N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 febbraio 2024

Ordinanza  del  27  febbraio  2024  della  Corte  di  cassazione  nel
procedimento penale a carico di B. P. di V. spa e altri. 
 
Societa' - Confisca  -  Previsione  che  assoggetta  a  confisca  per
  equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato. 
- Codice civile, art. 2641, commi primo e secondo. 
(GU n.27 del 3-7-2024 )
 
                   LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
 
 
                        Quinta Sezione Penale 
 
Composta da: 
    Maria Vessichelli - Presidente; 
    Rossella Catena - consigliere relatore; 
    Tiziano Masini - consigliere; 
    Giuseppe De Marzo - consigliere relatore; 
    Elisabetta Maria Morosini - consigliere; 
ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  proposto  da  ...
Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, ... 
    B. P. di V. S.p.a., in  liquidazione  coatta  amministrativa,  in
persona dei legali rappresentanti pro tempore, ... 
    G. E., nato a ... il ... , ... 
    M. P., nato a ... , il ... , ... 
    P. M., nato a ..., il ..., ... 
    P. A., nato a P., il ... 
    Z. G., nato a ..., il ..., ... 
    avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia  emessa  in
data 10 ottobre 2022; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; 
    Udita la relazione  svolta  dai  consiglieri  Rossella  Catena  e
Giuseppe De Marzo; 
    Udite le conclusioni delle parti presenti formulate  nei  termini
che seguono; 
    Il  Procuratore  generale  rassegna  le   seguenti   conclusioni:
annullamento senza rinvio per i reati ex art. 2637 del codice  civile
e per i reati di cui ai capi  B.1,  C.1,  D.1,  perche'  estinti  per
prescrizione  con  l'adozione  dei  conseguenti  provvedimenti  e  la
rideterminazione delle pene; annullamento senza rinvio  limitatamente
all'aumento per la continuazione per P. M. e  rideterminazione  delle
pena; annullamento con rinvio per i residui reati nei confronti di A.
P. ; annullamento con rinvio nei  confronti  di  tutti  limitatamente
alla confisca ex art. 2641 del codice civile; rigetto nel resto per i
ricorsi P.  M.,  A.  P.  e  G.  Z.  ;  rigetto  del  ricorso  BPV  in
liquidazione coatta amministrativa; inammissibilita' del  ricorso  di
E.  G.;  con  dichiarazione  delle  parti  della  sentenza   divenute
irrevocabili. 
    I difensori delle parti  civili  si  riportano  alle  conclusioni
scritte tramesse via p.e.c. o alle conclusioni depositate in udienza. 
    L'avvocato Borzone, in  sostituzione  dell'avvocato  Mucciarelli,
difensore della B. P. Di V. , si riporta ai motivi di  ricorso  e  ne
chiede l'accoglimento. 
    L'avvocato Dominioni, per la posizione  del  G.,  si  riporta  ai
motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. 
    L'avvocato Bertolini Clerici, nell'interesse del P., insiste  per
l'accoglimento del ricorso. 
    Gli avvocati Roetta e Fragasso, per la posizione del M., chiedono
l'accoglimento del ricorso presentato. 
    Gli avvocati Manes  e  Guazzarini,  per  il  loro  assistito  P.,
insistono per l'accoglimento dei ricorsi depositati. 
    Gli avvocati Padovani e Ambrosetti  chiedono  l'accoglimento  del
ricorso presentato nell'interesse dello Z. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. La  presente  vicenda  processuale  scaturisce  dall'attivita'
ispettiva avviata sia dalla Banca d'Italia che dalla  Banca  centrale
europea (BCE) presso la B. P. di V. , a  seguito  della  quale  erano
emerse irregolarita' gestionali, consistite nel  sistematico  ricorso
al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci  per  l'acquisto  di
azioni  proprie  sul  mercato  primario  e  su   quello   secondario,
accompagnato dal rilascio, in favore degli stessi  soci,  di  lettere
con le quali l'istituto assumeva l'impegno a riacquistare  le  azioni
ovvero forniva garanzie  di  rendimento  dei  titoli;  erano  emersi,
altresi', storni di interessi autorizzati  dagli  organi  di  vertice
dell'istituto, funzionali a neutralizzare i costi  dei  finanziamenti
erogati dalla banca e,  infine,  consistenti  investimenti  in  fondi
esteri utilizzati, in parte, per la detenzione  indiretta  di  azioni
proprie. 
    Tali anomalie operative non comunicate all'Istituto di  vigilanza
avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale  e
si erano tradotte nella necessita' di circa un miliardo  di  euro  di
deduzioni dal  patrimonio  soggetto  al  controllo,  con  conseguente
iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3
miliardi di euro; il piano di rafforzamento deliberato  dalla  banca,
inoltre, non era andato a buon fine,  con  conseguente  dichiarazione
dello stato di dissesto da parte della BCE e la successiva  procedura
di  liquidazione  coatta  amministrativa  avviata  con  decreto   del
Ministero dell'economia il  25  giugno  2017;  con  sentenza  del  21
dicembre 2018, infine, il Tribunale di Vicenza  aveva  dichiarato  lo
stato di insolvenza dell'istituto di credito. 
    In tale cornice sono da inquadrare le  condotte  contestate  agli
imputati  ricorrenti,  accertate  dalle  sentenze   di   merito,   di
aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo  alla  vigilanza
della Banca d'Italia, della BCE e della CONSOB, nonche' di  falso  in
prospetto e, quindi, gli illeciti amministrativi contestati  alla  B.
P. di V. ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001. 
    1.1. Il Tribunale, in  particolare,  con  riguardo  al  capo  A.1
(articoli n. 81, comma secondo, n. 110 del codice penale, n. 2637 del
codice  civile,  contestato  come  commesso   sino   alla   data   di
pubblicazione del bilancio relativo all'esercizio ... , approvato  il
...  ,  aveva  individuato   quattro   fattispecie   di   aggiotaggio
finanziario   informativo,   quattro   fattispecie   di   aggiotaggio
finanziario operativo, quattro fattispecie  di  aggiotaggio  bancario
informativo e quattro fattispecie di aggiotaggio bancario  operativo,
tutte distinte tra loro e  commesse  negli  anni  ...  ,  dichiarando
l'estinzione per intervenuta prescrizione  delle  condotte  poste  in
essere sino al  ...,  data  di  approvazione  del  bilancio  ...,  ed
affermando la penale responsabilita' di: G. Z., quale Presidente  del
Consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, E. G. i, quale
vicedirettore   generale   responsabile   della   Divisione   mercati
dell'istituto, P. M., quale vicedirettore generale responsabile della
Divisione crediti dell'istituto, A. P., quale vicedirettore  generale
responsabile della Divisione finanza dell'istituto, per le successive
vicende; parimenti, veniva  affermata  le  responsabilita'  dell'ente
bancario per l'illecito amministrativo dipendente dal predetto reato,
ai sensi degli articoli 5, lettera a)  e  b),  6,  25-ter,  comma  1,
lettera r), decreto legislativo n. 231/2001, di cui al capo  A.2.  In
particolare, l'aggiotaggio operativo si  fondava  sulle  sistematiche
simulazioni di operazioni di capitale finanziato  e  di  acquisto  di
azioni proprie tramite i fondi lussemburghesi « ...  »  e  «  ...  »;
l'aggiotaggio  informativo  era  consistito,  a  sua   volta,   nella
diffusione di notizie false, attraverso i  bilanci  di  esercizio,  i
comunicati stampa e le comunicazioni ai soci, che avevano contribuito
ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta  dal
mercato. 
    Quanto ai reati di ostacolo  alla  vigilanza,  gli  stessi  erano
stati ricostruiti sulla scorta  delle  risultanze  dell'attivita'  di
vigilanza della Banca d'Italia,  svolta  nel  periodo  2007-2012;  in
particolare, al capo B.1 (articoli 81, comma secondo, 110 del  codice
penale , 2638, commi primo e terzo, codice  civile:  tempus  commissi
delicti indicato dal ...  al  ...  era  individuata  la  condotta  di
ostacolo all'attivita' di vigilanza  attraverso  l'occultamento,  con
mezzi fraudolenti, delle  operazioni  di  capitale  finanziato  e  di
sistematica omissione  informativa  delle  suddette  operazioni  alla
squadra ispettiva. 
    Successivamente all'ispezione  del  ...,  e  nell'arco  temporale
compreso tra il ... ed il ..., dai flussi informativi tra  l'istituto
bancario  vicentino   e   l'autorita'   di   vigilanza   era   emerso
l'occultamento della reale situazione patrimoniale  del  gruppo,  con
riferimento all'incidenza del fenomeno del  capitale  finanziato  sui
coefficienti del patrimonio di  vigilanza,  oggetto  di  sistematiche
violazioni agli obblighi  informativi;  in  particolare  (i  seguenti
reati sono tutti contestati con riguardo  all'art.  2638,  secondo  e
terzo comma, codice civile), al capo  C.1  si  contestava  l'ostacolo
alla vigilanza in riferimento all'anno ... (tempus  commissi  delicti
indicato nel capo di imputazione ..., con riguardo  alla  data  della
lettera  di  intervento  della  Banca  d'Italia  che,  all'esito  del
processo di revisione e di valutazione prudenziale per l'anno  ...  ,
stabiliva un obiettivo patrimoniale non coerente  con  la  situazione
patrimoniale della banca); con il capo D.1  si  contestava  la  falsa
rappresentazione dei  dati  patrimoniali  con  riferimento  al  primo
semestre dell'anno ... (tempus commissi delicti indicato nel capo  di
imputazione nel  ...,  corrispondente  alla  data  della  lettera  di
intervento  della  Banca  d'Italia  con  la  quale   si   prescriveva
l'adozione di  iniziative  diverse  da  quelle  che  sarebbero  state
necessarie,   alla   luce   della   reale   situazione   patrimoniale
dell'istituto); con il capo E.1 (tempus commissi delicti indicato nel
capo di imputazione: «in epoca posteriore e prossima  al  ...,  ... e
... ») si contestava la falsa rappresentazione dei dati  patrimoniali
con riferimento al secondo semestre dell'anno ...; con  il  capo  F.1
(tempus commissi delicti indicato nel capo  di  imputazione:  ...  si
contestava  l'omessa  indicazione   dell'informativa   preventiva   e
dell'informativa integrativa del  ...  con  riguardo  all'aumento  di
capitale; con il capo G.1 (tempus commissi delicti indicato nel  capo
di imputazione: «in epoca posteriore e prossima al ..., in data  ...,
in data ...,  in  epoca  anteriore  e  prossima  al  ...  e  ...)  si
contestava la falsita' di segnalazioni alla Banca d'Italia nel  corso
del ... ; con il capo H.1 (tempus commissi delicti indicato nel  capo
di imputazione: «in epoca posteriore e prossima al ... , al ... e nel
primo trimestre ...) si contestavano le  condotte  di  ostacolo  alla
vigilanza nei confronti della BCE, a seguito dell'entrata  in  vigore
del Sistema di Vigilanza Unico; con  il  capo  M.1  (tempus  commissi
delicti indicato nel capo di imputazione:  «  dal  ...  ad  ...,  con
riferimento alla attivita' ispettiva, e nel mese di  febbraio  ...  ,
con riferimento alla decisione SREP» della BCE)  si  contestavano  le
condotte di ostacolo relative al Comprehensive  Assessment  in  danno
sia della Banca d'Italia che della BCE. Di tutte le indicate condotte
di ostacolo alla vigilanza (capi B.1, C.1, D.1, E.1, F.1,  G.1.  H.1,
M.1) era affermata la penale responsabilita' di: G. Z., E. G., P. M.,
A.  P.  nelle  suddette  qualita';  parimenti,  veniva  affermata  le
responsabilita' dell'ente bancario per  gli  illeciti  amministrativi
dipendenti dai predetti reati, ai sensi degli articoli 5, lettera  a)
e b),  6,  25-ter,  comma  1,  lettera  r),  decreto  legislativo  n.
231/2001, di cui al capo A.2. 
    Infine, il solo E. G.,  nella  predetta  qualita',  era  ritenuto
colpevole anche del reato di cui al capo  N.1  (anch'esso  contestato
con riguardo all'art. 2638, secondo e  terzo  comma,  codice  civile:
tempus commissi delicti  indicato  nel  capo  di  imputazione:  ...),
relativo alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere nei
confronti della CONSOB in  relazione  all'operazione  di  aumento  di
capitale  del  ...;  anche  per  tale  vicenda  veniva  affermata  le
responsabilita'  dell'ente  bancario  per  l'illecito  amministrativo
dipendente dai predetti reati, ai sensi degli articoli 5, lettera  a)
e b),  6,  25-ter,  comma  1,  lettera  r),  decreto  legislativo  n.
231/2001, di cui al capo A.2. 
    Oggetto di condanna in primo grado erano, inoltre, le condotte di
cui ai capi I e L, due vicende di falso  in  prospetto  di  cui  agli
articoli 61 n. 2, 81, secondo comma,  110  codice  penale  ,  173-bis
decreto legislativo 58/1998. 
    L'imputato M. P., dirigente preposto alla redazione dei documenti
contabili della societa', veniva assolto dai  reati  a  lui  ascritti
(capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, I, L, M.1)  perche'  il
fatto non costituisce reato. 
