N. 197 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2024
Ordinanza del 26 settembre 2024 del Tribunale di sorveglianza di Venezia nel procedimento di sorveglianza nei confronti di D.M.G.. Ordinamento penitenziario - Detenzione domiciliare speciale - Previsione che la detenzione domiciliare speciale puo' essere concessa al padre detenuto solo "se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre". - Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta'), art. 47-quinquies, comma 7.(GU n.44 del 30-10-2024 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI VENEZIA Cosi' composto: Linda Arata - Presidente; Margherita Amitrano Zingale - Giudice relatore; Federico Fiocco - esperto; Alberto Manzoni - esperto; ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento chiamato all' udienza del 18 settembre 2024 nei confronti di M. G. D. nato a... il..., detenuto presso la casa circondariale di Vicenza, difeso dall'avv. Massimo Bissi, Foro di Ferrara, di fiducia, avente ad oggetto: detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies, comma 7 o.p.) con riferimento al titolo: SIEP 2023/33 PGCA Venezia - provvedimento di cumulo del 10 marzo 2023. Pena inflitta: anni undici, mesi uno, giorni quindici di reclusione. Decorrenza pena: 23 dicembre 2021. Fine pena: 12 maggio 2032. Verificata la regolare instaurazione del contraddittorio. Sentite le parti in camera di consiglio ed a scioglimento della riserva di cui al verbale d' udienza. Osserva La vicenda giudiziaria in esecuzione L'istante sta espiando la pena determinata con il provvedimento di cumulo sopraindicato in cui sono confluite due sentenze di condanna per reati di associazione per delinquere, plurimi furti in concorso, plurimi furti aggravati in concorso, plurime rapine aggravate in concorso, plurime violazione della normativa sul porto d'armi (legge n. 895/1967), ricettazioni, tutte commesse tra il... e il... (prima sentenza) e tra il... e il... (seconda sentenza). Dalla prima sentenza di cui al provvedimento di cumulo - concernente in particolare l'imputazione per associazione per delinquere finalizzata alla commissione di furti e rapine ai danni di sportelli bancomat di diversi istituti di credito anche mediante utilizzo di ordigni esplosivi artigianali, nonche' imputazioni per furti e rapine aggravate in concorso - si evince come M. fosse parte attiva della banda di criminali nella sua originaria formazione, venendo poi sostituito da altro soggetto sia per l'intervenuto arresto sia per dissidi interni tra i componenti. La sentenza in particolare evidenzia il ruolo affatto secondario di M. e il suo calibro criminale- tale per cui non sono state riconosciute le attenuanti generiche- osservando come egli abbia fatto parte di un sodalizio criminale e si sia macchiato di ben quindici altri gravi reati, forieri di grave allarme sociale e di pericolo per l'incolumita' ed abbia anche un curriculum criminale con ben cinquantanove precedenti penali peraltro di una certa rilevanza (omicidio colposo, ricettazioni, furti, rapine, porto d'armi). Inoltre, viene evidenziato come le modalita' esecutive degli assalti fossero particolarmente cruente, stante l'uso di esplosivi e armi da fuoco e che la spiccata capacita' a delinquere poteva denotarsi anche dal fatto che alcun effetto deterrente avevano sortito le condanne patite e la pendenza di altro processo. La ritenuta gravita' dei fatti era peraltro acuita dalla gravita' del vincolo associativo. Di tenore analogo la seconda sentenza del Gip presso il Tribunale di Padova (il cui esito di condanna rispetto all'imputazione nei confronti di M. G. i e' rimasto immutato in appello): in questo caso i numerosi episodi di furto e rapine ai danni degli sportelli bancomat venivano anche preceduti da furti e rapine (a volte con speronamenti o pedinamenti) di autovetture altrui, poi utilizzate dalla banda, dopo aver scambiato le relative targhe per impedirne la tempestiva identificazione, per effettuare gli spostamenti tra i vari luoghi ove effettuare gli assalti ai bancomat, sempre con esplosivi e armi. Nella sentenza si riporta come in sede di interrogatorio dinanzi al P.M. l'interessato abbia reso dichiarazioni sostanzialmente confessorie. La sentenza si sofferma inoltre sui redditi dell'interessato e della famiglia, risultati irrisori, e sulla circostanza che per eludere le misure di ablazione di carattere reale egli avesse intestato alcuni beni (tra cui una costosa moto da corsa) alla moglie, G. A. e che tale pratica era seguita anche dal di lui fratello (correo) rispetto alla propria compagna. Dal Casellario giudiziale risultano numerosi precedenti a far data dagli anni... in poi per reati contro la persona e contro il patrimonio. Risulta aver beneficiato, positivamente, della misura alternativa dell'affidamento in prova (dal 6 settembre 2016 al 15 aprile 2019) in espiazione di precedente cumulo (sentenze di condanna per reati contro la persona e il patrimonio, consumati e tentati, porto d'armi-fatti commessi tra il... e il...). Tuttavia, successivamente risultano essere riprese le condotte criminose, posto che gli ultimi reati commessi risalgono al biennio 2019-2020. Non risultano, allo stato, iscrizioni o carichi pendenti presso le Procure di Vicenza, di Verona, di Venezia, di Treviso e di Mantova. Presso la Procura di Padova risulta pendente procedimento per numerosi reati commessi nel... a vario titolo: furti aggravati, furti tentati, ricettazioni, porto d'armi ed esplosivi (plurime fattispecie di cui alla legge n. 895/1967); nonche' per calunnia commesso nel... In ordine a tale pendenza e' fissata udienza di rinvio a giudizio al 21 giugno 2024. La carcerazione come «definitivo» ha avuto inizio dal 23 dicembre 2021 (risulta custodia cautelare per altro fatto dal 18 luglio 2020 al 22 dicembre 2021). L'istruttoria finalizzata alla concedibilita' della misura in via provvisoria L'interessato ha ad oggi fruito di alcuni permessi di necessita' (30 O.P.) ovvero anche ai sensi dell'art. 21-ter, comma 1 O.P. in ragione del compromesso status di salute del figlio minor..., portatore di handicap ex legge n. 104/92 in situazione di particolare gravita', poiche' a causa di un incidente avvenuto nel... ha subito conseguenze gravissime da un trauma cranico commotivo che rendono costantemente necessaria la presenza di un adulto per assisterlo (tetraparesi distonica, ipovisus, sordita' neurosensoriale, epilessia focale secondaria). Il bambino e' alimentato tramite PEG, comunica attraverso le espressioni del volto e il pianto, usa tutori per gamba e piede e il bustino; subisce periodici ricoveri e visite specialistiche e la sua situazione e' ad oggi descritta dai sanitari come caratterizzata da cronicita', irreversibilita' e progressiva degenerazione (da ultimo, nota dell'Az. Osp... -·«...» del...). Durante tali permessi l'istante ha sempre mantenuto una condotta regolare (nota CC Stazione di... del...). Anche la condotta intramuraria