N. 155 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 ottobre 2023
Ordinanza del 13 ottobre 2023 della Corte di cassazione nel procedimento civile promosso da Spagnoli Giulio contro Roma Capitale e Agenzia del demanio. Demanio e patrimonio dello Stato e delle Regioni - Demanio marittimo - Interpretazione autentica dell'art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993, come convertito - Occupazione senza titolo dei beni demaniali, consistente nella realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili - Prevista applicazione retroattiva dei nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo "parametrati ai valori di mercato e non ai criteri legislativi espressi nel precedente D.L. n. 400 del 1993". - Legge 27 dicembre 2006, n. 296 ("Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)"), art. 1, comma 257, secondo periodo.(GU n.49 del 6-12-2023 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Seconda sezione civile Composta dagli illustrissimi signori magistrati: dott. Felice Manna - presidente; dott.ssa Rossana Giannaccari - consigliere; dott. Giuseppe Fortunato - consigliere; dott. Federico Rolfi - consigliere; dott.ssa Cristina Amato - consigliere relatore, ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria sul ricorso 38488-2019 proposto da: Spagnoli Giulio, elettivamente domiciliato in Roma, Lungotevere della Vittoria n. 9, presso lo studio dell'avvocato Giovanni Arieta, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato Carmine Alessandro Arieta; Ricorrente contro Roma Capitale, elettivamente domiciliata in Roma, via Tempio di Giove n. 21, presso lo studio dell'avvocato Luigi D'Ottavi, che la rappresenta e difende; Controricorrente nonche' contro Agenzia del demanio, domiciliata in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l'Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende; Controricorrente avverso la sentenza n. 7244/2018 della Corte d'appello di Roma, depositata il 16 novembre 2018; Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 6 ottobre 2022 dal consigliere Cristina Amato; Rilevato in fatto 1. Con atto notificato il 13 febbraio 2009, riassumendo il giudizio precedentemente introdotto dinanzi al T.A.R. Lazio che aveva dichiarato il proprio difetto di giurisdizione, Giulio Spagnoli impugnava dinanzi al Tribunale di Roma il provvedimento n. 71016 del 23 novembre 2007 emesso dal Comune di Roma - Dipartimento IX, politiche di attuazione degli strumenti urbanistici - V. U.O. attuazione adempimenti connessi alla subdelega regionale in materia di Demanio marittimo, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento di euro 64.628,13 a titolo di indennizzo, determinato ai sensi dell'art. 1, comma 257, legge finanziaria 27 dicembre 2006, n. 296, riferito al periodo 1° gennaio 2002-31 dicembre 2007 per concessione demaniale marittima scaduta il 31 dicembre 2001, relativa al mantenimento di una cabina balneare ad uso residenza estiva sull'area demaniale marittima sita in Ostia Lido. 1.1. Il provvedimento sanzionatorio del Comune di Roma contestava la realizzazione di opere inamovibili in totale assenza di titolo abilitativo. Lo Spagnoli eccepiva che la Capitaneria di porto di Roma (Ministero dei trasporti) in data 18 febbraio 1999 aveva rilasciato concessione n. 100 alla sua dante causa, Anna Maria Scagnetti, per mantenere un cottage (precedentemente costruito dalla societa' Maresole all'interno di uno stabilimento balneare), uso residenza estiva senza possibilita' di pernottamento, a partire dal 1° gennaio 1998 fino al 31 dicembre 2001. In data 18 novembre 2004 (con protocollo n. 91737/2004) l'Agenzia delle dogane rilasciava alla Scagnetti espressa autorizzazione postuma al mantenimento dell'intero manufatto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 19 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374; con determinazione dirigenziale n. 71 del 20 gennaio 2005 il Comune di Roma autorizzava lo Spagnoli a subentrare nella concessione demaniale relativa al mantenimento del cottage. Di detta concessione lo Spagnoli procedeva a richiedere ulteriore rinnovo per il periodo compreso tra il 1° gennaio 2008 e il 31 dicembre 2013, senza tuttavia ottenere alcuna risposta ne' provvedimento dal Comune di Roma. 1.1.1. Alla luce delle predette vicende, l'odierno ricorrente chiedeva in via principale l'annullamento del provvedimento impugnato e, in via subordinata, la riduzione dell'importo della sanzione in ragione del principio di irretroattivita' applicabile alla legge n. 296/2006, in virtu' della quale era stato determinato l'importo dell'indennizzo, in quanto entrata in vigore successivamente al periodo individuato dall'amministrazione come di occupazione abusiva. 1.2. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 6078 pubblicata il 17 marzo 2015, rigettava la domanda dello Spagnoli, riconoscendo la legittimita' del provvedimento impugnato. 