N. 155 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 ottobre 2023

Ordinanza  del  13  ottobre  2023  della  Corte  di  cassazione   nel
procedimento civile promosso da Spagnoli Giulio contro Roma  Capitale
e Agenzia del demanio. 
 
Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Demanio  marittimo
  - Interpretazione autentica dell'art. 8 del  decreto-legge  n.  400
  del 1993, come convertito  -  Occupazione  senza  titolo  dei  beni
  demaniali,  consistente   nella   realizzazione   abusiva,   ovvero
  difforme, di opere inamovibili - Prevista applicazione  retroattiva
  dei nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo "parametrati ai
  valori di  mercato  e  non  ai  criteri  legislativi  espressi  nel
  precedente D.L. n. 400 del 1993". 
- Legge 27 dicembre 2006, n. 296 ("Disposizioni per la formazione del
  bilancio annuale  e  pluriennale  dello  Stato  (legge  finanziaria
  2007)"), art. 1, comma 257, secondo periodo. 
(GU n.49 del 6-12-2023 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                       Seconda sezione civile 
 
    Composta dagli illustrissimi signori magistrati: 
        dott. Felice Manna - presidente; 
        dott.ssa Rossana Giannaccari - consigliere; 
        dott. Giuseppe Fortunato - consigliere; 
        dott. Federico Rolfi - consigliere; 
        dott.ssa Cristina Amato - consigliere relatore, 
ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  interlocutoria  sul  ricorso
38488-2019 proposto da: 
    Spagnoli Giulio, elettivamente domiciliato in  Roma,  Lungotevere
della Vittoria n. 9, presso lo studio dell'avvocato Giovanni  Arieta,
che  lo  rappresenta  e  difende  unitamente   all'avvocato   Carmine
Alessandro Arieta; 
    Ricorrente contro Roma  Capitale,  elettivamente  domiciliata  in
Roma, via Tempio di Giove n. 21, presso lo studio dell'avvocato Luigi
D'Ottavi, che la rappresenta e difende; 
    Controricorrente nonche' contro Agenzia del demanio,  domiciliata
in Roma, via Dei Portoghesi,  n.  12,  presso  l'Avvocatura  generale
dello Stato, che la rappresenta e difende; 
    Controricorrente avverso la sentenza  n.  7244/2018  della  Corte
d'appello di Roma, depositata il 16 novembre 2018; 
    Udita la relazione della causa svolta nella camera  di  consiglio
del 6 ottobre 2022 dal consigliere Cristina Amato; 
 
                          Rilevato in fatto 
 
    1. Con atto  notificato  il  13  febbraio  2009,  riassumendo  il
giudizio precedentemente introdotto dinanzi al T.A.R. Lazio che aveva
dichiarato il  proprio  difetto  di  giurisdizione,  Giulio  Spagnoli
impugnava dinanzi al Tribunale di Roma il provvedimento n. 71016  del
23 novembre 2007  emesso  dal  Comune  di  Roma  -  Dipartimento  IX,
politiche  di  attuazione  degli  strumenti  urbanistici  -  V.  U.O.
attuazione adempimenti connessi alla subdelega regionale  in  materia
di Demanio  marittimo,  con  il  quale  gli  era  stato  ingiunto  il
pagamento di euro 64.628,13 a titolo di  indennizzo,  determinato  ai
sensi dell'art. 1, comma 257, legge finanziaria 27 dicembre 2006,  n.
296, riferito  al  periodo  1°  gennaio  2002-31  dicembre  2007  per
concessione demaniale marittima scaduta il 31 dicembre 2001, relativa
al mantenimento di  una  cabina  balneare  ad  uso  residenza  estiva
sull'area demaniale marittima sita in Ostia Lido. 
    1.1. Il provvedimento sanzionatorio del Comune di Roma contestava
la realizzazione di opere inamovibili in  totale  assenza  di  titolo
abilitativo. Lo Spagnoli eccepiva che la Capitaneria di porto di Roma
(Ministero dei trasporti) in data 18 febbraio 1999  aveva  rilasciato
concessione n. 100 alla sua dante causa, Anna  Maria  Scagnetti,  per
mantenere  un  cottage  (precedentemente  costruito  dalla   societa'
Maresole all'interno di uno  stabilimento  balneare),  uso  residenza
estiva senza possibilita' di pernottamento, a partire dal 1°  gennaio
1998 fino al  31  dicembre  2001.  In  data  18  novembre  2004  (con
protocollo n. 91737/2004)  l'Agenzia  delle  dogane  rilasciava  alla
Scagnetti espressa autorizzazione postuma al mantenimento dell'intero
manufatto, ai sensi e  per  gli  effetti  dell'art.  19  del  decreto
legislativo 8 novembre 1990, n. 374; con determinazione  dirigenziale
n. 71 del 20 gennaio 2005 il Comune di Roma autorizzava lo Spagnoli a
subentrare nella concessione demaniale relativa al  mantenimento  del
cottage. Di detta concessione  lo  Spagnoli  procedeva  a  richiedere
ulteriore rinnovo per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il
31  dicembre  2013,  senza  tuttavia  ottenere  alcuna  risposta  ne'
provvedimento dal Comune di Roma. 
    1.1.1. Alla luce delle  predette  vicende,  l'odierno  ricorrente
chiedeva in via principale l'annullamento del provvedimento impugnato
e, in via subordinata, la riduzione dell'importo  della  sanzione  in
ragione del principio di irretroattivita' applicabile alla  legge  n.
296/2006, in virtu'  della  quale  era  stato  determinato  l'importo
dell'indennizzo, in  quanto  entrata  in  vigore  successivamente  al
periodo individuato dall'amministrazione come di occupazione abusiva. 
    1.2. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6078 pubblicata il  17
marzo 2015, rigettava la  domanda  dello  Spagnoli,  riconoscendo  la
legittimita' del provvedimento impugnato. 
    2.  Avverso  detta   sentenza   interponeva   gravame   l'odierno
ricorrente dinanzi alla Corte d'appello  di  Roma,  la  quale  -  con
sentenza n. 7244/2018 - rigettava l'appello, condannando lo  Spagnoli
al pagamento delle spese di lite. A sostegno della sua decisione,  il
giudice distrettuale sosteneva che: 
        a) l'occupazione del bene di cui e' causa  deve  considerarsi
sine titulo in quanto: 
          l'atto di  concessione  dell'area  demaniale  marittima  n.
