N. 197 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 settembre 2024

Ordinanza del 26 settembre 2024  del  Tribunale  di  sorveglianza  di
Venezia nel procedimento di sorveglianza nei confronti di D.M.G.. 
 
Ordinamento  penitenziario  -  Detenzione  domiciliare   speciale   -
  Previsione che  la  detenzione  domiciliare  speciale  puo'  essere
  concessa al  padre  detenuto  solo  "se  la  madre  e'  deceduta  o
  impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri  che
  al padre". 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento  penitenziario
  e sulla  esecuzione  delle  misure  privative  e  limitative  della
  liberta'), art. 47-quinquies, comma 7. 
(GU n.44 del 30-10-2024 )
 
               IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA DI VENEZIA 
 
    Cosi' composto: 
      Linda Arata - Presidente; 
      Margherita Amitrano Zingale - Giudice relatore; 
      Federico Fiocco - esperto; 
      Alberto Manzoni - esperto; 
    ha pronunciato la seguente ordinanza  nel  procedimento  chiamato
all' udienza del 18 settembre 2024 nei confronti di  M.  G.  D.  nato
a... il..., detenuto presso la casa circondariale di Vicenza,  difeso
dall'avv. Massimo Bissi, Foro  di  Ferrara,  di  fiducia,  avente  ad
oggetto: detenzione domiciliare speciale (art. 47-quinquies, comma  7
o.p.)  con  riferimento  al  titolo:  SIEP  2023/33  PGCA  Venezia  -
provvedimento di cumulo del 10 marzo 2023. 
    Pena   inflitta:   anni   undici,   mesi   uno,   giorni quindici
di reclusione. 
    Decorrenza pena: 23 dicembre 2021. 
    Fine pena: 12 maggio 2032. 
    Verificata la regolare instaurazione del contraddittorio. 
    Sentite le parti in camera di consiglio ed a  scioglimento  della
riserva di cui al verbale d' udienza. 
 
                               Osserva 
 
La vicenda giudiziaria in esecuzione 
    L'istante sta espiando la pena determinata con  il  provvedimento
di cumulo  sopraindicato  in  cui  sono  confluite  due  sentenze  di
condanna per reati di associazione per delinquere, plurimi  furti  in
concorso,  plurimi  furti  aggravati  in  concorso,  plurime   rapine
aggravate in concorso, plurime violazione della normativa  sul  porto
d'armi (legge n. 895/1967), ricettazioni, tutte commesse tra il...  e
il... (prima sentenza) e tra il... e il... (seconda sentenza). 
    Dalla  prima  sentenza  di  cui  al  provvedimento  di  cumulo  -
concernente  in  particolare  l'imputazione  per   associazione   per
delinquere finalizzata alla commissione di furti e rapine ai danni di
sportelli bancomat di diversi  istituti  di  credito  anche  mediante
utilizzo di ordigni esplosivi artigianali,  nonche'  imputazioni  per
furti e rapine aggravate in concorso - si evince come M. fosse  parte
attiva della banda di  criminali  nella  sua  originaria  formazione,
venendo poi  sostituito  da  altro  soggetto  sia  per  l'intervenuto
arresto sia per dissidi interni tra  i  componenti.  La  sentenza  in
particolare evidenzia il ruolo affatto secondario  di  M.  e  il  suo
calibro criminale- tale  per  cui  non  sono  state  riconosciute  le
attenuanti generiche- osservando come egli abbia fatto  parte  di  un
sodalizio criminale e si sia macchiato di ben  quindici  altri  gravi
reati,  forieri  di  grave  allarme  sociale  e   di   pericolo   per
l'incolumita'  ed  abbia  anche  un  curriculum  criminale  con   ben
cinquantanove precedenti  penali  peraltro  di  una  certa  rilevanza
(omicidio  colposo,  ricettazioni,  furti,  rapine,  porto   d'armi).
Inoltre, viene evidenziato come le modalita' esecutive degli  assalti
fossero particolarmente cruente, stante l'uso di esplosivi e armi  da
fuoco e che la spiccata capacita' a delinquere poteva denotarsi anche
dal fatto che alcun effetto deterrente avevano  sortito  le  condanne
patite e la pendenza di altro  processo.  La  ritenuta  gravita'  dei
fatti era peraltro acuita dalla gravita' del vincolo associativo. 
    Di tenore analogo la seconda sentenza del Gip presso il Tribunale
di Padova (il cui esito  di  condanna  rispetto  all'imputazione  nei
confronti di M. G. i e' rimasto immutato in appello): in questo  caso
i numerosi episodi  di  furto  e  rapine  ai  danni  degli  sportelli
bancomat venivano anche preceduti da furti  e  rapine  (a  volte  con
speronamenti o pedinamenti) di  autovetture  altrui,  poi  utilizzate
dalla banda, dopo aver scambiato le relative targhe per impedirne  la
tempestiva identificazione, per effettuare gli spostamenti tra i vari
luoghi ove effettuare gli assalti ai bancomat, sempre con esplosivi e
armi. Nella sentenza  si  riporta  come  in  sede  di  interrogatorio
dinanzi   al   P.M.   l'interessato    abbia    reso    dichiarazioni
sostanzialmente confessorie. La  sentenza  si  sofferma  inoltre  sui
redditi dell'interessato e  della  famiglia,  risultati  irrisori,  e
sulla circostanza che per eludere le misure di ablazione di carattere
reale egli avesse intestato alcuni beni (tra cui una costosa moto  da
corsa) alla moglie, G. A. e che tale pratica era seguita anche dal di
lui fratello (correo) rispetto alla propria compagna. 
    Dal Casellario giudiziale risultano  numerosi  precedenti  a  far
data dagli anni... in poi per reati contro la  persona  e  contro  il
patrimonio. 
    Risulta aver beneficiato, positivamente, della misura alternativa
dell'affidamento in prova (dal 6 settembre 2016 al 15 aprile 2019) in
espiazione di precedente  cumulo  (sentenze  di  condanna  per  reati
contro la  persona  e  il  patrimonio,  consumati  e  tentati,  porto
d'armi-fatti commessi tra il... e il...).  Tuttavia,  successivamente
risultano essere riprese le condotte criminose, posto che gli  ultimi
reati commessi risalgono al biennio 2019-2020. 
    Non risultano, allo stato, iscrizioni o carichi  pendenti  presso
le Procure di Vicenza,  di  Verona,  di  Venezia,  di  Treviso  e  di
Mantova. Presso la Procura di Padova  risulta  pendente  procedimento
per numerosi reati commessi nel... a vario titolo:  furti  aggravati,
furti tentati,  ricettazioni,  porto  d'armi  ed  esplosivi  (plurime
fattispecie di cui alla legge  n.  895/1967);  nonche'  per  calunnia
commesso nel... In ordine a  tale  pendenza  e'  fissata  udienza  di
rinvio a giudizio al 21 giugno 2024. 
    La carcerazione come «definitivo» ha avuto inizio dal 23 dicembre
2021 (risulta custodia cautelare per altro fatto dal 18  luglio  2020
al 22 dicembre 2021). 
L'istruttoria finalizzata alla concedibilita'  della  misura  in  via
provvisoria 
    L'interessato ha ad oggi fruito di alcuni permessi di  necessita'
(30 O.P.) ovvero anche ai sensi dell'art. 21-ter,  comma  1  O.P.  in
ragione  del  compromesso  status  di  salute  del  figlio  minor...,
portatore di handicap ex legge n. 104/92 in situazione di particolare
gravita', poiche' a causa di un incidente avvenuto nel...  ha  subito
conseguenze gravissime da un trauma  cranico  commotivo  che  rendono
costantemente necessaria la presenza  di  un  adulto  per  assisterlo
(tetraparesi distonica, ipovisus, sordita' neurosensoriale, epilessia
focale secondaria). Il bambino e' alimentato  tramite  PEG,  comunica
attraverso le espressioni del volto e il pianto, usa tutori per gamba
e  piede  e  il  bustino;  subisce  periodici   ricoveri   e   visite
specialistiche e la sua situazione e' ad oggi descritta dai  sanitari
come caratterizzata da  cronicita',  irreversibilita'  e  progressiva
degenerazione (da ultimo, nota dell'Az. Osp... -·«...» del...). 
