N. 101 SENTENZA 22 marzo - 23 maggio 2023

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Appalti pubblici - Informazione antimafia interdittiva  -  Effetti  -
  Gestione straordinaria temporanea dell'impresa - Utili contrattuali
  accantonati nel corso della gestione straordinaria - Beneficiari  -
  Asserita  retrocessione  alle  stazioni  appaltanti  -   Denunciata
  violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalita', della
  liberta' di iniziativa economica privata, del diritto di proprieta'
  e del principio della riserva di legge in  materia  di  prestazioni
  patrimoniali imposte - Non fondatezza delle questioni, nei sensi di
  cui in motivazione. 
- Decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni,
  nella legge 11 agosto 2014, n. 114, art. 32, commi 7 e 10. 
- Costituzione, artt. 3, 23, 41 e 42. 
(GU n.21 del 24-5-2023 )
  
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente:Silvana SCIARRA; 
Giudici :Daria de PRETIS,  Nicolo'  ZANON,  Franco  MODUGNO,  Augusto
  Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI,  Giovanni  AMOROSO,  Francesco
  VIGANO', Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo  BUSCEMA,  Emanuela
  NAVARRETTA, Maria Rosaria  SAN  GIORGIO,  Filippo  PATRONI  GRIFFI,
  Marco D'ALBERTI, 
      
    ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale   del   combinato
disposto dell'art. 32, commi 7 e  10,  del  decreto-legge  24  giugno
2014, n. 90 (Misure urgenti per la semplificazione e  la  trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto  2014,  n.  114,
promosso dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione
prima ter, nel procedimento  vertente  tra  G.  spa  e  il  Ministero
dell'interno e altri, con ordinanza del 25 luglio 2022,  iscritta  al
n. 113 del  registro  ordinanze  2022  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie  speciale,  dell'anno
2022. 
    Visti l'atto  di  costituzione  di  G.  spa,  nonche'  l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 2023 il Giudice relatore
Filippo Patroni Griffi; 
    uditi l'avvocato Antonio Bartolini per G. spa e l'avvocato  dello
Stato Carmela Pluchino per il Presidente del Consiglio dei ministri; 
    deliberato nella camera di consiglio del 22 marzo 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 25 luglio 2022,  iscritta  al  n.  113  del
registro ordinanze 2022, il Tribunale amministrativo regionale per il
Lazio, sezione prima ter, ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,
23,  41  e  42  della   Costituzione,   questioni   di   legittimita'
costituzionale del combinato disposto dell'art. 32, commi 7 e 10, del
decreto-legge  24  giugno  2014,  n.  90  (Misure  urgenti   per   la
semplificazione e la trasparenza amministrativa  e  per  l'efficienza
degli uffici giudiziari), convertito, con modificazioni, nella  legge
11 agosto 2014, n. 114, nella parte in cui, secondo l'interpretazione
assunta quale diritto vivente, dispone «la retrocessione degli  utili
alle stazioni appaltanti» in caso di definitivita' del  provvedimento
di informativa antimafia che abbia attinto l'impresa appaltatrice  in
corso di esecuzione del contratto e che, in ragione della  necessita'
del  suo  completamento,  sia  stata  sottoposta  alla  misura  della
«gestione straordinaria e temporanea». 
    1.1.- Il TAR  Lazio  riferisce  di  essere  chiamato  a  decidere
dell'impugnazione  da  parte  di  impresa  sottoposta  alla  gestione
commissariale di cui all'art. 32  del  d.l.  n.  90  del  2014,  come
convertito, in esito a interdittiva antimafia: a)  del  provvedimento
prefettizio   che   ha   disposto    il    versamento    in    favore
dell'amministrazione appaltante, anziche' in suo favore, degli  utili
derivanti  dall'esecuzione  dei  contratti  affidata  alla   gestione
commissariale e accantonati  in  apposito  fondo  vincolato;  b)  dei
relativi  atti  procedimentali;  c)  dell'atto   generale   ad   esso
presupposto costituito dalle «Quinte  linee  guida  per  la  gestione
degli utili derivanti dalla esecuzione dei contratti d'appalto  o  di
concessione sottoposti alla  misura  di  straordinaria  gestione,  ai
sensi dell'articolo 32 del decreto-legge n. 90/2014» del  16  ottobre
2018 dettate dal  Ministero  dell'interno  e  dall'Agenzia  nazionale
anticorruzione (ANAC), nella parte in cui disciplinano il  meccanismo
della retrocessione. 
    Il rimettente espone in punto di fatto che: 
    - la ricorrente nel 2015 e' stata  destinataria  di  informazione
antimafia a carattere interdittivo ai sensi degli artt. 84 e  91  del
decreto legislativo 6 settembre 2011,  n.  159  (Codice  delle  leggi
antimafia e delle misure di prevenzione, nonche'  nuove  disposizioni
in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e  2
della legge 13 agosto 2010, n. 136) per la riscontrata sussistenza di
rischi di infiltrazione mafiosa; 
    - sulla base di tale presupposto e' stata disposta  dal  Prefetto
di Perugia la gestione straordinaria della societa' in  relazione  ad
alcuni  contratti  di  appalto   in   corso   con   nomina   di   tre
amministratori; 
    - l'impugnazione proposta dalla societa'  avverso  l'interdittiva
e' stata respinta in primo grado; 
    - a seguito di istanza di aggiornamento liberatorio la prefettura
nel 2016 ha «revocat[o]»  tanto  l'interdittiva  quanto  la  gestione
straordinaria; 
    - nel 2019 e'  stato  confermato  in  secondo  grado  il  rigetto
dell'impugnazione del provvedimento interdittivo; 
    - la societa' ha anche proposto ricorso alla  Corte  europea  dei
diritti dell'uomo avverso la sentenza di appello; 
    - il Prefetto, in esito alla sentenza del Consiglio di Stato,  ha
disposto in favore della stazione  appaltante  la  devoluzione  degli
utili contrattuali accantonati dai commissari nel fondo vincolato. 
    1.2.- Tanto premesso, il TAR in via  preliminare  afferma  essere
munito di giurisdizione nel giudizio a quo. 
    Infatti, il provvedimento di  retrocessione  sarebbe  conseguenza
dell'informazione interdittiva e del "commissariamento"  disposto  ai
sensi dell'art. 32, commi 2 e 10, del  d.l.  n.  90  del  2014,  come
convertito, di cui  condividerebbe  il  carattere  potestativo  e  di
conseguenza la posizione del privato sarebbe di interesse legittimo. 
    Tale conclusione - per come  anche  affermato  dalla  Commissione
speciale del Consiglio di Stato nel parere 18 giugno 2018, n. 1567  -
non contrasterebbe con l'affermazione della giurisdizione del giudice
ordinario in relazione a controversia sull'accantonamento degli utili
rinvenibile nell'ordinanza delle sezioni unite civili della Corte  di
cassazione, 11 maggio 2018, n. 11576: tale unica pronuncia in materia
sarebbe stata adottata  nella  diversa  ipotesi  di  commissariamento
disposto dal prefetto ai sensi del comma 1 del medesimo art.  32  del
d.l. n. 90 del 2014, come convertito, ovvero per fatti di corruzione,
in cui, secondo il  giudice  della  giurisdizione,  «l'accantonamento
degli utili, nella struttura della disposizione sopra richiamata, non
deriva da una valutazione di natura discrezionale, ma costituisce  un
atto vincolato, come conseguenza automatica del commissariamento». 
    D'altro canto, sottolinea il TAR,  la  stessa  ordinanza  precisa
significativamente  che  «appartiene  alla  cognizione  del   giudice
ordinario  la  controversia  in  cui  venga  in  rilievo  un  diritto
soggettivo nei cui confronti  la  pubblica  amministrazione  eserciti
un'attivita' vincolata, dovendo verificare soltanto se  sussistano  i
presupposti  predeterminati  dalla  legge  per  l'adozione   di   una
determinata  misura,  e  non  esercitando,  pertanto,  alcun   potere
autoritativo   correlato   all'esercizio   di   poteri   di    natura
discrezionale». 
    1.3.-  Il  rimettente   si   dedica,   poi,   all'analisi   delle
disposizioni censurate, evidenziando  che  esse  nulla  indicano  sul
destino  degli  utili  accantonati,  ne'  per  l'ipotesi  di  rigetto
dell'impugnazione dell'informativa antimafia ne' per l'ipotesi di sua
revoca. 
    A fronte di tale silenzio normativo, il  TAR  afferma,  tuttavia,
che gli utili  spetterebbero  alle  stazioni  appaltanti  secondo  il
diritto vivente, che assume fondato sull'interpretazione fornita  dal
parere del Consiglio di  Stato  n.  1567  del  2018,  recepita  dalle
menzionate quinte linee guida di ANAC e  Ministero  dell'interno,  da
una pronuncia del giudice amministrativo (si cita Consiglio di Stato,
sezione terza, sentenza 16 gennaio 2019, n. 392) e da una del giudice
ordinario (si cita Tribunale  ordinario  di  Napoli  [Nord],  sezione
terza, ordinanza 19 ottobre 2020). 