appare complessivamente corretta, dimostrandosi egli partecipativo alle attivita' trattamentali e lavorando presso la cucina dei detenuti con buone doti di affidabilita' (nota della ccle... di... del...). La condotta regolare, intramuraria e durante i permessi speciali, ha comportato il riconoscimento finora del beneficio della LA. In ordine alla richiesta formulata si e' altresi' richiesto parere alla competente Questura (pec del...) nonche' al CPOPS in ragione della presenza, nel cumulo, di reati di 4-bis O.P., ma senza esito. Quanto alla disposta indagine socio-familiare, con nota del... l'UEPE ha riferito che e' stata effettuata visita domiciliare presso l'abitazione dei familiari incontrando la moglie, G. A., la quale ha riferito ai servizi sociali del Comune di essersi sempre occupata del figlio disabile, sua ragione di vita, che in termini socio sanitari fruisce di appoggio infermieristico domiciliare settimanale e al bisogno, cosi' come di quello pediatrico ed in particolare da parte dell'equipe del centro residenziale per le cure palliative pediatriche «...» dell'ospedale di che segue costantemente il figlio nelle terapie. Riferisce inoltre che il figlio... e' stato da ultimo ricoverato a... evidenziando il netto peggioramento delle sue condizioni, potendosi leggere dalla lettera di dimissioni che «le crisi neurovegetative del paziente sono notevolmente aumentate in termini di frequenza necessitando spesso di terapia antidolorifica». La madre ha pero' rifiutato al momento la terapia a base di metadone a scopo antalgico prospettata dalla psicologa dell'equipe perche' il volto del figlio si gonfia in modo irriconoscibile. Gli assistenti sociali riportano come il minore sia ospitato in una cameretta molto ordinata, non riconosca il visitatore e solo se la madre si avvicina e lo accarezza sembra fare un cenno di assenso. In termini di accudimento la madre e' di fatto l'unica ad accudire personalmente a tempo pieno il figlio, essendo il padre detenuto e posto che in passato con gli addetti all'assistenza a domicilio, a cui era ricorsa, il bambino, che soffre anche di osteoporosi cronica, semplicemente venendo alzato dal letto ha subito importanti fratture. Quanto agli altri parenti, la madre riferisce che i genitori del marito vivono in una casa mobile vicino a loro ma non sono significativi nell'accudimento del nipote. Parimenti l'altro figlio, di vent'anni, non se ne occupa contribuendo piu' che altro al sostentamento economico del nucleo familiare. I parenti della signora risiedono in provincia di... e conducono la loro vita. Sotto il profilo economico, la madre riferisce che il minore e' titolare di una pensione di invalidita' e di un assegno di cura mensile nonche' usufruiscono gli assegni familiari. Agli assistenti sociali la donna ha poi riferito come il peggioramento del bambino aggravatosi negli ultimi tempi comporta una gestione sempre piu' difficoltosa soprattutto in merito alle frequenti crisi respiratorie sia diurne che notturne che debbono essere gestite con tempestivita' e lucidita' e sottolinea come il marito, pur avendola fortemente delusa per le sue azioni, nel corso delle esperienze premiai i concesse ha pero' dimostrato una capacita' di gestione della responsabilita' genitoriale che permettono a lei di riposarsi anche solo per qualche ora. A tal proposito, la donna ha trasmesso documentazione medico-legale relativamente alla propria condizione di grave stress psico-fisico derivante dall'accudimento del figlio. La decisione di rigetto dell'istanza in via provvisoria Con provvedimento del 25 giugno 2024 il Magistrato di Sorveglianza di Verona ha rigettato l'istanza di concessione della misura in via provvisoria, ritenendo che «Alla luce di tale pressoche' consolidata interpretazione, per cui deve effettuarsi una valutazione in termini di "impossibilita' oggettiva" (equiparandola in sostanza all'impossibilita' "assoluta" di cui parla l'art. 47-ter, comma 1, lettera b) O.P.) per la madre di accudire il figlio, nel caso qui esaminato, non si potrebbe ravvisare tale "impossibilita'" della madre nei termini rigorosi espressi nella corrente interpretazione giurisprudenziale, ne' si potrebbe ravvisare che "non vi e' modo di affidare la prole ad altri": cio' in quanto emerge chiaramente dall' indagine socio-familiare in atti che la madre puo' fruire di diversi presidi (appoggio infermieristico domiciliare settimanale e al bisogno, cosi' come di quello pediatrico ed in particolare da parte dell'equipe del centro residenziale per le cure palliative pediatriche "Casa del bambino" dell'ospedale di Padova che segue costantemente il figlio nelle terapie. [...] Parimenti, gli sfoghi esantematici della madre, documentati da certificato medico come derivanti dallo stress assistenziale, non appaiono porsi nei termini impeditivi come odiernamente letti in giurisprudenza. Per tale ragione, si rileva che la situazione dedotta ed accertata nel corso dell'istruttoria, a fronte dell'attuale assetto normativa e giurisprudenziale, non consente l'accoglimento dell'istanza di detenzione domiciliare speciale richiesta in via provvisoria. Ogni altra e piu' approfondita valutazione, anche in ordine alla mancata parita' di condizioni di accesso alla misura, si ritiene debba essere pertanto essere rimessa al Collegio». L'aggiornamento istruttorio in vista della trattazione dinanzi al Tribunale di Sorveglianza Con mail del... la moglie dell'istante ha trasmesso nota del Az. Osp. Di... del... che riporta l'esito della visita domiciliare di cure palliative pediatriche effettuata nei confronti del figlio... e nella quale si riporta la seguente diagnosi: «severa compromissione neurologica con tetraparesi spastico-distonica, ipoacusia ed ipovisione, esiti di trauma cranico maggiore (...), portatore di tracheostomia e gastrostomia, pregresse fratture multiple conseguenti ad osteoporosi ed osteogenesi imperfetta. Segnalato episodio di apnea severa con cianosi severa prolungata con necessita' di terapia al bisogno con Rivotril [...]