    Durante tali permessi l'istante ha sempre mantenuto una  condotta
regolare (nota CC Stazione di... del...). 
    Anche la condotta intramuraria appare complessivamente  corretta,
dimostrandosi  egli  partecipativo  alle  attivita'  trattamentali  e
lavorando  presso  la  cucina  dei  detenuti  con   buone   doti   di
affidabilita' (nota della ccle... di... del...). 
    La condotta regolare, intramuraria e durante i permessi speciali,
ha comportato il riconoscimento finora del beneficio della LA. 
    In ordine alla  richiesta  formulata  si  e'  altresi'  richiesto
parere alla competente Questura (pec  del...)  nonche'  al  CPOPS  in
ragione della presenza, nel cumulo, di reati di 4-bis O.P., ma  senza
esito. 
    Quanto alla disposta indagine socio-familiare,  con  nota  del...
l'UEPE ha riferito che e' stata effettuata visita domiciliare  presso
l'abitazione dei familiari incontrando la moglie, G. A., la quale  ha
riferito ai servizi sociali del Comune di essersi sempre occupata del
figlio disabile, sua ragione di vita, che in termini  socio  sanitari
fruisce di appoggio  infermieristico  domiciliare  settimanale  e  al
bisogno, cosi' come di quello pediatrico ed in particolare  da  parte
dell'equipe  del  centro  residenziale   per   le   cure   palliative
pediatriche «...» dell'ospedale di che segue costantemente il  figlio
nelle terapie. Riferisce inoltre che il figlio... e' stato da  ultimo
ricoverato  a...  evidenziando  il  netto  peggioramento  delle   sue
condizioni, potendosi leggere dalla lettera  di  dimissioni  che  «le
crisi neurovegetative del paziente  sono  notevolmente  aumentate  in
termini di frequenza necessitando spesso di terapia  antidolorifica».
La madre ha pero' rifiutato al momento la terapia a base di  metadone
a scopo antalgico prospettata dalla psicologa dell'equipe perche'  il
volto del figlio si gonfia in modo  irriconoscibile.  Gli  assistenti
sociali riportano come il minore sia ospitato in una cameretta  molto
ordinata, non riconosca il visitatore e solo se la madre si  avvicina
e lo accarezza sembra  fare  un  cenno  di  assenso.  In  termini  di
accudimento la madre e' di fatto l'unica ad accudire personalmente  a
tempo pieno il figlio, essendo il  padre  detenuto  e  posto  che  in
passato con  gli  addetti  all'assistenza  a  domicilio,  a  cui  era
ricorsa,  il  bambino,  che  soffre  anche  di  osteoporosi  cronica,
semplicemente venendo alzato dal letto ha subito importanti fratture.
Quanto agli altri parenti, la madre  riferisce  che  i  genitori  del
marito  vivono  in  una  casa  mobile  vicino  a  loro  ma  non  sono
significativi nell'accudimento del nipote. Parimenti l'altro  figlio,
di vent'anni, non  se  ne  occupa  contribuendo  piu'  che  altro  al
sostentamento economico del nucleo familiare. I parenti della signora
risiedono in provincia di... e  conducono  la  loro  vita.  Sotto  il
profilo economico, la madre riferisce che il minore  e'  titolare  di
una pensione di invalidita' e di un assegno di cura  mensile  nonche'
usufruiscono gli assegni familiari. Agli assistenti sociali la  donna
ha poi riferito come il peggioramento del bambino  aggravatosi  negli
ultimi  tempi  comporta  una  gestione   sempre   piu'   difficoltosa
soprattutto in merito alle frequenti crisi  respiratorie  sia  diurne
che notturne che debbono essere gestite con tempestivita' e lucidita'
e sottolinea come il marito, pur avendola fortemente  delusa  per  le
sue azioni, nel corso delle esperienze premiai i  concesse  ha  pero'
dimostrato  una   capacita'   di   gestione   della   responsabilita'
genitoriale che permettono a lei di riposarsi anche solo per  qualche
ora. 
    A  tal  proposito,   la   donna   ha   trasmesso   documentazione
medico-legale relativamente alla propria condizione di  grave  stress
psico-fisico derivante dall'accudimento del figlio. 
La decisione di rigetto dell'istanza in via provvisoria 
    Con  provvedimento  del  25  giugno   2024   il   Magistrato   di
Sorveglianza di Verona ha rigettato l'istanza  di  concessione  della
misura  in  via  provvisoria,  ritenendo  che  «Alla  luce  di   tale
pressoche' consolidata interpretazione, per cui deve effettuarsi  una
valutazione in termini di "impossibilita'  oggettiva"  (equiparandola
in sostanza all'impossibilita' "assoluta" di cui parla l'art. 47-ter,
comma 1, lettera b) O.P.) per la madre di  accudire  il  figlio,  nel
caso qui esaminato, non si potrebbe ravvisare  tale  "impossibilita'"
della  madre   nei   termini   rigorosi   espressi   nella   corrente
interpretazione giurisprudenziale, ne' si potrebbe ravvisare che "non
vi e' modo di affidare la prole ad  altri":  cio'  in  quanto  emerge
chiaramente dall' indagine socio-familiare in atti che la madre  puo'
fruire  di  diversi  presidi  (appoggio  infermieristico  domiciliare
settimanale e al bisogno, cosi'  come  di  quello  pediatrico  ed  in
particolare da parte dell'equipe del centro residenziale per le  cure
palliative pediatriche "Casa del bambino" dell'ospedale di Padova che
segue costantemente il figlio nelle  terapie.  [...]  Parimenti,  gli
sfoghi esantematici della madre, documentati  da  certificato  medico
come derivanti dallo stress assistenziale,  non  appaiono  porsi  nei
termini impeditivi come odiernamente  letti  in  giurisprudenza.  Per
tale ragione, si rileva che la situazione dedotta  ed  accertata  nel
corso dell'istruttoria, a fronte  dell'attuale  assetto  normativa  e
giurisprudenziale,  non  consente  l'accoglimento   dell'istanza   di
detenzione domiciliare speciale richiesta in  via  provvisoria.  Ogni
altra e piu' approfondita valutazione, anche in ordine  alla  mancata
parita' di condizioni di accesso alla misura, si ritiene debba essere
pertanto essere rimessa al Collegio». 
L'aggiornamento istruttorio in vista  della  trattazione  dinanzi  al
Tribunale di Sorveglianza 
    Con mail del... la moglie dell'istante ha trasmesso nota del  Az.
Osp. Di... del... che riporta l'esito  della  visita  domiciliare  di
cure palliative pediatriche effettuata nei confronti del figlio...  e
nella quale si riporta la seguente diagnosi:  «severa  compromissione
neurologica  con   tetraparesi   spastico-distonica,   ipoacusia   ed
ipovisione, esiti di trauma  cranico  maggiore  (...),  portatore  di
tracheostomia e gastrostomia, pregresse fratture multiple conseguenti
ad osteoporosi ed osteogenesi imperfetta. Segnalato episodio di apnea
severa con cianosi severa prolungata con  necessita'  di  terapia  al
bisogno con Rivotril [...]. Alla valutazione si  presenta  vigile,  a
tratti irritabile con ridotta tolleranza alla  pastura  seduta  nella
carrozzina,  rare  brevi  apnee,   scialorrea   con   necessita'   di
aspirazione del  cavo  orale,  rotoscoliosi  nota  in  peggioramento,
severa spasticita' non riducibile». Si riporta altresi'  che  per  la
situazione  di  estrema   fragilita'   del   bambino   e   la   ormai
definitivamente compromessa possibilita' di mantenere pastura  seduta
e stante il dolore diffuso che comporta ogni  suo  spostamento  viene
proposta terapia antalgica che  la  madre  accetta  con  difficolta',
mentre il padre ne comprende la necessita. 