    Secondo  il  parere  del  Consiglio   di   Stato,   per   effetto
dell'interdittiva l'originario rapporto contrattuale si  scioglie  ai
sensi dell'art. 94 cod. antimafia e il  commissariamento  prefettizio
obbliga l'impresa appaltatrice interdetta  a  portare  ad  esecuzione
l'originaria prestazione per specifiche ragioni di pubblica utilita'.
La fonte dell'obbligazione sarebbe, dunque, novata dal  provvedimento
e  determinerebbe,  sotto  il  versante  civilistico,   una   vicenda
inquadrabile in una (imposta) gestione  di  affari  altrui  e,  sotto
quello pubblicistico, in una prestazione imposta. 
    Al venir meno del titolo contrattuale conseguirebbe il venir meno
del corrispettivo pattuito e, piuttosto, all'impresa  spetterebbe  il
solo rimborso dei costi e delle spese  con  ablazione  del  profitto.
Cio'  troverebbe  fondamento  sia  nella  necessita'  di   precludere
all'impresa attinta da interdittiva di  conseguire  un  arricchimento
patrimoniale in virtu' di un proprio comportamento antigiuridico, sia
nella connotazione  restitutoria  (e  non  corrispettiva)  di  quanto
dovuto per il compimento della  prestazione  nell'interesse  pubblico
sia, ancora,  nella  logica  compensativa  (e  non  retributiva)  che
caratterizza le prestazioni personali imposte. 
    1.4.- L'ordinanza motiva, quindi, sui presupposti  per  sollevare
le questioni di legittimita' costituzionale. 
    In punto di rilevanza, il giudice a quo osserva  che  l'impugnato
provvedimento  prefettizio  e'  diretta  applicazione   della   norma
censurata e che solo la declaratoria di illegittimita' costituzionale
della stessa potrebbe condurre al suo annullamento  per  accoglimento
del corrispondente motivo di ricorso. 
    Chiarisce, inoltre, che la  rilevanza  non  puo'  essere  esclusa
dalla pendenza del  ricorso  proposto  dalla  ricorrente  alla  Corte
europea dei diritti dell'uomo,  in  quanto  essa  non  determina  una
fattispecie di sospensione necessaria  ex  art.  295  del  codice  di
procedura civile, per difetto  tanto  della  pregiudizialita'  logica
quanto di quella giuridica. 
    1.5.-  Alla  illustrazione  delle  ragioni   di   non   manifesta
infondatezza delle questioni sollevate il TAR  fa  antecedere  talune
premesse ricostruttive del quadro normativo. 
    Il  rimettente  rammenta,  anzitutto,  la  natura   cautelare   e
preventiva  del  potere  di  interdittiva  antimafia  -  frutto   del
bilanciamento  dei  contrapposti  interessi  all'ordine  e  sicurezza
pubblica, da un lato, e alla  tutela  della  liberta'  di  iniziativa
economica, dall'altra - al cui esercizio  e'  richiesto  il  rigoroso
rispetto del principio di legalita' sostanziale. 
    Lo stesso principio, a suo dire, imporrebbe  una  interpretazione
rigorosa dei suoi effetti, con  respingimento  di  ricostruzioni  non
ricavabili dal dettato legislativo. Per contro l'art. 32, commi  7  e
10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, prevede la sola  misura
dell'accantonamento degli utili di impresa in apposito fondo e non la
retrocessione all'appaltante affermata dal diritto vivente. 
    Il rimettente critica,  poi,  la  ricostruzione  del  parere  del
Consiglio di Stato posta a fondamento di tale meccanismo. 
    In primo luogo, non ricorrerebbe  alcuna  novazione  della  fonte
atteso  che  l'originario  contratto,  nel  difetto  di  risoluzione,
continuerebbe a essere eseguito dalla societa' ricorrente con  propri
mezzi, umani e patrimoniali, con correlativa responsabilita',  seppur
sotto l'amministrazione dei commissari prefettizi. 
    In   secondo    luogo,    sono    contestate    le    conclusioni
dell'accostamento della misura del commissariamento  alla  negotiorum
gestio: secondo la disciplina degli artt.  2030  e  2031  del  codice
civile il soggetto gerendo (il commissario prefettizio)  sarebbe,  al
contrario, tenuto a versare al gerito (la societa')  i  corrispettivi
ottenuti dall'esecuzione dei contratti gestiti. 
    Il  TAR  Lazio,  piuttosto,  accosta  l'incapacita'  parziale   e
temporanea derivante dall'interdittiva  all'incapacita'  naturale  di
cui agli artt. 427 e 428 cod.  civ.,  cui  conseguirebbe  l'efficacia
degli atti compiuti dall'incapace sino all'annullamento. 
    1.5.1.-  Alla   luce   del   delineato   quadro,   il   Tribunale
amministrativo regionale assume, anzitutto, il contrasto della  norma
censurata con l'art. 3 Cost. perche' la misura  della  retrocessione,
quanto  meno  nel  caso   di   impresa   cui   sia   stata   revocata
l'interdittiva, sarebbe misura sproporzionata e irragionevole. 
    Il  previsto  accantonamento  degli  utili  in   apposito   fondo
costituirebbe misura  gia'  sufficiente  a  salvaguardare  l'economia
legale dai tentativi di infiltrazione mafiosa in quanto  sottrarrebbe
all'impresa  interdetta  ogni  forma  di  locupletazione  durante  il
periodo di vigenza dell'interdittiva. 
    Inoltre,  la  norma  censurata  contrasterebbe  con   lo   stesso
parametro  costituzionale  trattando  la   fattispecie   in   maniera
differente da quella similare (per identita'  di  ratio)  contemplata
dall'art. 94, comma 3, del d.lgs. n. 159 del 2011. 
    Tale ultima disposizione - che costituisce una deroga alla regola
generale dettata  dal  precedente  comma  2  dello  stesso  articolo,
secondo cui a seguito del rilascio dell'informazione interdittiva  le
stazioni appaltanti  recedono  dai  contratti  in  corso  -  consente
all'appaltante la prosecuzione dei contratti di appalti con l'impresa
infiltrata se l'opera sia in corso di ultimazione o se  la  fornitura
di beni e servizi sia essenziale per il perseguimento  dell'interesse
pubblico, qualora l'appaltatore non sia sostituibile in tempi rapidi.
In tale fattispecie di prosecuzione  contrattuale  «non  si  dubita»,
afferma il TAR, che l'impresa percepisca  il  corrispettivo  previsto
dal contratto. 
    1.5.2.- Tale normativa inciderebbe, ancora, eccessivamente  sulla
liberta' di iniziativa economica privata e sul diritto di  proprieta'
tutelati dagli artt. 41 e 42 Cost. 
    1.5.3.- I commi censurati contrasterebbero, infine, con l'art. 23
Cost. 
    Il silenzio sulla sorte degli utili derivanti  dalle  prestazioni
rese  dall'impresa  per  effetto  del  commissariamento   prefettizio
darebbe luogo a una ipotesi di prestazione imposta in  cui  la  fonte
primaria non detterebbe i criteri direttivi e le linee generali della
relativa disciplina  in  particolare  in  ordine  alla  sua  concreta
entita'. 
    2.- Con atto depositato il 21 ottobre 2022, si e'  costituita  in
giudizio la  societa'  ricorrente  nel  giudizio  principale  che  ha
chiesto la declaratoria di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
32, commi 7 e 10, del d.l. n. 90 del 2014,  come  convertito  e  come
interpretato dal diritto vivente, negli stessi termini auspicati  dal
rimettente. 
    In via  subordinata,  per  l'ipotesi  in  cui  questa  Corte  non
ritenesse sussistere il diritto vivente nella  interpretazione  delle
disposizioni censurate, la parte domanda di «chiarire che il  giudice
a quo possa rendere un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
dell'art. 32 cc. 7 e 10 del d.l. n. 90/2014, la quale  si  differenzi
da quella oggi offerta dal  Parere  n.  1567/2018  del  Consiglio  di
Stato». 
    L'impresa,  dopo  aver  ricostruito  i  fatti,   ha   illustrato,
condiviso e  sostenuto  le  argomentazioni  spese  dall'ordinanza  di
rimessione. 
    In particolare, con riguardo alla ammissibilita' della  questione
in  relazione  alla  giurisdizione   del   giudice   rimettente,   ha
sottolineato  che  appartengono  alla   giurisdizione   del   giudice
amministrativo tutte le controversie nelle  quali  venga  in  rilievo
l'esercizio  di  un  potere   autoritativo   anche   solo   correlato
all'esercizio di poteri di natura discrezionale e ha aggiunto che  da
una eventuale pronuncia di fondatezza di questa Corte deriverebbe  la
riconfigurazione  del  potere  prefettizio  e,  di   conseguenza   il
chiarimento sulla qualificazione della posizione giuridica soggettiva
del privato. 