    Infine, il Tribunale di Vicenza disponeva,  nei  confronti  degli
imputati,  la  confisca   per   equivalente,   sino   a   concorrenza
dell'importo di euro 963.000.000,00, in base alla disposizione di cui
all'art.  2641,  comma  secondo,  codice  civile,  che  assoggetta  a
confisca per equivalente i mezzi impiegati per commettere  il  reato,
ossia, nel caso in  esame,  le  somme  di  denaro  impiegate  per  la
commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, in
quanto i finanziamenti erogati dalla  banca  erano  stati  funzionali
all'illecita alterazione del prezzo delle azioni  ed  alla  creazione
dell'artificiosa  rappresentazione  dell'entita'  del  patrimonio  di
vigilanza,  individuato   nella   misura   di   euro   963.000.000,00
corrispondente all'entita' del capitale finanziato accertato in  sede
giudiziale. Nel  caso  di  specie,  in  particolare,  secondo  quanto
affermato dalla sentenza di primo grado, non era possibile  procedere
alla confisca diretta dei beni utilizzati per commettere i reati  nei
confronti della banca, in quanto  l'istituto  di  credito  era  stato
assoggettato a liquidazione coatta  amministrativa,  con  conseguente
spossessamento dei beni. 
    1.2. La Corte di appello di Venezia, con sentenza de  10  ottobre
2022, cosi' provvedeva, confermando nel resto la decisione  di  primo
grado: quanto agli imputati G. Z., A. P. ed E. G., ravvisata un'unica
ipotesi  di  aggiotaggio  per  ciascuna  annualita'  di  riferimento,
dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al
capo A.1, limitatamente ai reati commessi  fino  al  ...  nonche'  in
relazione ai reati di cui ai capi  I  e  L,  in  quanto  estinti  per
prescrizione; quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1,  ritenuta  la
sola ipotesi di cui all'art.  2638,  comma  secondo,  codice  civile,
riduceva la pena inflitta ad anni tre mesi undici di reclusione,  per
G. Z. ed A.  P.,  e  ad  anni  due  mesi  sette  giorni  quindici  di
reclusione per E. G.; quanto all'imputato P.  M.,  lo  assolveva  dai
reati di cui ai capi I e L, nonche' dai reati di cui ai  capi  H.1  e
M.1, limitatamente alle condotte successive al ...  ,  per  non  aver
commesso il fatto; ravvisata  un'unica  ipotesi  di  aggiotaggio  per
ciascuna annualita' di riferimento, dichiarava non doversi  procedere
in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati
commessi fino al ... , in quanto estinti per prescrizione; quanto  ai
reati di cui ai capi B.1 e M.1,  ritenuta  la  sola  ipotesi  di  cui
all'art.  2638,  comma  secondo,  codice  civile,  riduceva  la  pena
inflitta ad anni tre mesi  quattro  giorni  quindici  di  reclusione;
quanto a M. P., in accoglimento dell'appello del pubblico ministero e
delle parti civili,  proposto  contro  l'assoluzione  pronunciata  in
primo grado, la Corte territoriale dichiarava l'imputato responsabile
dei reati ascrittigli e dichiarava non doversi procedere in relazione
alle condotte di cui al capo A.1,  limitatamente  ai  reati  commessi
fino al ... , nonche' in relazione ai reati di cui ai capi I e L,  in
quanto estinti per prescrizione; dichiarava  l'imputato  responsabile
dei reati ascrittigli, ritenuta, quanto ai reati di cui ai capi B.1 e
M.1, la sola ipotesi di cui  all'art.  2638,  comma  secondo,  codice
civile,  condannandolo,  con   la   concessione   delle   circostanze
attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena  di  anni
tre mesi undici di reclusione. 
    Quanto alla confisca per equivalente, disposta ai sensi dell'art.
2641, comma secondo, codice civile nei confronti degli imputati,  per
l'importo di euro 963.000.000,00, la Corte di appello ne disponeva la
revoca. In particolare, la Corte di  merito  evidenziava  la  marcata
frizione della disposizione di  cui  all'art.  2641,  comma  secondo,
codice civile, con i principi espressi sia dalla Corte costituzionale
con la  sentenza  n.  112  del  2019,  che  dalla  giurisprudenza  di
legittimita': nel caso di confisca  di  natura  sanzionatoria,  quale
deve essere intesa quella per equivalente - in cui i beni  utilizzati
per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro non nella
originaria disponibilita'  degli  imputati,  bensi'  di  un  soggetto
terzo, ossia la banca - , adottare un  provvedimento  ablatorio  come
quello disposto dal  Tribunale  significava  applicare  una  sanzione
manifestamente sproporzionata, oltre che  disancorata  dal  disvalore
dell'illecito  e  dai  singoli  contributi   concorsuali,   a   causa
dell'automaticita'  del  criterio  di   commisurazione,   in   aperto
contrasto con i principi sanciti dagli articoli 3 e 27, comma  primo,
Costituzione. Si tornera' diffusamente sul punto nel prosieguo. 
    In  parziale  accoglimento  dell'appello  dell'ente,   la   Corte
d'appello ha ridotto la sanzione  pecuniaria  disposta  in  relazione
alla riconosciuta responsabilita' amministrativa dipendete dai reati,
confermando, nel resto, l'impugnata sentenza. 
    1.2. Avverso l'indicata sentenza sono stati proposti i ricorsi di
seguito menzionati, i cui motivi vengono esposti nei  limiti  in  cui
sono rilevanti ai fini della motivazione della decisione assunta  dal
Collegio, secondo  quanto  disposto  dall'art.  173  disposizioni  di
attuazione del codice di procedura penale. 
    2. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di  Venezia
ricorre avverso la sentenza, deducendo tre motivi. 
    2.1. Con il primo motivo si  lamenta  violazione  di  legge,  con
riferimento  all'art.  2637  codice  civile,  per  avere   la   Corte
territoriale ravvisato, in relazione al capo  A.1,  un  unico  reato,
l'aggiotaggio   bancario,   per   ciascuna   delle   annualita'    in
contestazione (dal ... al ...), invece dei quattro illeciti  ritenuti
sussistenti, sempre per  ciascun  anno,  dal  Tribunale  (aggiotaggio
informativo e manipolativo, finanziario e bancario). 
    2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione  di  legge,  con
riferimento agli articoli 2638 codice civile, 649 codice di procedura
penale , 50 della Carta di Nizza, criticando  la  sentenza  impugnata
per avere ravvisato un'unica ipotesi di reato di  cui  all'art.  2638
codice civile nei fatti contestati ai capi B.1 e M.1  e,  secondo  la
prospettazione  accusatoria,  tradottisi  in   condotte   diverse   e
correlati a diversi eventi. 
    2.3. Con il terzo motivo  si  lamenta  violazione  di  legge,  in
riferimento agli articoli 2641 codice civile, 101, secondo  comma,  e
25, secondo  comma,  della  Costituzione,  nonche'  con  riguardo  ai
principi di legalita' della pena e  di  separazione  dei  poteri.  In
particolare, si contestano le argomentazioni utilizzate  dalla  Corte
territoriale  per  giustificare  la   revoca   della   confisca   per
equivalente, disposta dal giudice di primo grado, ai sensi  dell'art.
2641,   secondo   comma,   codice   civile,   sino   all'importo   di
963.000.000,00 euro. 
    Si osserva: a) che quest'ultima norma  prevede  la  confisca  dei
beni utilizzati per commettere i  reati  -  nella  specie,  ravvisati
nelle somme di denaro investite  nelle  operazioni  di  finanziamento
illecito  -,  senza  introdurre  correttivi  di   tipo   quantitativo
correlati alle peculiarita' del caso concreto; b) che la  valutazione
di (s)proporzione espressa dalla Corte  d'appello,  che  ha  ritenuto
idonea la pena detentiva prevista  dagli  art.  2637  e  2638  codice
civile «ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva», finisce  per
impedire  l'applicazione  della  confisca,  che  il  legislatore   ha
costruito come obbligatoria; c) che la valorizzazione, da parte della
sentenza  impugnata,  dell'assenza  di   un   profitto   individuale,
introduce un parametro normativo non previsto da parte dell'art. 2641
codice civile ed estraneo alla natura dell'istituto, che attinge  non
il profitto, ma  i  beni  utilizzati  per  commettere  i  reati.  Con
specifico riguardo all'ammissibilita' di una disapplicazione parziale
della  previsione  normativa,  con  la  conseguente  possibilita'  di
disporre, in coerenza  con  il  principio  di  proporzionalita',  una
confisca non  estesa  all'intero  ammontare  delle  somme  di  denaro
utilizzate per commettere i  reati,  il  ricorrente,  richiamando  le
garanzie e i principi costituzionali di cui sopra e le conclusioni di
Corte costituzionale, ordinanza n. 24 del 2017, sollecita  un  rinvio
pregiudiziale alla Corte  di  giustizia,  al  fine  di  ottenere  una
interpretazione della sentenza della Grande Sezione, 8 marzo 2022, in
C-205/20,  quanto  al  se  la  normativa   nazionale   debba   essere
disapplicata anche quando tale risultato,  in  assenza  di  una  base
legale  sufficientemente  determinata,  finisca,  in  violazione  del
principio di legalita' e di separazione dei poteri, per attribuire al
giudice valutazioni discrezionali  in  tema  di  politica  criminale,
rimesse dalla nostra Costituzione al legislatore. 
    2.4.  E'  stata  trasmessa  memoria  da   parte   del   Sostituto
Procuratore generale. 
    3. La B. P. di V. S.p.a., in liquidazione  coatta  amministrativa
giusta decreto ministeriale n. 185 del 25 giugno 2017, ente incolpato
ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001,  ricorre  a  mezzo  del
difensore  di  fiducia  avv.  Francesco  Mucciarelli,  deducendo  due
motivi. 
    3.1. Con il primo si lamenta violazione di legge, in  riferimento
agli articoli 240 codice penale , 19  e  53  decreto  legislativo  n.
231/2001, vizio di motivazione, ai  sensi  dell'art.  606,  comma  1,
lettera b) ed e) codice di  procedura  penale  ,  in  riferimento  al
mancato accertamento di un  profitto  confiscabile  in  relazione  al
reato di cui all'art. 2638 del codice  civile,  nonche'  quanto  alla
sussistenza di un profitto per la B. P. di V. S.p.a.,  pari  ad  euro
74.212.687,50, derivante in via diretta ed immediata dal reato di cui
al capo n.1, di ostacolo alla vigilanza, anziche' dal reato di  falso
in prospetto di cui al capo L; 
    3.2.  Con  il  secondo  si  lamenta  violazione  di   legge,   in
riferimento agli articoli  240  codice  penale  ,  19  e  53  decreto
legislativo n. 231/2001, vizio di  motivazione,  ai  sensi  dell'art.
606, comma 1, lettera b) ed e)  codice  di  procedura  penale  ,  con
riguardo alla omessa considerazione dei costi sostenuti dall'ente  in
riferimento all'operazione di aumento del capitale del ...,  ai  fini
della quantificazione del  profitto  confiscabile,  alla  luce  della
motivazione della sentenza delle Sezioni Unite ... e della successiva
giurisprudenza  di  legittimita',  che,  solo  in  riferimento   alla
attivita' totalmente illecite, ha individuato la confiscabilita'  del
lordo; nel caso  di  attivita'  intrinsecamente  lecite,  come  nella
vicenda  in  esame,  il  profitto  andrebbe  invece  individuato  nel
vantaggio  economico  derivato  dal  reato,  al  netto  dell'utilita'
eventualmente conseguita dal danneggiato. 
    4. E. G. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv.  Concetta
Miucci ed avv. Oreste Dominioni, deducendo un unico  motivo,  con  il
quale si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606,  comma
1, lettera e), codice di  procedura  penale  ,  in  riferimento  alla
conferma  della  determinazione  della  pena  base  in  anni  tre  di
reclusione quanto al reato di cui al capo  H.1;  in  particolare,  il
ricorso, dopo aver riportato due passaggi  della  motivazione  (pagg.
304 e 306  della  sentenza  impugnata),  rileva  che  nessun  accenno
risulta fatto alle argomentazioni difensive e che la Corte di  merito
ha fatto esclusivo riferimento  alla  oggettiva  gravita'  dei  fatti
senza neanche menzionare gli indici di cui all'art.  133  del  codice
penale a cui si e' riferita, pur avendo,  in  seguito,  correttamente
sottolineato,  in  riferimento  al  giudizio  di   prevalenza   delle
circostanze attenuanti generiche ed alle riduzioni degli aumenti  per
la continuazione interna, gli elementi a  fondamento  della  gravita'
del  reato  e  della  capacita'  a  delinquere  del  colpevole,   con
particolare riferimento agli indici oggettivi di  cui  all'art.  133,
prima parte, codice penale ed agli indici  soggettivi,  recependo  le
osservazioni  difensive  su  tali  aspetti;   inoltre,   sono   stati
valorizzati  anche  gli  indici  «minori»,   come   l'incensuratezza,
l'assenza di pendenze, ed altri.  Ad  eccezione  della  gravita'  del
reato, invece, nessuno degli altri indici e' stato considerato  nella
determinazione della pena base. 
    4. 2. E' stata trasmessa memoria d'udienza e di replica  a  firma
dell'avv. Oreste Dominioni che, in relazione ai motivi di ricorso del
Procuratore generale, svolge argomentazioni del tutto  sovrapponibili
a quelle formulate dall'avv. Manes, delle quali si dira' infra. 
    5. P. M. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia, avv. Emanuele
Fragasso jr. e Lino Roetta, deducendo cinque motivi di ricorso. 
    5.1. Il primo motivo investe l'affermazione di responsabilita' in
relazione al delitto di cui al capo A.1, limitatamente alle  condotte
perfezionatesi dopo il (a proposito del quale, sin dalla premessa del
ricorso, si sottolinea, in via subordinata, l'intervenuta  estinzione
per prescrizione). 