    Con nota del... e' pervenuto l'aggiornamento della  relazione  di
sintesi da parte della casa circondariale,  integrata  con  l'apporto
del  funzionario  UEPE,  nella   quale   si   riferisce   anche   del
peggioramento  delle  condizioni  del  figlio...  sotto  il   profilo
antalgico, essendo aumentato il dolore, ora diffuso su tutto il corpo
ed acuito anche in caso di minimi spostamenti, tale per cui non  puo'
quasi piu' sedersi in carrozzina o essere  trasportato  in  auto  per
brevi uscite. Viene in proposito allegata la relazione  della  visita
domiciliare dell'equipe dell'ospedale di... nella quale si riporta il
quadro  di  estrema   fragilita'   del   minore   con   proposta   di
somministrazione di farmaci antidolorifici rispetto a  cui  la  madre
non e' d'accordo mentre il padre si mostra  piu'  collaborativo.  Gli
incontri con l'esperto ex art. 80 nei  confronti  del  detenuto  sono
proseguiti regolarmente ma  allo  stato  fungono  sostanzialmente  da
sostegno per lo stesso in relazione alla grave situazione del  figlio
rispetto a cui egli investe oggi ogni propria energia. 
    Si riferisce che dal... il minore e' stato nuovamente  ricoverato
presso l'ospedale di... 
Profili di ammissibilita' e condizioni di accesso alla misura 
    Stante il  quadro  istruttorio  delineato,  deve  preliminarmente
affrontarsi il profilo dell'ammissibilita'  dell'istanza,  posto  che
l'art. 47-quinquies  O.P.  -  il  cui  comma  7  (riferito  ai  padri
detenuti) rinvia alle medesime condizioni di accesso previste, per le
madri detenute, dai commi 1 e 1-bis  della  medesima  disposizione  -
richiede che si puo' essere ammessi alla misura in questione: 
      - comma 1 «Quando non ricorrono le condizioni di  cui  all'art.
47-ter [...] se non sussiste un concreto pericolo di  commissione  di
ulteriori  delitti  e  se  vi  e'  possibilita'  di  ripristinare  la
convivenza con i figli [...] dopo l'espiazione  di  almeno  un  terzo
della pena ovvero dopo l'espiazione di almeno quindici anni nel  caso
di condanna all'ergastolo [...]»; 
      - comma 1-bis «[...] l'espiazione di almeno un terzo della pena
o di  almeno  quindici  anni,  prevista  dal  comma  1  del  presente
articolo, puo' avvenire presso un istituto a custodia  attenuata  per
detenute madri ovvero,  se  non  sussiste  un  concreto  pericolo  di
commissione di ulteriori delitti o di fuga, nella propria abitazione,
o in altro  luogo  di  privata  dimora,  ovvero  in  luogo  di  cura,
assistenza  o  accoglienza,  al  fine  di  provvedere  alla  cura   e
all'assistenza dei figli [...]»;. 
    Nel caso di specie, l'interessato sotto il profilo temporale  non
ha ancora espiato un terzo della pena, secondo  il  disposto  di  cui
all'art.  47-quinquies  O.P.  il  cui  comma  7  (riferito  ai  padri
detenuti) rinvia alle medesime condizioni di accesso previste, per le
madri detenute, dal comma 1 della medesima disposizione.  Il  termine
allo stato maturera' il 23 agosto 2025, ma in virtu' del comma  1-bis
la misura non sarebbe per questo preclusa. 
    Difatti, la previsione di cui al successivo comma 1-bis dell'art.
47-quinquies  O.P.,  nella  sua  riformulazione  operata  a   seguito
dell'intervento dalla Corte costituzionale (n. 76/2017)  per  cui  e'
venuta meno la preclusione legata alla commissione dei reati  di  cui
all'art. 4-bis O.P. (presenti nel  caso  di  specie),  consente  oggi
anche ai condannati per reati di cui all'art. 4-bis O.P. l'espiazione
presso ICATT o presso la propria  abitazione,  e  cio'  -  stante  il
richiamo da parte del comma 7 «alle stesse condizioni previste per la
madre» anche nella modalita' di cui al  comma  1-bis  della  medesima
disposizione) anche nei confronti del padre detenuto. 
    Quanto agli altri presupposti indicati dalla norma (insussistenza
condizioni  applicabilita'  art.  47-ter;  assenza  di  un   concreto
pericolo  di  commissione  di  ulteriori  delitti;  possibilita'   di
ripristinare  la  convivenza  con  il  figlio),  se  ne  ritiene   la
sussistenza. 
    In primo luogo, sotto il profilo  della  pericolosita'  non  puo'
prescindersi dall'osservare che il detenuto  presenta  senz'altro  un
calibro criminale significativo, tenuto conto dei  numerosi  e  gravi
precedenti per reati commessi fino al... - di fatto  interrotti  solo
con la carcerazione - e comunque posti  in  essere  anche  dopo  aver
beneficiato della misura alternativa dell'affidamento in prova. 
    Allo stesso tempo, deve registrarsi l'attuale  assenza  di  altre
pendenze presso gran parte delle Procure dei luoghi in cui  aveva  in
passato commesso i reati ed una condotta intramuraria sostanzialmente
corretta e  regolare,  tale  da  comportare  un  giudizio  di  «buona
affidabilita'» da parte della casa circondariale. L ' unica  pendenza
tutt'ora in essere (presso  la  Procura  di  Padova)  riguarda  reati
commessi nel... (coevi a quelli della seconda sentenza di condanna di
cui al provvedimento di cumulo). 
    Tali  elementi  (condotta  regolare,  giudizio  di  affidabilita'
espresso dalla ccle) hanno peraltro consentito di ritenere scemata la
pericolosita', consentendo la fruizione da  parte  dello  stesso  dei
permessi ex art. 21-ter o.p. 
    Quest'ultima   esperienza,   allo   stato,   risulta    svolgersi
positivamente. 
    Elementi significativi in ordine alla pericolosita' del  soggetto
ovvero all'attualita'  dei  suoi  collegamenti  con  la  criminalita'
organizzata o comune non sono peraltro ad oggi  emersi,  non  essendo
pervenuto alcun riscontro da parte di  Questura  e  Cosp  ed  essendo
ampiamente decorso il termine di risposta. 
    Dunque, allo stato, da quanto ricavato  dalla  documentazione  in
atti, puo' ritenersi che, a fronte di diversi anni di pena ancora  da
espiare, l'interessato, mostra apprezzabili doti di  affidabilita'  e
una  scemata  pericolosita',  soprattutto  se   riguardata   rispetto
all'impegno rivolto nei  confronti  del  figlio  disabile.  A  questo
proposito, si osserva che pur avendo il M. commesso  reati  anche  in
costanza della sopravvenuta disabilita'  del  figlio  (intervenuta  a
seguito di  incidente  nel...),  l'atteggiamento  attuale  appare  di
maggiore consapevolezza e responsabilizzazione. 
    Conseguentemente,   appare   possibile   il   «ripristino   della
convivenza» tra il padre (detenuto) e il  figlio  minore  disabile  -
considerato nel merito quale concetto  da  adattarsi  alla  specifica
condizione del figlio potendo senz'altro la  vicinanza  della  figura
paterna    avere    effetti    positivi    quantomeno    a    livello
emotivo-sensoriale del bambino. 
