N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 2023
Ordinanza del 16 aprile 2023 della Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile promosso da Romagnuolo Cira contro BALGA srl. Lavoro - Licenziamento collettivo - Violazione dei criteri di scelta - Disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti - Applicazione, ai rapporti di lavoro costituiti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015, del regime previsto dall'art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015. - Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183), artt. 10 e 3, comma 1, nella versione antecedente alle modifiche apportate dall'art. 3, comma 1, del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87 (Disposizioni urgenti per la dignita' dei lavoratori e delle imprese), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018, n. 96.(GU n.22 del 31-5-2023 )
LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza I Unita' Composta dai magistrati: dott.ssa Mariavittoria Papa - presidente; dott.ssa Giovanna Guarino - consigliere; dott. Carlo de Marchis Gomez - consigliere rel. riunita in Camera di consiglio ha pronunciato all'udienza del 22 marzo 2023 la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale nella causa civile iscritta al n. 2784 r.g. sez. lav. dell'anno 2018 vertente tra Romagnuolo Cira, rappresentata e difesa dall'avv. Arcangelo Zampella - appellante; e Balga S.r.l. in persona del l.rpt., rappresentato e difeso dall'avv. Domenico Puca - appellata. Antefatto processuale e svolgimento del processo 1. Con ricorso ex art. 414 del codice di procedura civile depositato nella cancelleria del Tribunale di Napoli in data 28 gennaio 2017 la signora Cira Romagnuolo conveniva in giudizio la Balga S.r.l al fine di richiedere la reintegra nel posto di lavoro e comunque il risarcimento del danno, previo accertamento della invalidita' del licenziamento intimatole a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo. 2. La signora Romagnuolo, esponeva di essere stata assunta dalla Balga S.r.l in data 1° maggio 2016 in forza della clausola sociale prevista nell'art. 6 CCNL FISE Igiene ambientale in occasione del subentro della societa' convenuta nell'appalto nel quale era in precedenza impiegata e di essere stata poco dopo licenziata a conclusione di una procedura di licenziamento collettivo avviata ex art. 4 e 24 comma 1 della legge 23 luglio 1991, n. 223 per «riduzione del personale». 3. La signora Romagnuolo censurava il licenziamento sotto plurimi motivi; la lavoratrice esponeva in particolare la violazione della procedura e comunque una non corretta applicazione dei criteri di scelta del personale in esubero riferita al complesso aziendale. 4. La ricorrente veniva infatti individuata quale lavoratrice in esubero a conclusione di una valutazione comparativa limitata al solo cantiere nel quale era impiegata che non aveva coinvolto nella prescritta comparazione la generalita' dei lavoratori che prestavano attivita' lavorativa in mansioni omogenee nel complesso aziendale. 5. Radicatosi il contraddittorio, la Balga S.r.l si opponeva all'accoglimento del ricorso. 6. Il Tribunale, ritenuta la causa documentalmente istruita, con sentenza n. 1110/2018 rigettava il ricorso, per genericita' ed infondatezza dei motivi, con integrale compensazione delle spese. 7. La signora Romagnuolo ha sottoposto a gravame la sentenza richiamando le doglianze formulate nel ricorso introduttivo di lite. 8. La Balga S.r.l, nel costituirsi in giudizio, si e' opposta alla riforma della decisione e ha ribadito che in ogni caso il sistema sanzionatorio applicabile al rapporto di lavoro della signora Romagnuolo non consente di riconoscere la tutela reale richiesta dalla lavoratrice alla quale puo' essere applicata esclusivamente la tutela indennitaria nei limiti stabiliti dall'art. 3, comma 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23. 9. La Corte, con due distinte ordinanze emesse in pari data il 18 novembre 2018, ritenuta sussistere una doppia pregiudizialita', sospendeva il giudizio di appello e rimetteva copia del fascicolo processuale sia alla cancelleria della Corte di giustizia che alla cancelleria della Corte costituzionale. 10. Ai sensi dell'art. 267 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea la Corte di appello sottoponeva alla Corte di giustizia quattro quesiti pregiudiziali relativi alla direttiva n. 98/59/CE ritenuti rilevanti per la definizione della controversia e contestualmente sottoponeva alla Corte costituzionale alcuni connessi profili di costituzionalita' degli articoli 1, 3 e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 e dell'art 1, comma 7 della legge 10 dicembre 2014, n. 183. 11. La Corte di giustizia con sentenza del 4 giugno 2020 C-32/20 dichiarava manifestamente irricevibile la questione sottopostale per estraneita' del quesito riguardante le conseguenze dell'atto di recesso alla direttiva n. 98/59/CE. 12. La Corte costituzionale con successiva sentenza del 26 novembre 2020, n. 254 dichiarava a sua volta inammissibili le questioni di costituzionalita' sollevate. 13. Con la sentenza di inammissibilita' n. 254/2020 la Corte riteneva infatti che l'ordinanza di remissione non aveva adeguatamente illustrato il tipo di vizio invalidante applicabile alla fattispecie rimessa al suo prudente apprezzamento. 14. Stante i diversi regimi sanzionatori la Corte costituzionale riteneva in particolare che: «l'applicazione della disciplina sanzionatoria, che il giudice a quo sospetta di incostituzionalita', richiede preventivamente l'individuazione dei vizi del licenziamento collettivo. Tale presupposto riveste un rilievo cruciale alla luce sia dell'alternativa che la parte delinea tra inosservanza dei criteri di scelta e inosservanza della procedura, sia dell'intervento di una pronuncia di primo grado che ha escluso ogni vizio dell'impugnato licenziamento collettivo.» 