2. Avverso detta sentenza interponeva gravame l'odierno ricorrente dinanzi alla Corte d'appello di Roma, la quale - con sentenza n. 7244/2018 - rigettava l'appello, condannando lo Spagnoli al pagamento delle spese di lite. A sostegno della sua decisione, il giudice distrettuale sosteneva che: a) l'occupazione del bene di cui e' causa deve considerarsi sine titulo in quanto: l'atto di concessione dell'area demaniale marittima n. 100/1999, scaduto il 31 dicembre 2001 va riferito all'originaria licenza edilizia n. 63 rilasciata alla societa' Maresole nel 1957 dal Comune di Roma, nella quale si prevedeva esclusivamente la realizzazione di uno stabilimento balneare con presenza di cabine cottages per l'utilizzo unicamente estivo con divieto di pernottamento. L'atto in questione, pacificamente scaduto, non puo' essere interpretato estensivamente, non puo' ne' ritenersi prorogato nel tempo ne' tantomeno ampliato nel suo contenuto tipico, stante il fatto che risultano realizzate rilevanti modificazioni di carattere edilizio che hanno mutato l'assetto edilizio-urbanistico dell'area in maniera irreversibile quali, a titolo esemplificativo: sostituzioni di strutture amovibili in legno con manufatti inamovibili in muratura, realizzazione di tettoie e pavimentazioni, demolizioni e rifacimento di tramezzature, trasformazione della destinazione d'uso della cabina balneare in edificio adibito ad abitazione civile; la cosiddetta «autorizzazione postuma» rilasciata del direttore della circoscrizione - Sezione doganale (prot. n. 91737 del 18 novembre 2004) non spiega alcun effetto ai fini del rilascio della concessione dell'area demaniale, ne' puo' considerarsi atto equipollente alla proroga della stessa, essendo stata emanata da un'autorita' diversa tanto dall'Agenzia del demanio, titolare del bene, quanto dal Comune di Roma, da quest'ultima delegato in qualita' di gestore del rapporto concessorio; neppure puo' ritenersi avere avuto efficacia modificativa dell'originario provvedimento concessorio la determinazione dirigenziale del 20 gennaio 2005 che ha autorizzato il subingresso dello Spagnoli alla Scagnetti in quanto, benche' trattasi di provvedimento effettivamente connotato da ambiguita', esso non risulta ne' aver prorogato la concessione del bene pubblico, ne' averne ampliato l'oggetto; infine, gli abusi edilizi realizzati appaiono di per se' insuscettibili di sanatoria ex art. 33, legge 28 febbraio 1985, n. 47 (sul c.d. condono edilizio), giacche' l'erezione del manufatto su area demaniale ne determina l'appartenenza a questa in forza del generale principio dell'accessione ex art. 934 del codice civile (Cassazione, sezione 2, n. 2528 del 31 gennaio 2017), applicabile anche ai beni demaniali, ed integra una causa ostativa al rilascio della concessione in sanatoria; b) non ha pregio la doglianza avente ad oggetto l'erronea applicazione al caso di specie dell'art. 1, comma 257 della legge n. 296/2006, sul presupposto dell'asserita irretroattivita' della legge menzionata in quanto disciplina avente natura innovativa. Il giudice di seconde cure condivide, invece, quanto chiarito dal Tribunale riguardo al divieto di retroattivita': esso intanto non ha copertura costituzionale, ad eccezione che in materia penale, cosicche' e' del tutto legittimo che la legge finanziaria n. 296/2006, avente natura interpretativa, applichi retroattivamente misure sanzionatorie in virtu' delle quali l'indennizzo e' commisurato al canone di mercato in caso di occupazione abusiva di un bene demaniale, quando essa consiste - come nella specie - nella realizzazione di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo, ovvero in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto e' incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale. 3. Avverso la sentenza del giudice distrettuale proponeva ricorso per cassazione Giulio Spagnoli, affidandolo a quattro motivi. In prossimita' dell'adunanza il ricorso veniva corredato da memoria. Si difendeva Roma Capitale depositando controricorso illustrato da memoria. Depositava altresi' controricorso l'Agenzia del demanio. Considerato in diritto 1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'art. 345 del codice di procedura civile, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4) del codice di procedura civile: si censura la dichiarazione di inammissibilita' del documento che l'odierno ricorrente aveva chiesto di depositare all'udienza di precisazione delle conclusioni, di formazione successiva all'introduzione del giudizio di appello, in cui veniva riconosciuto dal direttore delle risorse idriche e difesa del suolo l'uso abitativo del complesso Maresole, nonche' la carenza di legittimazione passiva (sostanziale) del Comune di Roma, per essere lo stesso privo di funzioni e competenze amministrative per le concessioni del complesso Maresole (spettanti invece alla Regione Lazio), avendo solo funzioni limitate a fini turistici e ricreativi. Alla corte distrettuale si rimprovera di aver ignorato l'istanza di ammissione, senza aver avuto riguardo ne' al carattere sopravvenuto del documento, ne' alla sua indispensabilita'. 2. Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli articoli 32 e 38 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (sul c.d. condono edilizio). Il ricorrente contesta l'affermazione della corte distrettuale secondo la quale gli abusi edilizi sarebbero insuscettibili di sanatoria per inapplicabilita' della disciplina di cui alla legge n. 47/1985, in quanto realizzati su area demaniale. Secondo il ricorrente, invece, l'art. 32 della legge richiamata non considera ostativo al rilascio della sanatoria il fatto che gli abusi insistano sul suolo pubblico, mentre l'art. 33 della stessa legge stabilisce che le opere non suscettibili di sanatoria sono solo quelle realizzate in presenza dei vincoli, da cui consegue l'inedificabilita' delle aree. In ogni caso, la dante causa dell'odierno ricorrente, aveva presentato domanda di condono, e ai sensi dell'art. 38 della legge n. 47/1985 dal momento della presentazione di istanza di condono fino alla sua definizione sono sospesi tutti gli eventuali procedimenti di repressione degli abusi eventualmente esistenti. 