio sanitario nazionale determinata ai  sensi  dei
precedenti periodi, adotta con decreto la suddetta metodologia per la
determinazione del fabbisogno di personale degli  enti  del  Servizio
sanitario nazionale, in coerenza con quanto stabilito dal regolamento
di cui al decreto del Ministro della salute 2 aprile 2015, n.  70,  e
dall'articolo 1, comma 516, lettera c), della legge 30 dicembre 2018,
n. 145, e con gli standard organizzativi, tecnologici e  quantitativi
relativi all'assistenza territoriale, anche ai fini di  una  graduale
revisione della  disciplina  delle  assunzioni  di  cui  al  presente
articolo.  Le  regioni,  sulla  base  della   predetta   metodologia,
predispongono il piano  dei  fabbisogni  triennali  per  il  servizio
sanitario regionale, che sono valutati  e  approvati  dal  tavolo  di
verifica  degli  adempimenti  di  cui  all'articolo  12,   comma   1,
dell'intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di  Bolzano,  pubblicata  nel  supplemento  ordinario  alla  Gazzetta
Ufficiale n. 105  del  7  maggio  2005,  congiuntamente  al  Comitato
paritetico permanente per la  verifica  dell'erogazione  dei  livelli
essenziali di assistenza (LEA) di cui all'articolo 9, comma 1,  della
medesima intesa, anche al fine di  salvaguardare  l'invarianza  della
spesa complessiva"». 
    Per  effetto  di  questa  modifica,  l'art.  11,  comma  1,   del
decreto-legge 30 aprile 2019,  n.  35  (Misure  emergenziali  per  il
servizio sanitario della Regione Calabria e altre misure  urgenti  in
materia sanitaria), convertito, con  modificazioni,  nella  legge  25
giugno 2019, n. 60, prevede che «[a] decorrere dal 2019, la spesa per
il personale  degli  enti  del  Servizio  sanitario  nazionale  delle
regioni, nell'ambito del livello  del  finanziamento  del  fabbisogno
sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato e  ferma  restando
la compatibilita' finanziaria, sulla base degli indirizzi regionali e
in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni  di  personale,  non
puo' superare il valore della spesa sostenuta  nell'anno  2018,  come
certificata  dal  Tavolo  di  verifica  degli  adempimenti   di   cui
all'articolo  12  dell'Intesa  23  marzo  2005  sancita  in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
Province autonome di Trento e di Bolzano, o, se superiore, il  valore
della spesa prevista  dall'articolo  2,  comma  71,  della  legge  23
dicembre  2009,  n.  191.  I  predetti   valori   sono   incrementati
annualmente, a livello regionale, di un importo pari al 10 per  cento
dell'incremento del Fondo sanitario regionale rispetto  all'esercizio
precedente. Nel triennio 2019-2021 la predetta percentuale e' pari al
10  per  cento  per  ciascun  anno.  Qualora  nella  singola  Regione
emergano, sulla base della  metodologia  di  cui  al  sesto  periodo,
oggettivi ulteriori fabbisogni di personale  rispetto  alle  facolta'
assunzionali   consentite    dal    presente    articolo,    valutati
congiuntamente dal Tavolo tecnico per la verifica degli adempimenti e
dal Comitato permanente per la verifica dell'erogazione  dei  livelli
essenziali di assistenza, puo' essere concessa alla medesima  Regione
un'ulteriore variazione del 5 per  cento  dell'incremento  del  Fondo
sanitario regionale rispetto all'anno precedente, fermo  restando  il
rispetto  dell'equilibrio  economico  e  finanziario   del   Servizio
sanitario  regionale.  Tale  importo  include  le  risorse   per   il
trattamento  accessorio  del  personale,  il  cui  limite,   definito
dall'articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n.
75,  e'  adeguato,  in  aumento  o  in  diminuzione,  per   garantire
l'invarianza del valore medio  pro-capite,  riferito  all'anno  2018,
prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio
al 31 dicembre 2018. Dall'anno 2022 l'incremento  di  cui  al  quarto
periodo  e'  subordinato  all'adozione  di  una  metodologia  per  la
determinazione del fabbisogno di personale degli  enti  del  Servizio
sanitario nazionale. Entro centottanta giorni dalla data  di  entrata
in vigore della presente disposizione, il Ministro della  salute,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa
in sede di Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni e le province autonome di Trento e di  Bolzano,  su  proposta
dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, nel rispetto
del  valore  complessivo  della  spesa  di  personale  del   Servizio
sanitario nazionale determinata  ai  sensi  dei  precedenti  periodi,
adotta con decreto la suddetta metodologia per la determinazione  del
fabbisogno di personale degli enti del Servizio sanitario  nazionale,
in coerenza con quanto stabilito dal regolamento di  cui  al  decreto
del Ministro della salute 2 aprile 2015, n. 70,  e  dall'articolo  1,
comma 516, lettera c), della legge 30 dicembre 2018, n.  145,  e  con
gli  standard  organizzativi,  tecnologici  e  quantitativi  relativi
all'assistenza territoriale, anche ai fini di una graduale  revisione
della disciplina delle assunzioni di cui  al  presente  articolo.  Le
regioni, sulla base  della  predetta  metodologia,  predispongono  il
piano dei fabbisogni triennali per il servizio  sanitario  regionale,
che  sono  valutati  e  approvati  dal  tavolo  di   verifica   degli
adempimenti di cui all'articolo 12, comma  1,  dell'intesa  23  marzo
2005, sancita dalla Conferenza  permanente  per  i  rapporti  tra  lo
Stato, le regioni e le province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,
pubblicata nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale  n.  105
del 7 maggio 2005, congiuntamente al Comitato  paritetico  permanente
per la verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di  assistenza
(LEA) di cui all'articolo 9, comma 1, della medesima intesa, anche al
fine di salvaguardare l'invarianza della spesa complessiva». 
    Sostiene la ricorrente che l'art. 1, comma 269,  della  legge  n.
234 del 2021, nella parte in cui prevede  il  «piano  dei  fabbisogni
triennali per il servizio  sanitario  regionale»,  introdurrebbe  uno
strumento pianificatorio di secondo livello,  sovraordinato  rispetto
agli ordinari «piani triennali del fabbisogno di personale degli enti
del  servizio  sanitario  regionale»,   ledendo   tanto   l'autonomia
organizzativa delle regioni, di competenza legislativa residuale,  ai
sensi dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,  quanto  la  competenza
legislativa concorrente nella materia «tutela della salute»,  di  cui
al terzo comma dell'art. 117 Cost. 
    La disposizione impugnata sarebbe  altresi'  irragionevole  e  in
contrasto  con  il  principio  di  buon  andamento   della   pubblica
amministrazione, poiche' prevedendo una sovrapposizione di  strumenti
pianificatori,  oltre  a  generare   una   illegittima   compressione
dell'autonomia  organizzatoria  degli  enti  del  servizio  sanitario
regionale,  determinerebbe   inevitabili   esiti   contraddittori   e
incongruenze nella rilevazione dei fabbisogni da  parte  di  soggetti
diversi. 
    La Regione ricorrente lamenta altresi' la  lesione  dell'art.  32
Cost., unitamente al terzo comma  dell'art.  117  Cost.,  poiche'  la
mancata previsione di termini perentori di adozione del  decreto  del
Ministro   della   salute,   contenente   la   metodologia   per   la
determinazione del fabbisogno del personale,  ovvero  -  quanto  alla
fase integrativa dell'efficacia - senza che siano previsti termini  e
forme di silenzio significativo per il caso di mancata  approvazione,
farebbe  si'  che,  nelle  more  della  conclusione  dell'iter  cosi'
articolato e temporalmente incerto, le aziende e gli enti del SSR non
potrebbero disporre assunzioni  di  personale,  cosi'  compromettendo
l'erogazione delle prestazioni sanitarie e la  garanzia  dei  livelli
essenziali di assistenza. 
    Afferma, infine, la difesa regionale che i commi terzo  e  quarto
dell'art. 117, Cost. risulterebbero lesi dalla previsione secondo  la
quale il menzionato strumento di programmazione  sarebbe  valutato  e
approvato da parte di due  organismi  tecnici  a  composizione  mista
statale e regionale (ossia il Tavolo di verifica degli adempimenti di
cui all'art. 12, comma 1, dell'intesa 23  marzo  2005,  raggiunta  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le Province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano,  e  il  Comitato
paritetico permanente per la  verifica  dell'erogazione  dei  livelli
essenziali di assistenza di cui all'art. 9, comma 1,  della  medesima
intesa), che potrebbero ingerirsi  nei  profili  organizzatori  della
Regione. 
    La ricorrente chiede, pertanto, la caducazione dell'intero  comma
269, ovvero, in subordine, del solo periodo in  cui  sottopone  «[la]
verifica e [l']approvazione» del Piano del  fabbisogno  triennale  al
Tavolo di verifica e al Comitato paritetico permanente. 
    1.2.- La Regione ha impugnato altresi' l'art. 1, commi 534,  535,
536 e 537, della legge n. 234  del  2021,  poiche',  ai  sensi  delle
richiamate disposizioni, i contributi  per  la  rigenerazione  urbana
erogati dallo Stato per il 2022  sarebbero  ripartiti  fra  i  comuni
beneficiari con decreto interministeriale, senza coinvolgimento delle
regioni. 
    Ai sensi del comma 534, il limite complessivo dei contributi  che
possono essere erogati dallo Stato ai  comuni  e'  pari  a  euro  300
milioni per l'anno 2022 e di essi possono beneficiare gli enti locali
indicati nel comma 535, ossia: 
    a) i comuni con popolazione inferiore a 15 mila abitanti che,  in
forma  associata,  superino,  tuttavia,   la   suddetta   soglia   di
popolazione; e 
    b) i comuni che non  risultino  gia'  beneficiari  delle  risorse
attribuite con il decreto interministeriale previsto dall'art. 5  del
decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 gennaio 2021
«Assegnazione ai comuni di contributi per investimenti in progetti di
rigenerazione  urbana,  volti   alla   riduzione   di   fenomeni   di
marginalizzazione e degrado sociale». 
    Nei casi sub a), l'impugnato comma 535 prevede che la domanda  di
accesso ai contributi sia presentata dai comuni  capofila  e  che  il
limite massimo della sovvenzione sia pari a euro cinque milioni.  Per
i comuni sub b), invece, la  medesima  disposizione  prevede  che  il
limite massimo delle sovvenzioni sia pari  alla  differenza  fra  gli
importi previsti dall'art. 2, comma 2,  del  menzionato  d.P.C.m.  21
gennaio 2021 e le risorse attribuite dal decreto interministeriale di
cui all'art. 5 del medesimo d.P.C.m. 