    Su tale specifico punto deve poi darsi atto che risulta applicata
la   pena   accessoria   della   sospensione   dell'esercizio   della
responsabilita' genitoriale (sentenza n.  1)  del  cumulo)  ai  sensi
dell'art. 32, comma 3 c.p. perche' la pena inflitta e'  superiore  ai
cinque anni. Si deve  tuttavia  rilevare  che,  nella  legge  40/2001
«Misure  alternative  alla  detenzione  a  tutela  del  rapporto  tra
detenute e figli minori» e' espressamente previsto  all'art.  7  che:
«L'applicazione di uno dei benefici  previsti  dalla  presente  legge
determina, per  il  tempo  in  cui  il  beneficio  e'  applicato,  la
sospensione della pena accessoria della decadenza dalla potesta'  dei
genitori e della pena  accessoria  della  sospensione  dell'esercizio
della potesta' dei genitori». Ne  deriva  che  la  concessione  della
misura della detenzione domiciliare  speciale  puo'  essere  concessa
anche in caso di previsione nella sentenza  di  condanna  della  pena
accessoria in questione (non solo per la «sospensione» ma addirittura
per la «decadenza»), purche' il giudice in concreto ravvisi che  tale
beneficio e' effettivamente funzionale al «best interest» del minore,
in accordo con la ratio  di  fondo  dell'art.  47-quinquies  o.p.,  e
quindi si traduca  in  effettiva  possibilita'  di  ripristino  della
convivenza. Il che, nel caso di specie, appare possibile sia  perche'
la  pena  accessoria  e'  stata  applicata  in  ragione  di  condanna
superiore ai cinque anni (art. 32, comma 3  c.p.)  e  non  perche'  i
reati commessi siano stati  a  danno  di  minori,  sia  per  il  buon
andamento dei permessi 21-ter O.P. concessi sinora. D'altronde, sotto
un profilo sostanziale, si puo' anche osservare  che  la  sospensione
implica la temporanea incapacita' di esercitare i  poteri  di  natura
personale attribuiti dalla legge  ai  genitori  verso  i  figli  e  i
diritti di contenuto patrimoniale sui beni dei minori  mentre  (cosi'
come anche per la decadenza) permangono i  doveri  verso  i  figli  ,
relativi alla  responsabilita'  (per  esempio  quelli  di  mantenere,
istruire ed educare la  prole,  previsti  dall'art.  147  del  codice
civile,  in  cui  possono  farsi  rientrare  senz'altro   quelli   di
assistenza materiale). Dunque, rispetto alla ratio del 47-quinquies -
disposizione che si pone nell'ottica della tutela  dell'interesse  in
capo al minore - la disposta pena accessoria della sospensione  della
responsabilita'  genitoriale  non  dovrebbe  poter   incidere   sulla
possibilita' per il genitore detenuto nella fruizione  della  misura,
anche in ipotetica assenza dell'espressa previsione di  cui  all'art.
7, legge n. 40/2001. 
    Dunque,  sotto  tali  profili,  si   ritengono   soddisfatte   le
condizioni di accesso  stabilite  dai  commi  1  e  1-bis,  dell'art.
47-quinquies O.P. 
    Tuttavia, l'art. 47-quinquies, comma 7 O.P., applicabile nel caso
di specie, riguardando il caso in esame un  padre  detenuto,  prevede
altresi' che la misura della detenzione  domiciliare  speciale  possa
essere concessa solo «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non
vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre»,  connotandosi
percio' in termini di extrema ratio rispetto ai padri detenuti. 
    L'istituto della c.d.  detenzione  domiciliare  speciale  -  come
riconosciuto dalla stessa Corte, nelle plurime occasioni in cui si e'
pronunciata  in  relazione  a  tale  misura-pur  partecipando   della
finalita'  di  reinserimento  sociale  del  condannato,  e'   infatti
primariamente indirizzato a  consentire  l'instaurazione,  tra  madri
detenute (e anche «padri detenuti») e figli  in  tenera  eta'  ovvero
disabili (come  di  recente  riconosciuto:  Corte  costituzionale  n.
18/2020), di un  rapporto  quanto  piu'  possibile  «normale»  (Corte
costituzionale, n. 239/2014; Corte costituzionale, n.  177/2009).  In
tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario
la  tutela  di  un  soggetto  debole,  distinto  dal   condannato   e
particolarmente meritevole di protezione - qual e' il  minore  e,  in
questo caso, anche disabile  -e  rispetto  a  cui  peraltro,  e'  ora
riconosciuta la possibilita' di valorizzare  proprio  le  ragioni  di
urgenza richiedendo la misura in questione anche in  via  provvisoria
ed urgente al MS (Corte costituzionale n. 30/2022). 
    In ordine all'inciso «se la madre e' deceduta o impossibilitata e
non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre»,  inserito
con riferimento ai detenuti padri, e quindi condizione di  necessaria
valutazione nel caso di specie-si  osserva  che  per  il  consolidato
orientamento della giurisprudenza di legittimita' «la  condizione  di
impossibilita' della madre deve identificarsi con  quella  situazione
che, per l'emersione di oggettivi fattori  impeditivi  inerenti  alla
sfera di azione della medesima, determina il rischio concreto per  la
prole di  un  grave  deficit  assistenziale  e  di  un  irreversibile
compromissione del suo processo evolutivo ed educativo» (Cass.  pen.,
I, 4796/2020) e che  «la  mera  circostanza  dell'impegno  lavorativo
della  madre  non  integra  l'assoluto  impedimento  della  stessa  a
prendersi cura del figlio» (Cass. pen., I, n. 37859/2016). 
    Peraltro, proprio con riferimento ad analoga vicenda  in  cui  il
figlio  dell'istante  risultava  affetto   da   gravissimo   handicap
invalidante, la  Suprema  Corte  di  Cassazione  (n.  25164/2018)  ha
ribadito, sempre di recente, che la norma  in  questione  «ha  inteso
consentire  l'assistenza  alla  prole  da  parte   di   un   genitore
individuato nella madre e, solo in assenza  della  madre,  anche  nel
padre. Dunque, il requisito necessario qualora l'istanza provenga dal
padre detenuto relativo all'assenza della madre va  inteso  in  senso
oggettivo come e' desumibile dalla lettera della norma [...] fa norma
quindi  condiziona  l'applicabilita'  del  beneficio  al   padre   al
presupposto dell'assenza della madre perche' e' deceduta o per  altra
causa  nella  impossibilita'  assoluta  di  accudire  il  figlio.  In
giurisprudenza e' stato  affermato  che  il  giudizio  sul  carattere
assoluto o meno della impossibilita' per  la  madre  di  accudire  il
figlio minore o disabile rientra nella discrezionalita' giudiziale  e
va quindi adeguatamente motivato». 
    Per la Corte si tratta di  un  giudizio  che  ha  ad  oggetto  la
concreta capacita' di accudimento  della  madre  capacita'  che  puo'
essere limitata o impedita per ragioni di  salute,  di  lavoro  o  ad
altro, ragioni comunque relative al genitore non rientrando in questa
valutazione la gravita' della disabilita'  o  la  presenza  di  altri
figli da accudire cosi' da valutare la possibilita'  o  meno  per  la
madre  di  fornire  al  figlio  tutta   l'assistenza   necessaria   e
concludendo nel senso che, nonostante  la  gravissima  condizione  di
disabilita' del minore e che la madre da sola non fosse umanamente in
grado di prestare al figlio tutta l'assistenza  necessaria,  comunque
la norma considera il padre  come  fruitore  del  beneficio  solo  in
funzione «vicaria» rispetto alla madre, ritenuta dal legislatore come
i l genitore maggiormente «votato» alla cura dei figli in tenera eta'
o disabili. Pertanto, nel caso in cui  l'assistenza  da  parte  della
madre vi sia ma sia insufficiente cio' non sarebbe significativo  per
il  legislatore  tale  da  renderlo  prevalente  rispetto  al  valore
costituito dalla effettivita' della potesta' punitiva da parte  dello
Stato. 
    Di tutto cio' dava atto il Magistrato di Sorveglianza  di  Verona
con il provvedimento di rigetto del 25 giugno 2024,  concludendo  nel
senso che «Alla luce di tale pressoche' consolidata  interpretazione,
per  cui   deve   effettuarsi   una   valutazione   in   termini   di
"impossibilita'     oggettiva"     (equiparandola     in     sostanza
all'impossibilita' "assoluta" di cui parla l'art.  47-ter,  comma  1,
lettera b) O.P.) per la madre di accudire il  figlio,  nel  caso  qui
esaminato, non si  potrebbe  ravvisare  tale  "impossibilita'"  della
madre nei termini rigorosi espressi  nella  corrente  interpretazione
giurisprudenziale, ne' si potrebbe ravvisare che "non vi e'  modo  di
affidare la prole  ad  altri":  cio'  in  quanto  emerge  chiaramente
dall'indagine socio-familiare in atti che la  madre  puo'  fruire  di
diversi presidi ("appoggio infermieristico domiciliare settimanale  e
al bisogno, cosi' come di quello  pediatrico  ed  in  particolare  da
parte dell'equipe del centro  residenziale  per  le  cure  palliative
pediatriche "... "dell'ospedale di ...  che  segue  costantemente  il
figlio nelle terapie")». 
I dubbi di legittimita' costituzionale della norma che il TDS Venezia
e' chiamato ad applicare nel caso di specie 
    Cio' posto,  il  Collegio  condivide  il  giudizio  espresso  dal
Magistrato di Sorveglianza per cui la situazione dedotta ed accertata
nel corso dell'istruttoria, a fronte dell'attuale assetto normativa e
giurisprudenziale,   non   consente   allo    stato    l'accoglimento
dell'istanza di detenzione domiciliare speciale. 