15. La sentenza della Corte costituzionale evidenziava, altresi', che concorreva ai fini del giudizio di inammissibilita' della questione prospettata anche l'incertezza del petitum, ovverosia l'incertezza del tipo di intervento richiesto, atteso che non appariva chiaro alla Corte costituzionale se il collegio intendeva formulare una richiesta di caducazione dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/2015 nella parte in cui sanziona la violazione dei criteri di scelta ovvero «una pronuncia sostitutiva, che allinei il contenuto precettivo di tale previsione alle soluzioni dettate dall'art. 5, comma 3, terzo periodo, della legge n. 223 del 1991, come ridefinito dall'art. 1, comma 46 della legge n. 92 del 2012». fermo restando l'alternativa, eminentemente discrezionale del legislatore, tra la misura reintegratoria e la scelta della tutela indennitaria. 16. Riassunto ritualmente il giudizio, la Corte di appello, all'udienza di discussione, con sentenza parziale del 28 novembre 2022, n. 2784 dichiarava l'illegittimita' del licenziamento intimato alla signora Romagnuolo per violazione dei criteri di scelta non essendo state esaminate le posizioni dei lavoratori addetti a mansioni omogenee nell'ambito dell'intero complesso aziendale. 17. Con la sentenza parziale la Corte rilevava l'illegittimita' della valutazione dell'esubero limitata al solo cantiere nel quale era addetta la signora Romagnuolo. La Balga S.r.l, che risultava avere un organico complessivo di 9 impiegati, 36 operai e un dirigente, non aveva, infatti, fornito alcuna ragione a fondamento della decisione di limitare il bacino di scelta del personale in esubero, applicando i criteri selettivi, al solo cantiere di Lacco Ameno nel quale risultava impiegata la signora Romagnuolo, addetta a mansioni del tutto omogenee a quelle degli altri impiegati della Balga S.r.l, pacificamente esclusi dalla comparazione. 18. L'omessa valutazione della ricorrente con gli altri impiegati addetti a mansioni fungibili determinava, pertanto, il Collegio ad affermare, in continuita' con la giurisprudenza della Suprema Corte, l'illegittimita' del recesso per violazione dei criteri di scelta rimandando ad altra udienza la decisione in ordine alle conseguenze sanzionatorie. 19. Alla nuova udienza di discussione il Collegio riservava la decisione e all'esito della Camera di consiglio riteneva di dovere nuovamente di investire la Corte costituzionale tenendo conto dei chiarimenti sollecitati. Rilevanza della questione di costituzionalita' sottoposta al vaglio della Corte 20. L'ambito del giudizio che residua all'esito della sentenza parziale che ha accertato l'invalidita' del licenziamento intimato all'appellante e' delimitato al solo regime sanzionatorio applicabile per la violazione dei criteri di scelta di cui all'art. 5, primo comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223. 21. Il Collegio deve infatti esaminare esclusivamente la conseguenza sanzionatoria di un licenziamento collettivo intimato nel 2016 nei confronti di una lavoratrice, assunta dopo il 7 marzo 2015, ritenuto illegittimo per violazione dei criteri di scelta, rispetto al quale trova inequivoca applicazione il regime indennitario stabilito dall'art. 3, comma 1 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, richiamato dall'art. 10 del medesimo decreto, nella versione ante novella del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87. 22. Il combinato disposto sopra richiamato impone di applicare un regime sanzionatorio meramente indennitario che non distingue il motivo/tipo di invalidita' che caratterizza il recesso intimato in forma scritta a conclusione della procedura di licenziamento collettivo. Il secondo alinea dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15, applicabile ratione temporis, stabilisce, infatti, un regime uniforme atteso che: «in caso di violazione delle procedure richiamate all'art. 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica il regime di cui all'art. 3, comma 1.» 23. L'art. 3, comma 1 del decreto legislativo n. 23/15, nel testo vigente alla data del licenziamento ed applicabile alla signora Romagnuolo, ma non a tutti i lavoratori sottoposti alla medesima procedura comparativa, prevede, pertanto una unica misura afflittiva anelastica dal momento che stabilisce, senza alcuna modulazione e/o distinzione, ferma la risoluzione del rapporto, una condanna del datore di lavoro al solo pagamento di una indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale «(..) in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilita'» (limiti in seguito ampliati rispettivamente in 6 e 36 dal decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2018, n. 96). 24. L'attuale assetto normativo obbliga pertanto questa Corte una volta accertata l'avvenuta violazione dei criteri di scelta ad applicare una sanzione di tipo meramente economico costretta - rectius modulata - entro tali ristretti limiti, considerati dal Collegio inadeguati anche alla luce della assenza di prova di un aliunde perceptum dalle risultanze processuali. 25. Il regime sanzionatorio previsto per i rapporti di lavoro costituiti prima del marzo 2015 coinvolti nella medesima procedura di licenziamento prevede, viceversa, una tutela diversificata a seconda del vizio che nel caso di violazione dei criteri di scelta assicura una misura afflittiva di gran lunga piu' efficace di tipo ripristinatorio. 26. Il regime sanzionatorio che questa Corte e', pertanto, tenuta in concreto ad applicare deroga, infatti, - rectius si discosta in modo rilevante - dalla «sanzione tipo» prevista dall'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n. 223 che stabilisce in termini generali che «in caso di violazione dei criteri di scelta previsti dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo art. 18». 27. In sostanza, la misura afflittiva prevista per la fattispecie rimessa alla valutazione di questa Corte e' manifestamente disomogenea sia rispetto a quella ripristinatoria, stabilita per il medesimo tipo di invalidita' del recesso dalla legge che disciplina, per la generalita' dei lavoratori, il licenziamento collettivo, che trova applicazione residuale a rapporti di lavoro costituiti ante marzo 2015, ed e', al contempo, significativamente inferiore rispetto a quella applicabile ai rapporti costituiti dopo il marzo 2015, ma risolti dopo la novella del 2018 (decreto-legge n. 87/2018 convertito in legge n. 96/2018), che ha esteso fino a 36 mensilita' l'indennizzo di cui all'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15. 