    Nel contestare il fondamento della  retrocessione  alla  stazione
appaltante  degli  utili   ha   prospettato   che:   a)   la   revoca
dell'interdittiva determinerebbe il venir meno delle ragioni per  cui
si era proceduto all'accantonamento degli utili; b)  diversamente  da
quanto affermato nel parere n. 1567 del 2018 del Consiglio di  Stato,
nel caso della gestione straordinaria e temporanea, da  un  lato,  vi
sarebbe prosecuzione del rapporto contrattuale senza alcuna novazione
del titolo  e,  dall'altro,  pur  riconducendo  la  fattispecie  alla
negotiorum  gestio,  i  corrispettivi  dei  contratti  stipulati  dal
gestore spetterebbero al soggetto sostituito. 
    3.- Con atto depositato l'8  novembre  2022,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   le
sollevate questioni siano dichiarate inammissibili o,  in  subordine,
non fondate. 
    3.1.- In via preliminare, l'Avvocatura dello  Stato  ha  eccepito
l'inammissibilita' delle questioni per difetto di  giurisdizione  del
giudice a quo. 
    Diversamente da quanto  ritenuto  dall'ordinanza  di  rimessione,
l'accantonamento  degli  utili   nella   gestione   straordinaria   e
temporanea troverebbe nel comma 7 dell'art. 32 del  d.l.  n.  90  del
2014, come convertito, la medesima disciplina tanto  se  la  gestione
sia stata disposta per finalita' di anticorruzione (comma 1,  lettera
b) quanto per finalita'  di  prevenzione  dell'infiltrazione  mafiosa
(comma 10). Conseguentemente, secondo la difesa statale, per entrambi
i casi dovrebbe valere  l'affermazione  delle  sezioni  unite  civili
della Corte di cassazione, di cui all'ordinanza n.  11576  del  2018,
dell'appartenenza della giurisdizione al giudice ordinario, in quanto
la  controversia  sugli  utili  accantonati   concerne   un   diritto
soggettivo corrispondente ad una attivita' vincolata  della  pubblica
amministrazione. 
    3.2.-  Il  Governo  nell'affrontare  il  merito  delle  questioni
illustra, anzitutto, l'interpretazione delle disposizioni censurate. 
    Il  legislatore,  ad  avviso  dell'interveniente,  distinguerebbe
sotto il profilo temporale la cessazione della misura della  gestione
straordinaria dalla statuizione sulla destinazione del fondo. 
    Il  limite  temporale  dell'accantonamento  degli  utili  sarebbe
individuato nel passaggio in giudicato della sentenza che decide  sul
ricorso   per   l'annullamento   del    provvedimento    interdittivo
comportando, in caso di suo  rigetto,  la  restituzione  degli  utili
all'amministrazione appaltante e, in caso  di  suo  accoglimento,  la
restituzione all'operatore economico. Nulla, invece, sarebbe previsto
in caso di aggiornamento dell'interdittiva  ai  sensi  dell'art.  91,
comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011. 
    Diversamente,   in   relazione   alla   misura   della   gestione
straordinaria il comma 10 dell'art. 32 del d.l. n. 90 del 2014,  come
convertito,  ne  prevede  la  cessazione  in  caso  di  sentenza   di
annullamento o  di  ordinanza  cautelare  che  la  sospenda  «in  via
definitiva»  e  anche  in  caso  di  aggiornamento  dell'informazione
interdittiva. 
    In  tale  ultimo  caso  si  avrebbe   un   «ritorno   in   bonis»
dell'operatore, ma non anche la restituzione degli  utili  dipendente
dalla decisione sull'impugnazione dell'interdittiva. 
    Ancora, secondo la  difesa  statale,  le  disposizioni  censurate
distinguerebbero la durata dell'accantonamento,  coincidente  con  il
periodo di applicazione della misura, dalla  durata  dell'obbligo  di
tenuta  del  relativo  fondo  segnata  dall'esito  dei   giudizi   di
impugnazione dell'interdittiva. 
    In   tale   contesto    normativo,    secondo    l'interveniente,
l'interpretazione dell'art. 32, commi 7 e 10,  del  d.l.  n.  90  del
2014, come convertito, adottata dalle quinte linee guida a firma  del
Ministro dell'interno e del Presidente dell'ANAC -  riconducibili  al
potere di regolazione di tale Autorita' previsto  dall'art.  213  del
decreto legislativo 18 aprile  2016,  n.  50  (Codice  dei  contratti
pubblici) - sarebbe coerente con il sistema normativo in  materia  di
prevenzione antimafia e rispettosa del dettato costituzionale. 
    3.3.-   Il   Presidente   del   Consiglio   si   sofferma,   poi,
sull'informazione  antimafia  liberatoria  che  ha   interessato   la
ricorrente del giudizio principale e della cui portata il TAR non  si
sarebbe debitamente occupato. 
    Tale  provvedimento  e'  emanato,  infatti,  in  esito  a   nuova
istruttoria e  nuova  valutazione,  al  ricorrere  di  sopravvenienze
fattuali  che  non  sconfessano  la  legittimita'  della   precedente
valutazione   interdittiva   e,   dunque,   ha   effetti   ex   nunc.
Coerentemente, dovrebbe  ritenersi  che  l'impresa  destinataria  del
provvedimento  di  aggiornamento   liberatorio   non   possa   essere
destinataria degli utili accantonati sotto la gestione commissariale. 
    Nell'arco temporale tra l'adozione  dell'interdittiva  e  il  suo
aggiornamento vige, infatti, il divieto per l'interdetta di stipulare
i contratti con la pubblica amministrazione e di ricevere  erogazioni
(art. 94, comma 1, del d.lgs. n. 159 del 2011) e il  principio  della
caducazione dei contratti in corso di  esecuzione.  Rispetto  a  tali
regole generali  la  prosecuzione  di  specifici  contratti  prevista
dall'art. 32, comma 10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito,  e'
deroga prevista in via eccezionale per la necessita' e  l'urgenza  di
garantire la continuita' di funzioni e servizi indifferibili  per  la
salvaguardia di  determinati  diritti  e  interessi  (per  tutela  di
diritti fondamentali, per l'integrita' dei  livelli  occupazionali  e
dell'integrita' dei bilanci pubblici). 
    Per l'Avvocatura dello Stato,  inoltre,  tale  cornice  normativa
avvalorerebbe l'interpretazione del Consiglio di  Stato  secondo  cui
all'esecuzione contrattuale eccezionalmente imposta dal provvedimento
prefettizio corrispondono non utili, ma  solo  rimborso  di  costi  e
spese. 
    3.4.- Alla  luce  dell'illustrato  quadro  normativo,  l'atto  di
intervento ha resistito alle singole questioni. 
    3.4.1.- La violazione dell'art. 3 Cost. sarebbe,  anzitutto,  non
fondata sotto entrambi i profili denunciati. 
    In primo  luogo,  in  relazione  alla  comparazione  delle  norme
censurate con l'art. 94, comma 3, del d.lgs.  n.  159  del  2011,  il
giudice rimettente non avrebbe tenuto conto della valenza applicativa
ormai nulla di tale norma proprio a seguito  dell'entrata  in  vigore
dell'art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito. 
    Il  comma  10  di  tale  articolo,  con  la  dicitura  «ancorche'
ricorrano i presupposti di cui all'articolo 94, comma 3, del  decreto
legislativo 6 settembre 2011, n. 159», in particolare, sancirebbe  la
prevalenza della  misura  prefettizia  della  gestione  straordinaria
sulla determinazione della stazione appaltante nella prosecuzione del
contratto stipulato e cio' per l'intento di  sottrarre  all'operatore
economico la gestione dei contratti in corso e l'incameramento  degli
utili. 
    In secondo  luogo,  la  misura  della  gestione  straordinaria  e
temporanea non risulterebbe irragionevole alla luce  del  complessivo
sistema di prevenzione. 
    Il  legislatore,  infatti,  ha  previsto  plurimi  strumenti  con
diverso grado di pervasivita' sulla gestione dell'impresa in  ragione
della diversa rilevanza dell'infiltrazione criminale. Cosi',  se  per
l'agevolazione  mafiosa  di  carattere  solo  occasionale  il  codice
antimafia prevede  misure  di  controllo  (il  controllo  giudiziario
dell'art. 34-bis cod. antimafia)  e  di  tutoraggio  (la  prevenzione
collaborativa dell'art. 94-bis  cod.  antimafia),  in  cui  l'impresa
conserva la capacita' di contrattare, di eseguire i  contratti  e  di
incamerare i corrispettivi, di contro per le ipotesi  piu'  gravi  e'
adottabile la gestione temporanea  e  straordinaria  con  l'ablazione
degli utili riportabile all'incapacita' dell'operatore economico. 
    Ragionando diversamente, si garantirebbe alle imprese  infiltrate
la permanenza nel mercato a detrimento delle imprese sane. 
    3.4.2.- Le disposizioni censurate  per  come  interpretate  dalle
quinte linee guida sarebbero, inoltre, rispettose dell'art. 23 Cost. 
    Il legislatore stesso  stabilisce  che  i  corrispettivi  versati
dalle  appaltanti  non  entrino  a  far  parte  nella  disponibilita'
dell'operatore, ma siano versati in un fondo cautelare le  cui  somme
non sono pignorabili dai creditori ne' distribuibili tra i soci. 