. Alla valutazione si presenta vigile, a tratti irritabile con ridotta tolleranza alla pastura seduta nella carrozzina, rare brevi apnee, scialorrea con necessita' di aspirazione del cavo orale, rotoscoliosi nota in peggioramento, severa spasticita' non riducibile». Si riporta altresi' che per la situazione di estrema fragilita' del bambino e la ormai definitivamente compromessa possibilita' di mantenere pastura seduta e stante il dolore diffuso che comporta ogni suo spostamento viene proposta terapia antalgica che la madre accetta con difficolta', mentre il padre ne comprende la necessita. Con nota del... e' pervenuto l'aggiornamento della relazione di sintesi da parte della casa circondariale, integrata con l'apporto del funzionario UEPE, nella quale si riferisce anche del peggioramento delle condizioni del figlio... sotto il profilo antalgico, essendo aumentato il dolore, ora diffuso su tutto il corpo ed acuito anche in caso di minimi spostamenti, tale per cui non puo' quasi piu' sedersi in carrozzina o essere trasportato in auto per brevi uscite. Viene in proposito allegata la relazione della visita domiciliare dell'equipe dell'ospedale di... nella quale si riporta il quadro di estrema fragilita' del minore con proposta di somministrazione di farmaci antidolorifici rispetto a cui la madre non e' d'accordo mentre il padre si mostra piu' collaborativo. Gli incontri con l'esperto ex art. 80 nei confronti del detenuto sono proseguiti regolarmente ma allo stato fungono sostanzialmente da sostegno per lo stesso in relazione alla grave situazione del figlio rispetto a cui egli investe oggi ogni propria energia. Si riferisce che dal... il minore e' stato nuovamente ricoverato presso l'ospedale di... Profili di ammissibilita' e condizioni di accesso alla misura Stante il quadro istruttorio delineato, deve preliminarmente affrontarsi il profilo dell'ammissibilita' dell'istanza, posto che l'art. 47-quinquies O.P. - il cui comma 7 (riferito ai padri detenuti) rinvia alle medesime condizioni di accesso previste, per le madri detenute, dai commi 1 e 1-bis della medesima disposizione - richiede che si puo' essere ammessi alla misura in questione: - comma 1 «Quando non ricorrono le condizioni di cui all'art. 47-ter [...] se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi e' possibilita' di ripristinare la convivenza con i figli [...] dopo l'espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all'ergastolo [...]»; - comma 1-bis «[...] l'espiazione di almeno un terzo della pena o di almeno quindici anni, prevista dal comma 1 del presente articolo, puo' avvenire presso un istituto a custodia attenuata per detenute madri ovvero, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e all'assistenza dei figli [...]»;. Nel caso di specie, l'interessato sotto il profilo temporale non ha ancora espiato un terzo della pena, secondo il disposto di cui all'art. 47-quinquies O.P. il cui comma 7 (riferito ai padri detenuti) rinvia alle medesime condizioni di accesso previste, per le madri detenute, dal comma 1 della medesima disposizione. Il termine allo stato maturera' il 23 agosto 2025, ma in virtu' del comma 1-bis la misura non sarebbe per questo preclusa. Difatti, la previsione di cui al successivo comma 1-bis dell'art. 47-quinquies O.P., nella sua riformulazione operata a seguito dell'intervento dalla Corte costituzionale (n. 76/2017) per cui e' venuta meno la preclusione legata alla commissione dei reati di cui all'art. 4-bis O.P. (presenti nel caso di specie), consente oggi anche ai condannati per reati di cui all'art. 4-bis O.P. l'espiazione presso ICATT o presso la propria abitazione, e cio' - stante il richiamo da parte del comma 7 «alle stesse condizioni previste per la madre» anche nella modalita' di cui al comma 1-bis della medesima disposizione) anche nei confronti del padre detenuto. Quanto agli altri presupposti indicati dalla norma (insussistenza condizioni applicabilita' art. 47-ter; assenza di un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti; possibilita' di ripristinare la convivenza con il figlio), se ne ritiene la sussistenza. In primo luogo, sotto il profilo della pericolosita' non puo' prescindersi dall'osservare che il detenuto presenta senz'altro un calibro criminale significativo, tenuto conto dei numerosi e gravi precedenti per reati commessi fino al... - di fatto interrotti solo con la carcerazione - e comunque posti in essere anche dopo aver beneficiato della misura alternativa dell'affidamento in prova. Allo stesso tempo, deve registrarsi l'attuale assenza di altre pendenze presso gran parte delle Procure dei luoghi in cui aveva in passato commesso i reati ed una condotta intramuraria sostanzialmente corretta e regolare, tale da comportare un giudizio di «buona affidabilita'» da parte della casa circondariale. L ' unica pendenza tutt'ora in essere (presso la Procura di Padova) riguarda reati commessi nel... (coevi a quelli della seconda sentenza di condanna di cui al provvedimento di cumulo). Tali elementi (condotta regolare, giudizio di affidabilita' espresso dalla ccle) hanno peraltro consentito di ritenere scemata la pericolosita', consentendo la fruizione da parte dello stesso dei permessi ex art. 21-ter o.p. Quest'ultima esperienza, allo stato, risulta svolgersi positivamente. Elementi significativi in ordine alla pericolosita' del soggetto ovvero all'attualita' dei suoi collegamenti con la criminalita' organizzata o comune non sono peraltro ad oggi emersi, non essendo pervenuto alcun riscontro da parte di Questura e Cosp ed essendo ampiamente decorso il termine di risposta. Dunque, allo stato, da quanto ricavato dalla documentazione in atti, puo' ritenersi che, a fronte di diversi anni di pena ancora da espiare, l'interessato, mostra apprezzabili doti di affidabilita' e una scemata pericolosita', soprattutto se riguardata rispetto all'impegno rivolto nei confronti del figlio disabile. A questo proposito, si osserva che pur avendo il M. commesso reati anche in costanza della sopravvenuta disabilita' del figlio (intervenuta a seguito di incidente nel...), l'atteggiamento attuale appare di maggiore consapevolezza e responsabilizzazione. Conseguentemente, appare possibile il «ripristino della convivenza» tra il padre (detenuto) e il figlio minore disabile - considerato nel merito quale concetto da adattarsi alla specifica condizione del figlio potendo senz'altro la vicinanza della figura paterna avere effetti positivi quantomeno a livello emotivo-sensoriale del bambino. Su tale specifico punto deve poi darsi atto che risulta applicata la pena accessoria della sospensione dell'esercizio della responsabilita' genitoriale (sentenza n. 1) del cumulo) ai sensi dell'art. 32, comma 3 c.p. perche' la pena inflitta e' superiore ai cinque anni. Si deve tuttavia rilevare che, nella legge 40/2001 «Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori» e' espressamente previsto all'art. 7 che: «L'applicazione di uno dei benefici previsti dalla presente legge determina, per il tempo in cui il beneficio e' applicato, la sospensione della pena accessoria della decadenza dalla potesta' dei genitori e della pena accessoria della sospensione dell'esercizio della potesta' dei genitori». Ne deriva che la concessione della misura della detenzione domiciliare speciale puo' essere concessa anche in caso di previsione nella sentenza di condanna della pena accessoria in questione (non solo per la «sospensione» ma addirittura per la «decadenza»), purche' il giudice in concreto ravvisi che tale beneficio e' effettivamente funzionale al «best interest» del minore, in accordo con la ratio di fondo dell'art. 47-quinquies o.p., e quindi si traduca in effettiva possibilita' di ripristino della convivenza. Il che, nel caso di specie, appare possibile sia perche' la pena accessoria e' stata applicata in ragione di condanna superiore ai cinque anni (art. 32, comma 3 c.p.) e non perche' i reati commessi siano stati a danno di minori, sia per il buon andamento dei permessi 21-ter O.P. concessi sinora. D'altronde, sotto un profilo sostanziale, si puo' anche osservare che la sospensione implica la temporanea incapacita' di esercitare i poteri di natura personale attribuiti dalla legge ai genitori verso i figli e i diritti di contenuto patrimoniale sui beni dei minori mentre (cosi' come anche per la decadenza) permangono i doveri verso i figli , relativi alla responsabilita' (per esempio quelli di mantenere, istruire ed educare la prole, previsti dall'art. 147 del codice civile, in cui possono farsi rientrare senz'altro quelli di assistenza materiale). Dunque, rispetto alla ratio del 47-quinquies - disposizione che si pone nell'ottica della tutela dell'interesse in capo al minore - la disposta pena accessoria della sospensione della responsabilita' genitoriale non dovrebbe poter incidere sulla possibilita' per il genitore detenuto nella fruizione della misura, anche in ipotetica assenza dell'espressa previsione di cui all'art. 7, legge n. 40/2001. Dunque, sotto tali profili, si ritengono soddisfatte le condizioni di accesso stabilite dai commi 1 e 1-bis, dell'art. 47-quinquies O.P. Tuttavia, l'art. 47-quinquies, comma 7 O.P., applicabile nel caso di specie, riguardando il caso in esame un padre detenuto, prevede altresi' che la misura della detenzione domiciliare speciale possa essere concessa solo «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre», connotandosi percio' in termini di extrema ratio rispetto ai padri detenuti. L'istituto della c.d. detenzione domiciliare speciale - come riconosciuto dalla stessa Corte, nelle plurime occasioni in cui si e' pronunciata in relazione a tale misura-pur partecipando della finalita' di reinserimento sociale del condannato, e' infatti primariamente indirizzato a consentire l'instaurazione, tra madri detenute (e anche «padri detenuti») e figli in tenera eta' ovvero disabili (come di recente riconosciuto: Corte costituzionale n. 18/2020), di un rapporto quanto piu' possibile «normale» (Corte costituzionale, n. 239/2014; Corte costituzionale, n. 177/2009). In tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario la tutela di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione - qual e' il minore e, in questo caso, anche disabile -e rispetto a cui peraltro, e' ora riconosciuta la possibilita' di valorizzare proprio le ragioni di urgenza richiedendo la misura in questione anche in via provvisoria ed urgente al MS (Corte costituzionale n. 30/2022). In ordine all'inciso «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre», inserito con riferimento ai detenuti padri, e quindi condizione di necessaria valutazione nel caso di specie-si osserva che per il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita' «la condizione di impossibilita' della madre deve identificarsi con quella situazione che, per l'emersione di oggettivi fattori impeditivi inerenti alla sfera di azione della medesima, determina il rischio concreto per la prole di un grave deficit assistenziale e di un irreversibile compromissione del suo processo evolutivo ed educativo» (Cass. pen., I, 4796/2020) e che «la mera circostanza dell'impegno lavorativo della madre non integra l'assoluto impedimento della stessa a prendersi cura del figlio» (Cass. pen., I, n. 37859/2016). Peraltro, proprio con riferimento ad analoga vicenda in cui il figlio dell'istante risultava affetto da gravissimo handicap invalidante, la Suprema Corte di Cassazione (n. 25164/2018) ha ribadito, sempre di recente, che la norma in questione «ha inteso consentire l'assistenza alla prole da parte di un genitore individuato nella madre e, solo in assenza della madre, anche nel padre. Dunque, il requisito necessario qualora l'istanza provenga dal padre detenuto relativo all'assenza della madre va inteso in senso oggettivo come e' desumibile dalla lettera della norma [...] fa norma quindi condiziona l'applicabilita' del beneficio al padre al presupposto dell'assenza della madre perche' e' deceduta o per altra causa nella impossibilita' assoluta di accudire il figlio. In giurisprudenza e' stato affermato che il giudizio sul carattere assoluto o meno della impossibilita' per la madre di accudire il figlio minore o disabile rientra nella discrezionalita' giudiziale e va quindi adeguatamente motivato». Per la Corte si tratta di un giudizio che ha ad oggetto la concreta capacita' di accudimento della madre capacita' che puo' essere limitata o impedita per ragioni di salute, di lavoro o ad altro, ragioni comunque relative al genitore non rientrando in questa valutazione la gravita' della disabilita' o la presenza di altri figli da accudire cosi' da valutare la possibilita' o meno per la madre di fornire al figlio tutta l'assistenza necessaria e concludendo nel senso che, nonostante la gravissima condizione di disabilita' del minore e che la madre da sola non fosse umanamente in grado di prestare al figlio tutta l'assistenza necessaria, comunque la norma considera il padre come fruitore del beneficio solo in funzione «vicaria» rispetto alla madre, ritenuta dal legislatore come i l genitore maggiormente «votato» alla cura dei figli in tenera eta' o disabili. Pertanto, nel caso in cui l'assistenza da parte della madre vi sia ma sia insufficiente cio' non sarebbe significativo per il legislatore tale da renderlo prevalente rispetto al valore costituito dalla effettivita' della potesta' punitiva da parte dello Stato. Di tutto cio' dava atto il Magistrato di Sorveglianza di Verona con il provvedimento di rigetto del 25 giugno 2024, concludendo nel senso che «Alla luce di tale pressoche' consolidata interpretazione, per cui deve effettuarsi una valutazione in termini di "impossibilita' oggettiva" (equiparandola in sostanza all'impossibilita' "assoluta" di cui parla l'art. 47-ter, comma 1, lettera b) O.P.) per la madre di accudire il figlio, nel caso qui esaminato, non si potrebbe ravvisare tale "impossibilita'" della madre nei termini rigorosi espressi nella corrente interpretazione giurisprudenziale, ne' si potrebbe ravvisare che "non vi e' modo di affidare la prole ad altri": cio' in quanto emerge chiaramente dall'indagine socio-familiare in atti che la madre puo' fruire di diversi presidi ("appoggio infermieristico domiciliare settimanale e al bisogno, cosi' come di quello pediatrico ed in particolare da parte dell'equipe del centro residenziale per le cure palliative pediatriche "... "dell'ospedale di ... che segue costantemente il figlio nelle terapie")». I dubbi di legittimita' costituzionale della norma che il TDS Venezia e' chiamato ad applicare nel caso di specie Cio' posto, il Collegio condivide il giudizio espresso dal Magistrato di Sorveglianza per cui la situazione dedotta ed accertata nel corso dell'istruttoria, a fronte dell'attuale assetto normativa e giurisprudenziale, non consente allo stato