N. 127 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 febbraio 2024
Ordinanza del 27 febbraio 2024 della Corte di cassazione nel procedimento penale a carico di B. P. di V. spa e altri. Societa' - Confisca - Previsione che assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato. - Codice civile, art. 2641, commi primo e secondo.(GU n.27 del 3-7-2024 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Quinta Sezione Penale Composta da: Maria Vessichelli - Presidente; Rossella Catena - consigliere relatore; Tiziano Masini - consigliere; Giuseppe De Marzo - consigliere relatore; Elisabetta Maria Morosini - consigliere; ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto da ... Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia, ... B. P. di V. S.p.a., in liquidazione coatta amministrativa, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, ... G. E., nato a ... il ... , ... M. P., nato a ... , il ... , ... P. M., nato a ..., il ..., ... P. A., nato a P., il ... Z. G., nato a ..., il ..., ... avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia emessa in data 10 ottobre 2022; Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; Udita la relazione svolta dai consiglieri Rossella Catena e Giuseppe De Marzo; Udite le conclusioni delle parti presenti formulate nei termini che seguono; Il Procuratore generale rassegna le seguenti conclusioni: annullamento senza rinvio per i reati ex art. 2637 del codice civile e per i reati di cui ai capi B.1, C.1, D.1, perche' estinti per prescrizione con l'adozione dei conseguenti provvedimenti e la rideterminazione delle pene; annullamento senza rinvio limitatamente all'aumento per la continuazione per P. M. e rideterminazione delle pena; annullamento con rinvio per i residui reati nei confronti di A. P. ; annullamento con rinvio nei confronti di tutti limitatamente alla confisca ex art. 2641 del codice civile; rigetto nel resto per i ricorsi P. M., A. P. e G. Z. ; rigetto del ricorso BPV in liquidazione coatta amministrativa; inammissibilita' del ricorso di E. G.; con dichiarazione delle parti della sentenza divenute irrevocabili. I difensori delle parti civili si riportano alle conclusioni scritte tramesse via p.e.c. o alle conclusioni depositate in udienza. L'avvocato Borzone, in sostituzione dell'avvocato Mucciarelli, difensore della B. P. Di V. , si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. L'avvocato Dominioni, per la posizione del G., si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l'accoglimento. L'avvocato Bertolini Clerici, nell'interesse del P., insiste per l'accoglimento del ricorso. Gli avvocati Roetta e Fragasso, per la posizione del M., chiedono l'accoglimento del ricorso presentato. Gli avvocati Manes e Guazzarini, per il loro assistito P., insistono per l'accoglimento dei ricorsi depositati. Gli avvocati Padovani e Ambrosetti chiedono l'accoglimento del ricorso presentato nell'interesse dello Z. Ritenuto in fatto 1. La presente vicenda processuale scaturisce dall'attivita' ispettiva avviata sia dalla Banca d'Italia che dalla Banca centrale europea (BCE) presso la B. P. di V. , a seguito della quale erano emerse irregolarita' gestionali, consistite nel sistematico ricorso al sostegno finanziario concesso ai clienti/soci per l'acquisto di azioni proprie sul mercato primario e su quello secondario, accompagnato dal rilascio, in favore degli stessi soci, di lettere con le quali l'istituto assumeva l'impegno a riacquistare le azioni ovvero forniva garanzie di rendimento dei titoli; erano emersi, altresi', storni di interessi autorizzati dagli organi di vertice dell'istituto, funzionali a neutralizzare i costi dei finanziamenti erogati dalla banca e, infine, consistenti investimenti in fondi esteri utilizzati, in parte, per la detenzione indiretta di azioni proprie. Tali anomalie operative non comunicate all'Istituto di vigilanza avevano generato un impatto negativo sotto il profilo patrimoniale e si erano tradotte nella necessita' di circa un miliardo di euro di deduzioni dal patrimonio soggetto al controllo, con conseguente iscrizione di rettifiche relative a crediti deteriorati per circa 1,3 miliardi di euro; il piano di rafforzamento deliberato dalla banca, inoltre, non era andato a buon fine, con conseguente dichiarazione dello stato di dissesto da parte della BCE e la successiva procedura di liquidazione coatta amministrativa avviata con decreto del Ministero dell'economia il 25 giugno 2017; con sentenza del 21 dicembre 2018, infine, il Tribunale di Vicenza aveva dichiarato lo stato di insolvenza dell'istituto di credito. In tale cornice sono da inquadrare le condotte contestate agli imputati ricorrenti, accertate dalle sentenze di merito, di aggiotaggio manipolativo ed informativo, di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia, della BCE e della CONSOB, nonche' di falso in prospetto e, quindi, gli illeciti amministrativi contestati alla B. P. di V. ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001. 1.1. Il Tribunale, in particolare, con riguardo al capo A.1 (articoli n. 81, comma secondo, n. 110 del codice penale, n. 2637 del codice civile, contestato come commesso sino alla data di pubblicazione del bilancio relativo all'esercizio ... , approvato il ... , aveva individuato quattro fattispecie di aggiotaggio finanziario informativo, quattro fattispecie di aggiotaggio finanziario operativo, quattro fattispecie di aggiotaggio bancario informativo e quattro fattispecie di aggiotaggio bancario operativo, tutte distinte tra loro e commesse negli anni ... , dichiarando l'estinzione per intervenuta prescrizione delle condotte poste in essere sino al ..., data di approvazione del bilancio ..., ed affermando la penale responsabilita' di: G. Z., quale Presidente del Consiglio di amministrazione dell'istituto di credito, E. G. i, quale vicedirettore generale responsabile della Divisione mercati dell'istituto, P. M., quale vicedirettore generale responsabile della Divisione crediti dell'istituto, A. P., quale vicedirettore generale responsabile della Divisione finanza dell'istituto, per le successive vicende; parimenti, veniva affermata le responsabilita' dell'ente bancario per l'illecito amministrativo dipendente dal predetto reato, ai sensi degli articoli 5, lettera a) e b), 6, 25-ter, comma 1, lettera r), decreto legislativo n. 231/2001, di cui al capo A.2. In particolare, l'aggiotaggio operativo si fondava sulle sistematiche simulazioni di operazioni di capitale finanziato e di acquisto di azioni proprie tramite i fondi lussemburghesi « ... » e « ... »; l'aggiotaggio informativo era consistito, a sua volta, nella diffusione di notizie false, attraverso i bilanci di esercizio, i comunicati stampa e le comunicazioni ai soci, che avevano contribuito ad accreditare l'immagine della banca come credibile e sostenuta dal mercato. Quanto ai reati di ostacolo alla vigilanza, gli stessi erano stati ricostruiti sulla scorta delle risultanze dell'attivita' di vigilanza della Banca d'Italia, svolta nel periodo 2007-2012; in particolare, al capo B.1 (articoli 81, comma secondo, 110 del codice penale , 2638, commi primo e terzo, codice civile: tempus commissi delicti indicato dal ... al ... era individuata la condotta di ostacolo all'attivita' di vigilanza attraverso l'occultamento, con mezzi fraudolenti, delle operazioni di capitale finanziato e di sistematica omissione informativa delle suddette operazioni alla squadra ispettiva. Successivamente all'ispezione del ..., e nell'arco temporale compreso tra il ... ed il ..., dai flussi informativi tra l'istituto bancario vicentino e l'autorita' di vigilanza era emerso l'occultamento della reale situazione patrimoniale del gruppo, con riferimento all'incidenza del fenomeno del capitale finanziato sui coefficienti del patrimonio di vigilanza, oggetto di sistematiche violazioni agli obblighi informativi; in particolare (i seguenti reati sono tutti contestati con riguardo all'art. 2638, secondo e terzo comma, codice civile), al capo C.1 si contestava l'ostacolo alla vigilanza in riferimento all'anno ... (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione ..., con riguardo alla data della lettera di intervento della Banca d'Italia che, all'esito del processo di revisione e di valutazione prudenziale per l'anno ... , stabiliva un obiettivo patrimoniale non coerente con la situazione patrimoniale della banca); con il capo D.1 si contestava la falsa rappresentazione dei dati patrimoniali con riferimento al primo semestre dell'anno ... (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione nel ..., corrispondente alla data della lettera di intervento della Banca d'Italia con la quale si prescriveva l'adozione di iniziative diverse da quelle che sarebbero state necessarie, alla luce della reale situazione patrimoniale dell'istituto); con il capo E.1 (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione: «in epoca posteriore e prossima al ..., ... e ... ») si contestava la falsa rappresentazione dei dati patrimoniali con riferimento al secondo semestre dell'anno ...; con il capo F.1 (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione: ... si contestava l'omessa indicazione dell'informativa preventiva e dell'informativa integrativa del ... con riguardo all'aumento di capitale; con il capo G.1 (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione: «in epoca posteriore e prossima al ..., in data ..., in data ..., in epoca anteriore e prossima al ... e ...) si contestava la falsita' di segnalazioni alla Banca d'Italia nel corso del ... ; con il capo H.1 (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione: «in epoca posteriore e prossima al ... , al ... e nel primo trimestre ...) si contestavano le condotte di ostacolo alla vigilanza nei confronti della BCE, a seguito dell'entrata in vigore del Sistema di Vigilanza Unico; con il capo M.1 (tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione: « dal ... ad ..., con riferimento alla attivita' ispettiva, e nel mese di febbraio ... , con riferimento alla decisione SREP» della BCE) si contestavano le condotte di ostacolo relative al Comprehensive Assessment in danno sia della Banca d'Italia che della BCE. Di tutte le indicate condotte di ostacolo alla vigilanza (capi B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1. H.1, M.1) era affermata la penale responsabilita' di: G. Z., E. G., P. M., A. P. nelle suddette qualita'; parimenti, veniva affermata le responsabilita' dell'ente bancario per gli illeciti amministrativi dipendenti dai predetti reati, ai sensi degli articoli 5, lettera a) e b), 6, 25-ter, comma 1, lettera r), decreto legislativo n. 231/2001, di cui al capo A.2. Infine, il solo E. G., nella predetta qualita', era ritenuto colpevole anche del reato di cui al capo N.1 (anch'esso contestato con riguardo all'art. 2638, secondo e terzo comma, codice civile: tempus commissi delicti indicato nel capo di imputazione: ...), relativo alle condotte di ostacolo alla vigilanza poste in essere nei confronti della CONSOB in relazione all'operazione di aumento di capitale del ...; anche per tale vicenda veniva affermata le responsabilita' dell'ente bancario per l'illecito amministrativo dipendente dai predetti reati, ai sensi degli articoli 5, lettera a) e b), 6, 25-ter, comma 1, lettera r), decreto legislativo n. 231/2001, di cui al capo A.2. Oggetto di condanna in primo grado erano, inoltre, le condotte di cui ai capi I e L, due vicende di falso in prospetto di cui agli articoli 61 n. 2, 81, secondo comma, 110 codice penale , 173-bis decreto legislativo 58/1998. L'imputato M. P., dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili della societa', veniva assolto dai reati a lui ascritti (capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, I, L, M.1) perche' il fatto non costituisce reato. Infine, il Tribunale di Vicenza disponeva, nei confronti degli imputati, la confisca per equivalente, sino a concorrenza dell'importo di euro 963.000.000,00, in base alla disposizione di cui all'art. 2641, comma