    L'ablazione  degli  utili  all'impresa  con  retrocessione   alla
appaltante   per   l'ipotesi   di   intervenuta   definitivita'   del
provvedimento interdittivo (per rigetto della sua impugnazione o  per
mancata impugnazione) troverebbe fondamento nell'evocato parametro in
quanto la gestione straordinaria e temporanea «assume i connotati  di
un munus  publicum  per  il  soddisfacimento  di  interessi  pubblici
superiori». 
    3.4.3.- In ultimo,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
deduce l'insussistenza della violazione degli artt. 41 e 42 Cost. non
essendo rinvenibile, alla  luce  della  ratio  dell'istituto,  alcuna
irragionevole incidenza su iniziativa economica privata e su  diritto
di proprieta'. 
    4.-  In  vista  dell'udienza  pubblica  la  parte  ha  depositato
memoria,  ove  ha   replicato   all'eccezione   di   inammissibilita'
dell'Avvocatura  dello  Stato  deducendo  essere  superabile  con  il
rilievo che il giudice a quo abbia espressamente motivato in modo non
implausibile sulla giurisdizione. 
    Nel merito ha dedotto che gli argomenti della difesa statale  non
superano le ragioni di fondatezza delle questioni sollevate dal TAR. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per il  Lazio,  sezione
prima  ter,  dubita  della  legittimita'  costituzionale  di   alcune
disposizioni inserite nell'art. 32 del d.l.  n.  90  del  2014,  come
convertito, che disciplina il potere  del  prefetto  di  disporre  un
parziale commissariamento delle imprese destinatarie di  informazioni
interdittive  antimafia  al  fine  di  dare  completa  esecuzione  ai
contratti pubblici loro aggiudicati, in deroga alla  regola  generale
dell'obbligo  delle  appaltanti  di   risolvere   il   contratto   al
sopravvenire del provvedimento interdittivo. 
    E' censurato, in particolare, in riferimento agli artt. 3, 23, 41
e 42 Cost., il combinato disposto dei commi 7 e 10  del  citato  art.
32, nella parte in cui,  «per  come  interpretato  nel  cd.  "diritto
vivente"»,  dispone  che  gli  utili  contrattuali,  accantonati  dai
commissari prefettizi in apposito fondo vincolato, siano «retrocessi»
alle  stazioni  appaltanti  in  caso  di  rigetto   dell'impugnazione
dell'informazione interdittiva anziche' corrisposti all'impresa. 
    Il giudice amministrativo solleva le questioni nell'ambito di  un
giudizio per l'annullamento del provvedimento del prefetto  (e  degli
atti  ad  esso  presupposti)  che  ha  fatto  applicazione  di   tale
previsione, nonostante che l'appaltatrice interdetta, tra il  rigetto
del ricorso avverso l'informativa in primo e in secondo grado, avesse
ottenuto "informazione liberatoria" ai sensi dell'art. 91,  comma  5,
cod. antimafia  e,  di  conseguenza,  l'anticipata  cessazione  della
misura della «gestione straordinaria». 
    Secondo il  rimettente  la  retrocessione  degli  utili  sarebbe,
anzitutto, contraria al principio di proporzionalita' -  quanto  meno
nel caso in cui l'impresa  abbia  ottenuto  la  "riabilitazione"  con
l'aggiornamento  in  senso  liberatorio  -,  perche'   il   fine   di
salvaguardia dell'economia  legale  dai  tentativi  di  infiltrazione
mafiosa sarebbe gia' adeguatamente  preservato  dal  legislatore  con
l'accantonamento  degli  utili  nell'apposito  fondo  (e  dunque  con
relativa sottrazione) in costanza di interdittiva. 
    La norma  censurata  tratterebbe,  inoltre,  la  fattispecie  con
ingiustificata  disparita'  rispetto  alla   ipotesi   simile   della
continuazione del rapporto contrattuale con l'impresa interdetta  per
decisione dell'appaltante, disciplinata dall'art. 94, comma  3,  cod.
antimafia, nel qual caso  «non  si  dubita»  del  riconoscimento  del
corrispettivo contrattuale alla appaltatrice. 
    Ancora,  il   riversamento   del   guadagno   all'amministrazione
contrasterebbe con gli artt. 41 e  42  Cost.,  incidendo  in  maniera
eccessiva sulla  liberta'  di  iniziativa  economica  privata  e  sul
diritto di proprieta'. 
    Infine,  l'imposizione  all'impresa  interdetta  dell'ultimazione
della prestazione contrattuale costituirebbe una prestazione  imposta
che, nel silenzio della norma sulla sorte  dei  relativi  utili,  non
troverebbe nella fonte primaria criteri di determinazione  della  sua
concreta entita', in violazione dell'art. 23 Cost. 
    2.- In via preliminare, il Presidente del Consiglio dei  ministri
ha  eccepito  l'inammissibilita'  delle  questioni  per  difetto   di
giurisdizione del giudice a quo. 
    La controversia sugli utili accantonati  ai  sensi  del  comma  7
dell'art. 32 del d.l. n. 90 del 2014, come convertito,  apparterrebbe
alla giurisdizione del giudice ordinario, concernendo  una  posizione
di diritto  soggettivo,  per  come  gia'  affermato  dalla  Corte  di
cassazione (Cass., sez. un., n. 11576 del 2018),  in  relazione  alla
similare ipotesi della misura di straordinaria gestione disposta  per
finalita' anticorruzione ai sensi del comma 2 dello stesso  art.  32.
L'accantonamento  costituirebbe,  infatti,   atto   vincolato   quale
conseguenza del commissariamento. 
    2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    E' noto che, secondo la costante  giurisprudenza  costituzionale,
la sussistenza della giurisdizione costituisce un  presupposto  della
legittima instaurazione del processo principale, la  cui  valutazione
e' rimessa al giudice a quo, rispetto al quale spetta a questa  Corte
una verifica esterna e strumentale al riscontro della rilevanza della
questione (ex plurimis, sentenze n. 44 del 2020 e n. 52 del 2018). Ne
consegue che il difetto di  giurisdizione  del  rimettente  determina
l'inammissibilita' della questione, per irrilevanza,  solo  ove  esso
sia macroscopico e, quindi, rilevabile  ictu  oculi  (tra  le  tante,
sentenze n. 79 del 2022, n. 65 del 2021 e n. 267 del 2020). 
    Ebbene,  nella  specie  il   TAR   Lazio   afferma   la   propria
giurisdizione sul rilievo che la  decisione  di  retrocessione  degli
utili adottata dal  prefetto  e'  conseguenza  (pur  automatica)  del
provvedimento di informativa antimafia e di  quello  del  correlativo
"commissariamento",  emessi  nell'esercizio  di  poteri   di   natura
discrezionale,   sicche'   ne   condividerebbe   il   carattere    di
autoritativita'. A tale determinazione potestativa  corrisponderebbe,
dunque, in capo al privato una posizione di interesse legittimo. 
    L'ordinanza esclude, inoltre, la pertinenza di  quanto  affermato
nella citata ordinanza della  Corte  di  cassazione  in  ordine  alla
sussistenza  della  giurisdizione  del  giudice   ordinario   perche'
relativa  all'accantonamento  delle  somme  in  diversa  ipotesi   di
commissariamento, quello "anticorruzione", come anche  sostenuto  dal
Consiglio di Stato nel parere n. 1567 del 2018. 
    Per contro, il TAR sottolinea come nella motivazione delle stesse
sezioni unite si escluda il ricorrere di un  diritto  soggettivo  nei
confronti della pubblica amministrazione quando  questa  esercita  un
«potere autoritativo correlato  all'esercizio  di  poteri  di  natura
discrezionale». 
    La motivazione del rimettente sul potere  prefettizio  in  ordine
(non all'accantonamento, ma) al versamento  degli  utili  accantonati
per effetto della conferma del  provvedimento  interdittivo  e  sulla
correlativa posizione sostanziale dell'impresa non  e'  implausibile:
tanto  basta  per  escludere  che  la   giurisdizione   del   giudice
amministrativo  sia  ictu  oculi  manifestamente  insussistente   (di
recente, sentenze n. 152 del 2021, n. 99 e n. 24 del 2020). 
    3.- L'esame del merito delle  questioni  sollevate  richiede  una
essenziale ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale  in
cui si inserisce la misura della «gestione straordinaria e temporanea
dell'impresa»  per  l'esecuzione  del  contratto   pubblico   tramite
amministratori  (d'ora  in  avanti,   anche:   commissariamento   del
contratto) disposta dal prefetto in esito alla informazione antimafia
interdittiva (art. 32, comma 10,  del  d.l.  n.  90  del  2014,  come
convertito) e del conseguente necessario accantonamento, in  apposito
fondo, dell'utile di impresa derivante da quel  contratto  (art.  32,
comma 7, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito). 
    3.1.- L'informazione antimafia con  effetto  interdittivo  (artt.