100/1999, scaduto il 31  dicembre  2001  va  riferito  all'originaria
licenza edilizia n. 63 rilasciata alla societa' Maresole nel 1957 dal
Comune  di  Roma,  nella  quale  si   prevedeva   esclusivamente   la
realizzazione di uno stabilimento balneare  con  presenza  di  cabine
cottages  per   l'utilizzo   unicamente   estivo   con   divieto   di
pernottamento. L'atto in questione, pacificamente scaduto,  non  puo'
essere interpretato estensivamente, non puo' ne' ritenersi  prorogato
nel tempo ne' tantomeno ampliato nel suo contenuto tipico, stante  il
fatto che risultano realizzate rilevanti modificazioni  di  carattere
edilizio che hanno mutato l'assetto edilizio-urbanistico dell'area in
maniera irreversibile quali, a titolo  esemplificativo:  sostituzioni
di  strutture  amovibili  in  legno  con  manufatti  inamovibili   in
muratura, realizzazione di tettoie e  pavimentazioni,  demolizioni  e
rifacimento di tramezzature, trasformazione della destinazione  d'uso
della cabina balneare in edificio adibito ad abitazione civile; 
          la  cosiddetta  «autorizzazione  postuma»  rilasciata   del
direttore della circoscrizione - Sezione doganale (prot. n. 91737 del
18 novembre 2004) non spiega alcun effetto ai fini del rilascio della
concessione  dell'area  demaniale,   ne'   puo'   considerarsi   atto
equipollente alla proroga della  stessa,  essendo  stata  emanata  da
un'autorita' diversa tanto dall'Agenzia  del  demanio,  titolare  del
bene, quanto dal Comune di Roma, da quest'ultima delegato in qualita'
di gestore del rapporto concessorio; 
          neppure puo' ritenersi avere avuto  efficacia  modificativa
dell'originario   provvedimento   concessorio    la    determinazione
dirigenziale del 20 gennaio 2005 che ha  autorizzato  il  subingresso
dello  Spagnoli  alla  Scagnetti  in  quanto,  benche'  trattasi   di
provvedimento  effettivamente  connotato  da  ambiguita',  esso   non
risulta ne' aver prorogato la  concessione  del  bene  pubblico,  ne'
averne ampliato l'oggetto; 
          infine, gli abusi edilizi realizzati appaiono  di  per  se'
insuscettibili di sanatoria ex art. 33, legge 28 febbraio 1985, n. 47
(sul c.d. condono edilizio), giacche'  l'erezione  del  manufatto  su
area demaniale ne determina l'appartenenza  a  questa  in  forza  del
generale principio dell'accessione ex  art.  934  del  codice  civile
(Cassazione, sezione 2, n. 2528 del  31  gennaio  2017),  applicabile
anche ai beni demaniali, ed integra una causa  ostativa  al  rilascio
della concessione in sanatoria; 
        b) non ha pregio la doglianza  avente  ad  oggetto  l'erronea
applicazione al caso di specie dell'art. 1, comma 257 della legge  n.
296/2006, sul presupposto dell'asserita irretroattivita' della  legge
menzionata in quanto disciplina avente natura innovativa. Il  giudice
di seconde cure condivide,  invece,  quanto  chiarito  dal  Tribunale
riguardo al divieto di retroattivita': esso intanto non ha  copertura
costituzionale, ad eccezione che in materia penale, cosicche' e'  del
tutto legittimo che la legge finanziaria n. 296/2006,  avente  natura
interpretativa, applichi  retroattivamente  misure  sanzionatorie  in
virtu' delle quali l'indennizzo e' commisurato al canone  di  mercato
in caso di occupazione abusiva di  un  bene  demaniale,  quando  essa
consiste  -  come  nella  specie  -  nella  realizzazione  di   opere
inamovibili in difetto assoluto  di  titolo  abilitativo,  ovvero  in
presenza  di  titolo  abilitativo  che  per  il  suo   contenuto   e'
incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale. 
    3. Avverso la sentenza del giudice distrettuale proponeva ricorso
per cassazione Giulio Spagnoli,  affidandolo  a  quattro  motivi.  In
prossimita' dell'adunanza il ricorso veniva corredato da memoria. 
    Si difendeva Roma Capitale depositando  controricorso  illustrato
da memoria. 
    Depositava altresi' controricorso l'Agenzia del demanio. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione  dell'art.
345 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 360,  comma
1, n. 4) del codice di procedura civile: si censura la  dichiarazione
di inammissibilita' del  documento  che  l'odierno  ricorrente  aveva
chiesto di depositare all'udienza di precisazione delle  conclusioni,
di formazione successiva all'introduzione del giudizio di appello, in
cui veniva riconosciuto dal direttore delle risorse idriche e  difesa
del suolo l'uso abitativo del complesso Maresole, nonche' la  carenza
di legittimazione passiva  (sostanziale)  del  Comune  di  Roma,  per
essere lo stesso privo di funzioni e competenze amministrative per le
concessioni del complesso Maresole  (spettanti  invece  alla  Regione
Lazio), avendo solo funzioni limitate a fini turistici e  ricreativi.
Alla corte distrettuale si rimprovera di aver ignorato  l'istanza  di
ammissione, senza aver avuto riguardo ne' al  carattere  sopravvenuto
del documento, ne' alla sua indispensabilita'. 
    2.  Con  il  secondo  motivo  si  deduce  violazione  e/o   falsa
applicazione degli articoli 32 e 38 della legge 28 febbraio 1985,  n.
47 (sul c.d. condono edilizio). Il ricorrente contesta l'affermazione
della corte distrettuale secondo la quale gli abusi edilizi sarebbero
insuscettibili di sanatoria per inapplicabilita' della disciplina  di
cui alla legge n. 47/1985, in quanto realizzati  su  area  demaniale.
Secondo il ricorrente, invece, l'art. 32 della legge  richiamata  non
considera ostativo al rilascio della sanatoria il fatto che gli abusi
insistano sul suolo pubblico, mentre l'art.  33  della  stessa  legge
stabilisce che le opere  non  suscettibili  di  sanatoria  sono  solo
quelle  realizzate  in  presenza  dei  vincoli,   da   cui   consegue
l'inedificabilita'  delle  aree.  In  ogni  caso,  la   dante   causa
dell'odierno ricorrente, aveva presentato domanda di  condono,  e  ai
sensi  dell'art.  38  della  legge  n.  47/1985  dal  momento   della
presentazione di istanza di condono fino alla  sua  definizione  sono
sospesi tutti gli eventuali procedimenti di repressione  degli  abusi
eventualmente esistenti. 