secondo, codice civile, che assoggetta a confisca per equivalente i mezzi impiegati per commettere il reato, ossia, nel caso in esame, le somme di denaro impiegate per la commissione dei reati di aggiotaggio e di ostacolo alla vigilanza, in quanto i finanziamenti erogati dalla banca erano stati funzionali all'illecita alterazione del prezzo delle azioni ed alla creazione dell'artificiosa rappresentazione dell'entita' del patrimonio di vigilanza, individuato nella misura di euro 963.000.000,00 corrispondente all'entita' del capitale finanziato accertato in sede giudiziale. Nel caso di specie, in particolare, secondo quanto affermato dalla sentenza di primo grado, non era possibile procedere alla confisca diretta dei beni utilizzati per commettere i reati nei confronti della banca, in quanto l'istituto di credito era stato assoggettato a liquidazione coatta amministrativa, con conseguente spossessamento dei beni. 1.2. La Corte di appello di Venezia, con sentenza de 10 ottobre 2022, cosi' provvedeva, confermando nel resto la decisione di primo grado: quanto agli imputati G. Z., A. P. ed E. G., ravvisata un'unica ipotesi di aggiotaggio per ciascuna annualita' di riferimento, dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati commessi fino al ... nonche' in relazione ai reati di cui ai capi I e L, in quanto estinti per prescrizione; quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1, ritenuta la sola ipotesi di cui all'art. 2638, comma secondo, codice civile, riduceva la pena inflitta ad anni tre mesi undici di reclusione, per G. Z. ed A. P., e ad anni due mesi sette giorni quindici di reclusione per E. G.; quanto all'imputato P. M., lo assolveva dai reati di cui ai capi I e L, nonche' dai reati di cui ai capi H.1 e M.1, limitatamente alle condotte successive al ... , per non aver commesso il fatto; ravvisata un'unica ipotesi di aggiotaggio per ciascuna annualita' di riferimento, dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati commessi fino al ... , in quanto estinti per prescrizione; quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1, ritenuta la sola ipotesi di cui all'art. 2638, comma secondo, codice civile, riduceva la pena inflitta ad anni tre mesi quattro giorni quindici di reclusione; quanto a M. P., in accoglimento dell'appello del pubblico ministero e delle parti civili, proposto contro l'assoluzione pronunciata in primo grado, la Corte territoriale dichiarava l'imputato responsabile dei reati ascrittigli e dichiarava non doversi procedere in relazione alle condotte di cui al capo A.1, limitatamente ai reati commessi fino al ... , nonche' in relazione ai reati di cui ai capi I e L, in quanto estinti per prescrizione; dichiarava l'imputato responsabile dei reati ascrittigli, ritenuta, quanto ai reati di cui ai capi B.1 e M.1, la sola ipotesi di cui all'art. 2638, comma secondo, codice civile, condannandolo, con la concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di anni tre mesi undici di reclusione. Quanto alla confisca per equivalente, disposta ai sensi dell'art. 2641, comma secondo, codice civile nei confronti degli imputati, per l'importo di euro 963.000.000,00, la Corte di appello ne disponeva la revoca. In particolare, la Corte di merito evidenziava la marcata frizione della disposizione di cui all'art. 2641, comma secondo, codice civile, con i principi espressi sia dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 112 del 2019, che dalla giurisprudenza di legittimita': nel caso di confisca di natura sanzionatoria, quale deve essere intesa quella per equivalente - in cui i beni utilizzati per commettere il reato siano costituiti da somme di denaro non nella originaria disponibilita' degli imputati, bensi' di un soggetto terzo, ossia la banca - , adottare un provvedimento ablatorio come quello disposto dal Tribunale significava applicare una sanzione manifestamente sproporzionata, oltre che disancorata dal disvalore dell'illecito e dai singoli contributi concorsuali, a causa dell'automaticita' del criterio di commisurazione, in aperto contrasto con i principi sanciti dagli articoli 3 e 27, comma primo, Costituzione. Si tornera' diffusamente sul punto nel prosieguo. In parziale accoglimento dell'appello dell'ente, la Corte d'appello ha ridotto la sanzione pecuniaria disposta in relazione alla riconosciuta responsabilita' amministrativa dipendete dai reati, confermando, nel resto, l'impugnata sentenza. 1.2. Avverso l'indicata sentenza sono stati proposti i ricorsi di seguito menzionati, i cui motivi vengono esposti nei limiti in cui sono rilevanti ai fini della motivazione della decisione assunta dal Collegio, secondo quanto disposto dall'art. 173 disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. 2. Il Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia ricorre avverso la sentenza, deducendo tre motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge, con riferimento all'art. 2637 codice civile, per avere la Corte territoriale ravvisato, in relazione al capo A.1, un unico reato, l'aggiotaggio bancario, per ciascuna delle annualita' in contestazione (dal ... al ...), invece dei quattro illeciti ritenuti sussistenti, sempre per ciascun anno, dal Tribunale (aggiotaggio informativo e manipolativo, finanziario e bancario). 2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, con riferimento agli articoli 2638 codice civile, 649 codice di procedura penale , 50 della Carta di Nizza, criticando la sentenza impugnata per avere ravvisato un'unica ipotesi di reato di cui all'art. 2638 codice civile nei fatti contestati ai capi B.1 e M.1 e, secondo la prospettazione accusatoria, tradottisi in condotte diverse e correlati a diversi eventi. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 2641 codice civile, 101, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, nonche' con riguardo ai principi di legalita' della pena e di separazione dei poteri. In particolare, si contestano le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale per giustificare la revoca della confisca per equivalente, disposta dal giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 2641, secondo comma, codice civile, sino all'importo di 963.000.000,00 euro. Si osserva: a) che quest'ultima norma prevede la confisca dei beni utilizzati per commettere i reati - nella specie, ravvisati nelle somme di denaro investite nelle operazioni di finanziamento illecito -, senza introdurre correttivi di tipo quantitativo correlati alle peculiarita' del caso concreto; b) che la valutazione di (s)proporzione espressa dalla Corte d'appello, che ha ritenuto idonea la pena detentiva prevista dagli art. 2637 e 2638 codice civile «ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva», finisce per impedire l'applicazione della confisca, che il legislatore ha costruito come obbligatoria; c) che la valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, dell'assenza di un profitto individuale, introduce un parametro normativo non previsto da parte dell'art. 2641 codice civile ed estraneo alla natura dell'istituto, che attinge non il profitto, ma i beni utilizzati per commettere i reati. Con specifico riguardo all'ammissibilita' di una disapplicazione parziale della previsione normativa, con la conseguente possibilita' di disporre, in coerenza con il principio di proporzionalita', una confisca non estesa all'intero ammontare delle somme di denaro utilizzate per commettere i reati, il ricorrente, richiamando le garanzie e i principi costituzionali di cui sopra e le conclusioni di Corte costituzionale, ordinanza n. 24 del 2017, sollecita un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di ottenere una interpretazione della sentenza della Grande Sezione, 8 marzo 2022, in C-205/20, quanto al se la normativa nazionale debba essere disapplicata anche quando tale risultato, in assenza di una base legale sufficientemente determinata, finisca, in violazione del principio di legalita' e di separazione dei poteri, per attribuire al giudice valutazioni discrezionali in tema di politica criminale, rimesse dalla nostra Costituzione al legislatore. 2.4. E' stata trasmessa memoria da parte del Sostituto Procuratore generale. 3. La B. P. di V. S.p.a., in liquidazione coatta amministrativa giusta decreto ministeriale n. 185 del 25 giugno 2017, ente incolpato ai sensi del decreto legislativo n. 231/2001, ricorre a mezzo del difensore di fiducia avv. Francesco Mucciarelli, deducendo due motivi. 3.1. Con il primo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 240 codice penale , 19 e 53 decreto legislativo n. 231/2001, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale , in riferimento al mancato accertamento di un profitto confiscabile in relazione al reato di cui all'art. 2638 del codice civile, nonche' quanto alla sussistenza di un profitto per la B. P. di V. S.p.a., pari ad euro 74.212.687,50, derivante in via diretta ed immediata dal reato di cui al capo n.1, di ostacolo alla vigilanza, anziche' dal reato di falso in prospetto di cui al capo L; 3.2. Con il secondo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 240 codice penale , 19 e 53 decreto legislativo n. 231/2001, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale , con riguardo alla omessa considerazione dei costi sostenuti dall'ente in riferimento all'operazione di aumento del capitale del ..., ai fini della quantificazione del profitto confiscabile, alla luce della motivazione della sentenza delle Sezioni Unite ... e della successiva giurisprudenza di legittimita', che, solo in riferimento alla attivita' totalmente illecite, ha individuato la confiscabilita' del lordo; nel caso di attivita' intrinsecamente lecite, come nella vicenda in esame, il profitto andrebbe invece individuato nel vantaggio economico derivato dal reato, al netto dell'utilita' eventualmente conseguita dal danneggiato. 4. E. G. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv. Concetta Miucci ed avv. Oreste Dominioni, deducendo un unico motivo, con il quale si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale , in riferimento alla conferma della determinazione della pena base in anni tre di reclusione quanto al reato di cui al capo H.1; in particolare, il ricorso, dopo aver riportato due passaggi della motivazione (pagg. 304 e 306 della sentenza impugnata), rileva che nessun accenno risulta fatto alle argomentazioni difensive e che la Corte di merito ha fatto esclusivo riferimento alla oggettiva gravita' dei fatti senza neanche menzionare gli indici di cui all'art. 133 del codice penale a cui si e' riferita, pur avendo, in seguito, correttamente sottolineato, in riferimento al giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ed alle riduzioni degli aumenti per la continuazione interna, gli elementi a fondamento della gravita' del reato e della capacita' a delinquere del colpevole, con particolare riferimento agli indici oggettivi di cui all'art. 133, prima parte, codice penale ed agli indici soggettivi, recependo le osservazioni difensive su tali aspetti; inoltre, sono stati valorizzati anche gli indici «minori», come l'incensuratezza, l'assenza di pendenze, ed altri. Ad eccezione della gravita' del reato, invece, nessuno degli altri indici e' stato considerato nella determinazione della pena base. 4. 2. E' stata trasmessa memoria d'udienza e di replica a firma dell'avv. Oreste Dominioni che, in relazione ai motivi di ricorso del Procuratore generale, svolge argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle formulate dall'avv. Manes, delle quali si dira' infra. 5. P. M. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia, avv. Emanuele Fragasso jr. e Lino Roetta, deducendo cinque motivi di ricorso. 5.1. Il primo motivo investe l'affermazione di responsabilita' in relazione al delitto di cui al capo A.1, limitatamente alle condotte perfezionatesi dopo il (a proposito del quale, sin dalla premessa del ricorso, si sottolinea, in via subordinata, l'intervenuta estinzione per prescrizione). 