    Tuttavia,  chiamato  dunque  all'applicazione   di   tale   norma
(47-quinquies, comma 7 O.P.) e rilevato  che  non  appare  possibile,
allo  stato,  un'interpretazione  costituzionalmente  conforme  della
stessa, stante il consolidato orientamento  della  giurisprudenza  di
legittimita' sopra richiamato, il Collegio  dubita  pero'  della  sua
conformita' a Costituzione riscontrando nella previsione in questione
(specificamente   nell'inciso   «se   la   madre   e'   deceduta    o
impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al
padre») un vulnus nella tutela del  minore  ma  anche  e  soprattutto
sotto il profilo  dell'uguaglianza  uomo-donna  e  parita'  morale  e
giuridica tra i coniugi/conviventi di cui  agli  articoli  2,  3,  29
comma 2 e 30 comma 1,  31  della  Costituzione,  nonche'  rispetto  a
quanto previsto d agi i articoli 8 e 14 Cedu per il tramite dell'art.
117 della Costituzione. 
    Sul punto non si disconosce  quanto  gia'  espresso  dalla  Corte
costituzionale  (n.  219/2023)  in  ordine  all'insussistenza  di  un
«diritto alla bigenitorialita'» in capo al minore, come affermato  in
occasione della decisione sulla q.l.c. sollevata dal  MS  di  Cosenza
sull'art. 47-ter comma 1, lettere a) e b) O.P. e  ritenuta  infondata
sul   presupposto   che   «il   generale   principio   dell'interesse
«preminente» del minore impone si' una considerazione particolarmente
attenta degli interessi del minore in ogni decisione  -  giudiziaria,
amministrativa e legislativa - che lo riguarda, ma  non  ne  assicura
l'automatica  prevalenza  su  ogni  altro  interesse,  individuale  o
collettivo. In particolare, a proposito della relazione tra  genitori
condannati a pena  detentiva  e  figli  minori  si  e'  costantemente
ribadito che «l'interesse  del  minore  "non  forma  oggetto  di  una
protezione assoluta, insuscettibile di bilanciamento con contrapposte
esigenze, pure di rilievo  costituzionale,  quali  quelle  di  difesa
sociale, sottese alla necessaria esecuzione della pena» (sentenza  n.
174 del 2018; nello stesso senso, piu' di recente, sentenza n. 30 del
2022)» (sentenza 105 del 2023, punto 9 del Considerato in  diritto  ;
analogamente, sentenze n. 187 del 2019, punto 4.4. del Considerato in
diritto, e n. 76 del 2017, punto 2.2. del Considerato in diritto)». 
    Ma si evidenzia, come nella stessa pronuncia,  viene  specificato
come in tale occasione di rimessione quella era  l'unica  prospettiva
delineata (ossia, esclusivamente dall'angolo  visuale  dell'interesse
del minore a una relazione continuativa con entrambi i  genitori)  da
cui affrontare le questioni, posto che la q.l.c. era stata  costruita
attorno alla prospettiva degli interessi, che fanno capo al minore, a
una relazione continuativa con entrambe le  figure  genitoriali,  non
essendo invece  stata  censurata  la  disciplina  in  relazione  alla
diversa considerazione dei diritti-doveri che fanno  capo  al  padre,
rispetto a quelli che fanno capo alla madre; ne' era stata  sollevata
una questione di discriminazione in base al sesso tra le  due  figure
genitoriali,  rispetto  all'accesso   a   misure   alternative   alla
detenzione. 
    Ad avviso del Collegio, pertanto, la Corte costituzionale non  ha
potuto pronunciarsi in ordine agli ulteriori  e  diversi  profili  di
costituzionalità-in relazione all'art. 47-quinquies, comma 7  o.p.  -
che oggi questo Tribunale intende sottoporle. 
    Non si dubita infatti, che la concessione della misura in  parola
possa e  debba  essere  valutata  in  raffronto  alla  necessita'  di
assicurare un percorso rieducativo  al  condannato  (art.  27,  terzo
comma,  della  Costituzione),  di  contenere  la  sua   pericolosita'
sociale, di riaffermare la vigenza  della  norma  violata  e  la  sua
efficacia deterrente nei confronti deli' intera collettivita'. 
    Si  dubita  invece  della  impostazione   discriminatoria   della
disposizione, dalla cui lettura giurisprudenziale corrente emerge  in
capo alla madre l'indefettibile ruolo di genitore deputato alla  cura
della prole e  in  capo  al  padre  il  riconoscimento  di  un  ruolo
meramente vicario e subalterno, addirittura rispetto anche  ad  altre
«terze» persone, ed apparendo cio' in contrasto con gli  articoli  2,
3, 29 comma 2 e 30, comma 1, 31 della Costituzione, nonche'  rispetto
a quanto previsto dagli articoli 8 e 14 Cedu per il tramite dell'art.
117 della Costituzione. 
    Ne' tale considerazione e' stata aprioristicamente esclusa  dalla
stessa Corte costituzionale nella misura in cui  e'  stato  affermato
che «l'estensione delle medesime regole vigenti oggi per le  detenute
madri anche ai detenuti padri potrebbe certamente essere valutata dal
legislatore, nel quadro di un complessivo bilanciamento tra tutti gli
interessi individuali e collettivi coinvolti; ma non puo', a giudizio
di  questa  Corte,  essere  allo  stato  ritenuta  costituzionalmente
necessaria dal punto di vista,  che  in  questo  giudizio  unicamente
rileva, della tutela degli interessi del bambino, la  quale  richiede
soltanto che - di regola sia assicurato al bambino stesso un rapporto
continuativo con almeno uno dei due genitori»  (Corte  costituzionale
n. 219/23 cit.). 
    Appare  quindi  rilevante  e  non  manifestamente  infondata   la
questione  di  legittimita'  costituzionale,   ora   prospettata   in
relazione sia al diverso aspetto della  discriminazione  tra  uomo  e
donna in se' nonche' all'interno della famiglia (e  con  riguardo  al
principio di unita' familiare) e delle formazioni sociali,  posto  il
tenore della norma  censurata  e  stante  l'interpretazione  corrente
anche nella giurisprudenza di legittimita' (di  recente,  Cass.  pen.
sez. I, n. 11939/2024; Id., n. 11562/2024), nonche' sotto il  profilo
del diverso accesso alla misura da parte del padre e  della  madre  e
della funzione rieducativa della pena. 
    Non  di  meno  si  osserva  che   -   fermo   l'attuale   mancato
riconoscimento di  un  diritto  alla  bigenitorialita',  nei  termini
illustrati dalla Corte - la discriminazione che si ravvisa in  ordine
alle condizioni di accesso a  tale  misura  tra  madre  e  padre,  si
traduce in concreto anche in un vulnus alla tutela  del  minore  (non
sotto  il  profilo  della  bigenitorialita')  ma  sotto  il   profilo
educativo e assistenziale in se', posto  che  egli  di  fatto  potra'
fruire dell'unica figura materna - vulnus che  si  amplifica  solo  a
considerare le ipotesi in cui vi siano piu' figli minori da accudire. 
Profili di incostituzionalita': violazione degli articoli 2, 3  commi
2, 29, 30, 31 della Costituzione e 27, comma 3 della  Costituzione  e
degli articoli 8 e  14  Cedu  per  il  tramite  dell'art.  117  della
Costituzione 
    In primo  luogo,  giova  soffermarsi  sull'eguaglianza  morale  e
giuridica tra coniugi, su  cui  il  2°  comma,  dell'art.  29  ordina
l'istituto del matrimonio, la quale ha  senz'altro  rappresentato  un
dato normativa di novita' assoluta, pur ridimensionato dalla dottrina
in considerazione del fatto che tale parita' e' comunque in  funzione
dell'unita' familiare (peraltro, la circostanza che il  principio  di
eguaglianza sancito dall'art. 29 della Costituzione non ricevesse una
garanzia assoluta, invece prevista, in una prospettiva piu' generale,
all'interno dell'art. 3 della Costituzione, era stato affermato dalle
prime pronunce dei giudici costituzionali:  Corte  costituzionale  n.
