N. 98 SENTENZA 5 aprile - 18 maggio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Militari - Ordinamento militare - Psicologi militari  -  Facolta'  di
  esercizio della libera professione, al pari dei medici  militari  -
  Omessa previsione -  Violazione  del  principio  di  uguaglianza  -
  Illegittimita' costituzionale. 
- Decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, art. 210, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 32, 35, 97 e 98. 
(GU n.21 del 24-5-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 210,  comma
1,  del  decreto  legislativo  15   marzo   2010,   n.   66   (Codice
dell'ordinamento militare), promosso dal Consiglio di Stato,  sezione
seconda, nel procedimento vertente tra il Consiglio dell'Ordine degli
psicologi del Lazio e altri e il Ministero della difesa e altri,  con
ordinanza del 10 febbraio  2022,  iscritta  al  n.  24  del  registro
ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 12, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visti l'atto di  costituzione  del  Consiglio  dell'Ordine  degli
psicologi del  Lazio  e  altri,  nonche'  l'atto  di  intervento  del
Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 4 aprile 2023 il Giudice relatore
Augusto Antonio Barbera; 
    uditi l'avvocato Luca Lentini per il Consiglio dell'Ordine  degli
psicologi del  Lazio  e  altri  e  l'avvocato  dello  Stato  Vittorio
Cesaroni per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 5 aprile 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 febbraio 2022 (r.o. n. 24 del 2022),  il
Consiglio di Stato, sezione seconda,  ha  sollevato,  in  riferimento
agli artt. 3, 4, 32, 35, 97 e 98  della  Costituzione,  questioni  di
legittimita' costituzionale  dell'art.  210,  comma  1,  del  decreto
legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento  militare),
nella parte in cui non contempla, accanto ai medici  militari,  anche
gli psicologi militari tra i soggetti a cui, in deroga  all'art.  894
del codice medesimo, non sono  applicabili  le  norme  relative  alle
incompatibilita'  inerenti   l'esercizio   delle   attivita'   libero
professionali, nonche' le limitazioni previste dai contratti e  dalle
convenzioni con il servizio sanitario nazionale. 
    2.-  Il  giudice  rimettente  riferisce   di   essere   investito
dell'appello proposto dal Consiglio dell'Ordine degli  psicologi  del
Lazio e  da  alcuni  psicologi  appartenenti  al  personale  militare
avverso la sentenza 21 ottobre 2016, n. 10492, con cui  il  Tribunale
amministrativo  regionale  per  il  Lazio  ha  rigettato  i   ricorsi
presentati    per    l'annullamento    degli    atti    di    diniego
dell'autorizzazione all'esercizio della libera  professione  e  della
circolare del 31 luglio 2008, che, al punto  numero  7,  lettera  f),
paragrafo  4,  consente  l'iscrizione   all'albo   solamente   previa
annotazione  dello  stato  giuridico  professionale   di   dipendente
pubblico e del divieto di esercitare la libera professione,  adottati
dal Ministero della difesa. 
    3.- In punto di rilevanza, il Consiglio di Stato osserva che, nel
giudizio a quo, si controverte in ordine  alla  legittimita'  di  una
serie  di  provvedimenti  che  hanno  negato  ai  ricorrenti,   tutti
psicologi  militari,  l'autorizzazione  all'esercizio  della   libera
professione, in attuazione dell'art. 894 del d.lgs. n. 66 del 2010  e
dell'art. 53 del decreto legislativo 30 marzo  2001,  n.  165  (Norme
generali  sull'ordinamento   del   lavoro   alle   dipendenze   delle
amministrazioni pubbliche), ritenendo  non  applicabile  ad  essi  la
deroga prevista dall'art. 210 cod. ordinamento militare per i  medici
militari, che era in vigore al momento dell'adozione di alcuni  degli
atti gravati. 
    4.- Con riferimento alla non manifesta infondatezza,  il  giudice
rimettente  premette  una  ricostruzione  del  quadro  normativo   di
riferimento, rilevando come, prima dell'entrata in vigore del  codice
dell'ordinamento militare, pur in assenza di  una  norma  derogatoria
dell'art. 53 t.u. pubblico impiego, la  possibilita',  per  i  medici
militari,  di  esercitare  attivita'  libero   professionale   veniva
desunta, in via interpretativa, sia dal  regio  decreto  17  novembre
1932,  n.  2544  (Regolamento  sul  servizio   sanitario-territoriale
militare) - che, all'art.  6,  paragrafo  25,  vietava  solamente  di
«eseguire visite e redigere certificati [...], quando le  visite  non
siano state ordinate od autorizzate dai superiori diretti» - sia  dal
decreto legislativo del Capo provvisorio  dello  Stato  13  settembre
1946, n. 233 (Ricostituzione degli Ordini delle professioni sanitarie
e per la disciplina dell'esercizio delle professioni stesse)  -  che,
all'art. 10, prevedeva che  i  sanitari  impiegati  in  una  pubblica
amministrazione, «ai quali, secondo gli ordinamenti loro applicabili,
non sia vietato lo esercizio della libera professione, possono essere
iscritti all'albo». 
    Nella stessa direzione si poneva la legge 23  dicembre  1978,  n.
833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), che ha  demandato
alle regioni, nella predisposizione di piani sanitari  regionali,  di
concordare,  con  gli  organi  della  sanita'  militare  territoriale
competenti, «l'uso delle strutture  ospedaliere  militari  in  favore
delle popolazioni civili nei casi di calamita', epidemie e per  altri
scopi che si ritengano necessari» (art. 11, comma quarto, lettera a). 
    In questo contesto normativo - ricorda il giudice rimettente - il
codice  dell'ordinamento  militare,  da  un  lato,  ha  abrogato   il
regolamento sul servizio  sanitario-territoriale  militare  del  1932
(art. 2269,  comma  1,  numero  70),  dall'altro,  ha  specificamente
previsto, all'art. 894, comma 1, l'incompatibilita' della professione
di militare «con l'esercizio di ogni altra professione, salvo i  casi
previsti da disposizioni speciali». Tra queste si  pone  l'art.  210,
comma 1, del medesimo codice, ai sensi del quale, in espressa  deroga
del  citato  art.  894,  comma  1,  «ai  medici  militari  non   sono
applicabili  le  norme  relative   alle   incompatibilita'   inerenti
l'esercizio  delle  attivita'  libero   professionali,   nonche'   le
limitazioni  previste  dai  contratti  e  dalle  convenzioni  con  il
servizio sanitario nazionale, fermo restando il divieto  di  visitare
privatamente gli iscritti di leva e di rilasciare loro certificati di
infermita' e di imperfezioni  fisiche  che  possano  dar  luogo  alla
riforma». 
