N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 16 aprile 2023

Ordinanza del 16 aprile 2023 della  Corte  d'appello  di  Napoli  nel
procedimento civile promosso da Romagnuolo Cira contro BALGA srl. 
 
Lavoro - Licenziamento collettivo - Violazione dei criteri di  scelta
  - Disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele
  crescenti - Applicazione, ai rapporti di lavoro costituiti a  tempo
  indeterminato dopo il 7 marzo 2015, del regime  previsto  dall'art.
  3, comma 1, del d.lgs. n. 23 del 2015. 
- Decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 (Disposizioni in materia di
  contratto di lavoro a tempo indeterminato a  tutele  crescenti,  in
  attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183),  artt.  10  e  3,
  comma  1,  nella  versione  antecedente  alle  modifiche  apportate
  dall'art. 3, comma 1, del  decreto-legge  12  luglio  2018,  n.  87
  (Disposizioni urgenti  per  la  dignita'  dei  lavoratori  e  delle
  imprese), convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2018,
  n. 96. 
(GU n.22 del 31-5-2023 )
 
                    LA CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 
 
    sezione controversie di lavoro e di previdenza ed assistenza 
 
                              I Unita' 
 
    Composta dai magistrati: 
      dott.ssa Mariavittoria Papa - presidente; 
      dott.ssa Giovanna Guarino - consigliere; 
      dott. Carlo de Marchis Gomez - consigliere rel. 
riunita in Camera di consiglio  ha  pronunciato  all'udienza  del  22
marzo  2023  la  seguente  ordinanza   di   rimessione   alla   Corte
costituzionale nella causa civile iscritta al n. 2784 r.g. sez.  lav.
dell'anno 2018 vertente tra Romagnuolo Cira, rappresentata  e  difesa
dall'avv. Arcangelo Zampella - appellante; 
e  Balga  S.r.l.  in  persona  del  l.rpt.,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Domenico Puca - appellata. 
 
          Antefatto processuale e svolgimento del processo 
 
    1. Con ricorso  ex  art.  414  del  codice  di  procedura  civile
depositato nella cancelleria del  Tribunale  di  Napoli  in  data  28
gennaio 2017 la signora Cira  Romagnuolo  conveniva  in  giudizio  la
Balga S.r.l al fine di richiedere la reintegra nel posto di lavoro  e
comunque  il  risarcimento  del  danno,  previo  accertamento   della
invalidita'  del  licenziamento  intimatole  a  conclusione  di   una
procedura di licenziamento collettivo. 
    2. La signora Romagnuolo, esponeva di essere stata assunta  dalla
Balga S.r.l in data 1° maggio 2016 in forza  della  clausola  sociale
prevista nell'art. 6 CCNL FISE Igiene  ambientale  in  occasione  del
subentro della societa'  convenuta  nell'appalto  nel  quale  era  in
precedenza impiegata  e  di  essere  stata  poco  dopo  licenziata  a
conclusione di una procedura di licenziamento collettivo  avviata  ex
art. 4 e 24 comma 1 della legge 23 luglio 1991, n. 223 per «riduzione
del personale». 
    3. La signora Romagnuolo censurava il licenziamento sotto plurimi
motivi; la lavoratrice esponeva in particolare  la  violazione  della
procedura e comunque una non corretta  applicazione  dei  criteri  di
scelta del personale in esubero riferita al complesso aziendale. 
    4. La ricorrente veniva infatti individuata quale lavoratrice  in
esubero a conclusione di una valutazione comparativa limitata al solo
cantiere nel quale  era  impiegata  che  non  aveva  coinvolto  nella
prescritta comparazione la generalita' dei lavoratori che  prestavano
attivita' lavorativa in mansioni omogenee nel complesso aziendale. 
    5. Radicatosi il contraddittorio,  la  Balga  S.r.l  si  opponeva
all'accoglimento del ricorso. 
    6. Il Tribunale, ritenuta la causa documentalmente istruita,  con
sentenza n.  1110/2018  rigettava  il  ricorso,  per  genericita'  ed
infondatezza dei motivi, con integrale compensazione delle spese. 
    7. La signora Romagnuolo ha  sottoposto  a  gravame  la  sentenza
richiamando le doglianze formulate nel ricorso introduttivo di lite. 
    8. La Balga S.r.l, nel costituirsi in  giudizio,  si  e'  opposta
alla riforma della decisione e  ha  ribadito  che  in  ogni  caso  il
sistema sanzionatorio applicabile al rapporto di lavoro della signora
Romagnuolo non consente di  riconoscere  la  tutela  reale  richiesta
dalla lavoratrice alla quale puo' essere applicata esclusivamente  la
tutela indennitaria nei limiti stabiliti dall'art.  3,  comma  1  del
decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23. 
    9. La Corte, con due distinte ordinanze emesse in pari data il 18
novembre  2018,  ritenuta  sussistere  una  doppia  pregiudizialita',
sospendeva il giudizio di appello e  rimetteva  copia  del  fascicolo
processuale sia alla cancelleria della Corte di  giustizia  che  alla
cancelleria della Corte costituzionale. 
    10.  Ai  sensi  dell'art.  267  del  Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione europea la Corte di appello  sottoponeva  alla  Corte  di
giustizia quattro quesiti pregiudiziali relativi  alla  direttiva  n.
98/59/CE ritenuti rilevanti per la definizione della  controversia  e
contestualmente sottoponeva alla Corte costituzionale alcuni connessi
profili di costituzionalita' degli articoli 1, 3  e  10  del  decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 23 e dell'art 1, comma 7 della legge  10
dicembre 2014, n. 183. 
    11. La Corte di giustizia con sentenza del 4 giugno 2020  C-32/20
dichiarava manifestamente irricevibile la questione sottopostale  per
estraneita' del  quesito  riguardante  le  conseguenze  dell'atto  di
recesso alla direttiva n. 98/59/CE. 
    12. La  Corte  costituzionale  con  successiva  sentenza  del  26
novembre 2020,  n.  254  dichiarava  a  sua  volta  inammissibili  le
questioni di costituzionalita' sollevate. 
    13. Con la sentenza di  inammissibilita'  n.  254/2020  la  Corte
riteneva  infatti   che   l'ordinanza   di   remissione   non   aveva
adeguatamente illustrato il tipo  di  vizio  invalidante  applicabile
alla fattispecie rimessa al suo prudente apprezzamento. 
    14. Stante i diversi regimi sanzionatori la Corte  costituzionale
riteneva  in  particolare  che:  «l'applicazione   della   disciplina
sanzionatoria, che il giudice a quo sospetta di  incostituzionalita',
richiede preventivamente l'individuazione dei vizi del  licenziamento
collettivo. Tale presupposto riveste un rilievo  cruciale  alla  luce
sia dell'alternativa  che  la  parte  delinea  tra  inosservanza  dei
criteri di scelta e inosservanza della procedura, sia dell'intervento
di  una  pronuncia  di  primo  grado  che  ha  escluso   ogni   vizio
dell'impugnato licenziamento collettivo.» 
    15. La sentenza della Corte costituzionale evidenziava, altresi',
che  concorreva  ai  fini  del  giudizio  di  inammissibilita'  della
questione  prospettata  anche  l'incertezza  del  petitum,  ovverosia
l'incertezza  del  tipo  di  intervento  richiesto,  atteso  che  non
appariva chiaro alla Corte costituzionale se  il  collegio  intendeva
formulare una richiesta  di  caducazione  dell'art.  10  del  decreto
legislativo n. 23/2015 nella parte in cui sanziona la violazione  dei
criteri di scelta ovvero «una pronuncia sostitutiva, che  allinei  il
contenuto  precettivo  di  tale  previsione  alle  soluzioni  dettate
dall'art. 5, comma 3, terzo periodo, della legge  n.  223  del  1991,
come ridefinito dall'art. 1, comma 46 della legge n.  92  del  2012».
fermo  restando  l'alternativa,   eminentemente   discrezionale   del
legislatore, tra la misura reintegratoria e la  scelta  della  tutela
indennitaria. 
    16. Riassunto ritualmente  il  giudizio,  la  Corte  di  appello,
all'udienza di discussione, con sentenza  parziale  del  28  novembre
2022, n. 2784 dichiarava l'illegittimita' del licenziamento  intimato
alla signora Romagnuolo per violazione  dei  criteri  di  scelta  non
essendo  state  esaminate  le  posizioni  dei  lavoratori  addetti  a
mansioni omogenee nell'ambito dell'intero complesso aziendale. 
    17. Con la sentenza parziale la Corte  rilevava  l'illegittimita'
della valutazione dell'esubero limitata al solo  cantiere  nel  quale
era addetta la signora Romagnuolo.  La  Balga  S.r.l,  che  risultava
avere un  organico  complessivo  di  9  impiegati,  36  operai  e  un
dirigente, non aveva, infatti, fornito alcuna  ragione  a  fondamento
della decisione di limitare il bacino  di  scelta  del  personale  in
esubero, applicando i criteri selettivi, al solo  cantiere  di  Lacco
Ameno nel quale risultava impiegata la signora Romagnuolo, addetta  a
mansioni del tutto omogenee a  quelle  degli  altri  impiegati  della
Balga S.r.l, pacificamente esclusi dalla comparazione. 
    18. L'omessa valutazione della ricorrente con gli altri impiegati
addetti a mansioni fungibili determinava, pertanto,  il  Collegio  ad
affermare, in continuita' con la giurisprudenza della Suprema  Corte,
l'illegittimita' del recesso per violazione  dei  criteri  di  scelta
rimandando ad altra udienza la decisione in ordine  alle  conseguenze
sanzionatorie. 
    19. Alla nuova udienza di discussione il  Collegio  riservava  la
decisione e all'esito della Camera di consiglio  riteneva  di  dovere
nuovamente di investire la Corte  costituzionale  tenendo  conto  dei
chiarimenti sollecitati. 
 