3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'art. 1, comma 257 della legge n. 296/2006: la sentenza impugnata ha ritenuto applicabile al rapporto concessorio per cui e' causa la norma menzionata, anziche' l'art. 8, decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494), laddove detta norma, che commisura l'indennizzo ai valori di mercato, era da ritenersi inapplicabile per l'insussistenza del presupposto di legge, ossia che le opere fossero state realizzate su beni demaniali in difetto assoluto di titolo abilitativo, o di titolo incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale. Nella prospettazione del ricorrente, invece, l'occupazione dell'area demaniale e il mantenimento in essere del manufatto ivi insistente erano stati espressamente autorizzati ad uso «residenza estiva» tanto dall'Agenzia delle dogane (prot. n. 91737 del 18 novembre 2004), quanto dall'amministrazione comunale, che - volturando l'autorizzazione postuma in favore dello Spagnoli - dichiarava espressamente la sanatoria delle difformita' e l'ottenimento, da parte di quest'ultimo, del subingresso nella concessione demaniale marittima. 4. Con il quarto motivo di doglianza si deduce violazione dell'art. 1, comma 257 della legge n. 296/2006, degli articoli 31, 32, 35 e 38 della legge n. 47/1985, dell'art. 32 del decreto-legge n. 269/2003 (come convertito dalla legge n. 326/2003), nonche' dell'art. 3 della legge n. 212/2000, dell'art. 1 della legge n. 689/1981 e dei principi generali in materia di irretroattivita' della normativa sanzionatoria. Il ricorrente censura il capo della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto applicabile alla richiesta di indennizzo avanzata dal Comune di Roma l'art. 1, comma 257 della legge finanziaria n. 296/2006, seppure entrata in vigore il 1° gennaio 2007 e, dunque, anche con riferimento al periodo di tempo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 31 dicembre 2006, rispetto al quale la norma non avrebbe dovuto trovare applicazione ratione temporis. L'applicazione retroattiva della legge in esame, prosegue il ricorrente, e' stata giustificata dalla corte distrettuale sul presupposto che il principio di irretroattivita' non avrebbe copertura costituzionale, ad eccezione della materia penale. Attribuendo portata interpretativa alla norma in questione, la corte d'appello ha ritenuto legittima la commisurazione retroattiva del canone di indennizzo ai prezzi di mercato. Nella prospettazione del ricorrente, invece, il secondo periodo della disposizione menzionata non avrebbe portata interpretativa, bensi' innovativa, e sarebbe percio' contraria sia all'art. 3, legge 27 luglio 2000, n. 212 (qualora si volesse attribuire natura tributaria all'indennizzo), sia all'art. 1, legge 24 novembre 1981, n. 689 (qualora si volesse attribuire valore di sanzione amministrativa all'indennizzo), poiche' entrambe espressamente vietano l'imposizione di sanzioni rispettivamente tributarie e amministrative attraverso leggi che operino retroattivamente. 5. La questione centrale del contenzioso, ossia l'applicazione retroattiva al caso in esame dei nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo, in virtu' del disposto dell'art. 1, comma 257, secondo periodo della legge finanziaria n. 296/2006, e' affidata al quarto motivo di ricorso che, a giudizio del collegio per le ragioni appresso esposte, autorizza questa corte a sospendere il giudizio per sollevare questione di legittimita' costituzionale. 6. Preliminarmente, al fine di verificare la rilevanza per il presente giudizio della questione di legittimita' costituzionale che si intende proporre, occorre chiarire le questioni sollevate dal terzo e quarto motivo del ricorso. 6.1. Il ricorrente non ha censurato l'accertamento di fatto operato dai giudici di merito, a tenore del quale il manufatto di cui e' causa risulta trasformato in edificio adibito a civile abitazione, in luogo dell'originaria destinazione d'uso in cabina cottagebalneare con divieto di pernottamento e di utilizzazione abitativa, come risultava dal contenuto originario della licenza edilizia. 6.1.1. Sulla scorta di tale premessa, il collegio condivide l'opinione della corte distrettuale nella parte in cui ha qualificato come abusivo il manufatto in difetto assoluto di titolo abilitativo. Questa corte ha gia' avuto modo di affermare che le costruzioni su terreni demaniali non sono suscettibili di sanatoria a norma degli articoli 31 e seguenti della legge n. 47/1985, in quanto parte dello stesso terreno demaniale, per il principio generale dell'accessione ex art. 934 del codice civile, cui non si sottraggono i beni demaniali (Cassazione, sezione 2, 31 gennaio 2017, n. 2528; Cassazione, sezioni unite n. 427/1988: Cassazione n. 9476/1995). Ne consegue la sussistenza del presupposto (totale assenza di titolo edilizio) sul quale la disciplina della legge finanziaria fonda la debenza dell'indennizzo e, pertanto, l'infondatezza del secondo e del terzo motivo di ricorso, in quanto entrambi censurano la pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto che gli interventi per i quali era stata presentata domanda di condono fossero ne' dotati di titolo abilitativo ne' suscettibili di sanatoria. 