    Il comma 536  dispone  che  i  comuni  comunichino  ai  Ministero
dell'interno, entro un termine perentorio, le richieste di contributo
per  la  realizzazione  delle  opere  pubbliche  individuate  per  le
finalita' di rigenerazione  urbana,  specificando,  fra  l'altro,  la
tipologia dell'opera, il  quadro  economico,  il  cronoprogramma  dei
lavori, il codice unico di progetto (CUP),  nonche'  -  nel  caso  di
comuni in forma associata - l'elenco dei comuni che fanno parte della
forma associativa. 
    Ai sensi  del  comma  537,  infine,  l'ammontare  del  contributo
attribuito a ciascun comune «e' determinato con decreto del  Ministro
dell'interno, di concerto con  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze, da adottare entro il 30 giugno 2022». 
    Deduce  la  ricorrente  che  la   mancata   previsione   di   una
partecipazione regionale nella  gestione  dei  menzionati  contributi
statali si porrebbe in contrasto  anzitutto  con  l'art.  117,  comma
terzo, Cost., poiche'  la  rigenerazione  urbana  rientrerebbe  nella
materia  «governo  del  territorio»,  che  -  in  quanto  materia  di
legislazione concorrente - non consentirebbe  allo  Stato  interventi
attuativi di dettaglio. Quindi, pur  operando  il  contributo  in  un
ambito materiale asseritamente ricadente nella richiamata  competenza
legislativa concorrente, la mancata previsione  di  alcuna  forma  di
partecipazione regionale determinerebbe la lesione del  principio  di
leale collaborazione (sono citate le sentenze di questa Corte  n.  40
del 2022 e n. 74 del 2018). 
    Ai sensi della  richiamata  giurisprudenza  costituzionale,  tali
interventi sarebbero consentiti esclusivamente nei casi  di  chiamata
in sussidiarieta' da parte dello Stato delle funzioni  amministrative
(e delle correlate funzioni legislative),  ai  sensi  dell'art.  118,
primo comma, Cost., oppure per la promozione di specifiche  finalita'
contemplate dall'art. 119, quinto comma, Cost. 
    Quanto alla chiamata in sussidiarieta', la ricorrente deduce  che
non  vi  sarebbe  alcuna  esigenza  di  gestione  unitaria  tale   da
giustificare l'applicazione del meccanismo in esame; comunque,  anche
giustificando  l'intervento  normativo  statale  con  la   menzionata
attrazione in sussidiarieta', sarebbe comunque violato  il  principio
di leale collaborazione di cui all'art. 120  Cost.,  per  difetto  di
previsione di adeguate forme di coinvolgimento delle regioni. 
    Quanto ai fondi speciali, secondo  la  ricorrente  il  contributo
statale avrebbe natura vincolata e sarebbe  destinato  a  una  platea
generalizzata di  comuni,  in  relazione  a  finalita'  di  decoro  e
rigenerazione urbane, le quali - afferendo alle ordinarie  competenze
comunali  -  non  sarebbero  riconducibili  alle  finalita'  elencate
tassativamente dal quinto  comma  dell'art.  119  Cost.  Dal  che  si
dedurrebbe   l'illegittimita'   costituzionale   delle   disposizioni
impugnate. 
    1.3.- E' impugnato, infine, l'art. 1, comma 721, della  legge  n.
234 del 2021, che demanda la disciplina dei tirocini extracurriculari
a specifiche linee guida, da definirsi con un  accordo,  concluso  in
sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto di alcuni
criteri generali stabiliti dalla disposizione impugnata. 
    Dispone il citato comma 721 che «[e]ntro centottanta giorni dalla
data di entrata in vigore della  presente  legge,  il  Governo  e  le
regioni concludono, in sede di Conferenza permanente per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano, un accordo per la definizione di  linee-guida  condivise  in
materia di tirocini diversi da quelli  curriculari,  sulla  base  dei
seguenti criteri: 
    a)  revisione  della   disciplina,   secondo   criteri   che   ne
circoscrivano l'applicazione in favore di soggetti con difficolta' di
inclusione sociale; 
    b)  individuazione  degli   elementi   qualificanti,   quali   il
riconoscimento  di  una  congrua  indennita'  di  partecipazione,  la
fissazione di una durata massima comprensiva di eventuali  rinnovi  e
limiti numerici di tirocini attivabili in relazione  alle  dimensioni
d'impresa; 
    c)  definizione  di  livelli  essenziali  della  formazione   che
prevedano un bilancio delle competenze all'inizio del tirocinio e una
certificazione delle competenze alla sua conclusione; 
    d) definizione di  forme  e  modalita'  di  contingentamento  per
vincolare l'attivazione di nuovi tirocini all'assunzione di una quota
minima di tirocinanti al termine del periodo di tirocinio; 
    e)  previsione  di  azioni  e  interventi  volti  a  prevenire  e
contrastare  un  uso  distorto  dell'istituto,  anche  attraverso  la
puntuale individuazione delle modalita' con cui il tirocinante presta
la propria attivita'». 
    Afferma il ricorrente che tale disposizione,  nel  predeterminare
rigidamente i criteri di adozione delle linee guida -  nella  specie,
circoscrivendo  l'applicazione  dei   tirocini   extracurriculari   a
soggetti con  difficolta'  di  inclusione  sociale  -  violerebbe  la
competenza  legislativa  residuale  delle  regioni  in   materia   di
«formazione professionale», ai sensi  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost., nonche' il principio  di  ragionevolezza,  poiche'  verrebbero
stravolte le finalita' proprie dei menzionati tirocini, intesi  quali
strumenti formativi di rilevanza sociale. Sarebbe  altresi'  leso  il
principio di leale collaborazione, posto che l'accordo cui rinvia  la
disposizione sarebbe «avvilito e  umiliato»  dalla  predeterminazione
dei contenuti da parte dello Stato con l'impugnata disposizione. 
    2.- Con atto depositato l'8 aprile  2022,  si  e'  costituito  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, sostenendo  la  non  fondatezza
del ricorso. 
    2.1.- Quanto al primo gruppo di  questioni,  la  difesa  erariale
osserva che il comma 269 dell'art. 1 della  legge  n.  234  del  2021
disciplina la possibilita' per le regioni di incrementare le  proprie
facolta' assunzionali e, quindi, di beneficiare di una variazione del
cinque per cento del  Fondo  sanitario  regionale  rispetto  all'anno
precedente,  ma  esclusivamente  a  fronte  di  «oggettivi  ulteriori
fabbisogni di personale». Tali ulteriori fabbisogni  devono  emergere
da un apposito  Piano  del  fabbisogno  triennale  predisposto  dalla
regione, applicando una «metodologia uniforme su tutto il  territorio
nazionale», determinata da un decreto del Ministro della  salute,  di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa
in sede di Conferenza permanente per i  rapporti  tra  lo  Stato,  le
regioni e le Province autonome di Trento e di  Bolzano,  su  proposta
dell'Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, da adottarsi
entro 180 giorni dalla data di entrata in vigore  della  legge  e  in
coerenza con i criteri gia'  stabiliti  dal  regolamento  di  cui  al
decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, con le disposizioni di cui
all'art. 1, comma 516, lettera c), della legge 30 dicembre  2018,  n.
145 (Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2019 e
bilancio pluriennale per il triennio  2019-2021),  nonche'  con  «gli
standard   organizzativi,   tecnologici   e   quantitativi   relativi
all'assistenza territoriale».  Il  fabbisogno  cosi'  emergente  deve
essere comunque valutato e approvato dal  Tavolo  di  verifica  degli
adempimenti e dal Comitato  paritetico  permanente  per  la  verifica
dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). 
    Secondo la difesa erariale  tale  disciplina  sarebbe  espressiva
della competenza legislativa esclusiva dello Stato di  determinazione
dei livelli essenziali delle prestazioni,  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera m), Cost., che,  per  costante  giurisprudenza
costituzionale,  includerebbe  non  solo  la  competenza  a   fissare
standard  quantitativi,  strutturali,   tecnologici   e   qualitativi
relativi  all'assistenza   ospedaliera,   ma   anche   le   procedure
strumentali indispensabili ad assicurare che gli  enti  del  servizio
sanitario  siano  in  condizione  di  garantire  la  loro  erogazione
all'utenza (sono citate le sentenze n. 231 e n. 192 del 2017). 
    Oltre a intersecare la determinazione dei livelli  essenziali  di
assistenza, la disposizione  impugnata  sarebbe  riconducibile  anche
alla competenza legislativa concorrente in materia  di  tutela  della
salute e di coordinamento della finanza pubblica, poiche' traccerebbe
la cornice «funzionale e  operativa  che  garantisce  la  qualita'  e
l'adeguatezza delle prestazioni erogate» (e' citata  la  sentenza  di
questa Corte n. 207 del 2010), e introdurrebbe condizionalita'  volte
a  incrementare  l'efficienza  della  spesa  pubblica   nel   settore
sanitario (sono citate le sentenze di questa Corte n. 272  del  2015,
n. 52 del 2010 e n. 193 del 2007). 
    In proposito, il Presidente del Consiglio  dei  ministri  osserva
che la disposizione impugnata sarebbe stata adottata in attuazione di
quanto stabilito con  il  Patto  per  la  salute  2019-2021,  di  cui
all'intesa del 18 dicembre  2019  raggiunta  in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  Province
autonome di Trento e  di  Bolzano.  Nella  scheda  n.  3  del  Patto,
relativa alle risorse umane, le parti avrebbero infatti convenuto  di
sostituire, nel triennio  2019-2021,  la  percentuale  di  incremento
della spesa di personale dal cinque per cento - di cui  all'art.  11,
comma 1, del d.l. n. 35 del 2019, come convertito,  -  al  dieci  per
cento, precisando altresi' di  valutare  l'ulteriore  incremento  del
cinque per cento qualora emergano oggettivi ulteriori  fabbisogni  di
personale, valutati  congiuntamente  dal  Tavolo  di  verifica  degli
adempimenti e dal Comitato  paritetico  permanente  per  la  verifica
dell'erogazione dei LEA. Le parti avrebbero  altresi'  convenuto,  al
fine di dare attuazione a quanto previsto dal citato art.  11,  comma
1, la definizione di una idonea metodologia di calcolo dei fabbisogni
ospedalieri di personale da parte del  Ministro  per  la  salute.  La
disposizione impugnata, pertanto,  altro  non  farebbe  se  non  dare
attuazione a quanto convenuto nella richiamata  intesa,  per  fornire
agli enti regionali uno strumento  di  programmazione  delle  risorse
umane che consenta loro di assicurare standard quantitativi uniformi,
in relazione all'assistenza ospedaliera territoriale. 