Rilevanza della questione di costituzionalita' sottoposta  al  vaglio
                             della Corte 
 
    20. L'ambito del giudizio che residua  all'esito  della  sentenza
parziale che ha accertato l'invalidita'  del  licenziamento  intimato
all'appellante e' delimitato al solo regime sanzionatorio applicabile
per la violazione dei criteri di scelta  di  cui  all'art.  5,  primo
comma, della legge 23 luglio 1991, n. 223. 
    21.  Il  Collegio  deve  infatti  esaminare   esclusivamente   la
conseguenza sanzionatoria di un licenziamento collettivo intimato nel
2016 nei confronti di una lavoratrice, assunta dopo il 7 marzo  2015,
ritenuto illegittimo per violazione dei criteri di  scelta,  rispetto
al  quale  trova  inequivoca  applicazione  il  regime   indennitario
stabilito dall'art. 3, comma 1 del decreto legislativo 4 marzo  2015,
n. 23, richiamato dall'art. 10 del medesimo decreto,  nella  versione
ante novella del decreto-legge 12 luglio 2018, n. 87. 
    22. Il combinato disposto sopra richiamato impone di applicare un
regime sanzionatorio meramente  indennitario  che  non  distingue  il
motivo/tipo di invalidita' che caratterizza il  recesso  intimato  in
forma  scritta  a  conclusione  della  procedura   di   licenziamento
collettivo. Il secondo alinea dell'art. 10 del decreto legislativo n.
23/15, applicabile ratione temporis, stabilisce, infatti,  un  regime
uniforme  atteso  che:  «in  caso  di  violazione   delle   procedure
richiamate all'art. 4, comma 12, o  dei  criteri  di  scelta  di  cui
all'art. 5, comma 1, della legge n.  223  del  1991,  si  applica  il
regime di cui all'art. 3, comma 1.» 
    23. L'art. 3, comma 1 del decreto legislativo n. 23/15, nel testo
vigente alla data  del  licenziamento  ed  applicabile  alla  signora
Romagnuolo, ma non a tutti  i  lavoratori  sottoposti  alla  medesima
procedura comparativa, prevede, pertanto una unica misura  afflittiva
anelastica dal momento che stabilisce, senza alcuna  modulazione  e/o
distinzione, ferma la risoluzione  del  rapporto,  una  condanna  del
datore di lavoro al solo pagamento di una indennita' non assoggettata
a contribuzione previdenziale «(..) in misura comunque non  inferiore
a quattro e non  superiore  a  ventiquattro  mensilita'»  (limiti  in
seguito ampliati rispettivamente in  6  e  36  dal  decreto-legge  12
luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto
2018, n. 96). 
    24. L'attuale assetto normativo obbliga pertanto questa Corte una
volta accertata  l'avvenuta  violazione  dei  criteri  di  scelta  ad
applicare una  sanzione  di  tipo  meramente  economico  costretta  -
rectius modulata -  entro  tali  ristretti  limiti,  considerati  dal
Collegio inadeguati anche alla luce della  assenza  di  prova  di  un
aliunde perceptum dalle risultanze processuali. 
    25. Il regime sanzionatorio previsto per  i  rapporti  di  lavoro
costituiti prima del marzo 2015 coinvolti nella medesima procedura di
licenziamento prevede, viceversa, una tutela diversificata a  seconda
del vizio che nel caso di violazione dei criteri di  scelta  assicura
una  misura  afflittiva  di  gran  lunga  piu'   efficace   di   tipo
ripristinatorio. 
    26. Il regime sanzionatorio che questa Corte e', pertanto, tenuta
in concreto ad applicare deroga, infatti, - rectius  si  discosta  in
modo rilevante - dalla «sanzione tipo» prevista  dall'art.  5,  terzo
comma della legge 23 luglio 1991, n. 223 che  stabilisce  in  termini
generali che «in caso di violazione dei criteri  di  scelta  previsti
dal comma 1, si applica il regime di cui al quarto comma del medesimo
art. 18». 
    27. In sostanza, la misura afflittiva prevista per la fattispecie
rimessa  alla  valutazione  di   questa   Corte   e'   manifestamente
disomogenea sia rispetto a quella ripristinatoria, stabilita  per  il
medesimo tipo di invalidita' del recesso dalla legge che  disciplina,
per la generalita' dei lavoratori, il licenziamento  collettivo,  che
trova applicazione residuale a rapporti  di  lavoro  costituiti  ante
marzo 2015, ed e', al contempo, significativamente inferiore rispetto
a quella applicabile ai rapporti costituiti dopo il  marzo  2015,  ma
risolti dopo la novella del 2018 (decreto-legge n. 87/2018 convertito
in legge n. 96/2018), che ha esteso fino a 36 mensilita' l'indennizzo
di cui all'art. 3, primo comma del decreto legislativo n. 23/15. 
    28. Alla luce del descritto quadro normativo, succedutosi in meno
di tre anni, la tutela  applicabile  nei  confronti  di  rapporti  di
lavoro risolti in violazione dei criteri di scelta a  conclusione  di
una  medesima  procedura  di  licenziamento  collettivo,  differisce,
pertanto, sostanzialmente a seconda della data  di  costituzione  del
rapporto e della data di intimazione del recesso. 
    29. Il  diversificato  regime  di  tutela,  frutto  del  richiamo
dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15 al modello indennitario
forfettizzato vincolato ad un tetto massimo  stabilito  dall'art.  3,
primo  comma,  che  deve  essere  applicato  al  caso  in  esame   e'
suscettibile di essere  concretamente  modificato  da  una  pronuncia
della Corte costituzionale che  accerti  le  prospettate  censure  di
costituzionalita' di eccesso di  delega,  ovvero  di  violazione  dei
parametri della stessa  e  comunque  l'irragionevolezza  del  sistema
sanzionatorio applicabile. 
    30. L'eventuale giudizio di  non  aderenza  della  rigida  tutela
squisitamente indennitaria con i parametri costituzionali e le  norme
interposte richiamate nell'ordinanza determina, indipendentemente dal
tipo di intervento correttivo, una modifica del regime  sanzionatorio
dell'art. 3, primo comma che incide giocoforza  sul  tipo  di  misura
sanzionatoria da applicare nel giudizio a quo. 
    31. Le censure di costituzionalita' che investono  le  norme  che
individuano il  regime  sanzionatorio  del  licenziamento  collettivo
oggetto dell'ordinanza di  rinvio  sono  pertanto  -  ad  avviso  del
Collegio - direttamente rilevanti ai  fini  della  scelta  e/o  della
modulazione del tipo di tutela che deve essere applicata nel giudizio
a  quo  a  seguito  della  sentenza   parziale   dichiarativa   della
illegittimita' del licenziamento per violazione dei criteri di scelta
la cui sanzione e' - come osservato  -  sostanzialmente  difforme  da
quella coesistente, prevista dall'art. 5, terzo comma della legge  23
luglio 1991, n. 223 per il medesimo vizio. 
 