    3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'art.  1,  comma
257 della legge  n.  296/2006:  la  sentenza  impugnata  ha  ritenuto
applicabile al  rapporto  concessorio  per  cui  e'  causa  la  norma
menzionata, anziche' l'art. 8, decreto-legge 5 ottobre 1993,  n.  400
(convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494),
laddove detta norma, che commisura l'indennizzo ai valori di mercato,
era da ritenersi inapplicabile per l'insussistenza del presupposto di
legge, ossia che le opere fossero state realizzate su beni  demaniali
in difetto assoluto di titolo abilitativo, o di titolo  incompatibile
con  la  destinazione  e  disciplina  del   bene   demaniale.   Nella
prospettazione  del  ricorrente,  invece,   l'occupazione   dell'area
demaniale e il mantenimento in essere del  manufatto  ivi  insistente
erano stati espressamente autorizzati ad uso «residenza estiva» tanto
dall'Agenzia delle dogane (prot. n.  91737  del  18  novembre  2004),
quanto    dall'amministrazione    comunale,    che    -    volturando
l'autorizzazione  postuma  in  favore  dello  Spagnoli  -  dichiarava
espressamente la sanatoria  delle  difformita'  e  l'ottenimento,  da
parte di quest'ultimo, del subingresso  nella  concessione  demaniale
marittima. 
    4. Con  il  quarto  motivo  di  doglianza  si  deduce  violazione
dell'art. 1, comma 257 della legge n. 296/2006,  degli  articoli  31,
32, 35 e 38 della legge n. 47/1985, dell'art. 32 del decreto-legge n.
269/2003 (come convertito dalla legge n. 326/2003), nonche' dell'art.
3 della legge n. 212/2000, dell'art. 1 della legge n. 689/1981 e  dei
principi generali in  materia  di  irretroattivita'  della  normativa
sanzionatoria. Il ricorrente censura il capo della sentenza impugnata
nella  parte  in  cui  ha  ritenuto  applicabile  alla  richiesta  di
indennizzo avanzata dal Comune di Roma  l'art.  1,  comma  257  della
legge finanziaria n.  296/2006,  seppure  entrata  in  vigore  il  1°
gennaio 2007 e, dunque, anche con riferimento  al  periodo  di  tempo
compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 31 dicembre  2006,  rispetto  al
quale la  norma  non  avrebbe  dovuto  trovare  applicazione  ratione
temporis. L'applicazione retroattiva della legge in  esame,  prosegue
il ricorrente, e' stata giustificata  dalla  corte  distrettuale  sul
presupposto  che  il  principio  di  irretroattivita'   non   avrebbe
copertura  costituzionale,  ad  eccezione   della   materia   penale.
Attribuendo portata interpretativa alla norma in questione, la  corte
d'appello ha ritenuto legittima  la  commisurazione  retroattiva  del
canone di indennizzo ai prezzi di mercato. Nella  prospettazione  del
ricorrente, invece, il secondo periodo della disposizione  menzionata
non avrebbe portata  interpretativa,  bensi'  innovativa,  e  sarebbe
percio' contraria sia all'art.  3,  legge  27  luglio  2000,  n.  212
(qualora si volesse attribuire natura tributaria all'indennizzo), sia
all'art. 1, legge 24  novembre  1981,  n.  689  (qualora  si  volesse
attribuire valore di sanzione amministrativa all'indennizzo), poiche'
entrambe   espressamente   vietano    l'imposizione    di    sanzioni
rispettivamente tributarie  e  amministrative  attraverso  leggi  che
operino retroattivamente. 
    5. La questione centrale del  contenzioso,  ossia  l'applicazione
retroattiva al caso in esame  dei  nuovi  criteri  di  determinazione
dell'indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di  opere
inamovibili sul demanio marittimo, in virtu' del  disposto  dell'art.
1, comma 257, secondo periodo della legge finanziaria n. 296/2006, e'
affidata al quarto motivo di ricorso che, a giudizio del collegio per
le ragioni appresso esposte, autorizza questa corte a  sospendere  il
giudizio per sollevare questione di legittimita' costituzionale. 
    6. Preliminarmente, al fine di verificare  la  rilevanza  per  il
presente giudizio della questione di legittimita' costituzionale  che
si intende proporre, occorre  chiarire  le  questioni  sollevate  dal
terzo e quarto motivo del ricorso. 
    6.1. Il ricorrente  non  ha  censurato  l'accertamento  di  fatto
operato dai giudici di merito, a tenore del quale il manufatto di cui
e' causa risulta trasformato in edificio adibito a civile abitazione,
in luogo dell'originaria destinazione d'uso in cabina cottagebalneare
con divieto di  pernottamento  e  di  utilizzazione  abitativa,  come
risultava dal contenuto originario della licenza edilizia. 
    6.1.1. Sulla scorta  di  tale  premessa,  il  collegio  condivide
l'opinione della corte distrettuale nella parte in cui ha qualificato
come abusivo il manufatto in difetto assoluto di titolo  abilitativo.
Questa corte ha gia' avuto modo di affermare che  le  costruzioni  su
terreni demaniali non sono suscettibili di sanatoria  a  norma  degli
articoli 31 e seguenti della legge n. 47/1985, in quanto parte  dello
stesso terreno demaniale, per il principio  generale  dell'accessione
ex art. 934  del  codice  civile,  cui  non  si  sottraggono  i  beni
demaniali  (Cassazione,  sezione  2,  31  gennaio  2017,   n.   2528;
Cassazione, sezioni unite n. 427/1988: Cassazione n.  9476/1995).  Ne
consegue la sussistenza del presupposto  (totale  assenza  di  titolo
edilizio) sul quale la disciplina della legge  finanziaria  fonda  la
debenza dell'indennizzo e, pertanto, l'infondatezza del secondo e del
terzo motivo di ricorso, in quanto entrambi  censurano  la  pronuncia
impugnata nella parte in cui ha ritenuto che  gli  interventi  per  i
quali era stata presentata domanda di condono fossero ne'  dotati  di
titolo abilitativo ne' suscettibili di sanatoria. 