64/1961; Id. 46/1966; Id. 147/ 1969). 
    E' quindi solo con la pronuncia n. 133 del 1970, che si  affermo'
come «le norme che siano fonte  di  svantaggio  per  un  coniuge  non
possano essere giustificate,  nel!  'ambito  di  una  valutazione  di
legittimita' costituzionale, da/fatto che  altre  norme  conferiscano
allo stesso coniuge, a  proposito  di  altre  situazioni  subbiettive
nascenti dal matrimonio, una posizione di vantaggio (o viceversa). Ed
invero, dal momento che si riconosce che la salvaguardia del/ 'unita'
familiare costituisce il solo legittimo limite  dell'eguaglianza  dei
coniugi, bisogna convenire che l 'unico accertamento rilevante e'  se
le diversita' di trattamento di volta in volta considerate trovino in
quella  esigenza  -  e  solo  in  essa  -  la  loro   giustificazione
costituzionale», tenendo conto cosi' del  rapporto  coniugale  in  un
mutato contesto storico-sociale e del  cambiamento  del  ruolo  della
donna nella  societa'.  Da  quel  momento  si  registreranno  infatti
pronunce della Corte costituzionale (es. nn. 6 del  1980  e  214  del
1984; nn. 116 del 1990, l 05 del 1980, 83 del 1983, 613 del 1987)  in
cui viene espressamente affermato che le disposizioni impugnate  sono
state  annullate  perche'  legate  a  concezione  dell'organizzazione
domestica basata sulla presunzione  di  estraneita'  della  donna  al
mantenimento della famiglia, concezione da ritenersi in contrasto con
il  principio  di  parita'  dei  coniugi,  riequilibrando  cosi'   la
posizione dei coniugi sia sul versante dei rapporti personali, sia su
quello dei rapporti patrimoniali. 
    Il limite funzionale dell'«unita' familiare» e' stato poi  inteso
in due accezioni differenti a seconda che si trattasse  di  farne  un
limite alla pari posizione dei coniugi, ovvero dei coniugi in  quanto
genitori. Come rilevato anche  dalla  dottrina,  infatti,  quando  e'
stata invocata come limite all'eguale posizione dei coniugi nei  loro
reciproci rapporti, l'unita' familiare e' stata  sempre  intesa  come
unita'  materiale,  come  «unita'  fisica»,  come  tale  incapace  di
giustificare una diversita' di trattamento. Quando, invece,  l'unita'
familiare  e'  venuta  in  rilievo   per   dirimere   questioni   che
concernevano la pari posizione dei genitori nel loro rapporti  con  i
figli,  almeno  in  passato,  ha  inteso  l'unita'   familiare   come
necessita' che, nella  famiglia,  per  ragioni  organizzative,  fosse
possibile esprimere una volonta' in modo unitario. 
    Solo dopo la riforma del diritto di famiglia, comunque, la  Corte
ha posto sul medesimo piano la madre e  il  padre  nel  rapporto  coi
figli. 
    Ed in termini  evolutivi  l'unita'  familiare  e'  divenuta  oggi
principio  autonomo  da  tutelare,  assumendo   cosi'   il   medesimo
significato che ha il principio del rispetto della vita familiare  ex
art. 8 Cedu e divenendo argomento a favore  o  contro  le  discipline
che, ad esempio, in tema di  organizzazione  del  lavoro  favoriscono
l'«avvicinamento»  ai  propri  familiari  (v.  Corte  costituzionale,
sentenze nn. 113 del  1998  e  183  del  2008),  ovvero  in  tema  di
ricongiungimento ed espulsione degli stranieri extracomunitari. 
    Stante tale evoluzione, ad oggi il ruolo genitoriale (di madre  e
padre) dovrebbe pacificamente  ritenersi  parificato,  nel  senso  di
possibilita' di accesso di ambo i genitori a quelle  misure  che  nei
vari ambiti e settori sono volti alla tutela dell'unita' familiare  e
della prole. 
    Analogamente,  riguardato  sotto  il  profilo  del  principio  di
uguaglianza tra uomo e donna. 
    E parimenti rispetto all'ambito carcerario -  recte,  di  accesso
alla  speciale  misura  -   la   previsione   normativa   concernente
«l'impossibilita' della  madre»  in  termini  di  fatto  oggettivi  o
assoluti (1) (o comunque  assai  stringenti  per  come  declinato  in
termini correnti, tenuto conto che l'alternativa e'  appunto  il  suo
«decesso») si traduce in una duplice discriminazione: ai danni  della
donna in quanto, come madre, le viene attribuito un ruolo primario ed
indispensabile anche a scapito del rispetto del suo essere come donna
o  in  generale  come  «persona»   (pretendendosene   di   fatto   un
annullamento in  nome  della  cura  ed  assistenza  alla  prole),  ma
altresi' ai danni del padre poiche' la norma  ne  ritaglia  un  ruolo
vicario e suppletivo, anziche' paritario ed autonomo  -  traducendosi
cio', a parere del rimettente, anche in  un  pregiudizio  dell'unita'
familiare (o della formazione sociale) che proprio nella parita'  dei
ruoli tra i coniugi (o conviventi)  troverebbe  invero  la  sua  piu'
compiuta tutela. 
    Tale portato normativa appare quindi basarsi su dati e tradizioni
culturali che assegnano alla donna, soprattutto in quanto  madre,  un
generale e prioritario compito di cura e vocazione all'assistenza dei
soggetti deboli che non pare oggi  piu'  giustificabile  rispetto  ai
mutamenti sociali che hanno interessato l'ambito familiare, ne'  pare
che  la  (imprescindibile)  tutela  della  maternita'   possa   pero'
consentire una mancata tutela della donna. 
    In questi termini il contrasto in generale con l'art. 3, comma  2
della Costituzione appare particolarmente evidente  posta  la  palese
violazione dell'uguaglianza tra  persone  in  ragione  del  sesso  di
appartenenza - nonche' anche con l'art. 2 della Costituzione  volendo
riguardare  alla  parita'  tra  le  persone  da  riconoscersi   anche
nell'ambito  delle  formazioni  sociali  oltre  che  nell'ambito  del
rapporto coniugale (art. 29 della Costituzione). 
    Parimenti  sotto  il  profilo  degli  articoli  30  e  31   della
Costituzione, posto che gia' in passato la Corte  costituzionale  (n.
215/90)aveva dichiarato l'incostituzionalita' in quel caso  dell'art.
47-ter, comma 1 O.P. (nella parte in cui non si  prevedeva  l'accesso
alla misura da'  parte  del  padre  detenuto)  sul  rilievo  che  «Il
riconoscimento della eguaglianza morale e giuridica dei  coniugi,  su
cui e' ordinato il matrimonio, e il riconoscimento stesso dei diritti
della famiglia (art. 29), il dovere e  il  diritto  dei  genitori  di
mantenere ed educare i figli, e soprattutto, le  provvidenze  che  la
legge deve disporre affinche' siano assolti i  compiti  dei  genitori
nei casi di loro incapacita' (art. 30), la protezione  che  la  Carta
fondamentale  accorda  all'infanzia,  sollecitando  la  Repubblica  a
favorire gli istituti necessari a tale scopo (art. 32), rappresentano
un complesso di eminenti valori che, mentre rendono intollerabile  la
denunciata  discriminazione,  fondano   a   loro   volta   specifiche
incompatibilita'. La previsione, infatti,  dell'art.  47-ter  secondo
cui soltanto alla madre viene riconosciuto, mediante  la  concessione
della detenzione domiciliare, il diritto-dovere di assistere la prole
infratreenne,  nega  implicitamente  al  genitore  l'esercizio  dello
stesso diritto e l'adempimento dell'identico dovere per  il  caso  in
cui la madre manchi o sia assolutamente impossibilitata ad  espletare
quel  compito:  eppure  si  tratta  di  compiti   doverosi   che   la
Costituzione affida, invece, alla pari responsabilita' dei genitori». 
    Volendo poi considerare che la disciplina  normativa  di  settore
(v. la legge n. 40/2001 che  ha  introdotto  le  norme  di  cui  agli
articoli 146, comma 1 c.p. e 147 n. 3 c.p., nonche'  lo  stesso  art.