    Non sarebbero dunque lese le competenze regionali  concorrenti  e
residuali  -  rispettivamente,  di   tutela   della   salute   e   di
organizzazione del personale - poiche' la disposizione richiamata non
disporrebbe norme di dettaglio che incidano sull'organizzazione degli
enti del sistema sanitario  regionale,  ma  fisserebbe  un  principio
generale in materia di coordinamento della  finanza  pubblica,  volto
all'efficientamento della spesa pubblica. 
    Secondo la  difesa  erariale,  la  disposizione  nemmeno  sarebbe
irragionevole, poiche' non creerebbe alcuna  sovrapposizione  fra  la
predisposizione  del  censurato  Piano  dei   fabbisogni   triennale,
affidata  alle  regioni,  e  la  predisposizione  dei  singoli  Piani
triennali dei fabbisogni,  demandata  a  ciascun  ente  del  servizio
sanitario  regionale.  Il  primo  strumento,  infatti,   registra   i
fabbisogni di personale a livello regionale, il  secondo,  invece,  i
fabbisogni di ciascuna azienda sanitaria locale  (ASL).  Inoltre,  il
Piano dei fabbisogni triennali ha la specifica funzione di consentire
il rilevamento di oggettivi ulteriori  fabbisogni  di  personale,  al
fine di accedere all'incremento  del  cinque  per  cento  -  rispetto
all'anno precedente - del Fondo sanitario regionale, elemento che  lo
distingue nettamente dai piani redatti dalle  ASL,  sia  per  il  suo
oggetto, sia per le sue finalita'. 
    Osserva,  infine,  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  che   la
fissazione di  un  termine  -  nella  specie  di  180  giorni  -  non
perentorio ma meramente ordinatorio sarebbe funzionale a garantire le
prerogative   delle   autonomie   territoriali,   in   considerazione
dell'esigenza di acquisire l'intesa con le stesse  sulla  metodologia
di calcolo. Diversamente, la  fissazione  di  un  termine  perentorio
precluderebbe al Ministro il potere di adottare il menzionato decreto
una volta spirato il termine, compromettendo la possibilita'  per  le
regioni di accedere alle risorse aggiuntive. La  difesa  erariale  fa
notare  peraltro  che  il  suddetto  termine,   come   ogni   termine
procedimentale,   e'   certamente   «vincolante    per    tutte    le
Amministrazioni destinatarie, in  virtu'  dei  principi  generali  di
legalita', buon andamento e imparzialita' previsti  dall'articolo  97
della Costituzione, che obbligano  ogni  pubblica  amministrazione  a
concludere, entro i termini previsti dalla legge, i  procedimenti  di
propria competenza». 
    2.2.- Quanto al secondo gruppo di questioni,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri procede preliminarmente  a  una  ricostruzione
della  normativa  in  tema  di  assegnazione  di  contributi  per  la
rigenerazione urbana, ricordando che  il  d.P.C.m.  21  gennaio  2021
(Assegnazione ai comuni di contributi per investimenti in progetti di
rigenerazione  urbana,  volti   alla   riduzione   di   fenomeni   di
marginalizzazione e  degrado  sociale)  -  richiamato  dall'impugnato
comma  535,  che  individua  i  comuni  beneficiari   delle   risorse
aggiuntive - era stato adottato in attuazione dell'art. 1, commi 42 e
43, della legge 27 dicembre 2019,  n.  160  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il
triennio 2020-2022). 
    Piu' precisamente, ai sensi del citato  comma  42,  per  ciascuno
degli anni dal 2021 al 2034, e' prevista l'assegnazione ai comuni  di
contributi per effettuare investimenti in progetti  di  rigenerazione
urbana, volti alla  riduzione  di  fenomeni  di  marginalizzazione  e
degrado sociale, nonche' al miglioramento della qualita'  del  decoro
urbano e del tessuto sociale e ambientale, nel limite complessivo  di
euro 150 milioni per l'anno 2021, euro 250 milioni per il 2022,  euro
550 milioni per ciascuno degli anni  2023  e  2024,  e  di  euro  700
milioni per ciascuno degli anni dal 2025 al 2034. 
    Ai sensi del comma  43,  l'individuazione  dei  criteri  e  delle
modalita' di riparto delle risorse era  rinviata  a  un  decreto  del
Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto  con  il  Ministro
dell'economia e delle finanze  e  il  Ministro  dell'interno,  previa
intesa in  sede  di  Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie  locali;
l'individuazione dei comuni  beneficiari  e  degli  importi  ad  essi
spettanti  era  invece  demandata   a   un   decreto   del   Ministro
dell'interno, di concerto con  il  Ministero  dell'economia  e  delle
finanze. 
    L'art. 2, comma 1, del  d.P.C.m.  21  gennaio  2021  ha,  quindi,
stabilito che i contributi previsti  dall'art.  1,  comma  42,  della
legge n. 160 del 2019 possono essere  richiesti:  a)  da  comuni  con
popolazione superiore a 15 mila abitanti, non capoluogo di provincia;
nonche' b) da comuni capoluogo di provincia, oppure  sede  di  citta'
metropolitana. 
    Il successivo comma 2 ha stabilito, altresi', che ciascun  comune
puo' fare richiesta di un contributo per uno o  piu'  interventi  nel
limite massimo di: a) euro 5 milioni per  i  comuni  con  popolazione
compresa fra 15.000 e 49.999 abitanti;  b)  euro  10  milioni  per  i
comuni con popolazione compresa fra 50.000  e  100.000  abitanti;  c)
euro 20 milioni per i comuni con popolazione  superiore  o  uguale  a
100.001 abitanti. 
    L'art. 3, comma 1, del  menzionato  d.P.C.m.  ha  individuato  la
tipologia di interventi ammissibili al  contributo:  a)  manutenzione
per il riuso e rifunzionalizzazione di aree pubbliche e di  strutture
edilizie esistenti pubbliche per  finalita'  di  interesse  pubblico,
anche compresa la demolizione di opere abusive realizzate da  privati
in assenza o totale  difformita'  dal  permesso  di  costruire  e  la
sistemazione delle pertinenti aree; b) miglioramento  della  qualita'
del decoro urbano e del tessuto sociale e ambientale, anche  mediante
interventi di ristrutturazione edilizia  di  immobili  pubblici,  con
particolare  riferimento  allo  sviluppo  dei   servizi   sociali   e
culturali,  educativi  e  didattici,  ovvero  alla  promozione  delle
attivita' culturali e sportive; c) mobilita' sostenibile. 
    Il medesimo art. 3, al comma 3,  prevede  inoltre,  che  ai  fini
dell'ammissibilita' al contributo: a) le richieste devono indicare il
codice unico di progetto  (CUP)  dell'opera  valido  e  correttamente
individuato in relazione all'opera per la quale  viene  richiesto  il
contributo; b) le  richieste  devono  riferirsi  ad  opere  pubbliche
inserite nella programmazione annuale o triennale degli enti locali e
che  rientrano  nello   strumento   urbanistico   comunale   comunque
denominato approvato e vigente nell'ambito territoriale  del  comune;
c) alla data della presentazione della richiesta i comuni devono aver
trasmesso alla banca dati delle amministrazioni  pubbliche  (BDAP)  i
documenti contabili di cui all'art. 1, comma 1, lettere b) ed  e),  e
all'art. 3 del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze  12
maggio 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 122 del 26 maggio
2016, riferiti all'ultimo rendiconto della  gestione  approvato.  Nel
caso di comuni per i quali  sono  sospesi  per  legge  i  termini  di
approvazione  del  rendiconto  della  gestione  di  riferimento,   le
informazioni di cui al periodo precedente  sono  desunte  dall'ultimo
rendiconto della gestione trasmesso alla citata banca dati. 
    L'art.  5  del  citato  d.P.C.m.,  infine,  rinvia   al   decreto
interministeriale menzionato nell'art. 1, comma 43,  della  legge  n.
160 del 2019 la determinazione in concreto dei contributi spettanti a
ciascun  beneficiario,  precisando   altresi'   che,   in   caso   di
insufficienza delle risorse stanziate, l'attribuzione  e'  effettuata
«tenendo conto della quota riferita alla  progettazione  esecutiva  e
alle opere», in favore dei comuni  che  «presentano  un  valore  piu'
elevato dell'indice di vulnerabilita' sociale e materiale» (comma 2);
e che l'attribuzione del contributo,  sulla  base  della  graduatoria
redatta secondo le modalita' indicate sub 1),  avviene  nel  rispetto
dei principi di riequilibrio territoriale previsti  dall'art.  7-bis,
comma 2, del decreto-legge  29  dicembre  2016,  n.  243  (Interventi
urgenti per la  coesione  sociale  e  territoriale,  con  particolare
riferimento a situazioni critiche in alcune  aree  del  Mezzogiorno),
convertito, con modificazioni, nella legge 27 febbraio 2017, n. 18, e
successive modifiche e integrazioni (comma 3). 
    Nel rispetto e in attuazione della normativa richiamata, e' stato
adottato il decreto interministeriale 30 dicembre 2021 (Contributi ai
Comuni da destinare  a  investimenti  in  progetti  di  rigenerazione
urbana anni 2021-2026),  con  il  quale  sono  stati  individuati  in
concreto i comuni beneficiari e  l'ammontare  dei  contributi  per  i
predetti anni. 
    Le disposizioni  impugnate  si  inserirebbero  in  tale  contesto
normativo e sarebbero dunque volte ad assegnare ulteriori risorse per
la rigenerazione  urbana,  da  destinare  a  comuni  con  popolazione
inferiore a 15.000 abitanti o che - pur avendo una  popolazione  piu'
numerosa - non siano stati inseriti nella graduatoria  approvata  con
il menzionato decreto interministeriale 30 dicembre 2021. 
    Precisa  altresi'  la  difesa   erariale   che   gli   interventi
finanziati, sotto il profilo oggettivo,  sarebbero  i  medesimi  gia'
previsti dall'art. 1, comma 42, della legge n. 160  del  2019,  posto
che  i  criteri  previsti  dal  comma  536  per  la  selezione  degli
interventi ammissibili al contributo, nonche' dal comma  537  per  la
predisposizione   della   graduatoria   dei   beneficiari   sarebbero
esattamente quelli individuati dagli  artt.  3  e  5  del  menzionato
d.P.C.m. 21 gennaio 2021. 