Esplicitazione delle questioni  di  costituzionalita'  sottoposte  al
                         vaglio della Corte 
 
Sulla non manifesta infondatezza della violazione  dell'art.  10  del
decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, sia unitariamente inteso che
nel  combinato  disposto  con  l'art.  3,  primo  comma  del  decreto
legislativo n. 23/15, con riferimento agli articoli 3,  10,  35,  76,
117, primo comma della Costituzione, nella parte in cui ha introdotto
in assenza di una specifica  attribuzione  normativa  e  comunque  in
violazione dei principi e dei criteri direttivi della  legge  delega,
una disciplina sanzionatoria per la violazione dei criteri di  scelta
dei lavoratori in esubero nell'ambito di un licenziamento collettivo,
statuendo in contrasto con l'art. 24 della Carta sociale europea. 
    32. Il sistema sanzionatorio che deve trovare  applicazione  alla
fattispecie rimessa al vaglio  di  questa  Corte  e'  il  frutto  del
combinato disposto dell'art.  10  e  dell'art.  3,  primo  comma  del
decreto legislativo n. 23/15 e discende dalla scelta del  legislatore
delegato di regolare anche il sistema sanzionatorio del licenziamento
collettivo. 
    33.  Per  effetto  della  sentenza  parziale  che  ha   accertato
l'illegittimita'  del  licenziamento  in  ragione   di   una   errata
applicazione  dei  criteri  di  scelta  che  hanno   determinato   la
illegittima  risoluzione  del  rapporto  di  lavoro   della   signora
Romagnuolo, si impone l'applicazione della  previsione  dell'art.  3,
primo  comma  risultante  dalla  sentenza  n.  194/2018  della  Corte
costituzionale per effetto  del  rinvio  disposto  dall'art.  10  del
decreto legislativo n. 23/15. 
    34.  L'art.  10  del  decreto  legislativo  n.  23/15   introduce
inequivocabilmente tramite la norma  di  disciplina  per  i  rapporti
costituiti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 un unico rigido
sistema indennitario, alternativo a quello previsto  nella  legge  23
luglio 1991, n. 223, attuativa della direttiva n. 98/59/CE. 
    35.  La  modifica  del  regime  sanzionatorio  dei  licenziamenti
collettivi appare,  ad  avviso  di  questo  Collegio,  un  intervento
eccedente  l'ambito  della  delega  normativa   in   forza   di   una
interpretazione testuale dell'art. 1, settimo comma  della  legge  n.
183/14, di una analisi  dei  lavori  preparatori  e,  da  ultimo,  in
ragione  di  una  interpretazione   sistematica,   costituzionalmente
orientata. 
    36. L'art. 1, settimo comma della legge n. 183/2014 ha,  infatti,
demandato al Governo di adottare una disciplina  che  preveda  tutele
crescenti con l'anzianita' che escluda «per i licenziamenti economici
la possibilita' della reintegrazione del lavoratore». 
    37.  Orbene  ritiene  questo  Collegio   che   il   licenziamento
collettivo sia escluso dalla delega legislativa in quanto il  termine
utilizzato nell'art. 1, settimo comma della legge 10  dicembre  2014,
n. 183 non consente di ritenere ricompresa  nella  devoluzione  della
potesta' normativa anche la rimodulazione della  relativa  disciplina
sanzionatoria che costituisce parte integrante di un corpo  normativo
unitario  e  «completo»  che,  tra  l'altro,  per   la   sua   natura
solidaristica  implica  una  necessaria   omogeneita'   del   sistema
sanzionatorio. 
    38. A conferma della unitarieta' del sistema questa Corte  rileva
che gli interventi correttivi del sistema sanzionatorio  che  operano
sul licenziamento collettivo  sono  stati  inseriti  dal  legislatore
all'interno della legge n. 223/91 sebbene  scaturiti  da  riforme  di
istituti  contenute  in  autonomi   provvedimenti   (cfr.   art.   1,
comma quarantasei della legge 28 giugno 2012, n. 91, e, da ultimo, il
decreto-legge 25 maggio 2021, n.  73,  convertito  con  modificazioni
dalla legge 23 luglio 2021, n. 106). 
    39. Concorrono  inoltre  a  confermare  l'opzione  interpretativa
accolta anche i lavori  parlamentari  che  assumono  una  particolare
rilevanza in sede di interpretazione del «perimetro»  di  una  delega
della potesta' normativa. 
    40. La Commissione lavoro della Camera dei deputati, in occasione
della trasmissione da parte  del  Governo  della  bozza  del  decreto
legislativo, ha  in  effetti  rilevato  che  la  «esclusione»  per  i
lavoratori  assunti  con  il  nuovo  contratto  a  tutele  crescenti,
dall'applicazione dell'istituto  della  reintegra  doveva  intendersi
riferita alle sole fattispecie relative a licenziamenti  individuali,
non essendo in discussione la disciplina dei licenziamenti collettivi
di cui alla legge 23  luglio  1991,  n.  223»  (cfr.  sessione  della
Commissione lavoro della Camera dei deputati del 17 febbraio 2015). 
    41. Analoghe osservazioni sono state formulate dalla  Commissione
lavoro del Senato della Repubblica, in occasione della disamina della
bozza del decreto legislativo sottoposta dal Governo  (cfr.  sessione
dell'11 febbraio 2015 della Commissione  lavoro  previdenza  sociale,
Senato   della   Repubblica).   L'esclusione   della   materia    dei
licenziamenti collettivi dalla delega e  comunque  l'inapplicabilita'
della sanzione indennitaria a tali licenziamenti viene, quindi,  piu'
volte affermata dall'organo titolare del  potere  delegante,  che  ha
formulato sul punto nei diversi  passaggi  parlamentari  del  decreto
legislativo puntuali rilievi (rimasti inattuati) in sede di  disamina
dello schema legislativo. 
    42. L'opzione interpretativa minimale trova pertanto conferma sia
nel  dato  testuale  che  nei  lavori  preparatori   che   la   Corte
costituzionale ha ritenuto nella sua giurisprudenza rilevanti ai fini
della individuazione dell'ambito della  potesta'  normativa  devoluta
(cfr. ex multis Corte costituzionale 28 luglio 2004, n. 280). 
    43. La scelta di modificare l'apparato sanzionatorio introducendo