84, 92 e 94 cod. antimafia) e' provvedimento rivolto all'imprenditore
(individuale o collettivo) con cui il prefetto  attesta  (in  termini
vincolati, al pari della comunicazione antimafia) la  sussistenza  di
un  provvedimento  definitivo   di   prevenzione   personale   emesso
dall'autorita' giudiziaria o di una sentenza di condanna  (definitiva
o anche solo in grado di appello) per uno dei delitti di cui all'art.
51, comma 3-bis, del codice di procedura penale nonche'  (in  termini
tipicamente discrezionali), sulla base degli  elementi  elencati  dal
legislatore (artt. 84, comma 4, e 91, comma 6,  cod.  antimafia),  la
sussistenza  di  tentativi  di  infiltrazione  mafiosa   tendenti   a
condizionare le scelte e gli indirizzi dell'impresa. 
    Come rilevato da questa Corte, il provvedimento  interdittivo  ha
natura cautelare e preventiva in funzione di difesa  della  legalita'
dalla  penetrazione  della  criminalita'  organizzata   nell'economia
(sentenze n. 180  del  2022  e  n.  57  del  2020)  e  determina  una
particolare forma  d'incapacita'  del  destinatario,  tendenzialmente
temporanea, in riferimento ai  rapporti  giuridici  con  la  pubblica
amministrazione (sentenze n. 118 del 2022  e  n.  178  del  2021  che
richiamano Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza  6  aprile
2018, n. 3). 
    Con specifico riferimento ai contratti  pubblici,  l'informazione
interdittiva: a) costituisce causa di esclusione dalla  procedura  di
evidenza pubblica (art. 80 del d.lgs. n. 50 del 2016 e  art.  94  del
decreto legislativo  31  marzo  2023,  n.  36,  recante  «Codice  dei
contratti pubblici in  attuazione  dell'articolo  1  della  legge  21
giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti
pubblici»); b) impedisce l'aggiudicazione per riscontro  del  difetto
dei requisiti di capacita' a contrarre  (in  particolare  l'efficacia
dell'aggiudicazione ai sensi dell'art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016 e
la sua adozione ai sensi dell'art. 17 del d.lgs. n. 36 del 2023);  c)
preclude  alle  stazioni  appaltanti  di   stipulare,   approvare   o
autorizzare contratti o subcontratti (art. 94 cod. antimafia); d) nel
caso in cui sopravvenga nel corso dell'esecuzione  del  contratto,  a
mente degli artt. 92, comma 3, e 94,  comma  2,  cod.  antimafia,  le
stazioni appaltanti «recedono». 
    Alla   regola   generale   dell'obbligo   di   recesso    (recte:
risoluzione),  l'art.  94,  comma  3,  cod.   antimafia   giustappone
l'eccezionale facolta' per le stazioni appaltanti  di  proseguire  il
rapporto contrattuale «nel caso  in  cui  l'opera  sia  in  corso  di
ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e  servizi  ritenuta
essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico,  qualora  il
soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi». 
    Altra deroga all'ordinario obbligo di "scioglimento del rapporto"
con la contraente e' costituita proprio dall'art. 32, comma  10,  del
d.l. n. 90 del 2014, come convertito. 
    Tale disposizione  prevede  che  il  prefetto  che  abbia  emesso
un'informazione interdittiva, al fine di «assicurare il completamento
dell'esecuzione  del  contratto  ovvero  dell'accordo   contrattuale,
ovvero la sua prosecuzione al fine di  garantire  la  continuita'  di
funzioni  e  servizi  indifferibili  per   la   tutela   di   diritti
fondamentali, nonche' per la salvaguardia dei livelli occupazionali o
dell'integrita' dei bilanci pubblici», possa adottare diverse  misure
di  sottoposizione  dell'impresa  appaltatrice  ad   un   regime   di
"legalita' controllata": il rinnovo degli organi sociali, il sostegno
e il monitoraggio dell'impresa con nomina di esperti e  la  «gestione
straordinaria   e   temporanea   dell'impresa»    con    nomina    di
amministratori. 
    In particolare, con la gestione  straordinaria  si  attribuiscono
agli amministratori prefettizi tutti i poteri  e  le  funzioni  degli
organi  di  amministrazione  dell'operatore   economico   (cosiddetto
commissariamento    dell'impresa)    o    solo    quelli    necessari
all'ultimazione   della    prestazione    contrattuale    (cosiddetto
commissariamento del contratto),  ipotesi  quest'ultima  verificatasi
nel giudizio a quo (combinato disposto dei commi 1, lettera b,  e  3,
dell'art. 32 del d.l. n. 90  del  2014,  come  convertito,  per  come
modificato dall'art. 12, comma  1,  del  decreto-legge  10  settembre
2021,  n.  121,  recante  «Disposizioni   urgenti   in   materia   di
investimenti e sicurezza delle infrastrutture, dei trasporti e  della
circolazione stradale,  per  la  funzionalita'  del  Ministero  delle
infrastrutture e della mobilita' sostenibili, del Consiglio superiore
dei lavori pubblici e dell'Agenzia nazionale per la  sicurezza  delle
ferrovie e delle infrastrutture stradali e autostradali», convertito,
con modificazioni, nella legge 9 novembre 2021, n. 156). 
    La misura prefettizia cessa in  via  naturale  con  l'ultimazione
della prestazione contrattuale,  ma  il  legislatore  ne  prevede  la
definizione anticipata al sopravvenire  di  provvedimenti  favorevoli
all'impresa    costituiti     dall'annullamento     dell'informazione
interdittiva, dichiarato con sentenza passata in giudicato, dalla sua
sospensione cautelare disposta con ordinanza  definitiva  (cosiddetto
giudicato  cautelare),  ovvero  dall'aggiornamento   della   predetta
informazione in senso liberatorio, ai sensi dell'art.  91,  comma  5,
cod. antimafia, per il venir meno degli elementi che avevano  fondato
il riscontro dei tentativi di infiltrazione mafiosa (art.  32,  comma
10, del d.l. n. 90 del 2014, come convertito). 
    3.2.- Quanto al rapporto tra la prosecuzione  del  contratto  per
determinazione dell'appaltante (art. 94, comma 3, cod.  antimafia)  e
il commissariamento prefettizio, e' lo stesso comma 10  dell'art.  32
del d.l. n. 90 del 2014, come convertito, che dirime il concorso  tra
norme in termini di prevalenza  della  misura  prefettizia  (essa  e'
disposta «ancorche' ricorrano i presupposti di cui  all'articolo  94,
comma 3, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159»). 
    3.3.- Per quanto di interesse e' necessario,  ancora,  rammentare
che  il  commissariamento  puo'  essere  anche  disposto,  in  virtu'
dell'art. 32, commi 1 e 2, del d.l. n. 90 del 2014, come  convertito,
dal prefetto su proposta del Presidente dell'ANAC in caso di pendenza
di un procedimento penale per una serie di reati contro  la  pubblica
amministrazione o se sia acquisita notizia di «situazioni  anomale  e
comunque  sintomatiche  di  condotte  illecite  o  eventi  criminali»
attribuibili alla aggiudicataria del contratto  pubblico  (cosiddetto
commissariamento anticorruzione). 
    3.4.- Per entrambe le gestioni straordinarie e' previsto che  gli
amministratori prefettizi accantonino l'utile dell'impresa  derivante
dalla esecuzione dei contratti da loro gestiti in apposito fondo  che
«non puo' essere distribuito ne' essere soggetto a pignoramento» sino
all'esito  dei  giudizi  penali,  nel   caso   del   commissariamento
anticorruzione,  o  sino  all'esito  dei  giudizi  amministrativi  di
impugnazione dell'interdittiva (di merito e cautelare), nel caso  del
commissariamento antimafia (art. 32, comma 7,  del  d.l.  n.  90  del
2014, come convertito). 
    In  proposito,  con  specifico   riguardo   al   commissariamento
antimafia,  deve  essere  rimarcata  la  previsione,  da  parte   del
combinato  disposto  dei  commi  7  e  10,  di  due  distinte  cesure
temporali: quella di  durata  della  misura  (per  ultimazione  della
prestazione contrattuale o per effetto del sopravvenire dei  suddetti
provvedimenti favorevoli all'impresa), cui e' correlato l'obbligo  di
accantonamento  degli  utili  in  apposito   fondo,   e   quella   di
indisponibilita'  del  fondo  (per  effetto  della  definizione   del
contenzioso amministrativo sulla interdittiva). 
    Il diverso termine puo' far  si'  che  la  permanenza  del  fondo
vincolato possa oltrepassare la fine della misura: cosi' nel caso  in
cui il facere  dell'appaltatore  sia  ultimato,  ma  non  lo  sia  il
giudizio amministrativo,  o  cosi'  nel  caso  (come  in  quello  del
giudizio a quo)  in  cui  l'impresa  abbia  ottenuto  l'aggiornamento
liberatorio e, dunque, abbia  riacquisito  ex  nunc  la  capacita'  a
contrarre e a eseguire la prestazione contrattuale, ma sia ancora sub
iudice l'originaria interdittiva. 