    Rispetto  alla  precedente  disciplina,  il  quid  novi   sarebbe
rappresentato   unicamente   dall'ampliamento   della   platea    dei
beneficiari, rispetto a quanto  stabilito  in  origine  dall'art.  2,
comma 1, del richiamato d.P.C.m. 
    La   censura   dovrebbe    ritenersi    dunque    «manifestamente
infondat[a]»,  poiche'  la  ripartizione   dei   contributi   sarebbe
effettuata sulla  base  dei  criteri  previsti  -  sotto  il  profilo
soggettivo - dal comma 535, e - sotto  il  profilo  oggettivo  -  dai
commi 536 e 537 che confermano quelli gia' previsti dagli artt. 3 e 5
del d.P.C.m. 21 gennaio 2021, senza determinare  alcuna  lesione  ne'
dell'asserita competenza legislativa concorrente regionale in materia
di governo del territorio, ne' degli artt. 118, 119 e  120  Cost.  Le
disposizioni  impugnate,  infatti,  non  rinvierebbero   al   decreto
interministeriale la determinazione dei criteri  di  selezione  degli
interventi da finanziare, ma si limiterebbero a ripartire le  risorse
fra beneficiari gia' selezionati in  base  ai  criteri  soggettivi  e
oggettivi individuati  a  monte  dal  legislatore  sulla  scorta  del
d.P.C.m. 21 gennaio 2021. 
    Tale individuazione, secondo lo Stato, non  potrebbe  che  essere
effettuata  dal  «Governo  centrale»,  nell'esercizio  della  propria
competenza  amministrativa,  implicando  la  predisposizione  di  una
graduatoria unica nazionale,  per  tutti  i  comuni  beneficiari  dei
contributi, funzione che dovrebbe essere  necessariamente  esercitata
in modo unitario su tutto il territorio nazionale.  Afferma,  dunque,
la difesa erariale  che  l'esercizio  di  tale  funzione  -  e  delle
correlate funzioni legislative - non potrebbe che  essere  «attratto»
nell'ambito delle competenze dello Stato,  in  base  ai  principi  di
sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza, di cui all'art.  118,
primo comma, Cost., secondo il noto meccanismo della  «attrazione  in
sussidiarieta'». 
    Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che  non
si verterebbe affatto nell'ambito materiale di competenza legislativa
concorrente «governo del  territorio»,  bensi'  in  «quello  previsto
dall'articolo 119, comma 5,  della  Costituzione,  che  riserva  alla
competenza legislativa  esclusiva  dello  Stato  la  destinazione  di
"risorse aggiuntive" e la  realizzazione  di  "interventi  speciali",
volti a promuovere lo sviluppo economico e  la  coesione  sociale  in
favore di determinati Enti territoriali». 
    Tali  interventi,  secondo  l'Avvocatura  generale  dello  Stato,
sarebbero destinati al perseguimento  degli  obiettivi  di  «crescita
inclusiva, coesione sociale e  territoriale»,  pilastri  fondamentali
della programmazione e del contenuto dei piani nazionali di ripresa e
resilienza  nazionali,  tant'e'   che   gli   investimenti   per   la
«rigenerazione urbana» - la cui finalita' sarebbe quella  di  ridurre
l'emarginazione e  il  degrado  sociale,  nonche'  di  migliorare  la
qualita' del decoro urbano - sarebbero stati  espressamente  inseriti
dal Governo nella Missione n. 5 del  Piano  nazionale  di  ripresa  e
resilienza (PNRR).  Sarebbe  pertanto  indubbio  che  gli  interventi
previsti dalle disposizioni impugnate rientrerebbero a  pieno  titolo
nell'ambito degli strumenti previsti  dall'art.  119,  quinto  comma,
Cost., per promuovere lo sviluppo e la coesione sociale (e' citata la
sentenza n. 40 del 2022). 
    Le suddette  risorse  avrebbero  dunque  carattere  aggiuntivo  e
sarebbero  dirette  a  garantire  non  l'esercizio  ordinario   delle
funzioni attribuite agli enti locali,  ma  interventi  speciali,  per
promuovere lo sviluppo  economico,  la  coesione  e  la  solidarieta'
sociale, ai sensi del quinto comma  dell'art.  119  Cost.;  sarebbero
inoltre indirizzate non a una platea generalizzata di  comuni,  ma  a
determinati enti locali che,  in  possesso  di  requisiti  soggettivi
elencati dal piu' volte citato  comma  535,  siano  inseriti  in  una
graduatoria unica nazionale, predisposta tenendo conto - ai sensi del
comma 537 - dell'indice di vulnerabilita' sociale e materiale (IVSM),
nonche'  del  principio  di  riequilibrio  territoriale   individuato
dall'art. 7-bis, comma 2, del d.l. n. 243 del 2016, come convertito. 
    2.3.-  Quanto,  infine,  all'ultima  questione  promossa  con  il
ricorso relativa all'art. 1, comma 721, della legge n. 234 del  2021,
la difesa erariale premette che - complessivamente intesi -  i  commi
da 720 a 726 dispongono il riordino della disciplina  sul  tirocinio,
prevedendo, fra l'altro, l'abrogazione delle previgenti  disposizioni
di cui ai commi 34, 35 e 36 dell'art. 1 della legge 28  giugno  2012,
n. 92 (Disposizioni in materia di riforma del mercato del  lavoro  in
una prospettiva di crescita). 
    Piu' precisamente, l'art. 1, comma 726, della legge  n.  234  del
2021 dispone l'abrogazione del richiamato  comma  34,  ai  sensi  del
quale «[e]ntro centottanta giorni dalla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge, il Governo e le regioni concludono in  sede  di
Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le  regioni  e  le
province  autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  un  accordo  per   la
definizione di linee-guida condivise in materia di tirocini formativi
e di orientamento, sulla base dei seguenti criteri: 
    a) revisione della disciplina dei tirocini  formativi,  anche  in
relazione alla valorizzazione di altre forme contrattuali a contenuto
formativo; 
    b)  previsione  di  azioni  e  interventi  volti  a  prevenire  e
contrastare  un  uso  distorto  dell'istituto,  anche  attraverso  la
puntuale individuazione delle modalita' con cui il tirocinante presta
la propria attivita'; 
    c) individuazione degli elementi  qualificanti  del  tirocinio  e
degli effetti conseguenti alla loro assenza; 
    d) riconoscimento di  una  congrua  indennita',  anche  in  forma
forfetaria, in relazione alla prestazione svolta». 
    Le linee guida approvate in Conferenza permanente tra  lo  Stato,
le regioni e le Province autonome  di  Trento  e  di  Bolzano  il  24
gennaio 2013, e da ultimo aggiornate il 25  maggio  2017,  prevedono,
tra l'altro,  che  la  durata  massima,  comprensiva  di  proroghe  e
rinnovi, dei tirocini extracurriculari non puo'  essere  superiore  a
dodici mesi, mentre la durata minima non puo' essere inferiore a  due
mesi, ad eccezione dei tirocini svolti presso soggetti ospitanti  che
operano stagionalmente, per i quali la durata massima e' ridotta a un
mese.  Inoltre,  i  disabili,  le  persone  svantaggiate,  nonche'  i
richiedenti asilo e i titolari di protezione  internazionale  possono
attivare particolari tirocini di orientamento e formazione, ovvero di
inserimento/reinserimento  nel  mondo  del  lavoro.  Per  i  suddetti
tirocini e' prevista una durata maggiore, che puo' arrivare, nel caso
delle  persone  disabili,  fino  a  ventiquattro  mesi,  inoltre,  e'
prevista la facolta' per le regioni di  introdurre  delle  specifiche
deroghe in ordine alla durata e ripetibilita' del tirocinio, al  fine
di garantire e salvaguardare l'inclusione sociale dei destinatari. 
    Sostiene la difesa erariale che la  normativa  impugnata  dispone
una revisione della previgente disciplina,  distinguendo  i  tirocini
curriculari  da   quelli   extracurriculari   (comma   720)   nonche'
introducendo specifici criteri per la definizione delle  nuove  linee
guida, volti a  contrastare  gli  abusi  che  potrebbero  verificarsi
nell'ambito dello svolgimento di tale tipologia  di  tirocini  (comma
721). In questa prospettiva, il comma 723  avrebbe  introdotto  anche
una fattispecie di reato per i casi in cui il tirocinio si sia svolto
in modo fraudolento, nonche' la possibilita' per  il  tirocinante  di
richiedere l'accertamento della sussistenza di un rapporto di  lavoro
subordinato con decorrenza dalla data della pronuncia giudiziale. 
    Gli ambiti materiali in cui  sarebbe  sussumibile  la  richiamata
normativa sarebbero molteplici, secondo la difesa erariale, anzitutto
coincidenti  con  le  competenze  legislative  esclusive  statali  in
materia  di  ordinamento   civile   e   penale   e   norme   generali
sull'istruzione, di cui all'art. 117, secondo comma, lettere l) e n),
Cost., ma anche con la competenza legislativa concorrente in  materia
di istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e  con
esclusione dell'istruzione e della formazione professionale di cui al
terzo comma dell'art. 117;  nonche'  con  la  competenza  legislativa
residuale regionale in materia di formazione professionale, ai  sensi
dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Trattandosi di un intreccio inestricabile di competenze, il  gia'
citato art. 1, comma 34, della legge n.  92  del  2012  demandava  la
disciplina dei tirocini formativi a un accordo tra Stato  e  regioni,
da stipulare in sede di Conferenza permanente, sulla base  di  alcuni
criteri generali gia' richiamati (sono citate le sentenze n. 251  del
2016 e n. 50 del 2005). 