    5.2.  Con  il  secondo  motivo  si'  investe  l'affermazione   di
responsabilita' per i reati di ostacolo all'attivita' di vigilanza di
cui ai capi B.1, C. 1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M1. 
    5.3. Con il terzo  motivo  si  lamentano  vizi  motivazionali  in
relazione alla dosimetria della pena applicata per il capo B.1. 
    5.4. Con il quarto motivo si rileva che la sentenza impugnata non
era  stata  in  grado  di  individuare  la  specifica   informazione,
funzionale all'oggetto del controllo del vigilatore che,  secondo  la
prospettazione accusatoria, era stata dolosamente omessa. 
    5.5. Il quinto motivo e' indirizzato nei confronti dell'ordinanza
del 18 maggio 2022, con la  quale  la  Corte  d'appello  ha  ritenuto
infondata l'eccezione di inutilizzabilita' del  file  audio  relativo
alla registrazione della seduta del Comitato di direzione del ... . 
    5.6. Gli avvocati Roetta e Fragasso hanno inviato motivi nuovi in
data 23 novembre  2023,  con  riguardo,  specificamente,  al  secondo
motivo di ricorso, quanto al reato di ostacolo alla vigilanza di  cui
al capo H.1,  rilevando  l'errore  materiale  nella  indicazione  del
tempus commissi delicti, quanto alla  data  del  ...,  posto  che  la
segnalazione era stata redatta nel dicembre 2014 e, quindi,  la  data
di commissione deve essere corretta nel ..., con conseguente ricaduta
della condotta nella pronuncia  assolutoria  dell'imputato,  riferita
dalla  Corte  di  merito  alle  condotte  successive  al   ... ,   ed
eliminazione della pena inflitta per tale condotta  di  cui  al  capo
H.1. Si formulano, inoltre, alcune precisazioni  circa  il  contenuto
del ricorso e si rileva l'intervenuta prescrizione delle  fattispecie
di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi B.1, C.1, D.1, E.1. 
    5.7  Con  memoria  depositata  il  7  dicembre  2023  i  predetti
difensori contestano la fondatezza dei primi due motivi  del  ricorso
del P.G.. Quanto al terzo motivo dello stesso ricorso, si  sottolinea
la coerenza e la razionalita' della decisione adottata dalla Corte di
merito con i principi di sistema, anche sovranazionali, evidenziando,
al contrario, l'irragionevolezza del precorso argomentativo delineato
dal ricorrente che, evocando una disapplicazione parziale, determina,
di fatto, l'introduzione di una novita' di  sistema  esorbitante  dai
poteri del giudice e sconfinante in quelli del legislatore. 
    6. M. P. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Vittorio
Manes, deducendo sette motivi di ricorso, variamente sottoarticolati. 
    6.1. Con il primo motivo si  lamenta,  ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1, lettera e), codice  di  procedura  penale,  la  nullita'  di
ordine generale determinata dalla  violazione  dell'art.  603,  comma
3-bis, codice di procedura penale, in relazione  agli  articoli  178,
lettera c), e 180 del codice di rito,  nonche',  ai  sensi  dell'art.
606, comma 1, lettera b),  codice  di  procedura  penale,  violazione
dell'art. 6, par.  3,  lettera  d),  Cedu,  poiche'  la  rinnovazione
istruttoria  disposta  dalla  Corte  d'appello   di   Venezia,   dopo
l'assoluzione in primo grado impugnata dal P.M., e' stata parziale  e
non ha attinto tutte le prove da ritenersi decisive. 
    6.2. Con il secondo motivo si lamenta, ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1, lett. b) codice di procedura  penale,  violazione  dell'art.
192, commi 1 e 2, del codice di rito e, ai sensi dell'art. 606, comma
1, lettera e) dello stesso codice, motivazione  solo  apparente,  per
avere la sentenza, nella parte  in  cui  illustra  gli  elementi  che
assume essere «a  carico»  del  P.,  valutato  selettivamente  alcune
prove, ignorandone altre. 
    6.3. Con il terzo motivo, variamente sottoarticolato, si lamenta,
ai sensi dell'art. 606, comma 1,  lettera  b),  codice  di  procedura
penale, la violazione dell'art. 192, commi 1 e 2, codice di procedura
penale e, ai sensi dell'art. 606, comma  1,  lettera  e),  codice  di
procedura penale , una  motivazione  solo  apparente,  per  avere  la
sentenza - nella parte in cui illustra, sovvertendone il significato,
gli elementi che la sentenza di primo grado considerava a favore  del
P. - valutato   selettivamente   alcune   prove   e ignorando   altre
risultanze. 
    6.4. Con il quarto motivo si lamenta,  ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1, lett. b), codice di procedura penale , violazione  dell'art.
192, comma 3, codice di procedura penale e, ai sensi  dell'art.  606,
comma 1, lettera e),  codice  di  procedura  penale  ,  la  manifesta
illogicita' e carenza della motivazione,  nella  parte  in  cui,  con
argomenti di carattere illogico o assertivo: 1) l'imputato G. i viene
considerato  soggettivamente  credibile,  nonostante   il   peculiare
contesto in cui si e' inserita la sua richiesta di rendere  un  nuovo
esame, particolarmente indicativo di un  interesse  dell'imputato  ad
avallare l'ipotesi accusatoria per ottenere benefici - effettivamente
conseguiti - in termini di pena;  2)  le  sue  dichiarazioni  vengono
ritenute intrinsecamente attendibili; 3) il narrato viene considerato
riscontrato da elementi di prova esterni, ma omettendo di considerare
plurime   deposizioni   testimoniali   e   prove   documentali    che
contrastavano con tale narrato, con  i  documenti  valorizzati  dalla
medesima sentenza - oggetto di  puntuale  analisi  critica  -  e,  in
generale, con i rilievi difensivi sul punto. 
    6.5. Con il quinto motivo si lamenta,  ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1, lettera b), codice  di  procedura  penale  ,  violazione  ed
errata applicazione delle norme di cui  agli  articoli  2637  e  2638
codice civile,  nonche'  dell'art.  173-bis  decreto  legislativo  n.
58/1998, in combinazione con l'art. 43 codice penale  ,  nella  parte
motivazionale in cui si  argomenta  la  sussistenza  del  dolo  delle
fattispecie  contestate  in  capo  al  P.  ,  nonche'  illogicita'  e
contraddittorieta' della motivazione, ai sensi dell'art.  606,  comma
1, lettera e), codice di procedura penale , anche nel  raffronto  tra
l'esclusione del dolo per l'imputato Z. assolto, ed il riconoscimento
della sua sussistenza per P. 
    6.6. Con il sesto motivo, si lamenta,  ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1, lett. b)  ed  e)  codice  di  procedura  penale,  violazione
dell'art. 533,  comma  1,  cod.  proc.  pen,  illogicita'  e  difetto
motivazionale, laddove la sentenza omette di fornire una «motivazione
rafforzata» che consenta di superare  l'esito  assolutorio  di  primo
grado ed i ragionevoli dubbi scaturenti  dall'apparato  argomentativo
di siffatta decisione. 
    6.7. Con il settimo motivo si lamenta, ai  sensi  dell'art.  606,
comma 1,  lett.  b)  ed  e),  codice  di  procedura  penale,  erronea
applicazione degli articoli  62-bis  e  133  codice  penale,  nonche'
contraddittorieta' e  carenza  motivazionale  in  ordine  al  mancato
riconoscimento  della   prevalenza   delle   circostanze   attenuanti
generiche ed al differente  trattamento  sanzionatorio,  quanto  agli
aumenti per la continuazione, rispetto al coimputato G. 
    6.8. Con memoria trasmessa in data 24 novembre 2023 il  difensore
del ricorrente, avv. Manes, ha replicato alle argomentazioni poste  a
fondamento del ricorso del Procuratore generale presso  la  Corte  di
appello di Venezia. In data  8  dicembre  2023  e'  stata  depositata
memoria a firma dell'avv. Manes e dell'avv.  Guazzarini,  di  replica
alla memoria del Procuratore generale. 
    7. A. P. ricorre, in data 20 febbraio 2023, a mezzo del difensore
di fiducia, avv. Bertolini Clerici, deducendo nove motivi. 
    7.1. Con  il  primo  motivo  si  lamenta  inosservanza  di  norme
processuali   sancite   a   pena   di   nullita',   inammissibilita',
inutilizzabilita', decadenza, in riferimento all'art.  21  codice  di
procedura penale , ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera c) codice
di procedura penale , in quanto la difesa, con motivo  di  appello  e
con motivo aggiunto, aveva  riproposto  l'eccezione  di  incompetenza
territoriale  gia'  formulata   innanzi   al   giudice   dell'udienza
preliminare  in  data  19  maggio  2018  ed  innanzi   al   Tribunale
all'udienza  del  2  aprile  2019,  in   particolare   chiedendo   la
trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il Tribunale  di
Milano, qualora fosse stato ritenuto  piu'  grave  il  reato  di  cui
all'art. 173-bis decreto legislativo n. 58/1998, di cui ai capi  I  e
L, per effetto del raddoppio della pena operato dall'art. 39  decreto
legislativo n. 262/2005,  oppure  al  pubblico  ministero  presso  il
Tribunale di Roma, qualora fosse stato ritenuto piu' grave  il  reato
di cui all'art. 2638  codice  civile  contestato  al  capo  B.1,  non
potendo, in tal senso,  ritenersi  preclusiva  la  decisione  assunta
dalla Corte di cassazione,  in  sede  di  risoluzione  del  conflitto
negativo  di  competenza  sollevato,  nella   fase   delle   indagini
preliminari, dal Tribunale di Milano, con cui era stata affermata  la
competenza del Tribunale di  Vicenza.  Secondo  la  difesa,  rispetto
all'originaria contestazione di cui al capo B.1, emerge pacificamente
dagli atti che la prima condotta di  ostacolo  alla  vigilanza  della
Banca d'Italia nell'anno ... era  stata  determinata  dall'invio,  in
data ..., della comunicazione denominata Rendiconto  Icaap  (Internal
capital adequacy assessment process), contenuta negli atti depositati
dal pubblico ministero in sede di avviso ex art.  415-bis  codice  di
procedura penale e, come tale, espressamente ricompresa tra gli  atti
posti a sostegno della  richiesta  di  rinvio  a  giudizio.  Inoltre,
erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che la contestazione  sub
B.1  si  riferisse  solo  a  condotte  poste  in  essere  nel   corso
dell'attivita' di vigilanza ispettiva, in quanto  -  come  si  evince
dalla lettura del  capo  di  imputazione  -  la  condotta  contestata
riguarda sia una condotta a dolo specifico, ai sensi del primo  comma
della disposizione,  relativa  a  mezzi  fraudolenti  consistiti  nel
nascondimento di documenti ed informazioni, sia una condotta  a  dolo
generico, ascrivibile alla fattispecie di cui al secondo comma  della
disposizione incriminatrice,  relativa  all'aver  omesso  di  fornire
informazioni alla Banca d'Italia circa la composizione  del  capitale
di B. P. di V.. Secondo  tale  prospettazione,  in  coerenza  con  la
giurisprudenza  di  legittimita'  sul  punto,  la  trasmissione   del
rendiconto Icaap  rientra  a  pieno  titolo  nel  contesto  materiale
delineato dall'imputazione: infatti l'ispezione della Banca  d'Italia
non avrebbe riguardato solo gli aspetti del credito, perche', se  non
fossero state omesse le informazioni rilevanti in tema  di  capitale,
in particolare del patrimonio  di  vigilanza,  l'attivita'  ispettiva
sarebbe stata  estesa  anche  alla  verifica  della  consistenza  del
capitale primario dell'istituto di credito.  In  tal  senso,  quindi,
l'indicazione del luogo e dell'epoca di consumazione  -  in  Vicenza,
dal ... al ... -  rappresenterebbe  l'errore  macroscopico  richiesto
dalla giurisprudenza  di  legittimita'  affinche'  il  giudice  possa
determinare  la  competenza  territoriale  differentemente  da   come
individuata dalla pubblica accusa. D'altra parte, proprio la  vicenda
relativa alla comunicazione Icaap - a differenza di quanto  affermato
dalla Corte territoriale - non costituisce un diverso fatto  storico,
ma una porzione della medesima condotta di cui al capo B.1,  che  non
avrebbe  affatto  determinato  una   diversa   qualificazione   della
condotta,  individuandosi,  anche  sotto   tale   aspetto,   l'errore
macroscopico nella formulazione del capo di imputazione. Nel caso  in
esame, quindi, l'effetto della comunicazione  e'  consistito  proprio
nell'aver  evitato  che  la  Banca  d'Italia  disponesse,  nel   ...,
l'ispezione sul capitale, condotta rilevante ai sensi dell'art.  2638
del codice civile; tale decisione,  inoltre,  avrebbe  dovuto  essere
presa a Roma e non a Vicenza, dove poi l'ispezione era stata eseguita
secondo il perimetro predeterminato nel suo contenuto. Al  contrario,
secondo la prospettazione della sentenza impugnata, si legittimerebbe
il forum shopping da parte  del  pubblico  ministero,  in  violazione
dell'art.  112  della  Costituzione,  attraverso  una  indiscriminata
selezione delle condotte indicate in imputazione. 