nella procedura comparativa una diversificata forma di tutela, dotata
di una significativa minore capacita' dissuasiva  rispetto  a  quella
contenuta  all'interno  di  una  legge  attuativa  di  una  direttiva
dell'Unione, avrebbe inoltre imposto - ad avviso del Collegio  -  una
scelta lessicale inequivoca ed esplicita  ove  si  consideri  che  la
speciale procedura di modifica di atti attuativi dell'Unione  europea
e' regolata dall'art. 34 della legge n. 234/12. 
    44. Il termine «licenziamento economico» non consente  quindi  di
estendere - ad  avviso  della  remittente  -  la  potesta'  normativa
delegata al licenziamento collettivo in quanto chiaramente incentrata
a  normare  forme  di  recesso  individuale,  nel  caso,  per  motivo
oggettivo (Cassazione, 19 dicembre 2013, n. 28245). 
    45. La questione assume all'evidenza una  diretta  rilevanza  nel
giudizio a quo in quanto la  caducazione  dell'art.  10  del  decreto
legislativo  n.  23/15  determinerebbe  l'applicazione   del   regime
generale dell'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n.  223
con  conseguente  riconoscimento  nel  caso  in  esame  della  tutela
reintegratoria attenuata prevista per la violazione  dei  criteri  di
scelta dalla legge regolatrice del licenziamento collettivo. 
    46.  Si  ritiene,  pertanto,  rilevante  e   non   manifestamente
infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 10 del  decreto
legislativo n. 23/15 con riferimento agli articoli 3, 4  e  76  della
Costituzione in ragione dell'eccesso di delega che ha determinato  un
intervento normativo sul  sistema  sanzionatorio  anche  rispetto  ai
licenziamenti collettivi. 
    47. Da ultimo si prospetta un ulteriore profilo di eccesso  dalla
delega, che si pone in stretta connessione con le censure  sviluppate
nei paragrafi successivi, in ragione dello  scostamento  del  sistema
sanzionatorio indennitario  forfetizzato  e  rigido,  introdotto  dal
combinato  disposto  dell'art.  10  e  3,  primo  comma  del  decreto
legislativo n. 23/15, dai principi e dai  criteri  direttivi  imposti
dall'art. 1, settimo comma della legge n. 183/14. 
    48. L'assetto normativo sopra descritto determina,  ove  ritenuta
ricompresa nella legge delega anche  una  rivisitazione  del  sistema
sanzionatorio dei licenziamenti collettivi, una analoga questione  di
costituzionalita'  per  lo  scostamento  in  concreto  emerso   della
potesta' delegata rispetto ai principi e ai criteri direttivi. 
    49.  La  potesta'  normativa  delegata  doveva  esercitarsi  «nel
rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi, in  coerenza  con
la regolazione dell'Unione europea e le convenzioni  internazionali.»
(art. 1, settimo comma legge n. 183/14). 
    50. Sebbene il regime sanzionatorio del licenziamento esuli dalla
attuale regolamentazione dell'Unione europea (cfr. Corte giustizia, 4
giugno  2020  C-32/20),  la  legge  delega  ha  comunque  imposto  al
legislatore delegato il rispetto dei principi e dei  diritti  sanciti
dai trattati internazionali, dalle Carte sovraordinate o  interposte,
e nello specifico, della Carta sociale europea il cui art. 24 risulta
- ad avviso di questo Collegio - del tutto disatteso dal  legislatore
delegato. 
    51. Il nuovo regime sanzionatorio che introduce per la violazione
dei criteri di scelta nell'ambito di un licenziamento collettivo  una
misura palesemente meno dissuasiva, forfettizzata in un  plafond  che
non consente una personalizzazione del danno subito, diversamente  da
quella prevista per analoga  violazione  per  altri  lavoratori,  non
presenta alcuna «coerenza» con l'art. 24 della Carta sociale europea. 
    52. Per  effetto  dell'intervento  del  legislatore  delegato  il
Collegio e' tenuto a condannare la societa' appellata  esclusivamente
al  pagamento  di  un'indennita'  non  assoggettata  a  contribuzione
previdenziale  ricompresa  tra  quattro  e  ventiquattro   mensilita'
(estesa in seguito rispettivamente in 6 e 36 mensilita'). 
    53.  La  sanzione  applicabile  assicura  un  livello  di  tutela
manifestamente  inferiore  per  capacita'  deterrente  ed   efficacia
ripristinatoria del bene giuridico leso rispetto  a  quella  prevista
per  altri   lavoratori   coinvolti   nella   stessa   procedura   di
licenziamento per i quali, in ragione della data  di  assunzione,  e'
previsto il sistema sanzionatorio reintegratorio dell'art.  5,  terzo
comma della legge 23 luglio 1991, n. 223. 
    54. L'inadeguatezza della  misura  afflittiva,  che  si  riflette
anche  nel  futuro   trattamento   di   quiescenza   dell'appellante,
concretamente penalizzato dal mancato versamento contributivo, in se'
disarmonica con  le  previsioni  dell'art.  24  della  Carta  sociale
europea risulta inoltre amplificata anche alla  luce  dell'evoluzione
del sistema multilivello e  dei  successivi  interventi  della  Corte
costituzionale. 
    55. Nelle more del giudizio nel marzo 2020 e' infatti intervenuta
la risoluzione del Comitato dei Ministri prevista dal Protocollo  del
1995 che, preso atto dell'accoglimento da parte del Comitato  europeo
dei diritti sociali del reclamo collettivo  n.  158/2015  avverso  il
sistema sanzionatorio introdotto dal decreto  legislativo  n.  23/15,
ritenuto lesivo dell'art. 24 della Carta sociale europea, ha invitato
l'Italia ad adeguare il proprio ordinamento in particolare eliminando
il tetto al sistema indennitario. 
    56. Si legge, infatti, nel  paragrafo  103  della  decisione  del
Comitato economico e sociale dell'11 settembre 2019, resa  pubblicata
l'11 febbraio 2020 che i rimedi giurisdizionali sono privi  di  «(..)
effetto dissuasivo nei confronti del  licenziamento  illegittimo,  in
quanto, (..) la durata del procedimento va a vantaggio dei datori  di
lavoro, poiche' l'indennizzo  in  questione  non  puo'  superare  gli
importi prestabiliti (limitati a 12, 24 o 36  volte  la  retribuzione