    In sede applicativa, e' stato rilevato il silenzio  del  comma  7
dell'art. 32 in ordine alla destinazione degli utili accantonati  nel
fondo    all'esito    definitivo    dei    giudizi     amministrativi
sull'informazione   interdittiva   cui   la   misura   di    gestione
straordinaria e' collegata: cosi', tanto le seconde linee guida  ANAC
(«per l'applicazione delle misure straordinarie di gestione, sostegno
e   monitoraggio   di   imprese   nell'ambito    della    prevenzione
anticorruzione ed antimafia» adottate dal Ministro dell'interno e dal
Presidente dell'ANAC il 27 gennaio  2015),  che  hanno  recepito  sul
punto il parere dell'Avvocatura generale dello Stato (del 23 dicembre
2014), quanto le quinte linee guida ANAC che hanno recepito il parere
del Consiglio di Stato n. 1567 del 2018. 
    Nessun dubbio esegetico in proposito si e' posto per l'ipotesi in
cui venga annullato o sospeso  in  via  definitiva  il  provvedimento
interdittivo: argomentando dal comma 10 e dagli  effetti  retroattivi
del  provvedimento  giurisdizionale,  la  gestione  temporanea  perde
immediatamente e retroattivamente il suo  presupposto,  al  pari,  di
conseguenza, del meccanismo accessorio del congelamento degli  utili,
i  quali  vanno  corrisposti  all'impresa   secondo   le   originarie
previsioni contrattuali. 
    Al contrario, discussa e' la sorte delle somme giacenti nel fondo
nell'opposta ipotesi di  rigetto  definitivo  (o  diniego  definitivo
della sospensiva) dell'impugnazione dell'informazione interdittiva. 
    L'interrogativo  non  ha,  anzitutto,  trovato  soluzione   nella
"logica funzionale". 
    Infatti,   mentre   nel   commissariamento   anticorruzione    il
congelamento delle somme e', pacificamente, strumentale  a  garantire
l'attuazione della confisca eventualmente emessa in caso di  sentenza
di  condanna  per  i   reati   che   lo   hanno   giustificato,   nel
commissariamento  antimafia   alla   conferma   giurisdizionale   del
provvedimento antimafia non consegue una specifica misura  "ablativa"
che  vada  a  soddisfarsi  su  quanto  cautelativamente  accantonato.
L'accantonamento e' stato, infatti, definito «fine a se' stesso». 
    Piuttosto, l'Autorita' anticorruzione e il Consiglio di Stato  in
sede consultiva hanno ricavato dall'inquadramento  sistematico  delle
disposizioni la regola della retrocessione degli utili e, dunque,  il
riversamento  delle   somme   accantonate   nel   fondo   in   favore
dell'amministrazione   contraente   o   del   soggetto   finanziatore
dell'investimento pubblico. 
    Il parere consultivo e le  quinte  linee  guida  hanno  sostenuto
l'operativita' di tale meccanismo in base al  seguente  ragionamento:
in esito all'interdittiva, per l'incapacita' giuridica dell'operatore
economico che ne consegue,  si  ha  una  automatica  risoluzione  del
contratto e il provvedimento prefettizio di commissariamento  diviene
nuova e unica fonte della obbligazione di ultimazione dell'originario
programma negoziale.  Ne  deriva  in  capo  all'impresa,  in  termini
pubblicistici, una prestazione imposta  «nella  logica  dell'art.  23
della Costituzione»  e,  in  termini  civilistici,  una  obbligazione
rapportabile a una gestione di affari altrui; correlativamente  viene
meno l'obbligo contrattuale del corrispettivo in capo  all'appaltante
con obbligo di restituzione all'impresa  dei  soli  costi  sopportati
«per portare a  compimento,  nell'interesse  pubblico,  il  programma
negoziale» e con «(definitiva) ablazione  del  profitto»  (in  virtu'
degli artt. 2030, primo comma, e 1713, primo comma, cod. civ. e della
«logica "compensativa" [della] prestazione personale imposta»). 
    Si  ritiene,  cosi',  di  evitare   che   l'operatore   economico
interdetto consegua un arricchimento patrimoniale  in  virtu'  di  un
proprio comportamento antigiuridico. 
    4.- La conclusione esegetica della retrocessione degli utili  cui
sono pervenuti il Consiglio di Stato e le linee guida ANAC  e'  stata
dal TAR rimettente assunta a diritto vivente e sottoposta  al  vaglio
di legittimita' costituzionale di questa Corte. 
    Alla riportata  interpretazione  il  giudice  a  quo  afferma  di
ritenersi vincolato per  l'autorevolezza  degli  organi  che  l'hanno
resa, perche' seguita da  una  sentenza  del  giudice  amministrativo
(Consiglio di Stato, n. 392 del 2019) e da una ordinanza del  giudice
ordinario (Tribunale di Napoli Nord, 19  ottobre  2020)  nonche'  per
l'attinenza della questione al  delicato  settore  della  prevenzione
antimafia. 
    Questa  Corte  ritiene,  per  contro,  che  l'isolato  precedente
giurisdizionale del Consiglio di Stato  e  il  riferimento  ad  unico
precedente di merito del giudice ordinario non danno luogo  a  quella
interpretazione giurisprudenziale consolidata,  perche'  reiterata  e
uniforme, idonea  ad  integrare  un  diritto  vivente  (ex  plurimis,
sentenze n. 54 del 2023, n. 243 e n. 20 del 2022, n. 192 e n. 123 del
2020, n. 141 del 2019 e n. 122 del 2017). 
    Neppure conducono in senso diverso le linee  guida  ANAC,  che  -
prive di  valore  vincolante,  in  difetto  di  apposita  "delega  di
disciplina" da parte di fonti  primarie  e  di  natura  regolamentare
(Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 3 marzo 2021, n. 1791  e
sezione prima, parere 17 ottobre  2019,  n.  2627)  -  sono  atti  di
indirizzo  interpretativo,  fatte  proprie  dai   provvedimenti   dei
prefetti  e  che  hanno,  al  piu',  dato  origine   a   una   prassi
amministrativa alla quale da lungo tempo  e'  stato  negato  autonomo
valore di diritto vivente (sentenza n. 83 del 1996 e ordinanza n. 188
del 1998). 
    5.- Nel merito le questioni di  legittimita'  costituzionale  non
sono fondate, nei termini che seguono. 
    5.1.-  Ritiene,   infatti,   questa   Corte   che   diversa   sia
l'interpretazione da attribuire alle disposizioni censurate,  secondo
il loro corretto inquadramento sistematico e  alla  luce  dei  canoni
costituzionali (sentenze n. 65 del 2022, n. 206 del 2015, n. 198  del
2003,  n.  316  del  2001  e  n.  113  del  2000).  E  tale   diversa
interpretazione  consente  di  superare  i   prospettati   dubbi   di
illegittimita' costituzionale. 
    5.1.1.- Piu' elementi  comprovano,  anzitutto,  che  l'originario
rapporto contrattuale prosegua senza essere risolto. 
    In tal senso depone la lettera dell'art. 32 del d.l.  n.  90  del
2014,  come  convertito,  che  espressamente  prevede   la   gestione
straordinaria   come    misura    (sull'impresa)    strumentale    al
«completamento dell'esecuzione del contratto» (comma  10)  e  l'utile
accantonato come  «derivante  dalla  conclusione  de[l]  contratt[o]»
(recte: della prestazione contrattuale) (comma 7). 
    Ancora,  dal  punto  di  vista  sistematico,  la   determinazione
prefettizia di cui all'art. 32, comma 10, del d.l. n.  90  del  2014,
come convertito, va equiparata  alla  determinazione  della  stazione
appaltante di cui all'art. 94, comma 2,  cod.  antimafia,  in  quanto
entrambe giustificano per ragioni di pubblico interesse l'eccezionale
prosecuzione  del  rapporto  contrattuale  in  deroga   alla   regola
dell'obbligo  per  le  appaltanti  di  risolvere  il   contratto   al
sopravvenire dell'interdittiva. 
    L'equivalente  protrazione   dell'accordo   nelle   due   ipotesi
derogatorie non  solo  e'  ricavabile  dalla  citata  prevalenza  per
specialita' della  prima  misura  sulla  seconda,  ma  risulta  anche
esplicitata in  un  recente  intervento  legislativo:  l'art.  3  del
decreto-legge  16  luglio  2020,  n.  76  (Misure  urgenti   per   la
semplificazione   e   l'innovazione   digitale),   convertito,    con
modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, nel  consentire
la stipula  degli  appalti  sulla  base  di  informative  liberatorie
provvisorie  (comma  2),  obbliga  ancora  le  amministrazioni   alla
risoluzione in caso  di  pervenimento  di  informazioni  interdittive
definitive, «fermo restando quanto previsto dall'articolo 94, commi 3
e 4, [cod. antimafia], e dall'articolo 32, comma 10» del d.l.  n.  90
del 2014, come convertito (comma 4). 
    Infine,  la  conclusione  cui  questa  Corte  perviene   in   via
ermeneutica trova ulteriore conforto in quelle pronunce  del  giudice
amministrativo  che  ritengono  la  riassunzione  della   titolarita'
dell'esecuzione del contratto in corso,  in  caso  di  riacquisizione
della capacita' da parte dell'operatore economico per annullamento  o
revoca dell'interdittiva, o per effetto della ammissione alla  misura
del «controllo  giudiziario»  (cosi',  Consiglio  di  Stato,  sezione
terza, sentenza 25 luglio 2019, n. 5268). 