7. Chiarita la sussistenza dei presupposti di legge per l'applicazione della disposizione censurata, il Collegio evidenzia che, ove il dubbio di legittimita' costituzionale fosse accolto, l'art. 1, comma 257 secondo periodo, legge finanziaria n. 296 del 2006 - che predetermina l'esito della lite - benche' applicabile dalla data di entrata in vigore (1° gennaio 2007) - non sarebbe utilizzabile nel procedimento in corso, il quale dovrebbe essere definito con l'applicazione della precedente regola di giudizio. 8. Tanto premesso, come anticipato, il nucleo della questione emergente dal quarto motivo del ricorso (e ribadita in memoria: p. 6, punto 3.) consiste nello stabilire se il secondo periodo del comma 257 dell'art. 1, legge finanziaria n. 296/2006, in vigore dal 1° gennaio 2007, debba considerarsi norma innovativa - come appunto sostiene il ricorrente - e, di conseguenza, debba trovare applicazione solo a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, lasciando impregiudicati i precedenti criteri di determinazione dell'indennizzo, con riferimento al periodo di tempo compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 31 dicembre 2006, rinvenibili nell'art. 8 del decreto-legge n. 400 del 1993. 8.1. La pretesa del ricorrente di affermare la non applicabilita', al caso di specie, del nuovo sistema sanzionatorio predisposto dalla disposizione sopra menzionata, trova ostacoli insuperabili nella formulazione letterale e complessiva della norma. Ritiene, pertanto, questa corte che si ponga, in riferimento agli articoli 3, 23, 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, 117, comma 1 della Carta costituzionale, quest'ultimo in relazione all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), un dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 257, secondo periodo, della legge finanziaria n. 296 del 2006, nella parte in cui introduce nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo, parametrati ai valori di mercato e non ai criteri legislativi di cui al combinato disposto degli articoli 3 e 8 del decreto-legge n. 400 del 1993. La complessiva liquidazione indennitaria derivante dall'applicazione retroattiva della disposizione censurata risulta, infatti, lesiva di valori costituzionali (giusto processo, stabilita' e certezza dei rapporti giuridici patrimoniali, rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario, parita' di armi nelle reciproche posizioni del rapporto debito-credito tra parte privata e Stato), non sussistendo giustificazioni ragionevoli all'intervento legislativo retroattivo. 9. Questa corte ha gia' avuto occasione di affermare la natura interpretativa del primo periodo della disposizione in esame (Cassazione, sezione 3, n. 16491 del 20 giugno 2017, conf. ex multis di recente da: Cassazione n. 29771 del 2020, Rv. 660153 - 01; Cassazione n. 16491 del 2017, Rv. 644817 - 01), rispetto alle precedenti norme contenenti i criteri di determinazione dell'indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo. La questione di cui si discute in questa sede e', invece, se la natura interpretativa del comma in esame si estenda anche al secondo periodo della medesima norma, cosi' risolvendosi nell'(illegittima) applicazione retroattiva (nel caso di specie, relativa al periodo di occupazione abusiva compreso tra il 1° gennaio 2002 e il 31 dicembre 2006) della disposizione ivi contenuta, per la quale i criteri di calcolo dell'indennizzo per occupazione sine titulo, ovvero per la realizzazione di manufatto difforme su beni del demanio marittimo, sono commisurati ai valori di mercato, anziche' a parametri predeterminati dalla legge, ex art. 8, comma 1 del decreto-legge n. 400/1993 (vigente ratione temporis). 9.1. La ricaduta della soluzione al quesito enunciato coinvolge, a giudizio del collegio, la stessa legittimita' costituzionale dell'applicazione retroattiva di una disposizione - quale quella in esame - che contiene condizioni modificative della debenza dovuta dall'odierno ricorrente per l'uso esclusivo ma illegittimo del bene pubblico a beneficio del privato cittadino, in quanto agganciata a parametri indeterminati (valore di mercato) e riferiti a violazioni antecedenti all'entrata in vigore della norma. 10. Come anticipato in parte narrativa (punto 2-b), la corte territoriale, nella pronuncia impugnata, confermando l'opinione del primo giudice, sul presupposto della natura interpretativa dell'intera norma in esame, e sul presupposto della mancata copertura costituzionale del principio di irretroattivita' delle leggi in materia amministrativa, si e' espressa in favore della legittimita' dell'applicazione retroattiva della disposizione censurata. 10.1. A sostegno della tesi, il giudice distrettuale si e' riportato a quanto affermato dalla Corte costituzionale su un tema confinante, riguardante la dedotta illegittimita' costituzionale del comma 251 della medesima legge finanziaria n. 296/2006, applicabile anche rispetto a rapporti giuridici di durata, benche' in vigore dal 1° gennaio 2007, contenente un nuovo criterio di quantificazione del canone demaniale marittimo, determinato moltiplicando la superficie complessiva del manufatto per la media dei valori mensili unitari minimi e massimi indicati dall'Osservatorio del mercato immobiliare per la zona di riferimento, nonche' moltiplicando l'importo cosi' ottenuto per un coefficiente pari a 6,5 (Corte costituzionale, sentenza n. 302 del 22 ottobre 2010). Le questioni di legittimita' costituzionale sollevate in quell'occasione dal Tribunale di Sanremo rimettente erano sostanzialmente legate al fatto che il «nuovo» canone demaniale non sarebbe piu' predeterminato con atto legislativo, ma rimesso alle valutazioni dell'Osservatorio del mercato immobiliare (OMI), al pari di corrispondenti immobili di proprieta' privata. In detta occasione, sottolinea la Corte d'appello di Roma, la consulta aveva dichiarato infondata la questione di legittimita' del comma 251 esprimendo principi valevoli anche nella fattispecie in esame, ossia il contenimento della spesa pubblica degli enti locali e la tutela del patrimonio dello Stato (v. in precedenza Corte costituzionale, sentenza n. 376 del 2004). 