    7.2. Con il secondo motivo si lamenta  violazione  di  legge,  in
riferimento agli articoli 63 e 210 codice di procedura penale , 24  e
111 della Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606,
comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale  ,  quanto  alla
inutilizzabilita' delle dichiarazioni provenienti dai testimoni ... e
..., sulle quali  si  fonda  l'affermazione  di  responsabilita'  del
ricorrente, con contestuale impugnazione dell'ordinanza  resa  il  18
maggio 2022, anche sotto  l'aspetto  del  travisamento  della  prova,
risultante dai verbali delle udienze del 21 novembre 2019, 26 ottobre
2019, 26 novembre 2020. 
    7.3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza di norme sancite
a pena di nullita', inutilizzabilita',  inammissibilita',  decadenza,
in riferimento agli articoli 521 e 522 codice  di  procedura  penale,
vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e)
codice  di  procedura  penale  ,  per  avere  la  sentenza  impugnata
affermato la partecipazione del P. alla prassi contestata mediante il
coinvolgimento   nell'operazione   di    investimento    nei    fondi
lussemburghesi. 
    7.4. Con il quarto motivo si  lamenta  violazione  di  legge,  in
riferimento agli  articoli  2637  e  2638  codice  civile,  vizio  di
motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice
di procedura penale, per  avere  la  sentenza  impugnata  escluso  la
violazione  del  principio  del  ne  bis  in  idem  sostanziale,   in
riferimento ai reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e  falso
in prospetto; 
    7.5. Con il quinto motivo  si  deduce  violazione  di  legge,  in
riferimento all'art. 51 del  codice  penale,  ed  all'art.  23  della
Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma  1,
lettera b) ed  e)  codice  di  procedura  penale  ,  per  la  mancata
applicazione del principio del nemo tenetur se detegere, in quanto la
difesa con i motivi di appello aveva rappresentato come  la  concreta
contestazione della fattispecie di cui all'art. 2638 codice civile  -
da individuare nella mancata  indicazione  dell'esistenza  di  azioni
finanziate -  comportava  l'incriminazione  della  violazione  di  un
dovere che, se adempiuto, avrebbe cagionato l'incriminazione  per  la
fattispecie di cui all'art. 2637 codice civile; 
    7.6. Con il sesto motivo si  lamenta  vizio  di  motivazione,  ai
sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e», codice di procedura  penale
delle ordinanze del 18 maggio 2022 e del 20  luglio  2022,  reiettive
della richiesta di rinnovazione  dell'esame  del  P.,  non  potendosi
altrimenti sanare il vulnus difensivo  scaturente  all'impossibilita'
di esaminare come teste lo ..., successivamente iscritto nel registro
degli indagati, oltre che dall'impossibilita' di ritenere attendibili
le dichiarazioni rese dal ... ex art. 507  del  codice  di  procedura
penale , essendo egli potenzialmente a conoscenza della sua veste  di
indagato allorquando aveva deposto, come dimostrato  dall'allegazione
del    provvedimento    di    ispezione    condotto    dall'autorita'
lussemburghese. 
    7.7. Con il settimo motivo si lamenta  violazione  di  legge,  in
riferimento all'art. 192, comma 3, codice di procedura penale , vizio
di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1,  lettera  b)  ed  e)
codice  di  procedura  penale  ,  in  ordine  alla   valutazione   di
attendibilita' della chiamata in correita' proveniente dal coimputato
E. G., le cui dichiarazioni avrebbero dovuto essere esaminate  tenuto
conto della sua veste di coimputato, anche considerata la genericita'
delle dichiarazioni riguardanti il P., peraltro  smentite  dal  teste
estraneo ... e neanche valorizzate dal primo giudice. 
    7.8. Con l'ottavo motivo  si  lamenta  violazione  di  legge,  in
riferimento agli articoli 191, 234 del codice di procedura  penale  ,
13, 14 e 15  della  Costituzione,  vizio  di  motivazione,  ai  sensi
dell'art. 606, comma 1, lettera b» ed e) codice di procedura penale ,
in quanto la difesa, in appello, aveva lamentato  l'inutilizzabilita'
della registrazione della riunione del Comitato di direzione  del ...
trascritto  e  depositato  dal  pubblico  ministero,  alla  luce  dei
principi della giurisprudenza di legittimita'. 
    7.9. Con il nono motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi
dell'art. 606, comma 1, lettera e) codice di procedura  penale  ,  in
riferimento all'omessa motivazione della sentenza  impugnata,  quanto
alla censura di attendibilita' dell'imputato di reato connesso ... su
cui si fonda,  tra  l'altro,  l'affermazione  di  responsabilita' del
ricorrente. 
    8. G. Z. ricorre, a mezzo dei difensori di  fiducia  avv.  Enrico
Mario Ambrosetti ed avv. Tullio Padovani, deducendo tre motivi. 
    8.1. Con  il  primo  motivo  si  lamenta  inosservanza  di  norme
processuali  sancite   a   pena   di   nullita',   inutilizzabilita',
inammissibilita' e decadenza, in riferimento  all'art.  8  codice  di
procedura penale, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera c)  codice
di procedura penale, svolgendo considerazioni che, con diversita'  di
accenti, giungono alle medesime  conclusioni  del  primo  motivo  del
ricorso proposto nell'interesse del P. 
    8.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio  di  motivazione,  ai
sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e) codice di procedura penale ,
in riferimento alla identificazione  delle  operazioni  riconducibili
alla nozione di «capitale finanziario» di cui agli  articoli  2637  e
2638, di cui ai capi A.1, B.1, C.1, D.1,  E.1,  F.1,  G.1,  H.1,  M.1
dell'imputazione, alla luce del contenuto dei motivi di  appello  sul
punto, come sintetizzati in ricorso, quanto  all'inquadramento  delle
problematiche relative al capitale finanziato dalla B. P. di V. 
    8.3. Con il terzo motivo si  lamenta  violazione  di  legge.,  in
riferimento agli articoli 192, commi 2 e 3, 194, comma  3,  vizio  di
motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b)  ed  e)  del
codice di procedura penale, in riferimento  ai  reati  cli  cui  agli
articoli 2637 e 2638 codice civile, di cui ai  capi  A.1,  B.1,  C.1,
D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1, avendo la Corte di merito riproposto la
lacuna motivazionale del primo giudice in ordine alla  partecipazione
dello  Z.  alla  prassi  di  rilascio   di   lettere   d'impegno   ed
all'investimento dei fondi lussemburghesi. 
    8.4. In data 24 novembre 2023  gli  avv.  Padovani  e  Ambrosetti
hanno  trasmesso   memoria   nell'interesse   dello   Z.,   ribadendo
l'eccezione di incompetenza territoriale del  Tribunale  di  Vicenza,
nonche' le argomentazioni a sostegno del secondo e del  terzo  motivo
di ricorso. In data 24  novembre  2023  gli  stessi  difensori  hanno
trasmesso memoria  in  riferimento  al  ricorso  per  cassazione  del
Procuratore generale contestando la fondatezza dei primi due  motivi.
Quanto al terzo motivo dello stesso ricorso, la  difesa  si  richiama
agli  approdi  della  giurisprudenza  costituzionale   in   tema   di
sproporzione della confisca, con particolare riguardo  alla  sentenza
n. 112 del 2019, a sostegno delle ragioni che hanno indotto la  Corte
di merito alla disapplicazione della confisca per sproporzione,  come
effetto diretto della giurisprudenza  della  Corte  del  Lussemburgo,
oltre che nel pieno rispetto del principio di cui all'art.  25  della
Costituzione; in ogni caso,  si  ritiene  che,  in  alternativa  alla
disapplicazione,    si    dovrebbe    sollevare    l'incidente     di
costituzionalita' dell'art.  2641  codice  civile.  Al  riguardo,  si
osserva come la richiamata disposizione, allo stato,  sia  l'unica  a
prevedere la confisca per equivalente dei beni  strumentali  e  come,
anche per effetto della «doppia pregiudizialita'»,  il  ricorso  alla
Corte  costituzionale  abbia  sicuramente  un'efficacia  maggiormente
stabilizzante. 
    9.  Nell'interesse  delle  parti  civili  sono  state   trasmesse
conclusioni scritte e nota spese, da parte di numerosi difensori. 
    10. All'udienza del 14 dicembre 2023 si e' svolta la  trattazione
orale del processo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Premessa. Ritiene la Corte che il motivo di  ricorso  proposto
dal Procuratore generale riguardo  al  punto  della  disposta  revoca
della  confisca  -  misura  ablatoria  adottata  dal  Tribunale   nei
confronti di tutti gli imputati condannati all'esito di quel grado di
giudizio  -  sia  parzialmente  fondato   e,   sollecitando   rilievi
apprezzabili  anche  nell'ottica  di  un  incidente  di  legittimita'
costituzionale, debba  essere  analizzato  in  via  prioritaria,  con
assorbimento degli altri motivi, salva la eccezione di  cui  appresso
si dira'. 
    2.  Delibazione  preliminare  dei  motivi  di  ricorso.   Occorre
rilevare, al riguardo, che la revoca della confisca contro  la  quale
insorge il Procuratore generale riguarda tra gli altri, il coimputato
G., il quale, con il proprio  ricorso,  indirizza  le  critiche  alla
sentenza  impugnata  con   esclusivo   riferimento   al   trattamento
sanzionatorio. 
    Si tratta di doglianze - quelle del G. - che non  scalfiscono  la
logicita' del percorso argomentativo che ha sorretto l'esercizio  del
potere discrezionale del giudice di merito nella  determinazione  del
trattamento sanzionatorio. 
    Ne discende che il motivo di ricorso proposto dal ricorrente  non
presenta profili che giustificherebbero il suo accoglimento. 
    La confisca era stata disposta dal giudice  di  primo  grado  nei
confronti di tutti gli imputati e l'appello del Procuratore generale,
accolto quanto all'affermazione di responsabilita'  del  P.,  avrebbe
comportato,  secondo  quanto  lamenta  il  ricorso  per   cassazione,
l'applicazione della  misura  ablatoria  anche  nei  confronti  dello
stesso, se la Corte territoriale non avesse disposto la revoca  della
confisca. Tanto si puntualizza all'esclusivo fine di dar conto  delle
ragioni per le quali non si e' disposta la separazione  del  processo
nei confronti del P. 
    Cio' posto, osserva il Collegio che le superiori  considerazioni,
in ordine alla posizione del  G.,  sarebbero  sufficienti  a  rendere
rilevante  la  questione  di  legittimita'  costituzionale   che   si
argomenta di seguito. 
    Tuttavia, alla luce della disciplina dettata dall'art. 587 codice
di   procedura   penale   in   ordine    agli    effetti    estensivi
dell'impugnazione, e' necessario esaminare i motivi, di carattere non
esclusivamente personale, sviluppati, nell'interesse dello Z.  e  del
P. in tema di incompetenza per territorio  dell'autorita'  adita,  il
cui  accoglimento  travolgerebbe  la  sentenza  anche  in  punto   di
confisca. 
    3. L'eccezione di incompetenza territoriale. La questione e' gia'
stata esaminata da Sez. 1, n. 15537 del 7 dicembre 2017,  dep.  2018,
... , n.  m.,  in  sede  di  conflitto  negativo  di  competenza.  Il
conflitto era stato sollevato dal Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Milano, al quale erano stati trasmessi gli atti  dal
Giudice  per  le  indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Vicenza,
dichiaratosi    territorialmente     incompetente     contestualmente
all'emissione del decreto di sequestro preventivo per  i  delitti  di
aggiotaggio informativo nella gestione di ente non quotato, ai  sensi
degli articoli 81, comma secondo, 110 codice  penale  ,  2637  codice
civile, di cui al capo A.1)  dell'imputazione,  e  di  ostacolo  alle
funzioni di vigilanza nei confronti  della  Banca  d'Italia  e  della
Consob, ai sensi degli articoli 81, comma secondo, 110, 2638, comma 3
codice  civile,   di   cui   ai   capi   B.1),   C.1),   D.1),   E.1)
dell'imputazione.  Esso   era   stato   risolto   nel   senso   della
determinazione  della  competenza   per   territorio   dell'Autorita'
giudiziaria vicentina. 
    La Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha ritenuto  che,
nella vicenda in esame, non operasse la preclusione di  cui  all'art.
25 codice di procedura penale  per  la  diversita'  delle  parti  del
procedimento cautelare rispetto a quello di merito,  nonche'  per  la
presenza dell'ulteriore  prospettazione  della  competenza  dell'A.G.
romana. Essa  ha,  tuttavia,  comunque  concluso  per  la  competenza
territoriale dell'autorita' giudiziaria vicentina. 
    L'approdo  decisorio  della  Corte  territoriale  va  sicuramente
condiviso, sulla scorta del principio illustrato dalle Sezioni Unite,
n. 18621 del 23 giugno  2016,  dep.  2017,  ...  ,  Rv.  268586,  poi
richiamato da Sez. 5, n. 11715 del 29 novembre 2019, dep. 2020, ... ,
Rv. 278858, secondo cui la  pronuncia  risolutiva  del  conflitto  di
giurisdizione,  cosi'  come  quella  di  competenza,   e'   decisione
incidentale  dotata  di  effetti  preclusivi  nei  limiti  del  thema
decidendum del conflitto e delle questioni da questo presupposte. 
    Invero, l'art. 25  codice  penale  stabilisce  espressamente  che
«[l]a decisione della Corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla
competenza e' vincolante nel corso del processo, salvo che  risultino
nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica  da  cui
derivi la modificazione della giurisdizione o  la  competenza  di  un
giudice superiore». La disposizione, quindi, codifica un principio di
perpetuatio jurisdictionis per la quale «nel corso del processo»  non
e' possibile rimettere in discussione la competenza  per  territorio,
posto che la rilevanza dell'emergenza di fatti nuovi e' limitata alla
loro incidenza, derivante  da  una  conseguente  diversa  definizione
giuridica, che incida necessariamente sulla «giurisdizione»  o  sulla
«competenza di un giudice superiore». 