5.2. Con il secondo motivo si' investe l'affermazione di responsabilita' per i reati di ostacolo all'attivita' di vigilanza di cui ai capi B.1, C. 1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M1. 5.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione alla dosimetria della pena applicata per il capo B.1. 5.4. Con il quarto motivo si rileva che la sentenza impugnata non era stata in grado di individuare la specifica informazione, funzionale all'oggetto del controllo del vigilatore che, secondo la prospettazione accusatoria, era stata dolosamente omessa. 5.5. Il quinto motivo e' indirizzato nei confronti dell'ordinanza del 18 maggio 2022, con la quale la Corte d'appello ha ritenuto infondata l'eccezione di inutilizzabilita' del file audio relativo alla registrazione della seduta del Comitato di direzione del ... . 5.6. Gli avvocati Roetta e Fragasso hanno inviato motivi nuovi in data 23 novembre 2023, con riguardo, specificamente, al secondo motivo di ricorso, quanto al reato di ostacolo alla vigilanza di cui al capo H.1, rilevando l'errore materiale nella indicazione del tempus commissi delicti, quanto alla data del ..., posto che la segnalazione era stata redatta nel dicembre 2014 e, quindi, la data di commissione deve essere corretta nel ..., con conseguente ricaduta della condotta nella pronuncia assolutoria dell'imputato, riferita dalla Corte di merito alle condotte successive al ... , ed eliminazione della pena inflitta per tale condotta di cui al capo H.1. Si formulano, inoltre, alcune precisazioni circa il contenuto del ricorso e si rileva l'intervenuta prescrizione delle fattispecie di ostacolo alla vigilanza di cui ai capi B.1, C.1, D.1, E.1. 5.7 Con memoria depositata il 7 dicembre 2023 i predetti difensori contestano la fondatezza dei primi due motivi del ricorso del P.G.. Quanto al terzo motivo dello stesso ricorso, si sottolinea la coerenza e la razionalita' della decisione adottata dalla Corte di merito con i principi di sistema, anche sovranazionali, evidenziando, al contrario, l'irragionevolezza del precorso argomentativo delineato dal ricorrente che, evocando una disapplicazione parziale, determina, di fatto, l'introduzione di una novita' di sistema esorbitante dai poteri del giudice e sconfinante in quelli del legislatore. 6. M. P. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Vittorio Manes, deducendo sette motivi di ricorso, variamente sottoarticolati. 6.1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale, la nullita' di ordine generale determinata dalla violazione dell'art. 603, comma 3-bis, codice di procedura penale, in relazione agli articoli 178, lettera c), e 180 del codice di rito, nonche', ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale, violazione dell'art. 6, par. 3, lettera d), Cedu, poiche' la rinnovazione istruttoria disposta dalla Corte d'appello di Venezia, dopo l'assoluzione in primo grado impugnata dal P.M., e' stata parziale e non ha attinto tutte le prove da ritenersi decisive. 6.2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) codice di procedura penale, violazione dell'art. 192, commi 1 e 2, del codice di rito e, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e) dello stesso codice, motivazione solo apparente, per avere la sentenza, nella parte in cui illustra gli elementi che assume essere «a carico» del P., valutato selettivamente alcune prove, ignorandone altre. 6.3. Con il terzo motivo, variamente sottoarticolato, si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale, la violazione dell'art. 192, commi 1 e 2, codice di procedura penale e, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale , una motivazione solo apparente, per avere la sentenza - nella parte in cui illustra, sovvertendone il significato, gli elementi che la sentenza di primo grado considerava a favore del P. - valutato selettivamente alcune prove e ignorando altre risultanze. 6.4. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b), codice di procedura penale , violazione dell'art. 192, comma 3, codice di procedura penale e, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale , la manifesta illogicita' e carenza della motivazione, nella parte in cui, con argomenti di carattere illogico o assertivo: 1) l'imputato G. i viene considerato soggettivamente credibile, nonostante il peculiare contesto in cui si e' inserita la sua richiesta di rendere un nuovo esame, particolarmente indicativo di un interesse dell'imputato ad avallare l'ipotesi accusatoria per ottenere benefici - effettivamente conseguiti - in termini di pena; 2) le sue dichiarazioni vengono ritenute intrinsecamente attendibili; 3) il narrato viene considerato riscontrato da elementi di prova esterni, ma omettendo di considerare plurime deposizioni testimoniali e prove documentali che contrastavano con tale narrato, con i documenti valorizzati dalla medesima sentenza - oggetto di puntuale analisi critica - e, in generale, con i rilievi difensivi sul punto. 6.5. Con il quinto motivo si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale , violazione ed errata applicazione delle norme di cui agli articoli 2637 e 2638 codice civile, nonche' dell'art. 173-bis decreto legislativo n. 58/1998, in combinazione con l'art. 43 codice penale , nella parte motivazionale in cui si argomenta la sussistenza del dolo delle fattispecie contestate in capo al P. , nonche' illogicita' e contraddittorieta' della motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e), codice di procedura penale , anche nel raffronto tra l'esclusione del dolo per l'imputato Z. assolto, ed il riconoscimento della sua sussistenza per P. 6.6. Con il sesto motivo, si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e) codice di procedura penale, violazione dell'art. 533, comma 1, cod. proc. pen, illogicita' e difetto motivazionale, laddove la sentenza omette di fornire una «motivazione rafforzata» che consenta di superare l'esito assolutorio di primo grado ed i ragionevoli dubbi scaturenti dall'apparato argomentativo di siffatta decisione. 6.7. Con il settimo motivo si lamenta, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. b) ed e), codice di procedura penale, erronea applicazione degli articoli 62-bis e 133 codice penale, nonche' contraddittorieta' e carenza motivazionale in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche ed al differente trattamento sanzionatorio, quanto agli aumenti per la continuazione, rispetto al coimputato G. 6.8. Con memoria trasmessa in data 24 novembre 2023 il difensore del ricorrente, avv. Manes, ha replicato alle argomentazioni poste a fondamento del ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Venezia. In data 8 dicembre 2023 e' stata depositata memoria a firma dell'avv. Manes e dell'avv. Guazzarini, di replica alla memoria del Procuratore generale. 7. A. P. ricorre, in data 20 febbraio 2023, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Bertolini Clerici, deducendo nove motivi. 7.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inammissibilita', inutilizzabilita', decadenza, in riferimento all'art. 21 codice di procedura penale , ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera c) codice di procedura penale , in quanto la difesa, con motivo di appello e con motivo aggiunto, aveva riproposto l'eccezione di incompetenza territoriale gia' formulata innanzi al giudice dell'udienza preliminare in data 19 maggio 2018 ed innanzi al Tribunale all'udienza del 2 aprile 2019, in particolare chiedendo la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il Tribunale di Milano, qualora fosse stato ritenuto piu' grave il reato di cui all'art. 173-bis decreto legislativo n. 58/1998, di cui ai capi I e L, per effetto del raddoppio della pena operato dall'art. 39 decreto legislativo n. 262/2005, oppure al pubblico ministero presso il Tribunale di Roma, qualora fosse stato ritenuto piu' grave il reato di cui all'art. 2638 codice civile contestato al capo B.1, non potendo, in tal senso, ritenersi preclusiva la decisione assunta dalla Corte di cassazione, in sede di risoluzione del conflitto negativo di competenza sollevato, nella fase delle indagini preliminari, dal Tribunale di Milano, con cui era stata affermata la competenza del Tribunale di Vicenza. Secondo la difesa, rispetto all'originaria contestazione di cui al capo B.1, emerge pacificamente dagli atti che la prima condotta di ostacolo alla vigilanza della Banca d'Italia nell'anno ... era stata determinata dall'invio, in data ..., della comunicazione denominata Rendiconto Icaap (Internal capital adequacy assessment process), contenuta negli atti depositati dal pubblico ministero in sede di avviso ex art. 415-bis codice di procedura penale e, come tale, espressamente ricompresa tra gli atti posti a sostegno della richiesta di rinvio a giudizio. Inoltre, erroneamente la Corte di merito ha ritenuto che la contestazione sub B.1 si riferisse solo a condotte poste in essere nel corso dell'attivita' di vigilanza ispettiva, in quanto - come si evince dalla lettura del capo di imputazione - la condotta contestata riguarda sia una condotta a dolo specifico, ai sensi del primo comma della disposizione, relativa a mezzi fraudolenti consistiti nel nascondimento di documenti ed informazioni, sia una condotta a dolo generico, ascrivibile alla fattispecie di cui al secondo comma della disposizione incriminatrice, relativa all'aver omesso di fornire informazioni alla Banca d'Italia circa la composizione del capitale di B. P. di V.. Secondo tale prospettazione, in coerenza con la giurisprudenza di legittimita' sul punto, la trasmissione del rendiconto Icaap rientra a pieno titolo nel contesto materiale delineato dall'imputazione: infatti l'ispezione della Banca d'Italia non avrebbe riguardato solo gli aspetti del credito, perche', se non fossero state omesse le informazioni rilevanti in tema di capitale, in particolare del patrimonio di vigilanza, l'attivita' ispettiva sarebbe stata estesa anche alla verifica della consistenza del capitale primario dell'istituto di credito. In tal senso, quindi, l'indicazione del luogo e dell'epoca di consumazione - in Vicenza, dal ... al ... - rappresenterebbe l'errore macroscopico richiesto dalla giurisprudenza di legittimita' affinche' il giudice possa determinare la competenza territoriale differentemente da come individuata dalla pubblica accusa. D'altra parte, proprio la vicenda relativa alla comunicazione Icaap - a differenza di quanto affermato dalla Corte territoriale - non costituisce un diverso fatto storico, ma una porzione della medesima condotta di cui al capo B.1, che non avrebbe affatto determinato una diversa qualificazione della condotta, individuandosi, anche sotto tale aspetto, l'errore macroscopico nella formulazione del capo di imputazione. Nel caso in esame, quindi, l'effetto della comunicazione e' consistito proprio nell'aver evitato che la Banca d'Italia disponesse, nel ..., l'ispezione sul capitale, condotta rilevante ai sensi dell'art. 2638 del codice civile; tale decisione, inoltre, avrebbe dovuto essere presa a Roma e non a Vicenza, dove poi l'ispezione era stata eseguita secondo il perimetro predeterminato nel suo contenuto. Al contrario, secondo la prospettazione della sentenza impugnata, si legittimerebbe il forum shopping da parte del pubblico ministero, in violazione dell'art. 112 della Costituzione, attraverso una indiscriminata selezione delle condotte indicate in imputazione. 7.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 63 e 210 codice di procedura penale , 24 e 111 della Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale , quanto alla inutilizzabilita' delle dichiarazioni provenienti dai testimoni ... e ..., sulle quali si fonda l'affermazione di responsabilita' del ricorrente, con contestuale impugnazione dell'ordinanza resa il 18 maggio 2022, anche sotto l'aspetto del travisamento della prova, risultante dai verbali delle udienze del 21 novembre 2019, 26 ottobre 2019, 26 novembre 2020. 