10.2. Sul tema della pretesa irretroattivita' del comma 257, art. 1, legge finanziaria n. 296 del 2006, l'Avvocatura generale dello Stato intervenuta in difesa dell'Agenzia del demanio (p. 9 del controricorso), nonche' la difesa di Roma Capitale (p. 6, punto 4 del controricorso; p. 4, punto 4 della memoria difensiva) negano entrambe la natura stessa di sanzione amministrativa (ovvero tributaria) dell'indennizzo di cui alla norma menzionata: si tratterebbe, a giudizio delle controricorrenti, di una forfetizzazione del risarcimento del danno spettante all'erario a tutela del diritto di proprieta' (pubblica). Tale interpretazione, proseguono i contro ricorrenti, sarebbe avallata dall'ultimo inciso della disposizione in esame, che recita: «... ferma restando l'applicazione delle misure sanzionatone vigenti ...». 11. Ai fini della comprensione del significato e della portata delle norme coinvolte, e' opportuno trascriverne integralmente i testi delle norme oggetto di esame. Art. 1, comma 257, legge finanziaria n. 296 del 2006: «Le disposizioni di cui all'art. 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che le utilizzazioni ivi contemplate fanno riferimento alla mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze. Qualora, invece, l'occupazione consista nella realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo che per il suo contenuto e' incompatibile con la destinazione e disciplina del bene demaniale, l'indennizzo dovuto e' commisurato ai valori di mercato, ferma restando l'applicazione delle misure sanzionatone vigenti, ivi compreso il ripristino dello stato dei luoghi». Decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400 (Disposizioni per la determinazione dei canoni relativi a concessioni demaniali marittime, convertito con modificazioni dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494 e successive modificazioni), art. 8: «1. A decorrere dal 1990, gli indennizzi dovuti per le utilizzazioni senza titolo dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo, ovvero per utilizzazioni difformi dal titolo concessorio, sono determinati in misura pari a quella che sarebbe derivata dall'applicazione del presente decreto, maggiorata rispettivamente del duecento per cento e del cento per cento». La misura del canone annuo per le utilizzazioni dei beni demaniali marittimi e' a sua volta determinata, in applicazione del decreto-legge n. 400 del 1993, dalle dettagliate indicazioni di legge ex art. 3, comma 1. 11.1. La formulazione letterale del primo inciso del comma 257, art. 1, legge finanziaria n. 296 del 2006, auto-qualifica il suo tenore interpretativo con riferimento all'applicabilita' dell'art. 8 anche alla «mera occupazione»: ne deriva che il significato di «utilizzazioni senza titolo», ovvero «utilizzazioni difformi» dei beni demaniali marittimi, di zone del mare territoriale e delle pertinenze del demanio marittimo di cui all'art. 8, decreto-legge n. 400 del 1993, si estende anche alle mere occupazioni temporanee di opere esistenti e amovibili. 11.2. Il secondo periodo della disposizione in esame, indirizzandosi alla realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo difforme, introduce nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo, commisurati ai valori di mercato, anziche' utilizzare i criteri legislativi espressi nel decreto-legge n. 400 del 1993, in virtu' dei quali, una volta quantificato il canone annuo (sulla base di coefficienti specifici dettagliati nell'art. 3 dello stesso decreto-legge n. 440 del 1993), il quantum dell'indennizzo si ricava moltiplicando il canone cosi' ottenuto per il duecento per cento, nel caso di occupazione abusiva; per il cento per cento nel caso di utilizzazione difforme. 11.3. Tanto precisato, il collegio condivide l'interpretazione proposta dai controricorrenti (supra, punto 10.2) che nega la natura stessa di sanzione amministrativa (ovvero tributaria) all'indennizzo di cui all'inciso in parola. La natura di entrata patrimoniale riconducibile ad una prestazione di tipo privatistico, accessoria e collegata al conseguimento di un canone di occupazione, che coinvolge diritti soggettivi a contenuto patrimoniale, si ricava da una consolidata linea argomentativa espressa in piu' occasioni da questa corte, divenuta ormai «diritto vivente» (cosi' Corte costituzionale n. 64 del 2008), in tema di riparto di giurisdizione ordinaria, amministrativa e tributaria, in virtu' della quale le controversie aventi contenuto meramente patrimoniale, e aventi ad oggetto l'obbligo del pagamento di un canone per l'utilizzazione di suolo pubblico, senza che assuma rilievo il potere d'intervento della P.A. a tutela di interessi generali o comunque di natura discrezionale-valutativa, non hanno natura tributaria, e restano assegnate al giudice ordinario (cfr. ex plurimis: Cassazione, sezione U, ordinanza n. 21950 del 2015; Cassazione, sezione U, sentenza n. 23591 del 27 ottobre 2020, Rv. 659447 - 01; Cassazione, sezione 5, n. 582/2017; Cassazione, sezione 5, n. 31331/2019). Esclusa la natura tributaria del canone di occupazione, neanche puo' attribuirsi tale qualificazione alla prestazione accessoria, ossia all'indennizzo previsto dalla disposizione in esame. 