    5.- Sempre in ordine alla ricostruzione del quadro normativo,  il
Consiglio di Stato ricorda poi come, con la legge 18  febbraio  1989,
n.  56  (Ordinamento  della  professione  di  psicologo),  e'   stata
introdotta la «professione di psicologo», che presuppone l'iscrizione
ad un albo ed e' diretta alla cura della salute e del benessere della
persona. Con particolare riferimento all'attivita'  psicoterapeutica,
inoltre, l'art. 3 della legge n. 56 del 1989 ne consente  l'esercizio
sia agli psicologi sia ai  medici,  previa  iscrizione  nel  medesimo
albo. 
    Tenendo conto  dell'importanza  della  professione  di  psicologo
nell'attivita' di cura della salute  delle  persone,  al  fine  della
prevenzione e della eliminazione dei disagi e dei  disturbi  di  tipo
psichico, il legislatore, con la legge 11 gennaio 2018, n. 3  (Delega
al Governo  in  materia  di  sperimentazione  clinica  di  medicinali
nonche' disposizioni per il riordino delle  professioni  sanitarie  e
per  la  dirigenza  sanitaria  del  Ministero  della  salute),   l'ha
espressamente ricompresa «tra le  professioni  sanitarie  di  cui  al
decreto legislativo del Capo provvisorio  dello  Stato  13  settembre
1946, n. 233, ratificato dalla legge 17 aprile 1956, n. 561» (art. 01
della legge n. 56 del 1989). 
    Peraltro, nel Servizio  sanitario  nazionale  (d'ora  in  avanti,
anche: SSN) i medici e gli psicologi  sono  inquadrati  entrambi  nel
ruolo della  dirigenza  sanitaria  e  possono  esercitare  «attivita'
libero  professionale  individuale,  al  di  fuori  dell'impegno   di
servizio»  (artt.  15  e  15-quinquies  del  decreto  legislativo  30
dicembre 1992, n. 502, recante «Riordino della disciplina in  materia
sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23  ottobre  1992,  n.
421»). L'art. 3 del d.P.C.m. 27  marzo  2000  (Atto  di  indirizzo  e
coordinamento    concernente     l'attivita'     libero-professionale
intramuraria del personale della  dirigenza  sanitaria  del  Servizio
sanitario nazionale), poi, nel delimitare le categorie  professionali
a  cui  si  applicano  le  disposizioni  dell'«atto  di  indirizzo  e
coordinamento,    relative     all'attivita'     libero-professionale
intramuraria ed alle modalita' per garantire la progressiva riduzione
delle liste l'attesa per le attivita'  istituzionali»,  le  individua
nel «personale medico chirurgo, odontoiatra,  veterinario  e  [nelle]
altre professionalita' della dirigenza del ruolo sanitario», tra  cui
figurano gli psicologi. 
    L'art. 8, comma 1, lettera b-quinquies, del  d.lgs.  n.  502  del
1992, inoltre, prevede «modelli organizzativi  multi  professionali»,
nei quali e' ammessa la  presenza,  accanto  al  medico  di  medicina
generale, «di personale infermieristico e dello psicologo». 
    Piu' di recente, «[a]l fine di garantire la salute e il benessere
psicologico  individuale  e  collettivo  nell'eccezionale  situazione
causata dall'epidemia da COVID-19  e  di  assicurare  le  prestazioni
psicologiche,  anche  domiciliari,  ai  cittadini  e  agli  operatori
sanitari, di ottimizzare e razionalizzare  le  risorse  professionali
degli psicologi dipendenti e convenzionati nonche'  di  garantire  le
attivita' previste  dai  livelli  essenziali  di  assistenza  (LEA)»,
l'art. 20-bis del decreto-legge 28 ottobre 2020,  n.  137  (Ulteriori
misure urgenti  in  materia  di  tutela  della  salute,  sostegno  ai
lavoratori  e  alle  imprese,   giustizia   e   sicurezza,   connesse
all'emergenza   epidemiologica   da   COVID-19),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 18 dicembre 2020, n.  176,  ha  consentito
alle aziende sanitarie e  agli  altri  enti  del  Servizio  sanitario
nazionale di «organizzare l'attivita'  degli  psicologi  in  un'unica
funzione aziendale». 
    Alla luce del ricostruito quadro normativo, ad avviso del giudice
rimettente, lo psicologo condividerebbe con il medico la finalita' di
cura della persona: si tratterebbe di due categorie professionali che
erogano prestazioni  complementari,  integrando  l'offerta  sanitaria
fornita alla collettivita'. 
    6.- Con specifico riferimento al settore delle Forze  armate,  il
Consiglio di Stato osserva come la diversita' dei ruoli (normale  per
il medico e speciale per lo psicologo), nonche' della progressione di
carriera afferiscano al  rapporto  di  lavoro  con  l'amministrazione
militare, ma non influiscano in alcun modo  sul  tema  dell'esercizio
dell'attivita' libero professionale. Ugualmente  irrilevante  sarebbe
la  non  equiparabilita'  giuridico-economica  delle  due   categorie
professionali. 
    Anche per gli psicologi, come  per  i  medici  appartenenti  alle
Forze  armate,  l'esercizio   dell'attivita'   libero   professionale
soddisferebbe una pluralita' di  interessi:  quello  della  comunita'
civile, che puo' avvalersi di specifiche professionalita' maturate in
ambito  militare,  quello  dell'amministrazione  militare,  che  puo'
giovarsi   di   personale    di    variegata    esperienza,    quello
dell'ordinamento  generale,  che  attuerebbe  modelli  integrati   di
assistenza tra strutture sanitarie civili  e  militari,  quello  «del
professionista  che  puo'   affiancare   [...]   l'attivita'   libero
professionale a quella del pubblico impiego, arricchendo  il  proprio
bagaglio di esperienza». 
    La «diversita' tipologica tra la prestazione medico chirurgica  e
quella  di   psicologia   clinica»   non   e',   peraltro,   ostativa
all'esercizio della libera attivita' extramoenia nell'ambito del  SSN
e, quindi, non ha ragion d'essere nel settore delle Forze armate,  in
quanto gli interessi che essa «e'  idonea  a  soddisfare  [...]  (sia
della comunita' civile  che  dell'amministrazione  di  appartenenza)»
sono gli stessi. 