47-quinquies e l'art. 21-bis o.p.  e  la  legge  n.  62/2011  che  ha
introdotto il  comma  1bis,  all'art.  47-quinquies,  nonche'  l'art.
21-ter O.p. e, in materia cautelare, gli  articoli  275,  comma  4  e
285-bis c.p.p.) e' primariamente incentrata  in  termini  applicativi
sulla «madre detenuta»,  potendo  il  padre  accedere  alle  analoghe
misure  solo  «qualora  la  madre  sia   deceduta   o   assolutamente
impossibilitata a dare assistenza alla prole», ne  deriva  un  quadro
normativa che attribuisce tutela  prioritaria  al  ruolo  genitoriale
della madre ed assegna al padre una funzione meramente  subalterna  e
vicaria. 
    Della perdurante ragionevolezza di  questo  impianto  si  dubita,
rinvenendosi un mancato adeguamento all'evoluzione della  societa'  e
del fenomeno  familiare  che  evidenzia  l'inattualita'  dell'opzione
normativa e ne mette in luce i profili discriminatori, sia  sotto  il
profilo  del  mancato  riconoscimento   della   parita'   dei   ruoli
genitoriali che va a discapito anche della piena tutela  del  minore,
sia  sotto  il  profilo  della  stessa  tutela  della  donna  in  se'
considerata: la previsione in questione infatti tutela la  maternita'
se la donna e' appunto detenuta, ma non se e'  moglie  del  detenuto,
tratteggiandosi percio' una  sorta  di  discriminazione  biunivoca  e
bidirezionale e che avalla una concezione discriminatoria della donna
tutelata solo quale titolare del «ruolo» di madre e, oltretutto, solo
in alcuni casi (solo se detenuta, non se moglie di detenuto). 
    La disposizione appare incompatibile anche rispetto ai  parametri
convenzionali di cui agli  articoli  8  e  14  CEDU  per  il  tramite
dell'art. 117 della Costiruzione, integrando una differenziazione del
trattamento normativa in base al sesso. In tal senso la Corte EDU  si
e' piu' volte espressa nel  senso  che  per  poter  giustificare  una
differenziazione di trattamento normativa sulla base  del  sesso  dei
soggetti destinatari i  riferimenti  alle  tradizioni,  agli  assunti
generali o ad attitudini sociali prevalenti in un dato paese non sono
sufficienti ma che le differenziazioni sulla base  del  sesso  devono
essere sorrette da ragioni particolarmente pregnanti (Kostantin M  v.
Russia GC 2012, par. 127; Beeler v. Swilzerland GC 2022,  par.  93  e
ss.; B.T v Russia GC 2024, parr. 40 e ss.). 
    Parimenti, sempre a livello sovranazionale, si richiama l'art. 4,
paragrafo 2, della Convenzione sull'eliminazione  di  ogni  forma  di
discriminazione nei confronti della donna (adottata a New York il  18
dicembre 1979, ratificata e resa esecutiva con legge 14  marzo  1985,
n. 132) a tenore del quale «[l]'adozione  da  parte  degli  Stati  di
misure  speciali,  comprese  le  misure   previste   dalla   presente
Convenzione, tendenti a proteggere la maternita', non e'  considerato
un atto discriminatorio»: vero e' se cio' e' riguardato dal punto  di
vista della madre detenuta, ma non anche sotto il profilo della madre
non detenuta, nei cui confronti appunto si viene a creare un'autonoma
irragionevole discriminazione. 
    Per completezza ci si deve pur brevemente confrontare  anche  con
quella giurisprudenza della Corte europea dei  diritti  dell'uomo  in
materia  di  discriminazioni  nel  trattamento  sanzionatorio  e  nel
trattamento penitenziario di  donne  e  uomini  (in  particolare,  ad
esempio, Grande camera,  sentenza  24  gennaio  2017,  Khamtokhu  and
Aksenchik contro Russia; sezione quarta,  sentenza  3  ottobre  2017,
Alexandru Enache contro Romania, sulla legislazione che  permette  la
sospensione della pena per le madri, non applicabile per analogia  ai
padri, ritenuta non in violazione della Convenzione; sezione  quinta,
sentenza 10 gennaio 2019, Ēcis contro Lettonia). 
    Ebbene, pur a fronte di pronunce della stessa Corte EDU  che  non
hanno  ritenuto  configurata  una  violazione  dell'art.   14   CEDU,
valorizzando il peculiare ruolo della madre nei primi  anni  di  vita
del bambino,  tuttavia  analogo  ragionamento  non  potrebbe  trovare
applicazione tout court nel caso di specie,  trattandosi  di  bambino
non in eta'  tale  da  richiedere  il  necessario  ed  insostituibile
accudimento materno, bensi' di minore afflitto da  grave  disabilita'
rispetto a cui il ruolo genitoriale appare del tutto  intercambiabile
(ed anzi, il cui apporto paterno appare rilevante  per  la  decisione
sulle terapie proposte dai sanitari, come sopra riportato). 
    Inoltre,   nella   stessa   giurisprudenza    CEDU    un'autonoma
considerazione e' rivolta alla stessa tutela  dell'unita'  familiare,
in relazione all'art.  8  CEDU  (cfr.:  L'attenzione  per  l'  unita'
familiare e per il ricongiungimento familiare in caso di  separazione
costituiscono fattori inerenti al  diritto  al  rispetto  della  vita
familiare di cui all'art. 8: Strand Lobben e altri c. Norvegia  [GC],
§ 204; il reciproco godimento da parte  del  genitore  e  del  figlio
della reciproca compagnia costituisce un elemento fondamentale  della
vita familiare ai sensi dell'art. 8 della Convenzione (anche  qualora
la relazione tra i genitori sia cessata)  e  le  misure  interne  che
ostacolano tale  godimento  costituiscono  un'ingerenza  nel  diritto
tutelato dall'articolo 8  della  Convenzione:  Monory  c.  Romania  e
Ungheria, § 70;  Zorica  Jovanovie'  c.  Serbia,  §  68;  Kutzner  c.
Germania, § 58; Elsholz c. Germania [GC], § 43; K. e T. c.  Finlandia
[GC], § 151). 
    Pertanto, il differente accesso alla misura  in  questione  (art.
47-quinquies  o.p.)   si   profila   in   termini   irragionevoli   e
discriminatori, potendo comunque il  rischio  di  una  sua  impropria
applicazione  essere  contenuta  dal  giudizio  di  pericolosita'  in
concreto effettuato dal giudice della sorveglianza. 
    Viene dunque in rilievo l'incostituzionalita' della norma  quanto
all'inciso: «se la madre e' deceduta o impossibilitata»  sia  perche'
la condizione richiesta appare lesiva dell'uguaglianza tra le persone
e della parita' tra coniugi/conviventi e sia perche'  l'accesso  alla
misura in  questione  da  parte  della  madre  detenuta  appare  piu'
favorevole rispetto alle condizioni di accesso  previste  dal  padre,
traducendosi cio' comunque  in  una  lesione  della  maternita'  (nei
confronti della madre non  detenuta  con  marito  detenuto)  e  della
stessa  unita'  familiare,  sia,  infine,  perche'  la  misura  -  in
un'ottica sovranazionale - tutela la maternita'  solo  nei  confronti
delle madri detenute e non in generale. 
    Parimenti viene  in  rilievo  l'incostituzionalita'  della  norma
anche quanto all'inciso: «e non vi e' modo di affidare  la  prole  ad
altri che al padre» perche' assegna al ruolo  di  padre-genitore  una
posizione assolutamente marginale e residuale. 