11.4. In quanto attribuzione patrimoniale comunque sottratta al potere di intervento discrezionale dell'amministrazione, l'indennizzo di cui si discute non ha neanche natura di sanzione amministrativa. Sulla scorta di una giurisprudenza consolidata in tema di pagamento del canone derivante da rapporto concessorio (Cosap: Cassazione, sezione n. 7188 del 4 marzo 2022; Cassazione, sezione 5, sentenza n. 24541 del 2 ottobre 2019, Rv. 655480 - 01; sul rapporto di tipo paritario tra P.A. concedente e concessionario del bene o del servizio pubblico secondo lo schema obbligo-pretesa, cfr. Cassazione, sezione U, sentenza n. 21545 del 18 settembre 2017, Rv. 645317 - 01, in motivazione; Cassazione, sezione U, ordinanza n. 14864 del 28 giugno 2006, Rv. 590190 - 01) e concessione di servizio pubblico (Cassazione, sezione U, 27 novembre 2019, n. 31029; Cassazione, sezione U, 18 dicembre 2019, n. 33691; 8 luglio 2019, n. 33691; 18 dicembre 2018, n. 32728; si veda anche Cassazione, sezione U, 28 ottobre 2021, n. 30580), l'occupazione generica di suolo pubblico rientra pienamente nella tipologia di prestazione per la quale l'utilizzatore e' tenuto al pagamento di una prestazione pecuniaria legata ad un rapporto che esplica effetti di natura privatistica, posto che la natura pubblica del suolo occupato non incide sulla qualificazione del rapporto instaurato. Ebbene, se cio' vale per il conseguimento del canone per l'occupazione, ossia per la prestazione principale connessa al mero utilizzo del suolo pubblico, lo stesso non puo' non valere anche per una prestazione accessoria alla prima collegata, laddove la pretesa - come nel caso che ci occupa - consista nell'indennita' da abusiva occupazione (Cassazione n. 1435/2018, in motivazione, per la quale l'indennita' in parola costituisce credito diverso dal canone di concessione COSAP). 11.5. In definitiva, si tratta pur sempre di controversie relative alla fase esecutiva del rapporto, successiva all'aggiudicazione della concessione di bene (come di servizio) pubblico. A conferma della natura indennitaria in regime privatistico dell'indennizzo in questione, milita in effetti l'inciso della norma di cui e' causa evidenziato dai controricorrenti, il quale rinvia alle sanzioni previste in norme di settore, quali in particolare - oltre alla demolizione dell'opera abusiva e il ripristino del ripristino dell'area ex art. 54 del codice della navigazione, oppure ex art. 35 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 (testo unico dell'edilizia) in vigore dal 1° gennaio 2002 - le sanzioni penali previste dal codice della navigazione (art. 1161). 11.6. Esclusa la natura di sanzione tributaria o amministrativa dell'indennizzo in questione, il collegio non condivide l'argomentazione del ricorrente, il quale sostiene l'irretroattivita' della disposizione in questione sul presupposto della sua natura innovativa, e non interpretativa. Il significato letterale delle parole utilizzate, la connessione di esse e l'intenzione del legislatore, convogliano l'interprete verso una lettura che milita nel senso del tenore interpretativo di tutte le disposizioni contenute nella norma in esame, e della correlata applicazione retroattiva di esse. L'incipit del comma 257, art. 1, legge finanziaria n. 296/2006 enuncia inequivocabilmente lo scopo interpretativo della norma (Le disposizioni di cui all'art. 8 del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 dicembre 1993, n. 494, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che ...); mentre ci dice che le utilizzazioni contemplate nell'art. 8, decreto-legge n. 400 del 1993 devono includere anche la mera occupazione di beni demaniali marittimi e relative pertinenze, l'urgenza interpretativa enunciata si spinge a chiarire che, invece, la realizzazione sui beni demaniali marittimi di opere inamovibili - in difetto assoluto di titolo abilitativo o in presenza di titolo abilitativo difforme - saranno soggette a richieste di indennizzo commisurato ai valori di mercato. Inserito nel contesto della legge finanziaria del 2007, il comma in parola si lega alla disciplina evolutiva dell'utilizzazione dei beni demaniali tendente ad avvicinare i loro valori a quelli del mercato, che si oppone alla concezione statica, agganciata ad una valutazione tabellare e astratta del valore dei beni. Emerge, dunque, anche dall'inciso che ci occupa, l'intenzione del legislatore inserita nel solco della «valorizzazione dei beni pubblici, che mira ad una loro maggiore redditivita' per lo Stato, vale a dire per la generalita' dei cittadini, diminuendo proporzionalmente i vantaggi dei soggetti particolari che assumono la veste di concessionari» (Corte costituzionale sentenza n. 302 del 2010). 