    5.1.2.- Se pur, dunque, e' certa la prosecuzione del rapporto tra
amministrazione  e  impresa  in  virtu'  dell'originario   contratto,
altrettanto vero e' che questo subisce  mutamenti  sia  sul  versante
soggettivo sia su quello oggettivo. 
    Dal punto di vista soggettivo,  la  prestazione  contrattuale  e'
posta in essere dall'impresa con i propri mezzi, ma e' eseguita sotto
la "direzione e vigilanza" degli amministratori prefettizi. Dal punto
di vista oggettivo,  inoltre,  la  "ratio"  funzionale  del  rapporto
contrattuale viene a permearsi del pubblico interesse. 
    Infatti,  da  un  lato,  il   mantenimento   del   contratto   e'
giustificato non dall'essenzialita' per  l'interesse  pubblico  della
prestazione contrattuale "di per se'" (come nel  caso  dell'art.  94,
comma 3, cod. antimafia), bensi' dall'essere questa a sua volta mezzo
di soddisfazione  di  selezionati  e  preminenti  interessi  pubblici
(individuati nella continuita' di funzioni  e  servizi  indifferibili
per la tutela di diritti fondamentali, nella salvaguardia dei livelli
occupazionali o nell'integrita' dei bilanci pubblici). 
    Dall'altro  lato,  l'attivita'  di  temporanea  e   straordinaria
gestione  dell'impresa  e'  espressamente   definita   «di   pubblica
utilita'» dal comma 4 dell'art. 32 del d.l.  n.  90  del  2014,  come
convertito. 
    Proprio la significativa  incidenza  del  commissariamento  sullo
svolgimento del contratto non consente di ricondurre  la  vicenda  in
termini di modifica solo soggettiva  per  sopravvenuta  gestione  (da
parte   degli   amministratori   prefettizi)    dell'affare    altrui
(dell'imprenditore interdetto). D'altra parte, l'inquadramento  della
vicenda nella negotiorum gestio porterebbe a  conseguenze  opposte  a
quelle  prospettate  dall'interpretazione  che   il   rimettente   ha
censurato: i commissari, gravati dei medesimi obblighi del mandatario
(art. 2030 cod. civ.), dovrebbero rimettere alla  gerita  impresa  il
corrispettivo ricevuto dalla  stazione  appaltante  (art.  1713  cod.
civ.) al netto di spese (art. 2031 cod. civ.) e compenso (artt.  1709
e 2031 cod. civ.). 
    5.1.3.- Nel descritto rinnovato contesto contrattuale,  anche  il
corrispettivo   originariamente   pattuito   risulta   inciso   dalla
sopravvenuta misura prefettizia ove divenga definitiva l'interdittiva
su cui e' stata fondata. 
    Il sinallagma contrattuale si trova, infatti, alterato da vicende
imputabili alla contraente privata  cui  quella  pubblica  ha  dovuto
porre rimedio. 
    E',  invece,  nella  lettura   sistematica   delle   disposizioni
censurate con quelle  relative  all'incidenza  dell'interdittiva  sui
contratti in corso che si rinviene la rideterminazione del dovuto nel
contratto conformato dall'interesse pubblico. 
    Posto che dall'originario corrispettivo va detratto  il  compenso
liquidato ai commissari (art. 32, comma 7, del d.l. n. 90  del  2014,
come convertito), e' nell'art. 94, commi 2 e 3,  cod.  antimafia  che
deve essere rivenuta la regola di rideterminazione del quantum  della
prestazione resa nel regime di "legalita' controllata". 
    Le  indicate  norme  regolano,  infatti,  le  conseguenze   della
sopravvenienza dell'interdittiva sui contratti pubblici  in  corso  e
all'appaltatore  riconoscono  espressamente,  per   il   caso   della
"ordinaria" scelta dell'amministrazione di  risolvere  il  contratto,
«il pagamento del valore delle opere  gia'  eseguite  e  il  rimborso
delle spese sostenute per  l'esecuzione  del  rimanente,  nei  limiti
delle  utilita'   conseguite»   dall'amministrazione.   La   medesima
quantificazione si ritrova ribadita nel comma  3  dell'art.  93  cod.
antimafia e nel menzionato art. 3 del  d.l.  n.  76  del  2020,  come
convertito,  e  coincide  con  quella  dettata  per  le   risoluzioni
conseguenti al sopravvenire della comunicazione  antimafia  (art.  88
cod. antimafia). 
    Tale regime pecuniario si discosta da quello previsto dal  codice
dei contratti  pubblici  per  le  ordinarie  ipotesi  di  risoluzione
pubblicistica,  che  riconosce  all'appaltatore   il   prezzo   delle
prestazioni regolarmente eseguite decurtato  degli  oneri  aggiuntivi
derivanti dallo scioglimento del contratto (art. 108 del d.lgs. n. 50
del 2016 e art. 122, commi 5 e 6, del d.lgs. n. 36 del 2023). 
    L'art. 94,  comma  3,  cod.  antimafia  non  detta  a  sua  volta
espressamente la regola del compenso per l'ipotesi, ivi  prevista  in
termini alternativi, seppur residuali, in  cui  l'amministrazione  si
determini  per  la   prosecuzione   del   contratto.   In   proposito
(diversamente da quanto affermato dal rimettente) non  si  rinvengono
pronunce  giurisprudenziali  o   prassi   amministrative,   ma   alla
fattispecie puo'  agevolmente  estendersi  la  regola  dettata  nella
disposizione che la precede e a cui e' legata: le  opere  interamente
eseguite   per   volonta'   dell'amministrazione   vanno   ugualmente
compensate nel loro valore nei limiti  dell'utilita'  ricavata  dalla
controparte. 
    Nel caso del commissariamento tale regola vale a maggior ragione:
se il legislatore, nell'ipotesi in cui l'amministrazione si determini
a recidere il  rapporto  con  l'impresa  interdetta  (in  primis  per
tentativi di infiltrazione pregressi, ma successivamente  acclarati),
riconosce  all'appaltatrice  per  la  prestazione,  sino  ad   allora
eseguita in autonomia, il relativo valore nei limiti dell'utilita', a
fortiori il medesimo importo  deve  essere  riconosciuto  all'impresa
che,  per  valutazione  discrezionale  della  stessa  amministrazione
(prefettizia), porti a termine la prestazione con  propri  mezzi,  ma
nel regime di legalita' controllata. 
    Al venir meno  del  vincolo  di  indisponibilita'  del  correlato
fondo, dunque, andra' versato all'operatore  economico  non  l'intero
guadagno li' accantonato (costituito dalla differenza tra il prezzo e
i costi gia' corrisposti), bensi' il minor importo  dato  dal  valore
della    prestazione    nei    limiti    dell'utilita'     conseguita
dall'amministrazione,  al  netto  dei  costi  gia'   versati.   Cio',
comunque, sempre salve le eventuali ritenzioni per compensazioni  con
somme dovute all'appaltante  dall'appaltatrice  per  risarcimenti  da
inadempimento o per confische penali (artt.  240,  240-bis,  416-bis,
comma 7, cod. pen.) o confische della prevenzione  (artt.  24  e  34,
comma 7, cod. antimafia), se l'interdittiva e' collegata a vicende di
rilevanza penale o della prevenzione giurisdizionale. 
    5.1.4.- Il riconoscimento del compenso nei  limiti  dell'utilita'
conseguita dall'amministrazione e' coerente, del resto,  per  diversi
profili con i principi sottesi alla logica del sistema,  i  quali  si
rinvengono anche nell'istituto dell'arricchimento ingiustificato. 
    In  primo  luogo,  gli   utili   accantonati   in   costanza   di
commissariamento non costituiscono di per se' guadagni  illecitamente
prodotti dall'operatore economico e rispetto ai  quali  l'ordinamento
reagisce    con     specifiche     misure     di     neutralizzazione
dell'arricchimento, come con  le  misure  ablatorie  penali  o  della
prevenzione (sentenza n. 24 del 2019): essi, piuttosto, si  producono
per richiesta dell'amministrazione e sotto il suo controllo. 
    In secondo luogo, il riconoscimento del valore della  prestazione
compiuta  dall'imprenditore  interdetto  nei   limiti   dell'utilita'
dell'amministrazione che ne trae vantaggio si puo' accostare  (con  i
dovuti  distinguo)  a  quelle  fattispecie  in  cui  il   legislatore
codicistico, per «trovare in un'ottica redistributiva  un  equilibrio
tra le prestazioni (e comunque tra i  due  patrimoni)»,  compensa  lo
spostamento    patrimoniale    del    "depauperato"     in     favore
dell'"arricchito" con il suo valore (del bene o  del  suo  uso  o  il
valore della prestazione ex artt. 935, 936,  939,  940  e  1150  cod.
civ.) anziche' con la sola diminuzione subita (Corte  di  cassazione,
sezioni unite civili, sentenza 11 settembre 2008, n. 23385). 