    7.- La norma censurata, laddove «non contempla, accanto ai medici
militari, anche gli psicologi militari  tra  i  soggetti  a  cui,  in
deroga all'art. 894 del codice  medesimo,  non  sono  applicabili  le
norme  relative  alle  incompatibilita'  inerenti  l'esercizio  delle
attivita' libero professionali, nonche' le limitazioni  previste  dai
contratti e dalle convenzioni con il servizio  sanitario  nazionale»,
sarebbe  quindi  in  contrasto  con  l'art.  3  Cost.,   determinando
un'irragionevole disparita'  di  trattamento  tra  le  due  categorie
professionali. 
    A parita' di  prestazioni  erogate  (dirette  alla  tutela  della
salute della persona) e  di  esigenze  da  soddisfare  (il  reciproco
arricchimento dell'amministrazione di appartenenza e della  comunita'
civile), non sarebbe, infatti,  giustificata  la  mancata  estensione
della deroga  al  principio  di  esclusivita'  della  professione  di
militare, prevista per i medici, agli psicologi. 
    8.- Le questioni sollevate non sarebbero manifestamente infondate
anche in riferimento agli artt. 4 e 35 Cost., perche' il  divieto  di
esercitare attivita' libero professionale comporterebbe una  «lesione
del  diritto  al  lavoro   e   all'elevazione   e   alla   formazione
professionale», privando gli psicologi sia di  occasioni  lavorative,
sia di un importante strumento di aggiornamento professionale. 
    La norma censurata si porrebbe, inoltre,  in  contrasto  con  gli
artt. 97 e 98 Cost., in quanto l'art. 210 cod. ordinamento  militare,
impendendo   ai   militari   psicologi   l'esercizio   della   libera
professione, creerebbe «un'ingiustificata  frattura  tra  la  sanita'
civile  e  la  sanita'   militare»,   impedendo,   in   quest'ultima,
l'integrazione tra due  categorie  professionali  destinate  entrambe
alla tutela della salute. 
    Infine, sarebbe violato anche  l'art.  32  Cost.,  in  quanto  il
censurato art. 210 sottrarrebbe al cittadino le prestazioni sanitarie
«fornite da un professionista dotato di un quid pluris di  esperienza
maturato nel settore militare». 
    9.-   A   conferma   dei   sollevati   dubbi   di    legittimita'
costituzionale, il Consiglio di Stato evidenzia  che  il  7  dicembre
2018 e' stata presentata alla Camera una proposta  di  legge  (AC  n.
1426), volta ad estendere agli psicologi militari la deroga al regime
di incompatibilita' con la libera professione sancito  dall'art.  894
cod. ordinamento militare. 
    10.- E' intervenuto in giudizio, con atto depositato il 12 aprile
2022, il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
questioni siano dichiarate inammissibili e, comunque, non fondate. 
    Ad  avviso  della  difesa   statale,   le   questioni   sarebbero
inammissibili sia per incompleta ricostruzione del  quadro  normativo
di riferimento, sia per contraddittorieta'  della  motivazione  sulla
non manifesta infondatezza. 
    11.-   Nel   merito,    non    sarebbe    comunque    ravvisabile
un'irragionevole disparita' di trattamento, in quanto  dal  combinato
disposto dell'art. 53 t.u. pubblico  impiego  e  dell'art.  894  cod.
ordinamento militare deriva una «generale  preclusione  all'esercizio
di altre attivita' da parte del personale militare, al  di  fuori  di
quelle  espressamente  autorizzate  dall'Amministrazione  secondo  le
apposite norme  speciali».  Una  tale  norma  non  sussiste  per  gli
psicologi militari che, per ruolo,  attribuzione  e  progressione  di
carriera, differiscono dai medici e non sono a questi assimilabili. 
    L'art. 210 cod. ordinamento militare, inoltre, non si  fonderebbe
su un ingiustificato privilegio in favore  dei  medici  militari,  ma
sarebbe espressione di una valutazione discrezionale del  legislatore
volta a  migliorare  l'efficienza  del  Servizio  sanitario  militare
(d'ora  in  avanti,  anche:  SSM)  e,  quindi,  il   buon   andamento
dell'amministrazione, conformemente all'art. 97 Cost. 
    Peraltro gli psicologi, in ambito militare,  esercitano  funzioni
di assistenza clinica e terapeutica in casi molto  limitati,  essendo
deputati per lo piu' al reclutamento e alla formazione del personale,
ovvero all'attivita' investigativa. 
    12.- Con memoria depositata il 7 aprile 2022, si sono  costituiti
il Consiglio dell'Ordine degli psicologi  del  Lazio  e  L.A.,  G.F.,
E.F., I. L.C., F.M.  e  G.P.,  ricorrenti  nel  giudizio  principale,
chiedendo che le questioni siano accolte. 
    La mancata previsione della deroga al divieto  di  esercitare  la
libera professione anche in favore degli  psicologi  appartenenti  al
personale militare si porrebbe in contrasto con gli artt. 3,  4,  32,
35, 97 e 98 Cost., in quanto, ai sensi dell'art. 208 cod. ordinamento
militare, questi appartengono, come  i  medici,  gli  odontoiatri,  i
veterinari e  i  farmacisti,  all'unitario  «personale  del  Servizio
Sanitario Militare». 
    Peraltro, anche il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro
dell'area sanita' del 19 dicembre 2019 si applica  sia  ai  dirigenti
medici che ai dirigenti psicologi, essendo anch'essi  ricompresi  nel
ruolo sanitario del SSN. 
    13.- In data 14 marzo 2023,  le  parti  private,  costituite  nel
giudizio  di  legittimita'  costituzionale,  hanno   depositato   una
memoria, contestando  le  deduzioni  dell'Avvocatura  dello  Stato  e
insistendo per  l'ammissibilita'  e  la  fondatezza  delle  questioni
sollevate. 
    Si e', in particolare, sottolineato come le figure  professionali
militari abilitate a svolgere la libera professione,  come  i  medici
chirurghi, i medici  veterinari  e  gli  odontoiatri,  sono  inserite
talora nel  ruolo  normale,  talora  nel  ruolo  speciale  dei  corpi
sanitari  di  appartenenza.  Non  sarebbe  l'appartenenza  all'uno  o
all'altro ruolo, quindi,  a  costituire  una  ragione  giustificativa
della  diversa  disciplina  dettata   in   tema   di   legittimazione
all'esercizio  dell'attivita'  libero  professionale  da  parte   dei
sanitari militari. 