11.7. Se la formulazione della norma in questione non pone nessun dubbio di legittimita' per l'applicazione a partire dal momento della sua entrata in vigore, sottraendosi al sindacato giudiziale in merito all'opportunita' della scelta legislativa o tanto meno alla congruita' delle determinazioni patrimoniali indennitarie, diverse considerazioni sono dovute in questa sede riguardo la scelta della retroattivita' delle disposizioni in essa contenute. Non rilevandosi questioni tecniche o contrasti giurisprudenziali relativi all'applicazione della precedente modalita' di quantificazione dei canoni di concessione e dei relativi indennizzi (come prevista dagli articoli 3 e 8 del decreto-legge n. 400 del 1993); esclusa, altresi', la necessita' di ripianare precedenti sperequazioni mediante l'intervento retroattivo dei nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo, il collegio ritiene che la mera opportunita' di adeguare rapidamente e persino a ritroso la gestione del demanio marittimo alle nuove tendenze di un'economia dinamica e di mercato nell'interesse della collettivita' sottragga la norma in questione al dubbio di manifesta infondatezza, rispetto alla questione di aderenza della norma al dettato costituzionale. In altri termini: la ratio sottesa alla promulgazione del comma 257, art. 1, legge finanziaria n. 296 del 2006 - il contenimento della spesa pubblica degli enti locali e la tutela del patrimonio dello Stato - non si ritiene sia di per se' idonea a bilanciare la compressione valori costituzionali e di diritti appartenenti al privato cittadino rispetto al quale sussistano i presupposti di applicazione (retroattiva) della norma citata. 11.8. E' pur vero che ben puo' il legislatore conferire - con i limiti piu' volte precisati dalla Corte costituzionale: v. infra - efficacia retroattiva ad una legge, anche se essa non si auto-qualifichi, ne' sia, di interpretazione autentica (v. Corte costituzionale, sentenze n. 376 del 2004, cit.; n. 36 del 1985; n. 123 del 1988). La circostanza che una disposizione, a dispetto della propria auto-qualificazione, non abbia in realta' natura interpretativa, puo' essere sintomo dell'uso improprio della funzione legislativa di interpretazione autentica: non la rende per cio' solo costituzionalmente illegittima ma, tuttavia, incide sull'ampiezza del sindacato che la Corte costituzionale deve effettuare sulla norma in ragione della sua retroattivita'. L'(eventuale) erroneita' di tale auto-qualificazione puo' costituire, cioe', un indice, sia pure non dirimente, della sua irragionevolezza quanto alla retroattivita' del novum introdotto, nel contesto del bilanciamento di valori sotteso al giudizio di costituzionalita' che abbia ad oggetto norme retroattive (Corte costituzionale sentenze n. 145 del 13 giugno 2022; n. 133 del 2020; n. 108 del 2019; n. 73 del 2017; n. 103 del 2013; n. 41 del 2011). 11.9. Ne' a siffatta interpretazione della disposizione in esame e' di ostacolo il principio secondo cui la norma di interpretazione autentica puo' essere adottata solo per ovviare ad una situazione di grave incertezza normativa (ex plurimis: Corte costituzionale n. 156 del 2014; Corte costituzionale n. 15 del 2012) o a forti contrasti giurisprudenziali che diano luogo ad incertezze interpretative della norma (Corte costituzionale n. 271 del 2011), ovvero per contrastare un orientamento giurisprudenziale oppositivo rispetto a quanto voluto dal legislatore, o ancora per assenza di sua autonomia che la rende insuscettibile di applicazione autonoma (v. ricorso, p. 19, ultimo capoverso). La Corte costituzionale sembra orientata nel senso della legittimita' della legge interpretativa, anche innovativa, retroattiva (Corte costituzionale n. 234 del 2007), nell'ordinamento costituzionale nazionale, con l'unico limite dell'art. 25, comma secondo della Costituzione, in materia penale - nella prospettiva, pero', di preservazione dei principi di certezza del diritto e di legittimo affidamento dei cittadini, da considerarsi come principi di civilta' giuridica (Corte costituzionale sentenze n. 234 del 2007; n. 274 del 2006), e purche' l'intervento legislativo sia tale da garantire al cittadino interessato una compensazione ragionevole dello svantaggio arrecato. Al fine di risultare costituzionalmente legittima, infatti, l'esegesi normativa dovrebbe essere ragionevolmente giustificata da motivi imperativi di interesse generale, di modo da bilanciare gli effetti retroattivi anche a danno dei diritti acquisiti dai soggetti interessati (Corte costituzionale sentenze n. 191 del 2014, n. 170 del 2013). In sintesi: i limiti generali all'efficacia retroattiva delle leggi, al di fuori della materia penale, vanno individuati nei principi della ragionevolezza, della tutela del legittimo affidamento, della coerenza e certezza dell'ordinamento e del rispetto delle attribuzioni costituzionalmente riservate alla funzione giudiziaria (Corte costituzionale, sentenze n. 145 del 10 maggio 2022; n. 210/2021; n. 78/2012; n. 209/2010). 11.10. Il tema della retroattivita' delle leggi quale principio di civilta' giuridica, limitato dal principio di ragionevolezza e bilanciamento di valori di pari rango, e' peraltro affrontato dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), secondo cui seppure non e' precluso al legislatore disciplinare, con nuove disposizioni di portata retroattiva, diritti risultanti da leggi in vigore, tuttavia il principio della preminenza del diritto e il concetto di equo processo sanciti dall'art. 6 ostano, salvo che per imperative ragioni di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia al fine di influenzare l'esito giudiziario di una controversia (Sentenze Corte EDU: 8 febbraio 2022, Ferrilli contro Italia, paragrafo 7; 30 gennaio 2020, Cicero e altri contro Italia, paragrafo 29; 24 giugno 2014, Azienda agricola Silverfunghi sas e altri contro Italia, paragrafo 76; 25 marzo 2014, Biasucci e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 gennaio 2014, Montalto e altri contro Italia, paragrafo 47; 14 febbraio 2014, Arras ed altri contro Italia; 7 giugno 2011, Agra ti ed altri contro Italia, paragrafo 58). La stessa Corte EDU precisa, inoltre, che le considerazioni di natura finanziaria non possono, da sole, autorizzare il potere legislativo a sostituirsi al giudice nella definizione delle controversie (ex plurimis, sentenze 15 aprile 2014, Stefanetti e altri contro Italia, paragrafi 38, 39; 29 marzo 2006, Scordino contro Italia, paragrafo 132; 31 maggio 2011, Maggio contro Italia, paragrafo 47). 