    Deduce  pertanto  la  difesa  dello  Stato  che  la  disposizione
impugnata, nel  demandare  a  un  accordo  tra  Stato  e  regioni  la
definizione delle nuove linee guida, non farebbe che confermare  tale
prassi collaborativa e i precedenti  criteri  elencati  nell'abrogato
comma 34 dell'art. 1 della legge n. 92 del 2012, benche' siano  state
inserite  alcune  «significative  integrazioni»  fra  gli   obiettivi
generali, consistenti per l'appunto  nella  delimitazione  soggettiva
dei destinatari dei tirocini  extracurriculari,  circoscrivendoli  ai
soggetti con difficolta' di inclusione sociale. Tale innovazione  non
inciderebbe sul concreto contenuto formativo dei tirocini e  pertanto
non  lederebbe  la  competenza  legislativa  residuale  regionale  in
materia di formazione professionale, essendo esclusivamente  volta  a
prevenire che il tirocinio extracurricolare sia  utilizzato  in  modo
fraudolento in sostituzione del lavoro dipendente, ragione per cui la
disposizione impugnata sarebbe espressiva di principi fondamentali in
materia di tutela e sicurezza del lavoro, rientrante nella competenza
legislativa concorrente di cui al terzo comma dell'art. 117 Cost. Dal
che si dedurrebbe la non fondatezza della questione. 
    3.- Con memoria depositata il 17 gennaio 2023, il Presidente  del
Consiglio dei ministri ha ribadito la non fondatezza delle  questioni
di legittimita' promosse dalla  Regione  Veneto,  con  argomentazioni
pressoche'   sovrapponibili   a   quelle   impiegate   nell'atto   di
costituzione. 
    4.- Anche la Regione  ha  depositato  in  data  31  gennaio  2023
memoria integrativa in cui insiste per l'accoglimento del ricorso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso indicato in epigrafe,  la  Regione  Veneto  ha
promosso plurime questioni di legittimita'  costituzionale  di  varie
disposizioni dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021, in  riferimento
a molteplici parametri di competenza e sostanziali. 
    1.1.- Con riferimento al comma 269 dell'art. 1 della legge n. 234
del  2021  la  Regione  promuove  tre   questioni   di   legittimita'
costituzionale. 
    La prima questione si riferisce alla previsione dell'onere per le
regioni di predisporre un Piano di fabbisogno triennale del personale
sanitario al fine di poter aumentare la spesa per  il  personale  del
cinque per cento (ulteriore rispetto al dieci per cento gia' concesso
dall'art. 11, comma 1, del d.l. n. 35  del  2019,  come  convertito).
Tale  disposizione  sarebbe  lesiva  della   competenza   legislativa
regionale concorrente in materia di tutela della salute e  di  quella
residuale in  materia  di  organizzazione  del  personale,  ai  sensi
dell'art. 117, commi terzo e quarto, Cost. Sarebbero altresi' violati
gli  artt.  3  e  97,  secondo  comma,  Cost.,  poiche'  la  medesima
disposizione  genererebbe  una  duplicazione   degli   strumenti   di
pianificazione  (il  Piano  di  fabbisogno  triennale  del  personale
sanitario regionale si sovrapporrebbe al tradizionale Piano triennale
di fabbisogno del personale), risultando percio' in contrasto con  il
principio di buon andamento della pubblica amministrazione. 
    Il comma 269 del medesimo art.  1  e'  impugnato  altresi'  nella
parte in cui non prevede termini perentori per l'adozione del decreto
interministeriale recante la metodologia per la  predisposizione  del
menzionato Piano  per  il  fabbisogno  regionale.  Tale  disposizione
violerebbe gli artt. 32 e 117, terzo comma, Cost., poiche'  l'assenza
di termine perentorio,  qualora  precludesse  l'assunzione  di  nuovo
personale, comprometterebbe l'erogazione delle prestazioni sanitarie,
nonche' la tutela della salute. 
    Il comma 269, infine, e' impugnato la' dove sottopone il Piano di
fabbisogno triennale  del  personale  sanitario  alla  valutazione  e
all'approvazione  del  Tavolo  di  verifica  degli   adempimenti   di
razionalizzazione  della  spesa  sanitaria,  nonche'   del   Comitato
paritetico di verifica dei livelli essenziali di assistenza (LEA). La
Regione lamenta che l'intervento di tali  organismi  «a  composizione
mista  statale  e  regionale»  nella  valutazione  di  efficacia  del
menzionato Piano, ingerendosi direttamente nei profili  organizzatori
del  sistema   sanitario   regionale,   invaderebbe   la   competenza
legislativa residuale regionale  in  materia  di  organizzazione  del
personale, e lederebbe altresi' la competenza  legislativa  regionale
concorrente in materia di tutela della salute, violando i commi terzo
e quarto dell'art. 117 Cost. 
    1.2.- Sono poi impugnati i commi da 534 a 537 dell'art.  1  della
legge n. 234 del 2021, nella parte in cui prevedono che i  contributi
per la rigenerazione urbana erogati dallo Stato siano ripartiti tra i
comuni con  decreto  interministeriale,  senza  coinvolgimento  delle
regioni. Tale mancato coinvolgimento  violerebbe  l'art.  117,  terzo
comma, Cost., poiche' la competenza legislativa regionale concorrente
nella materia «governo del territorio» non consentirebbe  allo  Stato
interventi attuativi di dettaglio;  sarebbe  inoltre  violato  l'art.
118,  primo  comma,  Cost.,  poiche'  gli  interventi  di   dettaglio
sarebbero consentiti  allo  Stato  solo  in  caso  di  attrazione  in
sussidiarieta'  delle  funzioni  amministrative  (e  delle  correlate
funzioni legislative),  ipotesi  che  -  secondo  la  Regione  -  non
ricorrerebbe nel caso di specie; sarebbe violato altresi' l'art. 119,
quinto comma, Cost., perche' tali interventi di  dettaglio  sarebbero
consentiti solo per la  promozione  delle  specifiche  finalita'  ivi
stabilite,  ipotesi  che  non  ricorrerebbe  nel  caso   di   specie,
trattandosi di  interventi  statali  volti  a  finanziare  «ordinarie
competenze comunali»; sarebbe infine leso l'art. 120  Cost.,  poiche'
le disposizioni impugnate, interferendo con le competenze legislative
regionali nella materia «governo del  territorio»,  avrebbero  dovuto
prevedere il coinvolgimento delle regioni nella gestione  dei  fondi,
la cui mancata partecipazione si tradurrebbe in  una  violazione  del
principio di leale collaborazione. 
    1.3.- Infine, e' impugnato il comma 721 dell'art. 1  della  legge
n. 234 del 2021, la' dove - nel demandare a un accordo  tra  Stato  e
regioni, concluso in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le Province autonome di Trento e  di  Bolzano,
la definizione di  linee  guida  condivise  in  materia  di  tirocini
extracurriculari - stabilisce che la revisione della disciplina debba
avvenire «secondo criteri  che  ne  circoscrivano  l'applicazione  in
favore di soggetti con difficolta' di  inclusione  sociale»  (lettera
a). Tale disposizione, secondo la Regione ricorrente, violerebbe  gli
artt. 3, 117, quarto comma, e 120 Cost., poiche'  sarebbe  invasa  la
competenza legislativa regionale residuale nella materia  «formazione
professionale», e,  congiuntamente,  sarebbero  lesi  i  principi  di
ragionevolezza e di leale collaborazione nella  misura  in  cui  tale
disposizione predetermina rigidamente i criteri  per  la  definizione
delle  menzionate  linee  guida,  cosi'   "blindando"   i   contenuti
dell'accordo fra i diversi livelli di governo. 
    2.- In via preliminare occorre delimitare il thema decidendum. 
    Quanto al  primo  gruppo  di  questioni,  benche'  la  ricorrente
impugni genericamente l'art. 1, comma 269, della  legge  n.  234  del
2021, dall'esame del ricorso e  dalle  motivazioni  addotte  si  puo'
agevolmente ricavare che le norme ritenute lesive  delle  prerogative
regionali siano quelle riconducibili alla lettera c)  del  comma  269
dell'art.  1  della  legge  n.  234  del  2021,  cui  pertanto   deve
circoscriversi l'esame di questa Corte. 
    Con riguardo al secondo insieme di questioni, benche' la  Regione
impugni genericamente i commi da 534  a  537  della  medesima  legge,
dalla lettura complessiva del ricorso si evince  che  le  censure  si
appuntano esclusivamente sulla mancata partecipazione  delle  regioni
nella fase gestoria del fondo per la rigenerazione urbana; si lamenta
infatti che, ai sensi del comma 537, il  riparto  delle  risorse  sia
affidato a un decreto interministeriale, senza  alcun  coinvolgimento
regionale. A questa sola disposizione, pertanto, deve  circoscriversi
l'esame di questa Corte. 
    Infine, anche per l'ultimo gruppo di questioni, si deve  ritenere
che - rispetto a quanto  indicato  dalla  Regione  -  il  ricorso  si
riferisce esclusivamente alla lettera a) del comma  721  dell'art.  1
della legge n. 234 del 2021, la' dove, nel demandare a un accordo tra
Stato e regioni la definizione di linee guida condivise in materia di
tirocini  extracurriculari,  stabilisce  che   la   revisione   della
disciplina debba  avvenire  «secondo  criteri  che  ne  circoscrivano
l'applicazione in favore di soggetti con  difficolta'  di  inclusione
sociale». 
    Cosi' delimitato il thema decidendum, si puo' procedere all'esame
del merito. 
    3.- Come gia' rilevato (punto 1.1. del  Considerato  in  diritto)
l'impugnazione della lettera c) del comma 269 dell'art. 1 della legge
n. 234 del 2021 si articola in tre diverse questioni di  legittimita'
costituzionale. 
    3.1.- La prima questione attiene all'onere di redigere  il  Piano
di fabbisogno triennale del personale sanitario al fine  di  accedere
alle quote aggiuntive di fondo sanitario nazionale ed e' promossa  in
riferimento  ai  commi  terzo  e  quarto  dell'art.  117  Cost.,  per
violazione della competenza  legislativa  concorrente  «tutela  della
salute»  e  di  quella  residuale   «organizzazione   del   personale
regionale»; la medesima disposizione e' ritenuta altresi' lesiva  dei
principi  di  ragionevolezza  e  di  buon  andamento  della  pubblica
amministrazione, di cui agli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost. 
    3.2.- La questione  formulata  in  riferimento  ai  parametri  di
competenza legislativa di cui ai commi terzo e quarto  dell'art.  117
Cost. riveste priorita' logica e  merita  di  essere  scrutinata  per
prima (ex plurimis, sentenza n. 86 del 2022). 
    3.2.1.- Tale questione non e' fondata. 