mensile di riferimento a seconda dei casi, e 6 volte la  retribuzione
mensile di riferimento per le piccole imprese) e quindi  l'indennizzo
diventa nello scorrere del tempo inadeguato al danno subito (..).» 
    57. Se la sola decisione del Comitato europeo dei diritti sociali
che accerta la violazione dell'art. 24 della  Carta  sociale  europea
costituisce un parere autorevole, ancorche' non cogente ne' dotato di
natura  giurisdizionale  (cfr.  Corte  costituzionale  n.   194/2018,
peraltro con  richiamo  riferito  ad  altro  sistema  normativo),  la
risoluzione del Comitato europeo dei diritti  sociali  dell'11  marzo
2020 valutata a maggioranza dal Consiglio dei  ministri  costituisce,
viceversa, un atto previsto dal  Protocollo  del  1997  al  quale  ha
aderito l'Italia che -  ad  avviso  del  Collegio -  produce  effetti
giuridici nell'ordinamento nazionale. 
    58. La risoluzione prevista nel trattato, adottata a  maggioranza
dal Consiglio dei ministri, con la quale espressamente si invitano le
autorita' italiane « (..) a' faire etat, dans leur  prochain  rapport
relatif aux dispositions pertinentes de la  Charte,  de  tout  nouvel
element concernant leur mise en oeuvre et notamment de  toute  mesure
prise  pour  mettre  la  situation  en  conformite'  avec  la  Chart»
(ovverosia a «(..) a riferire, nella loro  prossima  relazione  sulle
pertinenti disposizioni della  Carta,  su  qualsiasi  nuovo  elemento
riguardante la loro attuazione e in particolare su  eventuali  misure
adottate per rendere la situazione conforme  alla  Carta».  esplicita
«l'incoerenza» dell'intervento del legislatore delegato con l'art. 24
della Carta sociale e al contempo genera una doppia obbligazione  nei
confronti del Collegio. 
    59. Il vincolo che scaturisce dall'adesione al trattato  e  dalla
regola consuetudinaria pacta sunt  servanda  impone  da  un  lato  di
astenersi dall'applicare una misura ritenuta in contrasto con  l'art.
24 della Carta sociale europea e, dall'altro, un obbligo positivo  di
adoperarsi per assicurare la aderenza dell'ordinamento agli  obblighi
del   Trattato   che   discendono   dallo   «snodo    costituzionale»
rappresentato dall'art. 10, dall'art. 35, secondo comma  e  dall'art.
117 della Costituzione. 
    60. Il vincolo che discende dalla Carta sociale europea  investe,
infatti, tutte le autorita' dello Stato e si  traduce  nell'  imporre
nel contesto  giudiziario  e  in  particolare  a  questa  Corte,  una
vincolata interpretazione conforme,  ovvero  una  determinata  azione
(quale l'attivazione del controllo di costituzionalita' dello  status
quo normativo) in una controversia tra privati nella quale il diritto
fondamentale,  tutelato  dal  trattato,  non  risulti   adeguatamente
garantito nell'ordinamento interno in ragione del  mancato  esercizio
del  cd.  devoir  de  intervention  da  parte  dell'apparato  statale
destinatario della risoluzione. 
    61.  L'inerzia  del  legislatore,  peraltro   gia'   recentemente
stigmatizzata dalla Corte  costituzionale,  sebbene  con  riferimento
alla normativa  dei  licenziamenti  delle  piccole  imprese,  con  la
decisione 22 luglio 2022, n. 183, impone, all'organo giurisdizionale,
dotato di un potere di  promozione  di  meccanismi  di  verifica,  di
attivarsi al fine di sollecitare la verifica  della  legittimita'  di
lacune normative o l'assetto normativo incompatibile con i trattati. 
    62. Il plafond, nell'impedire  un  pieno  ristoro  dell'effettivo
pregiudizio subito introduce, pertanto, oltre  ad  una  irragionevole
disparita' rispetto ad  analoghe  situazioni,  anche  una  disarmonia
palese con gli obblighi scaturenti dalla ratifica della Carta sociale
europea  richiamati  nella  legge  delega,  in  quanto  impedisce  la
personalizzazione del pregiudizio subito dalla perdita del  rapporto,
e, pertanto, pone l'art. 3, primo comma del  decreto  legislativo  n.
23/15 in oggettivo  contrasto  con  l'art.  24  della  Carta  sociale
europea che assume una valenza  preminente  in  ragione  dello  snodo
costituzionale rappresentato dall'art. 3, 10,  35,  76  e  117  della
Costituzione. 
    63. Ritiene, pertanto, in conclusione il Collegio che  l'art.  10
del decreto legislativo n.  23/15  si  ponga  in  contrasto  con  gli
articoli 3, 4, 10,  35,  76  e  117  della  Costituzione  in  ragione
dell'eccesso di delega che ha determinato un intervento normativo, in
assenza  di  attribuzione  della  relativa  potesta',   sul   sistema
sanzionatorio anche rispetto ai licenziamenti collettivi e,  in  ogni
caso, che l'art. 3, primo comma del  medesimo  decreto  determini  un
contrasto con i principi e i criteri  direttivi  della  legge  delega
nella parte in cui introduce, in disarmonia con l'art. 24 della Carta
sociale europea, per il  licenziamento  intimato  in  violazione  dei
criteri di scelta un tetto al licenziamento che, nella sua  rigidita'
stabilita ex  ante,  concretamente  impedisce  una  personalizzazione
delle conseguenze derivanti dalla perdita del rapporto di lavoro. 
Sulla non manifesta infondatezza della violazione dell'art. 3,  primo
comma del decreto legislativo 4 marzo 2015, n.  23,  con  riferimento
agli articoli 3, 4, 24, 35, 111 della  Costituzione  nella  parte  in
cui, irragionevolmente, dispone per la stessa violazione dei  criteri
di scelta, avvenuta contestualmente  in  una  medesima  procedura  di
licenziamento collettivo tra omogenei rapporti di lavoro per  i  soli
lavoratori assunti a tempo indeterminato successivamente al  7  marzo
2015, diversamente da quelli assunti  precedentemente,  una  sanzione
inefficace rispetto al  danno  subito  a  seguito  della  illegittima
perdita del posto di lavoro, priva di efficacia deterrente e inidonea
ad assicurare un ristoro personalizzato ed effettivo del danno. 
    64.  All'interno  della  medesima  procedura   di   licenziamento
collettivo sottoposta al vaglio del Collegio coesistono  rapporti  di