7.3. Con il terzo motivo si lamenta inosservanza di norme sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita', decadenza, in riferimento agli articoli 521 e 522 codice di procedura penale, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lett. c) ed e) codice di procedura penale , per avere la sentenza impugnata affermato la partecipazione del P. alla prassi contestata mediante il coinvolgimento nell'operazione di investimento nei fondi lussemburghesi. 7.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 2637 e 2638 codice civile, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale, per avere la sentenza impugnata escluso la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale, in riferimento ai reati di aggiotaggio, ostacolo alla vigilanza e falso in prospetto; 7.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge, in riferimento all'art. 51 del codice penale, ed all'art. 23 della Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale , per la mancata applicazione del principio del nemo tenetur se detegere, in quanto la difesa con i motivi di appello aveva rappresentato come la concreta contestazione della fattispecie di cui all'art. 2638 codice civile - da individuare nella mancata indicazione dell'esistenza di azioni finanziate - comportava l'incriminazione della violazione di un dovere che, se adempiuto, avrebbe cagionato l'incriminazione per la fattispecie di cui all'art. 2637 codice civile; 7.6. Con il sesto motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e», codice di procedura penale delle ordinanze del 18 maggio 2022 e del 20 luglio 2022, reiettive della richiesta di rinnovazione dell'esame del P., non potendosi altrimenti sanare il vulnus difensivo scaturente all'impossibilita' di esaminare come teste lo ..., successivamente iscritto nel registro degli indagati, oltre che dall'impossibilita' di ritenere attendibili le dichiarazioni rese dal ... ex art. 507 del codice di procedura penale , essendo egli potenzialmente a conoscenza della sua veste di indagato allorquando aveva deposto, come dimostrato dall'allegazione del provvedimento di ispezione condotto dall'autorita' lussemburghese. 7.7. Con il settimo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento all'art. 192, comma 3, codice di procedura penale , vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) codice di procedura penale , in ordine alla valutazione di attendibilita' della chiamata in correita' proveniente dal coimputato E. G., le cui dichiarazioni avrebbero dovuto essere esaminate tenuto conto della sua veste di coimputato, anche considerata la genericita' delle dichiarazioni riguardanti il P., peraltro smentite dal teste estraneo ... e neanche valorizzate dal primo giudice. 7.8. Con l'ottavo motivo si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 191, 234 del codice di procedura penale , 13, 14 e 15 della Costituzione, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b» ed e) codice di procedura penale , in quanto la difesa, in appello, aveva lamentato l'inutilizzabilita' della registrazione della riunione del Comitato di direzione del ... trascritto e depositato dal pubblico ministero, alla luce dei principi della giurisprudenza di legittimita'. 7.9. Con il nono motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e) codice di procedura penale , in riferimento all'omessa motivazione della sentenza impugnata, quanto alla censura di attendibilita' dell'imputato di reato connesso ... su cui si fonda, tra l'altro, l'affermazione di responsabilita' del ricorrente. 8. G. Z. ricorre, a mezzo dei difensori di fiducia avv. Enrico Mario Ambrosetti ed avv. Tullio Padovani, deducendo tre motivi. 8.1. Con il primo motivo si lamenta inosservanza di norme processuali sancite a pena di nullita', inutilizzabilita', inammissibilita' e decadenza, in riferimento all'art. 8 codice di procedura penale, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera c) codice di procedura penale, svolgendo considerazioni che, con diversita' di accenti, giungono alle medesime conclusioni del primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del P. 8.2. Con il secondo motivo si lamenta vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera e) codice di procedura penale , in riferimento alla identificazione delle operazioni riconducibili alla nozione di «capitale finanziario» di cui agli articoli 2637 e 2638, di cui ai capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1 dell'imputazione, alla luce del contenuto dei motivi di appello sul punto, come sintetizzati in ricorso, quanto all'inquadramento delle problematiche relative al capitale finanziato dalla B. P. di V. 8.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione di legge., in riferimento agli articoli 192, commi 2 e 3, 194, comma 3, vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, comma 1, lettera b) ed e) del codice di procedura penale, in riferimento ai reati cli cui agli articoli 2637 e 2638 codice civile, di cui ai capi A.1, B.1, C.1, D.1, E.1, F.1, G.1, H.1, M.1, avendo la Corte di merito riproposto la lacuna motivazionale del primo giudice in ordine alla partecipazione dello Z. alla prassi di rilascio di lettere d'impegno ed all'investimento dei fondi lussemburghesi. 8.4. In data 24 novembre 2023 gli avv. Padovani e Ambrosetti hanno trasmesso memoria nell'interesse dello Z., ribadendo l'eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Vicenza, nonche' le argomentazioni a sostegno del secondo e del terzo motivo di ricorso. In data 24 novembre 2023 gli stessi difensori hanno trasmesso memoria in riferimento al ricorso per cassazione del Procuratore generale contestando la fondatezza dei primi due motivi. Quanto al terzo motivo dello stesso ricorso, la difesa si richiama agli approdi della giurisprudenza costituzionale in tema di sproporzione della confisca, con particolare riguardo alla sentenza n. 112 del 2019, a sostegno delle ragioni che hanno indotto la Corte di merito alla disapplicazione della confisca per sproporzione, come effetto diretto della giurisprudenza della Corte del Lussemburgo, oltre che nel pieno rispetto del principio di cui all'art. 25 della Costituzione; in ogni caso, si ritiene che, in alternativa alla disapplicazione, si dovrebbe sollevare l'incidente di costituzionalita' dell'art. 2641 codice civile. Al riguardo, si osserva come la richiamata disposizione, allo stato, sia l'unica a prevedere la confisca per equivalente dei beni strumentali e come, anche per effetto della «doppia pregiudizialita'», il ricorso alla Corte costituzionale abbia sicuramente un'efficacia maggiormente stabilizzante. 9. Nell'interesse delle parti civili sono state trasmesse conclusioni scritte e nota spese, da parte di numerosi difensori. 10. All'udienza del 14 dicembre 2023 si e' svolta la trattazione orale del processo. Considerato in diritto 1. Premessa. Ritiene la Corte che il motivo di ricorso proposto dal Procuratore generale riguardo al punto della disposta revoca della confisca - misura ablatoria adottata dal Tribunale nei confronti di tutti gli imputati condannati all'esito di quel grado di giudizio - sia parzialmente fondato e, sollecitando rilievi apprezzabili anche nell'ottica di un incidente di legittimita' costituzionale, debba essere analizzato in via prioritaria, con assorbimento degli altri motivi, salva la eccezione di cui appresso si dira'. 2. Delibazione preliminare dei motivi di ricorso. Occorre rilevare, al riguardo, che la revoca della confisca contro la quale insorge il Procuratore generale riguarda tra gli altri, il coimputato G., il quale, con il proprio ricorso, indirizza le critiche alla sentenza impugnata con esclusivo riferimento al trattamento sanzionatorio. Si tratta di doglianze - quelle del G. - che non scalfiscono la logicita' del percorso argomentativo che ha sorretto l'esercizio del potere discrezionale del giudice di merito nella determinazione del trattamento sanzionatorio. Ne discende che il motivo di ricorso proposto dal ricorrente non presenta profili che giustificherebbero il suo accoglimento. La confisca era stata disposta dal giudice di primo grado nei confronti di tutti gli imputati e l'appello del Procuratore generale, accolto quanto all'affermazione di responsabilita' del P., avrebbe comportato, secondo quanto lamenta il ricorso per cassazione, l'applicazione della misura ablatoria anche nei confronti dello stesso, se la Corte territoriale non avesse disposto la revoca della confisca. Tanto si puntualizza all'esclusivo fine di dar conto delle ragioni per le quali non si e' disposta la separazione del processo nei confronti del P. Cio' posto, osserva il Collegio che le superiori considerazioni, in ordine alla posizione del G., sarebbero sufficienti a rendere rilevante la questione di legittimita' costituzionale che si argomenta di seguito. Tuttavia, alla luce della disciplina dettata dall'art. 587 codice di procedura penale in ordine agli effetti estensivi dell'impugnazione, e' necessario esaminare i motivi, di carattere non esclusivamente personale, sviluppati, nell'interesse dello Z. e del P. in tema di incompetenza per territorio dell'autorita' adita, il cui accoglimento travolgerebbe la sentenza anche in punto di confisca. 3. L'eccezione di incompetenza territoriale. La questione e' gia' stata esaminata da Sez. 1, n. 15537 del 7 dicembre 2017, dep. 2018, ... , n. m., in sede di conflitto negativo di competenza. Il conflitto era stato sollevato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, al quale erano stati trasmessi gli atti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Vicenza, dichiaratosi territorialmente incompetente contestualmente all'emissione del decreto di sequestro preventivo per i delitti di aggiotaggio informativo nella gestione di ente non quotato, ai sensi degli articoli 81, comma secondo, 110 codice penale , 2637 codice civile, di cui al capo A.1) dell'imputazione, e di ostacolo alle funzioni di vigilanza nei confronti della Banca d'Italia e della Consob, ai sensi degli articoli 81, comma secondo, 110, 2638, comma 3 codice civile, di cui ai capi B.1), C.1), D.1), E.1) dell'imputazione. Esso era stato risolto nel senso della determinazione della competenza per territorio dell'Autorita' giudiziaria vicentina. La Corte di appello, con la sentenza impugnata, ha ritenuto che, nella vicenda in esame, non operasse la preclusione di cui all'art. 25 codice di procedura penale per la diversita' delle parti del procedimento cautelare rispetto a quello di merito, nonche' per la presenza dell'ulteriore prospettazione della competenza dell'A.G. romana. Essa ha, tuttavia, comunque concluso per la competenza territoriale dell'autorita' giudiziaria vicentina. L'approdo decisorio della Corte territoriale va sicuramente condiviso, sulla scorta del principio illustrato dalle Sezioni Unite, n. 18621 del 23 giugno 2016, dep. 2017, ... , Rv. 268586, poi richiamato da Sez. 5, n. 11715 del 29 novembre 2019, dep. 2020, ... , Rv. 278858, secondo cui la pronuncia risolutiva del conflitto di giurisdizione, cosi' come quella di competenza, e' decisione incidentale dotata di effetti preclusivi nei limiti del thema decidendum del conflitto e delle questioni da questo presupposte. Invero, l'art. 25 codice penale stabilisce espressamente che «[l]a decisione della Corte di cassazione sulla giurisdizione o sulla competenza e' vincolante nel corso del processo, salvo che risultino nuovi fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi la modificazione della giurisdizione o la competenza di un giudice superiore». La disposizione, quindi, codifica un principio di perpetuatio jurisdictionis per la quale «nel corso del processo» non e' possibile rimettere in discussione la competenza per territorio, posto che la rilevanza dell'emergenza di fatti nuovi e' limitata alla loro incidenza, derivante da una conseguente diversa definizione giuridica, che incida necessariamente sulla «giurisdizione» o sulla «competenza di un giudice superiore». Si tratta di un principio che attiene al significato fondamentale delle norme sulla competenza del giudice - che e' quello di garantire la predeterminazione del