    7.  Chiarita  la  sussistenza  dei  presupposti  di   legge   per
l'applicazione della disposizione censurata,  il  Collegio  evidenzia
che, ove il dubbio  di  legittimita'  costituzionale  fosse  accolto,
l'art. 1, comma 257 secondo periodo, legge  finanziaria  n.  296  del
2006 - che predetermina l'esito  della  lite  -  benche'  applicabile
dalla data di entrata in vigore  (1°  gennaio  2007)  -  non  sarebbe
utilizzabile nel procedimento in  corso,  il  quale  dovrebbe  essere
definito con l'applicazione della precedente regola di giudizio. 
    8. Tanto premesso, come anticipato,  il  nucleo  della  questione
emergente dal quarto motivo del ricorso (e ribadita in memoria: p. 6,
punto 3.) consiste nello stabilire se il secondo  periodo  del  comma
257 dell'art. 1, legge finanziaria n.  296/2006,  in  vigore  dal  1°
gennaio 2007, debba considerarsi  norma  innovativa  -  come  appunto
sostiene  il  ricorrente  -  e,   di   conseguenza,   debba   trovare
applicazione solo a decorrere dalla data della sua entrata in vigore,
lasciando  impregiudicati  i  precedenti  criteri  di  determinazione
dell'indennizzo, con riferimento al periodo di tempo compreso tra  il
1° gennaio 2002 e il 31 dicembre 2006, rinvenibili  nell'art.  8  del
decreto-legge n. 400 del 1993. 
    8.1.  La   pretesa   del   ricorrente   di   affermare   la   non
applicabilita', al caso di specie, del  nuovo  sistema  sanzionatorio
predisposto  dalla  disposizione  sopra  menzionata,  trova  ostacoli
insuperabili nella formulazione letterale e complessiva della  norma.
Ritiene, pertanto, questa corte che si  ponga,  in  riferimento  agli
articoli 3, 23, 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi  1  e  2,  117,
comma  1  della  Carta  costituzionale,  quest'ultimo  in   relazione
all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), un
dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 257, secondo
periodo, della legge finanziaria n. 296 del 2006, nella parte in  cui
introduce  nuovi  criteri  di  determinazione   dell'indennizzo   per
realizzazione abusiva, ovvero  difforme,  di  opere  inamovibili  sul
demanio marittimo, parametrati ai valori di mercato e non ai  criteri
legislativi di cui al combinato disposto degli articoli  3  e  8  del
decreto-legge  n.  400  del   1993.   La   complessiva   liquidazione
indennitaria   derivante    dall'applicazione    retroattiva    della
disposizione   censurata   risulta,   infatti,   lesiva   di   valori
costituzionali (giusto processo, stabilita' e certezza  dei  rapporti
giuridici     patrimoniali,     rispetto      delle      attribuzioni
costituzionalmente riservate al potere giudiziario, parita'  di  armi
nelle reciproche posizioni  del  rapporto  debito-credito  tra  parte
privata  e  Stato),  non  sussistendo   giustificazioni   ragionevoli
all'intervento legislativo retroattivo. 
    9. Questa corte ha gia' avuto occasione di  affermare  la  natura
interpretativa  del  primo  periodo  della  disposizione   in   esame
(Cassazione, sezione 3, n. 16491 del 20 giugno 2017, conf. ex  multis
di recente da: Cassazione  n.  29771  del  2020,  Rv.  660153  -  01;
Cassazione n. 16491  del  2017,  Rv.  644817  -  01),  rispetto  alle
precedenti   norme   contenenti   i   criteri    di    determinazione
dell'indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di  opere
inamovibili sul demanio marittimo. 
    La questione di cui si discute in questa sede e', invece,  se  la
natura interpretativa del comma in esame si estenda anche al  secondo
periodo della medesima norma, cosi'  risolvendosi  nell'(illegittima)
applicazione retroattiva (nel caso di specie, relativa al periodo  di
occupazione abusiva compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 31  dicembre
2006) della disposizione ivi contenuta, per la  quale  i  criteri  di
calcolo dell'indennizzo per occupazione sine titulo,  ovvero  per  la
realizzazione di manufatto difforme su beni  del  demanio  marittimo,
sono  commisurati  ai  valori  di  mercato,  anziche'   a   parametri
predeterminati dalla legge, ex art. 8, comma 1 del  decreto-legge  n.
400/1993 (vigente ratione temporis). 
    9.1. La ricaduta della soluzione al quesito enunciato  coinvolge,
a  giudizio  del  collegio,  la  stessa  legittimita'  costituzionale
dell'applicazione retroattiva di una disposizione - quale  quella  in
esame - che contiene condizioni  modificative  della  debenza  dovuta
dall'odierno ricorrente per l'uso esclusivo ma illegittimo  del  bene
pubblico a beneficio del privato cittadino, in  quanto  agganciata  a
parametri indeterminati (valore di mercato) e riferiti  a  violazioni
antecedenti all'entrata in vigore della norma. 
    10. Come anticipato in parte  narrativa  (punto  2-b),  la  corte
territoriale, nella pronuncia impugnata, confermando  l'opinione  del
primo  giudice,   sul   presupposto   della   natura   interpretativa
dell'intera norma in esame, e sul presupposto della mancata copertura
costituzionale del  principio  di  irretroattivita'  delle  leggi  in
materia amministrativa, si e' espressa in favore  della  legittimita'
dell'applicazione retroattiva della disposizione censurata. 
    10.1. A sostegno  della  tesi,  il  giudice  distrettuale  si  e'
riportato a quanto affermato dalla Corte costituzionale  su  un  tema
confinante, riguardante la dedotta illegittimita' costituzionale  del
comma 251 della medesima legge finanziaria n.  296/2006,  applicabile
anche rispetto a rapporti giuridici di durata, benche' in vigore  dal
1° gennaio 2007, contenente un nuovo criterio di quantificazione  del
canone demaniale marittimo, determinato moltiplicando  la  superficie
complessiva del manufatto per la media  dei  valori  mensili  unitari
minimi e massimi indicati dall'Osservatorio del  mercato  immobiliare
per la zona di riferimento,  nonche'  moltiplicando  l'importo  cosi'
ottenuto per  un  coefficiente  pari  a  6,5  (Corte  costituzionale,
sentenza n. 302 del 22 ottobre 2010). Le  questioni  di  legittimita'
costituzionale sollevate in quell'occasione dal Tribunale di  Sanremo
rimettente erano sostanzialmente  legate  al  fatto  che  il  «nuovo»
canone  demaniale  non   sarebbe   piu'   predeterminato   con   atto
legislativo,  ma  rimesso  alle  valutazioni  dell'Osservatorio   del
mercato immobiliare (OMI), al  pari  di  corrispondenti  immobili  di
proprieta' privata. In detta occasione, sottolinea la Corte d'appello
di Roma, la consulta  aveva  dichiarato  infondata  la  questione  di
legittimita' del comma 251 esprimendo principi valevoli  anche  nella
fattispecie in esame, ossia  il  contenimento  della  spesa  pubblica
degli enti locali e la tutela  del  patrimonio  dello  Stato  (v.  in
precedenza Corte costituzionale, sentenza n. 376 del 2004). 