    Peraltro, contrariamente a quanto dedotto dalla  difesa  statale,
le parti private evidenziano che le attivita' svolte dagli  psicologi
militari rientrerebbero tra quelle specificamente elencate  dall'art.
1 della legge n. 56 del 1989. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ordinanza del 10 febbraio 2022 (r.o. n. 24 del 2022),  il
Consiglio di Stato, sezione  seconda,  dubita,  in  riferimento  agli
artt. 3, 4, 32, 35, 97 e 98 Cost., della legittimita'  costituzionale
dell'art. 210, comma 1, del d.lgs. n. 66 del 2010, nella parte in cui
non contempla,  accanto  ai  medici  militari,  anche  gli  psicologi
militari tra i soggetti a cui, in  deroga  all'art.  894  del  codice
medesimo,   non   sono   applicabili   le   norme    relative    alle
incompatibilita'  inerenti   l'esercizio   delle   attivita'   libero
professionali, nonche' le limitazioni previste dai contratti e  dalle
convenzioni con il servizio sanitario nazionale. 
    2.- Ad avviso del  rimettente,  la  norma  censurata  violerebbe,
innanzitutto,   l'art.   3   Cost.,   determinando   un'irragionevole
disparita' di trattamento tra il  medico  e  lo  psicologo  militari,
nonostante anche  quest'ultimo  eserciti  una  professione  sanitaria
volta alla cura della salute delle persone e, nel Servizio  sanitario
nazionale (d'ora in avanti, anche: SSN), sia inquadrato,  insieme  ai
medici, nel ruolo unico della dirigenza sanitaria e possa  esercitare
«attivita' libero professionale individuale, al di fuori dell'impegno
di servizio». 
    La mancata estensione della deroga al principio  di  esclusivita'
della professione militare agli psicologi non  sarebbe  giustificata,
anche perche' gli interessi  che  l'esercizio  dell'attivita'  libero
professionale e' destinata a  soddisfare  sarebbero  gli  stessi  (il
reciproco vantaggio  dell'amministrazione  di  appartenenza  e  della
comunita' civile). 
    3.- Sarebbero altresi' lesi gli artt. 4 e 35 Cost., in quanto  la
norma censurata comporterebbe una violazione «del diritto al lavoro e
all'elevazione  e  alla  formazione  professionale»,   privando   gli
psicologi militari sia di occasioni lavorative, sia di un  importante
strumento di aggiornamento professionale. 
    L'art. 210, comma  1,  cod.  ordinamento  militare,  inoltre,  si
porrebbe in contrasto  con  gli  artt.  97  e  98  Cost.,  in  quanto
creerebbe «un'ingiustificata frattura tra  la  sanita'  civile  e  la
sanita' militare», impedendo, in quest'ultima, l'integrazione tra due
categorie professionali destinate entrambe alla tutela della salute. 
    Sarebbe violato, infine, l'art. 32  Cost.,  in  quanto  la  norma
censurata sottrarrebbe al cittadino le prestazioni sanitarie «fornite
da un professionista dotato di un quid pluris di esperienza  maturato
nel settore militare». 
    4.- Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, intervenuto in giudizio,
ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni   per   incompleta
ricostruzione  del  quadro  normativo  e  per  mancato  tentativo  di
un'interpretazione costituzionalmente orientata. 
    Tali eccezioni, pero', sono solamente enunciate  e,  traducendosi
in mere formule di stile, vanno disattese. 
    5.- Le questioni sollevate sono rilevanti nel giudizio a quo. 
    In esso si controverte della legittimita'  di  provvedimenti  con
cui il Ministero della difesa ha rigettato istanze di  autorizzazione
all'esercizio della libera  professione  presentate  dai  ricorrenti,
psicologi  militari.  Poiche',  se  non  tutti,  alcuni  degli   atti
impugnati nel giudizio a quo, sia dai destinatari sia  dal  Consiglio
dell'Ordine degli psicologi del Lazio, sono stati adottati nel vigore
dell'attuale art. 210,  comma  1,  cod.  ordinamento  militare,  alla
stregua di questa  disposizione  -  che  ne  costituisce  l'esclusivo
fondamento - il rimettente deve esaminare i  motivi  dei  ricorsi  di
primo grado, riproposti in sede di appello. 
    6.- La questione di  legittimita'  costituzionale,  sollevata  in
riferimento all'art. 3 Cost., e' fondata. 
    6.1.-    Questa    Corte    ritiene    opportuno     ricostruire,
preliminarmente, il quadro normativo di riferimento. 
    Nell'ambito del pubblico impiego, vige un generale  principio  di
esclusivita'  della   prestazione   di   lavoro   in   favore   delle
amministrazioni, con divieto di assumere altri impieghi e di svolgere
altre professioni. Questo  principio  e'  sancito  dall'art.  60  del
d.P.R.  10  gennaio  1957,  n.  3  (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti  lo  statuto  degli  impiegati   civili   dello   Stato),
richiamato, prima, dall'art. 58 del decreto  legislativo  3  febbraio
1993,   n.   29   (Razionalizzazione   della   organizzazione   delle
Amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia  di
pubblico impiego, a norma dell'articolo  2  della  legge  23  ottobre
1992, n. 421) e, oggi, dall'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001. 
    Quest'ultima disposizione, al comma 1,  fa  salva  «per  tutti  i
dipendenti pubblici  la  disciplina  delle  incompatibilita'  dettata
dagli articoli 60 e seguenti del testo unico  approvato  con  decreto
del Presidente della Repubblica 10  gennaio  1957,  n.  3,  salva  la
deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente  decreto,  nonche',
per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma  2,
del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo  1989,
n. 117 e dall'articolo  1,  commi  57  e  seguenti,  della  legge  23
dicembre 1996, n. 662». 
    Il richiamato art. 60 del d.P.R. n. 3  del  1957,  a  sua  volta,
stabilisce che  «[l]'impiegato  non  puo'  esercitare  il  commercio,
l'industria,  ne'  alcuna  professione  o  assumere   impieghi   alle
dipendenze di privati o accettare cariche in  societa'  costituite  a
fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in societa' o enti per
le quali la nomina e' riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta
l'autorizzazione del  ministro  competente»;  prevede,  a  tal  fine,
alcune limitate eccezioni (artt. 61 e  62)  e  le  conseguenze  delle
relative violazioni (art. 63). 