    Simile postergazione della figura paterna non sussiste ad esempio
in relazione alla previsione di cui all'art. 275, comma 4 c.p.p.  per
cui al padre - nonostante  il  decesso  o  l'assoluta  impossibilita'
della madre a  dare  assistenza  alla  prole  -  deve  applicarsi  la
custodia  cautelare  in  carcere  per  la  sussistenza  di   esigenze
cautelari  di  particolare  intensita'  e  per  come   inteso   dalla
giurisprudenza  di  legittimita'  per  cui:   «accertata   l'assoluta
impossibilita' della madre ... e escluso  il  ricorrere  di  esigenze
cautelar i di eccezionale rilevanza, il giudice non puo' giustificare
il  mantenimento  della  misura  intramurale   prendendo   in   esame
l'eventuale presenza  di  altri  familiari,  in  quanto  ad  essi  il
legislatore non riconosce alcuna  funzione  sostitutiva[...]»  (Cass.
pen. n. 29355/2014). E l'attribuzione  di  un  ruolo  «vicario»  alla
figura paterna anche rispetto ad «altri» appare sia di per se' lesivo
del principio dell'unita' familiare (la cui tutela costituzionale  e'
oggi ampiamente riconosciuta nell'accezione piu'  ampia,  come  sopra
delineato), ma altresi'  lesivo  dell'interesse  del  minore  e  poco
funzionale alla cura in concreto dello stesso (in tal senso apparendo
ragionevole preferire rapporti del minore, per  giunta  se  disabile,
con il genitore piuttosto che con «altre» persone). 
    Ne' puo'  escludersi,  infine,  una  violazione  anche  sotto  il
profilo della ragionevolezza e attuazione della funzione  rieducativa
della pena (articoli 3 e 27, comma 3 della Costituzione), funzione  a
cui  devono  evidentemente  tendere  in  generale  anche  le   misure
alternative alla pena e dunque  anche  l'art.  47-quinquies  comma  7
o.p.,  e  che  non  sarebbe  realizzata  negando  al  padre  detenuto
l'accesso alla misura, ponendosi cio' anzi in termini tutt'altro  che
rieducativi, perpetrando una concezione  oggi  non  piu'  accettabile
(ne' rispondente alla realta') dei ruoli sociali e all'interno  della
famiglia (lato sensu intesa). 
    Da ultimo si osserva che  l'attualita'  della  questione  in  se'
trova conferma nel fatto che e'  gia'  pendente  dinanzi  alla  Corte
costituzionale questione di costituzionalita' dell'art. 47-quinquies,
comma 7 O.P. sollevata anche dal Tribunale di sorveglianza di Bologna
(ordinanza n. 1321 del 9 aprile 2024). 
    In termini di  effetti,  la  parificazione  della  condizione  di
accesso  alla  misura  tra  madri  e  padri  detenuti  -   ottenibile
attraverso l'espunzione  dell'inciso  «se  la  madre  e'  deceduta  o
impossibilitata e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al
padre» - garantirebbe invece il mantenimento di un paritario rapporto
di  cura  del   minore   (interesse   primario   tutelato   dall'art.
47-quinquies o.p.) nel rispetto dei principi di uguaglianza e parita'
tra persone/coniugi/genitori. 
    Da quanto sopra prospettato e' auto-evidente la rilevanza  e  non
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 47-quinquies, comma  7,  della  legge  n.  354/1975  (norme
sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione  delle   misure
privative e limitative della liberta') nella parte in cui prevede che
ai detenuti padri puo'  essere  concessa  la  detenzione  domiciliare
speciale solo «se la madre e' deceduta o impossibilitata e non vi  e'
modo di affidare la prole ad altri che al padre». 
    D'altronde l'istituto della c.d. detenzione domiciliare  speciale
- come riconosciuto dalla stessa Corte, nelle  plurime  occasioni  in
cui si e' pronunciata in relazione a tale misura -  pur  partecipando
della  finalita'  di  reinserimento  sociale   del   condannato,   e'
primariamente indirizzato a  consentire  l'instaurazione,  tra  madri
detenute (e anche «padri detenuti») e figli  in  tenera  eta'  ovvero
disabili (come  di  recente  riconosciuto:  Corte  costituzionale  n.
18/2020), di un  rapporto  quanto  piu'  possibile  «normale»  (Corte
costituzionale, n. 239/2014; Corte costituzionale, n.  177/2009).  In
tal senso, si tratta di un istituto in cui assume rilievo prioritario
la  tutela  di  un  soggetto  debole,  distinto  dal   condannato   e
particolarmente meritevole di protezione - qual e' il  minore  e,  in
questo caso, anche disabile - e  rispetto  a  cui  peraltro,  e'  ora
riconosciuta la possibilita' di valorizzare  proprio  le  ragioni  di
urgenza richiedendo la misura in questione anche in  via  provvisoria
ed urgente al MS (Corte costituzionale n. 30/2022). 
    La  mancata  parita'  di  condizioni  di  accesso  alla   misura,
pertanto, appare violare al contempo l'uguaglianza tra uomo e  donna,
la parita' tra i genitori e lo stesso interesse primario del  minore,
posto che preclude ad  uno  dei  genitori  singolarmente  inteso  (in
specie, il padre detenuto) il godimento di un  beneficio  predisposto
dal legislatore a vantaggio precipuo dei minori stessi, rispetto alla
cui tutela si puo' configurare un concreto vulnus anche  considerando
l'apporto «riequilibrante» che puo' provenire da padre detenuto  (nel
caso di specie, come riferito dai sanitari curanti e' proprio con  il
padre detenuto che c'e' maggiore interlocuzione in ordine al  ricorso
alla specifica terapia antidolorifica, rispetto a cui invece la madre
si pone in termini di chiusura). 

(1) Rispetto alle misure cautelari, con  specifico  riferimento  alla
    previsione in parte coincidente (art. 275, comma  4  c.p.p.),  di
    recente (Cass. n. 18379/24) e' stato ribadito come:  in  base  ad
    essi la condizione di  assoluta  impossibilita'  da  parte  della
    madre di prestare assistenza alla prole, legittimante,  ai  sensi
    dell'art. 275, comma  4,  del  codice  di  procedura  penale,  la
    revisione in melius della misura cautelare applicata a carico del
    padre di questa, ricorre, oltre  che  nel  caso  di  morte  o  di
    mancanza di quella, solo in presenza di una sua grave  inabilita'
    indipendente dalla volonta' della donna, essendo,  per  converso,
    insufficiente al fine di cui  sopra,  una  situazione  di  m  era
    difficolta'  (cfr.,  infatti,  Corte  di  cassazione,  Sezione  I
    penale, 18 marzo 2021 , n. 10583; Corte di cassazione, Sezione VI
    penale, 5 dicembre 2018,  n.  54449);  altrimenti  sarebbe  stata
    necessaria la dimostrazione di un difetto assistenziale  tale  da
    compromettere il processo  evolutivo-educativo  della  prole  non
    diversamente colmabile se  non  con  la  presenza  domestica  del
    soggetto ristretto in custodia  intramuraria,  (cosi':  Corte  di
    cassazione, Sezione IV penale, 28 maggio 2019, n. 23268),  ovvero
    l'oggettiva impossibilita' per la madre di conciliare le esigenze
    lavorative con l'assistenza alla prole, nonche' di  avvalersi  di
    parenti o  di  altre  figure  di  riferimento  o,  infine,  delle
    strutture educative pubbliche (Corte di  cassazione,  Sezione  VI
    penale, 2 maggio 2018, n. 18851).  
 
                               P.Q.M. 
 
    Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    ritenuta, nel presente giudizio, la rilevanza e la non  manifesta
infondatezza del le questioni di  costituzionalita'  delineate  nella
parte motiva, 
    solleva,  nei  termini  indicati,   questione   di   legittimita'
costituzionale  dell'art.  47-quinquies,  comma  7,  della  legge  n.
354/1975 (norme sull'ordinamento  penitenziario  e  sulla  esecuzione
delle misure privative e limitative della liberta')  nella  parte  in
cui prevede che ai detenuti padri puo' essere concessa la  detenzione
domiciliare speciale solo «se la madre e' deceduta o  impossibilitata
e non vi e' modo di affidare la prole ad altri che al padre»; 
    sospende il presente procedimento; 
    dispone che gli atti siano immediatamente  trasmessi  alla  Corte
costituzionale; 
    manda alla Cancelleria per l'immediata  trasmissione  degli  atti
alla Corte Costituzionale e per gli  adempimenti  previsti  dall'art.
23,  ultimo  comma,  legge  n.  87/1953  (notifica  al  detenuto,  al
difensore di fiducia,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri;
comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento). 
    Cosi' deciso nella Camera di Consiglio del 18 settembre 2024. 
    Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di competenza. 
 
                        Il Presidente: Arata 
 
 
                                     Il Magistrato estensore: Zingale