    Si tratta di un principio che attiene al significato fondamentale
delle norme sulla competenza del giudice - che e' quello di garantire
la predeterminazione del giudice per legge -, in modo da  evitare  di
consegnare i procedimenti a situazioni di instabilita' ed incertezza,
a maggior ragione ove si  consentissero  precisazioni  e  adattamenti
delle eccezioni sino all'appello; cio' contrasterebbe  insanabilmente
con il significato minimo ed essenziale da  attribuire  all'art.  25,
primo comma, della Costituzione che e' quello di garantire una sicura
individuazione ex  ante  del  giudice  naturale  precostituito  dalla
legge, non certo quella di condizionare gli  esiti  del  processo  al
progressivo affinamento delle risultanze dello stesso. 
    Resta da vedere, tuttavia, se la nuova  prospettazione  difensiva
relativa  alla  consumazione  in  ...  ,  anziche'  in  ...  ,   come
contestato, del reato di cui al  capo  B.1)  sia  tale  da  integrare
quella macroscopicita' di errore nella prospettazione  d'accusa,  che
consente di rivisitare le determinazioni della  Corti  di  cassazione
sulla competenza per territorio. 
    Secondo la difesa di G. Z., nella determinazione della competenza
si  sarebbe  dovuto  tenere  conto,  in  riferimento  al  capo  B.1),
aggravato ex art. 2638, terzo comma, codice civile, di un  fatto  (la
comunicazione ICAAP inviata alla Banca d'Italia  in  ...  nell'aprile
... che, pur non  descritto  espressamente  nel  capo  d'imputazione,
sarebbe rientrato nell'alveo della stessa,  in  quanto  pacificamente
documentato e risultante dagli atti delle indagini  preliminari,  non
potendosi ammettere alcun arbitrio  nella  selezione  delle  condotte
compiuta dall'organo della pubblica accusa. 
    Orbene, la giurisprudenza di legittimita' invocata dai ricorrenti
conferma  che  la  competenza  per  territorio  si  determina  avendo
riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a  meno
che  la  stessa  non  contenga  rilevanti  errori,  macroscopici   ed
immediatamente percepibili (v., ad es. Sez. 1, n. 31335 del 23  marzo
2018, ... , Rv. 273484 - 01). 
    Quest'ultima  puntualizzazione   rappresenta   una   valvola   di
sicurezza  del  sistema,   ricostruita   dalla   giurisprudenza   per
consentire un controllo sulla correttezza dell'imputazione  formulata
rispetto alle  risultanze  che  ad  essa  si  riferiscono.  In  altri
termini, essa non comporta un sindacato del giudice,  ai  fini  della
verifica  della  competenza,  sulle  scelte  del  pubblico  ministero
nell'esercizio  dell'azione  penale  (sindacato  demandato  ad  altri
istituti che qui  non  assumono  rilievo  e  che  sollevano  delicati
problemi di bilanciamento  rispetto  alle  prerogative  dello  stesso
pubblico ministero, in  relazione  al  principio  di  obbligatorieta'
dell'azione penale: per alcuni profili, v., ad es., Sez. U, n.  10728
del 16 dicembre 2021, dep. 2022, ... , Rv. 282807 - 01, punto  4  del
Considerato in diritto). 
    Cio' posto, risulta indiscutibile  che  la  descrizione  fattuale
contenuta  nel  capo   d'imputazione   sub   B.1)   e'   circoscritta
temporalmente e spazialmente all'attivita' ispettiva  condotta  dalla
Banca  d'Italia  presso  l'ente,  in  ...  .  Inoltre,  le   condotte
concorsuali, ivi compresa quelle del P. , sono ricondotte «al fine di
ostacolare l'esercizio delle funzioni della  Banca  d'Italia  durante
l'attivita' ispettiva compiuta dalla stessa Autorita' presso la  sede
sociale (in ...)»; la stessa aggiunta «e comunque omettevano di  dare
comunicazione di tali circostanze» e' riportata ancora  una  volta  a
«conseguenti» approfondimenti  conoscitivi  che,  per  le  precedenti
delimitazioni spaziali e  temporali,  concernono  inevitabilmente  le
comunicazioni in costanza di  ispezione.  D'altro  canto,  il  valore
decettivo della comunicazione ICAAP - che riguarda un eventuale reato
non compreso nella descrizione del capo d'imputazione - e' tutt'altro
che   idoneo,   ad   evidenziare   un   macroscopico   errore   nella
prospettazione dell'accusa. Il valore da dare a tale  fatto  implica,
invece, delicate valutazioni - da ritenersi inibite in  questa  sede,
in quanto contra reum e tali da ampliare contro  l'imputato  l'accusa
rispetto alla cognizione dei precedenti gradi - del  contenuto  della
comunicazione che lo stesso ricorso non  offre,  specie  nei  termini
della macroscopicita'  richiesta  per  ravvisare  un  arbitrio  della
pubblica accusa, tenuto conto che l'ICAAP e' un  documento,  previsto
da una  fonte  regolamentare,  di  autovalutazione  della  situazione
economica,  patrimoniale  e  finanziaria,  realizzata  attraverso  un
rendiconto, laddove,  al  contrario,  il  legame  tra  l'acquisto  di
un'azione ed un finanziamento ricevuto a fronte di esso  non  risulta
rilevabile, in generale, su base cartolare in  forza  della  semplice
rendicontazione. 
    Conclusivamente sul punto, le valutazioni connesse  alla  mancata
contestazione di illeciti, correlati alla comunicazione ICAAP del ...
, non presentano elementi di evidenza e  macroscopicita'  di  errore,
immediatamente percepibili nella contestazione dell'accusa,  tali  da
consentire di superare la prospettazione del  pubblico  ministero  ai
fini della delibazione di competenza territoriale; tanto meno risulta
alcuna  arbitraria  selezione  dei  fatti  da  parte   del   pubblico
ministero, che possa ritenersi  strumentale  alla  sottrazione  degli
imputati al loro «giudice naturale», tenuto conto che - gia' in  base
agli atti offerti dal pubblico ministero addirittura nel procedimento
cautelare - si era determinato un conflitto di competenza  che  aveva
comportato l'intervento della Corte di cassazione. 
    Il fatto, poi, che la delibazione sulla  competenza  territoriale
venga effettuata sulla base della  contestazione  dell'accusa,  salvi
errori macroscopici immediatamente percepibili,  non  puo'  ritenersi
contrastare con il quadro costituzionale. 
    Il percorso seguito dai ricorsi sul punto,  in  realta',  collide
con i  principi  cardine  del  nostro  ordinamento  processuale,  che
riserva al pubblico ministero l'individuazione del tema dell'accusa e
la   sua   perimetrazione   contenutistica.   In   particolare,    la
prospettazione  difensiva  implica  una  sorta   di   sovrapposizione
funzionale del giudice  in  tema  di  individuazione  della  condotta
oggetto di imputazione, qualora dagli  atti  emerga  un  segmento  di
condotta non esplicitato dalla  descrizione  del  fatto  operata  dal
pubblico ministero. 
    4. La rilevanza della questione  di  legittimita'  costituzionale
della sproporzione della confisca per equivalente disposta  in  primo
grado. Cio' detto con  riguardo  a  quanto  qui  rileva  in  tema  di
affermazione di responsabilita', ritiene il Collegio di esaminare  il
terzo motivo del ricorso del Procuratore generale, con il quale, come
detto, si lamenta violazione di legge, in riferimento  agli  articoli
2641 del codice civile, 101, secondo  comma,  e  25,  secondo  comma,
della Costituzione, nonche' con riguardo  ai  principi  di  legalita'
della pena e di separazione dei poteri. In particolare, si contestano
le   argomentazioni   utilizzate   dalla   Corte   territoriale   per
giustificare la revoca della confisca per equivalente che  era  stata
disposta dal giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 2641, secondo
comma, codice civile, nei confronti di tutti  gli  imputati  (con  la
sola eccezione, per quanto qui rileva, del P. , assolto dal Tribunale
e nei cui confronti, per questa ragione, il giudice  di  primo  grado
non   aveva   disposto   alcuna   misura   ablatoria),   in   ragione
dell'affermazione di responsabilita' per i reati di cui agli articoli
2637 e 2638 codice civile, sino all'importo di 963.000.000,00 euro. 
    Si osserva: a) che l'art.  2641,  secondo  comma,  codice  civile
prevede la confisca anche per equivalente  dei  beni  utilizzati  per
commettere i reati - nella specie, ravvisati nelle  somme  di  denaro
investite  nelle  operazioni  di  finanziamento  illecito  -,   senza
introdurre   correttivi   di   tipo   quantitativo   correlati   alle
peculiarita'  del  caso  concreto;   b)   che   la   valutazione   di
(s)proporzione espressa dalla Corte d'appello, che ha ritenuto idonea
la pena detentiva prevista dagli art. 2637 e 2638 codice  civile  «ad
esaurire adeguatamente la risposta punitiva»,  finisce  per  impedire
l'applicazione della confisca, che il legislatore ha  costruito  come
obbligatoria; c) che  la  valorizzazione,  da  parte  della  sentenza
impugnata, dell'assenza di  un  profitto  individuale,  introduce  un
parametro normativo non  previsto  da  parte  dell'art.  2641  codice
civile ed estraneo alla natura  dell'istituto,  che  attinge  non  il
profitto, ma i beni utilizzati per commettere i reati. 
    Con specifico riguardo all'ammissibilita' di una  disapplicazione
parziale della previsione normativa, con la conseguente  possibilita'
di disporre, in coerenza con il principio  di  proporzionalita',  una
confisca non  estesa  all'intero  ammontare  delle  somme  di  denaro
utilizzate per commettere i  reati,  il  ricorrente,  richiamando  le
garanzie e i principi costituzionali di cui sopra e le conclusioni di
Corte costituzionale, ord.  n.  24  del  2017,  sollecita  un  rinvio
pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di  chiarire,  tramite
una interpretazione della sentenza Grande Sezione, 8 marzo  2022,  in
C-205/20, se la normativa nazionale debba essere  disapplicata  anche
quando tale risultato, in assenza di una base legale sufficientemente
determinata, finisca, in violazione del principio di legalita'  e  di
separazione  dei  poteri,  per  attribuire  al  giudice   valutazioni
discrezionali in tema di politica criminale,  riimesse  dalla  nostra
Costituzione al legislatore. 
    4.1. La decisione della Corte territoriale. La Corte  di  Appello
di Venezia ha affrontato la questione, esaminando, in particolare, il
settimo motivo di appello articolato dalla difesa  dell'imputato  Z.,
che aveva dedotto l'illegittimita' della  confisca  per  equivalente,
disposta  dal  Tribunale  per  un  ammontare  pari  all'entita'   dei
finanziamenti erogati per le operazioni  incriminate,  considerandoli
come beni utilizzati per commettere il reato, ai sensi dell'art. 2641
del codice civile, in  relazione  alla  mancata  preventiva  verifica
della concreta praticabilita' della confisca diretta, posto  che:  a)
la procedura concorsuale non  sarebbe  stata  affatto  ostativa  alla
confisca diretta, considerata la prevalenza  del  sequestro  rispetto
alla  procedura  concorsuale,  come  piu'   volte   affermato   dalla
giurisprudenza di legittimita', e che b) l'istituto di  credito,  nel
caso in esame, aveva tratto sicuramente  profitto  dalla  commissione
dei reati di cui agli articoli 2637 e 2638 codice civile 
    In secondo luogo, l'appellante  aveva  dedotto  che  la  confisca
disposta, di indubbia natura sanzionatoria, confligge con i  principi
costituzionali,  come  gia'  evidenziato  da  Corte   costituzionale,
sentenza n. 112 del 2019 e dal successivo intervento del  legislatore
in relazione all'art. 187  TUF,  laddove,  per  effetto  della  legge
europea n. 238 del 2021, il provvedimento ablatorio e' stato limitato
al  solo   profitto   dell'illecito,   con   esclusione   dei   «beni
strumentali»; cio' avrebbe imposto l'adozione  di  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  dell'art.  2641  codice   civile,   in
riferimento gli articoli 3 e 27 della Costituzione,  considerato  che
l'attuale formulazione dell'art. 2641 codice civile si fonda su di un
criterio rigido di quantificaziore dell'oggetto della  confisca,  non
commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto  da
quest'ultimo eventualmente conseguito. 
    A fronte di tali  deduzioni,  la  Corte  di  merito  ha  ritenuto
infondato il primo argomento difensivo -  aderendo  alla  tesi  della
indisponibilita' delle somme a seguito della sottoposizione della  B.