    La disciplina  delle  incompatibilita',  applicabile  a  tutti  i
dipendenti pubblici, contrattualizzati  e  non  contrattualizzati,  a
norma del menzionato art. 53, commi 1 e 6, t.u. pubblico impiego,  e'
estesa ai dipendenti degli enti locali, per la cui disciplina  l'art.
88 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali) rinvia  al  medesimo  testo
unico. 
    Ad avviso della giurisprudenza  di  questa  Corte,  l'obbligo  di
esclusivita', che caratterizza il rapporto di lavoro alle  dipendenze
delle   pubbliche   amministrazioni,   «trova   il   suo   fondamento
costituzionale nell'art.  98  Cost.»,  che,  «nel  prevedere  che  "i
pubblici  impiegati  sono  al  servizio  esclusivo  della   Nazione",
rafforza il principio di imparzialita'  di  cui  all'art.  97  Cost.,
sottraendo il dipendente pubblico ai condizionamenti  che  potrebbero
derivare dall'esercizio di altre  attivita'»  (sentenza  n.  241  del
2019). 
    Anche la giurisprudenza di legittimita' e  quella  amministrativa
ritengono che la disciplina delle incompatibilita'  «concern[a]  quei
requisiti di indipendenza e di totale disponibilita'» del lavoratore,
«il quale e' obbligato a riservare all'ufficio di appartenenza  tutte
le sue energie  lavorative,  con  espresso  divieto,  salve  limitate
tassative   eccezioni,   di   svolgere   attivita'   imprenditoriale,
professionale o di lavoro autonomo, nonche' di instaurare rapporti di
lavoro alle dipendenze di terzi o accettare cariche  o  incarichi  in
societa' o enti che abbiano  fini  di  lucro»  (Corte  di  cassazione
civile, sezione lavoro, ordinanza 29  novembre  2019,  n.  31277;  in
senso analogo, Consiglio  di  Stato,  sezione  seconda,  sentenza  27
maggio 2021, n. 4091). 
    6.2.- Il comma 6 del  citato  art.  53  ribadisce,  poi,  che  la
disciplina da esso dettata in tema di incompatibilita' si  applica  a
tutto il pubblico impiego, con esclusione dei dipendenti con rapporto
di lavoro a tempo parziale (con prestazione lavorativa non  superiore
al cinquanta  per  cento  di  quella  a  tempo  pieno),  dei  docenti
universitari a tempo definito e delle altre categorie  di  dipendenti
pubblici  ai  quali  e'  consentito,  da  disposizioni  speciali,  lo
svolgimento di attivita'  libero  professionali,  tra  cui  figurano,
appunto, i medici dipendenti del SSN. 
    In proposito, l'art. 15-quater del d.lgs. n. 502 del 1992 prevede
che i dirigenti sanitari possono optare per  il  rapporto  di  lavoro
esclusivo, nel qual caso possono svolgere attivita' professionale  ma
solo  intramuraria,  ossia,  come  chiarisce   il   successivo   art.
15-quinquies, al  comma  2,  lettere  a)  e  c),  «nell'ambito  delle
strutture aziendali individuate dal direttore generale  d'intesa  con
il collegio di direzione», nonche' «in strutture di altra azienda del
Servizio sanitario nazionale  o  di  altra  struttura  sanitaria  non
accreditata, previa convenzione dell'azienda con le predette  aziende
e strutture». Essi non  possono  esercitare  alcuna  altra  attivita'
sanitaria, non gratuita, salvo che in nome e per  conto  dell'azienda
di appartenenza (art. 72, comma 7, della legge 23 dicembre  1998,  n.
448 recante «Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione  e  lo
sviluppo») e godono di un trattamento  economico  aggiuntivo  fissato
dai contratti collettivi di lavoro  (art.  15-quater,  comma  5,  del
d.lgs. n. 502 del 1992). 
    Il successivo art. 15-sexies stabilisce, invece, che i  dirigenti
sanitari che optano per un rapporto di lavoro non  esclusivo  possono
esercitare   la   libera   professione   (in   tal   caso    definita
"extramuraria"),  ma   devono,   comunque,   garantire   la   «totale
disponibilita' nell'ambito dell'impegno di servizio». Sono,  poi,  le
aziende a stabilire «i volumi e le tipologie delle attivita' e  delle
prestazioni che  i  singoli  dirigenti  sono  tenuti  ad  assicurare,
nonche' le sedi operative in cui le stesse devono essere effettuate». 
    Questa Corte, tra l'altro,  ha  ritenuto  non  «irragionevole  la
previsione      di      limiti      all'esercizio      dell'attivita'
libero-professionale da  parte  dei  medici  del  Servizio  sanitario
nazionale» (sentenze n. 86 del 2008 e n. 181 del 2006). 
    6.3.- Le richiamate disposizioni si applicano a tutti i dirigenti
sanitari, tra cui gli psicologi, e non  solamente  a  quelli  medici,
perche' l'art. 15 del d.lgs. n. 502 del 1992 ha collocato i  sanitari
dipendenti  del  SSN  nel  ruolo  unico  della  dirigenza  sanitaria,
ancorche' distinti per profili professionali,  e  la  professione  di
psicologo - ai sensi  dell'art.  01  della  legge  n.  56  del  1989,
introdotto dalla legge  n.  3  del  2018  -  «e'  ricompresa  tra  le
professioni  sanitarie  di  cui  al  decreto  legislativo  del   Capo
provvisorio dello Stato 13 settembre 1946, n. 233,  ratificato  dalla
legge 17 aprile 1956, n. 561». 
    In tal senso, si e' pronunciata questa Corte con la  sentenza  n.
54 del 2015, che  ha  espressamente  ricordato  come  «la  disciplina
dell'attivita' libero-professionale intramuraria ha sempre riguardato
specificamente il personale medico, nonche', ai sensi degli artt.  4,
comma 11-bis, e 15 del d.lgs. n. 502 del  1992,  il  personale  della
dirigenza del ruolo sanitario,  costituito  da  farmacisti,  biologi,
chimici, fisici e psicologi secondo quanto  specificato  dall'art.  3
del d.P.C.m.  27  marzo  2000  (Atto  di  indirizzo  e  coordinamento
concernente   l'attivita'   libero-professionale   intramuraria   del
personale  della   dirigenza   sanitaria   del   Servizio   sanitario
nazionale)». 