    10.2. Sul tema della pretesa irretroattivita' del comma 257, art.
1, legge finanziaria n. 296 del  2006,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato intervenuta in  difesa  dell'Agenzia  del  demanio  (p.  9  del
controricorso), nonche' la difesa di Roma Capitale (p. 6, punto 4 del
controricorso; p. 4, punto 4 della memoria difensiva) negano entrambe
la natura  stessa  di  sanzione  amministrativa  (ovvero  tributaria)
dell'indennizzo di cui  alla  norma  menzionata:  si  tratterebbe,  a
giudizio  delle  controricorrenti,   di   una   forfetizzazione   del
risarcimento del danno spettante all'erario a tutela del  diritto  di
proprieta' (pubblica).  Tale  interpretazione,  proseguono  i  contro
ricorrenti, sarebbe avallata dall'ultimo inciso della disposizione in
esame, che recita: «... ferma restando  l'applicazione  delle  misure
sanzionatone vigenti ...». 
    11. Ai fini della comprensione del significato  e  della  portata
delle norme coinvolte,  e'  opportuno  trascriverne  integralmente  i
testi delle norme oggetto di esame. 
    Art. 1, comma  257,  legge  finanziaria  n.  296  del  2006:  «Le
disposizioni di cui all'art. 8 del decreto-legge 5 ottobre  1993,  n.
400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre  1993,  n.
494, e successive modificazioni, si interpretano  nel  senso  che  le
utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione
di beni demaniali marittimi e relative pertinenze.  Qualora,  invece,
l'occupazione  consista  nella  realizzazione  sui   beni   demaniali
marittimi  di  opere  inamovibili  in  difetto  assoluto  di   titolo
abilitativo o in presenza  di  titolo  abilitativo  che  per  il  suo
contenuto e' incompatibile con la destinazione e disciplina del  bene
demaniale, l'indennizzo dovuto e' commisurato ai valori  di  mercato,
ferma restando l'applicazione delle misure sanzionatone vigenti,  ivi
compreso il ripristino dello stato dei luoghi». 
    Decreto-legge  5  ottobre  1993,  n.  400  (Disposizioni  per  la
determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime,
convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993,  n.  494  e
successive modificazioni), art. 8: «1.  A  decorrere  dal  1990,  gli
indennizzi  dovuti  per  le  utilizzazioni  senza  titolo  dei   beni
demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze
del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi  dal  titolo
concessorio, sono determinati in misura pari  a  quella  che  sarebbe
derivata   dall'applicazione   del   presente   decreto,   maggiorata
rispettivamente del duecento per cento e del  cento  per  cento».  La
misura del canone annuo  per  le  utilizzazioni  dei  beni  demaniali
marittimi  e'  a  sua  volta   determinata,   in   applicazione   del
decreto-legge n. 400 del 1993, dalle dettagliate indicazioni di legge
ex art. 3, comma 1. 
    11.1. La formulazione letterale del primo inciso del  comma  257,
art. 1, legge finanziaria n. 296  del  2006,  auto-qualifica  il  suo
tenore interpretativo con riferimento all'applicabilita' dell'art.  8
anche alla «mera  occupazione»:  ne  deriva  che  il  significato  di
«utilizzazioni senza titolo»,  ovvero  «utilizzazioni  difformi»  dei
beni demaniali marittimi, di  zone  del  mare  territoriale  e  delle
pertinenze del demanio marittimo di cui all'art. 8, decreto-legge  n.
400 del 1993, si estende anche alle mere  occupazioni  temporanee  di
opere esistenti e amovibili. 
    11.2.  Il  secondo   periodo   della   disposizione   in   esame,
indirizzandosi alla realizzazione sui  beni  demaniali  marittimi  di
opere inamovibili in difetto assoluto  di  titolo  abilitativo  o  in
presenza di titolo abilitativo difforme, introduce nuovi  criteri  di
determinazione dell'indennizzo, commisurati  ai  valori  di  mercato,
anziche' utilizzare i criteri legislativi espressi nel  decreto-legge
n. 400 del 1993, in virtu'  dei  quali,  una  volta  quantificato  il
canone  annuo  (sulla  base  di  coefficienti  specifici  dettagliati
nell'art. 3 dello stesso decreto-legge n. 440 del 1993),  il  quantum
dell'indennizzo si ricava moltiplicando il canone cosi' ottenuto  per
il duecento per cento, nel caso di occupazione abusiva; per il  cento
per cento nel caso di utilizzazione difforme. 
    11.3. Tanto precisato, il  collegio  condivide  l'interpretazione
proposta dai controricorrenti (supra, punto 10.2) che nega la  natura
stessa di sanzione amministrativa (ovvero tributaria)  all'indennizzo
di cui all'inciso  in  parola.  La  natura  di  entrata  patrimoniale
riconducibile ad una prestazione di tipo privatistico,  accessoria  e
collegata al conseguimento di un canone di occupazione, che coinvolge
diritti  soggettivi  a  contenuto  patrimoniale,  si  ricava  da  una
consolidata linea argomentativa espressa in piu' occasioni da  questa
corte, divenuta ormai «diritto vivente» (cosi'  Corte  costituzionale
n. 64 del 2008), in  tema  di  riparto  di  giurisdizione  ordinaria,
amministrativa e tributaria, in virtu' della  quale  le  controversie
aventi  contenuto  meramente  patrimoniale,  e  aventi   ad   oggetto
l'obbligo del pagamento di un canone  per  l'utilizzazione  di  suolo
pubblico, senza che assuma rilievo il potere d'intervento della  P.A.
a   tutela   di   interessi   generali   o   comunque    di    natura
discrezionale-valutativa, non  hanno  natura  tributaria,  e  restano
assegnate al giudice ordinario (cfr. ex plurimis: Cassazione, sezione
U, ordinanza n. 21950 del 2015; Cassazione, sezione  U,  sentenza  n.