28. Alla luce del descritto quadro normativo, succedutosi in meno di tre anni, la tutela applicabile nei confronti di rapporti di lavoro risolti in violazione dei criteri di scelta a conclusione di una medesima procedura di licenziamento collettivo, differisce, pertanto, sostanzialmente a seconda della data di costituzione del rapporto e della data di intimazione del recesso. 29. Il diversificato regime di tutela, frutto del richiamo dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 al modello indennitario forfettizzato vincolato ad un tetto massimo stabilito dall'art. 3, primo comma, che deve essere applicato al caso in esame e' suscettibile di essere concretamente modificato da una pronuncia della Corte costituzionale che accerti le prospettate censure di costituzionalita' di eccesso di delega, ovvero di violazione dei parametri della stessa e comunque l'irragionevolezza del sistema sanzionatorio applicabile. 30. L'eventuale giudizio di non aderenza della rigida tutela squisitamente indennitaria con i parametri costituzionali e le norme interposte richiamate nell'ordinanza determina, indipendentemente dal tipo di intervento correttivo, una modifica del regime sanzionatorio dell'art. 3, primo comma che incide giocoforza sul tipo di misura sanzionatoria da applicare nel giudizio a quo. 31. Le censure di costituzionalita' che investono le norme che individuano il regime sanzionatorio del licenziamento collettivo oggetto dell'ordinanza di rinvio sono pertanto - ad avviso del Collegio - direttamente rilevanti ai fini della scelta e/o della modulazione del tipo di tutela che deve essere applicata nel giudizio a quo a seguito della sentenza parziale dichiarativa della illegittimita' del licenziamento per violazione dei criteri di scelta la cui sanzione e' - come osservato - sostanzialmente difforme da quella coesistente, prevista dall'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n. 223 per il medesimo vizio. Esplicitazione delle questioni di costituzionalita' sottoposte al vaglio della Corte Sulla non manifesta infondatezza della violazione dell'art. 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso che nel combinato disposto con l'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15, con riferimento agli articoli 3, 10, 35, 76, 117, primo comma della Costituzione, nella parte in cui ha introdotto in assenza di una specifica attribuzione normativa e comunque in violazione dei principi e dei criteri direttivi della legge delega, una disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero nell'ambito di un licenziamento collettivo, statuendo in contrasto con l'art. 24 della Carta sociale europea. 32. Il sistema sanzionatorio che deve trovare applicazione alla fattispecie rimessa al vaglio di questa Corte e' il frutto del combinato disposto dell'art. 10 e dell'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15 e discende dalla scelta del legislatore delegato di regolare anche il sistema sanzionatorio del licenziamento collettivo. 33. Per effetto della sentenza parziale che ha accertato l'illegittimita' del licenziamento in ragione di una errata applicazione dei criteri di scelta che hanno determinato la illegittima risoluzione del rapporto di lavoro della signora Romagnuolo, si impone l'applicazione della previsione dell'art. 3, primo comma risultante dalla sentenza n. 194/2018 della Corte costituzionale per effetto del rinvio disposto dall'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15. 34. L'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 introduce inequivocabilmente tramite la norma di disciplina per i rapporti costituiti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 un unico rigido sistema indennitario, alternativo a quello previsto nella legge 23 luglio 1991, n. 223, attuativa della direttiva n. 98/59/CE. 35. La modifica del regime sanzionatorio dei licenziamenti collettivi appare, ad avviso di questo Collegio, un intervento eccedente l'ambito della delega normativa in forza di una interpretazione testuale dell'art. 1, settimo comma della legge n. 183/14, di una analisi dei lavori preparatori e, da ultimo, in ragione di una interpretazione sistematica, costituzionalmente orientata. 36. L'art. 1, settimo comma della legge n. 183/2014 ha, infatti, demandato al Governo di adottare una disciplina che preveda tutele crescenti con l'anzianita' che escluda «per i licenziamenti economici la possibilita' della reintegrazione del lavoratore». 37. Orbene ritiene questo Collegio che il licenziamento collettivo sia escluso dalla delega legislativa in quanto il termine utilizzato nell'art. 1, settimo comma della legge 10 dicembre 2014, n. 183 non consente di ritenere ricompresa nella devoluzione della potesta' normativa anche la rimodulazione della relativa disciplina sanzionatoria che costituisce parte integrante di un corpo normativo unitario e «completo» che, tra l'altro, per la sua natura solidaristica implica una necessaria omogeneita' del sistema sanzionatorio. 38. A conferma della unitarieta' del sistema questa Corte rileva che gli interventi correttivi del sistema sanzionatorio che operano sul licenziamento collettivo sono stati inseriti dal legislatore all'interno della legge n. 223/91 sebbene scaturiti da riforme di istituti contenute in autonomi provvedimenti (cfr. art. 1, comma quarantasei della legge 28 giugno 2012, n. 91, e, da ultimo, il decreto-legge 25 maggio 2021, n. 73, convertito con modificazioni dalla legge 23 luglio 2021, n. 106). 39. Concorrono inoltre a confermare l'opzione interpretativa accolta anche i lavori parlamentari che assumono una particolare rilevanza in sede di interpretazione del «perimetro» di una delega della potesta' normativa. 40. La Commissione lavoro della Camera dei deputati, in occasione della trasmissione da parte del Governo della bozza del decreto legislativo, ha in effetti rilevato che la «esclusione» per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tutele crescenti, dall'applicazione dell'istituto della reintegra doveva intendersi riferita alle sole fattispecie relative a licenziamenti individuali, non essendo in discussione la disciplina dei licenziamenti collettivi di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223» (cfr. sessione della Commissione lavoro della Camera dei deputati del 17 febbraio 2015). 