    6.4.-  Per  quanto  concerne  piu'   propriamente   l'ordinamento
militare, il relativo codice stabilisce che il militare  in  servizio
permanente  «e'  fornito  di  rapporto  di   impiego   che   consiste
nell'esercizio della professione di militare» (art.  893,  comma  1).
Questa  professione  -  prevede  poi  l'art.  894,  comma  1   -   e'
«incompatibile con l'esercizio di ogni  altra  professione,  salvo  i
casi previsti da disposizioni speciali». Ugualmente, e' incompatibile
con «l'esercizio di un mestiere, di un'industria o di  un  commercio,
la carica di amministratore, consigliere, sindaco o altra  consimile,
retribuita o non, in societa' costituite a fine di lucro» (art.  894,
comma 2). 
    Per il personale militare  -  che,  ai  sensi  dell'art.  3  t.u.
pubblico  impiego,  rientra  nel  personale  in  regime  di   diritto
pubblico, ossia non privatizzato e contrattualizzato, ma disciplinato
dal rispettivo ordinamento  (appunto,  il  d.lgs.  n.  66  del  2010,
recante il codice dell'ordinamento  militare)  -  vige,  insomma,  il
medesimo principio generale di esclusivita' dell'impiego previsto per
i pubblici dipendenti in generale. 
    Peraltro, a differenza di quanto previsto per gli altri  pubblici
dipendenti, per i militari - ma altresi' per le forze di polizia e il
corpo nazionale dei vigili del fuoco  (art.  23-bis,  comma  9,  t.u.
pubblico  impiego)  -  l'incompatibilita'  con  l'esercizio  di   una
professione, del commercio,  dell'industria  o  con  l'assunzione  di
incarichi retribuiti alle dipendenze di  privati  non  e'  superabile
neanche tramite l'istituto del collocamento  in  aspettativa  di  cui
all'art. 18 della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe  al  Governo
in materia di  lavori  usuranti,  di  riorganizzazione  di  enti,  di
congedi,  aspettative  e  permessi,  di  ammortizzatori  sociali,  di
servizi   per   l'impiego,   di   incentivi    all'occupazione,    di
apprendistato, di occupazione femminile,  nonche'  misure  contro  il
lavoro sommerso e disposizioni  in  tema  di  lavoro  pubblico  e  di
controversie di lavoro). 
    Al personale militare, cosi' come a quello delle forze di polizia
e dei vigili del fuoco, inoltre, non si applica neppure la disciplina
del rapporto di lavoro a tempo parziale, che consente normalmente, ai
pubblici  impiegati,  lo  svolgimento  di   un'ulteriore   «attivita'
lavorativa di lavoro autonomo o subordinato  [che  non]  comporti  un
conflitto di interessi con la specifica attivita' di servizio  svolta
dal  dipendente   ovvero   [...]   pregiudizio   alla   funzionalita'
dell'amministrazione stessa» (art. 1,  commi  57  e  seguenti,  della
legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure di  razionalizzazione
della  finanza  pubblica»,  richiamato  dall'art.  53  t.u.  pubblico
impiego). 
    6.5.- L'art. 894, comma 1, cod. ordinamento  militare  fa  salvi,
pero', rispetto  al  generale  principio  di  incompatibilita'  della
professione militare con l'esercizio di ogni altra professione,  «[i]
casi previsti da  disposizioni  speciali».  Tra  queste  si  colloca,
appunto,  l'art.  210,  comma  1,  del  codice  medesimo,  il   quale
stabilisce - analogamente a quanto previsto per il rapporto di lavoro
dei dirigenti sanitari del SSN - che, «[i]n deroga all'articolo  894,
comma 1», ai medici militari non si applicano «le norme relative alle
incompatibilita'  inerenti   l'esercizio   delle   attivita'   libero
professionali, nonche' le limitazioni previste dai contratti e  dalle
convenzioni con il servizio sanitario nazionale,  fermo  restando  il
divieto di visitare privatamente gli iscritti di leva e di rilasciare
loro certificati di infermita' e di imperfezioni fisiche che  possano
dar luogo alla riforma». Il comma 1.1. del citato art. 210  chiarisce
che, comunque, «[n]ell'esercizio delle attivita' libero professionali
di cui al comma 1, i medici militari non possono  svolgere  attivita'
peritali di parte in giudizi civili, penali o amministrativi  in  cui
e' coinvolta l'Amministrazione della  difesa  ovvero,  per  i  medici
militari del Corpo della Guardia  di  finanza,  l'Amministrazione  di
appartenenza». 
    La dizione letterale dell'art. 210 cod. ordinamento militare, che
fa riferimento ai soli  «medici  militari»,  e  la  sua  collocazione
sistematica, subito dopo la definizione,  nell'ambito  del  personale
addetto alla sanita' militare, della specifica  categoria  costituita
dagli ufficiali medici  (art.  209),  confermano  che  la  deroga  al
principio di esclusivita' dell'impiego militare non opera  per  tutto
il personale del Servizio sanitario militare (d'ora in avanti, anche:
SSM),  ossia  per  tutti  gli  ufficiali  e  sottufficiali  abilitati
all'esercizio delle professioni sanitarie (art. 208, comma 1, lettera
a), ma solamente per il personale medico. 
    In  forza  di  questo  dato  letterale,  peraltro,   il   giudice
rimettente   esclude   la    possibilita'    di    un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  norma  censurata.  L'art.  208,
infatti,  nel  definire  il  personale  della  sanita'  militare,  si
riferisce a tutti gli esercenti la  professione  sanitaria,  tra  cui
rientrano anche gli psicologi; mentre l'art.  210,  nel  derogare  al
regime di esclusivita' della professione militare, si rivolge ai soli
medici. 
    6.6.-  Dalla  ricostruzione  del  quadro  normativo   si   desume
agevolmente che la norma censurata, consentendo ai medici militari lo
svolgimento  dell'attivita'  libero  professionale,  costituisce  una
scelta  del  legislatore  in  deroga   al   generale   principio   di
incompatibilita' della professione militare «con l'esercizio di  ogni
altra professione», sancito dall'art. 894, comma 1, del d.lgs. n.  66
del 2010 in conformita' a quanto stabilito,  per  tutto  il  pubblico
impiego, dal citato art. 53 t.u. pubblico impiego. 