23591 del 27 ottobre 2020, Rv. 659447 - 01; Cassazione, sezione 5, n.
582/2017; Cassazione, sezione 5, n. 31331/2019).  Esclusa  la  natura
tributaria del canone di occupazione, neanche puo'  attribuirsi  tale
qualificazione  alla  prestazione  accessoria,  ossia  all'indennizzo
previsto dalla disposizione in esame. 
    11.4. In quanto attribuzione patrimoniale comunque  sottratta  al
potere di intervento discrezionale dell'amministrazione, l'indennizzo
di cui si discute non ha neanche natura di  sanzione  amministrativa.
Sulla scorta di una giurisprudenza consolidata in tema  di  pagamento
del canone derivante  da  rapporto  concessorio  (Cosap:  Cassazione,
sezione n. 7188 del 4 marzo 2022; Cassazione, sezione 5, sentenza  n.
24541 del 2 ottobre 2019, Rv. 655480  -  01;  sul  rapporto  di  tipo
paritario tra  P.A.  concedente  e  concessionario  del  bene  o  del
servizio pubblico secondo lo schema obbligo-pretesa, cfr. Cassazione,
sezione U, sentenza n. 21545 del 18 settembre 2017, Rv. 645317 -  01,
in motivazione; Cassazione, sezione U,  ordinanza  n.  14864  del  28
giugno 2006, Rv. 590190 - 01)  e  concessione  di  servizio  pubblico
(Cassazione, sezione U,  27  novembre  2019,  n.  31029;  Cassazione,
sezione U, 18 dicembre 2019, n. 33691; 8 luglio 2019,  n.  33691;  18
dicembre 2018, n. 32728; si veda  anche  Cassazione,  sezione  U,  28
ottobre 2021, n. 30580), l'occupazione  generica  di  suolo  pubblico
rientra pienamente  nella  tipologia  di  prestazione  per  la  quale
l'utilizzatore e' tenuto al pagamento di una  prestazione  pecuniaria
legata ad un rapporto che esplica  effetti  di  natura  privatistica,
posto che la natura pubblica del  suolo  occupato  non  incide  sulla
qualificazione del rapporto instaurato. Ebbene, se cio' vale  per  il
conseguimento del canone per l'occupazione, ossia per la  prestazione
principale connessa al mero utilizzo del suolo  pubblico,  lo  stesso
non puo' non valere anche per una prestazione accessoria  alla  prima
collegata, laddove la pretesa  -  come  nel  caso  che  ci  occupa  -
consista  nell'indennita'  da  abusiva  occupazione  (Cassazione   n.
1435/2018, in  motivazione,  per  la  quale  l'indennita'  in  parola
costituisce credito diverso dal canone di concessione COSAP). 
    11.5.  In  definitiva,  si  tratta  pur  sempre  di  controversie
relative   alla   fase    esecutiva    del    rapporto,    successiva
all'aggiudicazione della  concessione  di  bene  (come  di  servizio)
pubblico. A conferma della natura indennitaria in regime privatistico
dell'indennizzo in questione, milita in effetti l'inciso della  norma
di cui e' causa evidenziato dai  controricorrenti,  il  quale  rinvia
alle sanzioni previste in norme di settore, quali  in  particolare  -
oltre  alla  demolizione  dell'opera  abusiva  e  il  ripristino  del
ripristino dell'area ex art. 54 del codice della navigazione,  oppure
ex art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001,
n. 380 (testo unico dell'edilizia) in vigore dal 1° gennaio 2002 - le
sanzioni penali previste dal codice della navigazione (art. 1161). 
    11.6. Esclusa la natura di sanzione tributaria  o  amministrativa
dell'indennizzo   in   questione,   il   collegio    non    condivide
l'argomentazione del ricorrente, il quale sostiene l'irretroattivita'
della disposizione in questione  sul  presupposto  della  sua  natura
innovativa, e non  interpretativa.  Il  significato  letterale  delle
parole  utilizzate,  la  connessione  di  esse  e  l'intenzione   del
legislatore, convogliano l'interprete verso una  lettura  che  milita
nel  senso  del  tenore  interpretativo  di  tutte  le   disposizioni
contenute nella  norma  in  esame,  e  della  correlata  applicazione
retroattiva  di  esse.  L'incipit  del  comma  257,  art.  1,   legge
finanziaria  n.  296/2006   enuncia   inequivocabilmente   lo   scopo
interpretativo della norma (Le disposizioni di  cui  all'art.  8  del
decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con  modificazioni,
dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive  modificazioni,  si
interpretano nel senso che ...); mentre ci dice che le  utilizzazioni
contemplate  nell'art.  8,  decreto-legge  n.  400  del  1993  devono
includere anche la mera occupazione di  beni  demaniali  marittimi  e
relative pertinenze, l'urgenza interpretativa enunciata si  spinge  a
chiarire che, invece, la realizzazione sui beni  demaniali  marittimi
di opere inamovibili - in difetto assoluto di titolo abilitativo o in
presenza  di  titolo  abilitativo  difforme  -  saranno  soggette   a
richieste di indennizzo commisurato ai valori di mercato. 
    Inserito nel contesto della legge finanziaria del 2007, il  comma
in parola si lega alla disciplina  evolutiva  dell'utilizzazione  dei
beni demaniali tendente ad avvicinare i  loro  valori  a  quelli  del
mercato, che si oppone alla concezione  statica,  agganciata  ad  una
valutazione tabellare e astratta del valore dei beni. Emerge, dunque,
anche  dall'inciso  che  ci  occupa,  l'intenzione  del   legislatore
inserita nel solco della «valorizzazione dei beni pubblici, che  mira
ad una loro maggiore redditivita' per lo Stato, vale a  dire  per  la
generalita' dei cittadini, diminuendo  proporzionalmente  i  vantaggi
dei soggetti particolari che  assumono  la  veste  di  concessionari»
(Corte costituzionale sentenza n. 302 del 2010). 