lavoro, che pur  dovendo  essere  assoggettati  contestualmente  alla
medesima  analisi  comparativa  che  doveva   estendersi   all'intero
complesso aziendale, sono caratterizzati da una significativa diversa
«resistenza»  rispetto  a  una  scelta  arbitraria  o  illegittima  e
comunque lesiva degli oggettivi criteri di scelta. 
    65. La medesima errata applicazione dei criteri di  scelta  viene
sanzionata con la  misura  reintegratoria  del  rapporto  di  lavoro,
interamente  ripristinatoria  del  rapporto  previdenziale,   per   i
lavoratori assunti a tempo indeterminato fino  al  7  marzo  2015  ed
esclusivamente con una misura forfettaria, basata su una  nozione  di
retribuzione, peraltro non onnicomprensiva, del tutto  inadeguata  ad
assicurare il ristoro effettivo  del  danno  subito  anche  sotto  il
profilo previdenziale, per i lavoratori assunti successivamente, come
la signora Romagnuolo. 
    66. La coesistenza di regimi sanzionatori, del tutto disomogenei,
produce - a giudizio  della  Corte  remittente  -  una  irragionevole
disparita'  di  trattamento  rispetto  a  una   identica   violazione
suscettibile  di  manifestarsi  in  rapporti   del   tutto   similari
all'interno di una  comparazione  simultanea  nella  quale  applicare
identici criteri. 
    67.  La  capacita'  dissuasiva  della  sanzione  generata   dalla
disparita' di tutela, sacrifica- a giudizio della Corte remittente  -
in modo irragionevole l'esigenza di una  comparazione  imparziale  ed
oggettiva a danno dei lavoratori esposti ad una minore tutela per  il
solo fatto di risultare assunti a tempo indeterminato a decorrere dal
7 marzo 2015. 
    68. Il  rapido  susseguirsi  degli  intervenenti  legislativi  ha
determinato una irragionevole diversita' di livelli di tutela che  ha
persino indotto il legislatore a rivedere a stretto giro i  parametri
indennitari  incrementandoli  con  il   decreto-legge   n.   87/2018,
peraltro, non applicabili ratione temporis al caso in esame. 
    69. La sanzione che questa Corte deve applicare  al  rapporto  di
lavoro illegittimamente risolto per  la  violazione  dei  criteri  di
scelta risulta, pertanto, oltre che inadeguata rispetto ai  parametri
dell'art. 24 della Carta sociale europea, irragionevolmente  difforme
rispetto a quella applicata ai medesimi rapporti costituiti prima del
7 marzo 2015 che dovevano essere esaminati nella stessa procedura. 
    70. Questo Collegio  rileva  che  in  presenza  di  una  identica
violazione che determina l'illegittima perdita del posto  di  lavoro,
realizzatasi in uno stesso momento, per effetto  di  una  illegittima
applicazione di uguali criteri di scelta all'interno di una  unitaria
procedura, lavoratori appartenenti alla medesima comunita'  aziendale
potranno  concretamente  ottenere  forme  di   tutela   profondamente
difformi per misura di indennizzo, per tipologia di  provvedimento  e
per capacita' dissuasiva. 
    71.  Il  trattamento   differenziato   suscettibile   di   essere
introdotto  in  ragione  del   «fluire   del   tempo»   (cfr.   Corte
costituzionale 194/18), se puo' non  determinare  una  penalizzazione
ingiustificata in una prospettiva individualistica, genera, viceversa
- ad avviso del Collegio - all'interno di  una  procedura  collettiva
comparativa, una irragionevole disparita' di tutela  rispetto  ad  un
medesimo  bene,  tenuto  conto  dell'esigenza  di  imparzialita'  che
connota la scelta e, per tale ragione, diviene un fattore disarmonico
e  penalizzante  che,  lungi  dal  giustificarsi  per  la  modificata
condizione  temporale,  diviene,  nel  sincronismo  procedurale,   un
elemento persino di condizionamento di una scelta. 
    72. La «ragione giustificatrice» che ha determinato la  Corte  ad
escludere la violazione del "canone  di  ragionevolezza"  nella  nota
decisione n. 194/2018,  relativa  ad  un  licenziamento  individuale:
«(..)  costituita  dallo  "scopo",  dichiaratamente  perseguito   dal
legislatore, "di rafforzare le opportunita' di ingresso nel mondo del
lavoro da parte di coloro che sono in cerca di  occupazione"  (alinea
dell'art. 1, comma 7, della legge n. 183 del  2014)».  si  attenua  -
sino a perdere ogni significato - in una procedura  collettiva  nella
quale la perdita del posto di lavoro deve basarsi  esclusivamente  su
una puntuale applicazione di omogenei criteri di scelta. 
    73. L'affievolimento radicale della sanzione nella prospettiva di
un esubero  collettivo  non  e'  neppure  ancillare  all'esigenza  di
agevolare  l'inserimento  al  lavoro  (finalita'  che   deve   essere
perseguita dal legislatore delegato) e semmai amplifica il  «rischio»
di perdere il lavoro, contraddicendo la necessita' di  garantire  una
scelta basata su parametri selettivi generali oggettivi e astratti di
carattere  solidaristico  imposti  dal  legislatore  o  dalle   parti
sociali. 
    74. La piu' volte evocata Carta sociale  europea,  peraltro,  non
consente ad una legislazione «emergenziale» l'affievolimento  ne'  un
arretramento  radicale  di  diritti  sociali  fondamentali  (cfr.  in
particolare la decisione del CEDS del 23 maggio 2012 sul  merito  del
reclamo n. 66/2011, Federation generale des employes  des  compagnies
publiques  d'electricite'  et   Confederation   des   syndicats   des
fonctionnaires publics c. Grece). 
    75. L'inadeguata tutela per la errata applicazione dei criteri di
scelta produce,  in  conclusione,  un'ingiustificata  disparita',  ed
impone un sacrificio che si  ripercuote  oltre  la  vita  lavorativa,
estendendosi irragionevolmente sulla posizione previdenziale,  avente
anch'essa  una  propria  dignita'  costituzionale  (art.   38   della
Costituzione). 
    76. L'art. 3,  primo  comma  del  decreto  legislativo  n.  23/15
introduce pertanto in combinato disposto con l'art.  10  del  decreto
legislativo  n.  23/15  una  irragionevole  disparita'   dell'assetto