    Tale principio, come si e' detto, trova fondamento  nell'art.  98
Cost., che,  nel  prevedere  che  «[i]  pubblici  impiegati  sono  al
servizio esclusivo della Nazione»,  rafforza  il  principio  di  buon
andamento dell'azione amministrativa sancito dall'art. 97  Cost.,  in
quanto,  da  un  lato,  evita  il  concretizzarsi  di  conflitti   di
interesse, dall'altro, consente al militare di riservare tutte le sue
energie lavorative ad esclusivo vantaggio dell'amministrazione. 
    Nell'ambito del «rapporto di impiego che consiste  nell'esercizio
della  professione  di  militare»  (art.  893,  comma  1),  la  ratio
dell'esclusivita' deve rinvenirsi anche nella specialita' che connota
detto status e, soprattutto, le funzioni e i compiti suoi propri,  il
cui assolvimento ben puo' giustificare l'imposizione  di  limitazioni
nell'esercizio  di  diritti  che  spettano  ad  altre  categorie   di
cittadini (sentenza n. 120 del 2018). 
    Ancorche'  questa  Corte  abbia,  anche  di  recente,  ricondotto
l'ordinamento militare «nell'ambito del generale ordinamento statale,
particolarmente  rispettoso  e  garante  dei  diritti  sostanziali  e
processuali di tutti i cittadini, militari [e non]» (sentenza n.  244
del 2022; in tal senso anche sentenza  n.  120  del  2018)  ed  abbia
mitigato la «specificita' dell'ordinamento militare rispetto a quello
civile» (sentenza n. 170  del  2019),  e'  indubbio  che  «lo  status
giuridico di militare comporta l'adempimento di [specifici] doveri  e
obblighi e limita alcune prerogative che la  Costituzione  garantisce
ad  altri  cittadini»  (ancora,  sentenza  n.  170  del   2019).   La
specificita' dell'impiego militare -  «caratterizzato  da  una  forte
compenetrazione fra i  profili  ordinamentali  e  la  disciplina  del
rapporto di servizio» (sentenza n. 270 del 2022) - giustifica,  anzi,
il regime delle incompatibilita' delineato dagli artt. 894 e seguenti
del d.lgs. n. 66 del 2010 in senso piu' rigoroso  rispetto  a  quello
previsto per i pubblici dipendenti in generale. Tale regime risponde,
infatti, all'esigenza di assicurare all'amministrazione militare,  in
ragione della  peculiarita'  delle  funzioni  istituzionali  ad  essa
attribuite, la  tendenziale  esclusivita'  dell'attivita'  lavorativa
svolta dal militare in favore del corpo di appartenenza, al  fine  di
garantirne il regolare e continuo svolgimento. 
    6.7.- Cosi' ricostruito il contesto normativo in cui  si  colloca
il censurato art.  210,  comma  1,  osserva  questa  Corte  che  tale
disposizione contiene in se' due norme, l'una esplicita, che consente
l'esercizio della libera  professione  ai  medici  militari,  l'altra
implicita, che ne limita il campo applicativo escludendo la  medesima
facolta' agli psicologi militari. La prima  delle  due  non  potrebbe
essere assunta, nel giudizio costituzionale  imperniato  sull'art.  3
Cost., a tertium comparationis, stante il suo carattere derogatorio. 
    Infatti, va ricordato che, secondo la  giurisprudenza  di  questa
Corte, «non e' invocabile la violazione del principio di  eguaglianza
quando la disposizione di legge [di cui il giudice rimettente  chiede
l'estensione] si riveli derogatoria rispetto alla  regola  desumibile
dal sistema normativo e, come tale, non estensibile  ad  altri  casi,
pena  l'aggravamento   anziche'   l'eliminazione   dei   difetti   di
incoerenza» (ordinanza n. 231 del 2009; nello stesso senso,  sentenze
n. 206 del 2004 e n. 383 del 1992; ordinanze n. 344 del 2008 e n. 178
del 2006). 
    Tuttavia,  va  parimenti  considerato  che,  sempre  secondo   la
giurisprudenza costituzionale, in presenza di  norme  generali  e  di
norme  derogatorie,  la  funzione  del   giudizio   di   legittimita'
costituzionale,  che  normalmente  consiste  nel   ripristino   della
disciplina  generale,  ove  ingiustificatamente  derogata  da  quella
particolare (sentenze n. 208 del 2019, n. 96 del 2008 e  n.  298  del
1994; ordinanza n. 582 del 1988), puo', in taluni  casi,  realizzarsi
tramite l'estensione di quest'ultima  ad  altre  fattispecie  purche'
ispirate alla medesima ratio derogandi. 
    Come gia' chiarito da questa Corte,  infatti,  «[i]l  legislatore
[...] una volta riconosciuta l'esigenza di  un'eccezione  rispetto  a
una  normativa  piu'  generale,  non  potrebbe,  in  mancanza  di  un
giustificato motivo, esimersi dal realizzarne integralmente la ratio,
senza per cio' stesso peccare di irrazionalita'» (sentenze n. 237 del
2020 e n. 416 del 1996; in senso analogo, sentenza n. 193 del 1997). 
    E' questo il  caso  dell'art.  210,  comma  1,  cod.  ordinamento
militare, su cui si appuntano i dubbi di legittimita'  costituzionale
del rimettente. 
    6.8.- Nella specie,  infatti,  la  limitazione  soggettiva  della
facolta' di esercitare la libera professione - facolta' che  si  pone
in deroga al principio generale dell'esclusivita'  della  professione
militare - determina un'irragionevole disparita' di  trattamento  tra
le due situazioni poste a confronto, quella dei medici e quella degli
psicologi militari, che, sotto il profilo in  esame,  sono  tra  loro
omogenee e, in quanto tali, suscettibili di valutazione comparativa. 
    Deve ricordarsi, infatti, che, a partire dalla  legge  n.  3  del
2018, la professione di psicologo e' stata  espressamente  ricompresa
«tra le professioni sanitarie» di cui al d.lgs.  C.p.S.  n.  233  del
1946 (art. 01 della legge n.  56  del  1989).  Inoltre  lo  psicologo
militare - che e' legittimato ad esercitare, una volta conseguita  la
richiesta abilitazione,  le  attivita'  elencate  dall'art.  1  della
medesima legge n. 56 del 1989 - deve  essere  iscritto  nell'apposito
albo professionale ai sensi dell'art.  5,  comma  2,  del  menzionato
d.lgs. C.p.S. n. 233 del 1946, il quale prescrive, per l'esercizio di
tutte le professioni  sanitarie,  la  necessita'  dell'iscrizione  al
rispettivo albo. Cio' trova conferma nell'art.  208,  comma  2,  cod.
ordinamento militare con riferimento a tutto il personale,  medico  e
non,  del  SSM,  a  cui  e'  consentito  l'esercizio  della  relativa
attivita' professionale purche' sia «in possesso dei titoli»  che  lo
abiliti all'esercizio della stessa. 