    Al  fine  di  stabilire  l'ambito  materiale  cui  ricondurre  la
disposizione impugnata, questa Corte  ha  ribadito  che  «non  assume
rilievo la qualificazione che di esse da' il legislatore, ma  occorre
fare riferimento  all'oggetto  ed  alla  disciplina  delle  medesime,
tenendo conto della loro ratio e tralasciando gli aspetti marginali e
gli  effetti  riflessi,  cosi'  da   identificare   correttamente   e
compiutamente anche l'interesse tutelato» (sentenza n. 136 del  2018;
nello stesso senso, ex plurimis, da ultimo, sentenza n. 6 del 2023). 
    Questa Corte ha affermato, con indirizzo pressoche' costante, che
le disposizioni sulla programmazione del personale e sulla fissazione
di limiti alle assunzioni non si  prestano  ad  afferire  a  un  solo
ambito materiale, per il fatto di  incidere  su  plurimi  settori  di
competenza legislativa, sia esclusiva che concorrente  (ex  plurimis,
sentenza n. 231 del 2017). 
    Nel caso  di  specie,  l'intervento  legislativo  statale  incide
sull'organizzazione sanitaria  e,  pertanto,  sulla  materia  «tutela
della salute» (sentenza n. 9 del 2022), come si evince non  solo  dal
titolo dell'art. 11  del  d.l.  n.  35  del  2019,  come  convertito,
rubricato «Disposizioni in materia di personale  e  di  nomine  negli
enti  del  Servizio  sanitario  nazionale»,  ma  anche   dal   tenore
complessivo del comma 1 del medesimo articolo, nel quale si inserisce
la disposizione impugnata,  da  cui  emerge  che  tale  normativa  e'
finalizzata  a  una  «graduale  revisione  della   disciplina   delle
assunzioni» del personale degli enti del Servizio sanitario nazionale
delle regioni. 
    Viene in rilievo indirettamente anche la  competenza  legislativa
statale esclusiva in materia di  fissazione  dei  livelli  essenziali
delle prestazioni sotto l'aspetto finanziario (ex plurimis,  sentenza
n. 62 del 2020), come risulta dal primo periodo dell'art.  11,  comma
1, del richiamato d.l. n. 35 del 2019, come convertito,  che  prevede
la possibilita' di aumentare il  valore  della  spesa  del  personale
degli  enti  del   Servizio   sanitario   nazionale   delle   regioni
«nell'ambito del livello del finanziamento del  fabbisogno  sanitario
nazionale  standard  cui  concorre  lo  Stato  e  ferma  restando  la
compatibilita'  finanziaria»  come  risulta  dalla   previsione   del
coinvolgimento   del   Comitato   permanente    per    la    verifica
dell'erogazione dei LEA. 
    Le norme impugnate sono riconducibili  altresi'  alla  competenza
legislativa statale  in  materia  di  principi  fondamentali  per  il
«coordinamento della finanza pubblica». Cio'  traspare  la'  dove  il
legislatore statale, nel consentire  gli  aumenti  di  spesa  per  il
personale del dieci  e  dell'ulteriore  cinque  per  cento,  richiama
l'esigenza di rispettare il valore complessivo della stessa  voce  di
spesa del Servizio sanitario  nazionale,  determinata  ai  sensi  dei
precedenti  periodi,  e  -  soprattutto  -   laddove   finalizza   la
sottoposizione  del  Piano  di  fabbisogno  triennale  del  personale
sanitario regionale  alle  valutazioni  del  Tavolo  e  del  Comitato
paritetico per la verifica dei LEA «anche» al fine  di  salvaguardare
l'invarianza della spesa complessiva. 
    Si e', dunque, in  presenza  di  un  intreccio  inestricabile  di
competenze, sia esclusive che concorrenti, nessuna delle quali assume
carattere  prevalente,  fattispecie  questa  che  esige  -  affinche'
l'intervento legislativo statale  sia  legittimo  -  l'impiego  della
leale collaborazione (ex plurimis, sentenza n. 35 del 2021). 
    Per costante giurisprudenza di  questa  Corte,  la  procedura  di
acquisizione dell'intesa nella Conferenza permanente per  i  rapporti
tra lo Stato, le regioni e  le  Province  autonome  di  Trento  e  di
Bolzano e' considerata idonea a garantire  la  leale  collaborazione,
poiche' consente lo svolgimento di genuine trattative e  permette  un
reale coinvolgimento delle  parti  (in  questo  senso,  ex  plurimis,
sentenza n. 261 del 2017). 
    In proposito, deve precisarsi che il 18 dicembre  2019  e'  stata
acquisita l'intesa in sede di Conferenza permanente sul Patto per  la
salute 2019-2021. In tale  sede  le  parti  hanno  convenuto  sia  di
innalzare la percentuale di incremento della spesa  di  personale  di
cui al secondo periodo del comma 1 dell'art. 11 del d.l.  n.  35  del
2019, come  convertito,  dal  cinque  al  dieci  per  cento;  sia  di
«valutare,  per  il  periodo  di  vigenza  del  presente  patto,   la
possibilita' di un graduale aumento,  sino  al  quindici  per  cento,
della  percentuale  di  incremento  della  spesa  di  cui  al   punto
precedente  qualora  emergano  oggettivi  ulteriori   fabbisogni   di
personale rispetto alle facolta' assunzionali consentite  dal  citato
articolo 11,  valutati  congiuntamente  dal  Tavolo  tecnico  per  la
verifica degli adempimenti e dal  Comitato  LEA,  fermo  restando  il
rispetto  dell'equilibrio  economico  e  finanziario   del   servizio
sanitario ragionale» (scheda 3 del Patto per la salute). 
    Come osservato dall'Avvocatura generale dello Stato, la normativa
contenuta nella lettera c) del comma 269 recepisce  quanto  convenuto
nella richiamata intesa, la  cui  finalita'  era  proprio  quella  di
fornire agli enti regionali uno strumento di  programmazione  per  le
risorse umane in ambito  sanitario,  che  consentisse  di  assicurare
standard qualitativi e quantitativi uniformi. 
    La disposizione impugnata, pertanto, benche' incidente in plurimi
ambiti materiali, in quanto preceduta  da  intesa,  ha  garantito  il
rispetto della leale collaborazione e il reale  coinvolgimento  delle
regioni,  elemento  che  consente  di  escludere  la  lesione   delle
richiamate competenze regionali nelle materie tutela della  salute  e
organizzazione del personale regionale, di cui  all'art.  117,  commi
terzo e quarto, Cost. 
    3.2.2.- Occorre a  questo  punto  valutare  -  alla  stregua  del
principio di stretta ragionevolezza - se la  disposizione  impugnata,
nella parte in cui introduce un nuovo piano triennale, finalizzato  a
documentare l'oggettiva ulteriore esigenza di personale e, quindi,  a
ottenere l'ulteriore cinque per cento  di  finanziamento  aggiuntivo,
sia ragionevole e coerente rispetto alla  sua  funzione  e  alla  sua
ratio,  «rammentando  che  "[i]l   giudizio   sulla   sussistenza   e
sull'adeguatezza di tale collegamento  [...]  e'  operato  da  questa
Corte secondo la struttura  tipica  del  sindacato  svolto  ai  sensi
dell'art. 3, primo comma, Cost., che muove dall'identificazione della
ratio della norma di riferimento e  passa  poi  alla  verifica  della
coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto" (sentenza n.
44 del 2020)» (sentenza n. 199 del 2022). 
    3.3.- Anche la questione promossa in riferimento agli artt.  3  e
97, secondo comma, Cost. non e' fondata. 
    La finalita' della disposizione impugnata viene identificata,  da
un lato, nella dimostrazione di «oggettivi ulteriori  fabbisogni»  di
personale sanitario, dall'altro, nel garantire  che  l'aumento  della
spesa per il personale  avvenga  salvaguardando  «l'invarianza  della
spesa complessiva». 
    Il principio di ragionevolezza non e' dunque scalfito, poiche' la
nuova metodologia di calcolo del  fabbisogno  del  personale  -  come
osservato dalla difesa erariale - si applica al  Piano  che  dovranno
redigere le singole  regioni  per  la  programmazione  del  personale
sanitario, da effettuarsi secondo criteri di calcolo condivisi. 
    La  disposizione  impugnata,  pertanto,  non   determina   alcuna
sovrapposizione fra i piani triennali di fabbisogno del personale che
ogni singola amministrazione o ASL deve comunque redigere  (ai  sensi
dell'art. 6 del decreto legislativo 30 marzo 2001,  n.  165,  recante
«Norme generali sull'ordinamento del  lavoro  alle  dipendenze  delle
amministrazioni   pubbliche»,   e    successive    modificazioni    e
integrazioni)  e  il  "nuovo"  Piano  di  fabbisogno  triennale   del
personale sanitario, che deve essere redatto dalle regioni per  poter
accedere alle risorse aggiuntive del fondo sanitario nazionale. 
    3.4.- La Regione Veneto impugna poi la lettera c) del  comma  269
la' dove non prevede termini perentori  per  l'adozione  del  decreto
interministeriale  recante  la  metodologia   di   calcolo   per   la
determinazione dei fabbisogni di personale degli  enti  del  servizio
sanitario regionale, poiche' la mancata previsione di  un  termine  -
risolvendosi in un impedimento alla predisposizione del Piano secondo
la predetta metodologia condivisa - e' ritenuta in contrasto con  gli
artt. 32 e 117, terzo comma, Cost. 
    3.4.1.- La questione non e' fondata. 
    La fissazione di un termine ordinatorio, anziche' perentorio, non
rappresenta,  infatti,  un   impedimento   per   l'erogazione   delle
prestazioni essenziali da parte delle regioni ma,  al  contrario,  la
favorisce, posto che, qualora il termine fosse perentorio, la mancata
acquisizione dell'intesa allo  spirare  del  termine  non  renderebbe
possibile l'adozione stessa del decreto. 
    E' proprio la previsione di un termine ordinatorio da parte della
disposizione impugnata che  consente  -  anche  nell'eventualita'  di
superamento dei 180 giorni - la prosecuzione  dell'iter  di  adozione
del provvedimento amministrativo. 
    Tale ricostruzione, peraltro,  e'  confortata  dalla  fattispecie
all'esame, posto  che  l'intesa  sulla  metodologia  di  calcolo  del
fabbisogno del personale sanitario e'  stata  raggiunta  in  data  21
dicembre 2022 (ossia dopo la scadenza del termine). 