P. di V. a procedura concorsuale - ed ha accolto, invece, il secondo.
Su tale aspetto, in particolare, la sentenza impugnata  ha  ricordato
come, per  giurisprudenza  di  legittimita'  consolidata,  nei  reati
finanziari i beni utilizzati per commettere i reati siano  costituiti
dalle  somme  di  denaro  investite  nelle   operazioni   finanziarie
incriminate, nella specie di  entita'  particolarmente  elevata;  nel
caso in esame, tali somme, pur non  nella  originaria  disponibilita'
degli  imputati,  bensi'  di  un  soggetto  terzo,  ossia  la  banca,
dovrebbero essere oggetto di confisca per equivalente  nei  confronti
degli   imputati.   Siffatto    provvedimento    ablatorio    sarebbe
evidentemente connotato da  una  manifesta  sproporzione,  oltre  che
essere  del  tutto  disancorato  dalla   valutazione   del   concreto
contributo concorsuale, in  virtu'  dell'automaticita'  del  relativo
criterio di commisurazione,  con  conseguente  violazione  anche  dei
principi costituzionali  inerenti  alla  funzione  rieducativa  della
pena, di cui all'art. 27, primo e terzo  comma,  della  Costituzione,
come di recente ribadito dalla citata Corte costituzionale,  sentenza
n. 112 del 2019. Nel caso di specie, aggiunge la Corte di merito,  la
condotta posta in essere dagli imputati, per quanto  grave,  e'  gia'
stata adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio  detentivo  di
riferimento, che prevede un'ampia forbice edittale del tutto idonea a
calibrare  la  sanzione  in   riferimento   all'entita'   dell'offesa
arrecata, con conseguente ancor maggiore sproporzione  della  portata
afflittiva del provvedimento ablatorio adottato, posto che,  inoltre,
nel caso cli specie gli imputati  non  hanno  tratto  alcun  profitto
economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato
mediante l'utilizzazione  di  risorse  dell'istituto  di  credito  ed
avendo  agito  nell'interesse  esclusivo  dello   stesso,   ancorche'
radicalmente contrario alle regole di sana e  prudente  gestione.  Se
anche si ipotizzasse - prosegue la Corte di merito - la  possibilita'
di convertire l'ammontare della confisca adottando il criterio di cui
all'art. 135 del codice penale , si perverrebbe ad un risultato ancor
piu'   sproporzionato,   in   quanto   l'entita'   della   reclusione
risulterebbe gia' pari ad anni trenta in  riferimento  ad  una  somma
pari ad euro 2.700.000,00, largamente inferiore alla  somma  di  euro
960.000.000,00 di cui alla disposta confisca, con un  esito,  quindi,
non  solo  evidentemente  irrazionale,  ma   anche   inesigibile   in
riferimento alla durata della pena detentiva che verrebbe  ad  essere
individuata in tal modo. 
    Tanto premesso, la Corte di merito  ha  ritenuto  praticabile  la
strada della revoca della confisca,  la  cui  applicazione  non  solo
risulterebbe: contrastante con i richiamati principi  costituzionali,
ma anche con l'art. 49, § 3, della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'Unione europea (d'ora innanzi, CDFUE) -, la quale  prevede,  per
l'appunto, che le  pene  debbano  essere  proporzionate  rispetto  al
reato. 
    Al  contrario,  secondo  la  Corte  di  merito,  l'incidente   di
costituzionalita'  non  appare  praticabile,  alla  luce  sia   della
giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare la sentenza
n. 30 del 2021), sia in ragione del contenuto  della  sentenza  della
Grande Sezione della Corte GUE  emessa  in  data  8  marzo  2022  nel
procedimento C-205/20, che, a sua volta, ha ribaltato  il  precedente
orientamento  della  Corte  di  Lussemburgo,   cristallizzato   nella
sentenza C-384/17 nel caso ... . La sentenza impugnata  osserva  che,
secondo la Corte di' Lussemburgo, qualora le  disposizioni  nazionali
contrastino con il  principio  di  proporzionalita'  della  sanzione,
avente valore «imperativo», spetta al giudice nazionale garantire  la
piena efficacia di tale principio, con la conseguenza che, ove non vi
sia  spazio  per  procedere  ad  un'interpretazione  della  normativa
nazionale conforme a tale requisito, il giudice dovra'  disapplicare,
di propria iniziativa, le disposizioni nazionali incompatibili con il
citato principio; tale modus  operandi,  inoltre,  non  contrasta  in
alcun  modo  ne'  con  la  certezza  del  diritto  -  certamente  non
compromesso dall'esigenza di adeguare  la  sanzione  ad  esigenze  di
proporzionalita' -, ne' con la legalita' della pena, che  costituisce
un limite invalicabile unicamente a favore del reo. 
    In ogni  caso,  nella  vicenda  in  esame,  ritiene  la  sentenza
impugnata che l'integrale disapplicazione della  confisca,  piuttosto
che una riduzione della stessa, si imponga sia per la piena idoneita'
del trattamento sanzionatorio «principale» ad esaurire  adeguatamente
la risposta punitiva dello Stato, sia per l'assenza  di  qualsivoglia
profitto  in  capo  agli  imputati,   suscettibile   di   valutazione
economica, al quale ancorare l'importo da sottoporre a confisca. 
    Tale interpretazione - conclude la Corte di merito - ha  ricevuto
conferma   anche   dalla   piu'    recente    evoluzione    normativa
sovranazionale, con riferimento al regolamento 1805/18 UE - come tale
self-executing -, applicabile dal 19 dicembre 2020, che, intervenendo
in materia di cooperazione internazionale, ha stabilito un  principio
di  portata  generale  in  tema   di   confisca,   richiamando,   nel
considerando n. 21, nell'art. 1, § 3 e nell'art. 41, il rispetto  dei
principi  di   necessita'   e   di   proporzionalita'   nell'emettere
provvedimento di congelamento o di confisca. 
    La Corte di appello, pur ritenendo che tale regolamento offra  un
riscontro circa la praticabilita' della disapplicazione diretta della
norma  interna,  avverte  che  siffatta  soluzione  potrebbe   essere
foriera, nell'immediato, di incertezze e  disparita'  di  trattamento
inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate da singole autorita'
giudiziarie, laddove la  sottoposizione  della  questione  al  vaglio
della   Corte   costituzionale    consentirebbe    di    intervenire,
eventualmente, direttamente sulla disposizione di cui  all'art.  2641
codice civile. 
    4.2. La questione di legittimita'.  Tanto  premesso,  ritiene  il
Collegio, come gia' detto, che il ricorso  del  procuratore  Generale
presso la Corte di appello di Venezia presenti profili di  fondatezza
che rendono rilevante la  questione  di  legittimita'  che  si  va  a
prospettare.  Infatti,  ove  non  si  ricorresse   all'incidente   di
costituzionalita'  dell'art.  2641,  secondo  comma,  codice  civile,
l'accoglimento  delle  censure  del P.G.  impugnante  riguardo   alla
mancata applicazione della  confisca  comporterebbe  un  mandato,  al
giudice del rinvio, per la disposizione di una misura  ablatoria  che
si sospetta di manifesta sproporzione, come si vedra'. 
    4.2.1. Occorre premettere che la  norma  di  cui  all'art.  2641,
primo comma, codice civile prevede la confisca  dei  beni  utilizzati
per commettere i reati. 
    Secondo la condivisa  giurisprudenza  espressa  da  questa  Corte
(Sez. 5, n. 1991 del 29 novembre 2018, dep. 2019, ... Rv. 274437 - 0;
Sez. 5, n.  42778  del  26  maggio  2017,  ...  ,  Rv.  271440  -  0)
costituiscono «beni  utilizzati  per  commettere  il  reato»  di  cui
all'art. 2638 del codice  civile,  confiscabili  ai  sensi  dell'art.
2641,  primo  e  secondo  comma,  codice   civile,   anche   mediante
l'apprensione  di  beni  per  valore  equivalente,  i   finanziamenti
concessi da un istituto di credito a terzi per l'acquisto  di  azioni
ed obbligazioni dello stesso istituto e finalizzati  a  rappresentare
una  realta'  economica  del  patrimonio   di   vigilanza   dell'ente
creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo  delle  funzioni
delle autorita' pubbliche di vigilanza. 
    L'art. 2641 codice civile, sia con il primo  comma,  sia  con  il
secondo comma - nel presente procedimento direttamente  rilevante  -,
che  prevede  la  confisca  per  equivalente,  non  introduce   alcun
parametro di tipo quantitativo correlato alle peculiarita'  del  caso
concreto. 
    Rispetto al  percorso  argomentativo  della  Corte  territoriale,
quale sopra riassunto, si rileva che il Procuratore generale  non  ha
impugnato la sentenza della Corte di appello di  Venezia,  quanto  al
profilo  della  rilevanza  preclusiva  che  avrebbe,  rispetto   alla
possibilita' di disporre la confisca diretta, la sottoposizione della
banca  a   liquidazione   coatta   amministrativa   con   conseguente
spossessamento dell'istituto di credito. In  altri  termini,  non  e'
stata sollevata la questione della  applicabilita'  alla  vicenda  in
esame dell'orientamento espresso dal massimo  consesso  nomofilattico
di questa Corte, a partire da Sez. U, n. 29951 del  24  maggio  2004,
... , Rv. 228165, sino alle piu' recenti Sez.  U,  n.  40797  del  22
giugno 2023, ... , s.n.c., Rv.  285144,  secondo  cui  l'avvio  della
procedura concorsuale non preclude l'adozione  o  la  permanenza  del
sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Ne',  considerato  il
principio devolutivo, la questione puo' essere rilevata d'ufficio  da
questa  Corte.  Va  aggiunto,   al   riguardo,   che   le   superiori
considerazioni non comportano profili di inammissibilita' del ricorso
del Procuratore generale, poiche' il tema della sottoposizione  della
banca a procedura concorsuale  non  costituisce  una  autonoma  ratio
decidendi della  disposta  revoca  della  confisca,  ma  la  premessa
giuridica della possibilita' di disporre la confisca per equivalente,
alla luce della non praticabilita' della confisca diretta, secondo le
conclusioni del costante orientamento di questa Corte  (v.,  ad  es.,
Sez. 5, n. 6391 del 4 febbraio 2021,  ...  ,  Rv.  280535  -  0):  si
tratta, pertanto, di un presupposto che il ricorrente  condivide  per
poter contestare la disapplicazione dell'art.  2641,  secondo  comma,
codice  civile,  cui  la  sentenza  impugnata  e'   giunta   per   la
sproporzione dell'effetto sanzionatorio. 
    4.2.2. La confisca in primo grado e' stata disposta nei confronti
di tutti gli imputati (salvo, come detto, che nei  confronti  di  P.,
che, invece, e' stato condannato in secondo grado, per cui non e' mai
stato destinatario di un provvedimento di confisca; in ogni  caso  il
ricorso del P.G. e' indirizzato anche nei confronti di  quest'ultimo)
a seguito della condanna per i reati di cui agli art. 2637 e 2638 del
codice civile 
    Per le ragioni  che  si  diranno,  e'  rilevante  il  tema  della
prescrizione. Con riguardo all'art. 2638 del codice civile, il  terzo
comma, introdotto dall'art. 39, comma 2, lettera c)  della  legge  28
dicembre 2005, n. 262 (il che  ne  implica  l'applicabilita'  ratione
temporis), prevede il raddoppio della pena, se si tratta, come  nella
specie, di societa'  con  titoli  quotati  in  mercati  regolamentati
italiani o di altri  Stati  dell'Unione  europea  o  diffusi  tra  il
pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 TUF. 
    Ne discende che il termine di prescrizione, determinato ai  sensi
degli articoli 157, primo comma, e 161, secondo comma, codice penale,
va individuato in dieci anni, ai quali vanno aggiunti  87  giorni  di
sospensione registrati nel corso del giudizio di merito. 
    Pertanto, i capi E.1 (data del commesso reato:  ...),  F.1  (data
del commesso reato: ...) G.1 (data del commesso  reato:  ...  ),  N.1
(data del commesso reato: ... ) non sono estinti per prescrizione: il
primo reato destinato ad estinguersi e', pertanto, quello di  cui  al
capo E.1 che si prescrivera' in data ... e per il quale e' contestata
l'omessa considerazione di elementi negativi per un importo di  circa
700  milioni  di'  euro;  cio'  per  intendere  come   la   questione
dell'ammontare della confisca conserva integra la sua rilevanza. 
    Il mancato decorso del termine di prescrizione  in  relazione  ad
alcuni dei reati per i quali la confisca  e'  stata  disposta  assume
rilievo, poiche' si verte in tema di  una  confisca  per  equivalente
dalla indiscussa natura sanzionatoria. Al riguardo, Sez. U,  n.  4145
del 29 settembre 2022, dep. 2023,  ...  ,  Rv.  284209  -  01,  hanno
puntualizzato che la disposizione di cui all'art. 578-bis del  codice
di  procedura  penale,  introdotta  dall'art.  6,  comma  4,  decreto
legislativo 1° marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca  per
equivalente e alle forme di  confisca  che  presentino  comunque  una
componente sanzionatoria, natura anche sostanziale  e,  pertanto,  e'
inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima  della  sua
entrata  in  vigore.  Le  citate  Sez.  U,  n.  4145  del  2023,   in
motivazione, hanno, altresi',  confermato  il  proprio  orientamento,
quanto al fatto che  al  richiamo  contenuto  nell'art.  578-bis  del
codice di  procedura  penale  ,  alla  confisca  «prevista  da  altre
disposizioni di legge», deve riconoscersi una  valenza  di  carattere
generale, capace di ricomprendere, siccome formulato senza  ulteriori
specificazioni, anche le confische disposte da fonti normative  poste
al di fuori del codice penale (Sez. U, n. 13539 del 30 gennaio  2020,
... , in motivazione; Sez. U, n. 6141 del 25 ottobre 2018, dep. 2019,
... , in motivazione). 
    4.2.3. Esclusa la sussistenza  di  preclusioni  all'applicazione,
nel caso di specie, dell'art. 2641, primo  e  secondo  comma,  codice
civile, osserva il Collegio che il ricorso del Procuratore  generale,
come  sopra  evidenziato,  solleva  una   questione   meritevole   di
accoglimento, che, tuttavia, induce a ritenere, sul presupposto della
non  manifesta  infondatezza  della  questione  (v.,  infra  sub  5),
necessario   percorrere   d'ufficio   la   via   dell'incidente    di
costituzionalita' (v. infra sub 6): profilo che, in questa  sede,  si
esamina, in vista della argomentata verifica  della  rilevanza  della
questione. 