l'accoglimento dell'istanza di detenzione domiciliare speciale. Tuttavia, chiamato dunque all'applicazione di tale norma (47-quinquies, comma 7 O.P.) e rilevato che non appare possibile, allo stato, un'interpretazione costituzionalmente conforme della stessa, stante il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita' sopra richiamato, il Collegio dubita pero' della sua conformita' a Costituzione riscontrando nella previsione in questione (specificamente nell'inciso «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre») un vulnus nella tutela del minore ma anche e soprattutto sotto il profilo dell'uguaglianza uomo-donna e parita' morale e giuridica tra i coniugi/conviventi di cui agli articoli 2, 3, 29 comma 2 e 30 comma 1, 31 della Costituzione, nonche' rispetto a quanto previsto d agi i articoli 8 e 14 Cedu per il tramite dell'art. 117 della Costituzione. Sul punto non si disconosce quanto gia' espresso dalla Corte costituzionale (n. 219/2023) in ordine all'insussistenza di un «diritto alla bigenitorialita'» in capo al minore, come affermato in occasione della decisione sulla q.l.c. sollevata dal MS di Cosenza sull'art. 47-ter comma 1, lettere a) e b) O.P. e ritenuta infondata sul presupposto che «il generale principio dell'interesse «preminente» del minore impone si' una considerazione particolarmente attenta degli interessi del minore in ogni decisione - giudiziaria, amministrativa e legislativa - che lo riguarda, ma non ne assicura l'automatica prevalenza su ogni altro interesse, individuale o collettivo. In particolare, a proposito della relazione tra genitori condannati a pena detentiva e figli minori si e' costantemente ribadito che «l'interesse del minore "non forma oggetto di una protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte esigenze, pure di rilievo costituzionale, quali quelle di difesa sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena» (sentenza n. 174 del 2018; nello stesso senso, piu' di recente, sentenza n. 30 del 2022)» (sentenza 105 del 2023, punto 9 del Considerato in diritto ; analogamente, sentenze n. 187 del 2019, punto 4.4. del Considerato in diritto, e n. 76 del 2017, punto 2.2. del Considerato in diritto)». Ma si evidenzia, come nella stessa pronuncia, viene specificato come in tale occasione di rimessione quella era l'unica prospettiva delineata (ossia, esclusivamente dall'angolo visuale dell'interesse del minore a una relazione continuativa con entrambi i genitori) da cui affrontare le questioni, posto che la q.l.c. era stata costruita attorno alla prospettiva degli interessi, che fanno capo al minore, a una relazione continuativa con entrambe le figure genitoriali, non essendo invece stata censurata la disciplina in relazione alla diversa considerazione dei diritti-doveri che fanno capo al padre, rispetto a quelli che fanno capo alla madre; ne' era stata sollevata una questione di discriminazione in base al sesso tra le due figure genitoriali, rispetto all'accesso a misure alternative alla detenzione. Ad avviso del Collegio, pertanto, la Corte costituzionale non ha potuto pronunciarsi in ordine agli ulteriori e diversi profili di costituzionalità-in relazione all'art. 47-quinquies, comma 7 o.p. - che oggi questo Tribunale intende sottoporle. Non si dubita infatti, che la concessione della misura in parola possa e debba essere valutata in raffronto alla necessita' di assicurare un percorso rieducativo al condannato (art. 27, terzo comma, della Costituzione), di contenere la sua pericolosita' sociale, di riaffermare la vigenza della norma violata e la sua efficacia deterrente nei confronti deli' intera collettivita'. Si dubita invece della impostazione discriminatoria della disposizione, dalla cui lettura giurisprudenziale corrente emerge in capo alla madre l'indefettibile ruolo di genitore deputato alla cura della prole e in capo al padre il riconoscimento di un ruolo meramente vicario e subalterno, addirittura rispetto anche ad altre «terze» persone, ed apparendo cio' in contrasto con gli articoli 2, 3, 29 comma 2 e 30, comma 1, 31 della Costituzione, nonche' rispetto a quanto previsto dagli articoli 8 e 14 Cedu per il tramite dell'art. 117 della Costituzione. Ne' tale considerazione e' stata aprioristicamente esclusa dalla stessa Corte costituzionale nella misura in cui e' stato affermato che «l'estensione delle medesime regole vigenti oggi per le detenute madri anche ai detenuti padri potrebbe certamente essere valutata dal legislatore, nel quadro di un complessivo bilanciamento tra tutti gli interessi individuali e collettivi coinvolti; ma non puo', a giudizio di questa Corte, essere allo stato ritenuta costituzionalmente necessaria dal punto di vista, che in questo giudizio unicamente rileva, della tutela degli interessi del bambino, la quale richiede soltanto che - di regola sia assicurato al bambino stesso un rapporto continuativo con almeno uno dei due genitori» (Corte costituzionale n. 219/23 cit.). Appare quindi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, ora prospettata in relazione sia al diverso aspetto della discriminazione tra uomo e donna in se' nonche' all'interno della famiglia (e con riguardo al principio di unita' familiare) e delle formazioni sociali, posto il tenore della norma censurata e stante l'interpretazione corrente anche nella giurisprudenza di legittimita' (di recente, Cass. pen. sez. I, n. 11939/2024; Id., n. 11562/2024), nonche' sotto il profilo del diverso accesso alla misura da parte del padre e della madre e della funzione rieducativa della pena. Non di meno si osserva che - fermo l'attuale mancato riconoscimento di un diritto alla bigenitorialita', nei termini illustrati dalla Corte - la discriminazione che si ravvisa in ordine alle condizioni di accesso a tale misura tra madre e padre, si traduce in concreto anche in un vulnus alla tutela del minore (non sotto il profilo della bigenitorialita') ma sotto il profilo educativo e assistenziale in se', posto che egli di fatto potra' fruire dell'unica figura materna - vulnus che si amplifica solo a considerare le ipotesi in cui vi siano piu' figli minori da accudire. Profili di incostituzionalita': violazione degli articoli 2, 3 commi 2, 29, 30, 31 della Costituzione e 27, comma 3 della Costituzione e degli articoli 8 e 14 Cedu per il tramite dell'art. 117 della Costituzione In primo luogo, giova soffermarsi sull'eguaglianza morale e giuridica tra coniugi, su cui il 2° comma, dell'art. 29 ordina l'istituto del matrimonio, la quale ha senz'altro rappresentato un dato normativa di novita' assoluta, pur ridimensionato dalla dottrina in considerazione del fatto che tale parita' e' comunque in funzione dell'unita' familiare (peraltro, la circostanza che il principio di eguaglianza sancito dall'art. 29 della Costituzione non ricevesse una garanzia assoluta, invece prevista, in una prospettiva piu' generale, all'interno dell'art. 3 della Costituzione, era stato affermato dalle prime pronunce dei giudici costituzionali: Corte costituzionale n. 64/1961; Id. 46/1966; Id. 147/ 1969). E' quindi solo con la pronuncia n. 133 del 1970, che si affermo' come «le norme che siano fonte di svantaggio per un coniuge non possano essere giustificate, nel! 