    11.7. Se la formulazione della norma in questione non pone nessun
dubbio di legittimita' per l'applicazione a partire dal momento della
sua entrata in vigore, sottraendosi al sindacato giudiziale in merito
all'opportunita'  della  scelta  legislativa  o   tanto   meno   alla
congruita' delle determinazioni  patrimoniali  indennitarie,  diverse
considerazioni sono dovute in questa sede riguardo  la  scelta  della
retroattivita' delle disposizioni in essa contenute. Non  rilevandosi
questioni   tecniche   o   contrasti    giurisprudenziali    relativi
all'applicazione della precedente modalita'  di  quantificazione  dei
canoni di concessione e dei relativi indennizzi (come prevista  dagli
articoli 3 e 8 del decreto-legge n. 400 del 1993); esclusa, altresi',
la  necessita'  di  ripianare   precedenti   sperequazioni   mediante
l'intervento  retroattivo  dei  nuovi   criteri   di   determinazione
dell'indennizzo, il collegio ritiene  che  la  mera  opportunita'  di
adeguare rapidamente e persino a  ritroso  la  gestione  del  demanio
marittimo alle nuove tendenze di un'economia dinamica  e  di  mercato
nell'interesse della collettivita' sottragga la norma in questione al
dubbio di manifesta infondatezza, rispetto alla questione di aderenza
della norma al dettato costituzionale. In  altri  termini:  la  ratio
sottesa alla promulgazione del comma 257, art. 1,  legge  finanziaria
n. 296 del 2006 - il contenimento della  spesa  pubblica  degli  enti
locali e la tutela del patrimonio dello Stato - non si ritiene sia di
per se' idonea a bilanciare la compressione valori  costituzionali  e
di diritti  appartenenti  al  privato  cittadino  rispetto  al  quale
sussistano i presupposti di applicazione  (retroattiva)  della  norma
citata. 
    11.8. E' pur vero che ben puo' il legislatore conferire -  con  i
limiti piu' volte precisati dalla Corte costituzionale:  v.  infra  -
efficacia  retroattiva  ad  una  legge,  anche   se   essa   non   si
auto-qualifichi, ne' sia,  di  interpretazione  autentica  (v.  Corte
costituzionale, sentenze n. 376 del 2004, cit.; n. 36  del  1985;  n.
123 del 1988). La circostanza che una disposizione, a dispetto  della
propria   auto-qualificazione,   non   abbia   in   realta'    natura
interpretativa, puo' essere sintomo dell'uso improprio della funzione
legislativa di interpretazione autentica: non la rende per cio'  solo
costituzionalmente illegittima ma, tuttavia, incide sull'ampiezza del
sindacato che la Corte costituzionale deve effettuare sulla norma  in
ragione della sua retroattivita'. L'(eventuale)  erroneita'  di  tale
auto-qualificazione puo' costituire, cioe', un indice, sia  pure  non
dirimente, della sua irragionevolezza quanto alla retroattivita'  del
novum introdotto, nel contesto del bilanciamento di valori sotteso al
giudizio di costituzionalita' che abbia ad oggetto norme  retroattive
(Corte costituzionale sentenze n. 145 del 13 giugno 2022; n. 133  del
2020; n. 108 del 2019; n. 73 del 2017; n. 103 del  2013;  n.  41  del
2011). 
    11.9. Ne' a siffatta interpretazione della disposizione in  esame
e' di ostacolo il principio secondo cui la norma  di  interpretazione
autentica puo' essere adottata solo per ovviare ad una situazione  di
grave incertezza normativa (ex plurimis: Corte costituzionale n.  156
del 2014; Corte costituzionale n. 15 del 2012) o  a  forti  contrasti
giurisprudenziali che diano luogo ad incertezze interpretative  della
norma (Corte costituzionale n. 271 del 2011), ovvero per  contrastare
un orientamento giurisprudenziale oppositivo rispetto a quanto voluto
dal legislatore, o ancora per assenza di sua autonomia che  la  rende
insuscettibile di applicazione autonoma (v. ricorso,  p.  19,  ultimo
capoverso). La Corte costituzionale sembra orientata nel senso  della
legittimita'   della   legge   interpretativa,   anche    innovativa,
retroattiva (Corte costituzionale n. 234 del 2007),  nell'ordinamento
costituzionale nazionale, con  l'unico  limite  dell'art.  25,  comma
secondo della Costituzione, in materia penale  -  nella  prospettiva,
pero', di preservazione dei principi di certezza  del  diritto  e  di
legittimo affidamento dei cittadini, da considerarsi come principi di
civilta' giuridica (Corte costituzionale sentenze n. 234 del 2007; n.
274 del  2006),  e  purche'  l'intervento  legislativo  sia  tale  da
garantire al  cittadino  interessato  una  compensazione  ragionevole
dello svantaggio arrecato. Al fine  di  risultare  costituzionalmente
legittima,   infatti,    l'esegesi    normativa    dovrebbe    essere
ragionevolmente  giustificata  da  motivi  imperativi  di   interesse
generale, di modo da bilanciare gli effetti retroattivi anche a danno
dei diritti acquisiti dai soggetti interessati (Corte  costituzionale
sentenze n. 191 del 2014, n. 170 del  2013).  In  sintesi:  i  limiti
generali all'efficacia retroattiva delle leggi,  al  di  fuori  della
materia penale, vanno individuati nei principi della  ragionevolezza,
della tutela del legittimo affidamento,  della  coerenza  e  certezza
dell'ordinamento e del rispetto delle attribuzioni costituzionalmente
riservate alla funzione giudiziaria (Corte  costituzionale,  sentenze
n. 145 del 10 maggio 2022; n. 210/2021; n. 78/2012; n. 209/2010). 