sanzionatorio previsto per la  errata  applicazione  dei  criteri  di
scelta  che  penalizza  in  forma  ingiustificata   nella   procedura
comparativa di cui agli articoli 4 e  24  della  legge  n.  223/91  i
lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015 con  un
regime di garanzia del posto di lavoro finalizzato  ad  agevolare  il
loro inserimento nel mondo del lavoro che si pone  in  contrasto  con
gli articoli 3, 4, 24, 35, 111 della Costituzione. 
Sulla non manifesta infondatezza della  illegittimita'  dell'art.  3,
primo comma  del  decreto  legislativo  4  marzo  2015,  n.  23,  con
riferimento  agli  articoli  3,  4,  24,  35,  38,  41,   111   della
Costituzione nella parte in cui, ingiustificatamente in  presenza  di
una violazione  di  parametri  selettivi  oggettivi  e  solidaristici
introduce  una  sanzione  inefficace  che  non  consente  una  idonea
responsabilizzazione  del  soggetto   inadempiente   attraverso   una
personalizzazione del danno cagionato. 
    77. La Corte costituzionale  ha  sollecitato  il  legislatore  ad
intervenire evidenziando l'urgenza di una armonizzazione del  sistema
sanzionatorio del licenziamento illegittimo in  una  prospettiva  che
valorizzi una personalizzazione del danno  e  consenta  una  concreta
efficacia deterrente rispetto  a  condotte  illegittime  (cfr.  Corte
costituzionale 22 luglio 2022, n. 183). 
    78. L'esigenza di un sistema  sanzionatorio  che  garantisca  «un
rimedio adeguato, che  assicuri  un  serio  ristoro  del  pregiudizio
arrecato dal licenziamento illegittimo e dissuada il datore di lavoro
dal reiterare l'illecito, si impone in forza della  "speciale  tutela
riconosciuta al lavoro in tutte  le  sue  forme  e  applicazioni,  in
quanto  fondamento  dell'ordinamento  repubblicano  (art.   1   della
Costituzione)" (sentenza n. 125 del 2022, punto 6 del considerato  in
diritto)» viene affermato nel punto 4.2.  della  sentenza  da  ultimo
richiamata. 
    79. Il sistema indennitario che  questo  Collegio  e'  tenuto  ad
applicare e' ristretto in un ambito inadeguato a ristorare  il  danno
che deriva dalla perdita del rapporto di lavoro che - si ricorda - e'
strumentale  alla  emancipazione  sociale   (art.   3   e   4   della
Costituzione), al sostentamento dell'individuo e della  sua  famiglia
(art. 36 della Costituzione),  e  al  contempo  appare  inadeguato  a
garantire  la  finalita'  sociale  nella  quale  viene   riconosciuta
l'iniziativa privata (art. 41 della Costituzione). 
    80. La  Corte  con  la  sentenza  monito  sopra  richiamata,  pur
intervenuta  in  un  ambito  occupazionale   non   applicabile   alla
fattispecie sottoposta al vaglio di questo Collegio, afferma in forma
inequivocabile un principio generale del tutto  condiviso,  ovverosia
che: «(..) si deve affermare la necessita' che l'ordinamento si  doti
di rimedi adeguati  per  i  licenziamenti  illegittimi  intimati  dai
datori  di  lavoro  che  hanno  in  comune  il  dato   numerico   dei
dipendenti.» 
    81.  Il  limite  della  discrezionalita'  del  legislatore  nella
modulazione della sanzione non viene in gioco laddove, per effetto di
una sentenza caducatoria, come  di  seguito  esposto,  si  espanda  e
divenga omogeneo il sistema di tutela  rispondente  ai  parametri  di
efficacia, effettivita' e personalizzazione del danno  gia'  previsto
per identica violazione in un medesimo contesto occupazionale. 
    82.  Il  ripristino  del  rapporto  di   lavoro   con   integrale
regolarizzazione della posizione previdenziale effettiva,  unitamente
ad  un  ristoro  economico  riconosciuto  dalla   collaudata   tutela
stabilita dall'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91,  e'  invero
impedito esclusivamente dalla norma di rinvio di cui all'art. 10  del
decreto legislativo n. 23/15. 
    83. Il rinvio al sistema inadeguato per effetto dell'art. 10  del
decreto   legislativo    n.    23/15    inibisce    in    conclusione
irragionevolmente la oggettiva efficacia  dissuasiva  della  sanzione
gia' prevista e vigente nell'ordinamento per la identica violazione. 
    84. La deroga dei parametri che operano sul piano  della  tutela,
introdotta dall'art. 10 del  decreto  legislativo  n.  23/15  con  il
richiamo all'art. 3, primo  comma  del  decreto  legislativo,  incide
inevitabilmente anche  sul  piano  sostanziale  della  selezione  dei
rapporti, e genera, quindi, una  disarmonia  ingiustificata  che,  di
fatto,   deresponsabilizza   l'iniziativa   privata   rispetto   alle
conseguenze  di  un  suo  atto  illegittimo,  penalizzando   in   una
contestuale procedura selettiva, per la sola data di costituzione del
rapporto, lavoratori in condizioni omogenee. 
    85. Da ultimo  si  rileva  che,  ferma  la  discrezionalita'  del
legislatore in ordine ad una tutela risarcitoria e/o ripristinatoria,
l'incongruenza del nuovo sistema sanzionatorio per la violazione  dei
criteri di scelta discende  dal  pregiudizio  subito  dal  lavoratore
illegittimamente  licenziato  la   cui   tutela   non   puo'   essere
personalizzata. 
    86.  Deve,  quindi,  ritenersi  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la violazione dell'art. 10 in se' e in  combinato  disposto
con l'Art. 3, primo comma,  del  decreto  legislativo  n.  23/15  con
riferimento agli articoli, 3, 4, 24, 35,  38  41,  111  e  117  della
Costituzione laddove, in forma irragionevole con riferimento  ad  una
violazione dei criteri di scelta del lavoratore in esubero risultante
in una procedura di licenziamento collettivo, deroga  ad  un  sistema
sanzionatorio  efficace  e  adeguato,  determinando  con  il  sistema
forfettizzato di danno, un affievolimento del ristoro del pregiudizio
causato,  tale  da  non   garantire   a   mezzo   di   una   adeguata
personalizzazione, l'efficacia e l'effettivita' prevista in  caso  di
violazione dei criteri di scelta. 
 