giudice per legge -, in modo da evitare di consegnare i procedimenti a situazioni di instabilita' ed incertezza, a maggior ragione ove si consentissero precisazioni e adattamenti delle eccezioni sino all'appello; cio' contrasterebbe insanabilmente con il significato minimo ed essenziale da attribuire all'art. 25, primo comma, della Costituzione che e' quello di garantire una sicura individuazione ex ante del giudice naturale precostituito dalla legge, non certo quella di condizionare gli esiti del processo al progressivo affinamento delle risultanze dello stesso. Resta da vedere, tuttavia, se la nuova prospettazione difensiva relativa alla consumazione in ... , anziche' in ... , come contestato, del reato di cui al capo B.1) sia tale da integrare quella macroscopicita' di errore nella prospettazione d'accusa, che consente di rivisitare le determinazioni della Corti di cassazione sulla competenza per territorio. Secondo la difesa di G. Z., nella determinazione della competenza si sarebbe dovuto tenere conto, in riferimento al capo B.1), aggravato ex art. 2638, terzo comma, codice civile, di un fatto (la comunicazione ICAAP inviata alla Banca d'Italia in ... nell'aprile ... che, pur non descritto espressamente nel capo d'imputazione, sarebbe rientrato nell'alveo della stessa, in quanto pacificamente documentato e risultante dagli atti delle indagini preliminari, non potendosi ammettere alcun arbitrio nella selezione delle condotte compiuta dall'organo della pubblica accusa. Orbene, la giurisprudenza di legittimita' invocata dai ricorrenti conferma che la competenza per territorio si determina avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga rilevanti errori, macroscopici ed immediatamente percepibili (v., ad es. Sez. 1, n. 31335 del 23 marzo 2018, ... , Rv. 273484 - 01). Quest'ultima puntualizzazione rappresenta una valvola di sicurezza del sistema, ricostruita dalla giurisprudenza per consentire un controllo sulla correttezza dell'imputazione formulata rispetto alle risultanze che ad essa si riferiscono. In altri termini, essa non comporta un sindacato del giudice, ai fini della verifica della competenza, sulle scelte del pubblico ministero nell'esercizio dell'azione penale (sindacato demandato ad altri istituti che qui non assumono rilievo e che sollevano delicati problemi di bilanciamento rispetto alle prerogative dello stesso pubblico ministero, in relazione al principio di obbligatorieta' dell'azione penale: per alcuni profili, v., ad es., Sez. U, n. 10728 del 16 dicembre 2021, dep. 2022, ... , Rv. 282807 - 01, punto 4 del Considerato in diritto). Cio' posto, risulta indiscutibile che la descrizione fattuale contenuta nel capo d'imputazione sub B.1) e' circoscritta temporalmente e spazialmente all'attivita' ispettiva condotta dalla Banca d'Italia presso l'ente, in ... . Inoltre, le condotte concorsuali, ivi compresa quelle del P. , sono ricondotte «al fine di ostacolare l'esercizio delle funzioni della Banca d'Italia durante l'attivita' ispettiva compiuta dalla stessa Autorita' presso la sede sociale (in ...)»; la stessa aggiunta «e comunque omettevano di dare comunicazione di tali circostanze» e' riportata ancora una volta a «conseguenti» approfondimenti conoscitivi che, per le precedenti delimitazioni spaziali e temporali, concernono inevitabilmente le comunicazioni in costanza di ispezione. D'altro canto, il valore decettivo della comunicazione ICAAP - che riguarda un eventuale reato non compreso nella descrizione del capo d'imputazione - e' tutt'altro che idoneo, ad evidenziare un macroscopico errore nella prospettazione dell'accusa. Il valore da dare a tale fatto implica, invece, delicate valutazioni - da ritenersi inibite in questa sede, in quanto contra reum e tali da ampliare contro l'imputato l'accusa rispetto alla cognizione dei precedenti gradi - del contenuto della comunicazione che lo stesso ricorso non offre, specie nei termini della macroscopicita' richiesta per ravvisare un arbitrio della pubblica accusa, tenuto conto che l'ICAAP e' un documento, previsto da una fonte regolamentare, di autovalutazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria, realizzata attraverso un rendiconto, laddove, al contrario, il legame tra l'acquisto di un'azione ed un finanziamento ricevuto a fronte di esso non risulta rilevabile, in generale, su base cartolare in forza della semplice rendicontazione. Conclusivamente sul punto, le valutazioni connesse alla mancata contestazione di illeciti, correlati alla comunicazione ICAAP del ... , non presentano elementi di evidenza e macroscopicita' di errore, immediatamente percepibili nella contestazione dell'accusa, tali da consentire di superare la prospettazione del pubblico ministero ai fini della delibazione di competenza territoriale; tanto meno risulta alcuna arbitraria selezione dei fatti da parte del pubblico ministero, che possa ritenersi strumentale alla sottrazione degli imputati al loro «giudice naturale», tenuto conto che - gia' in base agli atti offerti dal pubblico ministero addirittura nel procedimento cautelare - si era determinato un conflitto di competenza che aveva comportato l'intervento della Corte di cassazione. Il fatto, poi, che la delibazione sulla competenza territoriale venga effettuata sulla base della contestazione dell'accusa, salvi errori macroscopici immediatamente percepibili, non puo' ritenersi contrastare con il quadro costituzionale. Il percorso seguito dai ricorsi sul punto, in realta', collide con i principi cardine del nostro ordinamento processuale, che riserva al pubblico ministero l'individuazione del tema dell'accusa e la sua perimetrazione contenutistica. In particolare, la prospettazione difensiva implica una sorta di sovrapposizione funzionale del giudice in tema di individuazione della condotta oggetto di imputazione, qualora dagli atti emerga un segmento di condotta non esplicitato dalla descrizione del fatto operata dal pubblico ministero. 4. La rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della sproporzione della confisca per equivalente disposta in primo grado. Cio' detto con riguardo a quanto qui rileva in tema di affermazione di responsabilita', ritiene il Collegio di esaminare il terzo motivo del ricorso del Procuratore generale, con il quale, come detto, si lamenta violazione di legge, in riferimento agli articoli 2641 del codice civile, 101, secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione, nonche' con riguardo ai principi di legalita' della pena e di separazione dei poteri. In particolare, si contestano le argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale per giustificare la revoca della confisca per equivalente che era stata disposta dal giudice di primo grado, ai sensi dell'art. 2641, secondo comma, codice civile, nei confronti di tutti gli imputati (con la sola eccezione, per quanto qui rileva, del P. , assolto dal Tribunale e nei cui confronti, per questa ragione, il giudice di primo grado non aveva disposto alcuna misura ablatoria), in ragione dell'affermazione di responsabilita' per i reati di cui agli articoli 2637 e 2638 codice civile, sino all'importo di 963.000.000,00 euro. Si osserva: a) che l'art. 2641, secondo comma, codice civile prevede la confisca anche per equivalente dei beni utilizzati per commettere i reati - nella specie, ravvisati nelle somme di denaro investite nelle operazioni di finanziamento illecito -, senza introdurre correttivi di tipo quantitativo correlati alle peculiarita' del caso concreto; b) che la valutazione di (s)proporzione espressa dalla Corte d'appello, che ha ritenuto idonea la pena detentiva prevista dagli art. 2637 e 2638 codice civile «ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva», finisce per impedire l'applicazione della confisca, che il legislatore ha costruito come obbligatoria; c) che la valorizzazione, da parte della sentenza impugnata, dell'assenza di un profitto individuale, introduce un parametro normativo non previsto da parte dell'art. 2641 codice civile ed estraneo alla natura dell'istituto, che attinge non il profitto, ma i beni utilizzati per commettere i reati. Con specifico riguardo all'ammissibilita' di una disapplicazione parziale della previsione normativa, con la conseguente possibilita' di disporre, in coerenza con il principio di proporzionalita', una confisca non estesa all'intero ammontare delle somme di denaro utilizzate per commettere i reati, il ricorrente, richiamando le garanzie e i principi costituzionali di cui sopra e le conclusioni di Corte costituzionale, ord. n. 24 del 2017, sollecita un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di chiarire, tramite una interpretazione della sentenza Grande Sezione, 8 marzo 2022, in C-205/20, se la normativa nazionale debba essere disapplicata anche quando tale risultato, in assenza di una base legale sufficientemente determinata, finisca, in violazione del principio di legalita' e di separazione dei poteri, per attribuire al giudice valutazioni discrezionali in tema di politica criminale, riimesse dalla nostra Costituzione al legislatore. 4.1. La decisione della Corte territoriale. La Corte di Appello di Venezia ha affrontato la questione, esaminando, in particolare, il settimo motivo di appello articolato dalla difesa dell'imputato Z., che aveva dedotto l'illegittimita' della confisca per equivalente, disposta dal Tribunale per un ammontare pari all'entita' dei finanziamenti erogati per le operazioni incriminate, considerandoli come beni utilizzati per commettere il reato, ai sensi dell'art. 2641 del codice civile, in relazione alla mancata preventiva verifica della concreta praticabilita' della confisca diretta, posto che: a) la procedura concorsuale non sarebbe stata affatto ostativa alla confisca diretta, considerata la prevalenza del sequestro rispetto alla procedura concorsuale, come piu' volte affermato dalla giurisprudenza di legittimita', e che b) l'istituto di credito, nel caso in esame, aveva tratto sicuramente profitto dalla commissione dei reati di cui agli articoli 2637 e 2638 codice civile In secondo luogo, l'appellante aveva dedotto che la confisca disposta, di indubbia natura sanzionatoria, confligge con i principi costituzionali, come gia' evidenziato da Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2019 e dal successivo intervento del legislatore in relazione all'art. 187 TUF, laddove, per effetto della legge europea n. 238 del 2021, il provvedimento ablatorio e' stato limitato al solo profitto dell'illecito, con esclusione dei «beni strumentali»; cio' avrebbe imposto l'adozione di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2641 codice civile, in riferimento gli articoli 3 e 27 della Costituzione, considerato che l'attuale formulazione dell'art. 2641 codice civile si fonda su di un criterio rigido di quantificaziore dell'oggetto della confisca, non commisurato alla condotta del reo e non proporzionato al profitto da quest'ultimo eventualmente conseguito. A fronte di tali deduzioni, la Corte di merito ha ritenuto infondato il primo argomento difensivo - aderendo alla tesi della indisponibilita' delle somme a seguito della sottoposizione della B. P. di V. a procedura concorsuale - ed ha accolto, invece, il secondo. Su tale aspetto, in particolare, la sentenza impugnata ha ricordato come, per giurisprudenza di legittimita' consolidata, nei reati finanziari i beni utilizzati per commettere i reati siano costituiti dalle somme di denaro investite nelle operazioni finanziarie incriminate, nella specie di entita' particolarmente elevata; nel caso in esame, tali somme, pur non nella originaria disponibilita' degli imputati, bensi' di un soggetto terzo, ossia la banca, dovrebbero essere oggetto di confisca per equivalente nei confronti degli imputati. Siffatto provvedimento ablatorio sarebbe evidentemente connotato da una manifesta sproporzione, oltre che essere del tutto disancorato dalla valutazione del concreto contributo concorsuale, in virtu' dell'automaticita' del relativo criterio di commisurazione, con conseguente violazione anche dei principi costituzionali inerenti alla funzione rieducativa della pena, di cui all'art. 27, primo e terzo comma, della Costituzione, come di recente ribadito dalla citata Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2019. Nel caso di specie, aggiunge la Corte di merito, la condotta posta in essere dagli imputati, per quanto grave, e' gia' stata adeguatamente punita dall'apparato sanzionatorio detentivo di riferimento, che prevede un'ampia forbice edittale del tutto idonea a calibrare la sanzione in riferimento all'entita' dell'offesa arrecata, con conseguente ancor maggiore sproporzione della portata afflittiva del provvedimento ablatorio adottato, posto che, inoltre, nel caso cli specie gli imputati non hanno tratto alcun profitto economicamente valutabile dalla commissione dei reati, avendo operato mediante l'utilizzazione di risorse dell'istituto di credito ed avendo agito nell'interesse esclusivo dello stesso, ancorche' radicalmente contrario alle regole di sana e prudente gestione. Se anche si ipotizzasse - prosegue la Corte di merito - la possibilita' di convertire l'ammontare della confisca adottando il criterio di cui all'art. 135 del codice penale , si perverrebbe ad un risultato ancor piu' sproporzionato, in quanto l'entita' della reclusione risulterebbe gia' pari ad anni trenta in riferimento ad una somma pari ad euro 2.700.000,00, largamente inferiore alla somma di euro 960.000.000,00 di cui alla disposta confisca, con un esito, quindi, non solo evidentemente irrazionale, ma anche inesigibile in riferimento alla durata della pena detentiva che verrebbe ad essere individuata in tal modo. Tanto premesso, la Corte di merito ha ritenuto praticabile la strada della revoca della confisca, la cui applicazione non solo risulterebbe: contrastante con i richiamati principi costituzionali, ma anche con l'art. 49, § 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (d'ora innanzi, CDFUE) -, la quale prevede, per l'appunto, che le pene debbano essere proporzionate rispetto al reato. Al contrario, secondo la Corte di merito, l'incidente di costituzionalita' non appare praticabile, alla luce sia della giurisprudenza della Corte costituzionale (in particolare la sentenza n. 30 del 2021), sia in ragione del contenuto della sentenza della Grande Sezione della Corte GUE emessa in data 8 marzo 2022 nel procedimento C-205/20, che, a sua volta, ha ribaltato il precedente orientamento della Corte di Lussemburgo, cristallizzato nella sentenza C-384/17 nel caso ... . La sentenza impugnata osserva che, secondo la Corte di' Lussemburgo, qualora le disposizioni nazionali contrastino con il principio di proporzionalita' della sanzione, avente valore «imperativo», spetta al giudice nazionale garantire la piena efficacia di tale principio, con la conseguenza che, ove non vi sia spazio per procedere ad un'interpretazione della normativa nazionale conforme a tale requisito, il giudice dovra' disapplicare, di propria iniziativa, le disposizioni nazionali incompatibili con il citato principio; tale modus operandi, inoltre, non contrasta in alcun modo ne' con la certezza del diritto - certamente non compromesso dall'esigenza di adeguare la sanzione ad esigenze di proporzionalita' -, ne' con la legalita' della pena, che costituisce un limite invalicabile unicamente a favore del reo. In ogni caso, nella vicenda in esame, ritiene la sentenza impugnata che l'integrale disapplicazione della confisca, piuttosto che una riduzione della stessa, si imponga sia per la piena idoneita' del trattamento sanzionatorio «principale» ad esaurire adeguatamente la risposta punitiva dello Stato, sia per l'assenza di qualsivoglia profitto in capo agli imputati, suscettibile di valutazione economica, al quale ancorare l'importo da sottoporre a confisca. Tale interpretazione - conclude la Corte di merito - ha ricevuto conferma anche dalla piu' recente evoluzione normativa sovranazionale, con riferimento al regolamento 1805/18 UE - come tale self-executing -, applicabile dal 19 dicembre 2020, che, intervenendo in materia di cooperazione internazionale, ha stabilito un principio di portata generale in tema di confisca, richiamando, nel considerando n. 21, nell'art. 1, § 3 e nell'art. 41, il rispetto dei principi di necessita' e di proporzionalita' nell'emettere provvedimento di congelamento o di confisca. La Corte di appello, pur ritenendo che tale regolamento offra un riscontro circa la praticabilita' della disapplicazione diretta della norma interna, avverte che siffatta soluzione potrebbe essere foriera, nell'immediato, di incertezze e disparita' di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate da singole autorita' giudiziarie, laddove la sottoposizione della questione al vaglio della Corte costituzionale consentirebbe di intervenire, eventualmente, direttamente sulla disposizione di cui all'art. 2641 codice civile. 4.2. La questione di legittimita'. Tanto premesso, ritiene il Collegio, come gia' detto, che il ricorso del procuratore Generale presso la Corte di appello di Venezia presenti profili di fondatezza che rendono rilevante la questione di legittimita' che si va a prospettare. Infatti, ove non si ricorresse all'incidente di costituzionalita' dell'art. 2641, secondo comma, codice civile, l'accoglimento delle censure del P.G. impugnante riguardo alla mancata applicazione della confisca comporterebbe un mandato, al giudice del rinvio, per la disposizione di una misura ablatoria che si sospetta di manifesta sproporzione, come si vedra'. 4.2.1. Occorre premettere che la norma di cui all'art. 2641, primo comma, codice civile prevede la confisca dei beni utilizzati per commettere i reati. Secondo la condivisa giurisprudenza espressa da questa Corte (Sez. 5, n. 1991 del 29 novembre 2018, dep. 2019, ... Rv. 274437 - 0; Sez. 5, n. 42778 del 26 maggio 2017, ... , Rv. 271440 - 0) costituiscono «beni utilizzati per commettere il reato» di cui all'art. 2638 del codice civile, confiscabili ai sensi dell'art. 2641, primo e secondo comma, codice civile, anche mediante l'apprensione di beni per valore equivalente, i finanziamenti concessi da un istituto di credito a terzi per l'acquisto di azioni ed obbligazioni dello stesso istituto e finalizzati a rappresentare una realta' economica del patrimonio di vigilanza dell'ente creditizio diversa da quella effettiva, con ostacolo delle funzioni delle autorita' pubbliche di vigilanza. L'art. 2641 codice civile, sia con il primo comma, sia con il secondo comma - nel presente procedimento direttamente rilevante -, che prevede la confisca per equivalente, non introduce alcun parametro di tipo quantitativo correlato alle peculiarita' del caso concreto. Rispetto al percorso argomentativo della Corte territoriale, quale sopra riassunto, si rileva che il Procuratore generale non ha impugnato la sentenza della Corte di appello di Venezia, quanto al profilo della rilevanza preclusiva che avrebbe, rispetto alla possibilita' di disporre la confisca diretta, la sottoposizione della banca a liquidazione coatta amministrativa con conseguente spossessamento dell'istituto di credito. In altri termini, non e' stata sollevata la questione della applicabilita' alla vicenda in esame dell'orientamento espresso dal massimo consesso nomofilattico di questa Corte, a partire da Sez. U, n. 29951 del 24 maggio 2004, ... , Rv. 228165, sino alle piu' recenti Sez. U, n. 40797 del 22 giugno 2023, ... , s.n.c., Rv. 285144, secondo cui l'avvio della procedura concorsuale non preclude l'adozione o la permanenza del sequestro preventivo finalizzato alla confisca. Ne', considerato il principio devolutivo, la questione puo' essere rilevata d'ufficio da questa Corte. Va aggiunto, al riguardo, che le superiori considerazioni non comportano profili di inammissibilita' del ricorso del Procuratore generale, poiche' il tema della sottoposizione della banca a procedura concorsuale non costituisce una autonoma ratio decidendi della disposta revoca della confisca, ma la premessa giuridica della possibilita' di disporre la confisca per equivalente, alla luce della non praticabilita' della confisca diretta, secondo le conclusioni del costante orientamento di questa Corte (v., ad es., Sez. 5, n. 6391 del 4 febbraio 2021, ... , Rv. 280535 - 0): si tratta, pertanto, di un presupposto che il ricorrente condivide per poter contestare la disapplicazione dell'art. 2641, secondo comma, codice civile, cui la sentenza impugnata e' giunta per la sproporzione dell'effetto sanzionatorio. 4.2.2. La confisca in primo grado e' stata disposta nei confronti di tutti gli imputati (salvo, come detto, che nei confronti di P., che, invece, e' stato condannato in secondo grado, per cui non e' mai stato destinatario di un provvedimento di confisca; in ogni caso il ricorso del P.G. e' indirizzato anche nei confronti di quest'ultimo) a seguito della condanna per i reati di cui agli art. 2637 e 2638 del codice civile Per le ragioni che si diranno, e' rilevante il tema della prescrizione. Con riguardo all'art. 2638 del codice civile, il terzo comma, introdotto dall'art. 39, comma 2, lettera c) della legge 28 dicembre 2005, n. 262 (il che ne implica l'applicabilita' ratione temporis), prevede il raddoppio della pena, se si tratta, come nella specie, di societa' con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altri Stati dell'Unione europea o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell'art. 116 TUF. Ne discende che il termine di prescrizione, determinato ai sensi degli articoli 157, primo comma, e 161, secondo comma, codice penale, va individuato in dieci anni, ai quali vanno aggiunti 87 giorni di sospensione registrati nel corso del giudizio di merito. Pertanto, i capi E.1 (data del commesso reato: ...), F.1 (data del commesso reato: ...) G.1 (data del commesso reato: ... ), N.1 (data del commesso reato: ... ) non sono estinti per prescrizione: il primo reato destinato ad estinguersi e', pertanto, quello di cui al capo E.1 che si prescrivera' in data ... e per il quale e' contestata l'omessa considerazione di elementi negativi per un importo di circa 700 milioni di' euro; cio' per intendere come la questione dell'ammontare della confisca conserva integra la sua rilevanza. Il mancato decorso del termine di prescrizione in relazione ad alcuni dei reati per i quali la confisca e' stata disposta assume rilievo, poiche' si verte in tema di una confisca per equivalente dalla indiscussa natura sanzionatoria. Al riguardo, Sez. U, n. 4145 del 29 settembre 2022, dep. 2023, ... , Rv. 284209 - 01, hanno puntualizzato che la disposizione di cui all'art. 578-bis del codice di procedura penale, introdotta dall'art. 6, comma 4, decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzionatoria, natura anche sostanziale e, pertanto, e' inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore. Le citate Sez. U, n. 4145 del 2023, in motivazione, hanno, altresi', confermato il proprio orientamento, quanto al fatto che al richiamo contenuto nell'art. 578-bis del codice di procedura penale , alla confisca «prevista da altre disposizioni di legge», deve riconoscersi una valenza di carattere generale, capace di ricomprendere, siccome formulato senza ulteriori specificazioni, anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale (Sez. U, n. 13539 del 30 gennaio 2020, ... , in motivazione; Sez. U, n. 6141 del 25 ottobre 2018, dep. 2019, ... , in motivazione). 4.2.3. Esclusa la sussistenza di preclusioni all'applicazione, nel caso di specie, dell'art. 2641, primo e secondo comma, codice civile, osserva il Collegio che il ricorso del Procuratore generale, come sopra evidenziato, solleva una questione meritevole di accoglimento, che, tuttavia, induce a ritenere, sul presupposto della non manifesta infondatezza della questione (v., infra sub 5), necessario percorrere d'ufficio la via dell'incidente di costituzionalita' (v. infra sub 6): profilo che, in questa sede, si esamina, in vista della argomentata verifica della rilevanza della questione. La Corte di giustizia Ue, Grande Sezione, 8 marzo 2022, in causa C-205/20 ha chiarito che il principio del primato del diritto dell'Unione deve essere interpretato nel senso che esso impone alle autorita' nazionali l'obbligo di disapplicare una normativa nazionale, parte della quale sia contraria al requisito di proporzionalita' delle sanzioni (nel caso di specie, previsto all'art. 20 della direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014), «nei soli limiti necessari per consentire l'irrogazione di sanzioni proporzionate». La limitazione da ultimo menzionata dalla Corte di giustizia impone una verifica calibrata sulla struttura dell'apparato sanzionatorio e sulla funzione da esso perseguita, che non puo' essere occultata, con una risposta totalizzante, dalla manifesta sproporzione della confisca disposta (e anche da quella che si andrebbe a correlare alla luce dei reati sopravvissuti per il mancato decorso del termine prescrizionale). Il rilievo della manifesta sproporzione, invero, si accompagna, nella motivazione della Corte territoriale, alla puntualizzazione secondo la quale le condotte sono adeguatamente punite dall'apparato detentivo di riferimento «tale da prevedere una ampia forbice edittale del tutto idonea all'assicurare che la risposta punitiva sia doverosamente calibrata rispetto all'entita' dell'offesa arrecata dal reato al bene giuridico presidiato dalla fattispecie incriminatrice e al contributo offerto da ciascun correo alla perpetrazione dei delitti». Proprio il fatto che la Corte di giustizia imponga una valutazione della proporzionalita' intrinseca della misura e colga la possibilita', attraverso la disapplicazione della norma nei limiti in cui cio' si necessario ad assicurare l'adeguatezza della risposta punitiva, pone il problema dei casi nei quali la norma interna prevede una misura obbligatoria e correlata (soltanto) ad un criterio che conduce ad uno e un solo risultato. Su queste basi, come detto, il Procuratore generale ricorrente sollecita il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, al fine di ottenere una interpretazione delle ricadute della menzionata sentenza della stessa Corte in causa C-205/20, rispetto all'ordinamento nazionale italiano, in special modo con riguardo alla possibilita' di disapplicare la normativa nazionale anche quando tale soluzione sia priva di una base sufficientemente determinata. Ora, secondo la Corte territoriale, sempre e in ogni caso, la confisca dei beni utilizzati per commettere il reato, ai sensi dell'art. 2641, secondo comma, codice civile rappresenta un quid pluris sovrabbondante rispetto all'apparato sanzionatorio detentivo: cio' che sottende una valutazione di sproporzione della confisca per equivalente in se' considerata, anche nell'ipotesi di applicazione del minimo edittale, con la conseguenza che, a ben vedere, la motivazione, piu' che argomentare in ordine all'individuazione di un limite della risposta sanzionatoria e alla predeterminazione dei criteri che devono orientare, nel contesto del principio di legalita', la valutazione di sproporzione, si traduce, e in termini assertivi correlati solo all'entita' della sanzione detentiva prevista, nella prospettazione di una interpretazione abrogatrice della previsione. Ora, ad avviso del Collegio, le critiche indirizzate dal ricorrente Procuratore generale a siffatta impostazione, sono fondate, dal momento che l'apparato motivazionale che accompagna la decisione della Corte giunge alla conclusione della necessita' di disapplicare la norma indicata, ossia l'art. 2641, secondo comma, codice civile, in relazione al primo comma dello stesso articolo sempre e comunque. Si tratta, come detto, di una conclusione fondata sulla mera valorizzazione dell'entita' della pena detentiva prevista dal legislatore, ma senza alcuna indicazione delle ragioni e dei criteri valutativi che la sorreggerebbero. Cio' posto, il terzo motivo del ricorso del Procuratore generale appare, pertanto, meritevole di accoglimento: e tanto rende rilevante la questione di legittimita' che si va a prospettare. 5. Della non manifesta infondatezza della questione. Il Collegio, nella valutazione della soluzione da adottare, deve necessariamente considerare i principi ribaditi da Corte costituzionale, sentenza n. n. 112 del 2019, con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 187-sexies TUF, nel testo originariamente introdotto dall'art. 9, comma 2, lettera a), della legge 18 aprile 2005, n. 62 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2004), nella parte in cui prevedeva la confisca obbligatoria, diretta o per equivalente, del prodotto dell'illecito e dei beni utilizzati per commetterlo, e non del solo profitto, riferita all'aggiotaggio manipolativo quando integra illecito amministrativo. Tale pronuncia, quindi, in estrema sintesi e salvo quanto si dira' infra, ha affermato che solo la confisca del profitto del reato ha una funziona ripristinatoria, mentre la confisca del prodotto o dei beni utilizzati per commettere il reato riveste una natura sanzionatoria-punitiva che puo' rivelarsi - come nel caso in esame - senza alcun dubbio di gran lunga superiore all'effetto della mera ablazione dell'ingiusto vantaggio economico ricavato dall'illecito. A cio' deve aggiungersi l'intervento del legislatore, che, con l'art. 26, comma 1, lettera e) della legge 23 dicembre 2021, n. 238 recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea», ha apportato modifiche al TUF: una di queste riguarda l'art. 187 (norma che prevede la confisca in caso di aggiotaggio manipolativo costituente reato), il cui comma 1 e' stato riformulato nel senso che «In caso di condanna per uno dei reati previsti dal presente capo e' sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto.» Il secondo comma dell'articolo citato, inoltre, prevede che «Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa puo' avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente». E' stata cioe' espunta la previsione della confisca di beni strumentali. In sostanza, quindi, entrambi gli interventi, quello della Corte costituzionale e quello del legislatore, risultano chiaramente ispirati al principio secondo cui, nei casi di reati concernenti gli abusi di mercato, la confisca deve essere limitata al solo profitto, in quanto tale ablazione garantisce appieno la funzione ripristinatoria. In altri termini, si intende restringere l'intervento ablatorio connotato da componenti punitivo-sanzionatorie, poiche' esso, se fosse esteso al prodotto ed ai mezzi utilizzati per commettere il reato, potrebbe assumere carattere sproporzionato. Al contrario, limitando la confisca al profitto del reato, si realizza una proporzione sostanzialmente automatica tra il vantaggio scaturente dalla commissione dell'illecito e l'ammontare della confisca, anche per equivalente, senza alcun riverbero sull'entita' del trattamento sanzionatorio. Tali principi sembrano dover essere applicati anche all'art. 2641 del codice civile, norma che concerne la confisca nel caso di reato di aggiotaggio, come pure nel caso del delitto di ostacolo alla vigilanza, data l'identita' della ratio applicativa e della portata di tale disposizione rispetto a quelle sin qui citate. Infatti, alla luce del principio di proporzionalita' sotteso alla dichiarazione di illegittimita' costituzionale pronunciato da Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2019, emerge che e' proprio un meccanismo di confisca per equivalente strutturalmente correlato ai beni utilizzati per commettere il reato ad e ;sere costruito dal legislatore in termini che non garantiscono in astratto, al di fuori dei casi dei tradizionali instrumenta sceleris, in genere rappresentati da cose intrinsecamente pericolose se lasciate nella disponibilita' del reo, la proporzionalita' della risposta sanzionatoria, intesa come quella della necessaria adeguatezza al fatto, considerato nelle sue componenti oggettive e soggettive, che rappresenta la giustificazione retributiva della pena. Proprio il raffronto con la pena detentiva che scaturirebbe dal ragguaglio dell'importo oggetto della confisca della quale si discute, operato alla luce dei criteri di cui all'art. 135 codice penale (appena 2.737.500 corrispondono a trent'anni di reclusione), dimostra che, anche indipendentemente dal cumulo con la pur severa pena detentiva applicabile (da due a otto anni di reclusione), la risposta sanzionatoria - valutata in relazione alla piu' severa pena detentiva temporanea prevista dall'ordinamento, in una prospettiva di verifica della proporzionalita' in termini «cardinali», secondo l'espressione adoperata da parte della dottrina - mostra la completa assenza di qualunque razionale correlazione con il fatto. E cio' senza dire che l'inesigibilita' di importi di tale fatta - la valutazione dovendo essere operata con riguardo a ciascuno dei destinatari della misura - comporta solo il risultato di realizzare, in linea generale, un permanente vincolo obbligatorio sul patrimonio dei soggetti condannati, senza comportare alcun reale vantaggio per il creditore. In altri termini, e' la struttura della norma a collocare il rimedio al di fuori di qualunque parametro di razionale adeguatezza. Puo' aggiungersi che le superiori considerazioni mostrano, in realta', come le peculiarita' strutturali della confisca, prima ancora che un problema di proporzionalita' rispetto alla complessiva risposta sanzionatoria, pongano un problema di proporzionalita' intrinseca alla misura, ossia di razionale costruzione dei suoi presupposti al fine di individuare una risposta adeguata al fatto considerato nella complessita' dei suoi elementi costitutivi, altrimenti finendo per perdere ogni legame con la persona del colpevole. Opina, pertanto, il Collegio che l'unica strada praticabile (v., in particolare infra sub 6) sia quella della rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 2641, secondo comma, codice civile, in relazione al primo comma dello stesso articolo, sotto il profilo del contrasto di tale norme, con gli articoli 3, 27, commi primo e terzo, 42, 117 della Costituzione, quest'ultimo in riferimento all'art. 1 del Primo protocollo addizionale alla CEDU, nonche' agli articoli 11 e 117 della Costituzione, con riferimento agli articoli 17 e 49 CDFUE. Invero, come osservato da Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2019, l'ampia discrezionalita' riconosciuta al legislatore, nell'ambito del diritto penale, quanto alla determinazione delle pene da comminare per ciascun reato, e' soggetta ad una serie di vincoli derivanti dalla Costituzione, tra i quali il divieto di comminare pene manifestamente sproporzionate per eccesso. Siffatto divieto viene in considerazione in questa sede, alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha, al riguardo, ampliato il proprio spettro valutativo dall'ambito individuato dall'art. 3 sino a giungere ad un diretto apprezzamento, nel quadro dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione, dei casi nei quali la pena comminata dal legislatore appaia manifestamente sproporzionata, non tanto in rapporto alle sanzioni previste per altre figure di reato, quanto, piuttosto, in rapporto - direttamente - alla gravita' delle condotte abbracciate dalla fattispecie astratta, senza che sia piu' necessaria l'evocazione di alcuno specifico tertium comparationis: cio' nella consapevolezza che pene eccessivamente severe tendono a essere percepite come ingiuste dal condannato, e finiscono cosi' per risolversi in un ostacolo alla sua rieducazione (Corte Costituzionale, sentenza n. 68 del 2012). In siffatta valutazione svolge un ruolo determinante anche l'art. 27, primo comma, della Costituzione, con riguardo al principio di personalita' della responsabilita' penale, da correlarsi alla necessaria funzione rieducativa della pena di cui al terzo comma dello stesso art. 27 della Costituzione, che contrasta, in linea generale, con la previsione di «pene fisse». Ora, pare al Collegio che la sanzione della quale si tratta collida anche con gli articoli 3 e 42 della