    3.5.- La Regione impugna, infine, la stessa lettera c) del  comma
269  laddove  prevede  che  il  Piano  di  fabbisogno  triennale  del
personale sanitario regionale  sia  «valutat[o]  e  approvat[o]»  dal
Tavolo tecnico per la verifica  degli  adempimenti  regionali  e  dal
Comitato paritetico permanente per la verifica dei LEA, poiche'  tale
condizione di efficacia e' ritenuta lesiva delle competenze regionali
concorrenti e residuali, rispettivamente nelle materie «tutela  della
salute» e «organizzazione del personale», di cui all'art. 117,  commi
terzo e quarto, Cost. 
    3.5.1.- La questione non e' fondata, nei sensi e nei  termini  di
seguito indicati. 
    Occorre anzitutto precisare che la  gia'  richiamata  intesa  sul
Patto per la salute 2019-2021, raggiunta il 18 settembre 2019 in sede
di Conferenza permanente,  aveva  sancito  che  il  menzionato  Piano
venisse «valutato congiuntamente» dal Tavolo tecnico per la  verifica
degli adempimenti regionali e dal Comitato paritetico permanente  per
la verifica dei LEA. 
    Come questa Corte ha recentemente affermato,  l'azione  congiunta
del citato Comitato paritetico e del Tavolo tecnico per  la  verifica
degli adempimenti regionali e' finalizzata ad analizzare  l'andamento
del piano di rientro dai disavanzi sanitari; peraltro,  la  peculiare
composizione di tali organismi, «improntata a una compenetrazione tra
la componente statale e quella regionale, garantisce di  per  se'  il
pieno   coinvolgimento   della   Regione   in   merito    all'analisi
dell'andamento del proprio piano di rientro»  (sentenza  n.  168  del
2021). 
    Cio' considerato, la previsione secondo  cui  l'approvazione  del
Piano di fabbisogno triennale del personale  sanitario  regionale  e'
rimessa al Tavolo tecnico e  al  Comitato  paritetico  determina  una
diretta ingerenza di tali organismi  nei  profili  organizzatori  del
sistema  sanitario  regionale  e  si  risolve  in  una   compressione
dell'autonomia organizzativa delle regioni, le quali,  nell'adempiere
all'onere di redigere il Piano del personale, secondo la  metodologia
di calcolo stabilita  e  applicata  in  modo  uniforme  in  tutto  il
territorio nazionale, predispongono un documento che gia'  garantisce
(e consente di verificare) l'oggettivita' degli ulteriori  fabbisogni
di spesa per il personale. 
    La disposizione impugnata,  in  quanto  diretta  a  salvaguardare
precipuamente gli equilibri della finanza pubblica, deve considerarsi
applicabile solo alle regioni sottoposte  al  Piano  di  rientro,  le
quali sono impegnate in rigidi programmi di contenimento della  spesa
e di garanzia dei LEA, posto che  gli  aumenti  di  spesa  consentiti
dalle disposizioni richiamate sono finanziati con risorse  del  Fondo
sanitario nazionale. 
    Per le regioni non sottoposte  al  piano  di  rientro  e'  invece
sufficiente, alla  luce  delle  considerazioni  sopra  riportate,  la
valutazione congiunta dei predetti organismi, sul modello  di  quanto
concordato nell'intesa. 
    La presente questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1,
comma 269, lettera c), promossa  in  riferimento  ai  commi  terzo  e
quarto dell'art. 117 Cost., deve pertanto  dichiararsi  non  fondata,
nel senso e nei termini chiariti. 
    4.- Il secondo gruppo di questioni ha ad  oggetto  il  comma  537
dell'art. 1 della legge n. 234 del 2021, nella parte in  cui  demanda
la determinazione dell'ammontare del contributo per la  rigenerazione
urbana  spettante  a  ciascun  comune  a  un  decreto  del   Ministro
dell'interno, da adottarsi di concerto con il Ministro  dell'economia
e delle finanze, senza alcuna forma di coinvolgimento delle regioni. 
    La disposizione e' impugnata per plurimi motivi: in primo  luogo,
la  ricorrente  lamenta  l'invasione  della  competenza   legislativa
concorrente nella materia «governo del territorio»  di  cui  all'art.
117, terzo comma, Cost.; in secondo luogo, lamenta la  lesione  delle
competenze amministrative riconosciutele dall'art. 118, primo  comma,
Cost. e del principio di leale collaborazione  di  cui  all'art.  120
Cost.,  poiche'  l'eventuale  chiamata  in   sussidiarieta'   sarebbe
avvenuta in assenza di esigenze unitarie, e non avrebbe garantito  la
partecipazione regionale; infine, la disposizione e' impugnata  anche
per violazione del quinto  comma  dell'art.  119  Cost.,  perche'  le
risorse "aggiuntive" stanziate dallo  Stato  sono  considerate  dalla
ricorrente funzionali a garantire «ordinarie competenze  comunali»  e
non scopi diversi dal normale esercizio delle proprie funzioni. 
    4.1.-   E'   necessaria   anzitutto   una   precisazione    sulle
argomentazioni che l'Avvocatura  generale  dello  Stato  contrappone,
nella sua memoria di costituzione,  ai  motivi  posti  dalla  Regione
Veneto a sostegno del ricorso. 
    La difesa  erariale  reputa  che  le  disposizioni  impugnate  si
limiterebbero ad attribuire al decreto interministeriale «il  compito
di ripartire le risorse finanziarie tra  i  beneficiari  selezionati,
sulla base dei criteri soggettivi e oggettivi individuati a monte dal
legislatore».  L'esigenza  di  predisporre  una   graduatoria   unica
nazionale   per   tutti   i   comuni   beneficiari   giustificherebbe
l'attrazione in sussidiarieta' della funzione amministrativa e  della
correlata  funzione  legislativa  «sulla   base   dei   principi   di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza, di cui all'art. 118,
comma 1, della Costituzione». Nella stessa memoria  di  costituzione,
tuttavia, l'Avvocatura afferma anche  che  il  titolo  di  competenza
legislativa prevalente non sarebbe quello individuato  dalla  Regione
Veneto,   «governo   del   territorio»,   bensi'   «quello   previsto
dall'articolo 119, comma  5,  della  Costituzione  che  riserva  alla
competenza  esclusiva  dello  Stato  la  destinazione   di   "risorse
aggiuntive" e la  realizzazione  di  "interventi  speciali"  volti  a
promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale in  favore  di
determinati Enti territoriali». 
    In proposito, questa Corte ha chiarito  che  l'art.  119,  quinto
comma, Cost. non disciplina le competenze legislative dello Stato, ma
prevede che quest'ultimo possa istituire fondi cosiddetti "verticali"
- «lo Stato  destina  risorse  aggiuntive»  -  nel  rispetto  di  tre
condizioni: a) devono avere il carattere di risorse aggiuntive  o  di
interventi  speciali;  b)  devono  avere  finalita'   tipologicamente
individuate dalla  previsione  costituzionale,  ossia  promuovere  lo
sviluppo economico, la coesione e la solidarieta' sociale,  rimuovere
gli squilibri economici e sociali, favorire l'effettivo esercizio dei
diritti della persona, o  provvedere  a  scopi  diversi  dal  normale
esercizio delle loro funzioni; c)  devono  essere  destinati  a  enti
territoriali determinati (sentenze n. 40 del 2022 e n. 187 del 2021). 
    4.2.- Tanto premesso, occorre identificare l'ambito  materiale  a
cui ricondurre la disposizione impugnata,  considerata  la  priorita'
logica che, nei giudizi in via principale, riveste  lo  scrutinio  di
legittimita' riferito al riparto di competenze (sentenza  n.  70  del
2022). 
    La giurisprudenza di questa Corte ha ricondotto gli interventi in
ambito di urbanistica, di riqualificazione e rigenerazione  urbana  -
quali quelli impugnati - alla  materia  di  legislazione  concorrente
«governo del territorio» (ex multis, sentenze n. 24 del 2022, n. 202,
n. 124, n. 115 del 2021, nonche' n. 70 del 2020). 
    Quanto alle  competenze  amministrative  in  ambito  urbanistico,
questa Corte ha chiarito, con la sentenza n. 179 del  2019,  che  «la
funzione  di  pianificazione  comunale  rientra  in  quel  nucleo  di
funzioni amministrative intimamente connesso  al  riconoscimento  del
principio dell'autonomia comunale», e ha altresi' precisato che «essa
non implica una riserva intangibile di funzioni, ne' esclude  che  il
legislatore  competente  possa  modulare  gli  spazi   dell'autonomia
municipale  a  fronte  di   esigenze   generali   che   giustifichino
ragionevolmente la limitazione di funzioni gia' assegnate  agli  enti
locali». 
    Conclusivamente,   all'interno   del   delicato   rapporto    tra
l'autonomia comunale  e  quella  regionale,  la  suddetta  competenza
legislativa regionale non puo' mai essere esercitata in modo  che  ne
risulti vanificata l'autonomia dei comuni (sentenze n. 202 del 2021 e
n. 179 del 2019). 
    Tale "condivisione" di competenze amministrative con  il  livello
comunale trova conforto in diversi precedenti  giurisprudenziali  (ex
multis, sentenze n. 74 e n. 56 del 2019) su casi analoghi, in cui - a
fronte di attrazione  in  sussidiarieta'  da  parte  dello  Stato  di
funzioni amministrative (e correlate funzioni legislative) in  ambiti
di competenza legislativa concorrente regionale, in cui si  esplicano
altresi' rilevanti competenze  amministrative  comunali  -  e'  stata
ritenuta necessaria l'acquisizione dell'intesa in sede di  Conferenza
unificata, che coinvolge sia le regioni che gli enti locali, ai sensi
dell'art.  8  del  decreto  legislativo  28  agosto  1997,   n.   281
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza Stato - citta' ed autonomie locali). 
    Dalla riconducibilita' delle disposizioni impugnate alla  materia
«governo del territorio» di legislazione concorrente consegue che  le
norme  dettate  dallo  Stato  possano   trovare   legittimazione   se
stabiliscono principi fondamentali, secondo quanto previsto dall'art.
117,  terzo  comma,  Cost.,  ovvero  se  dettate  per  effetto  della
«chiamata  in  sussidiarieta'»,  purche'  vengano  garantite   idonee
procedure collaborative (sentenza n. 6 del 2023). 
    4.3.- Con riferimento alla fattispecie in esame,  deve  rilevarsi
che la disposizione impugnata non  configura  ne'  una  tipologia  di
finanziamento riconducibile al quinto comma dell'art. 119 Cost.,  ne'
un intervento di principio nella materia  «governo  del  territorio»,
quanto piuttosto un tipico caso di chiamata in sussidiarieta'. 