                   Tipo di provvedimento richiesto 
 
    87. La Corte costituzionale nel dichiarare l'inammissibilita' del
precedente rinvio pregiudiziale nel  paragrafo  5.1.  della  sentenza
254/2020 ha osservato che «non e' dato comprendere se  il  rimettente
prefiguri  l'integrale   caducazione   dell'art.   10   del   decreto
legislativo n. 23 del 2015, nella parte in cui sanziona la violazione
dei criteri di scelta, o una pronuncia sostitutiva,  che  allinei  il
contenuto  precettivo  di  tale  previsione  alle  soluzioni  dettate
dall'art. 5, comma 3, terzo periodo, della legge  n.  223  del  1991,
come ridefinito dall'art. 1, comma 46, della legge  n.  92  del  2012
(..) Ne' spetta a questa Corte sciogliere l'alternativa descritta, in
difetto di indicazioni univoche da parte del rimettente.» 
    88. Questa Corte, pertanto, alla luce  dei  rilievi  formulati  e
della  disamina  delle  questioni  di  costituzionalita'   sviluppate
nell'ordinanza  ritiene  che  il   provvedimento   rispettoso   delle
prerogative del legislatore e maggiormente coerente  con  le  censure
prospettate, idoneo a  ricondurre  ad  una  armonica  unitarieta'  il
sistema sanzionatorio della procedura comparativa, sia l'adozione  di
una sentenza di tipo caducatorio dell'art. 10 del decreto legislativo
n. 23/10 ovvero, quantomeno, dell'inciso «o dei criteri di scelta  di
cui all'art. 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991». 
    89. L'espunzione dall'ordinamento dell'intero art. 10 del decreto
legislativo n. 23/10, o anche del solo inciso indicato nel  paragrafo
che precede,  riporterebbe  ad  unita'  il  meccanismo  sanzionatorio
contenuto nel provvedimento normativo attuativo  della  direttiva  n.
98/59/CE, eliminando in  radice  ogni  rilievo  di  costituzionalita'
derivante dalla oggettiva disparita' sanzionatoria. 
    90. La caducazione della norma di rinvio dell'art. 10 del decreto
legislativo n. 23/10 determina, infatti,  l'applicazione  del  regime
generale stabilito dall'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91 per
la violazione dei criteri di scelta che,  non  risultando  altrimenti
derogato, espanderebbe naturalmente i propri effetti nei confronti di
tutti i rapporti di lavoro coinvolti nella procedura  comparativa,  a
prescindere dalla data di costituzione. 
    91. Analoga conseguenza deriverebbe per l'ipotesi  di  violazione
dei criteri di scelta, oggetto  del  giudizio,  laddove  l'intervento
caducatorio della Corte fosse limitato al solo  inciso  indicato  nel
paragrafo 87. 
    92. In tale caso la violazione  dei  criteri  di  scelta  sarebbe
oggetto di una omogenea tutela al pari di una violazione  procedurale
che, sia nell'art. 5, terzo comma della legge n. 223/91 che nell'art.
3,primo comma del decreto  legislativo  n.  23/15,  la  cui  sanzione
rimarrebbe sostanzialmente analoga. 
    93. L'eliminazione della misura indennitaria vincolata al «tetto»
massimo, derivante dalla caducazione totale  o  anche  solo  parziale
dell'art. 10 del decreto legislativo n. 23/15, darebbe luogo  ad  una
omogeneita' normativa che garantisce, infine, in caso  di  violazione
dei criteri di  scelta  un  tendenziale  «allineamento»  del  sistema
sanzionatorio del licenziamento illegittimo per  errata  applicazione
dei criteri di scelta con l'art. 24 della Carta sociale europea. 
    94. Il provvedimento caducatorio, pertanto, oltre a costituire la
naturale conseguenza dell'accoglimento della prospettata  censura  di
eccesso di delega o violazione dei  principi  della  stessa,  risulta
coerente con la dedotta  irragionevole  disparita'  di  tutela  della
norma a presidio della corretta  valutazione  comparativa,  anch'essa
evidenziata   nell'ordinanza,   e   assicura,   infine,   l'immediato
adeguamento del sistema al regime delle fonti multilivello richiamate
nella  legge  delega  che  impongono   una   tutela   tendenzialmente
satisfattiva del danno da perdita del lavoro. 
    95. L'eventuale decisione  della  Corte  che  tuttavia  ritenesse
esente da censure il richiamo dell'art. 10 del decreto legislativo n.
23/15 impone in tal caso  un  intervento  correttivo  della  distonia
normativa denunciata sull'art. 3, primo  comma  in  quanto  idoneo  a
produrre una  irragionevole  disparita'  di  tutela  nella  procedura
comparativa che connota il licenziamento collettivo. 
    96.  L'art.  3  comma  1  del  decreto  legislativo  n.  23/2015,
impedendo il ripristino del rapporto lavorativo introduce - come piu'
volte evidenziato - per i licenziamenti intimati  in  violazione  dei
criteri di scelta  nell'ambito  di  una  procedura  di  licenziamento
collettivo, una sanzione forfettaria e  limitata  nel  suo  ammontare
priva di una capacita' satisfattiva e deterrente concreta e  comunque
equivalente a quella prevista dall'art. 5  ,  terzo  comma  legge  n.
223/91. 
    97. Il richiamo all'art. 3, primo comma del  decreto  legislativo
n. 23/15 risulta nell'attuale formulazione in contrasto «nella  parte
in cui non prevede» una  tutela,  che,  sebbene  non  necessariamente
implicante un provvedimento di  ripristino  della  funzionalita'  del
posto di lavoro (cfr. par. 9 Corte costituzionale 8 novembre 2018, n.
194), sia dotata di una pari efficacia  a  quella  prevista  per  gli
altri lavoratori comparati nella stessa procedura dall'art. 5,  terzo
comma della legge n. 223/91. 
    98. La Corte costituzionale nei  suoi  precedenti  interventi  ha
infatti   chiarito   che   «la   qualificazione   come   "indennita'"
dell'obbligazione  prevista  dall'art.  3,  comma  1,   del   decreto
legislativo n. 23 del 2015  non  ne  esclude  la  natura  di  rimedio
risarcitorio, a fronte di  un  licenziamento.  (cfr.  par.  10  Corte
costituzionale n. 194/18). 
    99. Il «tetto» che limita  l'indennizzo,  peraltro,  non  imposto
dall'art. 1, settimo comma lettera c) della legge n. 183/14, rende la
sanzione  per  la  violazione  dei  criteri  di  scelta   del   tutto
indifferente dall'effettivo  pregiudizio  scaturito  e  impedisce  la
personalizzazione del danno (cfr. Corte costituzionale  n.  194/2018)
che discende dalla errata scelta e rende,  percio',  «incoerente»  il
sistema  rimediale  sia   rispetto   all'esigenza   di   una   tutela
integralmente   satisfattiva,   sia   rispetto   alle    «convenzioni
internazionali» richiamate dalla legge delega. 
    100.  L'impossibilita'  di   superare   in   via   interpretativa
l'evidente divario di tutela impone, ad avviso  di  questo  Collegio,
nell'ipotesi alternativa prospettata, di indicare, per la  violazione
dei  criteri  di   scelta,   un   provvedimento   interpretativo   di
accoglimento di tipo caducatorio dell'art. 3, primo comma del decreto
legislativo 4 marzo 2015, n. 23 dell'inciso «e non  superiore  a  24»
(oggi 36) in presenza di una violazione dei criteri di scelta di  cui
all'art. 5, terzo comma della legge 23 luglio 1991, n. 223. 
    101. Tale intervento, limitato per  effetto  dell'interpretazione
alla specifica violazione dei criteri di scelta  intervenuti  in  una
procedura di licenziamento collettivo, non  incidendo  sulla  portata
generale delle misure  sanzionatorie  previste  per  i  licenziamenti
«individuali». eliminerebbe, ad  avviso  del  Collegio,  per  i  soli
licenziamenti «collettivi» e limitatamente al devolutum  della  Corte
remittente, i dedotti contrasti derivanti dalla  inadeguatezza  della
sanzione priva di efficacia deterrente. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte di appello di Napoli, I  unita'  sezione  lavoro,  cosi'
provvede 
    Ritenuta rilevante e non manifestamente  infondata  il  contrasto
degli art. 10 e 3, primo comma del decreto legislativo 4 marzo  2015,
n. 23 con gli articoli 3, 4, 10, 24, 35, 38, 41, 76, 111 e 117  della
Costituzione  per  le  ragioni  di  cui  all'ordinanza,  dispone   la
sospensione del giudizio 
    Ordina, ai sensi dell'art. 23, comma 2 della legge 11 marzo 1953,
n. 87 la trasmissione degli atti  di  causa  alla  cancelleria  della
Corte costituzionale. 
    Napoli, 22 marzo 2023 
 
                         Il Presidente: Papa 
 
                        Il giudice ausiliario rel.: de Marchis Gomez