Costituzione, poiche' incide in senso limitativo sul diritto di proprieta' dell'autore dell'illecito; allo stesso risultato conduce la considerazione degli articoli 1 Prot. addiz. CEDU e dell'art. 17 CDFUE, che rappresentano i fondamenti, rispettivamente, nel diritto della Convenzione europea per i diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali e dell'Unione europea (v. i precedenti richiamati da Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2019: Corte EDU, sentenze 31 gennaio 2017, Boljević c. Croazia; 26 febbraio 2009, Grifhorst c. Francia, par. 87 e seguenti; 5 febbraio 2009, Gabrić c. Croazia, par. 34 e seguenti; 9 luglio 2009, Moon c. Francia, par. 46 e seguenti; 6 novembre 2008, Ismayilov c. Russia), del principio in questione, in quanto riferito ad una sanzione patrimoniale. A tali parametri deve poi aggiungersi l'art. 49, par. 3, CDFUE, in relazione agli articoli 11 e 117 della Costituzione, alla luce delle conclusioni raggiunte dalla Corte di giustizia (Corte di giustizia, 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate SA e altri, in causa C-537/16, par. 56). Siffatta conclusione si giustifica tenendo conto del principio di proporzionalita' che informa la disciplina eurounitaria delle misure ablatorie di carattere patrimoniale sin dal 2003 (decisione quadro 2003/577/GAI del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativa all'esecuzione nell'Unione europea dei provvedimenti di blocco dei beni o di sequestro probatorio), nel contesto della regolamentazione finalizzata a garantire il riconoscimento reciproco e, quindi, la circolazione e l'esecuzione delle decisioni delle autorita' nazionali (oltre alla decisione quadro citata, si vedano: la decisione quadro 2006/783/GAI del Consiglio, del 6 ottobre 2006, relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca; la direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell'Unione europea; il regolamento UE 2018/1805 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 novembre 2018, relativo al riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e di confisca). Ne discende che i parametri sopra menzionati, anche nel diverso ambito qui rilevante della confisca per equivalente di importo corrispondente ai «beni utilizzati per commettere il reato», non consentono di giustificare la norma qui censurata, alla luce della componente afflittiva derivante dallo sproporzionato - perche' non correlato ad alcun reale vantaggio conseguito - peggioramento della situazione dei destinatari della misura rispetto a quella conseguente all'applicazione di strumenti di carattere meramente ripristinatorio e tenuto conto della forbice edittale prevista dalla fattispecie incriminatrice. Va aggiunto per completezza che l'impostazione seguita da Corte costituzionale, sentenza n. 112 del 2019, muta il quadro nel quale si era mossa Sez. 5, n. 1991 del 29 novembre 2018, dep. 16 gennaio 2019, ... cit., la quale aveva concluso per la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2641, secondo comma, codice civile, rilevando che «l'indagato aveva compiuto una serie di operazioni (al capo 1 su obbligazioni della banca, agli altri capi sulle azioni della stessa) sempre al fine di simulare un apprezzamento nel mercato di tali strumenti finanziari, il cui riacquisto veniva invece garantito dal ... , in nome della banca. E' allora evidente che il disvalore, di rilievo penale, di tali condotte trovi la sua piu' corretta quantificazione proprio nella misura, complessiva, delle somme in esse impiegate. Una misura che io stesso indagato ha determinato. Quindi, non vi e' alcuna sproporzione fra i fatti illeciti compiuti e le somme sottoposte al vincolo, che, anzi, sotto il profilo monetario, coincidono perfettamente». Non si tratta, infatti, di interrogarsi sull'attribuibilita' agli imputati delle condotte aventi ad oggetto i beni strumentali dei quali si tratta (e che, nel caso di specie, rappresentano il parametro di commisurazione dell'importo confiscato), ma di confrontarsi con il diverso problema della proporzionalita' della risposta sanzionatoria. 6. La doppia pregiudiziale. L'opzione dell'incidente di costituzionalita'. Da tempo la Corte costituzionale (sent. n. 269 del 2017) ha chiarito i confini dell'assetto remediale scaturito dall'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che modifica il Trattato sull'Unione europea e del Trattato che istituisce la Comunita' europea e alcuni atti connessi, concluso a Lisbona il 13 dicembre 2007, ratificato ed eseguito dalla legge 2 agosto 2008, n. 130, che, tra l'altro, ha attribuito effetti giuridici vincolanti alla CDFUE, equiparandola ai Trattati (art. 6, paragrafo 1, del Trattato sull'Unione europea). Fermi restando i principi del primato e dell'effetto diretto del diritto dell'Unione europea come consolidatisi nella giurisprudenza europea e costituzionale, la Corte costituzionale ha preso atto che la citata Carta dei diritti costituisce parte del diritto dell'Unione dotata di caratteri peculiari in ragione del suo contenuto di impronta tipicamente costituzionale. I principi e i diritti enunciati nella Carta intersecano in larga misura i principi e i diritti garantiti dalla Costituzione italiana (e dalle altre Costituzioni nazionali degli Stati membri). Sicche', puo' darsi il caso che la violazione di un diritto della persona infranga, ad un tempo, sia le garanzie presidiate dalla Costituzione italiana, sia quelle codificate dalla Carta dei diritti dell'Unione, come e' accaduto in riferimento al principio di legalita' dei reati e delle pene (Corte di giustizia dell'Unione europea, grande sezione, sentenza 5 dicembre 2017, nella causa C-42/17, M.A.S, M.B.). Pertanto, le violazioni dei diritti della persona postulano la necessita' di un intervento erga omnes della Corte costituzionale, anche in virtu' del principio che situa il sindacato accentrato di costituzionalita' delle leggi a fondamento dell'architettura costituzionale (art. 134 della Costituzione). La Corte costituzionale e', in conseguenza, chiamata a giudicare alla luce dei parametri interni ed eventualmente di quelli europei (ex articoli 11 e 117 della Costituzione), secondo l'ordine di volta in volta appropriato, anche al fine di assicurare che i diritti garantiti dalla citata Carta dei diritti siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali, pure richiamate dall'art. 6 del Trattato sull'Unione europea e dall'art. 52, comma 4, della CDFUE come fonti rilevanti in tale ambito. Il tutto, peraltro, in un quadro di costruttiva e leale cooperazione fra i diversi sistemi di garanzia, nel quale le Corti costituzionali sono chiamate a valorizzare il dialogo con la Corte di giustizia (da ultimo, ordinanza n. 24 del 2017, sulla quale si tornera' infra), affinche' sia assicurata la massima salvaguardia dei diritti a livello sistemico (art. 53 della CDFUE). In altri termini, la sopravvenienza delle garanzie approntate dalla CDFUE a quelle previste dalla Costituzione italiana puo' generare un concorso di rimedi giurisdizionali (v., di recente, Corte costituzionale, sentenza n. 15 del 2024, par. 8.2. del Considerato in diritto). Le ragioni che inducono a privilegiare la scelta di sollevare questione di legittimita' costituzionale rispetto alla disapplicazione si raccordano ai rilievi svolti supra sub 4, tenendo conto delle puntualizzazioni espresse da Corte costituzionale, ordinanza n. 24 del 2017. Indipendentemente dalle considerazioni svolte dalla Corte territoriale, quanto al fatto di rappresentare la disapplicazione un rimedio foriero, nell'immediato, di incertezze e disparita' di trattamento inevitabilmente conseguenti a decisioni adottate da singole autorita' giudiziarie, si osserva che la citata Corte costituzionale, ordinanza n. 24 del 2017 ha chiarito come il riconoscimento del primato del diritto dell'Unione e' un dato certamente acquisito, ai sensi dell'art. 11 della Costituzione, ferma restando la necessita' di garantire l'osservanza dei principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona, tra i quali si colloca il principio di legalita' in materia penale. Esso esprime un principio supremo dell'ordinamento, posto a presidio dei diritti inviolabili dell'individuo, per la parte in cui esige che le norme penali siano determinate e formulate in termini chiari, precisi e stringenti, sia allo scopo di consentire alle persone di comprendere quali possono essere le conseguenze della propria condotta sul piano penale, sia allo scopo di impedire l'arbitrio applicativo del giudice. Si tratta di un principio che, come e' stato riconosciuto clalla stessa Corte di giustizia, appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri quale corollario del principio di certezza del diritto (Corte giust. Ue, sentenza 12 dicembre 1996 in cause C-74/95 e C-129/95, punto 25). In altri termini, le esigenze di certezza del diritto penale e quelle correlate di predeterminazione, quantomeno dei criteri di riferimento ai quali il giudice deve attenersi per apprezzare l'esistenza o non (ed eventualmente in che misura) della sproporzione, inducono ad escludere la possibilita' di dare un'applicazione, prevedibile negli esiti, del principio di proporzionalita' della risposta sanzionatoria, quando cio' possa condurre a non applicare una misura che il legislatore interno prevede come obbligatoria, senza lasciare al giudice interno alcuno spazio di graduazione. Quanto alla preferenza accordata al percorso individuato rispetto al rinvio pregiudiziale, si tratta di decisione motivata dal concorso di rimedi giurisdizionali indicato, come sopra detto, da Corte costituzionale, sentenza n. 269 del 2017 e da allora progressivamente raffinato negli esiti, ma senza scalfire la regola, condivisa dalla Corte di giustizia, per la quale il carattere prioritario del giudizio di costituzionalita' di competenza delle Corti costituzionali nazionali non collide con il sistema normativo eurounitario, purche' i giudici ordinari restino liberi: a) di sottoporre alla Corte di giustizia, «in qualunque fase del procedimento ritenqano appropriata e finanche al termine del procedimento incidentale di controllo generale delle leggi, qualsiasi questione pregiudiziale a loro giudizio necessaria; b) di «adottare qualsiasi misura necessaria per garantire la tutela giurisdizionale provvisoria dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione»; c) di disapplicare, al termine del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale, la disposizione legislativa nazionale in questione che abbia superato il vaglio di costituzionalita', ove, per altri profili, la ritengano contraria al diritto dell'Unione (tra le altre, Corte di Giustizia dell'Unione europea, quinta sezione, sentenza 11 settembre 2014, nella causa C-112/13 A contro B e altri; Corte di Giustizia dell'Unione europea, grande sezione, sentenza 22 giugno 2010, nelle cause C-188/10, Melki e C-189/10, Abdeli).
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 2641, primo e secondo comma, del codice civile, nella parte in cui assoggetta a confisca per equivalente anche i beni utilizzati per commettere il reato, in relazione agli articoli 3, 27, primo e terzo comma, 42 e 117 della Costituzione, quest'ultimo con riferimento all'articolo 1 del primo protocollo addizionale alla Cedu, la cui ratifica e' stata autorizzata con legge 4 agosto 1955, n. 848 che ad esso ha dato esecuzione, nonche' agli articoli 11 e 117 della Costituzione, con riferimento agli articoli 17 e 49, par. 3, Cdfue, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000; dispone la sospensione del presente giudizio; ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti del giudizio di cassazione, al Presidente del consiglio dei ministri; ordina, altresi', che l'ordinanza venga comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento; dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni, alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Roma, il 14 dicembre 2023 II Presidente: Vessichelli I consiglieri estensori: Catena - De Marzo