    Le  risorse  assegnate  dalla  disposizione  impugnata,  infatti,
rappresentano l'implementazione del programma di rigenerazione urbana
intrapreso dal legislatore statale con l'art. 1, commi 42 e 43, della
legge  n.  160  del  2019,  volto  alla  riduzione  di  fenomeni   di
marginalizzazione e degrado  sociale  di  tutti  i  comuni  italiani,
nonche' al miglioramento della  qualita'  del  decoro  urbano  e  del
tessuto sociale e ambientale. Questo programma poi  recepito  tra  le
linee di investimento finanziate con il PNRR, ai sensi dell'art.  20,
comma 1, lettera a), del  decreto-legge  6  novembre  2021,  n.  152,
recante «Disposizioni urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di
ripresa e resilienza (PNRR) e per la prevenzione delle  infiltrazioni
mafiose», convertito, con  modificazioni,  nella  legge  29  dicembre
2021, n. 233 - precisamente,  Missione  5  (Inclusione  e  coesione),
Componente 2 (Infrastrutture sociali,  famiglie,  comunita'  e  Terzo
settore) che, per gli interventi  di  rigenerazione  urbana,  mira  a
ridurre i divari di cittadinanza e i divari  generazionali,  mediante
interventi in  progetti  di  rigenerazione  urbana  volti  a  ridurre
situazioni di emarginazione e degrado sociale (M5C2 Investimento 2.1)
e Piani urbani integrati (M5C2 Investimento  2.2).  La  finalita'  di
tali interventi rivela dunque l'esigenza di una gestione unitaria. 
    Nell'attuare  la  prima  tranche  di  investimenti,  relativa  al
triennio 2021-2023, l'art. 1, comma 43, della legge n. 160  del  2019
ha demandato: a) a un d.P.C.m., da adottarsi entro  il  30  settembre
2020 per il triennio di riferimento (quindi per gli anni 2021,  2022,
2023),  l'individuazione  dei  «criteri  e   [del]le   modalita'   di
ammissibilita' delle istanze e di assegnazione dei  contributi  [...]
incluse  le  modalita'  [...]  di  monitoraggio»,  previa  intesa  in
Conferenza  Stato-citta'  ed  autonomie  locali,  poi  effettivamente
sancita in data 26 novembre 2020, che ha consentito l'emanazione  del
d.P.C.m. 21 gennaio 2021 sui criteri di  riparto,  condiviso  con  le
comunita' locali; b) a due  decreti  del  Ministro  dell'interno,  di
concerto con il Ministro dell'economia  e  delle  finanze  e  con  il
Ministro delle  infrastrutture  e  dei  trasporti,  le  modalita'  di
trasmissione delle istanze per la concessione dei contributi, nonche'
l'effettiva assegnazione delle risorse. 
    Lo Stato, con la legge n. 234 del 2021,  assegna,  esclusivamente
per il 2022, per le medesime finalita' stabilite dalla legge  n.  160
del 2019, risorse aggiuntive pari a euro 300 milioni  ai  comuni  con
popolazione inferiore  a  15  mila  abitanti,  o,  comunque,  rimasti
esclusi dal precedente riparto. 
    4.4.- Cosi' ricostruito il contesto normativo di riferimento,  la
questione di legittimita' costituzionale del comma 537,  promossa  in
riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 120 Cost., e' fondata. 
    Questa Corte, con indirizzo pressoche' costante, ha ribadito  che
gli  interventi  statali  di  "attrazione  in   sussidiarieta'"   per
ritenersi legittimi  devono  esercitarsi  nel  rispetto  della  leale
collaborazione; devono infatti essere garantiti momenti partecipativi
per gli enti territoriali  "espropriati"  delle  proprie  prerogative
costituzionali, a fronte dell'esigenza  di  assicurare  un  esercizio
unitario delle funzioni (ex multis, sentenze n. 6 del 2023,  n.  179,
n. 123 e n. 40 del 2022, n. 104 del 2021). 
    Nella fattispecie in esame, lo Stato ha attratto, con chiamata in
sussidiarieta', le competenze amministrative di dettaglio, unitamente
alle  rispettive  competenze  legislative  regionali,  nella  materia
«governo del territorio» e, nel fare cio', ha recepito i contenuti di
un d.P.C.m. precedente, adottato previa intesa in sede di  Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali (come stabilito a  suo  tempo  dalla
norma   legislativa   che   lo   prevedeva),   senza   garantire   il
coinvolgimento delle regioni. 
    Il mancato coinvolgimento delle regioni si e' registrato non solo
a monte dell'adozione del  d.P.C.m.,  ma  anche  a  valle  della  sua
attuazione.  La  disposizione  impugnata  non  ha   previsto   alcuna
procedura  atta  a  garantire  la  reale  partecipazione  degli  enti
territoriali nella fase gestoria del fondo, ossia prima dell'adozione
del  piu'  volte  citato   decreto   interministeriale,   il   quale,
evidentemente, nell'individuare i comuni beneficiari  delle  risorse,
implica una valutazione sulla  pertinenza  e  sulla  rilevanza  delle
opere da finanziare. 
    Tale   elemento   determina   una   lesione   delle   prerogative
costituzionali assegnate alle regioni  dall'art.  117,  terzo  comma,
Cost., in materia «governo del territorio», e del principio di  leale
collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    Da cio' consegue l'illegittimita' costituzionale  del  comma  537
dell'art. 1 della legge n. 234 del  2021,  nella  parte  in  cui  non
prevede che il decreto interministeriale di riparto delle risorse sia
adottato previa intesa in sede di Conferenza unificata. 
    Restano assorbite le ulteriori  censure  promosse  nei  confronti
della medesima disposizione. 
    5.- L'ultima questione promossa  dalla  Regione  Veneto  riguarda
l'art. 1, comma 721, lettera a), della legge  n.  234  del  2021,  il
quale - nel demandare a un accordo, concluso in  sede  di  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  Province
autonome di Trento e di Bolzano, tra Stato e regioni «la  definizione
di linee-guida condivise» in materia di tirocini  extracurriculari  -
stabilisce che la revisione della disciplina debba avvenire  «secondo
criteri che ne circoscrivano l'applicazione in favore di soggetti con
difficolta' di inclusione sociale». 
    La disposizione e' impugnata in riferimento agli  artt.  3,  117,
quarto comma, e 120  Cost.,  assumendo  che  sarebbe  invasiva  della
competenza legislativa regionale residuale nella materia  «formazione
professionale»,   e,   congiuntamente,   lesiva   dei   principi   di
ragionevolezza e di  leale  collaborazione,  in  quanto  predetermina
rigidamente i criteri per la definizione  delle  linee  guida,  cosi'
"blindando"  i  contenuti  dell'accordo  fra  i  diversi  livelli  di
governo. 
    5.1.- Anche in questo caso occorre  muovere  dallo  scrutinio  di
legittimita' costituzionale riferito al riparto di competenze, per la
priorita' logica che lo stesso riveste nei giudizi in via principale. 
    5.2.- La questione promossa in riferimento all'art.  117,  quarto
comma, Cost. e' fondata. 
    5.2.1.- In tema di tirocini  extracurricolari,  questa  Corte  ha
affermato che, dopo la riforma costituzionale del 2001, la competenza
legislativa esclusiva  delle  regioni  in  materia  di  istruzione  e
formazione professionale «"riguarda la  istruzione  e  la  formazione
professionale  pubbliche  che  possono  essere  impartite  sia  negli
istituti scolastici a cio' destinati, sia mediante strutture  proprie
che  le  singole  Regioni  possano  approntare  in   relazione   alle
peculiarita' delle realta' locali, sia in  organismi  privati  con  i
quali  vengano  stipulati  accordi"  (sentenza  n.  50   del   2005).
Viceversa, la disciplina della  formazione  interna  -  ossia  quella
formazione che i datori di lavoro  offrono  in  ambito  aziendale  ai
propri dipendenti - di per se' non rientra nella menzionata  materia,
ne' in altre  di  competenza  regionale;  essa,  essendo  intimamente
connessa con  il  sinallagma  contrattuale,  attiene  all'ordinamento
civile, sicche' spetta allo Stato  stabilire  la  relativa  normativa
(sentenza n. 24 del 2007)» (sentenza n. 287 del 2012). 
    Nella sentenza appena  richiamata,  questa  Corte  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  di  una  disposizione  statale  che
limitava la promozione dei  tirocini  extracurricolari  unicamente  a
favore di neo-diplomati o neo-laureati entro e non oltre dodici  mesi
dal conseguimento del relativo titolo di studio poiche', intervenendo
«in via diretta in una materia che non ha nulla a che vedere  con  la
formazione aziendale», determinava «un'indebita invasione dello Stato
in una materia di competenza residuale delle Regioni». 
    Nel caso in esame, la disposizione statale impugnata  circoscrive
l'applicazione dei tirocini curriculari a soggetti con difficolta' di
inclusione sociale, escludendo la  possibilita'  per  le  regioni  di
introdurre, in sede di accordo, ogni diversa scelta formativa. 
    Tale limitazione determina anche in questo caso,  analogamente  a
quanto affermato nel richiamato precedente,  «un'indebita  invasione»
(sentenza n. 287 del 2012)  della  competenza  legislativa  regionale
residuale in materia di «formazione professionale». 
    La  disposizione  impugnata,  pertanto,  deve  essere  dichiarata
costituzionalmente illegittima per violazione dell'art.  117,  quarto
comma, Cost. 
    Restano assorbiti gli ulteriori profili di censura. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
537, della legge 30 dicembre 2021, n.  234  (Bilancio  di  previsione
dello Stato per l'anno finanziario 2022 e bilancio pluriennale per il
triennio 2022-2024), nella parte in cui non prevede  che  il  decreto
interministeriale di  determinazione  dell'ammontare  del  contributo
attribuito a ciascun comune sia adottato previa  intesa  in  sede  di
Conferenza unificata; 
    2) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  1,  comma
721, lettera a), della legge n. 234 del 2021; 
    3) dichiara non fondata, nei sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  269,
lettera c), della legge n. 234 del  2021,  promossa,  in  riferimento
all'art. 117, commi terzo e quarto, della Costituzione, dalla Regione
Veneto con il ricorso indicato in epigrafe; 
    4)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 269, lettera c), della legge n. 234
del 2021, promosse, in riferimento agli  artt.  3,  32,  97,  secondo
comma, e 117, commi terzo e quarto, Cost., dalla Regione  Veneto  con
il ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 23 febbraio 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                      Angelo BUSCEMA, Redattore 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA