N. 146 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 giugno 2024

Ordinanza del 12 giugno 2024 del Tribunale  amministrativo  regionale
per il  Lazio  sul  ricorso  proposto  da  Plus  s.r.l.  contro  Roma
Capitale. 
 
Edilizia e urbanistica - Interventi edilizi  -  Norme  della  Regione
  Lazio - Disposizioni per il  cambio  di  destinazione  d'uso  degli
  edifici  -  Previsione  che,  nelle  more  dell'approvazione  della
  deliberazione del consiglio comunale di cui al comma 1 dell'art.  4
  della legge regionale n. 7 del 2017 e  comunque  non  oltre  dodici
  mesi dall'entrata in vigore di  tale  legge,  previa  richiesta  di
  idoneo titolo abilitativo edilizio di cui  al  d.P.R.  n.  380  del
  2001, le medesime disposizioni si applicano agli edifici  esistenti
  legittimi o legittimati, purche' non ricadenti in determinate zone. 
- Legge della Regione Lazio 18 luglio 2017, n. 7 (Disposizioni per la
  rigenerazione urbana e per il recupero edilizio), art. 4, comma 4. 
(GU n.34 del 21-8-2024 )
 
          IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER IL LAZIO 
 
 
                         Sezione seconda bis 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 13445  del  2019,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto  da  Plus  S.r.l.,  in  persona  del  legale  rappresentante
pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati  Giovanni  Valeri,
Sergio Gostoli, con domicilio digitale come da  PEC  da  Registri  di
Giustizia e domicilio eletto presso  lo  studio  Giovanni  Valeri  in
Roma, viale G. Mazzini, 11; 
    contro  Roma   Capitale,   in   persona   del   Sindaco,   legale
rappresentante pro  tempore,  rappresentata  e  difesa  dall'avvocato
Umberto Garofoli, dell'Avvocatura Capitolina, con domicilio  digitale
come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso la sua
sede, in Roma, via del Tempio di Giove 21; per l'accertamento (con il
ricorso introduttivo): 
      della illegittimita' del  silenzio  serbato  da  Roma  Capitale
sull'istanza di permesso di costruire presentata ai sensi dell'art. 4
comma 4 legge regionale n. 7/2017 (cd. Rigenerazione urbana) e  prot.
QI/2018/116707 del 9 luglio 2018 e sul successivo atto  di  invito  a
provvedere  del  1°  luglio  2019,  e  dell'obbligo  dell'  A.C.   di
provvedere al rilascio del suddetto P. di C.,  con  assegnazione  del
termine di trenta giorni ed altresi' per la nomina di un  Commissario
ad acta, che provveda in caso di persistente inadempimento  dell'A.C.
(con i motivi aggiunti presentati da Plus S.r.l. il 23 gennaio 2020): 
      per  l'annullamento  della  determinazione  dirigenziale  prot.
QI/1718 del 7 gennaio 2020, notificata in data 8 gennaio 2020, con la
quale il direttore del Dip. PAU di  Roma  Capitale  ha  rigettato  la
domanda di P.d.C. prot. QI/2018/116707 del 9 luglio 2018,  presentata
dalla Soc. Plus S.r.l., ai sensi dell'art. 4 comma 4 legge  regionale
n. 7/2017,  in  relazione  all'immobile  ubicato  in  Roma,  via  dei
Cluniacensi n. 55; 
      di ogni altro atto presupposto, connesso e/o  consequenziale  a
quelli impugnati, ed in particolare del  preavviso  di  diniego  Dip.
P.A.U. prot. n. 185358 del 3 dicembre 2019 e della nota  Dip.  P.A.U.
prot.  192920  del  17  dicembre   2019   di   controdeduzioni   alle
osservazioni. 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;  Visti
tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Roma Capitale; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 17 aprile 2024 il dott.
Salvatore Gatto Costantino e uditi per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Con il ricorso introduttivo dell'odierno  giudizio,  la  societa'
Plus S.r.l. agisce, ai sensi degli articoli  31  e  117  C.P.A.,  per
l'accertamento dell'illegittimita' del silenzio inadempimento di Roma
Capitale e dell'obbligo di  provvedere  sull'istanza  che  la  stessa
ricorrente aveva presentato per ottenere un Permesso di Costruire (n.
prot. 1 QI/2018/116707 del 9 luglio 2018). 
    Espone la societa' che l'immobile di suo interesse (ricadente  in
Roma, via dei Cluniacensi n. 55) e' costituito da un unico fabbricato
con destinazione artigianale  produttiva;  il  progetto  edilizio  si
proponeva di demolire tale fabbricato, al fine di  ricostruirlo  come
due ville bi-familiari, con ampia corte, suddivise  ciascuna  su  due
livelli,  con  destinazione  residenziale;   le   nuove   costruzioni
sarebbero state realizzate dalla proprieta' avvalendosi dei  medesimi
volumi preesistenti, insieme  alle  premialita'  di  cui  alla  legge
regionale Lazio n. 7/2017, con mutamento di destinazione d'uso. 
    Specifica la ricorrente che, in base al Piano regolatore generale
di Roma in vigore, approvato con delibera del consiglio  comunale  n.
18 del 12 febbraio 2008, l'immobile e'  ricompreso  nel  Sistema  dei
servizi,  delle  Infrastrutture  e  degli  Impianti,   quindi   nella
componente Verde pubblico e servizi pubblici di livello  locale;  che
l'immobile preesistente era stato costruito in  applicazione  di  una
c.e. del 1959 e successivamente legittimato  -  nel  suo  stato  ante
operam - da tre  condoni  edilizi  rilasciati  ai  sensi  delle  note
normative del 1985, del 1994 e del 2003. 
    Il progetto relativo alla costruzione della villa  bi  familiare,
cosi' come presentato, prevede modifiche  alla  sagoma  dell'edificio
preesistente, al volume, ai prospetti, ed, inoltre, aumenta il numero
delle unita' immobiliari, da una a quattro, pur non  incidendo  sulla
metratura complessiva della Superficie Utile Lorda (SUL), che  rimane
inferiore ai 10000 mq. 
    Fissata  alla  Camera  di  consiglio  del  29  gennaio  2020   la
trattazione della domanda cautelare, con nota prot. n. 185358  del  3
dicembre 2019, il Direttore di Dipartimento comunicava  un  preavviso
di diniego dell'istanza edilizia ai sensi dell'art.  10-bis legge  n.
241 del 1990, sul presupposto che le NTA del Piano  Particolareggiato
«Comprensorio Tiburtino» non avrebbero consentito il mutamento  della
destinazione d'uso verso  la  destinazione  residenziale  «abitazioni
singole» e che il titolo  abilitativo  necessario  ex  art.  4  comma
4, legge regionale n. 7/17 sarebbe stato il «permesso di costruire in
deroga» ex art. 14 testo unico edilizia, con  le  procedure  ed  alle
condizioni ivi meglio previste e disciplinate. 
    La ricorrente proponeva osservazioni procedimentali che l'Ufficio
disattendeva, pervenendo al rigetto della  domanda  di  rilascio  del
permesso di costruire con determinazione dirigenziale  prot.  QI/1718
del 7 gennaio 2020, notificata in data 8 gennaio 2020. 
    A  fondamento  del  diniego,  l'amministrazione  rilevava  quanto
segue. 
      a) l'art. 4, legge regionale n. 7/17  «non  ha  quei  caratteri
derogatori ape legis ... atteso che gli interventi potranno ritenersi
ammissibili previa approvazione di  apposita  delibera  di  consiglio
comunale»; 
      b) di conseguenza, quanto previsto dal comma 4 dell'art. 4 cit.
«non puo' essere interpretato come assolutamente derogatorio e idoneo
a  liberalizzare  i  mutamenti  di  destinazione  d'uso  nel  periodo
transitorio di dodici mesi»; 
      c) l'idoneo titolo abilitativo richiesto dalla disposizione  in
esame nel  caso  di  specie  «si  identificherebbe  nel  permesso  di
costruire in deroga agli strumenti  urbanistici»  ex  art.  14  testo
unico Edilizia, come -  ad  avviso  dell'A.C.  -  sarebbe  confermato
dall'art. 1-quater legge regionale 36/1987; 
      d)   nel   caso   di    specie    non    sarebbe    ravvisabile
«l'imprescindibile interesse pubblico» richiesto  per  l'applicazione
dell'art. 14 testo unico edilizia; 
      e)  la  modifica  della  destinazione  d'uso  richiesta   dalla
Societa' comporterebbe una «Variante urbanistica» poiche'  l'area  in
cui ricade l'immobile risulta ricompresa, in  base  al  vigente  PRG,
nella Componente  degli  Ambiti  a  Pianificazione  Particolareggiata
Definita (APPD), all'interno del P.P.  «Comprensorio  Tiburtino»  con
destinazione a «Verde di interesse locale» (art.  6  punto  «e»  NTA)
«non compatibile con quella residenziale». 
    Con i motivi aggiunti proposti  il  23  gennaio  2020,  la  parte
ricorrente ha quindi impugnato il diniego, con conversione  del  rito
del giudizio a «ricorso  ordinario»,  ex  art.  117  comma  4  C.P.A.
deducendo le seguenti ragioni di censura. 
    Violazione e falsa applicazione del decreto-legge  70  del  2001,
della legge regionale Lazio n. 7 del 2017, dell'art.  1-quater  legge
reg. Lazio n. 36 del 1987, dell'art. 14 decreto del Presidente  della
Repubblica 380 del 2001, nonche' l'eccesso di potere  per  erroneita'
dei presupposti. 
    Secondo la parte ricorrente,  nel  periodo  transitorio  previsto
perche' i Comuni adottino le deliberazioni consiliari di cui all'art.
4, comma 1, legge regionale Lazio 7 del 2017 (volte a disciplinare la
previsione, nell'ambito  degli  strumenti  urbanistici  generali,  di
interventi diretti di ristrutturazione, demolizione  e  ricostruzione
di edifici con  SUL  inferiore  a  10.000  mq,  con  mutamento  della
destinazione d'uso tra le categorie funzionali  ex  art.  23-ter  del
decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.  380  del  2001,   ad
esclusione di quella rurale), la previsione di cui all'art. 4 comma 4
della stessa legge regionale 7  del  2017,  in  base  alla  quale  le
disposizioni indicate trovano applicazione  agli  edifici  esistenti,
legittimi o legittimati (che  non  ricadano  nelle  zone  meglio  ivi
elencate) «previa richiesta di idoneo titolo abilitativo edilizio  di
cui  al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica   n.   380/2001»
consentirebbe  l'intervento  diretto  come  proposto:  infatti,   nel
menzionato termine e fino alla delibera comunale, gli  interventi  di
cui al comma 1 (ristrutturazione con DIR e  cambio  d'uso)  sarebbero
«comunque» ammissibili; la circolare regionale  interpretativa  della
legge 7/17, approvata con delibera G.R. Lazio  n.  867/2017,  avrebbe
chiarito che per «idoneo titolo abilitativo» dovrebbe  intendersi  il
P.d.C. ex art. 10 testo unico Edilizia, ovvero la SCIA ex articoli 22
e 23 testo unico cit. «nei casi in cui e' possibile ricorrere a detto
titolo in alternativa all'acquisizione del permesso di costruire»,  o
anche il P.d.C.  convenzionato  (non  si  richiederebbe,  quindi,  il
P.d.C. in deroga). 
    Nel caso in esame, l'A.C. ha respinto  l'istanza  edilizia  della
ricorrente sulla base delle motivazioni  riportate  in  premessa,  in
violazione dell'art. 4, legge regionale n. 7/17, che,  secondo  parte
ricorrente,  sarebbero  da  censurare  per  le  seguenti  motivazioni
specifiche (che sono esposte a  seguire  con  richiamo  alle  lettere
capoverso  della   motivazione   dell'atto   impugnato   come   sopra
riportate). 
    Sulle lettera a) e b) 
      Ai sensi dell'art. 4 comma 1 e 4, per i primi dodici  mesi  gli
interventi di DIR con  cambio  d'uso  sarebbero  ammissibili  in  via
generalizzata e diretta, con le sole eccezioni ivi previste (commi  4
e 5) prescindendo dalla preventiva delibera consiliare. 
    Sulle lettera c) e d) 
      Si sostiene nel provvedimento impugnato che, stante la mancanza
di portata derogatoria della disposizione in  esame,  l'unico  titolo
abilitativo gli interventi di ristrutturazione  edilizia  ex  art.  4
comma 4, sarebbe il permesso  di  costruire  in  deroga  ex  art.  14
decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001. Di  conseguenza,
ai fini dell'approvazione dell'intervento della  ricorrente,  sarebbe
necessaria  una  preventiva  delibera  di  C.C.,  per  garantire   il
contemperamento dell'interesse pubblico. 
    Il fondamento di tale ricostruzione  viene  ricondotto  dall'A.C.
all'art. 1-quater legge regionale n. 36/87 (come modificato dall'art.
10, comma 4 legge regionale n. 7/17), che «consente»  l'utilizzo  del
permesso in deroga per «favorire gli interventi  di  ristrutturazione
edilizia e il recupero degli edifici esistenti». 
    Invece, secondo parte  ricorrente,  l'art.  4  richiede  l'idoneo
titolo abilitativo per l'esecuzione degli interventi (PdC, SCIA,  PdC
convenzionato), ma non prevede affatto il ricorso al procedimento  di
deroga ex art. 14 decreto del Presidente della Repubblica n.  380/01,
ne' ovviamente la preventiva  verifica  dell'interesse  pubblico;  la
finalita' dell'art. 4 e' proprio quella di «stimolare» gli interventi
di ristrutturazione dei fabbricati esistenti, permettendo  ai  Comuni
di  adeguare  rapidamente  i  propri  strumenti  urbanistici  a  tale
indirizzo; in via transitoria, consentendo per un  anno,  e  comunque
fino alla deliberazione consiliare, la temporanea liberalizzazione di
tali interventi. 
    Il provvedimento impugnato andrebbe in contrasto con la lettera e
la  ratio  della  norma  sul   regime   transitorio,   negando   tale
«liberalizzazione» temporanea degli interventi  di  ristrutturazione;
con una evidente disapplicazione della norma, visto che si  richiede,
in  luogo  dell'idoneo  titolo  abilitativo,  l'attivazione   di   un
complesso, e non previsto,  procedimento  di  deroga,  con  specifica
valutazione consiliare dell'interesse pubblico. 
    Sulla lettera e). 
      Nel provvedimento si sostiene  che  il  previsto  mutamento  di
destinazione  d'uso  richiesto  dalla  ricorrente  si   porrebbe   in
contrasto  con  la  destinazione  urbanistica  dell'area  («Verde  di
interesse locale», ex art. 6 NTA del P.P. Comprensorio  Tiburtino)  e
provocherebbe una diminuzione degli standard ed un  decremento  delle
attrezzature pubbliche, in contrasto con  le  finalita'  della  legge
regionale.  Detto  mutamento,  inoltre,  comporterebbe  una  Variante
Urbanistica dell'area ove ricade l'immobile, «non essendo compatibile
la   destinazione   residenziale   con   le   previsioni   di   piano
particolareggiato». 
    Invece, secondo  parte  ricorrente,  l'art.  4  legge  reg.  cit.
consente  espressamente  il  mutamento  di  destinazione  d'uso   tra
categorie funzionali autonome ex art. 23-ter T.U. Edilizia. Pertanto,
nessuna  illegittimita'  potrebbe  ravvisarsi  nella   richiesta   di
intervento  con  mutamento  di  destinazione  dalla   categoria   «b)
produttivadirezionale» alla categoria «a) residenziale»  ex  art.  23
testo  unico  cit.;  tale  mutamento   non   comporterebbe   variante
urbanistica, ne' deroga alle destinazioni d'uso,  siccome  consentito
dalla normativa in esame. In secondo luogo,  pur  prescindendo  dalla
natura conformativa od espropriativa  della  destinazione  «Verde  di
interesse  locale»  (e,  dunque,  dalla  perdurante   vigenza   della
destinazione impressa all'area dallo strumento urbanistico  vigente),
deduce che l'art. 1 comma 2, legge regionale n. 7/17 non esclude  per
tali  aree  l'applicazione  delle  disposizioni  sulla  rigenerazione
urbana, essendo escluse  dall'ambito  dell'applicazione  della  legge
solo le zone espressamente elencate all'art. 1, comma  2  (come  pure
indicato nella circolare regionale di cui alla delibera G.R. Lazio n.
867/2017). 
    Infine, nella relazione tecnica allegata all'istanza edilizia  e'
stato chiaramente evidenziato che l'intervento  di  ristrutturazione,
di un fabbricato  da  tempo  abbandonato  ed  ormai  fatiscente,  non
prevedrebbe  alcun  aumento  della  S.U.L.  preesistente  ne'   alcun
incremento del carico urbanistico, rispondendo invece alle  finalita'
di recupero dell'edificato esistente, in un'ottica  di  rigenerazione
di territorio e riduzione del consumo di suolo. 
    Costituitasi in giudizio, resiste al ricorso  Roma  Capitale  che
eccepisce in replica la necessita', nel periodo  transitorio  di  cui
alla norma in esame,  di  salvaguardare  la  potesta'  pianificatoria
dell'Ente,  in  funzione  della  quale  sono  rivolte  le  previsioni
inerenti l'adozione di specifiche delibere  consiliari;  mancando  le
quali, in tutta evidenza, non potrebbero trovare applicazione diretta
i moduli  procedimentali  quale  quelli  invocati  dalla  ricorrente,
essendo necessaria una previa ponderazione degli interessi  pubblici,
con ogni conseguenza. 
    Le parti hanno scambiato memorie e documenti, ciascuna insistendo
nelle rispettive domande, eccezioni ed argomenti difensivi. 
    Nella pubblica udienza del 17 aprile  2024,  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. Rileva il Collegio che  la  decisione  della
controversia dipende dalla corretta esegesi della  norma  transitoria
contenuta nell'art. 4 legge  regionale  n.  della  Regione  Lazio  n.
7/2017, che al comma 4 contempla un periodo  transitorio  di  massimo
dodici mesi nei quali le misure previste  dalla  stessa  legislazione
regionale sono applicabili - salvi i limiti d'area meglio individuati
- anche in assenza della previa deliberazione consiliare. 
    Preliminarmente,  la  domanda  di   accertamento   del   silenzio
sull'istanza  edilizia,   come   introdotta   con   il   ricorso   e'
improcedibile, essendosi determinata l'Amministrazione con un diniego
espresso, che e' stato oggetto di  gravame  con  i  motivi  aggiunti;
l'interesse processuale della parte ricorrente si concentra  pertanto
sull'esame di questi ultimi, il  quale  dipende  dalle  questioni  di
diritto appena indicate. 
    A  tal  riguardo,   l'amministrazione   comunale   sostiene   che
l'intervento di ristrutturazione con sostituzione edilizia  e  cambio
di destinazione d'uso non sarebbe consentito dall'art.  4,  comma  4,
della legge  regionale  n.  7/17,  tenuto  conto  della  destinazione
urbanistica d'area; nessuna deroga allo strumento urbanistico tramite
permesso di  costruire  «ordinario»  sarebbe  consentita  dal  regime
transitorio di cui all'art. 4, comma 4, della legge regionale 7/2017;
il titolo edilizio necessario alla  realizzazione  delle  opere  come
progettate sarebbe da identificarsi nel  permesso  di  costruire  «in
deroga» agli strumenti urbanistici di cui all'art. 14 del decreto del
Presidente della Repubblica 380  del  2001  (che,  presupponendo  una
deliberazione  consiliare,  consente  all'organo  di   pianificazione
dell'Ente Locale di apprezzare la sussistenza di convenienti  ragioni
di interesse pubblico legate all'intervento puntuale  proposto  dalla
proprieta'  privata  per   derogare   alla   previsione   urbanistica
contrastante con l'intervento proposto);  nel  caso  di  specie,  non
sussisterebbero  le  ragioni  di   interesse   pubblico   di   natura
urbanistica che consentirebbero il mutamento di destinazione d'uso in
deroga. Piu' precisamente, l'area in cui  ricade  l'immobile  risulta
ricompresa, in base al vigente P.R.G., nella Componente degli  ambiti
a pianificazione particolareggiata  definita  APPD,  all'interno  del
P.P. «Comprensorio Tiburtino» con destinazione a «Verde di  interesse
locale»  (art.  6  punto  «e»  NTA)  «non  compatibile   con   quella
residenziale». Oppone parte ricorrente che la ratio  della  norma  in
esame sarebbe quella  di  consentire,  nel  periodo  transitorio,  la
immediata  realizzabilita'  degli  interventi  previsti  dalla  legge
regionale n. 7/2017, perseguendo il legislatore regionale lo scopo di
interesse generale di velocizzare gli investimenti e consentire cosi'
la massima efficacia espansiva della manovra, nelle  more  dei  tempi
necessari alle amministrazioni per coordinare le previsioni di  piano
con le misure premiali previste dalla medesima  legge  regionale;  ne
deriverebbe che per  «titoli  necessari»  si  dovrebbe  intendere  il
riferimento non gia' alle procedure ampliative previste  in  generale
dal decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 (tra le quali
il permesso in  deroga  ex  art.  14  decreto  del  Presidente  della
Repubblica cit.), ma  solo  a  quelle  previste  dalla  stessa  legge
regionale (che non contemplano tale strumento). Ne deriverebbe  quale
logico corollario che non avrebbero spazio valutazioni  discrezionali
dell'Ente locale circa la opportunita' o  meno  della  variante  alla
disciplina urbanistica, essendo  tale  possibilita'  di  deroga  gia'
insita nel regime transitorio. 
    Ad  avviso  del  Collegio,  l'esegesi  di  parte  ricorrente   e'
corretta, per piu' ordini di  ragioni,  sia  testuali  che  derivanti
dalla prassi applicativa e dall'opera della giurisprudenza (tale  per
cui l'interpretazione di parte ricorrente deve definirsi di  «diritto
vivente»), cosi' che,  in  applicazione  della  norma  in  esame,  il
ricorso andrebbe accolto. 
    Si osserva, invero, che, secondo la noma in commento, «I  comuni,
con  apposita  deliberazione  di  consiglio  comunale  da   approvare
mediante le procedure  di  cui  all'art.  1,  comma  3,  della  legge
regionale  n.  36/1987,  possono  prevedere  nei   propri   strumenti
urbanistici  generali,   previa   acquisizione   di   idoneo   titolo
abilitativo di cui al decreto  del  Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001,  l'ammissibilita'   di   interventi   di   ristrutturazione
edilizia, compresa la demolizione e ricostruzione, di singoli edifici
aventi una superficie lorda complessiva fino ad un massimo di  10.000
mq,  con  mutamento  della  destinazione  d'uso  tra   le   categorie
funzionali individuate all'art. 23-ter  del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 380/2001 con esclusione di quella rurale». Questa e'
la norma a regime,  che  consente  la  previsione  «negli»  strumenti
urbanistici  di  specifiche  misure  di  sostituzione  edilizia,  con
procedure semplificate  (di  modifica  degli  strumenti  urbanistici,
ossia le procedure di cui all'art. I, comma 3, della legge  regionale
n. 36/1987, che disciplina una fattispecie semplificata  di  adozione
con delibera di consiglio  o  di  giunta  a  seconda  dei  casi,  che
provvede contestualmente sulle osservazioni e che e' sottoposta ad un
meccanismo di approvazione regionale per silenzio assenso). 
    In via transitoria, la suddetta norma stabilisce (al comma 4) che
nelle  more  dell'approvazione  della  deliberazione  del   consiglio
comunale di cui  al  comma  1,  e  comunque  non  oltre  dodici  mesi
dall'entrata in vigore della  presente  legge,  previa  richiesta  di
idoneo titolo abilitativo edilizio di cui al decreto  del  Presidente
della  Repubblica  380/2001,  le  disposizioni  di  cui  al  presente
articolo si applicano agli edifici esistenti legittimi o  legittimati
purche' non  ricadenti  ...  »  in  determinate  zone  (che  qui  non
interessano). 
    La circolare regionale interpretativa  della  legge  7  del  2017
(delibera g.r. n. 867 del 2017) ha precisato che  il  termine  di  un
anno vale unicamente per la presentazione della domanda  di  rilascio
del titolo e che la relativa conclusione dovra', di contro,  avvenire
secondo le disposizioni  di  cui  al  decreto  del  Presidente  della
Repubblica 380 del 2001; nonche'  e'  stato  indicato  che  ai  sensi
dell'art. 4 della legge regionale n. 7 del 2017 e' possibile eseguire
interventi di cambio di destinazione d'uso anche sulla singola unita'
immobiliare e - a tal fine e' sufficiente ricorrere,  a  seconda  dei
casi, al permesso di costruire di cui all'art.  10  del  decreto  del
Presidente  della   Repubblica   n.   380/2001,   alla   segnalazione
certificata di inizio attivita' di cui all'art.  19  della  legge  n.
241/1990 (SCIA) di cui all'art. 22 e 23 del  decreto  del  Presidente
della Repubblica 380/2001 e al permesso di costruire convenzionato di
cui all'art. 28-bis del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001, cosi' come recepito dall'art. 1-ter della  legge  regionale
n. 36/1987. 
    Nel medesimo senso si e' espresso anche l'ufficio speciale per la
Rigenerazione Urbana della Regione Lazio, nel parere del 14  novembre
2019 - prot. 920214, secondo il quale l'art. 4 della legge  regionale
n. 7/2017, «oltre a prevedere la disciplina a  regime,  quindi  senza
limiti di tempo, per gli interventi di ristrutturazione (compresa  la
demolizione e ricostruzione, con mutamento della destinazione  d'uso)
reca per i medesimi interventi una specifica disciplina  transitoria,
ossia valida fino all'approvazione  della  deliberazione  comunale  e
comunque non oltre i primi dodici mesi di  entrata  in  vigore  della
legge». In sostanza, i commi 4 e 5 dell'art. 4 consentono  (o  meglio
consentivano, atteso che il predetto termine risulta ad oggi scaduto)
«l'applicazione della previsione dell'art. 4 anche a  prescindere  da
un'apposita deliberazione di  consiglio  comunale,  ma  solo  per  un
periodo non superiore a dodici  mesi  dall'entrata  in  vigore  della
legge». Lo scopo del legislatore, sempre secondo  la  Regione,  «era,
infatti, dichiaratamente quello di varare una disciplina di immediata
ed ampia liberalizzazione degli interventi previsti dal comma  4,  al
fine di indurre le amministrazioni ad approvare nel piu' breve  tempo
possibile le deliberazioni attuative della norma stessa». 
    Ulteriormente confermativo della descritta esegesi risulta quanto
chiarito dalla  Regione  Lazio  con  parere  792629  della  Direzione
Regionale per le Politiche Abitative dell'11 agosto 2022, secondo  la
quale «la norma regionale, con le disposizioni di cui ai commi 4 e 5,
ha chiaramente inteso fare riferimento agli ordinari  titoli  edilizi
previsti dal decreto del Presidente della Repubblica  n.  380/2001  e
non al permesso di costruire in deroga»,  tanto  che  «si  raccomanda
senz'altro, per istanze eventualmente  ancora  inevase,  riferite  al
periodo previsto dall'art. 4, comma  4,  di  adottare  uno  strumento
autorizzatorio piu' snello e piu' aderente allo spirito  della  legge
regionale n. 7/2017». 
    Tenuto conto anche di quanto espongono i pareri della Regione,  a
fondamento dell'esegesi sostenuta da parte ricorrente  -  che  si  e'
appena descritta- militano i seguenti argomenti: 
      a) i commi 4 e 5 dell'art. 4  consentono  l'applicazione  della
previsione  dell'art.  4   anche   a   prescindere   da   un'apposita
deliberazione di consiglio non puo' logicamente  che  escludere  ogni
rilievo alla delibera che l'art. 14 del decreto del Presidente  della
Repubblica n. 380/2001 richiede  quale  condizione  del  permesso  di
costruire in deroga,  per  accertare  la  sussistenza  dell'interesse
pubblico alle finalita' di  rigenerazione  urbana,  contenimento  del
consumo di suolo e recupero sociale; 
    b)  laddove  il  legislatore  regionale  avesse  voluto  ancorare
l'applicazione della disciplina transitoria anche alla  presentazione
di una istanza ex art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica
n. 380/2001 lo avrebbe fatto espressamente, ma  tale  previsione  non
avrebbe avuto alcuna valenza concreta, rendendo di fatto superflua la
stessa disciplina transitoria,  posta  la  esistenza  della  norma  a
regime. 
    Tale orientamento ha trovato anche conferma nella  giurisprudenza
di questo TAR, essendo stato affermato che «in base all'art. 4  della
legge regionale n. 7  del  2017,  secondo  l'interpretazione  fornita
dalla stessa Regione con la circolare  esplicativa  assunta  mediante
delibera G.R. n. 867 del 2017, era possibile eseguire gli  interventi
in questione di cambio di  destinazione  d'uso  anche  sulla  singola
unita' immobiliare, come nel caso di specie (cfr. pag.  8  circolare,
all. 5 al ricorso); che del pari per eseguire le opere in  questione,
secondo il predetto combinato  disposto  normativo,  era  sufficiente
presentare la s.c.i.a. (cfr. pag. 7 circolare, all.  5  al  ricorso);
che, producendo idoneo titolo edilizio entro dodici mesi dall'entrata
in vigore della legge regionale n. 7 del 2017 (entrata in  vigore  19
luglio 2017, presentazione della s.c.i.a. 14 dicembre 2017),  secondo
le previsioni dell'art. 4, comma 4 della legge  regionale  n.  7  del
2017  e  la  relativa  circolare  regionale  esplicativa,   non   era
necessario il previo  conseguimento  del  permesso  di  costruire  in
deroga, corredato della delibera c.c., ex art.  14  del  decreto  del
Presidente della  Repubblica  n.  380  del  2001  (cfr.  pagg.  7,  8
circolare, all. 5 al ricorso)» (TAR Lazio,  Roma,  sez.  II  bis,  n.
10469 del 11 ottobre 2021, passata in giudicato  e  richiamata  dalla
difesa della parte ricorrente). 
    Ad avviso del Collegio,  l'esegesi  testuale  sin  qui  descritta
della norma, si impone all'interprete  anche  per  motivi  di  natura
sistematica. 
    In particolare, l'istituto del permesso di costruire in deroga di
cui all'art. 14 del decreto del Presidente della Repubblica  380  del
2001 richiamato dall'amministrazione resistente, cui  fa  riferimento
l'art. 1-quater della legge regionale n. 36 del  1987  (a  mente  del
quale «1. Per favorire gli interventi di ristrutturazione edilizia ed
il recupero degli edifici esistenti, fatti salvi  gli  interventi  di
cui  all'art.  6  della  legge  regionale  18  luglio  2017,   n.   7
(Disposizioni  per  la  rigenerazione  urbana  e  per   il   recupero
edilizio), e' consentito l'utilizzo  del  permesso  di  costruire  in
deroga agli strumenti urbanistici di cui all'art.  14,  comma  I-bis,
del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001,  secondo  le
procedure previste dal medesimo decreto, nel caso di mutamenti  della
destinazione d'uso verso destinazioni non  previste  dallo  strumento
urbanistico, fermo restando  il  pubblico  interesse  dell'intervento
medesimo. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non  si  applicano  ai
manufatti con destinazione agricolo»), e' stato introdotto con  la  L
r.  1  del  2020,  entrata  in  vigore  successivamente  al   periodo
transitorio di cui alla legge regionale n. 7 del 2017 ed  anche  alla
presentazione della istanza d'interesse  della  parte  ricorrente  (9
luglio 2018). 
  A) Profili  di  illegittimita'  costituzionale  -  rilevanza  della
questione. 
    Cio' posto,  l'applicazione  della  norma,  nella  portata  cosi'
descritta,  comporterebbe  l'accoglimento  del  ricorso  come   prima
accennato, tenuto conto che, in base  ad  essa,  dovendosi  escludere
l'applicabilita' del  permesso  in  deroga,  allora  neppure  avrebbe
fondamento  l'esigenza   dell'Amministrazione   di   subordinare   le
trasformazioni edilizie di cui si  discute  ad  una  ponderazione  di
interessi  pubblici;  ne'  verrebbe  in   rilievo   la   destinazione
urbanistica di  piano,  che  non  rientra  tra  quelle  in  cui  sono
espressamente esclusi gli interventi di cui si discute e che la norma
consentirebbe   quindi   di   derogare    (per    l'appunto)    senza
intermediazione di uno strumento consiliare di  programmazione  anche
in variante (la destinazione a verde e servizi locali non rientra tra
le destinazioni di zona espressamente escluse dall'art. 4 cit. quanto
alla localizzazione degli interventi). 
    Tuttavia, la disciplina in esame, cosi' come da interpretarsi nel
senso sin qui indicato, si presta  a  seri  dubbi  di  illegittimita'
costituzionale,  che  il  Collegio  ritiene  rilevanti   (in   quanto
direttamente incidenti sull'esito del  giudizio  e  dipendenti  dalle
ragioni dedotte dalle parti) e non manifestamente infondate. 
  B) Sulla non manifesta infondatezza. 
    Appare invero innegabile il contrasto tra la previsione a  regime
(art.  4,  comma  1,  della  legge  regionale  n.  7/2017)  e  quella
transitoria, nella parte in cui quest'ultima consente gli  interventi
e le misure premiali anche in deroga alle previsioni di  piano  ed  a
prescindere dall'adozione dalle delibere di cui allo stesso comma  1,
cosi' realizzando il legislatore un effetto urbanistico  diretto  che
altera il regime delle competenze degli enti  locali  in  materia  di
programmazione urbanistica. 
    Cio' implica il contrasto  dell'art.  4,  comma  4,  della  legge
regionale n. 7/2017 con gli articoli 5, 97, 114, secondo comma,  117,
secondo  comma,  lettera  p),  e  sesto  comma,  e  118  Cast   della
Costituzione, per  violazione  delle  prerogative  di  pianificazione
urbanistica dei Comuni. 
    Piu' precisamente, la norma regionale transitoria di cui all'art.
4, comma 4 della legge regionale n. l7/2004, nella parte in cui  deve
interpretarsi come legittimante l'esecuzione diretta degli interventi
meglio ivi disciplinati anche in deroga alle previsioni  di  piano  e
senza l'intermediazione del permesso di costruire di cui all'art.  14
del decreto del  Presidente  della  Repubblica  n.  380/2001,  appare
gravemente  lesiva  dell'autonomia  riconosciuta  ai   comuni   dagli
articoli 5, 97, 114, secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e
sesto comma, e 118 Cost., in quanto altera la funzione pianificatoria
comunale in materia  urbanistica  e,  conseguentemente,  il  corretto
riparto delle relative funzioni tra Regione e Comune. 
    Si osserva, a tal proposito, che l'art.  4,  primo  comma,  della
legge regionale n. 7/2017 demanda ai  Comuni  l'individuazione  delle
aree nelle quali operare la demolizione e ricostruzione con mutamento
di destinazione d'uso, come sin qui variamente illustrato. Si  tratta
di una previsione omogenea  e  coerente  con  l'art.  3  della  legge
regionale n. 7/2017 secondo la quale  sono  individuati  gli  «Ambiti
territoriali di  riqualificazione  e  recupero  edilizio»  (la  norma
demanda ai consigli comunali il compito di  individuare,  con  una  o
piu'  deliberazioni,  anche  su  proposta  dei  privati,  gli  ambiti
territoriali  nei  quali,  per  il  conseguimento   delle   finalita'
specificate nell'art.  I,  sono  consentiti  previa  acquisizione  di
idoneo titolo edilizio interventi di ristrutturazione edilizia ovvero
di  demolizione  e  ricostruzione  degli  edifici  esistenti  con  il
riconoscimento di una volumetria o di una superficie lorda aggiuntiva
rispetto a quella preesistente nella misura massima del 30%; i comuni
con tali deliberazioni possono altresi' consentire  il  mutamento  di
destinazione d'uso degli edifici in sintonia con quelle previste  dal
PRG vigente). Anche l'art. 6 della legge regionale cit.  sempre  «per
il perseguimento di una o piu' delle finalita'  di  cui  all'art.  1»
consente interventi diretti di R.E. ovvero interventi di  demolizione
e ricostruzione degli edifici esistenti riconoscendo  una  volumetria
ovvero  una  Sul  premiale  fino  al  massimo  del  20%   di   quella
preesistente; ed ammettendo, per gli interventi in  questione,  anche
il mutamento di destinazione d'uso nel  rispetto  delle  destinazioni
d'uso previsti dagli strumenti urbanistici generali. 
    In base alle norme sin qui esaminate, sono  dunque  i  Comuni  ad
individuare gli  ambiti  che  necessitano  di  razionalizzazione  del
patrimonio esistente ovvero di riqualificazione  in  quanto  le  aree
urbane  ricadenti  al  loro  interno  sono  degradate  e  nei  quali,
conseguentemente, sono possibili quegli  interventi  di  R.E.  ovvero
interventi di demolizione e ricostruzione degli edifici esistenti con
le volumetrie o SUL premiali meglio elencate nella legge. 
    Se questo e' il quadro delle  condizioni  di  pianificazione  che
servono a rendere coerenti gli interventi premiali con gli  scopi  di
riqualificazione che l'art. 1 della legge regionale n.  7/2017  della
Regione Lazio ha posto,  allora  consentire  che,  sia  pure  in  via
transitoria,  gli  interventi  di  cui  all'art.  4  possano   essere
realizzati  in  deroga  allo  strumento  urbanistico   senza   alcuna
intermediazione dell'organo consiliare (sia  pure  agli  specifici  e
limitati fini di cui all'art. 14, comma 2, del decreto del Presidente
della Repubblica n.  380/2001)  implica  un  evidente  stravolgimento
della funzione stessa della pianificazione, senza alcuna garanzia che
l'intervento di  modifica  della  destinazione  d'uso  tra  categorie
rilevanti urbanisticamente  possa  essere  correlato  alla  specifica
realta' circostante nella quale incide. 
    Nel caso di specie, cio' e' ben  evidente,  volendo  inserire  la
proprieta' ricorrente  un  complesso  residenziale  entro  un  quadro
urbanistico che ha tutt'altra destinazione (Verde Pubblico e  Servizi
pubblici di livello locale) e che di per se' non consente  interventi
residenziali  in  sito   senza   una   preventiva   valutazione   del
pianificatore  comunale.  Altrimenti  detto,  ove  detti   interventi
fossero, nell'anno transitorio preso in considerazione,  realizzabili
su mera SCIA alternativa oppure con  PdC,  il  compito  demandato  al
consiglio comunale (di  individuazione  delle  aree  dell'intervento)
verrebbe irrigidito e vincolato ad  un  mutamento  «spontaneo»  della
zona, senza alcun controllo. 
    Non puo'  opporsi,  a  tal  riguardo,  quanto  afferma  la  parte
ricorrente   in   ordine   alla   «inutilita'»   della   disposizione
transitoria,   laddove   quest'ultima   dovesse   applicarsi    senza
l'esclusione dell'istituto di cui all'art. 14, comma 2,  del  decreto
del Presidente della Repubblica n. 380/2001, posto  che  quest'ultimo
consentirebbe gia'  la  possibilita'  di  operare  le  trasformazioni
edilizie di cui si discute. In tutta evidenza, infatti, le operazioni
di trasformazione edilizia consentite dall'applicazione ordinaria  ed
a regime dell'art. 14, comma 2,  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n.  380/2001,  sono  prive  degli  incrementi  volumetrici
premiali che la legge regionale  Lazio  n.  7/2017  consente  in  via
eccezionale. Ne deriva che laddove si emendasse l'art.  4,  comma  4,
della legge regionale n.  7/2017  nel  senso  sin  qui  indicato,  si
otterrebbe comunque che l'istanza della odierna ricorrente verrebbe a
dover essere esaminata nell'ambito consiliare tenendo conto  di  tali
misure premiali. 
    Peraltro, ai fini sia della «non  manifesta  infondatezza»  della
questione, che in punto  di  rilevanza,  quest'ultima  considerazione
comporta gli ulteriori corollari esposti a seguire: 
      a) nel presente giudizio l'amministrazione resistente oppone  m
punto  di  fatto  l'insussistenza  di  ragioni  di  opportunita'  per
derogare alla  destinazione  urbanistica  di  contesto  (che  ammette
servizi pubblici o di interesse generale, con i  quali  era  coerente
l'originaria destinazione  urbanistica  dell'immobile  di  proprieta'
della odierna ricorrente); 
      b)  si  tratta  di  apprezzamenti  che   non   possono   essere
scrutinati, non essendo, allo  stato,  applicabile  alla  fattispecie
l'art. 14, comma 2, del decreto del Presidente  della  Repubblica  n.
380/2001; 
      c) laddove l'art. 4, comma 4, della legge regionale  n.  7/2017
fosse dichiarato costituzionalmente illegittimo nella  parte  in  cui
consente gli interventi di cui si discute nel periodo transitorio  in
deroga allo strumento urbanistico  e  senza  l'intermediazione  della
delibera consiliare di cui all'art.  14,  comma  2  del  decreto  del
Presidente della Repubblica 380/2001, l'esito del giudizio sarebbe di
conferma  del  diniego  impugnato,  ma  cio'  renderebbe   salva   la
possibilita' della richiedente di sollecitare l'esame  della  propria
istanza  nell'appropriata  sede   consiliare   cosi'   salvaguardando
eventuali ulteriori mezzi  di  tutela  ed,  in  seguito,  ove  se  ne
riproponessero i contenuti, una cognizione piena della fattispecie. 
    Ne   deriva   che   l'accoglimento   del   ricorso,    dipendente
dall'applicazione della norma che si sospetta di incostituzionalita',
con il conseguente obbligo di provvedere sull'istanza edilizia  cosi'
come  presentata  dalla  ricorrente,  produrrebbe  con  certezza  una
alterazione del contesto urbanistico attuale, senza  alcuna  garanzia
(ne'  dimostrazione)  che  detta  alterazione   possa   essere   resa
compatibile con il cennato contesto (e peraltro senza neppure che  si
possa indagare sulle opportune o  necessarie  misure  compensative  o
sugli  accorgimenti  necessari  all'adeguamento   dell'urbanizzazione
esistente o prevista). 
    Al  contrario,  l'eventuale  accoglimento  della   questione   di
legittimita' costituzionale con il conseguente annullamento dell'art.
4, comma 4, della legge  regionale  n.  7/2017  nella  parte  in  cui
consente  nel  periodo  transitorio  l'intervento  in   deroga   allo
strumento urbanistico senza l'applicazione necessaria  dell'art.  14,
comma 2, decreto del Presidente della  Repubblica  n.  380/2001,  pur
comportando il rigetto del ricorso, consentirebbe ancora l'esame  del
progetto  in  sede  di  consiglio  comunale  cosi'  riconducendo   la
fattispecie al corretto modulo di esercizio del  potere  ed  al  piu'
corretto  assetto  di  interessi,  senza  pregiudizio  (ed  anzi  con
maggiore ampiezza) delle ragioni di tutela sostanziale delle parti. 
    Per queste ragioni, la questione deve ritenersi rilevante  e  non
manifestamente infondata. 
    Tanto premesso, ai sensi dell'art. 23, secondo comma, della legge
n. 87, ritenendola  rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  il
Tribunale amministrativo regionale solleva questione di  legittimita'
costituzionale dell'art. 4, comma 4, della legge regionale n.  7/2017
in riferimento agli articoli 5, 97, 114, secondo comma, 117,  secondo
comma, lettera p), e sesto comma, e 118 Cost della Costituzione,  per
i profili e per  le  ragioni  sopra  indicate,  con  sospensione  del
giudizio fino  alla  pubblicazione  nella  Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica italiana della decisione della Corte costituzionale  sulle
questioni indicate, ai sensi e per gli effetti di cui  agli  articoli
79 ed 80 del c.p.a. ed art. 295 c.p.c. 
    Riserva al definitivo ogni  ulteriore  decisione,  nel  merito  e
sulle spese. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  Regionale  per  il  Lazio  (Sezione
Seconda Bis) visto l'art. 23  della  legge  11  marzo  1953,  n.  87,
ritenutane la rilevanza e  la  non  manifesta  infondatezza,  solleva
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, comma 4,  della
legge regionale n. 7/2017 in riferimento agli articoli  5,  97,  114,
secondo comma, 117, secondo comma, lettera p), e sesto comma,  e  118
Cost della Costituzione; per l'effetto, dispone  la  sospensione  del
giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. 
    Rinvia ogni definitiva statuizione in rito, nel  merito  e  sulle
spese di lite all'esito del promosso giudizio incidentale,  ai  sensi
del Part. 79 ed 80 del cpa. 
    Ordina che, a cura della segreteria, la  presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  in  causa  ed  al  Presidente  della  Giunta
Regionale del Lazio e sia  comunicata  al  Presidente  del  Consiglio
Regionale del Lazio. 
    Cosi' deciso in Roma nella Camera  di  consiglio  del  giorno  17
aprile 2024 con l'intervento dei magistrati: 
    Michelangelo Francavilla, Presidente FF 
    Salvatore  Gatto  Costantino,  Consigliere,  Estensore   Giuseppe
Licheri, Referendario 
 
                     Il Presidente: Francavilla 
 
 
                                             L'Estensore: Costantino