41. Analoghe osservazioni sono state formulate dalla Commissione lavoro del Senato della Repubblica, in occasione della disamina della bozza del decreto legislativo sottoposta dal Governo (cfr. sessione dell'11 febbraio 2015 della Commissione lavoro previdenza sociale, Senato della Repubblica). L'esclusione della materia dei licenziamenti collettivi dalla delega e comunque l'inapplicabilita' della sanzione indennitaria a tali licenziamenti viene, quindi, piu' volte affermata dall'organo titolare del potere delegante, che ha formulato sul punto nei diversi passaggi parlamentari del decreto legislativo puntuali rilievi (rimasti inattuati) in sede di disamina dello schema legislativo. 42. L'opzione interpretativa minimale trova pertanto conferma sia nel dato testuale che nei lavori preparatori che la Corte costituzionale ha ritenuto nella sua giurisprudenza rilevanti ai fini della individuazione dell'ambito della potesta' normativa devoluta (cfr. ex multis Corte costituzionale 28 luglio 2004, n. 280). 43. La scelta di modificare l'apparato sanzionatorio introducendo nella procedura comparativa una diversificata forma di tutela, dotata di una significativa minore capacita' dissuasiva rispetto a quella contenuta all'interno di una legge attuativa di una direttiva dell'Unione, avrebbe inoltre imposto - ad avviso del Collegio - una scelta lessicale inequivoca ed esplicita ove si consideri che la speciale procedura di modifica di atti attuativi dell'Unione europea e' regolata dall'art. 34 della legge n. 234/12. 44. Il termine «licenziamento economico» non consente quindi di estendere - ad avviso della remittente - la potesta' normativa delegata al licenziamento collettivo in quanto chiaramente incentrata a normare forme di recesso individuale, nel caso, per motivo oggettivo (Cassazione, 19 dicembre 2013, n. 28245). 45. La questione assume all'evidenza una diretta rilevanza nel giudizio a quo in quanto la caducazione dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 determinerebbe l'applicazione del regime generale dell'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n. 223 con conseguente riconoscimento nel caso in esame della tutela reintegratoria attenuata prevista per la violazione dei criteri di scelta dalla legge regolatrice del licenziamento collettivo. 46. Si ritiene, pertanto, rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 con riferimento agli articoli 3, 4 e 76 della Costituzione in ragione dell'eccesso di delega che ha determinato un intervento normativo sul sistema sanzionatorio anche rispetto ai licenziamenti collettivi. 47. Da ultimo si prospetta un ulteriore profilo di eccesso dalla delega, che si pone in stretta connessione con le censure sviluppate nei paragrafi successivi, in ragione dello scostamento del sistema sanzionatorio indennitario forfetizzato e rigido, introdotto dal combinato disposto dell'art. 10 e 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15, dai principi e dai criteri direttivi imposti dall'art. 1, settimo comma della legge n. 183/14. 48. L'assetto normativo sopra descritto determina, ove ritenuta ricompresa nella legge delega anche una rivisitazione del sistema sanzionatorio dei licenziamenti collettivi, una analoga questione di costituzionalita' per lo scostamento in concreto emerso della potesta' delegata rispetto ai principi e ai criteri direttivi. 49. La potesta' normativa delegata doveva esercitarsi «nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in coerenza con la regolazione dell'Unione europea e le convenzioni internazionali.» (art. 1, settimo comma legge n. 183/14). 50. Sebbene il regime sanzionatorio del licenziamento esuli dalla attuale regolamentazione dell'Unione europea (cfr. Corte giustizia, 4 giugno 2020 C-32/20), la legge delega ha comunque imposto al legislatore delegato il rispetto dei principi e dei diritti sanciti dai trattati internazionali, dalle Carte sovraordinate o interposte, e nello specifico, della Carta sociale europea il cui art. 24 risulta - ad avviso di questo Collegio - del tutto disatteso dal legislatore delegato. 51. Il nuovo regime sanzionatorio che introduce per la violazione dei criteri di scelta nell'ambito di un licenziamento collettivo una misura palesemente meno dissuasiva, forfettizzata in un plafond che non consente una personalizzazione del danno subito, diversamente da quella prevista per analoga violazione per altri lavoratori, non presenta alcuna «coerenza» con l'art. 24 della Carta sociale europea. 52. Per effetto dell'intervento del legislatore delegato il Collegio e' tenuto a condannare la societa' appellata esclusivamente al pagamento di un'indennita' non assoggettata a contribuzione previdenziale ricompresa tra quattro e ventiquattro mensilita' (estesa in seguito rispettivamente in 6 e 36 mensilita'). 53. La sanzione applicabile assicura un livello di tutela manifestamente inferiore per capacita' deterrente ed efficacia ripristinatoria del bene giuridico leso rispetto a quella prevista per altri lavoratori coinvolti nella stessa procedura di licenziamento per i quali, in ragione della data di assunzione, e' previsto il sistema sanzionatorio reintegratorio dell'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n. 223. 54. L'inadeguatezza della misura afflittiva, che si riflette anche nel futuro trattamento di quiescenza dell'appellante, concretamente penalizzato dal mancato versamento contributivo, in se' disarmonica con le previsioni dell'art. 24 della Carta sociale europea risulta inoltre amplificata anche alla luce dell'evoluzione del sistema multilivello e dei successivi interventi della Corte costituzionale. 55. Nelle more del giudizio nel marzo 2020 e' infatti intervenuta la risoluzione del Comitato dei Ministri prevista dal Protocollo del 1995 che, preso atto dell'accoglimento da parte del Comitato europeo dei diritti sociali del reclamo collettivo n. 158/2015 avverso il sistema sanzionatorio introdotto dal decreto legislativo n. 23/15, ritenuto lesivo dell'art. 24 della Carta sociale europea, ha invitato l'Italia ad adeguare il proprio ordinamento in particolare eliminando il tetto al sistema indennitario. 56. Si legge, infatti, nel paragrafo 103 della decisione del Comitato economico e sociale dell'11 settembre 2019, resa pubblicata l'11 febbraio 2020 che i rimedi giurisdizionali sono privi di «(..) effetto dissuasivo nei confronti del licenziamento illegittimo, in quanto, (..) la durata del procedimento va a vantaggio dei datori di lavoro, poiche' l'indennizzo in questione non puo' superare gli importi prestabiliti (limitati a 12, 24 o 36 volte la retribuzione mensile di riferimento a seconda dei casi, e 6 volte la retribuzione mensile di riferimento per le piccole imprese) e quindi l'indennizzo diventa nello scorrere del tempo inadeguato al danno subito (..).» 57. Se la sola decisione del Comitato europeo dei diritti sociali che accerta la violazione dell'art. 24 della Carta sociale europea costituisce un parere autorevole, ancorche' non cogente ne' dotato di natura giurisdizionale (cfr. Corte costituzionale n. 194/2018, peraltro con richiamo riferito ad altro sistema normativo), la risoluzione del Comitato europeo dei diritti sociali dell'11 marzo 2020 valutata a maggioranza dal Consiglio dei ministri costituisce, viceversa, un atto previsto dal Protocollo del 1997 al quale ha aderito l'Italia che - ad avviso del Collegio - produce effetti giuridici nell'ordinamento nazionale. 58. La risoluzione prevista nel trattato, adottata a maggioranza dal Consiglio dei ministri, con la quale espressamente si invitano le autorita' italiane « (..) a' faire etat, dans leur prochain rapport relatif aux dispositions pertinentes de la Charte, de tout nouvel element concernant leur mise en oeuvre et notamment de toute mesure prise pour mettre la situation en conformite' avec la Chart» (ovverosia a «(..) a riferire, nella loro prossima relazione sulle pertinenti disposizioni della Carta, su qualsiasi nuovo elemento riguardante la loro attuazione e in particolare su eventuali misure adottate per rendere la situazione conforme alla Carta». esplicita «l'incoerenza» dell'intervento del legislatore delegato con l'art. 24 della Carta sociale e al contempo genera una doppia obbligazione nei confronti del Collegio. 59. Il vincolo che scaturisce dall'adesione al trattato e dalla regola consuetudinaria pacta sunt servanda impone da un lato di astenersi dall'applicare una misura ritenuta in contrasto con l'art. 24 della Carta sociale europea e, dall'altro, un obbligo positivo di adoperarsi per assicurare la aderenza dell'ordinamento agli obblighi del Trattato che discendono dallo «snodo costituzionale» rappresentato dall'art. 10, dall'art. 35, secondo comma e dall'art. 117 della Costituzione. 60. Il vincolo che discende dalla Carta sociale europea investe, infatti, tutte le autorita' dello Stato e si traduce nell' imporre nel contesto giudiziario e in particolare a questa Corte, una vincolata interpretazione conforme, ovvero una determinata azione (quale l'attivazione del controllo di costituzionalita' dello status quo normativo) in una controversia tra privati nella quale il diritto fondamentale, tutelato dal trattato, non risulti adeguatamente garantito nell'ordinamento interno in ragione del mancato esercizio del cd. devoir de intervention da parte dell'apparato statale destinatario della risoluzione. 61. L'inerzia del legislatore, peraltro gia' recentemente stigmatizzata dalla Corte costituzionale, sebbene con riferimento alla normativa dei licenziamenti delle piccole imprese, con la decisione 22 luglio 2022, n. 183, impone, all'organo giurisdizionale, dotato di un potere di promozione di meccanismi di verifica, di attivarsi al fine di sollecitare la verifica della legittimita' di lacune normative o l'assetto normativo incompatibile con i trattati. 62. Il plafond, nell'impedire un pieno ristoro dell'effettivo pregiudizio subito introduce, pertanto, oltre ad una irragionevole disparita' rispetto ad analoghe situazioni, anche una disarmonia palese con gli obblighi scaturenti dalla ratifica della Carta sociale europea richiamati nella legge delega, in quanto impedisce la personalizzazione del pregiudizio subito dalla perdita del rapporto, e, pertanto, pone l'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15 in oggettivo contrasto con l'art. 24 della Carta sociale europea che assume una valenza preminente in ragione dello snodo costituzionale rappresentato dall'art. 3, 10, 35, 76 e 117 della Costituzione. 63. Ritiene, pertanto, in conclusione il Collegio che l'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 si ponga in contrasto con gli articoli 3, 4, 10, 35, 76 e 117 della Costituzione in ragione dell'eccesso di delega che ha determinato un intervento normativo, in assenza di attribuzione della relativa potesta', sul sistema sanzionatorio anche rispetto ai licenziamenti collettivi e, in ogni caso, che l'art. 3, primo comma del medesimo decreto determini un contrasto con i principi e i criteri direttivi della legge delega nella parte in cui introduce, in disarmonia con l'art. 24 della Carta sociale europea, per il licenziamento intimato in violazione dei criteri di scelta un tetto al licenziamento che, nella sua rigidita' stabilita ex ante, concretamente impedisce una personalizzazione delle conseguenze derivanti dalla perdita del rapporto di lavoro. Sulla non manifesta infondatezza della violazione dell'art. 3, primo comma del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con riferimento agli articoli 3, 4, 24, 35, 111 della Costituzione nella parte in cui, irragionevolmente, dispone per la stessa violazione dei criteri di scelta, avvenuta contestualmente in una medesima procedura di licenziamento collettivo tra omogenei rapporti di lavoro per i soli lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente al 7 marzo 2015, diversamente da quelli assunti precedentemente, una sanzione inefficace rispetto al danno subito a seguito della illegittima perdita del posto di lavoro, priva di efficacia deterrente e inidonea ad assicurare un ristoro personalizzato ed effettivo del danno. 64. All'interno della medesima procedura di licenziamento collettivo sottoposta al vaglio del Collegio coesistono rapporti di lavoro, che pur dovendo essere assoggettati contestualmente alla medesima analisi comparativa che doveva estendersi all'intero complesso aziendale, sono caratterizzati da una significativa diversa «resistenza» rispetto a una scelta arbitraria o illegittima e comunque lesiva degli oggettivi criteri di scelta. 65. La medesima errata applicazione dei criteri di scelta viene sanzionata con la misura reintegratoria del rapporto di lavoro, interamente ripristinatoria del rapporto previdenziale, per i lavoratori assunti a tempo indeterminato fino al 7 marzo 2015 ed esclusivamente con una misura forfettaria, basata su una nozione di retribuzione, peraltro non onnicomprensiva, del tutto inadeguata ad assicurare il ristoro effettivo del danno subito anche sotto il profilo previdenziale, per i lavoratori assunti successivamente, come la signora Romagnuolo. 66. La coesistenza di regimi sanzionatori, del tutto disomogenei, produce - a giudizio della Corte remittente - una irragionevole disparita' di trattamento rispetto a una identica violazione suscettibile di manifestarsi in rapporti del tutto similari all'interno di una comparazione simultanea nella quale applicare identici criteri. 67. La capacita' dissuasiva della sanzione generata dalla disparita' di tutela, sacrifica- a giudizio della Corte remittente - in modo irragionevole l'esigenza di una comparazione imparziale ed oggettiva a danno dei lavoratori esposti ad una minore tutela per il solo fatto di risultare assunti a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015. 68. Il rapido susseguirsi degli intervenenti legislativi ha determinato una irragionevole diversita' di livelli di tutela che ha persino indotto il legislatore a rivedere a stretto giro i parametri indennitari incrementandoli con il decreto-legge n. 87/2018, peraltro, non applicabili ratione temporis al caso in esame. 69. La sanzione che questa Corte deve applicare al rapporto di lavoro illegittimamente risolto per la violazione dei criteri di scelta risulta, pertanto, oltre che inadeguata rispetto ai parametri dell'art. 24 della Carta sociale europea, irragionevolmente difforme rispetto a quella applicata ai medesimi rapporti costituiti prima del 7 marzo 2015 che dovevano essere esaminati nella stessa procedura. 70. Questo Collegio rileva che in presenza di una identica violazione che determina l'illegittima perdita del posto di lavoro, realizzatasi in uno stesso momento, per effetto di una illegittima applicazione di uguali criteri di scelta all'interno di una unitaria procedura, lavoratori appartenenti alla medesima comunita' aziendale potranno concretamente ottenere forme di tutela profondamente difformi per misura di indennizzo, per tipologia di provvedimento e per capacita' dissuasiva. 71. Il trattamento differenziato suscettibile di essere introdotto in ragione del «fluire del tempo» (cfr. Corte costituzionale 194/18), se puo' non determinare una penalizzazione ingiustificata in una prospettiva individualistica, genera, viceversa - ad avviso del Collegio - all'interno di una procedura collettiva comparativa, una irragionevole disparita' di tutela rispetto ad un medesimo bene, tenuto conto dell'esigenza di imparzialita' che connota la scelta e, per tale ragione, diviene un fattore disarmonico e penalizzante che, lungi dal giustificarsi per la modificata condizione temporale, diviene, nel sincronismo procedurale, un elemento persino di condizionamento di una scelta. 72. La «ragione giustificatrice» che ha determinato la Corte ad escludere la violazione del "canone di ragionevolezza" nella nota decisione n. 194/2018, relativa ad un licenziamento individuale: «(..) costituita dallo "scopo", dichiaratamente perseguito dal legislatore, "di rafforzare le opportunita' di ingresso nel mondo del lavoro da parte di coloro che sono in cerca di occupazione" (alinea dell'art. 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014)». si attenua - sino a perdere ogni significato - in una procedura collettiva nella quale la perdita del posto di lavoro deve basarsi esclusivamente su una puntuale applicazione di omogenei criteri di scelta. 73. L'affievolimento radicale della sanzione nella prospettiva di un esubero collettivo non e' neppure ancillare all'esigenza di agevolare l'inserimento al lavoro (finalita' che deve essere perseguita dal legislatore delegato) e semmai amplifica il «rischio» di perdere il lavoro, contraddicendo la necessita' di garantire una scelta basata su parametri selettivi generali oggettivi e astratti di carattere solidaristico imposti dal legislatore o dalle parti sociali. 74. La piu' volte evocata Carta sociale europea, peraltro, non consente ad una legislazione «emergenziale» l'affievolimento ne' un arretramento radicale di diritti sociali fondamentali (cfr. in particolare la decisione del CEDS del 23 maggio 2012 sul merito del reclamo n. 66/2011, Federation generale des employes des compagnies publiques d'electricite' et Confederation des syndicats des fonctionnaires publics c. Grece). 75. L'inadeguata tutela per la errata applicazione dei criteri di scelta produce, in conclusione, un'ingiustificata disparita', ed impone un sacrificio che si ripercuote oltre la vita lavorativa, estendendosi irragionevolmente sulla posizione previdenziale, avente anch'essa una propria dignita' costituzionale (art. 38 della Costituzione). 76. L'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15 introduce pertanto in combinato disposto con l'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 una irragionevole disparita' dell'assetto sanzionatorio previsto per la errata applicazione dei criteri di scelta che penalizza in forma ingiustificata nella procedura comparativa di cui agli articoli 4 e 24 della legge n. 223/91 i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 con un regime di garanzia del posto di lavoro finalizzato ad agevolare il loro inserimento nel mondo del lavoro che si pone in contrasto con gli articoli 3, 4, 24, 35, 111 della Costituzione. Sulla non manifesta infondatezza della illegittimita' dell'art. 3, primo comma del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, con riferimento agli articoli 3, 4, 24, 35, 38, 41, 111 della Costituzione nella parte in cui, ingiustificatamente in presenza di una violazione di parametri selettivi oggettivi e solidaristici introduce una sanzione inefficace che non consente una idonea responsabilizzazione del soggetto inadempiente attraverso una personalizzazione del danno cagionato. 77. La Corte costituzionale ha sollecitato il legislatore ad intervenire evidenziando l'urgenza di una armonizzazione del sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo in una prospettiva che valorizzi una personalizzazione del danno e consenta una concreta efficacia deterrente rispetto a condotte illegittime (cfr. Corte costituzionale 22 luglio 2022, n. 183). 78. L'esigenza di un sistema sanzionatorio che garantisca «un rimedio adeguato, che assicuri un serio ristoro del pregiudizio arrecato dal licenziamento illegittimo e dissuada il datore di lavoro dal reiterare l'illecito, si impone in forza della "speciale tutela riconosciuta al lavoro in tutte le sue forme e applicazioni, in quanto fondamento dell'ordinamento repubblicano (art. 1 della Costituzione)" (sentenza n. 125 del 2022, punto 6 del considerato in diritto)» viene affermato nel punto 4.2. della sentenza da ultimo richiamata. 79. Il sistema indennitario che questo Collegio e' tenuto ad applicare e' ristretto in un ambito inadeguato a ristorare il danno che deriva dalla perdita del rapporto di lavoro che - si ricorda - e' strumentale alla emancipazione sociale (art. 3 e 4 della Costituzione), al sostentamento dell'individuo e della sua famiglia (art. 36 della Costituzione), e al contempo appare inadeguato a garantire la finalita' sociale nella quale viene riconosciuta l'iniziativa privata (art. 41 della Costituzione). 80. La Corte con la sentenza monito sopra richiamata, pur intervenuta in un ambito occupazionale non applicabile alla fattispecie sottoposta al vaglio di questo Collegio, afferma in forma inequivocabile un principio generale del tutto condiviso, ovverosia che: «(..) si deve affermare la necessita' che l'ordinamento si doti di rimedi adeguati per i licenziamenti illegittimi intimati dai datori di lavoro che hanno in comune il dato numerico dei dipendenti.» 81. Il limite della discrezionalita' del legislatore nella modulazione della sanzione non viene in gioco laddove, per effetto di una sentenza caducatoria, come di seguito esposto, si espanda e divenga omogeneo il sistema di tutela rispondente ai parametri di efficacia, effettivita' e personalizzazione del danno gia' previsto per identica violazione in un medesimo contesto occupazionale. 82. Il ripristino del rapporto di lavoro con integrale regolarizzazione della posizione previdenziale effettiva, unitamente ad un ristoro economico riconosciuto dalla collaudata tutela stabilita dall'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91, e' invero impedito esclusivamente dalla norma di rinvio di cui all'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15. 83. Il rinvio al sistema inadeguato per effetto dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 inibisce in conclusione irragionevolmente la oggettiva efficacia dissuasiva della sanzione gia' prevista e vigente nell'ordinamento per la identica violazione. 84. La deroga dei parametri che operano sul piano della tutela, introdotta dall'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 con il richiamo all'art. 3, primo comma del decreto legislativo, incide inevitabilmente anche sul piano sostanziale della selezione dei rapporti, e genera, quindi, una disarmonia ingiustificata che, di fatto, deresponsabilizza l'iniziativa privata rispetto alle conseguenze di un suo atto illegittimo, penalizzando in una contestuale procedura selettiva, per la sola data di costituzione del rapporto, lavoratori in condizioni omogenee. 85. Da ultimo si rileva che, ferma la discrezionalita' del legislatore in ordine ad una tutela risarcitoria e/o ripristinatoria, l'incongruenza del nuovo sistema sanzionatorio per la violazione dei criteri di scelta discende dal pregiudizio subito dal lavoratore illegittimamente licenziato la cui tutela non puo' essere personalizzata. 86. Deve, quindi, ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la violazione dell'art. 10 in se' e in combinato disposto con l'Art. 3, primo comma, del decreto legislativo n. 23/15 con riferimento agli articoli, 3, 4, 24, 35, 38 41, 111 e 117 della Costituzione laddove, in forma irragionevole con riferimento ad una violazione dei criteri di scelta del lavoratore in esubero risultante in una procedura di licenziamento collettivo, deroga ad un sistema sanzionatorio efficace e adeguato, determinando con il sistema forfettizzato di danno, un affievolimento del ristoro del pregiudizio causato, tale da non garantire a mezzo di una adeguata personalizzazione, l'efficacia e l'effettivita' prevista in caso di violazione dei criteri di scelta. Tipo di provvedimento richiesto 87. La Corte costituzionale nel dichiarare l'inammissibilita' del precedente rinvio pregiudiziale nel paragrafo 5.1. della sentenza 254/2020 ha osservato che «non e' dato comprendere se il rimettente prefiguri l'integrale caducazione dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23 del 2015, nella parte in cui sanziona la violazione dei criteri di scelta, o una pronuncia sostitutiva, che allinei il contenuto precettivo di tale previsione alle soluzioni dettate dall'art. 5, comma 3, terzo periodo, della legge n. 223 del 1991, come ridefinito dall'art. 1, comma 46, della legge n. 92 del 2012 (..) Ne' spetta a questa Corte sciogliere l'alternativa descritta, in difetto di indicazioni univoche da parte del rimettente.» 88. Questa Corte, pertanto, alla luce dei rilievi formulati e della disamina delle questioni di costituzionalita' sviluppate nell'ordinanza ritiene che il provvedimento rispettoso delle prerogative del legislatore e maggiormente coerente con le censure prospettate, idoneo a ricondurre ad una armonica unitarieta' il sistema sanzionatorio della procedura comparativa, sia l'adozione di una sentenza di tipo caducatorio dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/10 ovvero, quantomeno, dell'inciso «o dei criteri di scelta di cui all'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991». 