    Infine, tramite la previsione  del  comma  2  dell'art.  94  cod.
antimafia  (e  con  quella  identica  dell'art.  92,  comma  3),   il
legislatore intende riconoscere  «al  soggetto  interdetto  [...]  il
diritto a  vedersi  corrisposto  un  compenso  limitato  all'utilita'
conseguita  dall'amministrazione,  onde  evitare  che   quest'ultima,
dall'esecuzione   dell'opera,   possa   trarre   un    ingiustificato
arricchimento»  (cosi',  Consiglio  di  Stato,   adunanza   plenaria,
sentenze 6 agosto 2021, n. 14 e 26 ottobre 2020, n. 23). 
    5.1.5.- La predetta interpretazione delle disposizioni censurate,
diversamente dalla regola della retrocessione degli utili, ipotizzata
dal giudice a quo, trova anche riscontro nel dato letterale: al venir
meno del vincolo di indisponibilita' del fondo, il comma 7  dell'art.
32 prevede che quell'importo vada  «distribuito»,  con  significativo
utilizzo del linguaggio codicistico adottato per il  pagamento  degli
utili o dividendi tra soci (artt. 2303, 2433, e 2433-bis e  2478-bis,
cod. civ.). Ancora, in quel momento  le  somme  tornano  soggette  al
regime ordinario di aggredibilita' («pignora[bilita']») da parte  dei
creditori  dell'imprenditore,  altrimenti  soppiantati  da  una   non
prevista acquisizione al soggetto pubblico. 
    5.2.-  Questa  ricostruzione   ermeneutica   delle   disposizioni
censurate supera ogni profilo di contrasto con  i  parametri  evocati
(artt. 3, 23, 41  e  42  Cost.)  oltre  che  con  il  pur  pertinente
principio di legalita'. 
    5.2.1.- In primo luogo, il riversamento delle  somme  accantonate
in favore dell'impresa  interdetta  che  le  ha  prodotte,  con  sola
riduzione fondata sulla dinamica contrattuale  secondo  il  combinato
disposto dell'art. 32, comma  7,  del  d.l.  n.  90  del  2014,  come
convertito, e dell'art. 94, comma 2,  cod.  antimafia,  trova  chiaro
fondamento in norme primarie. 
    Cio', innanzi tutto, integra quella «base legale»  richiesta  dal
dettato  costituzionale  agli  artt.  41  e  42  Cost.  (per   tutte,
rispettivamente, sentenze n. 113 del 2022 e n. 24  del  2019),  oltre
che  dall'  art.  1  del   Protocollo   addizionale   CEDU,   secondo
l'interpretazione datane dalla Corte EDU, per fondare i  limiti  alla
liberta' di impresa e al diritto di proprieta'. 
    In   piu',   diversamente   dall'ipotizzato   meccanismo    della
retrocessione in favore dell'amministrazione degli utili accantonati,
l'interpretazione  adottata  esclude  la  configurabilita'   di   una
ablazione amministrativa del ricavato  che,  pur  giustificata  dalla
finalita'  della  prevenzione,   risulti   priva   della   necessaria
previsione legislativa e, dunque, in contrasto  con  le  disposizioni
costituzionali e convenzionali (artt. 41 e 42 Cost. e  art.  1  Prot.
addiz. CEDU; ancora sentenza n. 24 del 2019). 
    Del pari, in applicazione del  principio  di  legalita'  posto  a
presidio dell'attivita'  dell'amministrazione  (sentenze  n.  12  del
2019, n. 115 del 2011 e,  per  lo  specifico  caso  dell'informazione
antimafia, n. 57  del  2020),  si  evita  di  estendere  gli  effetti
restrittivi  dell'interdittiva   oltre   ai   casi   legislativamente
previsti: il pagamento del valore nei  limiti  dell'utilita'  per  la
prestazione contrattualmente resa e' erogazione pubblica sottratta al
divieto sancito dall'art. 94,  comma  1,  cod.  antimafia  in  quanto
espressamente fatta salva dagli artt. 92, comma 3,  e  94,  comma  2,
cod. antimafia (Consiglio di Stato, sentenze n. 14 del 2021 e  n.  23
del 2020). 
    5.2.2.- Sotto diverso angolo visuale, l'interpretazione  adottata
consente di superare ogni dubbio di violazione dell'art. 23 Cost. 
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la riserva di
legge  relativa  posta  da  tale   disposizione   costituzionale   e'
rispettata quando la fonte primaria  stabilisce  sufficienti  criteri
direttivi  e  linee  generali   di   disciplina,   richiedendosi   in
particolare che la concreta entita'  della  prestazione  imposta  sia
desumibile chiaramente dai pertinenti precetti legislativi  (sentenze
n. 139 del 2019, n. 69 del 2017, n. 83 del 2015 e n. 115 del 2011). 
    Orbene, sulla base  della  adottata  interpretazione,  il  facere
richiesto all'impresa non trova imposizione pubblicistica, avendo  la
sua fonte nell'originario contratto, e inoltre questo,  come  il  suo
"valore", sono determinati  da  norma  primaria  nel  rispetto  della
riserva di legge in parola. 
    5.2.3.- Ancora, il riconoscimento all'imprenditore del  compenso,
pur ridotto, evita la configurabilita' di irragionevoli  compressioni
della liberta' di impresa e del diritto di proprieta'. 
    Costante e', in proposito,  la  giurisprudenza  di  questa  Corte
nell'affermare  che  la  restrizione  della  liberta'  di  iniziativa
economica e' giustificata dall'utilita' sociale, ma  alla  condizione
che gli interventi del legislatore non la perseguano mediante «misure
palesemente incongrue» (ex plurimis, sentenze n. 150  e  n.  113  del
2022, n. 218 del 2021, n. 85 del 2020)  e  che  sussista  un  «giusto
equilibrio» tra le esigenze dell'interesse generale della comunita' e
l'ingerenza nel diritto individuale al godimento dei beni (da ultimo,
sentenza n. 213 del 2021). 
    Si e' visto che la misura  del  commissariamento  e'  eccezionale
deroga  all'incapacita'  dell'impresa  interdetta   ad   intrattenere
rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione per ragioni  di
interesse generale: essa e' prevista per assicurare il  completamento
di prestazioni contrattuali di peculiare rilievo pubblicistico ed  e'
bilanciata dall'intervento  (anche  solo  parziale)  sull'assetto  di
governo dell'impresa ad argine del  rischio  di  infiltrazione  della
criminalita' organizzata nella gestione del contratto. 
    Orbene,  con   la   determinazione   prefettizia   e'   richiesta
all'imprenditore l'esecuzione di attivita' gravose  e  protratte  nel
tempo, con distoglimento dei relativi mezzi aziendali a lui necessari
per intraprendere o svolgere attivita' imprenditoriali nei  confronti
dei privati di cui, nonostante l'interdizione, rimane  capace  o  che
potrebbe altrimenti mettere a frutto: l'acquisizione  pubblica  delle
«utilita'» prodotte con il compendio  aziendale  e  sotto  "controllo
pubblico", senza alcun compenso  -  cui  si  perverrebbe  sulla  base
dell'interpretazione prospettata dal rimettente  -  darebbe  luogo  a
misura che, aggiungendosi agli effetti restrittivi dell'interdittiva,
andrebbe  a  comprimere  in  termini  sproporzionati  il  diritto  di
proprieta' e la liberta' di iniziativa economica. 
    Il congelamento degli utili per il tempo di durata  della  misura
commissariale e sino al  successivo  momento  della  definizione  del
giudizio amministrativo,  del  resto,  costituisce  gia'  sufficiente
garanzia per l'interesse pubblico, in quanto  assicura  sia  l'esatto
adempimento sia la realizzabilita' delle misure dei sequestri e delle
confische, anche solo della prevenzione, laddove  ne  ricorressero  i
relativi presupposti. 
    6.- In conclusione, le disposizioni censurate si prestano  a  una
interpretazione diversa da quella posta a base dei prospettati  dubbi
di legittimita' costituzionale e conforme a Costituzione; da  qui  la
non fondatezza, nei sensi indicati, delle questioni sollevate. 
      
 
                          per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    dichiara non  fondate,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  le
questioni  di  legittimita'  costituzionale  del  combinato  disposto
dell'art. 32, commi 7 e 10, del decreto-legge 24 giugno 2014,  n.  90
(Misure   urgenti   per   la   semplificazione   e   la   trasparenza
amministrativa  e  per   l'efficienza   degli   uffici   giudiziari),
convertito, con modificazioni, nella legge 11 agosto  2014,  n.  114,
sollevate,  in  riferimento  agli  artt.  3,  23,  41  e   42   della
Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale  per  il  Lazio,
sezione prima ter, con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 22 marzo 2023. 
 
                                F.to: 
                     Silvana SCIARRA, Presidente 
                  Filippo PATRONI GRIFFI, Redattore 
                      Valeria EMMA, Cancelliere 
 
    Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2023. 
 
                           Il Cancelliere 
                         F.to: Valeria EMMA