    La Corte di giustizia Ue, Grande Sezione, 8 marzo 2022, in  causa
C-205/20 ha  chiarito  che  il  principio  del  primato  del  diritto
dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso  impone  alle
autorita'  nazionali  l'obbligo   di   disapplicare   una   normativa
nazionale,  parte  della  quale  sia  contraria   al   requisito   di
proporzionalita'  delle  sanzioni  (nel  caso  di  specie,   previsto
all'art. 20 della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo  e  del
Consiglio, del 15  maggio  2014),  «nei  soli  limiti  necessari  per
consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate». 
    La limitazione da ultimo  menzionata  dalla  Corte  di  giustizia
impone  una  verifica   calibrata   sulla   struttura   dell'apparato
sanzionatorio e sulla funzione  da  esso  perseguita,  che  non  puo'
essere occultata, con  una  risposta  totalizzante,  dalla  manifesta
sproporzione della confisca  disposta  (e  anche  da  quella  che  si
andrebbe a correlare alla luce dei reati sopravvissuti per il mancato
decorso del  termine  prescrizionale).  Il  rilievo  della  manifesta
sproporzione, invero, si accompagna, nella  motivazione  della  Corte
territoriale, alla puntualizzazione secondo la quale le condotte sono
adeguatamente punite dall'apparato detentivo di riferimento «tale  da
prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea  all'assicurare
che  la  risposta  punitiva  sia  doverosamente  calibrata   rispetto
all'entita'  dell'offesa  arrecata  dal  reato  al   bene   giuridico
presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al  contributo  offerto
da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti». 
    Proprio  il  fatto  che  la  Corte  di  giustizia   imponga   una
valutazione della proporzionalita' intrinseca della misura e colga la
possibilita', attraverso la disapplicazione della norma nei limiti in
cui cio' si necessario ad  assicurare  l'adeguatezza  della  risposta
punitiva, pone il problema  dei  casi  nei  quali  la  norma  interna
prevede una misura obbligatoria e correlata (soltanto) ad un criterio
che conduce ad uno e un solo risultato. 
    Su queste basi, come detto, il  Procuratore  generale  ricorrente
sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di
ottenere una interpretazione delle ricadute della menzionata sentenza
della  stessa  Corte  in  causa  C-205/20,  rispetto  all'ordinamento
nazionale italiano, in special modo con riguardo alla possibilita' di
disapplicare la normativa nazionale anche quando tale  soluzione  sia
priva di una base sufficientemente determinata. 
    Ora, secondo la Corte territoriale, sempre e  in  ogni  caso,  la
confisca dei beni  utilizzati  per  commettere  il  reato,  ai  sensi
dell'art. 2641, secondo comma,  codice  civile  rappresenta  un  quid
pluris sovrabbondante rispetto all'apparato sanzionatorio  detentivo:
cio' che sottende una valutazione di sproporzione della confisca  per
equivalente in se' considerata, anche  nell'ipotesi  di  applicazione
del minimo edittale,  con  la  conseguenza  che,  a  ben  vedere,  la
motivazione, piu' che argomentare in ordine all'individuazione di  un
limite della risposta  sanzionatoria  e  alla  predeterminazione  dei
criteri  che  devono  orientare,  nel  contesto  del   principio   di
legalita', la valutazione di sproporzione, si traduce, e  in  termini
assertivi  correlati  solo  all'entita'  della   sanzione   detentiva
prevista, nella prospettazione  di  una  interpretazione  abrogatrice
della previsione. 
    Ora,  ad  avviso  del  Collegio,  le  critiche  indirizzate   dal
ricorrente  Procuratore  generale  a  siffatta   impostazione,   sono
fondate, dal momento che l'apparato motivazionale che  accompagna  la
decisione della Corte giunge alla  conclusione  della  necessita'  di
disapplicare la norma indicata, ossia  l'art.  2641,  secondo  comma,
codice civile, in relazione al  primo  comma  dello  stesso  articolo
sempre e comunque. Si tratta, come detto, di una conclusione  fondata
sulla mera valorizzazione dell'entita' della pena detentiva  prevista
dal legislatore, ma senza alcuna  indicazione  delle  ragioni  e  dei
criteri valutativi che la sorreggerebbero. 
    Cio' posto, il terzo motivo del ricorso del Procuratore  generale
appare, pertanto, meritevole di accoglimento: e tanto rende rilevante
la questione di legittimita' che si va a prospettare. 
    5. Della non manifesta infondatezza della questione. Il Collegio,
nella valutazione della soluzione da adottare,  deve  necessariamente
considerare i principi ribaditi da Corte costituzionale, sentenza  n.
n. 112  del  2019,  con  cui  e'  stata  dichiarata  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 187-sexies TUF,  nel  testo  originariamente
introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera a), della  legge  18  aprile
2005, n. 62 (Disposizioni per  l'adempimento  di  obblighi  derivanti
dall'appartenenza   dell'Italia   alle   Comunita'   europee.   Legge
comunitaria  2004),  nella  parte  in  cui  prevedeva   la   confisca
obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e
dei beni  utilizzati  per  commetterlo,  e  non  del  solo  profitto,
riferita  all'aggiotaggio  manipolativo   quando   integra   illecito
amministrativo. 
    Tale pronuncia, quindi, in estrema  sintesi  e  salvo  quanto  si
dira' infra, ha affermato che solo la confisca del profitto del reato
ha una funziona ripristinatoria, mentre la confisca  del  prodotto  o
dei beni utilizzati  per  commettere  il  reato  riveste  una  natura
sanzionatoria-punitiva che puo' rivelarsi - come nel caso in esame  -
senza alcun dubbio di gran lunga  superiore  all'effetto  della  mera
ablazione dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito. 
    A cio' deve aggiungersi l'intervento del  legislatore,  che,  con
l'art. 26, comma 1, lettera e) della legge 23 dicembre 2021,  n.  238
recante «Disposizioni  per  l'adempimento  degli  obblighi  derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  all'Unione  europea»,  ha   apportato
modifiche al TUF: una  di  queste  riguarda  l'art.  187  (norma  che
prevede la confisca in caso di aggiotaggio  manipolativo  costituente
reato), il cui comma 1 e' stato riformulato nel senso che «In caso di
condanna per uno dei reati  previsti  dal  presente  capo  e'  sempre
ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il  profitto.»  Il
secondo comma dell'articolo citato, inoltre, prevede che «Qualora non
sia possibile eseguire la confisca a norma del  comma  1,  la  stessa
puo'  avere  ad  oggetto  una  somma  di  denaro  o  beni  di  valore
equivalente». E' stata cioe' espunta la previsione della confisca  di
beni strumentali. 
    In sostanza, quindi, entrambi gli interventi, quello della  Corte
costituzionale  e  quello  del  legislatore,  risultano   chiaramente
ispirati al principio secondo cui, nei casi di reati concernenti  gli
abusi di mercato, la confisca deve essere limitata al solo  profitto,
in   quanto   tale   ablazione   garantisce   appieno   la   funzione
ripristinatoria.   In   altri   termini,   si   intende   restringere
l'intervento      ablatorio       connotato       da       componenti
punitivo-sanzionatorie, poiche' esso, se fosse esteso al prodotto  ed
ai mezzi  utilizzati  per  commettere  il  reato,  potrebbe  assumere
carattere sproporzionato. Al  contrario,  limitando  la  confisca  al
profitto del  reato,  si  realizza  una  proporzione  sostanzialmente
automatica   tra   il   vantaggio   scaturente   dalla    commissione
dell'illecito e l'ammontare della confisca,  anche  per  equivalente,
senza alcun riverbero sull'entita' del trattamento sanzionatorio. 
    Tali principi sembrano dover essere applicati anche all'art. 2641
del codice civile, norma che concerne la confisca nel caso  di  reato
di aggiotaggio, come pure nel  caso  del  delitto  di  ostacolo  alla
vigilanza, data l'identita' della ratio applicativa e  della  portata
di tale disposizione rispetto a quelle sin qui citate. 
    Infatti, alla luce del principio di proporzionalita' sotteso alla
dichiarazione di illegittimita' costituzionale pronunciato  da  Corte
costituzionale, sentenza n. 112 del 2019, emerge che  e'  proprio  un
meccanismo di confisca per equivalente strutturalmente  correlato  ai
beni utilizzati per commettere il reato  ad  e  ;sere  costruito  dal
legislatore in termini che non garantiscono in astratto, al di  fuori
dei  casi  dei   tradizionali   instrumenta   sceleris,   in   genere
rappresentati da cose intrinsecamente pericolose  se  lasciate  nella
disponibilita'  del   reo,   la   proporzionalita'   della   risposta
sanzionatoria, intesa come quella  della  necessaria  adeguatezza  al
fatto, considerato nelle sue componenti oggettive e  soggettive,  che
rappresenta la giustificazione retributiva della pena. 
    Proprio il raffronto con la pena detentiva che  scaturirebbe  dal
ragguaglio  dell'importo  oggetto  della  confisca  della  quale   si
discute, operato alla luce dei criteri di  cui  all'art.  135  codice
penale (appena 2.737.500 corrispondono a trent'anni  di  reclusione),
dimostra che, anche indipendentemente dal cumulo con  la  pur  severa
pena detentiva applicabile (da due a otto  anni  di  reclusione),  la
risposta sanzionatoria - valutata in relazione alla piu' severa  pena
detentiva temporanea prevista dall'ordinamento, in una prospettiva di
verifica  della  proporzionalita'  in  termini  «cardinali»,  secondo
l'espressione adoperata da parte della dottrina - mostra la  completa
assenza di qualunque razionale correlazione  con  il  fatto.  E  cio'
senza dire che  l'inesigibilita'  di  importi  di  tale  fatta  -  la
valutazione dovendo  essere  operata  con  riguardo  a  ciascuno  dei
destinatari della misura - comporta solo il risultato di  realizzare,
in linea generale, un permanente vincolo obbligatorio sul  patrimonio
dei soggetti condannati, senza comportare alcun reale  vantaggio  per
il creditore. In  altri  termini,  e'  la  struttura  della  norma  a
collocare il rimedio al di fuori di qualunque parametro di  razionale
adeguatezza. 
    Puo' aggiungersi che le  superiori  considerazioni  mostrano,  in
realta', come  le  peculiarita'  strutturali  della  confisca,  prima
ancora che un problema di proporzionalita' rispetto alla  complessiva
risposta  sanzionatoria,  pongano  un  problema  di  proporzionalita'
intrinseca alla misura,  ossia  di  razionale  costruzione  dei  suoi
presupposti al fine di individuare una  risposta  adeguata  al  fatto
considerato  nella  complessita'  dei  suoi   elementi   costitutivi,
altrimenti finendo  per  perdere  ogni  legame  con  la  persona  del
colpevole. 
    Opina, pertanto, il Collegio che l'unica strada praticabile  (v.,
in particolare infra sub 6) sia quella della  rimessione  alla  Corte
costituzionale  della  questione  di  legittimita'  dell'art.   2641,
secondo comma, codice civile,  in  relazione  al  primo  comma  dello
stesso articolo, sotto il profilo del contrasto di  tale  norme,  con
gli articoli 3, 27, commi primo e terzo, 42, 117 della  Costituzione,
quest'ultimo  in  riferimento  all'art.  1   del   Primo   protocollo
addizionale  alla  CEDU,  nonche'  agli  articoli  11  e  117   della
Costituzione, con riferimento agli articoli 17 e 49 CDFUE. 
    Invero, come osservato da Corte costituzionale, sentenza  n.  112
del  2019,  l'ampia  discrezionalita'  riconosciuta  al  legislatore,
nell'ambito del diritto penale, quanto alla determinazione delle pene
da comminare per ciascun reato, e' soggetta ad una serie  di  vincoli
derivanti dalla Costituzione, tra i quali  il  divieto  di  comminare
pene manifestamente  sproporzionate  per  eccesso.  Siffatto  divieto
viene in considerazione in questa  sede,  alla  luce  dell'evoluzione
della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha, al riguardo,
ampliato  il  proprio  spettro  valutativo  dall'ambito   individuato
dall'art. 3 sino a giungere ad un diretto apprezzamento,  nel  quadro
dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, dei casi nei quali  la
pena comminata dal legislatore appaia manifestamente  sproporzionata,
non tanto in rapporto alle sanzioni  previste  per  altre  figure  di
reato, quanto, piuttosto, in rapporto - direttamente - alla  gravita'
delle condotte abbracciate dalla fattispecie astratta, senza che  sia
piu'   necessaria   l'evocazione   di   alcuno   specifico    tertium
comparationis: cio'  nella  consapevolezza  che  pene  eccessivamente
severe tendono a essere percepite come  ingiuste  dal  condannato,  e
finiscono cosi' per risolversi in un ostacolo alla  sua  rieducazione
(Corte  Costituzionale,  sentenza  n.  68  del  2012).  In   siffatta
valutazione svolge un  ruolo  determinante  anche  l'art.  27,  primo
comma, della Costituzione, con riguardo al principio di  personalita'
della responsabilita' penale, da correlarsi alla necessaria  funzione
rieducativa della pena di cui al terzo comma  dello  stesso  art.  27
della  Costituzione,  che  contrasta,  in  linea  generale,  con   la
previsione di «pene fisse». 