'ambito di una valutazione di legittimita' costituzionale, da/fatto che altre norme conferiscano allo stesso coniuge, a proposito di altre situazioni subbiettive nascenti dal matrimonio, una posizione di vantaggio (o viceversa). Ed invero, dal momento che si riconosce che la salvaguardia del/ 'unita' familiare costituisce il solo legittimo limite dell'eguaglianza dei coniugi, bisogna convenire che l 'unico accertamento rilevante e' se le diversita' di trattamento di volta in volta considerate trovino in quella esigenza - e solo in essa - la loro giustificazione costituzionale», tenendo conto cosi' del rapporto coniugale in un mutato contesto storico-sociale e del cambiamento del ruolo della donna nella societa'. Da quel momento si registreranno infatti pronunce della Corte costituzionale (es. nn. 6 del 1980 e 214 del 1984; nn. 116 del 1990, l 05 del 1980, 83 del 1983, 613 del 1987) in cui viene espressamente affermato che le disposizioni impugnate sono state annullate perche' legate a concezione dell'organizzazione domestica basata sulla presunzione di estraneita' della donna al mantenimento della famiglia, concezione da ritenersi in contrasto con il principio di parita' dei coniugi, riequilibrando cosi' la posizione dei coniugi sia sul versante dei rapporti personali, sia su quello dei rapporti patrimoniali. Il limite funzionale dell'«unita' familiare» e' stato poi inteso in due accezioni differenti a seconda che si trattasse di farne un limite alla pari posizione dei coniugi, ovvero dei coniugi in quanto genitori. Come rilevato anche dalla dottrina, infatti, quando e' stata invocata come limite all'eguale posizione dei coniugi nei loro reciproci rapporti, l'unita' familiare e' stata sempre intesa come unita' materiale, come «unita' fisica», come tale incapace di giustificare una diversita' di trattamento. Quando, invece, l'unita' familiare e' venuta in rilievo per dirimere questioni che concernevano la pari posizione dei genitori nel loro rapporti con i figli, almeno in passato, ha inteso l'unita' familiare come necessita' che, nella famiglia, per ragioni organizzative, fosse possibile esprimere una volonta' in modo unitario. Solo dopo la riforma del diritto di famiglia, comunque, la Corte ha posto sul medesimo piano la madre e il padre nel rapporto coi figli. Ed in termini evolutivi l'unita' familiare e' divenuta oggi principio autonomo da tutelare, assumendo cosi' il medesimo significato che ha il principio del rispetto della vita familiare ex art. 8 Cedu e divenendo argomento a favore o contro le discipline che, ad esempio, in tema di organizzazione del lavoro favoriscono l'«avvicinamento» ai propri familiari (v. Corte costituzionale, sentenze nn. 113 del 1998 e 183 del 2008), ovvero in tema di ricongiungimento ed espulsione degli stranieri extracomunitari. Stante tale evoluzione, ad oggi il ruolo genitoriale (di madre e padre) dovrebbe pacificamente ritenersi parificato, nel senso di possibilita' di accesso di ambo i genitori a quelle misure che nei vari ambiti e settori sono volti alla tutela dell'unita' familiare e della prole. Analogamente, riguardato sotto il profilo del principio di uguaglianza tra uomo e donna. E parimenti rispetto all'ambito carcerario - recte, di accesso alla speciale misura - la previsione normativa concernente «l'impossibilita' della madre» in termini di fatto oggettivi o assoluti (1) (o comunque assai stringenti per come declinato in termini correnti, tenuto conto che l'alternativa e' appunto il suo «decesso») si traduce in una duplice discriminazione: ai danni della donna in quanto, come madre, le viene attribuito un ruolo primario ed indispensabile anche a scapito del rispetto del suo essere come donna o in generale come «persona» (pretendendosene di fatto un annullamento in nome della cura ed assistenza alla prole), ma altresi' ai danni del padre poiche' la norma ne ritaglia un ruolo vicario e suppletivo, anziche' paritario ed autonomo - traducendosi cio', a parere del rimettente, anche in un pregiudizio dell'unita' familiare (o della formazione sociale) che proprio nella parita' dei ruoli tra i coniugi (o conviventi) troverebbe invero la sua piu' compiuta tutela. Tale portato normativa appare quindi basarsi su dati e tradizioni culturali che assegnano alla donna, soprattutto in quanto madre, un generale e prioritario compito di cura e vocazione all'assistenza dei soggetti deboli che non pare oggi piu' giustificabile rispetto ai mutamenti sociali che hanno interessato l'ambito familiare, ne' pare che la (imprescindibile) tutela della maternita' possa pero' consentire una mancata tutela della donna. In questi termini il contrasto in generale con l'art. 3, comma 2 della Costituzione appare particolarmente evidente posta la palese violazione dell'uguaglianza tra persone in ragione del sesso di appartenenza - nonche' anche con l'art. 2 della Costituzione volendo riguardare alla parita' tra le persone da riconoscersi anche nell'ambito delle formazioni sociali oltre che nell'ambito del rapporto coniugale (art. 29 della Costituzione). Parimenti sotto il profilo degli articoli 30 e 31 della Costituzione, posto che gia' in passato la Corte costituzionale (n. 215/90)aveva dichiarato l'incostituzionalita' in quel caso dell'art. 47-ter, comma 1 O.P. (nella parte in cui non si prevedeva l'accesso alla misura da' parte del padre detenuto) sul rilievo che «Il riconoscimento della eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, su cui e' ordinato il matrimonio, e il riconoscimento stesso dei diritti della famiglia (art. 29), il dovere e il diritto dei genitori di mantenere ed educare i figli, e soprattutto, le provvidenze che la legge deve disporre affinche' siano assolti i compiti dei genitori nei casi di loro incapacita' (art. 30), la protezione che la Carta fondamentale accorda all'infanzia, sollecitando la Repubblica a favorire gli istituti necessari a tale scopo (art. 32), rappresentano un complesso di eminenti valori che, mentre rendono intollerabile la denunciata discriminazione, fondano a loro volta specifiche incompatibilita'. La previsione, infatti, dell'art. 47-ter secondo cui soltanto alla madre viene riconosciuto, mediante la concessione della detenzione domiciliare, il diritto-dovere di assistere la prole infratreenne, nega implicitamente al genitore l'esercizio dello stesso diritto e l'adempimento dell'identico dovere per il caso in cui la madre manchi o sia assolutamente impossibilitata ad espletare quel compito: eppure si tratta di compiti doverosi che la Costituzione affida, invece, alla pari responsabilita' dei genitori». Volendo poi considerare che la disciplina normativa di settore (v. la legge n. 40/2001 che ha introdotto