89. L'espunzione dall'ordinamento dell'intero art. 10 del decreto legislativo n. 23/10, o anche del solo inciso indicato nel paragrafo che precede, riporterebbe ad unita' il meccanismo sanzionatorio contenuto nel provvedimento normativo attuativo della direttiva n. 98/59/CE, eliminando in radice ogni rilievo di costituzionalita' derivante dalla oggettiva disparita' sanzionatoria. 90. La caducazione della norma di rinvio dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/10 determina, infatti, l'applicazione del regime generale stabilito dall'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91 per la violazione dei criteri di scelta che, non risultando altrimenti derogato, espanderebbe naturalmente i propri effetti nei confronti di tutti i rapporti di lavoro coinvolti nella procedura comparativa, a prescindere dalla data di costituzione. 91. Analoga conseguenza deriverebbe per l'ipotesi di violazione dei criteri di scelta, oggetto del giudizio, laddove l'intervento caducatorio della Corte fosse limitato al solo inciso indicato nel paragrafo 87. 92. In tale caso la violazione dei criteri di scelta sarebbe oggetto di una omogenea tutela al pari di una violazione procedurale che, sia nell'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91 che nell'art. 3,primo comma del decreto legislativo n. 23/15, la cui sanzione rimarrebbe sostanzialmente analoga. 93. L'eliminazione della misura indennitaria vincolata al «tetto» massimo, derivante dalla caducazione totale o anche solo parziale dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15, darebbe luogo ad una omogeneita' normativa che garantisce, infine, in caso di violazione dei criteri di scelta un tendenziale «allineamento» del sistema sanzionatorio del licenziamento illegittimo per errata applicazione dei criteri di scelta con l'art. 24 della Carta sociale europea. 94. Il provvedimento caducatorio, pertanto, oltre a costituire la naturale conseguenza dell'accoglimento della prospettata censura di eccesso di delega o violazione dei principi della stessa, risulta coerente con la dedotta irragionevole disparita' di tutela della norma a presidio della corretta valutazione comparativa, anch'essa evidenziata nell'ordinanza, e assicura, infine, l'immediato adeguamento del sistema al regime delle fonti multilivello richiamate nella legge delega che impongono una tutela tendenzialmente satisfattiva del danno da perdita del lavoro. 95. L'eventuale decisione della Corte che tuttavia ritenesse esente da censure il richiamo dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 impone in tal caso un intervento correttivo della distonia normativa denunciata sull'art. 3, primo comma in quanto idoneo a produrre una irragionevole disparita' di tutela nella procedura comparativa che connota il licenziamento collettivo. 96. L'art. 3 comma 1 del decreto legislativo n. 23/2015, impedendo il ripristino del rapporto lavorativo introduce - come piu' volte evidenziato - per i licenziamenti intimati in violazione dei criteri di scelta nell'ambito di una procedura di licenziamento collettivo, una sanzione forfettaria e limitata nel suo ammontare priva di una capacita' satisfattiva e deterrente concreta e comunque equivalente a quella prevista dall'art. 5 , terzo comma legge n. 223/91. 97. Il richiamo all'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15 risulta nell'attuale formulazione in contrasto «nella parte in cui non prevede» una tutela, che, sebbene non necessariamente implicante un provvedimento di ripristino della funzionalita' del posto di lavoro (cfr. par. 9 Corte costituzionale 8 novembre 2018, n. 194), sia dotata di una pari efficacia a quella prevista per gli altri lavoratori comparati nella stessa procedura dall'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91. 98. La Corte costituzionale nei suoi precedenti interventi ha infatti chiarito che «la qualificazione come "indennita'" dell'obbligazione prevista dall'art. 3, comma 1, del decreto legislativo n. 23 del 2015 non ne esclude la natura di rimedio risarcitorio, a fronte di un licenziamento. (cfr. par. 10 Corte costituzionale n. 194/18). 99. Il «tetto» che limita l'indennizzo, peraltro, non imposto dall'art. 1, settimo comma lettera c) della legge n. 183/14, rende la sanzione per la violazione dei criteri di scelta del tutto indifferente dall'effettivo pregiudizio scaturito e impedisce la personalizzazione del danno (cfr. Corte costituzionale n. 194/2018) che discende dalla errata scelta e rende, percio', «incoerente» il sistema rimediale sia rispetto all'esigenza di una tutela integralmente satisfattiva, sia rispetto alle «convenzioni internazionali» richiamate dalla legge delega. 100. L'impossibilita' di superare in via interpretativa l'evidente divario di tutela impone, ad avviso di questo Collegio, nell'ipotesi alternativa prospettata, di indicare, per la violazione dei criteri di scelta, un provvedimento interpretativo di accoglimento di tipo caducatorio dell'art. 3, primo comma del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 dell'inciso «e non superiore a 24» (oggi 36) in presenza di una violazione dei criteri di scelta di cui all'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n. 223. 101. Tale intervento, limitato per effetto dell'interpretazione alla specifica violazione dei criteri di scelta intervenuti in una procedura di licenziamento collettivo, non incidendo sulla portata generale delle misure sanzionatorie previste per i licenziamenti «individuali». eliminerebbe, ad avviso del Collegio, per i soli licenziamenti «collettivi» e limitatamente al devolutum della Corte remittente, i dedotti contrasti derivanti dalla inadeguatezza della sanzione priva di efficacia deterrente.
P. Q. M. La Corte di appello di Napoli, I unita' sezione lavoro, cosi' provvede Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata il contrasto degli art. 10 e 3, primo comma del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 con gli articoli 3, 4, 10, 24, 35, 38, 41, 76, 111 e 117 della Costituzione per le ragioni di cui all'ordinanza, dispone la sospensione del giudizio Ordina, ai sensi dell'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953, n. 87 la trasmissione degli atti di causa alla cancelleria della Corte costituzionale. Napoli, 22 marzo 2023 Il Presidente: Papa Il giudice ausiliario rel.: de Marchis Gomez