    Ora, pare al Collegio che  la  sanzione  della  quale  si  tratta
collida anche con gli articoli 3 e  42  della  Costituzione,  poiche'
incide in senso limitativo  sul  diritto  di  proprieta'  dell'autore
dell'illecito; allo stesso risultato conduce la considerazione  degli
articoli 1 Prot. addiz. CEDU e dell'art. 17 CDFUE, che  rappresentano
i fondamenti, rispettivamente, nel diritto della Convenzione  europea
per i diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali  e  dell'Unione
europea (v. i precedenti richiamati da Corte costituzionale, sentenza
n. 112 del 2019: Corte EDU, sentenze 31  gennaio  2017,  Boljević  c.
Croazia; 26 febbraio 2009, Grifhorst c. Francia, par. 87 e  seguenti;
5 febbraio 2009, Gabrić c. Croazia, par.  34  e  seguenti;  9  luglio
2009, Moon c. Francia, par. 46 e seguenti; 6 novembre 2008, Ismayilov
c. Russia), del principio in questione, in  quanto  riferito  ad  una
sanzione patrimoniale. 
    A tali parametri deve poi aggiungersi l'art. 49, par.  3,  CDFUE,
in relazione agli articoli 11 e 117  della  Costituzione,  alla  luce
delle conclusioni  raggiunte  dalla  Corte  di  giustizia  (Corte  di
giustizia, 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA e altri,  in  causa
C-537/16, par. 56). 
    Siffatta conclusione si giustifica tenendo conto del principio di
proporzionalita' che informa la disciplina eurounitaria delle  misure
ablatorie di carattere patrimoniale sin dal  2003  (decisione  quadro
2003/577/GAI  del   Consiglio,   del   22   luglio   2003,   relativa
all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti  di  blocco  dei
beni o di sequestro probatorio), nel contesto della  regolamentazione
finalizzata a garantire il riconoscimento  reciproco  e,  quindi,  la
circolazione e l'esecuzione delle decisioni delle autorita' nazionali
(oltre alla decisione quadro citata, si vedano: la  decisione  quadro
2006/783/GAI  del   Consiglio,   del   6   ottobre   2006,   relativa
all'applicazione del principio  del  reciproco  riconoscimento  delle
decisioni di confisca; la direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo
e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento  e  alla
confisca dei beni strumentali e dei  proventi  da  reato  nell'Unione
europea; il regolamento UE 2018/1805 del  Parlamento  europeo  e  del
Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco
dei provvedimenti di congelamento e di confisca). 
    Ne discende che i parametri sopra menzionati, anche  nel  diverso
ambito qui  rilevante  della  confisca  per  equivalente  di  importo
corrispondente ai «beni utilizzati  per  commettere  il  reato»,  non
consentono di giustificare la norma qui censurata,  alla  luce  della
componente afflittiva derivante dallo sproporzionato  -  perche'  non
correlato ad alcun reale vantaggio conseguito -  peggioramento  della
situazione dei destinatari della misura rispetto a quella conseguente
all'applicazione di strumenti di carattere meramente  ripristinatorio
e tenuto conto della  forbice  edittale  prevista  dalla  fattispecie
incriminatrice. 
    Va aggiunto per completezza che l'impostazione seguita  da  Corte
costituzionale, sentenza n. 112 del 2019, muta il quadro nel quale si
era mossa Sez. 5, n. 1991 del 29 novembre 2018, dep. 16 gennaio 2019,
... cit., la quale aveva concluso per la manifesta infondatezza della
questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2641,  secondo
comma, codice civile, rilevando che «l'indagato  aveva  compiuto  una
serie di operazioni (al capo 1  su  obbligazioni  della  banca,  agli
altri capi sulle azioni della stessa) sempre al fine di  simulare  un
apprezzamento nel  mercato  di  tali  strumenti  finanziari,  il  cui
riacquisto veniva invece garantito dal ... , in nome della banca.  E'
allora evidente che il disvalore, di rilievo penale, di tali condotte
trovi la sua piu'  corretta  quantificazione  proprio  nella  misura,
complessiva, delle somme in esse impiegate. Una misura che io  stesso
indagato ha determinato. Quindi, non vi e' alcuna sproporzione fra  i
fatti illeciti compiuti e le somme sottoposte al vincolo, che,  anzi,
sotto il profilo monetario, coincidono perfettamente». 
    Non si tratta, infatti, di interrogarsi sull'attribuibilita' agli
imputati delle condotte aventi ad  oggetto  i  beni  strumentali  dei
quali si  tratta  (e  che,  nel  caso  di  specie,  rappresentano  il
parametro  di  commisurazione   dell'importo   confiscato),   ma   di
confrontarsi con il diverso  problema  della  proporzionalita'  della
risposta sanzionatoria. 
    6.  La  doppia   pregiudiziale.   L'opzione   dell'incidente   di
costituzionalita'. Da tempo la Corte costituzionale (sent. n. 269 del
2017)  ha  chiarito  i  confini  dell'assetto   remediale   scaturito
dall'entrata in vigore del  Trattato  di  Lisbona,  che  modifica  il
Trattato  sull'Unione  europea  e  del  Trattato  che  istituisce  la
Comunita' europea e alcuni atti connessi, concluso a  Lisbona  il  13
dicembre 2007, ratificato ed eseguito dalla legge 2 agosto  2008,  n.
130, che, tra l'altro, ha  attribuito  effetti  giuridici  vincolanti
alla CDFUE, equiparandola ai  Trattati  (art.  6,  paragrafo  1,  del
Trattato sull'Unione europea). 
    Fermi restando i principi del primato e dell'effetto diretto  del
diritto dell'Unione europea come consolidatisi  nella  giurisprudenza
europea e costituzionale, la Corte costituzionale ha preso  atto  che
la citata Carta dei diritti costituisce parte del diritto dell'Unione
dotata di  caratteri  peculiari  in  ragione  del  suo  contenuto  di
impronta tipicamente costituzionale. I principi e i diritti enunciati
nella Carta intersecano in  larga  misura  i  principi  e  i  diritti
garantiti dalla Costituzione italiana  (e  dalle  altre  Costituzioni
nazionali degli Stati membri). Sicche', puo' darsi  il  caso  che  la
violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia  le
garanzie  presidiate  dalla   Costituzione   italiana,   sia   quelle
codificate dalla Carta dei diritti dell'Unione, come e'  accaduto  in
riferimento al principio di legalita' dei reati e delle  pene  (Corte
di giustizia dell'Unione europea, grande sezione, sentenza 5 dicembre
2017, nella causa C-42/17, M.A.S, M.B.). 
    Pertanto, le violazioni dei diritti della  persona  postulano  la
necessita' di un intervento erga omnes  della  Corte  costituzionale,
anche in virtu' del principio che situa il  sindacato  accentrato  di
costituzionalita'  delle   leggi   a   fondamento   dell'architettura
costituzionale (art. 134 della Costituzione). La Corte costituzionale
e', in conseguenza, chiamata a  giudicare  alla  luce  dei  parametri
interni ed eventualmente di quelli europei  (ex  articoli  11  e  117
della Costituzione), secondo l'ordine di volta in volta  appropriato,
anche al fine di assicurare che  i  diritti  garantiti  dalla  citata
Carta dei diritti siano interpretati in  armonia  con  le  tradizioni
costituzionali, pure richiamate dall'art. 6 del Trattato  sull'Unione
europea e dall'art. 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti  in
tale ambito. 
    Il  tutto,  peraltro,  in  un  quadro  di  costruttiva  e   leale
cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel  quale  le  Corti
costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di
giustizia (da ultimo, ordinanza  n.  24  del  2017,  sulla  quale  si
tornera' infra), affinche' sia assicurata la massima salvaguardia dei
diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). 
    In altri termini, la  sopravvenienza  delle  garanzie  approntate
dalla CDFUE  a  quelle  previste  dalla  Costituzione  italiana  puo'
generare un concorso di rimedi giurisdizionali (v., di recente, Corte
costituzionale, sentenza n. 15 del 2024, par. 8.2. del Considerato in
diritto). 
    Le ragioni che inducono a privilegiare  la  scelta  di  sollevare
questione    di    legittimita'    costituzionale    rispetto    alla
disapplicazione si raccordano ai rilievi svolti supra sub 4,  tenendo
conto  delle  puntualizzazioni  espresse  da  Corte   costituzionale,
ordinanza n. 24 del 2017. 
    Indipendentemente  dalle  considerazioni   svolte   dalla   Corte
territoriale, quanto al fatto di rappresentare la disapplicazione  un
rimedio  foriero,  nell'immediato,  di  incertezze  e  disparita'  di
trattamento  inevitabilmente  conseguenti  a  decisioni  adottate  da
singole  autorita'  giudiziarie,  si  osserva  che  la  citata  Corte
costituzionale,  ordinanza  n.  24  del  2017  ha  chiarito  come  il
riconoscimento  del  primato  del  diritto  dell'Unione  e'  un  dato
certamente acquisito, ai sensi dell'art. 11 della Costituzione, ferma
restando la necessita' di garantire l'osservanza dei principi supremi
dell'ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili  della
persona, tra i quali si colloca il principio di legalita' in  materia
penale. Esso esprime un principio supremo dell'ordinamento,  posto  a
presidio dei diritti inviolabili dell'individuo, per la parte in  cui
esige che le norme penali siano determinate e  formulate  in  termini
chiari, precisi e stringenti,  sia  allo  scopo  di  consentire  alle
persone di comprendere quali  possono  essere  le  conseguenze  della
propria condotta  sul  piano  penale,  sia  allo  scopo  di  impedire
l'arbitrio applicativo del giudice. 
    Si tratta di un principio che, come e' stato riconosciuto  clalla
stessa Corte di giustizia, appartiene alle tradizioni  costituzionali
comuni agli Stati membri quale corollario del principio  di  certezza
del diritto (Corte giust. Ue, sentenza  12  dicembre  1996  in  cause
C-74/95 e C-129/95, punto 25). 
    In altri termini, le esigenze di certezza del  diritto  penale  e
quelle correlate di  predeterminazione,  quantomeno  dei  criteri  di
riferimento  ai  quali  il  giudice  deve  attenersi  per  apprezzare
l'esistenza  o  non  (ed   eventualmente   in   che   misura)   della
sproporzione,  inducono  ad  escludere  la   possibilita'   di   dare
un'applicazione,  prevedibile   negli   esiti,   del   principio   di
proporzionalita' della  risposta  sanzionatoria,  quando  cio'  possa
condurre a non  applicare  una  misura  che  il  legislatore  interno
prevede come obbligatoria, senza lasciare al giudice  interno  alcuno
spazio di graduazione. 
    Quanto alla preferenza accordata al percorso individuato rispetto
al rinvio pregiudiziale, si tratta di decisione motivata dal concorso
di rimedi  giurisdizionali  indicato,  come  sopra  detto,  da  Corte
costituzionale, sentenza n. 269 del 2017 e da allora progressivamente
raffinato negli esiti, ma senza scalfire la regola,  condivisa  dalla
Corte di  giustizia,  per  la  quale  il  carattere  prioritario  del
giudizio   di   costituzionalita'   di   competenza    delle    Corti
costituzionali  nazionali  non  collide  con  il  sistema   normativo
eurounitario, purche'  i  giudici  ordinari  restino  liberi:  a)  di
sottoporre  alla  Corte  di  giustizia,  «in   qualunque   fase   del
procedimento  ritenqano  appropriata  e  finanche  al   termine   del
procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi
questione pregiudiziale a loro giudizio necessaria; b)  di  «adottare
qualsiasi misura necessaria per garantire la  tutela  giurisdizionale
provvisoria  dei   diritti   conferiti   dall'ordinamento   giuridico
dell'Unione»; c) di disapplicare, al termine del giudizio incidentale
di legittimita' costituzionale, la disposizione legislativa nazionale
in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalita',  ove,
per altri profili, la ritengano contraria al diritto dell'Unione (tra
le altre, Corte di Giustizia  dell'Unione  europea,  quinta  sezione,
sentenza 11 settembre 2014, nella causa C-112/13 A contro B e  altri;
Corte di Giustizia dell'Unione europea, grande sezione,  sentenza  22
giugno 2010, nelle cause C-188/10, Melki e C-189/10, Abdeli).  
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale  dell'articolo  2641,  primo  e  secondo
comma, del codice civile, nella parte in cui  assoggetta  a  confisca
per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il  reato,  in
relazione agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, 42  e  117  della
Costituzione, quest'ultimo con riferimento all'articolo 1  del  primo
protocollo  addizionale  alla  Cedu,  la  cui   ratifica   e'   stata
autorizzata con legge 4 agosto 1955, n.  848  che  ad  esso  ha  dato
esecuzione, nonche' agli articoli 11 e 117  della  Costituzione,  con
riferimento agli articoli 17 e 49, par. 3, Cdfue, proclamata a  Nizza
il 7 dicembre 2000; dispone la  sospensione  del  presente  giudizio;
ordina che, a cura  della  cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti del giudizio di cassazione, al  Presidente  del
consiglio dei  ministri;  ordina,  altresi',  che  l'ordinanza  venga
comunicata ai presidenti delle due  Camere  del  Parlamento;  dispone
l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione
attestante  il  perfezionamento  delle  prescritte  notificazioni   e
comunicazioni, alla Corte costituzionale. 
    Cosi' deciso in Roma, il 14 dicembre 2023 
 
                     II Presidente: Vessichelli 
 
 
                          I consiglieri estensori: Catena - De Marzo