le norme di cui agli articoli 146, comma 1 c.p. e 147 n. 3 c.p., nonche' lo stesso art. 47-quinquies e l'art. 21-bis o.p. e la legge n. 62/2011 che ha introdotto il comma 1bis, all'art. 47-quinquies, nonche' l'art. 21-ter O.p. e, in materia cautelare, gli articoli 275, comma 4 e 285-bis c.p.p.) e' primariamente incentrata in termini applicativi sulla «madre detenuta», potendo il padre accedere alle analoghe misure solo «qualora la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole», ne deriva un quadro normativa che attribuisce tutela prioritaria al ruolo genitoriale della madre ed assegna al padre una funzione meramente subalterna e vicaria. Della perdurante ragionevolezza di questo impianto si dubita, rinvenendosi un mancato adeguamento all'evoluzione della societa' e del fenomeno familiare che evidenzia l'inattualita' dell'opzione normativa e ne mette in luce i profili discriminatori, sia sotto il profilo del mancato riconoscimento della parita' dei ruoli genitoriali che va a discapito anche della piena tutela del minore, sia sotto il profilo della stessa tutela della donna in se' considerata: la previsione in questione infatti tutela la maternita' se la donna e' appunto detenuta, ma non se e' moglie del detenuto, tratteggiandosi percio' una sorta di discriminazione biunivoca e bidirezionale e che avalla una concezione discriminatoria della donna tutelata solo quale titolare del «ruolo» di madre e, oltretutto, solo in alcuni casi (solo se detenuta, non se moglie di detenuto). La disposizione appare incompatibile anche rispetto ai parametri convenzionali di cui agli articoli 8 e 14 CEDU per il tramite dell'art. 117 della Costiruzione, integrando una differenziazione del trattamento normativa in base al sesso. In tal senso la Corte EDU si e' piu' volte espressa nel senso che per poter giustificare una differenziazione di trattamento normativa sulla base del sesso dei soggetti destinatari i riferimenti alle tradizioni, agli assunti generali o ad attitudini sociali prevalenti in un dato paese non sono sufficienti ma che le differenziazioni sulla base del sesso devono essere sorrette da ragioni particolarmente pregnanti (Kostantin M v. Russia GC 2012, par. 127; Beeler v. Swilzerland GC 2022, par. 93 e ss.; B.T v Russia GC 2024, parr. 40 e ss.). Parimenti, sempre a livello sovranazionale, si richiama l'art. 4, paragrafo 2, della Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (adottata a New York il 18 dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva con legge 14 marzo 1985, n. 132) a tenore del quale «[l]'adozione da parte degli Stati di misure speciali, comprese le misure previste dalla presente Convenzione, tendenti a proteggere la maternita', non e' considerato un atto discriminatorio»: vero e' se cio' e' riguardato dal punto di vista della madre detenuta, ma non anche sotto il profilo della madre non detenuta, nei cui confronti appunto si viene a creare un'autonoma irragionevole discriminazione. Per completezza ci si deve pur brevemente confrontare anche con quella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo in materia di discriminazioni nel trattamento sanzionatorio e nel trattamento penitenziario di donne e uomini (in particolare, ad esempio, Grande camera, sentenza 24 gennaio 2017, Khamtokhu and Aksenchik contro Russia; sezione quarta, sentenza 3 ottobre 2017, Alexandru Enache contro Romania, sulla legislazione che permette la sospensione della pena per le madri, non applicabile per analogia ai padri, ritenuta non in violazione della Convenzione; sezione quinta, sentenza 10 gennaio 2019, Ēcis contro Lettonia). Ebbene, pur a fronte di pronunce della stessa Corte EDU che non hanno ritenuto configurata una violazione dell'art. 14 CEDU, valorizzando il peculiare ruolo della madre nei primi anni di vita del bambino, tuttavia analogo ragionamento non potrebbe trovare applicazione tout court nel caso di specie, trattandosi di bambino non in eta' tale da richiedere il necessario ed insostituibile accudimento materno, bensi' di minore afflitto da grave disabilita' rispetto a cui il ruolo genitoriale appare del tutto intercambiabile (ed anzi, il cui apporto paterno appare rilevante per la decisione sulle terapie proposte dai sanitari, come sopra riportato). Inoltre, nella stessa giurisprudenza CEDU un'autonoma considerazione e' rivolta alla stessa tutela dell'unita' familiare, in relazione all'art. 8 CEDU (cfr.: L'attenzione per l' unita' familiare e per il ricongiungimento familiare in caso di separazione costituiscono fattori inerenti al diritto al rispetto della vita familiare di cui all'art. 8: Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], § 204; il reciproco godimento da parte del genitore e del figlio della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale della vita familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione (anche qualora la relazione tra i genitori sia cessata) e le misure interne che ostacolano tale godimento costituiscono un'ingerenza nel diritto tutelato dall'articolo 8 della Convenzione: Monory c. Romania e Ungheria, § 70; Zorica Jovanovie' c. Serbia, § 68; Kutzner c. Germania, § 58; Elsholz c. Germania [GC], § 43; K. e T. c. Finlandia [GC], § 151). Pertanto, il differente accesso alla misura in questione (art. 47-quinquies o.p.) si profila in termini irragionevoli e discriminatori, potendo comunque il rischio di una sua impropria applicazione essere contenuta dal giudizio di pericolosita' in concreto effettuato dal giudice della sorveglianza. Viene dunque in rilievo l'incostituzionalita' della norma quanto all'inciso: «se la madre e' deceduta o impossibilitata» sia perche' la condizione richiesta appare lesiva dell'uguaglianza tra le persone e della parita' tra coniugi/conviventi e sia perche' l'accesso alla misura in questione da parte della madre detenuta appare piu' favorevole rispetto alle condizioni di accesso previste dal padre, traducendosi cio' comunque in una lesione della maternita' (nei confronti della madre non detenuta con marito detenuto) e della stessa unita' familiare, sia, infine, perche' la misura - in un'ottica sovranazionale - tutela la maternita' solo nei confronti delle madri detenute e non in generale. Parimenti viene in rilievo l'incostituzionalita' della norma anche quanto all'inciso: «e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre» perche' assegna al ruolo di padre-genitore una posizione assolutamente marginale e residuale. Simile postergazione della figura paterna non sussiste ad esempio in relazione alla previsione di cui all'art. 275, comma 4 c.p.p. per cui al padre - nonostante il decesso o l'assoluta impossibilita' della madre a dare assistenza alla prole - deve applicarsi la custodia cautelare in carcere per la sussistenza di esigenze cautelari di particolare intensita' e per come inteso dalla giurisprudenza di legittimita' per cui: «accertata l'assoluta impossibilita' della madre ... e escluso il ricorrere di