12. A fronte di norme che dispongono per il passato, si impone la verifica della sussistenza di motivi imperativi di interesse generale e di rilievo costituzionale tali giustificare la lesione di valori costituzionalmente tutelati e compromessi dall'efficacia retroattiva della legge. A giudizio di questo collegio, l'art. 1, comma 257, secondo periodo, legge finanziaria n. 296 del 2006 non supera questa verifica: con la sua portata retroattiva ha compromesso in modo irragionevole i valori di rilievo costituzionale individuabili nel legittimo affidamento dei destinatari della regolazione originaria, nel principio di certezza e stabilita' dei rapporti giuridici, nel giusto processo e nelle attribuzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (Corte costituzionale, sentenze n. 145 del 13 giugno 2022; n. 104/2022; n. 61/2022; n. 133/2020; n. 108/2019; n. 173/201). 12.1. La norma censurata violerebbe, dunque, gli articoli 3, 23, 24, comma 1, articoli 102, comma 1 e 111, comma 1 e 2, 117 della Carta costituzionale. Non si ravvisa, infatti, un equo bilanciamento tra la sorpresa cui sono sottoposti gli utilizzatori esclusivi di beni pubblici (seppure fruitori di manufatti abusivi ovvero difformi rispetto all'originaria concessione) e l'opportunita' della collettivita' di trarre - anche a ritroso - dai beni del demanio marittimo la redditivita' dinamica del mercato. «I soli motivi finanziari, volti a contenere la spesa pubblica o a reperire risorse per far fronte a esigenze eccezionali, non bastano a giustificare un intervento legislativo destinato a ripercuotersi sui giudizi in corso. In tal caso l'efficacia retroattiva della legge, finalizzata a preservare l'interesse economico dello Stato che sia parte di giudizi in corso, si pone in evidente e aperta frizione con il principio di parita' delle armi nel processo e con le attribuzioni costituzionalmente riservate all'autorita' giudiziaria» (Corte costituzionale, sentenza n. 145 del 2022; Corte EDU, Stefanetti e altri contro Italia, cit., paragrafo 39). Inoltre, la disposizione di cui si discute immette retroattivamente nell'ordinamento nazionale una fattispecie di natura indennitaria destinata a comprimere il diritto dei singoli (ai quali trovi applicazione quel particolare presupposto dettato dalla legge) ad un giusto processo presidiato dall'art. 111, comma 1 della Costituzione, senza che sia individuabile un motivo imperativo di interesse generale - diverso dall'indubbia necessita' di contenimento della spesa pubblica degli enti locali e dalla tutela del patrimonio dello Stato - tale da bilanciare adeguatamente il sacrificio del singolo al diritto inviolabile, garantito dall'art. 24 della Costituzione, di agire in giudizio a difesa dei propri diritti ed interessi legittimi. Di conseguenza, essa altera i rapporti tra creditori, poiche' crea una disparita' tra le parti (pubbliche e private), in quanto interviene in pendenza di giudizio in cui lo Stato e' parte, in violazione dell'art. 3 della Costituzione, all'interno di un rapporto che ha ad oggetto una prestazione patrimoniale rispetto alla quale sussiste il legittimo affidamento dei destinatari della regolazione originaria, ex art. 23 della Costituzione, cosi' compromettendo anche il principio di parita' delle armi del processo e delle attribuzioni costituzionalmente riservate all'autorita' giudiziaria, garantito dall'art. 102 della Costituzione. 12.2. Coordinando i principi costituzionali sopra richiamati con i principi contenuti nella CEDU, come interpretati dalla Corte EDU (supra, punto 11.10), il collegio ritiene che l'attuale formulazione dell'art. 1, comma 257 secondo periodo, legge finanziaria n. 296 del 2006 si pone in contrasto con gli impegni internazionali assunti dalla Repubblica riportati nell'art. 117, primo comma della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 6 CEDU, che richiama i principi del giusto processo, della parita' delle armi e delle attribuzioni riservate al potere giudiziario innanzi menzionate.
P. Q. M. La Corte suprema di cassazione, visti gli articoli 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli articoli 3, 23, 24, comma 1, 102, comma 1, 111, commi 1 e 2, 117, comma 1 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 257, secondo periodo della legge finanziaria n. 296 del 2006, nella parte in cui prevede l'applicazione retroattiva dei nuovi criteri di determinazione dell'indennizzo per realizzazione abusiva, ovvero difforme, di opere inamovibili sul demanio marittimo, parametrati ai valori di mercato e non ai criteri legislativi espressi nel precedente decreto-legge n. 400 del 1993. Dispone la sospensione del presente giudizio. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al pubblico ministero presso questa Corte ed al Presidente del Consiglio dei ministri. Ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata dal cancelliere ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 6 ottobre 2022. Il presidente: Manna