    11.10. Il tema della retroattivita' delle leggi  quale  principio
di civilta' giuridica, limitato dal  principio  di  ragionevolezza  e
bilanciamento di valori di pari rango, e' peraltro  affrontato  dalla
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU),
secondo cui seppure non e' precluso al legislatore disciplinare,  con
nuove disposizioni di  portata  retroattiva,  diritti  risultanti  da
leggi in vigore, tuttavia il principio della preminenza del diritto e
il concetto di equo processo sanciti dall'art. 6  ostano,  salvo  che
per imperative  ragioni  di  interesse  generale,  all'ingerenza  del
potere legislativo nell'amministrazione della giustizia  al  fine  di
influenzare l'esito giudiziario di una controversia  (Sentenze  Corte
EDU: 8 febbraio 2022, Ferrilli contro Italia, paragrafo 7; 30 gennaio
2020, Cicero e altri contro Italia, paragrafo  29;  24  giugno  2014,
Azienda agricola Silverfunghi sas e altri  contro  Italia,  paragrafo
76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo  47;  14
gennaio 2014, Montalto  e  altri  contro  Italia,  paragrafo  47;  14
febbraio 2014, Arras ed altri contro Italia; 7 giugno 2011,  Agra  ti
ed altri contro Italia, paragrafo 58). La stessa Corte  EDU  precisa,
inoltre, che le considerazioni di natura finanziaria non possono,  da
sole, autorizzare il potere  legislativo  a  sostituirsi  al  giudice
nella definizione delle controversie (ex plurimis, sentenze 15 aprile
2014, Stefanetti e altri contro Italia, paragrafi 38,  39;  29  marzo
2006, Scordino contro Italia, paragrafo 132; 31 maggio  2011,  Maggio
contro Italia, paragrafo 47). 
    12. A fronte di norme che dispongono per il passato, si impone la
verifica della sussistenza di motivi imperativi di interesse generale
e di rilievo costituzionale tali giustificare la  lesione  di  valori
costituzionalmente tutelati e compromessi dall'efficacia  retroattiva
della legge. A giudizio di questo  collegio,  l'art.  1,  comma  257,
secondo periodo, legge finanziaria n. 296 del 2006 non supera  questa
verifica: con la sua  portata  retroattiva  ha  compromesso  in  modo
irragionevole i valori di rilievo  costituzionale  individuabili  nel
legittimo affidamento dei destinatari della  regolazione  originaria,
nel principio di certezza e stabilita' dei  rapporti  giuridici,  nel
giusto processo e nelle attribuzioni costituzionalmente riservate  al
potere giudiziario (Corte costituzionale,  sentenze  n.  145  del  13
giugno 2022; n. 104/2022; n. 61/2022; n. 133/2020;  n.  108/2019;  n.
173/201). 
    12.1. La norma censurata violerebbe, dunque, gli articoli 3,  23,
24, comma 1, articoli 102, comma 1 e 111, comma  1  e  2,  117  della
Carta costituzionale. Non si ravvisa, infatti, un equo  bilanciamento
tra la sorpresa cui sono sottoposti  gli  utilizzatori  esclusivi  di
beni pubblici (seppure fruitori di manufatti abusivi ovvero  difformi
rispetto   all'originaria   concessione)   e   l'opportunita'   della
collettivita' di trarre - anche a ritroso  -  dai  beni  del  demanio
marittimo la  redditivita'  dinamica  del  mercato.  «I  soli  motivi
finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire  risorse
per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare  un
intervento legislativo  destinato  a  ripercuotersi  sui  giudizi  in
corso. In tal caso l'efficacia retroattiva della legge, finalizzata a
preservare l'interesse economico dello Stato che sia parte di giudizi
in corso, si pone in evidente e aperta frizione con il  principio  di
parita'   delle   armi   nel   processo   e   con   le   attribuzioni
costituzionalmente  riservate   all'autorita'   giudiziaria»   (Corte
costituzionale, sentenza n. 145 del 2022;  Corte  EDU,  Stefanetti  e
altri contro Italia, cit., paragrafo 39). Inoltre, la disposizione di
cui si discute immette  retroattivamente  nell'ordinamento  nazionale
una fattispecie di natura  indennitaria  destinata  a  comprimere  il
diritto dei singoli (ai quali  trovi  applicazione  quel  particolare
presupposto dettato dalla legge) ad  un  giusto  processo  presidiato
dall'art.  111,  comma  1   della   Costituzione,   senza   che   sia
individuabile un motivo imperativo di interesse  generale  -  diverso
dall'indubbia necessita' di contenimento della spesa  pubblica  degli
enti locali e dalla tutela del  patrimonio  dello  Stato  -  tale  da
bilanciare  adeguatamente  il  sacrificio  del  singolo  al   diritto
inviolabile, garantito dall'art. 24 della Costituzione, di  agire  in
giudizio a difesa dei  propri  diritti  ed  interessi  legittimi.  Di
conseguenza, essa altera i rapporti tra creditori, poiche'  crea  una
disparita' tra le parti (pubbliche e private), in  quanto  interviene
in pendenza di giudizio in cui  lo  Stato  e'  parte,  in  violazione
dell'art. 3 della Costituzione, all'interno di un rapporto che ha  ad
oggetto una prestazione patrimoniale rispetto alla quale sussiste  il
legittimo affidamento dei destinatari della  regolazione  originaria,
ex  art.  23  della  Costituzione,  cosi'  compromettendo  anche   il
principio di parita' delle armi del  processo  e  delle  attribuzioni
costituzionalmente  riservate  all'autorita'  giudiziaria,  garantito
dall'art. 102 della Costituzione. 
    12.2. Coordinando i principi costituzionali sopra richiamati  con
i principi contenuti nella CEDU, come interpretati  dalla  Corte  EDU
(supra, punto 11.10), il collegio ritiene che l'attuale  formulazione
dell'art. 1, comma 257 secondo periodo, legge finanziaria n. 296  del
2006 si pone in contrasto  con  gli  impegni  internazionali  assunti
dalla  Repubblica  riportati  nell'art.  117,   primo   comma   della
Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, che richiama
i principi del giusto processo, della  parita'  delle  armi  e  delle
attribuzioni riservate al potere giudiziario innanzi menzionate. 
 
                              P. Q. M. 
 
    La Corte suprema di cassazione,  visti  gli  articoli  134  della
Costituzione e  23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  dichiara
rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli  articoli
3, 23, 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi 1  e  2,  117,  comma  1
della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 257, secondo periodo della  legge  finanziaria  n.
296 del 2006, nella parte in cui prevede  l'applicazione  retroattiva
dei nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo per realizzazione
abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo,
parametrati ai  valori  di  mercato  e  non  ai  criteri  legislativi
espressi nel precedente decreto-legge n. 400 del 1993. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  del  giudizio  di  cassazione,  al  pubblico
ministero presso questa Corte ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
    Ordina,  altresi',   che   l'ordinanza   venga   comunicata   dal
cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
        Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
sezione civile, il 6 ottobre 2022. 
 
                        Il presidente: Manna