esigenze cautelar i di eccezionale rilevanza, il giudice non puo' giustificare il mantenimento della misura intramurale prendendo in esame l'eventuale presenza di altri familiari, in quanto ad essi il legislatore non riconosce alcuna funzione sostitutiva[...]» (Cass. pen. n. 29355/2014). E l'attribuzione di un ruolo «vicario» alla figura paterna anche rispetto ad «altri» appare sia di per se' lesivo del principio dell'unita' familiare (la cui tutela costituzionale e' oggi ampiamente riconosciuta nell'accezione piu' ampia, come sopra delineato), ma altresi' lesivo dell'interesse del minore e poco funzionale alla cura in concreto dello stesso (in tal senso apparendo ragionevole preferire rapporti del minore, per giunta se disabile, con il genitore piuttosto che con «altre» persone). Ne' puo' escludersi, infine, una violazione anche sotto il profilo della ragionevolezza e attuazione della funzione rieducativa della pena (articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione), funzione a cui devono evidentemente tendere in generale anche le misure alternative alla pena e dunque anche l'art. 47-quinquies comma 7 o.p., e che non sarebbe realizzata negando al padre detenuto l'accesso alla misura, ponendosi cio' anzi in termini tutt'altro che rieducativi, perpetrando una concezione oggi non piu' accettabile (ne' rispondente alla realta') dei ruoli sociali e all'interno della famiglia (lato sensu intesa). Da ultimo si osserva che l'attualita' della questione in se' trova conferma nel fatto che e' gia' pendente dinanzi alla Corte costituzionale questione di costituzionalita' dell'art. 47-quinquies, comma 7 O.P. sollevata anche dal Tribunale di sorveglianza di Bologna (ordinanza n. 1321 del 9 aprile 2024). In termini di effetti, la parificazione della condizione di accesso alla misura tra madri e padri detenuti - ottenibile attraverso l'espunzione dell'inciso «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre» - garantirebbe invece il mantenimento di un paritario rapporto di cura del minore (interesse primario tutelato dall'art. 47-quinquies o.p.) nel rispetto dei principi di uguaglianza e parita' tra persone/coniugi/genitori. Da quanto sopra prospettato e' auto-evidente la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 7, della legge n. 354/1975 (norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta') nella parte in cui prevede che ai detenuti padri puo' essere concessa la detenzione domiciliare speciale solo «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre». D'altronde l'istituto della c.d. detenzione domiciliare speciale - come riconosciuto dalla stessa Corte, nelle plurime occasioni in cui si e' pronunciata in relazione a tale misura - pur partecipando della finalita' di reinserimento sociale del condannato, e' primariamente indirizzato a consentire l'instaurazione, tra madri detenute (e anche «padri detenuti») e figli in tenera eta' ovvero disabili (come di recente riconosciuto: Corte costituzionale n. 18/2020), di un rapporto quanto piu' possibile «normale» (Corte costituzionale, n. 239/2014; Corte costituzionale, n. 177/2009). In tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario la tutela di un soggetto debole, distinto dal condannato e particolarmente meritevole di protezione - qual e' il minore e, in questo caso, anche disabile - e rispetto a cui peraltro, e' ora riconosciuta la possibilita' di valorizzare proprio le ragioni di urgenza richiedendo la misura in questione anche in via provvisoria ed urgente al MS (Corte costituzionale n. 30/2022). La mancata parita' di condizioni di accesso alla misura, pertanto, appare violare al contempo l'uguaglianza tra uomo e donna, la parita' tra i genitori e lo stesso interesse primario del minore, posto che preclude ad uno dei genitori singolarmente inteso (in specie, il padre detenuto) il godimento di un beneficio predisposto dal legislatore a vantaggio precipuo dei minori stessi, rispetto alla cui tutela si puo' configurare un concreto vulnus anche considerando l'apporto «riequilibrante» che puo' provenire da padre detenuto (nel caso di specie, come riferito dai sanitari curanti e' proprio con il padre detenuto che c'e' maggiore interlocuzione in ordine al ricorso alla specifica terapia antidolorifica, rispetto a cui invece la madre si pone in termini di chiusura). (1) Rispetto alle misure cautelari, con specifico riferimento alla previsione in parte coincidente (art. 275, comma 4 c.p.p.), di recente (Cass. n. 18379/24) e' stato ribadito come: in base ad essi la condizione di assoluta impossibilita' da parte della madre di prestare assistenza alla prole, legittimante, ai sensi dell'art. 275, comma 4, del codice di procedura penale, la revisione in melius della misura cautelare applicata a carico del padre di questa, ricorre, oltre che nel caso di morte o di mancanza di quella, solo in presenza di una sua grave inabilita' indipendente dalla volonta' della donna, essendo, per converso, insufficiente al fine di cui sopra, una situazione di m era difficolta' (cfr., infatti, Corte di cassazione, Sezione I penale, 18 marzo 2021 , n. 10583; Corte di cassazione, Sezione VI penale, 5 dicembre 2018, n. 54449); altrimenti sarebbe stata necessaria la dimostrazione di un difetto assistenziale tale da compromettere il processo evolutivo-educativo della prole non diversamente colmabile se non con la presenza domestica del soggetto ristretto in custodia intramuraria, (cosi': Corte di cassazione, Sezione IV penale, 28 maggio 2019, n. 23268), ovvero l'oggettiva impossibilita' per la madre di conciliare le esigenze lavorative con l'assistenza alla prole, nonche' di avvalersi di parenti o di altre figure di riferimento o, infine, delle strutture educative pubbliche (Corte di cassazione, Sezione VI penale, 2 maggio 2018, n. 18851).
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87; ritenuta, nel presente giudizio, la rilevanza e la non manifesta infondatezza del le questioni di costituzionalita' delineate nella parte motiva, solleva, nei termini indicati, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 47-quinquies, comma 7, della legge n. 354/1975 (norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta') nella parte in cui prevede che ai detenuti padri puo' essere concessa la detenzione domiciliare speciale solo «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre»; sospende il presente procedimento; dispone che gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale; manda alla Cancelleria per l'immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale e per gli adempimenti previsti dall'art. 23, ultimo comma, legge n. 87/1953 (notifica al detenuto, al difensore di fiducia, al Presidente del Consiglio dei ministri; comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento). Cosi' deciso nella Camera di Consiglio del 18 settembre 2024. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. Il Presidente: Arata Il Magistrato estensore: Zingale