    Peraltro,  l'attribuzione  ai  soli  medici  della  facolta'   di
svolgere la libera professione,  in  deroga  al  generale  regime  di
incompatibilita'  previsto  per  tutti  i  militari,   deriva   dalla
distinzione  che  il   codice   dell'ordinamento   militare   faceva,
originariamente,  tra  personale  sanitario  medico  e   non   medico
nell'ambito del SSM. Prima  delle  modifiche  apportate  dal  decreto
legislativo 24 febbraio 2012, n. 20  (Modifiche  ed  integrazioni  al
decreto  legislativo  15  marzo   2010,   n.   66,   recante   codice
dell'ordinamento militare, a norma dell'articolo 14, comma 18,  della
legge 28 novembre 2005, n.  246),  infatti,  il  codice  distingueva,
nell'ambito del personale  addetto  alla  sanita'  militare,  tra  il
personale medico (art. 209) e quello sanitario non medico (art. 212).
Questa distinzione, pur nel rispetto delle diverse  professionalita',
e' pero' venuta meno, con l'accorpamento di tutti  gli  «ufficiali  e
sottufficiali, abilitati all'esercizio delle  professioni  sanitarie,
inquadrati nei ruoli e nei Corpi  sanitari  delle  Forze  armate»  in
un'unica categoria di personale del SSM (art. 208, comma  1,  lettera
a). 
    Poiche' entrambi i professionisti - medici e psicologi militari -
erogano prestazioni volte anche alla tutela dell'integrita'  psichica
e, oggi, rientrano nell'unitaria  categoria  del  personale  militare
abilitato  all'esercizio  della  professione  sanitaria,  essi  vanno
equiparati sotto il profilo che qui viene in  rilievo,  quello  della
facolta' di  svolgere  la  libera  professione.  Cio'  a  prescindere
dall'eventuale diversita' di ruoli e di progressione di carriera, che
puo'  riscontrarsi  nell'ambito  dei  rispettivi  corpi  sanitari  di
appartenenza. Anche perche', alla luce dell'analisi sin  qui  svolta,
non  emergono  ragioni  che  giustificano  il  riconoscimento   della
predetta facolta' esclusivamente ai medici militari. 
    La mancata estensione agli psicologi  militari  della  disciplina
derogatoria invocata dal rimettente, quindi, non risulta sorretta  da
alcun motivo giustificativo, proprio in considerazione della rilevata
identita' sia della categoria professionale cui appartengono gli  uni
e gli altri,  quella  dei  sanitari  militari  addetti  al  SSM,  sia
dell'attivita' da essi svolta, diretta pur  sempre  alla  cura  della
salute del paziente. 
    6.9.- In conclusione, il complessivo assetto normativo  descritto
dimostra che la disposizione censurata e' riconducibile alla ratio di
legittimare, in deroga al  principio  di  esclusivita'  del  pubblico
impiego (art. 53 t.u. pubblico impiego) e, in particolare, di  quello
militare (art. 894 cod. ordinamento militare), la libera  professione
del  personale  sanitario  militare,  purche'  svolta  al  di   fuori
dell'orario e dell'impegno lavorativo e nel rispetto delle  direttive
impartite dall'amministrazione, in relazione alle  concrete  esigenze
del corpo di appartenenza del militare. Tuttavia tale ratio e' comune
sia  al  medico  sia  allo  psicologo  militari  e  trova,  peraltro,
riscontro anche al di fuori dello specifico ambito  militare,  per  i
dirigenti del ruolo sanitario del SSN (sentenza n. 54 del 2015). 
    Poiche', come detto, le  due  fattispecie  poste  a  confronto  -
quelle dei medici  e  degli  psicologi  militari  -  rispondono  alla
medesima ratio derogandi e manca una  giustificazione  ragionevole  e
sufficiente a circoscrivere la norma censurata solamente  ad  una  di
essa, quella  dei  medici  appunto,  deve  ritenersi  sussistente  la
violazione del principio di uguaglianza di cui all'art.  3  Cost.  Il
limite  all'estensione  dell'art.  210,  comma  1,  cod.  ordinamento
militare che, pur costituendo una  deroga  a  principi  generali,  e'
espressione di una ratio comune a medici e psicologi addetti al  SSM,
e', quindi, motivo di illegittimita' costituzionale. 
    Tra l'altro, l'estensione agli psicologi militari della  facolta'
di  esercitare  la  libera  professione  viene  a   determinare   una
situazione parallela, limitatamente a  questo  specifico  profilo,  a
quella, prima menzionata, prevista per  gli  psicologi  "civili"  nel
SSN. E cio'  ferma  restando  la  piena  autonomia  dei  due  sistemi
sanitari, quello militare e quello nazionale. 
    7.- Per le ragioni sopra esposte, va dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 210, comma  1,  cod.  ordinamento  militare,
nella parte in cui «non contempla, accanto ai medici militari,  anche
gli psicologi militari tra i soggetti a cui, in deroga  all'art.  894
del codice medesimo, non sono  applicabili  le  norme  relative  alle
incompatibilita'  inerenti   l'esercizio   delle   attivita'   libero
professionali, nonche' le limitazioni previste dai contratti e  dalle
convenzioni con il servizio sanitario nazionale». 
    L'accoglimento della questione sollevata in riferimento  all'art.
3 Cost. comporta l'assorbimento degli  altri  parametri  evocati  dal
giudice rimettente (artt. 4, 32, 35, 97 e 98 Cost.). 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 210, comma  1,
del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento
militare), nella parte  in  cui  non  contempla,  accanto  ai  medici
militari, anche gli psicologi militari  tra  i  soggetti  a  cui,  in
deroga all'art. 894 del codice  medesimo,  non  sono  applicabili  le
norme  relative  alle  incompatibilita'  inerenti  l'esercizio  delle
attivita' libero professionali, nonche' le limitazioni  previste  dai
contratti e dalle convenzioni con il servizio sanitario nazionale. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                 Augusto Antonio BARBERA, Redattore 
                   Igor DI BERNARDINI, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 18 maggio 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                      F.to: Igor DI BERNARDINI